Linee comuni per la vita dei nostri seminari |
La storia di ogni vocazione è un dialogo « tra l'amore di Dio che chiama e la libertà dell'uomo che nell'amore risponde a Dio ».6
In questo dialogo intimo e misterioso, in cui grazia e libertà si intrecciano, « se non si può attentare all'iniziativa assolutamente gratuita di Dio che chiama, neppure si può attentare all'estrema serietà con la quale l'uomo è sfidato nella sua libertà ».7
La chiamata al sacerdozio costituisce certamente una sfida che mette alla prova l'umanità del chiamato ed esige una sapiente e puntuale cura per la sua formazione umana, senza la quale « l'intera formazione sacerdotale sarebbe priva del suo necessario fondamento ».8
Nella consapevolezza della serietà estrema di questa sfida Paolo VI diceva: « Una vita così totalmente e delicatamente impegnata nell'intimo e all'esterno, come quella del sacerdote celibe, esclude … soggetti di insufficiente equilibrio psico-fisico e morale, né si deve pretendere che la grazia supplisca in ciò la natura ».9
Nella prospettiva dell'assoluto primato della grazia nella vocazione, anche l'apporto della psicologia può cooperare all'opera della grazia, non solo per escludere i casi di « insufficiente equilibrio psico-fisico », ma soprattutto per rimuovere dal "terreno", ( Cf. Mc 4,1-20 ) che è l'umanità del credente che diventa prete, gli ostacoli alla crescita vocazionale o per allentare e sciogliere le resistenze alla piena fruttuosità della formazione, nell'umile consapevolezza che solo "Dio fa crescere". ( Cf. Mc 4,26-29; 1 Cor 3,5-9 )
Oggi si può disegnare un quadro coerente dei segni indicatori di una sufficiente maturità psicologica richiesta normalmente nel ministero del presbitero.
Due estremi sono da evitare.
Quello della pura oggettività: sarebbe infatti una presunzione spiegare la persona umana come risultato passivo di alcune cause individuate sul terreno psicologico.
E poi quello della pura soggettività: non si può infatti tener conto solo delle intenzioni e delle idealità dichiarate dalla persona, trascurando i condizionamenti oggettivi.
La disposizione reale della persona, rispetto alla prova di maturità che la sua missione comporta, è una scoperta che richiede un delicato e a volte complesso procedimento di interpretazione e di discernimento.
La riuscita di ciò, in ogni caso, sarà il frutto di un'intesa profonda tra l'educatore e il giovane in formazione: al primo non dovrà mancare una sostanziale competenza nell'interpretare i segni presenti nelle manifestazioni quotidiane della vita;12 al secondo non dovrà mancare una sostanziale disposizione alla fiducia e all'apertura sincera.
Ogni percorso educativo accade nell'incontro di queste premesse spirituali.
Tale percorso può dirsi corretto solo se avviene all'interno di una lucida visione della natura umana.13
Fortunatamente oggi si sta superando la presunzione che le scienze umane possano fare a meno di una visione integrale dell'uomo.
Esse ammettono sempre più frequentemente di poter procedere all'interpretazione dell'esperienza umana solo a partire da una visione d'insieme dell'umano.
Qui si colloca la questione importante delle effettive ragioni spirituali, distinte da altre motivazioni, che guidano l'andamento delle scelte per la vita.
Il rapporto tra psicologia e spiritualità, entrambe coinvolte nel discernimento, può essere avviato a una serena impostazione se si considerano questi due fatti: il primo è che nell'avvicinarsi alla persona la competenza psicologica non può fingere di non avere una precisa base antropologica; il secondo è che nel campo delle proposte e delle esperienze spirituali non si può prescindere da una realistica visione della natura umana, conforme alle analisi delle scienze umane.
Tutto quello che appare come segno di maturità e di crescita o come segno di immaturità o di patologia rimanda sempre ad altro: a quell'insieme complesso di motivazioni che stanno all'origine dell'operare della persona nella sua misteriosa interezza.
I singoli segni, in se stessi, attendono di essere decifrati.
Un buon discernimento non può fermarsi ad essi, isolandoli dal contesto della personalità.
