Seminari e vocazioni sacerdotali |
Parte I - L'immagine di sacerdote, ideale di vocazione
« Mettere a contatto con le energie vivificanti e perenni del Vangelo il mondo moderno »: ( Cfr. Humanae salutis ) da questa primaria intenzione missionaria e apostolica, il Concilio Vaticano II trasse anche l'impulso per completare, circa il ministero ordinato, la prospettiva del Concilio Tridentino, che lo riferiva essenzialmente all'Eucaristia, sottolineando prevalentemente l'aspetto sacrificale e cultuale. ( Cfr. Conc. Trid., Sess. 13 )
Il riferimento essenziale all'Eucaristia, corpo reale-sacramentale del Signore, viene oggi confermato, ma anche integrato con quello, ugualmente essenziale, al corpo ecclesiale del Signore.
Il ministero ordinato è così più unitariamente compreso nella sua destinazione a costruire - invitandovi e conducendovi gli uomini - la Chiesa quale luogo della alleanza e della comunione con Dio: alleanza e comunione, che l'Eucaristia celebra e realmente opera, e che sono il dono dell'amore di Dio verso l'uomo.
Il Vaticano II ha così liberato un'istanza, che era implicita nel Tridentino.
Questa visione più chiara e completa del ministero ordinato dischiude la strada a una comprensione più articolata e aperta del ministero stesso.
Essa pone anche problemi nuovi.
In particolare, ripresenta beneficamente, ma problematicamente, una tensione che nel Tridentino rimaneva latente e che ora si manifesta in alcuni binomi ricorrenti nel linguaggio cristiano: per esempio, liturgia dei sacramenti - liturgia della vita, culto - evangelizzazione, consacrazione - missione.
Non sono certamente aspetti inconciliabili.
Ma la loro conciliazione, che può avvenire secondo sottolineature diverse, non è esente dal rischio dell'unilateralità o della giustapposizione.
Alcune suggestioni recenti sull'identità sacerdotale chiaramente lo dimostrano.
E anche certe soluzioni pratiche hanno frainteso l'intenzione e il disegno del Concilio, allontanandosi più o meno pericolosamente dalla linea complessiva, entro la quale soltanto è possibile comporre accentuazioni e prospettive differenti.
9. - La figura del sacerdote è certamente ricca e complessa; per questo, anche il Vaticano II l'ha presentata con titoli e con immagini diverse e complementari. ( Cfr., in particolare, PO 4-6; LG 28 )
Alcune di esse si dispongono attorno al compito di annunciare la parola: ed ecco le immagini del maestro, del profeta, del testimone.
Altre rievocano il linguaggio cultuale e si riferiscono soprattutto alla celebrazione dei sacramenti della nuova alleanza e all'impegno vitale che ne deriva.
Altre, infine, alludono al ministero in quanto si esercita nella guida autorevole e nella unificazione del popolo di Dio: questa idea si rifrange nelle immagini del pastore, del servo, del presidente, del padre.
Tutte le diverse prospettive offerte dalle molteplici immagini rivelano come la coscienza di fede della Chiesa non è mai esaurientemente espressa e come essa richieda una comprensione sempre più adeguata e un'espressione sempre più aderente.
In ogni modo, per una riflessione corretta e chiarificatrice del ministero sacerdotale, è importante tenere presenti questi tre punti:
- il significato unico e originale che acquistano, in Gesù Cristo, la predicazione profetica della parola di verità, la celebrazione del culto sacerdotale, l'esercizio regale della missione pastorale;
- il rapporto tra la modalità 'comune' e la modalità 'ministeriale-gerarchica', con cui la missione profetica, sacerdotale, regale di Gesù suscita, mediante lo Spirito e i sacramenti, le corrispondenti forme della missione della Chiesa;
- la speciale relazione tra il ministero episcopale e il ministero presbiterale.
