La vita fraterna in comunità |
58. Come lo Spirito Santo unse la Chiesa già nel Cenacolo per inviarla a evangelizzare il mondo, così ogni comunità religiosa come autentica comunità pneumatica del Risorto è, secondo la natura propria, apostolica.
Infatti "la comunione genera comunione e si configura essenzialmente come comunione missionaria … la comunione e la missione sono profondamente congiunte, si compenetrano e si implicano naturalmente, al punto che la comunione rappresenta la sorgente e insieme il frutto della missione, la comunione è missionaria e la missione è per la comunione".72
Ogni comunità religiosa, anche quella specificamente contemplativa, non è ripiegata su se stessa, ma si fa annuncio, diaconia e testimonianza profetica.
Il Risorto, che vive in essa, comunicandole il proprio Spirito, la rende testimone della risurrezione.
Prima di riflettere su alcune situazioni particolari che la comunità religiosa deve affrontare oggi nei diversi contesti del mondo per essere fedele alla sua peculiare missione, è opportuno considerare qui la specifica relazione tra i diversi tipi di comunità religiosa e la missione che sono chiamati a svolgere.
a) Il Concilio Vaticano II ha affermato: "I religiosi pongano ogni cura, affinché per mezzo loro, la Chiesa abbia meglio da presentare Cristo ai fratelli e agli infedeli, o mentre Egli contempla sul monte, o annuncia il Regno di Dio alle turbe, o risana i malati e i feriti e converte a miglior vita i peccatori, o benedice i fanciulli e fa del bene a tutti e sempre obbediente alla volontà del Padre che lo ha mandato".73
Dalla partecipazione ai diversi aspetti della missione di Cristo, lo Spirito fa sorgere diverse famiglie religiose caratterizzate da diverse missioni e quindi da diversi tipi di comunità.
b) La comunità di tipo contemplativo ( che presenta Cristo sul monte ) è centrata sulla duplice comunione con Dio e tra i suoi membri.
Essa ha una proiezione apostolica efficacissima che, però, rimane in buona parte nascosta nel mistero.
La comunità religiosa "apostolica" ( che presenta Cristo tra le turbe ) è consacrata per un servizio attivo da rendere al prossimo, servizio caratterizzato da un particolare carisma.
Fra le "comunità apostoliche", alcune sono più centrate sulla vita comune, così che l'apostolato dipende dalla possibilità di fare comunità, altre sono decisamente orientate sulla missione, per cui il tipo di comunità dipende dal tipo di missione.
Gli istituti chiaramente finalizzati a specifiche forme di servizio apostolico, accentuano la priorità dell'intera famiglia religiosa, considerata come un solo corpo apostolico e come una grande comunità alla quale lo Spirito ha dato una missione da svolgere nella Chiesa.
La comunione che anima e riunisce la grande famiglia viene vissuta concretamente nelle singole comunità locali, a cui viene affidata la realizzazione della missione, secondo le diverse necessità.
Si trovano quindi diversi tipi di comunità religiose tramandati nei secoli, quali la comunità religiosa monastica, la comunità religiosa conventuale e la comunità religiosa attiva o "diaconale".
"La vita comune vissuta in comunità" non ha quindi lo stesso significato per tutti i religiosi.
Religiosi monaci, religiosi conventuali, religiosi di vita attiva, conservano legittime differenze nel modo di comprendere e di vivere la comunità religiosa.
Tale diversità è presente nelle costituzioni, le quali, delineando la fisionomia dell'istituto, delineano pure la fisionomia della comunità religiosa.
c) È rilievo generale, specie per le comunità religiose dedite alle opere di apostolato, che risulta assai difficile trovare nella pratica quotidiana l'equilibrio tra comunità e impegno apostolico.
Se è pericoloso contrapporre i due aspetti, è però difficile armonizzarli.
Anche questa è una delle tensioni feconde della vita religiosa, la quale ha il compito di far crescere contemporaneamente sia il 'discepolo' che deve vivere con Gesù e con il gruppo di coloro che lo seguono, sia 'l'apostolo' che deve partecipare alla missione del Signore.
d) La diversità di esigenze apostoliche in questi anni ha fatto spesso convivere dentro lo stesso istituto comunità notevolmente differenziate: grandi comunità assai strutturate e piccole comunità ben più flessibili senza perdere però l'autentica fisionomia comunitaria della vita religiosa.
Tutto ciò influenza la vita dell'lstituto e la sua stessa fisionomia, non più compatta come un tempo, ma più variegata e con delle diverse modalità di realizzare la comunità religiosa.
e) In alcuni istituti la tendenza a porre l'attenzione più sulla missione che sulla comunità, così come quella di privilegiare la diversità invece dell'unità, ha influenzato profondamente la vita fraterna in comune, fino al punto di farne, talvolta, quasi un'opzione piuttosto che una parte integrante della vita religiosa.