Ognuno di essi può esser meglio compreso se si cerca di collocarlo nel quadro psicologico più dinamico, nel quale risiedono le vere motivazioni delle scelte e dell'agire umano: motivazioni che, spesso, non sono note al soggetto stesso nelle loro radici profonde.
La medesima logica vale anche per i segni o sintomi di tipo sessuale, che possono riflettere motivazioni o bisogni del soggetto molto diversi tra loro.14
In campo educativo non si può prescindere dalle motivazioni per cui una persona agisce: un'azione in sé positiva può diventare anche cattiva se l'intenzione che la motiva è di segno opposto.
L'azione umana, infatti, può essere motivata sia dagli ideali che entrano a costituire l'orizzonte dei desideri ( ciò che la persona vuole diventare ), sia dai bisogni o tendenze che provengono dalla natura e dall'esperienza personale ( ciò che la persona è in realtà ).
La tensione che ne consegue può diventare anche lotta o conflitto tra i due livelli di motivazioni.
Di ciò, sia il soggetto che l'educatore devono tener conto.
Tradizionalmente è sempre stata riservata un'attenzione pedagogica e anche spirituale e morale a due possibili tipi di tensione o lotta che la persona deve affrontare nel realizzare i suoi ideali.
A un primo livello si colloca la tensione o lotta spirituale che il soggetto avverte nel momento in cui cerca di realizzare dei buoni ideali, pur essendo consapevole delle spinte o tendenze opposte presenti in lui come, del resto, in ogni creatura umana.
Ad esempio, il chiamato al sacerdozio può avvertire, insieme al desiderio di seguire il Signore nel dono totale di sé, la tendenza a tenersi qualcosa per sé.
È l'area della libertà in cui la persona qualifica anche la sua vita morale come esercizio della virtù, in quanto accetta la lotta e le dà significato per seguire l'ideale, contrastando al tempo stesso le tendenze contrarie o di peccato.
A un altro livello, si è tradizionalmente considerato il caso in cui il soggetto deve fronteggiare una lotta impegnata non tanto nello sforzo di realizzare degli ideali, ma piuttosto di mantenere la propria salute psichica minacciata da esperienze che hanno condizionato o addirittura impedito il formarsi di una struttura psichica normale.
La persona in questo caso si concentra quasi esclusivamente sulla difesa di sé, in quanto avverte continue minacce alla propria integrità.
Si tratta di casi di patologia più o meno grave e manifesta, in cui l'attuazione degli ideali che costituiscono il mondo dei desideri è compromessa ( in misura proporzionale al grado di disturbo del soggetto ).
Non è raro che gli ideali religiosi e vocazionali possano fare da copertura anche a patologie o insufficienze psichiche, che devono essere riconosciute e attentamente valutate.
Ma è pure necessario considerare, alla luce della psicologia moderna, un terzo livello di tensione o di lotta, che riguarda il normale sviluppo della persona fino alla sua maturità.
Si tratta di una tensione tra il mondo degli ideali, che il soggetto coscientemente sceglie, e il mondo dei bisogni, di cui il soggetto non è sempre consapevole.
Mentre nel caso della lotta spirituale la scelta tra desiderio e bisogno si svolge in sufficiente consapevolezza e libertà, nell'ipotesi che stiamo considerando il soggetto è ben cosciente dei suoi ideali, ma non ha coscienza di alcune tendenze che sono presenti nel suo dinamismo psichico e che si oppongono all'armonica attuazione delle buone intenzioni.
Ad esempio, un chiamato al sacerdozio condivide consapevolmente la scelta del celibato per il Regno, ma non si accorge di aver conservato nella sua realtà psichica una forte dipendenza affettiva, che col tempo può mettere a rischio la fedeltà al suo impegno.
La sua scelta rimane illusoria, in quanto, non potendo dominare la tendenza opposta che non conosce, finisce con l'essere condizionato nella realizzazione dell'ideale desiderato.
Questi sono i livelli in cui si svolgono le lotte per la realizzazione dei desideri umani.
È necessario riconoscerne la diversità, anche se in un certo grado possono darsi contemporaneamente nella stessa persona.
