Formazione negli Istituti Religiosi |
E Dio stesso che chiama alla vita consacrata in seno alla Chiesa.
È lui che lungo la vita del religioso, mantiene l'iniziativa.
"È fedele colui che vi ha chiamato e farà anche questo". ( 1 Ts 5,23-24; cf. 2 Ts 3,3 )
Come Gesù non si accontentò di chiamare i suoi discepoli, ma pazientemente li formò durante la vita pubblica, così, dopo la risurrezione, continuò per mezzo del suo Spirito a « guidarli alla verità tutta intera ». ( Gv 16,13 )
Questo Spirito, la cui azione è di un ordine diverso dai dati della psicologia o della storia visibile ma opera anche attraverso queste, agisce nell'intimo del cuore di ciascuno di noi per poi manifestarsi in frutti ben visibili: è lo Spirito di verità che « insegna », « richiama », « guida ». ( Cf. Gv 14,26; Gv 16,12 )
È « l'Unzione » che « fa gustare », apprezzare, giudicare, scegliere. ( Cf. 1 Gv 2,20-27 )
È l'avvocato consolatore che ( Cf. Rm 8,15-26 ) « viene in aiuto alla nostra debolezza », sostiene e dona lo spirito filiale.
Questa presenza discreta, ma decisiva, dello Spirito di Dio esige due atteggiamenti fondamentali:
1) l'umiltà di chi si affida alla sapienza di Dio;
2) la scienza e la pratica del discernimento spirituale per saper riconoscere la presenza dello Spirito in tutti gli aspetti della vita e della storia e attraverso le mediazioni umane, fra le quali bisogna notare l'apertura a una guida spirituale, suscitata dal desiderio di veder chiaro in se stesso e dalla disponibilità a lasciarsi consigliare ed orientare al fine di discernere correttamente la volontà di Dio.
All'opera dello Spirito è stata sempre associata la Vergine Maria, Madre di Dio e Madre di tutti i membri del Popolo di Dio.
È per Lui che ella ha concepito nel suo seno il Verbo di Dio ed è lei che l'attendeva con gli Apostoli, perseverando nella preghiera ( cf. LG 52 e n. 59 ), all'indomani dell'Ascensione del Signore.
Perciò, dall'inizio alla fine di un itinerario di formazione, religiose e religiosi incontrano la presenza della Vergine Maria.
« Tra tutte le persone consacrate senza riserva a Dio, lei è la prima.
Lei, la Vergine di Nazaret, è anche la più pienamente consacrata a Dio, consacrata nel modo più perfetto.
Il suo amore sponsale raggiunge il vertice nella maternità divina per la potenza dello Spirito Santo.
Lei, che come madre porta Cristo sulle braccia, al tempo stesso realizza nel modo più perfetto la sua chiamata: "Seguimi".
E lei, la madre, lo segue, come suo Maestro, in castità, in povertà e in obbedienza ( … ).
Se Maria è il primo modello per la Chiesa intera, a maggior ragione lo è per le persone e comunità consacrate all'interno della Chiesa ».
Ogni religioso è « invitato a ravvivare la ( propria ) consacrazione religiosa secondo il modello della consacrazione della stessa Genitrice di Dio ».6
Il religioso incontra Maria non solo a titolo esemplare, ma anche a titolo materno.
« Lei è Madre dei religiosi in quanto è Madre di colui che fu consacrato e mandato dal Padre.
Nel suo "fiat" e nel suo "magnificat" la vita religiosa trova la totalità del suo abbandonarsi d'azione consacrante di Dio e il palpito della gioia che ne deriva ».7
Tra Maria e la Chiesa esistono molteplici e stretti legami.
Lei ne è il membro più eminente ed è sua Madre.
Ne è il modello nella fede, nella carità e nella perfetta unione a Cristo.
È per essa un segno di sicura speranza e di consolazione fino alla venuta del Giorno del Signore ( cf. LG 53, n. 63, n. 68 ).
La vita religiosa mantiene anche un legame particolare con il mistero della Chiesa.
Essa appartiene alla sua vita e alla sua santità.8
« È un modo particolare di partecipare alla natura "sacramentale" del Popolo di Dio ».9
Il suo dono totale a Dio « congiunge ( il religioso ) in modo speciale alla Chiesa e al suo mistero e lo sospinge ad operare con indivisa dedizione per il bene di tutto il Corpo ».10
E la Chiesa, per il ministero dei suoi Pastori, « non solo eleva con la sua sanzione la professione religiosa alla dignità di stato canonico, ma con la sua azione liturgica la presenta pure come stato di consacrazione a Dio ».11
22. Nella Chiesa, religiose e religiosi ricevono ciò di cui nutrire la loro vita battesimale e la loro consacrazione religiosa.
In essa prendono il pane della vita dalla mensa della Parola di Dio e del Corpo di Cristo.
In effetti, durante una celebrazione liturgica, S. Antonio, considerato a buon diritto come Padre della vita religiosa, intese la parola vivente ed efficace che lo persuase a lasciare tutto per mettersi alla sequela di Cristo.12
È nella Chiesa che la lettura della Parola di Dio, accompagnata dalla preghiera, stabilisce il dialogo fra Dio e il religioso13 e spinge agli slanci generosi e alle rinunce indispensabili.