Quando il linguaggio della fede cristiana ricorre alle parole che alludono all'insegnamento, al sacerdozio, al ministero e all'autorità, cioè alle diverse funzioni esercitate in una comunità, ha come imprescindibile punto di riferimento la figura di Gesù Cristo.
Il fatto è testimoniato da tutto il Nuovo Testamento e dalla tradizione della Chiesa circa i ministeri, compresi i recenti documenti del magistero.
Il nostro intento, ora, è di aiutare a capire che cosa esprima la fede cristiana, quando professa che le funzioni ecclesiali sono radicalmente e totalmente relative a Gesù Cristo.
Queste funzioni - che appartengono alla tradizione religiosa dell'umanità e particolarmente alla storia del popolo veterotestamentario - trovano l'inveramento e il superamento nella storia di Gesù.
Gesù è la verità tutta intera, il fine e insieme la fine delle figure dell'Antico Testamento.
La Lettera agli Ebrei, riflettendo con singolare intensità sulla novità del sacerdozio di Cristo, giunge a una visione sintetica assai ricca della missione di Gesù.
Il sacerdozio di Cristo, nel quale convergono i compiti del profeta e del pastore, viene illustrato con così densi rapporti alla vita trinitaria e alla vicenda della salvezza, da risultare come il mistero centrale e inesauribile della storia umana. ( Cfr. Eb 1 )
La mediazione salvifica di Gesù è per sempre inscritta nel mirabile arco che culmina nella Pasqua, intesa come amorosa ubbidienza al Padre fino alla morte ( Cfr. Eb 4-5 ) e, al tempo stesso, come chiamata del Padre a entrare nel tempio eterno per la gloriosa intronizzazione. ( Cfr. Eb 8-9 )
Cristo, nel presentare il sangue della nuova alleanza, rivela anche il suo rapporto particolare con lo Spirito, mosso dal quale egli si è offerto al Padre come sacrificio perfetto per l'umanità intera. ( Cfr. Eb 9,14; Eb 10,29; Eb 11-12 )
12. - La Lettera agli Ebrei, poi, proprio delineando la figura di Cristo unico sacerdote, suggerisce nitidamente la ragione per la quale tutto ciò che nella Chiesa si opera non aggiunge nulla a Gesù Cristo, ma si pone come una radicale relazione a lui, una testimonianza a lui nella fedeltà al suo mistero, un'espressione di lui piena e attuale.
In lui, infatti, si è inaugurata l'alleanza nuova ed eterna, si sono compiuti il progetto di Dio sulla storia e la comunione con Dio, nella quale soltanto l'uomo trova il senso della propria vita e la radice della comunione con gli altri uomini.
In lui ogni uomo può conoscere di essere aperto all'infinito mistero per il quale è stato creato e sa di poter vincere tutti gli egoismi, le inerzie, le grettezze individualistiche, i ripiegamenti orgogliosi o disperati, le paure e le aggressioni tra individui e tra popoli.
La storia di Gesù, che pienamente appartiene alla storia umana - avendo egli condiviso in tutto, fuorché nel peccato, la condizione dell'uomo - è tuttavia assolutamente 'unica', perché è la storia del Figlio di Dio.
Egli è il 'Mediatore' dell'alleanza nuova ed eterna, ( Cfr. 1 Tm 2,5; Eb 12,24 ) e in lui « abita corporalmente tutta la pienezza della divinità ». ( Col 2,9 )
Nella sua persona tutto, poi, si svolge secondo i ritmi e le leggi di una storia che, benché singolare, in quanto appartiene al Figlio eterno di Dio, è pur sempre storia: ha quindi un inizio, uno svolgimento, un dispiegamento in gesti sempre nuovi, un paziente e faticoso intreccio con la storia degli altri uomini, fino all'« ora » definitiva, alla pienezza del gesto pasquale, quando il Figlio è costituito pienamente Figlio mediante l'obbedienza al Padre fino alla morte, ( Cfr. Rm 1,4; Rm 5,12-19 ) ed è per questo glorificato mediante la risurrezione.