Così l'ansia può esprimere l'intenzione di realizzare la propria missione a favore del regno di Dio ( lotta spirituale ), oppure essere conseguenza di una avvertita minaccia alla propria identità personale ( lotta per la salute psichica ), oppure esprimere un inconsapevole senso di insicurezza di fronte a responsabilità che minacciano la stima di sé ( lotta psichica inconscia ).
A questi tre livelli si riferiscono anche le parole di Giovanni Paolo II quando descrive la vulnerabilità umana della persona chiamata alla vita eterna: « L'uomo dunque porta in sé il germe della vita eterna e la vocazione a far propri i valori trascendenti; egli, però, resta interiormente vulnerabile e drammaticamente esposto al rischio di fallire la propria vocazione, a causa di resistenze e difficoltà che egli incontra nel suo cammino esistenziale sia a livello conscio, ove è chiamata in causa la responsabilità morale, sia a livello subconscio, e ciò sia nella vita psichica ordinaria, che in quella segnata da lievi o moderate psicopatologie, che non influiscono sostanzialmente sulla libertà della persona di tendere agli ideali trascendenti, responsabilmente scelti ».15
L'azione formativa non può dunque ignorare, a proposito delle vulnerabilità, i contributi delle scienze umane, assunti nell'orizzonte di un'antropologia cristiana.
La maturità umana e psicologica non si incontra con facilità e comunemente, soprattutto quando i soggetti sono tenuti a confrontarsi con i valori propri della vocazione cristiana e del ministero, non fermandosi a semplici forme di gratificazione di sé.
Anche quando siano state escluse forme gravi di psicopatologia, buona parte delle persone impegnate in una scelta vocazionale e ministeriale, pur essendo fondamentalmente "normali", manifestano segni di immaturità per quanto riguarda i conflitti di secondo livello, incontrando fragilità e resistenze, che tendono ad influire fortemente sull'efficacia del ministero e sulla perseveranza.
Pertanto il discernimento ecclesiale, che è quello che ci compete, si dovrà far carico anche di eventuali aree di vulnerabilità, bisognose di un cammino di crescita e di integrazione, così che si raggiungano i livelli della chiarezza spirituale e quelli di una maturità umana migliorata e irrobustita.
Tale cammino, per esser veritiero, dovrà coinvolgere anche quelle motivazioni ancora in ombra, e di fatto condizionanti, che fanno tutt'uno con la persona e non sono prerogativa dei soli casi di rilevanza patologica.
Perciò è raccomandabile tutto ciò che contribuisce a creare le condizioni in cui la persona può:
- allargare l'area della consapevolezza, che consenta una più profonda conoscenza di sé;
- allargare l'area della libertà e della responsabilità, così che i modi di pensare, amare e agire, vissuti passivamente e forse compulsivamente, vengano attivamente e liberamente assunti e interiorizzati;
- purificare le motivazioni: la dedizione, l'offerta, il sacrificio di sé favoriscono la vocazione quando riescono a trasformare i conflitti prevalentemente psicologici in lotta consapevole, libera e alla fine motivata dalla carità.
Se non tutti avranno bisogno di una consulenza psicologica specifica, tutti però avranno bisogno di educatori in grado di stare al loro fianco, in modo assiduo e non occasionale, attenti ad interpretare anche le resistenze e le inconsistenze, le cui radici sono spesso inconsce.
A questo proposito indichiamo alcuni problemi che l'educatore si trova ad affrontare più frequentemente con i seminaristi giovani e giovani-adulti:
- problemi di psicopatologia ( latente o manifesta, più o meno grave ), cioè derivanti da disturbi o sintomi psichici;
- problemi di sviluppo: sono manifestazioni e fragilità legate a un ritardo o a una messa tra parentesi di problematiche evolutive, come nel caso di un persistente prolungamento dell'adolescenza, con la presenza di sintomi simili a quelli psicopatologici, ma isolati e infrequenti o con la presenza di atti impulsivi, e con difficoltà e incertezze nell'area dell'identificazione sessuale;
- problemi di inconsistenza e integrazione vocazionale: essi denotano difficoltà molto comuni, per lo più legate alla presenza di bisogni inconsci, che risultano prevalenti e assorbono le energie del giovane, così da trattenerlo dentro un orizzonte di ricerca di gratificazione di sé, impedendogli di muoversi secondo dinamiche di donazione di sé motivate dalla carità;
- problemi di carattere spirituale, riguardanti l'area dei valori, la modalità concreta di viverli o addirittura la visione chiara del cammino vocazionale personale.