Le conseguenze, non certamente positive, inducono a porre delle serie domande sull'opportunità di continuare su questo cammino e orientano piuttosto a intraprendere il cammino della riscoperta dell'intimo legame tra comunità e missione, così da superare creativamente le unilateralità che sempre impoveriscono la ricca realtà della vita religiosa.
Nella sua presenza missionaria la comunità religiosa si pone in una determinata Chiesa particolare alla quale porta la ricchezza della sua consacrazione, della sua vita fraterna e del suo carisma.
Con la sua semplice presenza, non solo porta in sé la ricchezza della vita cristiana, ma insieme costituisce un annuncio particolarmente efficace del messaggio cristiano.
È, si può dire, una predicazione vivente e continua.
Questa condizione obiettiva, che evidentemente responsabilizza i religiosi, impegnandoli ad essere fedeli a questa loro prima missione, correggendo ed eliminando tutto ciò che può attenuare o affievolire l'effetto attraente di questa loro immagine, rende oltre modo ambita e preziosa la loro presenza nella Chiesa particolare, antecedentemente a ogni ulteriore considerazione.
Essendo la carità il carisma migliore di tutti ( cfr. 1 Cor 13,13 ), la comunità religiosa arricchisce la Chiesa di cui è parte viva prima di tutto con il suo amore.
Ama la Chiesa universale e questa Chiesa particolare in cui è inserita, perché è dentro la Chiesa e come Chiesa che essa si sente posta in contatto con la comunione della Trinità beata e beatificante, fonte di tutti i beni, e diventa così manifestazione privilegiata dell'intima natura della Chiesa stessa.
Ama la sua Chiesa particolare, la arricchisce con i suoi carismi e la apre ad una dimensione più universale.
I delicati rapporti fra le esigenze pastorali della Chiesa particolare e la specificità carismatica della comunità religiosa, sono stati affrontati dal documento Mutuae Relationes che, con le sue indicazioni teologiche e pastorali, ha dato un importante contributo per una più cordiale e intensa collaborazione.
È giunto il momento di riprenderlo in mano per dare un ulteriore impulso allo spirito di vera comunione tra comunità religiosa e Chiesa particolare.
Le difficoltà crescenti della missione e della scarsità di personale, possono tentare d'isolamento sia la comunità religiosa che la Chiesa particolare: il che non favorisce certamente né la comprensione né la collaborazione reciproca.
Così da una parte la comunità religiosa rischia di essere presente nella Chiesa particolare senza un legame organico con la sua vita e la sua pastorale, dall'altra si tende a ridurla ai soli compiti pastorali.
Ancora: se la vita religiosa tende a sottolineare con forza crescente la propria identità carismatica, la Chiesa particolare avanza spesso richieste pressanti e insistenti di energie, da inserire nella pastorale diocesana o parrocchiale.
Il Mutuae Relationes è lontano sia dall'isolamento e dall'indipendenza della comunità religiosa nei confronti della Chiesa particolare, sia dal suo pratico assorbimento nell'ambito della Chiesa particolare.
Come la comunità religiosa non può agire indipendentemente o in alternativa o meno ancora contro le direttive e la pastorale della Chiesa particolare, così la Chiesa particolare non può disporre a suo piacimento, secondo le sue necessità, della comunità religiosa o di alcuni suoi membri.
È necessario ricordare che la scarsa considerazione del carisma di una comunità religiosa non è utile né alla Chiesa particolare, né alla comunità stessa.
Solo se essa ha una precisa identità carismatica può inserirsi nella "pastorale d'insieme" senza snaturarsi, anzi arricchendola del suo dono.
Non bisogna dimenticare che ogni carisma nasce nella Chiesa e per il mondo, va costantemente ricondotto alle sue origini e finalità, ed è vivo nella misura in cui vi è fedele.
Chiesa e mondo ne permettono la interpretazione, lo sollecitano e lo stimolano ad una crescente attualità e vitalità.
Carisma e Chiesa particolare non sono fatti per confrontarsi ma per sorreggersi e completarsi, specialmente in questo momento in cui emergono non pochi problemi di attualizzazione del carisma e del suo inserimento nella mutata realtà.
Alla base di molte incomprensioni c'è talvolta la frammentaria conoscenza reciproca sia della Chiesa particolare che della vita religiosa e dei compiti del Vescovo nei confronti di questa.