Dalla donazione filiale di Gesù, soprattutto dal momento culminante della Pasqua, scaturisce il dono dello Spirito, in grazia del quale ogni uomo può venire a contatto col mistero dell'ineffabile immediatezza filiale, con cui Gesù vive il suo rapporto col Padre, in una totale condivisione del suo amore per gli uomini.
La missione compiuta da Gesù è definitiva e ultima, e non sarà seguita da altre.
In lui, infatti, ci è stata data la pienezza della rivelazione del Padre, ( Cfr. DV 2 ) il quale ci ha amato fino a immolare il suo Figlio unigenito. ( Gv 3,16 )
In Gesù Cristo, tutto abbiamo ricevuto.
D'altra parte, Dio ha preparato l'umanità ad accogliere la pienezza del suo dono attraverso una pedagogia, umile e potente, fatta di figure e di ombre.
Tra esse spicca Mosè, che nella sua persona assume la mediazione profetica, sacerdotale e regale tra Jahvè e il suo popolo, per poi distribuire queste tre funzioni a persone diverse.
Ora, in Gesù, noi non troviamo solo il compimento di tutte le prefigurazioni antiche, ( Cfr. Mt 5,17 ) ma il superamento di ogni previsione, perché nel Figlio di Maria venne a noi il Figlio di Dio e la nostra adozione filiale per il dono dello Spirito. ( Cfr. Gal 4,4-6 )
Così il ministero di Gesù rimane per sempre ed è unico rispetto a tutti i tempi: Gesù non ha successori.
14. - Egli è il profeta, il maestro e il legislatore per eccellenza, perché non dice parole di Dio, ma è la Parola di Dio fatta carne; ( Cfr. Gv 1,14 ) non insegna soltanto come uno che ha autorità, ma è la verità; ( Cfr. Gv 14,6 ) non impone nuove leggi, ( Cfr. Lc 10,26-27 ) ma riversa nei cuori la legge nuova dello Spirito. ( Cfr. Gv 15,26 )
Egli è il sacerdote, il sacrificio, la vittima, non in senso rituale ma vitale.
Gesù viene per compiere la volontà del Padre ( Cfr. Eb 10,7 ) e offre liberamente se stesso per noi. ( Cfr. Gv 10,18 )
Davvero egli fu « la vittima del suo sacerdozio e il sacerdote della sua vittima »; ( « Ipse … victima sacerdotii sui, et sacerdos suae victimae fuit », Paolino da Nola, Ep 1,8 in PL 61, 196 ) mentre, per il dono dello Spirito Santo, l'esercizio del suo sacerdozio e del suo sacrificio viene comunicato a coloro che egli sceglie, affinché ogni uomo possa offrire se stesso come sacrificio a Dio gradito.
Egli è il pastore, la guida e il re, perché nella sua Pasqua consacra la sua missione e realizza la nuova alleanza, rivelandosi insieme « sommo sacerdote » ( Cfr. Eb 3,1 ) e « pastore grande delle pecore in virtù del sangue di un'alleanza eterna ». ( Eb 13,20 )
Sicché in Gesù Cristo la funzione pastorale si fonde con il sacerdozio e ne appare come la manifestazione visibile e storica.
Cristo dunque è il sacerdote-pastore, che fa di sé la vittima per il suo popolo ( Cfr. Gv 10,14-15 ) e, con lo Spirito di verità, guida coloro che ha riscattati.
Da Cristo si comunica a tutto il suo corpo, che è la Chiesa, il profetismo, il sacerdozio, la regalità, funzioni queste del nuovo popolo di Dio e tuttavia sempre azioni di Cristo, perché è lui che continuamente parla, battezza, e conduce il suo gregge.
Gesù ha tutto compiuto nella sua Pasqua, e nella sua persona è l'alleanza per sempre. ( Cfr. Is 42,6 )
Egli è il Figlio che dona lo Spirito.