Si valutino accuratamente anche i dubbi che la persona avverte circa la propria vocazione: essi potrebbero nascondere non solo un problema spirituale, ma anche una domanda di aiuto più profonda da ascoltare ed accogliere.
Sono da considerare, inoltre, alcuni segni o sintomi che possono essere indicativi di qualche patologia grave, presenti anche in persone fornite di un buon modo di presentarsi e, sotto alcuni aspetti creative e intellettualmente capaci.
Si tratta di segni o sintomi che indicano una fragilità strutturale importante e diffusa della persona, e che si possono ben distinguere da alcune difficoltà limitate a qualche area specifica.
Non rappresentano forme psicotiche manifeste, la cui evidenza è clamorosa, ma segnalano disturbi della personalità, che come tali tendono a ostacolare anche considerevolmente rapporti interpersonali normali e produttivi.
Alcune scuole molto attendibili forniscono a questo proposito qualche importante esemplificazione:
- perdurante instabilità della vita: è il caso di una persona costantemente incerta nelle scelte, negli impegni, nel lavoro, negli ideali, nelle relazioni;
- incapacità di intuire i sentimenti degli altri e i loro problemi; mancanza di senso di colpa, in presenza almeno di alcune azioni morali oggettivamente gravi e lesive dell'altro;
- azioni impulsive di carattere aggressivo o sessuale senza alcun controllo, passività e mancanza quasi assoluta di iniziativa, molta difficoltà alla concentrazione e alla riflessione per una certa durata;
- onnipotenza e grandiosità con sopravvalutazione delle proprie responsabilità e competenze, e sottovalutazione della situazione reale e delle reazioni degli altri nelle relazioni sociali;
- esaltazione irrealistica o critica totale, unilaterali e frequenti, di persone e situazioni, passando dal "tutto bene" al "tutto male" nei riguardi della stessa persona, con conseguenti relazioni parziali, incapaci di tenere insieme aspetti positivi e negativi di una persona o situazione.16
La presenza relativamente regolare e frequente di alcuni di questi segni o sintomi chiede di essere presa in seria considerazione, in quanto può pregiudicare un fruttuoso cammino seminaristico.
In questo caso anche un accompagnamento clinico è da proporre senz'altro alla persona prima di qualsiasi scelta importante, soprattutto a partire dal primo biennio.
Ci sono poi dei segni o sintomi di disturbi psicologici più lievi e moderati, che si manifestano nell'irrigidimento o nel funzionamento improprio dei normali processi di adattamento della persona ( modi di sentire, di pensare, di agire ).
Alcune caratteristiche di questo stile che potremmo definire difensivo e che riguarda forse solo settori parziali della persona e non la sua struttura, possono essere così descritte:
- evitare le scelte, apparendo rigidi e bisognosi di essere sempre rassicurati da norme esteriori;
- essere spinti dal passato, con comportamenti conservatori finalizzati alla assicurazione di una vacillante identità;
- deformare considerevolmente aspetti non marginali delle esigenze che la realtà pone;
- avere un pensiero schematico, poco attento alla realtà e tendente a includere elementi soggettivi estranei alla situazione;
- affidarsi al presupposto che deve essere possibile rimuovere e cancellare, quasi magicamente, sentimenti disturbanti;
- cercare e concedersi gratificazioni col sotterfugio e bugie infantili.
La presenza di questi o analoghi sintomi, benché non possa essere considerata sempre allarmante, può indicare situazioni trattabili che richiedono però un intervento specifico a livello psicologico, soprattutto quando tali sintomi sono percepiti dal soggetto con sofferenza.
Opportunamente affrontati, questi disagi non precludono il cammino seminaristico.
Il candidato dovrà verificare nel dialogo con i formatori i segni di un effettivo cambiamento nel tempo, comprovato dal confronto con le esigenze e i compiti concreti della vita: preghiera, lavoro, relazioni.
La valutazione dev'essere compiuta prima della definitiva decisione.