Si raccomanda vivamente di non lasciar mancare un corso specifico di teologia della vita consacrata nei seminari teologici diocesani, ove la si studi nei suoi aspetti dogmatico-giuridico-pastorali, come pure i religiosi non vengano privati di una adeguata formazione teologica circa la Chiesa particolare.74
Ma, soprattutto, sarà una comunità religiosa fraterna a sentire il dovere di diffondere quel clima di comunione che aiuta l'intera comunità cristiana a sentirsi la "Famiglia dei figli di Dio".
Nelle parrocchie, in alcuni casi, riesce faticoso coordinare vita parrocchiale e vita comunitaria.
In alcune regioni per i religiosi sacerdoti la difficoltà di fare comunità nell'esercizio del ministero parrocchiale crea non poche tensioni.
Il vasto impegno nella pastorale parrocchiale è fatto, a volte, a detrimento del carisma dell'istituto e della vita comunitaria, fino a far perdere ai fedeli e al clero secolare e anche agli stessi religiosi la percezione della peculiarità della vita religiosa.
Le urgenti necessità pastorali non devono far dimenticare che il miglior servizio della comunità religiosa alla Chiesa è quello di essere fedele al suo carisma.
Ciò si riflette anche nell'accettazione e conduzione di parrocchie: si dovrebbero privilegiare le parrocchie che permettono di vivere in comunità e nelle quali è possibile esprimere il proprio carisma.
Anche la comunità religiosa femminile spesso sollecitata ad essere presente nella pastorale parrocchiale in forma più diretta, sperimenta simili difficoltà.
Qui, giova ripeterlo, il loro inserimento sarà tanto più fruttuoso quanto più la comunità religiosa potrà essere presente con la sua fisionomia carismatica.75
Tutto ciò può essere di grande vantaggio sia per la comunità religiosa che per la pastorale stessa, nella quale le religiose sono normalmente bene accette e apprezzate.
I movimenti ecclesiali nel senso più ampio della parola, dotati di vivace spiritualità e di vitalità apostolica, hanno attirato l'attenzione di alcuni religiosi che vi hanno partecipato, riportandone talvolta frutti di rinnovamento spirituale, di dedizione apostolica e di risveglio vocazionale.
Ma qualche volta hanno portato anche divisioni nella comunità religiosa.
È opportuno allora osservare quanto segue:
a) Alcuni movimenti sono semplicemente movimenti di animazione, altri invece hanno progetti apostolici che possono essere incompatibili con quelli della comunità religiosa.
Varia anche il livello di coinvolgimento delle persone consacrate: alcune vi partecipano soltanto come assistenti, altre sono partecipanti occasionali, altre sono membri stabili e in piena armonia con la propria comunità e spiritualità.
Coloro invece che manifestano una appartenenza principale al movimento con un allontanamento psicologico dal proprio istituto, fanno problema, perchè vivono in una divisione interiore: dimorano nella comunità, ma vivono secondo i piani pastorali e le direttive del movimento.
C'è da compiere quindi un accurato discernimento tra movimento e movimento e tra coinvolgimento e coinvolgimento del religioso.
b) I movimenti possono costituire una sfida feconda
alla comunità religiosa,
alla sua tensione spirituale,
alla qualità della sua preghiera,
alla incisività delle sue iniziative apostoliche,
alla sua fedeltà alla Chiesa,
all'intensità della sua vita fraterna.
La comunità religiosa dovrebbe essere disponibile all'incontro con i movimenti, con un atteggiamento di reciproca conoscenza, di dialogo e di scambio di doni.
La grande tradizione spirituale - ascetica e mistica - della vita religiosa e dell'istituto può essere utile anche ai giovani movimenti.
c) Il problema fondamentale nel rapporto con i movimenti, resta l'identità della singola persona consacrata: se questa è solida, il rapporto è produttivo per entrambi.
Per quei religiosi e religiose che sembrano vivere più nel e per il movimento che nella e per la comunità religiosa, è bene ricordare quanto afferma il Potissimum Institutioni: "Un istituto ha una coerenza interna che riceve dalla sua natura, dal suo fine, dal suo spirito, dal suo carattere e dalle sue tradizioni.
Tutto questo patrimonio costituisce l'asse intorno al quale si mantiene insieme l'identità e l'unità dell'istituto stesso e l'unità di vita di ciascuno dei suoi membri.
È un dono dello Spirito alla Chiesa che non può sopportare interferenze né mescolanze.
Il dialogo e la condivisione in seno alla Chiesa suppongono che ciascuno abbia perfetta coscienza di ciò che si è.
Un candidato alla vita religiosa ( … ) non può dipendere nello stesso tempo da un responsabile esterno all'istituto ( … ) e dai superiori dell'istituto.
Queste esigenze rimangono anche dopo la professione, al fine di eliminare ogni fenomeno di pluriappartenenza, sul piano della vita spirituale del religioso e sul piano della sua missione".76
La partecipazione a un movimento sarà positiva per il religioso o la religiosa se rafforza la sua specifica identità.