Proprio per la comunicazione dello Spirito di Cristo, la Chiesa opera nel mondo come il segno visibile della sua azione invisibile e i gesti ecclesiali, ricchi e vari, manifestano la trascendente ed inesauribile ricchezza di lui, che è il capo.
Da Cristo alla sua Chiesa, allora, non proviene una tripartizione nella missione e nel ministero, come da Mosè al popolo ebreo, bensì un'armonica ed articolata varietà di funzioni nella unità del medesimo corpo. ( Cfr. 1 Cor 12,4-6 )
Il molteplice dunque non divide l'uno, ma lo rivela e lo comunica.
Uno degli insegnamenti più illuminanti e stimolanti, riproposto dal Vaticano II, è l'affermazione che tutto il popolo di Dio, in tutti i suoi membri, è investito della missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù Cristo.
Tale missione - sottolinea il Concilio - si attua secondo due modi, essenzialmente diversi, eppure tra loro complementari:
il sacerdozio comune, fondato sul Battesimo;
il sacerdozio gerarchico, conferito dal sacramento dell'Ordine. ( Cfr. LG 10-12 )
Qui non solo viene introdotto il tema dei fondamenti sacramentali del sacerdozio, ma si offrono anche gli spunti decisivi per dare risalto all'identità del prete.
Nell'approfondita comprensione di queste precisazioni, il presbitero trova il vero senso della sua originale diversità e insieme della sua piena fratellanza con i fedeli.
Il Concilio, anche quando insegna che la distinzione tra il sacerdozio comune e il sacerdozio gerarchico non è solo di 'grado' ma di 'essenza', ( Cfr. ivi. ) lascia intendere che il rapporto di Cristo con la Chiesa è correttamente rispecchiato non dalla immagine di una scala discendente, nella quale il sacerdozio gerarchico occuperebbe una posizione intermedia tra Cristo e i fedeli, ma dall'immagine di un innesto immediato di tutti in Cristo, operato dallo Spirito e dai sacramenti.
Il sacerdozio comune ed il sacerdozio gerarchico, per quanto 'essenzialmente' e non solo 'gradualmente' diversi, esprimono l'immediata presenza di Cristo nella sua Chiesa e la dipendenza diretta della Chiesa da Cristo.
Il modo specifico, con cui il sacerdozio gerarchico esprime l'immediata dipendenza della Chiesa da Cristo, è precisato in numerosi insegnamenti del magistero, ricchi di risonanze bibliche e patristiche.
Tutti questi testi poggiano sulla certezza che Cristo ha istituito un ministero che rappresenta e realizza nella Chiesa il suo carattere originario e fondante di capo e pastore. ( Cfr. LG 10-12 )
Per questo gli Apostoli, che sono « germe e origine » della Chiesa, nuovo popolo di Dio, ( Cfr. AG 5 ) sono stati scelti, chiamati e stabiliti da Gesù Cristo e da lui consacrati ed inviati come pastori-servi del gregge. ( Cfr. Sinodo dei Vescovi, 1971, Il sacerdozio ministeriale, I )
Insegna ancora il Vaticano II: « La missione affidata da Cristo agli Apostoli durerà fino alla fine dei secoli … per questo gli Apostoli, in questa società gerarchicamente ordinata, ebbero cura di costituirsi dei successori … lasciarono quasi in testamento ai loro immediati cooperatori l'ufficio di completare e consolidare l'opera da essi incominciata, raccomandando loro di attendere a tutto il gregge nel quale lo Spirito Santo li aveva posti a pascere la Chiesa di Dio …
Quelli costituiti nell'Episcopato, per successione che decorre ininterrotta dall'origine, possiedono il tralcio del seme apostolico ». ( LG 20 )
Così « i Vescovi per divina istituzione sono succeduti al posto degli Apostoli quali pastori della Chiesa ». ( Ivi. )
18. - Dunque, nel legame misterioso della successione apostolica, il sacramento dell'Episcopato efficacemente e permanentemente ripresenta, nello Spirito, il servizio pastorale di Gesù.