Il buon livello di queste attenzioni costituisce un vero contesto di crescita e determina un clima di fiducia e di rispetto.
La saggezza che viene dall'esperienza educativa menziona anche alcuni segni o sintomi indicativi di una crescita umana e che sono interpretabili come processi di adattamento che favoriscono la maturità:
- il comportamento esprime chiaramente la scelta di valore, attraverso un modo di operare flessibile, orientato allo scopo, capace di affrontare in termini realistici la difficoltà e il conflitto;
- l'operare della persona tende al futuro, ma sa al tempo stesso tener conto delle esigenze presenti e delle passate esperienze;
- l'individuo riesce abitualmente a orientarsi in mezzo alle richieste realistiche della situazione presente;
- il pensiero sa integrare elementi consci e preconsci mediante la riflessione, l'esame di coscienza o la meditazione, assunti come strumenti di confronto e di conversione personale;
- ha la capacità di integrare l'esperienza di emozioni e affetti, anche disturbanti, potendoli sentire e accettare, senza per questo seguirne gli inviti;
- il soggetto è capace di diverse forme di soddisfazione affettiva, cioè di provare e manifestare gioia, ma in modo aperto, orientato, ordinato e controllato.
« L'educatore deve essere in grado di non illudersi e di non illudere sulla presunta consistenza e maturità dell'alunno.
Per questo non basta il "buon senso", ma occorre uno sguardo attento e affinato da una buona conoscenza delle scienze umane per andare al di là delle apparenze e del livello superficiale delle motivazioni e dei comportamenti, e aiutare l'alunno a conoscersi in profondità, ad accettarsi con serenità, a correggersi e a maturare partendo dalle radici reali, non illusorie, e dal "cuore" stesso della sua persona ».17
Occorre dunque superare ogni approccio pedagogico parziale.
È senz'altro insufficiente una pedagogia solo soggettiva - in quanto fondata sul "bisogno" del soggetto - che lascia fare, permissiva, che crede nell'importanza e nel valore della soddisfazione di ogni bisogno per lo sviluppo del soggetto; ma che poi rischia di abbandonarlo a se stesso, proprio nel momento in cui si richiede una presenza e un esigente confronto.
Altrettanto inadeguata è una pedagogia solo oggettiva, ossia poco attenta alla singolarità di ogni soggetto: una volta individuato uno scopo e formulata una legge si pretende di condurvi passivamente tutte le persone, richiedendo le trasformazioni e gli adattamenti necessari, senza badare al rischio di porre esigenze che potrebbero risultare piuttosto estrinseche, e perciò sopportate anziché interiorizzate.
Auspicabile, invece, è l'intervento pedagogico fondato sull'attenzione sia al soggetto sia alla meta da raggiungere,18 una pedagogia dell'"interpretazione", che sa riconoscere il tratto simbolico, ma anche ambiguo delle domande umane.
Esse, infatti, mentre esprimono problemi specifici, possono sottendere ragioni più profonde e radicali e, in ultima analisi, quella tipica inquietudine che manifesta l'inesauribilità del mistero umano.19
In questo caso l'educatore non si trova semplicemente o lontano o vicino, ma accoglie e sostiene, e insieme sfida e confronta, perché sa interpretare le richieste e aprire a domande più profonde, che favoriscono la formazione spirituale, la quale « costituisce il cuore che unifica e vivifica »20 la vita del prete.
Le implicazioni, per quanto riguarda l'apporto della psicologia per la formazione al ministero ordinato, sono consequenziali a ciò che è stato precedentemente esposto.
- Vi è un'interdipendenza tra crescita umana e spirituale, continuamente sottolineata anche nei documenti magisteriali.21
La prevalenza di immaturità riconoscibili nel secondo livello di lotta ( quello della immaturità psichica ) raccomanda una competenza e un'attenzione ordinaria degli educatori anche a livello psicologico.
D'altra parte è certo che in ogni relazione educativa i processi psicologici entrano comunque in gioco.
A fare la differenza è l'esserne più o meno consapevoli e il tenerne in debito conto.
- Il discernimento vocazionale, tuttavia, non è compito di un eventuale consulente, ma spetta sempre e unicamente agli educatori, ciascuno per la propria parte.