Inserimento negli ambienti popolari
Assieme a tanti fratelli nella fede, le comunità religiose sono state tra i primi a chinarsi sulle povertà materiali e spirituali del loro tempo, in forme continuamente rinnovate.
La povertà è stata in questi anni uno dei temi che più hanno appassionato e toccato il cuore dei religiosi.
La vita religiosa si è chiesta con serietà come mettersi a disposizione dell' "evangelizare pauperibus".
Ma anche come "evangelizari a pauperibus", come essere in grado di lasciarsi evangelizzare dal contatto con il mondo dei poveri.
In questa grande mobilitazione in cui i religiosi hanno scelto il programma d'essere "tutti per i poveri", "molti con i poveri", "alcuni come i poveri", si vogliono segnalare qui alcune delle realizzazioni che riguardano coloro che vogliono essere "come i poveri".
Di fronte all'impoverimento di grandi strati popolari, specie nelle zone abbandonate e periferiche delle metropoli e negli ambienti rurali dimenticati, sono sorte "comunità religiose di inserimento", che sono una delle espressioni dell'opzione evangelica preferenziale e solidale per i poveri al fine di accompagnarli nel loro processo di liberazione integrale, ma frutto anche del desiderio di scoprire Cristo povero nel fratello marginalizzato al fine di servirLo e di conformarsi a Lui.
a) "L'inserimento" come ideale di vita religiosa si sviluppa nel contesto del movimento di fede e di solidarietà delle comunità religiose verso i più poveri.
È una realtà che non può non suscitare l'ammirazione per la carica di dedizione personale e per i grandi sacrifici che comporta, per un amore ai poveri che spinge a condividere la loro reale e dura povertà, per lo sforzo di rendere presente il Vangelo in strati di popolazione senza speranza, per avvicinarli alla parola di Dio, per farli sentire parte viva della Chiesa.77
Queste comunità si trovano spesso in luoghi fortemente segnati da un clima di violenza che ingenera insicurezza e, talvolta, anche la persecuzione fino al pericolo per la vita.
Il loro coraggio è grande e resta una chiara testimonianza della speranza che si può vivere come fratelli, nonostante tutte le situazioni di dolore e di ingiustizia.
Inviate spesso agli avamposti della missione, testimoni talvolta della creatività apostolica dei fondatori, tali comunità religiose devono poter contare sulla simpatia e la preghiera fraterna degli altri membri dell'istituto e sulla sollecitudine particolare dei superiori.78
b) Queste comunità religiose non vanno lasciate a se stesse, ma piuttosto vanno aiutate perché riescano a vivere la vita comunitaria, abbiano cioè spazi per la preghiera e per scambi fraterni, perché non siano indotte a relativizzare l'originalità carismatica dell'istituto in nome d'un servizio indistinto ai poveri ed anche perché la loro testimonianza evangelica non venga turbata da interpretazioni o strumentalizzazioni di parte.79
I superiori avranno pure cura di scegliere le persone adatte e di preparare tali comunità in modo che venga assicurato il collegamento con le altre comunità dell'istituto, onde garantirne la continuità.
c) Un plauso va rivolto anche alle altre comunità religiose che si interessano fattivamente dei poveri, sia nella modalità consueta, sia con nuove forme più adatte alle nuove povertà, sia attraverso la sensibilizzazione di tutti gli ambienti ai problemi della povertà, suscitando nei laici disponibilità al servizio, vocazioni all'impegno sociale e politico, organizzazione di aiuti, volontariato.
Tutto ciò testimonia che nella Chiesa è viva la fede e operante l'amore verso il Cristo presente nel povero: "Tutto quello che avete fatto a uno di questi piccoli lo avete fatto a me" ( Mt 25,40 ).
Là dove l'inserimento tra i poveri è diventato - per i poveri e per la stessa comunità - una vera esperienza di Dio, si è provata la verità dell'affermazione che i poveri sono evangelizzati e che i poveri evangelizzano.
a) Sulle comunità hanno influito anche altre realtà sociali.
In alcune regioni economicamente più sviluppate, lo Stato ha esteso la sua azione nel campo scolastico, sanitario, assistenziale, spesso in forma tale da non lasciare spazio ad altri soggetti, tra i quali le comunità religiose.
D'altra parte la diminuzione del numero di religiosi e religiose, e qua e là, anche una visione incompleta della presenza dei cattolici nell'azione sociale vista più come supplenza che come manifestazione originaria della carità cristiana, hanno reso difficile gestire opere complesse.