La figura del Vescovo diviene così esemplare per capire che ogni grado di partecipazione dell'Ordine sacro è un segno e una testimonianza dell'unico e perenne servizio di Cristo capo, che dona la sua vita per fare bella e immacolata la Chiesa, suo corpo e sua sposa. ( Cfr. Ef 5,25-27 )
Mentre, quindi, il sacerdozio battesimale dei fedeli esprime e rende presente l'azione di Gesù, che nella Chiesa illumina, interpreta e salva tutte le condizioni della vita umana, il sacerdozio ministeriale dei pastori continua il carisma apostolico e rende perenne l'opera essenziale degli Apostoli nella costruzione della Chiesa.
Per questo la comunità dei credenti non può mai rimanere chiusa in se stessa, ma è sempre soggetta a Cristo come alla propria origine e al suo capo. ( Cfr. Sinodo dei Vescovi, 1971, Il sacerdozio ministeriale, I, 4 )
19. - Dall'insegnamento sul sacerdozio di Cristo, sulla sua partecipazione ai fedeli ed ai pastori, sul rapporto tra ministero episcopale e ministero presbiterale, ricaviamo lo spunto per suggerire l'immagine del pastore come prospettiva sintetica sul sacerdozio ministeriale.
Non si escludono, in tal modo, gli aspetti profetici e sacerdotali, ma si intende evidenziare nella figura del ministro ordinato la relazione al carisma apostolico originario.
Possiamo così ascoltare con risonanza più intensa alcune pagine bibliche e i recenti documenti del magistero.
Come nell'immagine di Gesù 'buon pastore' ( Cfr. Gv 10,1-16 ) appare una sintesi del suo sacerdozio, del suo sacrificio e del suo ministero, così nel 'carisma pastorale' possiamo individuare l'elemento fondamentale ed unificante del ministero e della vita del presbitero.
Difatti, proprio nel sacerdote si perpetua e si attualizza il ministero stesso di Cristo buon pastore, e il sacerdote si definisce nella Chiesa per la sua originale relazione a Cristo, poiché da Cristo egli trae il suo essere e la sua missione per il gregge.
L'identità del sacerdote pastore, per il suo rapporto con Cristo buon pastore, viene a collocarsi nella più viva tradizione biblica, nella quale l'esperienza e l'attesa prefigurativa del « Pastore » è continua e intensa.
21. - Il « Pastore » è innanzitutto Jahvè; ( Cfr. Gen 48,15; Sal 23,1 ) egli sta alla testa del suo gregge, ( Cfr. Sal 68,8 ) lo guida, ( Cfr. Sal 23,3 ) lo conduce ai pascoli, ( Cfr. Is 40,11 ) lo protegge, ( Cfr. Sal 23,4 ) chiama e raduna le pecore disperse. ( Cfr. Ger 23,3 )
Egli annunzia pure a Israele pastori che pasceranno il gregge e non se stessi; ( Cfr. Ivi 23,4; Ez 34,2 ) promette il Messia-pastore che sarà il « pastore unico per tutti », capace di fare un'alleanza eterna, offrendo se stesso in espiazione e intercedendo per i peccatori. ( Cfr. Is 53,10-12 )
Gesù è il pastore promesso, unico e inconfondibile, il 'buon pastore' ( Cfr. Gv 10,11 ) in cerca dei peccatori e intento a radunare le pecore « perdute della casa di Israele ». ( Mt 15,24 )
Egli per le pecore offre la sua vita, ( Cfr. Gv 10,11 ) per poi « riprenderla di nuovo ». ( Gv 10,18 )
Cristo, ai suoi Apostoli, affida la sua stessa missione di pastore. ( Cfr. Mt 28,18-20; Mc 3,13-15; Gv 15-16 )
In questa fede, diventano suggestivi alcuni documenti magisteriali che, mentre richiamano i vari aspetti della missione di Gesù ripresentati nella missione del Vescovo e del presbitero, assegnano un posto privilegiato alla dimensione 'pastorale'.