La valutazione psicologica può offrire più chiarezza sulla presenza o la mancanza di potenzialità umane necessarie per la risposta a una vocazione, come il ministero ordinato, che ha un suo profilo preciso di responsabilità a servizio del popolo di Dio,22 nella forma della presidenza.
- L'esclusione della patologia grave rimane un compito importante, ma non sufficiente.
La funzione della psicologia nella formazione non è semplicemente selettiva, ma piuttosto pedagogica, preventiva, integrativa.
L'apporto della psicologia è da scoprire in prospettiva di crescita e può effettivamente favorire il cammino riparativo e/o di consolidamento vocazionale anche a coloro che, senza questo aiuto, sarebbero fortemente ostacolati.
L'utilizzo della consulenza di tipo psicopedagogico deve tenere presenti tre aspetti essenziali, da considerare in effettiva interazione, se non si vogliono fraintendere:
- il diritto di ogni persona, e quindi anche del seminarista, a difendere la propria intimità;23
- la responsabilità che egli stesso ha di offrire la sua « personale convinta e cordiale collaborazione » all'azione degli educatori;24
- le condizioni di libertà che consentono un corretto intervento di consulenza psicologica.
Perciò, sia per attuare i principi esposti, sia per favorire la fruttuosità della consulenza psicopedagogica, sembra opportuno che questa non venga mai imposta, ma semmai proposta a tutti all'inizio del cammino di formazione.
Certamente tocca al formatore valutare su quali motivazioni sia fondato l'eventuale rifiuto ad accogliere la proposta di consulenza psicopedagogica.
Saranno comunque decisivi il modo e le motivazioni con cui gli educatori del seminario proporranno questa possibilità di consulenza in relazione alla crescita vocazionale.
Anche la comunicazione degli eventuali esiti della valutazione o dell'accompagnamento dovrà avvenire rispettando i due principi sopra dichiarati.
Quindi, o sarà l'interessato a comunicare ai suoi educatori quello che ritiene utile trasmettere, o darà la possibilità a uno o più educatori, meglio se in forma scritta, di confrontarsi con il consulente.
Anche in questo caso occorre sempre ricordare quanto sia decisivo per una proficua relazione educativa stabilire rapporti di fiducia e garantire quindi una relativa autonomia della consulenza.
Non sembra raccomandabile chiedere sistematicamente una valutazione scritta al consulente da allegare alla scheda personale del seminarista, se non in casi davvero particolari.
« La stessa formazione umana, se sviluppata nel contesto di un'antropologia che accoglie l'intera verità dell'uomo, si apre e si completa nella formazione spirituale.
Ogni uomo, creato da Dio e redento dal sangue di Cristo, è chiamato ad essere rigenerato "dall'acqua e dallo Spirito" ( cf. Gv 3,5 ) e a divenire "figlio nel Figlio".
Sta in questo disegno efficace di Dio il fondamento della dimensione costitutivamente religiosa dell'essere umano, peraltro intuita e riconosciuta dalla semplice ragione: l'uomo è aperto al trascendente, all'assoluto; possiede un cuore che è inquieto fino a che non riposa nel Signore.
[ … ] E come per ogni fedele la formazione spirituale deve dirsi centrale e unificante in rapporto al suo "essere cristiano" e al suo "vivere da cristiano", ossia da creatura nuova in Cristo che cammina nello Spirito, così per ogni presbitero la formazione spirituale costituisce il cuore che unifica e vivifica il suo "essere" prete e il suo "fare" il prete».25
Questo testo della Pastores dabo vobis è particolarmente illuminante e capace di fare intuire il nesso profondo e il reciproco rapporto tra la realtà psicologica e la vita spirituale.
Potremmo dire che tutto quanto abbiamo cercato di esporre in questo capitolo risulterebbe presuntuoso se pretendesse di offrire risposte immediate e risolutive a tutti i singoli problemi della persona in formazione: abbiamo inteso piuttosto offrire alcune indicazioni importanti e che riteniamo necessarie a impostare un serio itinerario di discernimento, capace di individuare le ferite e i conflitti interiori per aprirli all'incontro col mistero pasquale di Cristo.