Da qui, il progressivo abbandono delle opere tradizionali, per molto tempo rette da comunità consistenti e omogenee e il moltiplicarsi di piccole comunità con un nuovo tipo di servizi, il più delle volte in armonia con il carisma dell'istituto.
b) Le piccole comunità si sono diffuse anche per delle scelte deliberate di alcuni istituti, con l'intento di favorire l'unione fraterna e la collaborazione attraverso relazioni più strette tra le persone e una reciproca e più condivisa assunzione di responsabilità.
Tali comunità, come riconosce l'Evangelica Testificatio,80 sono certamente possibili, anche se si rivelano più esigenti per i loro membri.
c) Le piccole comunità spesso collocate a stretto contatto con la vita di ogni giorno e con i problemi della gente, ma anche più esposte all'influenza della mentalità secolarizzata, hanno il grande compito di essere visibilmente luoghi di lieta fraternità, di fervida laboriosità e di speranza trascendente.
È necessario quindi che esse si diano un programma di vita solido, flessibile e obbligante approvato dalla competente autorità, che assicuri all'apostolato la sua dimensione comunitaria.
Questo programma sarà adattato alle persone e alle esigenze della missione, sì da favorire l'equilibrio tra preghiera e attività, tra momenti di intimità comunitaria e lavoro apostolico.
Prevederà inoltre incontri periodici con altre comunità dello stesso istituto, proprio per superare il pericolo dell'isolamento e dell'emarginazione dalla grande comunità dell'istituto.
d) Anche se le piccole comunità possono presentare dei vantaggi, normalmente non è raccomandabile che un istituto sia costituito solo da piccole comunità.
Le comunità più numerose sono necessarie.
Esse possono offrire sia all'intero istituto, come alle piccole comunità apprezzabili servizi: coltivare con più intensità e ricchezza la vita di preghiera e le celebrazioni, essere luoghi privilegiati per lo studio e la riflessione, offrire possibilità di ritiro e di riposo ai membri che lavorano nelle frontiere più difficili della missione evangelizzatrice.
Questo scambio tra una comunità e l'altra è reso fecondo da un clima di benevolenza e di accoglienza.
Tutte le comunità siano riconoscibili soprattutto per la loro fraternità, per la semplicità di vita, per la missione in nome della comunità, per la tenace fedeltà al proprio carisma, per l'irraggiamento costante del "profumo di Cristo" ( 2 Cor 2,15 ), così indicano nelle svariate situazioni, le "vie della pace" anche all'uomo smarrito e diviso dell' attuale società.
Una realtà con la quale a volte ci si imbatte è quella di religiosi e religiose che vivono da soli.
La vita comune in una casa dell'istituto è essenziale alla vita religiosa.
"I religiosi abitano nella propria casa religiosa, osservando la vita comune.
Non devono vivere da soli senza seri motivi, soprattutto se una comunità del loro istituto si trova nelle vicinanze".81
Ci sono tuttavia delle eccezioni che devono essere valutate e possono essere autorizzate dal superiore82 per motivo di apostolato in nome dell'istituto ( come ad esempio, impegni richiesti dalla Chiesa, missioni straordinarie, grandi distanze in territori di missione, riduzione progressiva di una comunità ad un solo religioso in un'opera dell'istituto ), per motivi di salute e di studio.
Mentre è compito dei Superiori coltivare frequenti contatti con i confratelli che vivono fuori comunità, è un dovere di questi religiosi mantenere vivo in se stessi il sentimento dell'appartenenza all'istituto e della comunione con i suoi membri, cercando ogni mezzo atto a favorire il rinsaldarsi dei vincoli fraterni.
Si creino perciò "tempi forti" da vivere assieme, si programmino incontri periodici con gli altri, per la formazione, il dialogo fraterno, la verifica e la preghiera, per respirare un clima di famiglia.
Dovunque si trovi, la persona che appartiene a un istituto deve essere portatrice del carisma della sua famiglia religiosa.
Ma il religioso "solo" non è mai un ideale.
La regola è il religioso inserito in una comunità fraterna: in questa vita comune la persona si è consacrata ed in questo genere di vita essa normalmente svolge il suo apostolato, a questa vita essa ritorna con il cuore e con la presenza ogni volta che la necessità la portasse a vivere lontano per un tempo breve o lungo.
a) Le esigenze di una stessa opera apostolica, per esempio di una opera diocesana, ha portato vari istituti a mandare uno dei loro membri a collaborare in una équipe di lavoro intercongregazionale.
Esistono esperienze positive nelle quali religiose che collaborano al servizio della stessa opera in un luogo dove non esistono comunità del proprio istituto, invece di vivere da sole, vivono in una stessa casa, fanno preghiera in comune, hanno riunioni per riflettere sulla Parola di Dio, condividono il cibo e i lavori domestici ecc.