Parlando dei Vescovi, la costituzione Lumen Gentium riassume nell'idea della presidenza pastorale i compiti relativi all'insegnamento, al culto e al governo: « I Vescovi dunque assunsero il servizio della comunità con i loro collaboratori, sacerdoti e diaconi, presiedendo in luogo di Dio al gregge, di cui sono i pastori, quali maestri di dottrina, sacerdoti del sacro culto, ministri del governo della Chiesa ». ( LG 20 )
Paolo VI così presenta l'identità dei ministri ordinati: « Ecco un tratto della nostra identità che nessun dubbio dovrebbe mai incrinare, nessuna obiezione mai eclissare:
come pastori, siamo stati scelti dalla misericordia del sovrano Pastore nonostante la nostra insufficienza,
per proclamare con autorità la parola di Dio,
per radunare il popolo di Dio che era disperso,
per nutrire questo popolo con i segni dell'azione di Cristo, che sono i sacramenti,
per condurlo sulla via della salvezza,
per conservarlo in quella unità di cui noi stessi siamo, a differenti livelli, strumenti attivi e vitali,
per animare incessantemente questa comunità raccolta attorno al Cristo secondo la sua più intima vocazione.
« E quando, nella misura dei nostri limiti umani e secondo la grazia di Dio, adempiamo tutto questo, noi realizziamo un'opera di evangelizzazione: noi come pastori della Chiesa universale, i nostri fratelli nell'Episcopato alla guida delle Chiese particolari, i sacerdoti e i diaconi uniti con i propri Vescovi, di cui sono collaboratori, mediante una comunione che ha la sua sorgente nel sacramento dell'Ordine sacro e nella carità della Chiesa ». ( EN 68 )
E Giovanni Paolo II ribadisce: « … Grazie al carattere sacerdotale, partecipate al carisma pastorale, il che è segno di una peculiare relazione di somiglianza a Cristo, buon pastore …
Il sacerdozio di Gesù Cristo è la prima sorgente e l'espressione di un'incessante e sempre efficace sollecitudine per la nostra salvezza, che ci permette di guardare a lui proprio come al buon pastore.
« Le parole "il buon pastore offre la vita per le sue pecorelle" non si riferiscono forse al sacrificio della croce, al definitivo atto del sacerdozio di Cristo?
Non indicano forse a noi tutti, che Cristo Signore, mediante il sacramento dell'Ordine, ha reso partecipi del suo sacerdozio, la via che anche noi dobbiamo percorrere?
Queste parole non ci dicono forse che la nostra vocazione è una singolare sollecitudine per la salvezza del nostro prossimo?
Che questa sollecitudine è una particolare ragione d'essere della nostra vita sacerdotale? ». ( Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, il Giovedì Santo 1979, 5 )
In questa luce comprendiamo le modalità caratteristiche con cui i presbiteri partecipano alla missione profetica, sacerdotale e regale di Gesù.
La predicazione della parola trova in essi l'accento dell'autorevolezza, cioè del legame sicuro con la parola originaria di Gesù, trasmessa dagli Apostoli come fondamento della comunità cristiana.
Il culto spirituale li qualifica 'presidenti' del popolo sacerdotale, che assicurano il rapporto tra la vita dei cristiani ed il sacrificio pasquale di Gesù, mediante la celebrazione dell'Eucaristia, nella quale essi agiscono « in persona Christi ».
Il servizio regale li costituisce ministri autorevoli della comunione ecclesiale; essi, col dono del discernimento dei carismi e dei ministeri, conducono tutti verso l'edificazione del corpo di Cristo . ( Cfr. Ef 4,12 )
In una parola, i presbiteri, come collaboratori dell'Ordine episcopale, sono posti a pascere la Chiesa; perciò hanno il compito di servire la comunione di Dio con gli uomini e di questi tra di loro nel suo momento sorgivo, vale a dire mediante l'annuncio della parola di Dio, la celebrazione dei sacramenti, la guida del popolo di Dio nel cammino della fede e della carità.