Spesso si sente dire che bisogna guarire la psiche, liberarsi dalla propria storia personale prima di cominciare a costruire la vita spirituale: come se soltanto una persona in perfetta forma psichica potesse crescere spiritualmente.
In realtà questa separazione dello psicologico e dello spirituale, o la loro confusione, scaturisce da una visione che non riesce a integrare il dolore e la sofferenza e a concepire che nell'incontro con l'Amore di Dio rivelato in Cristo e nell'esperienza di esso, il limite può diventare il veicolo: ossia, anche una sofferenza psichica, un disturbo della struttura personale, un fallimento26 può diventare ricordo di Dio, comunicazione di Dio, partecipazione alla sua Pasqua.
Non basta, dunque, prendere coscienza delle proprie strutture e ferite psichiche ( è necessario, ma non è ancor questo che salva! ): occorre simultaneamente impegnare la persona nella sua totalità per introdurla nella comunione profonda con Gesù Cristo, buon Pastore, nella sottomissione di tutta la vita allo Spirito, in un atteggiamento filiale nei confronti del Padre e in un attaccamento fiducioso alla Chiesa.27
Tale integrale coinvolgimento con il mistero dell'Amore di Dio, che diventa consegna di sé all'Altro, costituisce il punto di profonda convergenza e di unità fra psiche e spirito: laddove, grazie ad una raggiunta consapevolezza ( docibilità ) e ad una libera adesione ( docilità ), la sofferenza e la morte di Cristo trovano la forza e il potere di scendere e di visitare le zone più recondite e tenebrose dell'animo umano e di porvi il germe della risurrezione.
A questo proposito, l'autenticità dell'esperienza spirituale trova nella tradizione cristiana una grande ricchezza di riferimenti.
Ma vorremmo indicare qui alcuni criteri che, se assunti congiuntamente, possono orientare a comprendere se un'esperienza religiosa è condotta in modo valido, nell'alveo della realtà e non in quello dell'illusione.
- L'esperienza spirituale è "cristiforme": cioè fa sì che l'amore umano possa incarnare in linguaggi e in forme concrete la santa umanità di Gesù, immagine visibile del Dio invisibile.28
È il caso di un amore che non chiede il contraccambio, che sa accettare il servizio in condizioni dimesse e difficili, apparentemente poco fruttuose, che giunge al sacrificio senza lamento.
- L'esperienza spirituale è "trasformante": aiuta la persona a conseguire una trasformazione dell'oggetto del desiderio.
Ad esempio, quando il seminarista, da un semplice bisogno di appartenenza a un gruppo o di identificazione con alcune espressioni del ministero sacerdotale, comincia effettivamente a sintonizzarsi con il modo di pensare, di agire, di sentire di Gesù; o dalla ricerca di un ruolo in comunità, a cui aspira per non rimanere isolato, approda a scegliere i tempi di solitudine con il Signore come sorgente e condizione di libertà e di discernimento.
- L'esperienza spirituale è "sintesi attiva": ossia tutti i dati dell'esperienza vengono raccolti e rispettati nella loro propria tensione e diversità.
Così avviene, ad esempio, quando il seminarista impara a vivere l'Eucaristia, celebrandola nella liturgia, ma anche nell'offerta del proprio lavoro; a mantenersi fedelmente alla presenza del Signore anche nel tempo dell'aridità; a separarsi dal padre, dalla madre e dagli amici, e nello stesso tempo ad amarli e a crescere nell'intensità dell'amicizia secondo l'orizzonte evangelico, e magari rischiare di perderla per la fedeltà al Vangelo stesso.
- L'esperienza spirituale è "consistente": in grado, cioè, di condurre l'immediato e il quotidiano a un solido fondamento di stabilità.
Ad esempio: all'immediato entusiasmo per una scelta grande come quella del sacerdozio segue un lungo e paziente periodo di appropriazione e di prova, dove si può quotidianamente realizzare nei modi meno appariscenti e più concreti il morire per vivere ( vedi il magistero della "piccola via" di Santa Teresa di Gesù Bambino ); ad una adesione immediata e di forte intensità emotiva segue una decisione maturata nell'affidamento consapevole e pacato della fede.