Sempre che ciò non significhi sostituire la comunicazione viva con il proprio istituto, anche questo tipo di "vita comunitaria", può essere di vantaggio per l'opera e per le stesse religiose.
I religiosi e le religiose siano prudenti nel voler assumere lavori che richiedono il vivere normalmente fuori comunità e altrettanto prudenti siano i superiori nell'affidarli.
b) Anche la richiesta di accudire ai genitori anziani e malati, che comporta spesso lunghe assenze dalla comunità, necessita di attento discernimento, e va possibilmente soddisfatta con soluzioni diverse, per evitare assenze troppo prolungate del figlio o della figlia.
c) Si deve notare che il religioso che vive solo, senza un invio o permesso da parte del superiore, sfugge all'obbligo della vita comune.
Né è sufficiente partecipare a qualche riunione o festività per essere pienamente religiosi.
Si deve operare per la scomparsa progressiva di queste situazioni ingiustificate e inammissibili per dei religiosi e delle religiose.
d) In ogni caso è utile ricordare che una religiosa o un religioso - anche quando abita fuori della sua comunità - è sottomesso in ciò che si riferisce a opere di apostolato83 alla potestà del Vescovo, che deve essere messo al corrente della sua presenza in diocesi.
e) Qualora purtroppo ci fossero istituti nei quali la maggioranza dei membri non vivesse più in comunità, tali istituti non potrebbero essere più considerati veri istituti religiosi.
Superiori e religiosi sono invitati a riflettere seriamente su questa penosa eventualità e quindi sull'importanza di riprendere vigorosamente la pratica della vita fraterna in comunità.
La vita fraterna in comune ha un valore speciale nei territori di missione ad gentes, perché dimostra al mondo, soprattutto non cristiano, la "novità" del cristianesimo, ossia la carità che è capace di superare le divisioni create da razza, colore, tribù.
Le comunità religiose in alcuni paesi, dove non si può proclamare il Vangelo, rimangono quasi l'unico segno e la testimonianza silenziosa ed efficace di Cristo e della Chiesa.
Ma non raramente è proprio nei territori di missione ove si incontrano notevoli difficoltà pratiche nel costruire comunità religiose stabili e consistenti:
le distanze che richiedono grande mobilità e presenze sparpagliate,
l'appartenenza a diverse razze, tribù e culture,
la necessità della formazione in centri intercongregazionali.
Questi e altri motivi possono ostacolare l'ideale comunitario.
L'importante è che i membri degli istituti siano consapevoli della straordinarietà di tali situazioni, coltivino la comunicazione frequente tra di loro, favoriscano incontri periodici comunitari e appena possibile, costituiscano comunità religiose fraterne dal forte significato missionario, perché si possa innalzare il segno missionario per eccellenza: "siano ( … ) una cosa sola, perché il mondo creda" ( Gv 17,21 ).
Le modifiche delle condizioni culturali ed ecclesiali, i fattori interni allo sviluppo degli istituti e la variazione delle loro risorse, possono richiedere una riorganizzazione delle opere e della presenza delle comunità religiose.
Questo compito, non facile, ha concreti risvolti di tipo comunitario.
Si tratta infatti generalmente di opere nelle quali, molti fratelli e sorelle, hanno speso le loro migliori energie apostoliche e alle quali sono legati con speciali vincoli psicologici e spirituali.
L'avvenire di queste presenze, la loro significatività apostolica e la loro ristrutturazione esige studio, confronto e discernimento.
Tutto ciò può diventare una scuola per ricercare e seguire insieme la volontà di Dio, ma allo stesso tempo occasione di dolorosi conflitti non facili da superare.
I criteri che non si possono dimenticare e che illuminano le comunità nel momento delle decisioni, a volte audaci e sofferte, sono i seguenti: l'impegno di salvaguardare la significatività del proprio carisma in un determinato ambiente, la preoccupazione di mantenere viva una autentica vita fraterna e l'attenzione alle necessità della Chiesa particolare.
Occorre quindi un fiducioso e costante dialogo con la Chiesa particolare ed anche un collegamento efficace con gli organismi di comunione dei religiosi.
Oltre l'attenzione alle necessità della Chiesa particolare, la comunità religiosa deve sentirsi toccata da ciò che il mondo trascura, cioè dalle nuove povertà e dalle nuove miserie sotto le molteplici forme nelle quali si presentano nelle diverse regioni del mondo.
La riorganizzazione sarà creativa e fonte di indicazioni profetiche se si preoccuperà di lanciare segnali di nuove presenze, anche numericamente modeste, per rispondere alle nuove necessità, soprattutto quelle provenienti dai luoghi più abbandonati e dimenticati.