Un compito che potremmo definire, con il Concilio, di paternità nella fede. ( Cfr. LG 28 )
Non sarà inutile ribadire che la 'paternità' dei ministri ordinati non sostituisce, ma manifesta il sacerdozio unico ed esclusivo di Gesù.
Il ministero che il sacerdote ordinato esercita nella Chiesa, non viene né dalle sue forze, né dalla sua iniziativa, ma da Cristo e dal suo Spirito, che inabita nella Chiesa animandola, poiché in essi sta la sorgente della comunione che i sacerdoti devono servire.
La parola che essi annunciano, i gesti sacramentali che essi compiono, sono di Cristo.
L'autorità con cui parlano ed operano, è pure essa di Cristo.
Più volte il Vaticano II, facendosi eco delle parole del Vangelo, ( Cfr. Mt 28,18-20; Gv 20,21-23; Lc 10,16; Mc 16,15-20 ) ricorda che il presbitero parla ed opera « in persona Christi », ( Cfr. LG 10-28; AG 39; PO 13; SC 33 ) quale segno di Cristo capo e pastore. ( Cfr. LG 28; PO 2 )
Il rapporto specialissimo del presbitero con il Signore Gesù, e quindi con la Chiesa, comporta in lui una specifica definitiva configurazione a Cristo, come un segno spirituale indelebile, in vista di una specifica missione.
Riprendendo un insegnamento antico della Chiesa, il Concilio ricorda che i presbiteri, mediante il sacramento dell'Ordine, « in virtù dell'unzione dello Spirito Santo, sono marcati da uno speciale carattere che li configura a Cristo sacerdote, in modo da poter agire in nome e nella persona di Cristo capo ». ( PO 2 ).
25. - Questa configurazione, sviluppando quella primigenia del Battesimo, colloca per sempre il presbitero nella sua nuova e singolare funzione entro la Chiesa, perché il presbitero partecipa al sacerdozio mediante il sacramento dell'Ordine, che è stato per sempre « impresso » nella sua anima per mezzo di un segno particolare, cioè il « carattere ». ( Giovanni Paolo II, Lettera ai sacerdoti, il Giovedì Santo 1979, 3 )
Il sacramento dell'Ordine conferisce una vera e propria consacrazione.
Essa però va intesa non in un senso genericamente religioso, ma nella prospettiva di Gesù Cristo, consacrato al Padre per la missione che da lui riceve.
Il Concilio dice che i presbiteri « in forza della propria vocazione e della propria ordinazione, sono in un certo modo segregati in seno al popolo di Dio, non per rimanere separati da questo stesso popolo o da qualsiasi uomo, bensì per consacrarsi interamente all'opera per la quale il Signore li ha assunti ». ( PO 3 )
La consacrazione è totalmente relativa alla missione; a sua volta la missione riceve le sue espressioni precise ed i suoi contenuti cristiani non da una generica passione per l'uomo, ma dalla consacrazione, con cui si diventa partecipi dell'amore che Dio stesso ha per noi.
Inoltre, il Concilio, contrapponendo la 'segregazione' alla 'separazione', invita ancora una volta a scoprire i fecondi legami che inter corrono tra il sacerdozio dei pastori ed il sacerdozio dei fedeli e inserisce i pastori in un contesto di piena e fraterna condivisione della vita dei fedeli.
Riecheggia nei testi magisteriali il senso biblico della segregazione, quale appare, per esempio, negli Atti: Un giorno, « mentre essi stavano celebrando il culto del Signore e digiunavano, lo Spirito Santo disse: "Riservate per me ( cioè, mettetemi da parte ) Barnaba e Saulo, per l'opera alla quale li ho chiamati" ». ( At 13,2 )
L'insegnamento del Vaticano II non tralascia di indicare in quale maniera i presbiteri partecipino al ministero pastorale.