Concludiamo questo capitolo con le parole di papa Giovanni Paolo II che nella Pastores dabo vobis ci aiuta a cogliere il cuore e il senso profondo della formazione spirituale in vista del presbiterato: « è l'evento del Figlio di Dio che si fa uomo e dà a quanti l'accolgono il "potere di diventare figli di Dio" ( Gv 1,12 ), è l'annuncio, anzi il dono di un'alleanza personale di amore e di vita di Dio con l'uomo.
Solo se i futuri sacerdoti, attraverso un'adeguata formazione spirituale, avranno fatto conoscenza profonda ed esperienza crescente di questo "mistero", potranno comunicare agli altri tale sorprendente e beatificante annuncio ( cf. 1 Gv 1,1-4 ) ».29
Indice |
6 | Ibid., 36 |
7 | Ibid., 36 |
8 | Ibid., 43 |
9 | Paolo VI, Lett. enc.
Sacerdotalis caelibatus, 64 ( 1967 ); In precedenza, rispetto alla formazione, Paolo VI affermava: « Le difficoltà e i problemi che rendono ad alcuni penosa, o addirittura impossibile l'osservanza del celibato, derivano non di rado da una formazione sacerdotale che, per i profondi mutamenti di questi ultimi tempi, non è più del tutto adeguata a formare una personalità degna di un "uomo di Dio" » ( Ibid., 60 ) |
12 | Cf. Congr. Educaz. Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, 38 e n. 57 ( 1993 ) |
13 | Cf. Ibid., 45,
n. 58 e
n. 59; Pont. Comm. Biblica, L'interpretazione della Bibbia nella Chiesa, I, D, 3 ( 1993 ) |
14 | Cf. Pont. Opera Vocazioni Eccl., Nuove vocazioni per una nuova Europa ( In verbo tuo … ). Documento finale del Congresso sulle vocazioni al sacerdozio e alla vita consacrata in Europa, 37 ( a cura delle Congregazioni per l'Educazione Cattolica, per le Chiese Orientali, per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica: Roma 5-10 maggio 1997 ) |
15 | Giovanni Paolo II, Discorso agli officiali e avvocati del Tribunale della Rota Romana in occasione dell'apertura dell'anno giudiziario, 5 ( 25 gennaio 1988 ) |
16 | Vengono descritti come rilevanti, in quanto collaterali o complementari ai segni appena descritti, alcuni processi difensivi, che rappresentano delle strategie di salvaguardia dell'unità psichica della persona contro la sua possibile temuta frammentazione: - comportamento ripetitivo, ritualistico e automatico; - comportamenti dettati da un semplice rifiuto senza alcuna spiegazione ragionevole; - incapacità di rispondere alle richieste presenti per mancanza di quoziente di intelligenza e/o di capacità di formulare un giudizio critico; - la manifestazione di scelte primariamente e chiaramente determinate da spinte affettive che invadono la persona a scapito dei suoi stessi valori; - l'ammissione di gratificazioni disordinate di alcuni impulsi, di cui il soggetto non ha il controllo. |
17 | Congr. Educaz. Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, 57 |
18 | Cf. Ibid., 37 |
19 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 45 |
20 | Ibid., 45 |
21 | Cf. Ibid., 43-44; Si veda anche Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Optatam totius, 11; ID., Decr. Presbyterorum ordinis, 3; Sacra Congr. Educaz. Cattolica, Ratio fundamentalis institutionis sacerdotalis, 51 ( 1985 ); Congr. Educaz. Cattolica, Direttive sulla preparazione degli educatori nei seminari, 33-40 |
22 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 16-18 |
23 | Cf. Codice di diritto canonico, can. 220 |
24 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 69 |
25 | Ibid., 45 |
26 | Qui non s'intende, evidentemente, una grave patologia ( per quanto anch'essa possa essere misteriosamente visitata dal mistero pasquale di Cristo ), ma ciò che, per quanto problematico, si rende disponibile al cambiamento e alla trasformazione in vista del ministero presbiterale ( cf. 2 Cor 12,9s ) |
27 | Cf. Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 45 |
28 | Cf. CEI, Seminari e vocazioni sacerdotali, 31, Documento pastorale, ( 1979 ) |
29 | Giovanni Paolo II, Esort. ap. Pastores dabo vobis, 46 |