Una delle situazioni nelle quali la vita comunitaria si trova oggi più spesso è il progressivo aumento dell'età dei suoi membri.
L'invecchiamento ha acquistato una particolare rilevanza sia per la diminuzione di nuove vocazioni sia per i progressi della medicina.
Per la comunità questo fatto comporta da una parte la preoccupazione di accogliere e valorizzare nel suo seno la presenza e le prestazioni che i fratelli e le sorelle anziani possono offrire, dall'altra la attenzione a procurare fraternamente e secondo lo stile della vita consacrata quei mezzi di assistenza spirituale e materiale di cui gli anziani necessitano.
La presenza di persone anziane nelle comunità può essere assai positiva.
Un religioso anziano che non si lascia vincere dagli acciacchi e dai limiti della propria anzianità, ma mantiene viva la gioia, l'amore e la speranza, è un sostegno di incalcolabile valore per i giovani.
La sua testimonianza, saggezza e preghiera costituiscono un incoraggiamento permanente nel loro cammino spirituale e apostolico.
D'altra parte, un religioso che si preoccupa dei propri fratelli anziani conferisce credibilità evangelica al suo istituto come "vera famiglia convocata nel nome del Signore".84
È opportuno che anche le persone consacrate si preparino da lontano ad invecchiare e ad allungare il tempo "attivo" imparando a scoprire la loro nuova forma di costruire comunità e di collaborare alla missione comune, attraverso la capacità di rispondere positivamente alle sfide proprie dell'età, con la vivacità spirituale e culturale, con la preghiera e con la permanenza nel settore del lavoro fino a quando è possibile prestare il loro servizio, anche se limitato.
I Superiori provvedano a corsi ed incontri al fine di una preparazione personale e di una valorizzazione il più prolungata possibile nei normali ambienti di lavoro.
Quando poi esse dovessero perdere l'autosufficienza o avessero bisogno di cure specialistiche, anche quando la cura sanitaria è svolta da laici, l'istituto dovrà provvedere con grande attenzione all'animazione, perché le persone si sentano inserite nella vita dell'istituto, partecipi della sua missione, coinvolte nel suo dinamismo apostolico, sollevate nella solitudine, incoraggiate nella sofferenza.
Esse infatti non solo non escono dalla missione, ma sono poste nel cuore della stessa e ad essa partecipano in forma nuova ed efficace.
La loro fecondità, anche se invisibile, non è inferiore a quella delle comunità più attive.
Anzi queste prendono forza e fecondità dalla preghiera, dalla sofferenza e dalla apparente ininfluenza delle prime.
La missione ha bisogno di entrambe: i frutti saranno manifestati quando verrà il Signore nella gloria con gli angeli suoi.
69. I problemi posti dal crescente numero degli anziani diventano ancora più rilevanti in alcuni monasteri che hanno sperimentato l'impoverimento vocazionale.
Poichè un monastero è normalmente una comunità autonoma, gli è difficile superare da se stesso questi problemi.
È opportuno quindi richiamare l'importanza degli organismi di comunione, quali ad esempio le Federazioni, al fine di superare situazioni di eccessivo impoverimento di personale.
La fedeltà alla vita contemplativa dei membri del monastero esige l'unione con un'altro monastero dello stesso Ordine ogni qual volta una comunità monastica, in ragione del numero dei membri, l'età o la mancanza di vocazioni, preveda la propria estinzione.
Anche nei casi dolorosi di comunità che non riescono a vivere, conforme alla propria vocazione, affaticate da lavori pratici o dall'attenzione ai membri anziani o ammalati, sarà necessario cercare rinforzi dello stesso Ordine o scegliere l'unione o la fusione con un'altro monastero.85
L'ecclesiologia conciliare ha messo in luce la complementarità delle differenti vocazioni nella Chiesa chiamate ad essere insieme testimoni del Signore risorto in ogni situazione e luogo.
L'incontro e la collaborazione tra religiosi, religiose e fedeli laici in particolare, appare come un esempio di comunione ecclesiale e allo stesso tempo potenzia le energie apostoliche per l'evangelizzazione del mondo.
Un appropriato contatto tra i valori tipici della vocazione laicale, come la percezione più concreta della vita del mondo, della cultura, della politica, dell'economia ecc. e i valori tipici della vita religiosa, come la radicalità della sequela di Cristo, la dimensione contemplativa ed escatologia della esistenza cristiana, ecc., può diventare un fecondo scambio di doni tra i fedeli laici e le comunità religiose.
La collaborazione e lo scambio di doni diventa più intenso quando gruppi di laici partecipano per vocazione, e nel modo loro proprio, nel seno della stessa famiglia spirituale, al carisma e alla missione dell'istituto.