La Lumen Gentium afferma: « Il ministero ecclesiastico di istituzione divina viene esercitato in diversi ordini da quelli che già anticamente sono chiamati Vescovi, presbiteri, diaconi ». ( LG 28 )
Il decreto Presbyterorum Ordinis precisa: « Cristo, per mezzo degli Apostoli, rese partecipi della sua consacrazione e della sua missione i loro successori, cioè i Vescovi, la cui funzione ministeriale fu trasmessa in grado subordinato ai presbiteri, affinché questi, costituiti nell'Ordine del presbiterato, fossero cooperatori dell'Ordine episcopale ». ( PO 2 )
Alla luce della sacramentalità dell'Episcopato, i rapporti tra i Vescovi ed i presbiteri non si collocano solo sullo sfondo ristretto della giurisdizione, ma nel contesto più ampio del ministero sacerdotale e pastorale, posseduto in pienezza dal Vescovo e partecipato ai presbiteri.
La figura del presbitero, lungi dall'essere vanificata dalla figura del Vescovo, ne risulta chiarita e consolidata.
Le ricche connotazioni della figura episcopale diventano una radice feconda di compiti sacerdotali, diversi e complementari.
Di conseguenza, tutti gli approfondimenti e le attenzioni, che si svilupperanno attorno alla figura del Vescovo, avranno una ripercussione sul ministero e sulla vita del presbitero.
Pensando, da un lato, al legame del Vescovo con la mobile, ricca realtà storica della Chiesa particolare o diocesi e, dall'altro, alla corresponsabilità collegiale nei confronti della Chiesa universale, con tutti i compiti che oggi la interpellano, vediamo profilarsi un'interessante serie di impegni, di funzioni, di incarichi, con cui i presbiteri, « cooperatori dell'Ordine episcopale », ( PO 2 ) possono partecipare creativamente alla missione del Vescovo, di fronte alle provocatorie situazioni in cui vive la Chiesa d'oggi.
In forza del sacramento dell'Ordine e della 'missione' del Vescovo, i preti al servizio pastorale di una medesima diocesi costituiscono un corpo ecclesiale, legato da vincoli di speciale comunione.
Per questo, dovunque siano, comunque lavorino, qualunque sia il compito da loro svolto, anche modesto ed oscuro, i presbiteri sono nel presbiterio e col Vescovo.
Essi non sono, quindi, isolati, ma partecipano dell'ampio respiro pastorale di tutto il presbiterio che, unito al Vescovo, è inserito nella ricca storia della Chiesa particolare ed è responsabile, per quanto di sua competenza, della sollecitudine della Chiesa universale.
Il vincolo interiore, che unisce il presbiterio, deve esprimersi esteriormente non solo in gesti di comunione, ma anche in forme e strutture adeguate.
Tra queste, il Vaticano II ricorda in particolare i Consigli presbiterali. ( Cfr. CD 27; PO 7 )
Essi sono strumenti per esprimere e attuare meglio l'unità dei presbiteri e la loro collaborazione col Vescovo.
Li possiamo vedere in continuità con l'esigenza di dare una configurazione sempre più appropriata al rapporto di comunione del Vescovo col presbiterio.
Essi corrispondono, del resto, alla sensibilità partecipativa così diffusa nel nostro tempo.
Non si tratta certo di trasportare semplicemente nella Chiesa i modelli della società attuale, ma di interpretare, secondo lo spirito della comunione ecclesiale, quei valori umani che via via vengono acquisiti alla convivenza comunitaria.
Tocca ai Vescovi l'impegno di dare ai Consigli presbiterali un'impronta viva e dinamica, di comunione e di collaborazione, che corrisponda ai motivi della loro istituzione e contribuisca a garantire un benefico respiro comunitario all'azione dei singoli presbiteri.
Indice |