Si instaureranno allora, relazioni fruttuose, basate su rapporti di matura corresponsabilità e sostenute da opportuni itinerari di formazione alla spiritualità dell'istituto.
Tuttavia, per raggiungere tale obiettivo, è necessario avere:
comunità religiose con una chiara identità carismatica, assimilata e vissuta, in grado cioè di trasmetterla anche agli altri con disponibilità alla condivisione;
comunità religiose con un'intensa spiritualità, e dalla entusiasta missionarietà per comunicare il medesimo spirito e il medesimo slancio evangelizzatore;
comunità religiose che sappiano animare e incoraggiare i laici a condividere il carisma del proprio istituto, secondo la loro indole secolare e secondo il loro diverso stile di vita, invitandoli a scoprire nuove forme di attualizzare lo stesso carisma e missione.
Così la comunità religiosa può diventare un centro di irradiazione, di forza spirituale, di animazione, di fraternità che crea fraternità e di comunione e collaborazione ecclesiale ove i diversi apporti contribuiscono alla costruzione del Corpo di Cristo che è la Chiesa.
Naturalmente la più stretta collaborazione deve svolgersi nel rispetto delle reciproche vocazioni e dei diversi stili di vita propri dei religiosi e dei laici.
La comunità religiosa ha le sue esigenze di animazione, di orario, di disciplina e di riservatezza,86 tali da rendere improponibile quelle forme di collaborazione che comportino la coabitazione e la convivenza tra religiosi e laici, anche questi con esigenze proprie da rispettare.
La comunità religiosa altrimenti perderebbe la sua fisionomia, che deve conservare attraverso la custodia della propria vita comune.
La comunità religiosa, come espressione di Chiesa, è frutto dello Spirito e partecipazione alla comunione trinitaria.
Di qui l'impegno di ogni religioso e di tutti i religiosi a sentirsi corresponsabili della vita fraterna in comune, affinché manifesti in modo chiaro l'appartenenza a Cristo, che sceglie e chiama fratelli e sorelle a vivere insieme nel suo nome.
"Tutta la fecondità della vita religiosa dipende dalla qualità della vita fraterna in comune.
Più ancora, il rinnovamento attuale nella Chiesa e nella vita religiosa è caratterizzato da una ricerca di comunione e di comunità."87
Per alcune persone consacrate e per qualche comunità il ricominciare la costruzione di una vita fraterna in comune, può sembrare un'impresa ardua e perfino utopica.
Di fronte ad alcune ferite del passato e alle difficoltà del presente, il compito può apparire superiore alle povere forze umane.
Si tratta di riprendere con fede la riflessione sul senso teologale della vita fraterna in comune, convincersi che attraverso di essa passa la testimonianza della consacrazione.
"La risposta a questo invito ad edificare la comunità insieme al Signore, con quotidiana pazienza - dice ancora il Santo Padre - passa lungo il cammino della croce, suppone frequenti rinunzie a se stessi …"88
Uniti a Maria, la Madre di Gesù, le nostre comunità invocano lo Spirito, Colui che ha il potere di creare fraternità irraggianti la gioia del Vangelo, capaci di attrarre nuovi discepoli, seguendo l'esempio della primitiva comunità: "erano assidui nell'ascoltare l'insegnamento degli Apostoli e nell'unione fraterna, nella frazione del pane e nelle preghiere" ( At 2,42 ), "e andava aumentando il numero degli uomini e delle donne che credevano nel Signore" ( At 5,14 ).
Maria unisca attorno a sé le comunità religiose e le sostenga quotidianamente nell'invocazione dello Spirito, vincolo, fermento e fonte di ogni comunione fraterna.
Il 15 gennaio 1994, il Santo Padre ha approvato il presente documento della Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica e ne ha autorizzato la pubblicazione.
Roma, 2 febbraio 1994, Festa della Presentazione del Signore
Eduardo Card. Martínez Somalo Prefetto
Francisco Javier Errázuriz Ossa Arch. Tit. di Hólar Segretario
Indice |
72 | ChL 32; cfr. PO 2 |
73 | LG 46a |
74 | cfr. MR 30b, n. 47 |
75 | cfr. MR 49-50 |
76 | PI 93 |
77 | cfr. SD 85 |
78 | cfr. RPU 6; EN 69; SD 92 |
79 | cfr. PI 28 |
80 | cfr. ET 40 |
81 | EE III, 12 |
82 | cfr. can. 665 § 1 |
83 | cfr. can. 678 § 1 |
84 | PC 15a |
85 | cfr. PC 21 e n. 22 |
86 | cfr. can. 667, can. 607 § 3 |
87 | Giovanni Paolo II, alla Plenaria della CIVCSVA ( 20-11-1992 ) |
88 | ibid., n. 2 |