La Chiesa associa l'offerta che le religiose e i religiosi fanno della propria vita al sacrificio eucaristico di Cristo.14
Per il sacramento della riconciliazione celebrato con frequenza infine essi ricevono la misericordia di Dio e il perdono dei loro peccati e sono riconciliati con la Chiesa e con la loro comunità che il peccato ha ferito.15
La liturgia della Chiesa diviene così per loro il culmine per eccellenza a cui tende l'intera comunità e la sorgente da cui scaturisce il suo vigore evangelico ( cf. SC 2, n. 10 ).
23. Proprio il lavoro di formazione si svolgerà necessariamente in comunione con la Chiesa di cui i religiosi sono figli e nell'obbedienza filiale ai propri Pastori.
La Chiesa, « la quale è piena della Trinità »,16 come dice Origene, è ad immagine e dipendenza della sua sorgente, una comunione universale nella carità.
Da lei riceviamo il Vangelo, che lei ci aiuta a comprendere, grazie alla sua Tradizione e d'interpretazione autentica del magistero.17
Poiché la Chiesa è una comunione organica,18 si mantiene grazie agli Apostoli e ai loro successori, sotto l'autorità di Pietro, « principio e fondamento visibile e perpetuo dell'unità di fede e di comunione ».19
24. Bisognerà dunque sviluppare presso le religiose e i religiosi una maniera di « sentire » non solo « con » ma, come dice anche S. Ignazio di Loyola, « dentro » la Chiesa.20
Questo senso della Chiesa consiste nell'avere coscienza che si appartiene a un popolo in cammino.
Un popolo che prende la sua origine nella comunione trinitaria,
che si radica nella storia dell'umanità e
che non ha bisogno di essere reinventato ogni giorno;
che si appoggia sul fondamento degli Apostoli e sul ministero pastorale dei loro successori e
che riconosce nel successore di Pietro il vicario di Cristo e il capo visibile di tutta la Chiesa.
Un popolo che trova nella Scrittura, nella Tradizione e nel Magistero il triplice ed unico canale per cui gli giunge la Parola di Dio; che aspira all'unità visibile con le altre comunità cristiane non cattoliche.
Un popolo che non ignora né i cambiamenti intervenuti nel corso dei secoli, né le legittime diversità attuali nella Chiesa, ma che si applica piuttosto a scoprire la continuità e l'unità ancora più reali.
Un popolo che si identifica con il Corpo di Cristo e che non disgiunge l'amore del Cristo da quello che deve avere per la sua Chiesa, cosciente che essa rappresenta il mistero, il mistero stesso di Dio in Gesù Cristo per opera del suo Spirito, distribuito e comunicato all'umanità di oggi e di sempre.
Un popolo, di conseguenza, che non accetta di essere percepito né analizzato dal solo punto di vista sociologico o politico, perché la parte più autentica della sua vita sfugge all'attenzione dei saggi di questo mondo.
Un popolo missionario, infine, che non si contenta di vedere la Chiesa restare un « piccolo gregge » ma che brama che il Vangelo sia annunciato a tutti gli uomini e che il mondo sappia che « non c'è sotto il cielo un altro nome dato agli uomini per il quale noi dobbiamo essere salvati » ( At 4,12 ) se non quello di Gesù Cristo ( cf. LG 9 ).
25. Il senso della Chiesa comporta anche il senso della comunione ecclesiale.
In virtù della affinità tra la vita religiosa e il mistero di una Chiesa, di cui lo Spirito Santo « assicura l'unità ( … ) nella comunione e nel servizio »,21 i religiosi, comunità ecclesiale, sono ( … ) chiamati ad essere nella Chiesa e nel mondo « esperti di comunione », testimoni ed artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio.22
E questo, per mezzo della professione dei consigli evangelici che libera da ogni impedimento il fervore della carità e li fa diventare segno profetico dell'intima comunione con Dio sommamente amato e, per mezzo della quotidiana esperienza di una comunione di vita, di preghiera e di apostolato, componenti essenziali e distintivi della loro forma di vita consacrata, che li rende segni di comunione fraterna.23
Per questo, soprattutto durante la formazione iniziale, « la vita comune vista particolarmente in quanto esperienza e testimonianza di comunione »,24 sarà considerata come un ambiente indispensabile e un mezzo privilegiato di formazione.
In seno alla Chiesa e in comunione con la Vergine Maria, la comunità di vita ha un compito privilegiato nella formazione, quali che siano le tappe e questa in gran parte dipende dalla qualità della comunità.
Tale qualità risulta dal suo clima generale e dallo stile di vita dei suoi membri, in conformità con il carattere proprio e lo spirito dell'istituto.
Ciò vuol dire che una comunità sarà tale quale la faranno i suoi membri, che essa ha esigenze proprie e che prima che ci si serva di essa come mezzo di formazione, essa merita di essere servita e amata per quello che è nella vita religiosa come la concepisce la Chiesa.
L'ispirazione fondamentale rimane evidentemente la prima comunità cristiana, frutto della Pasqua del Signore. ( Cf. At 2,42 )25
Ma nel tendere verso questo ideale bisogna essere coscienti delle sue esigenze.
Un umile realismo e la fede devono animare gli sforzi di formazione alla vita fraterna.
La comunità è costituita e rimane tale non perché i suoi membri si trovano bene insieme per affinità di pensiero, di carattere o di opzioni, ma perché il Signore li ha raccolti e li tiene uniti con una comune consacrazione e per una missione comune nella Chiesa.
Alla mediazione particolare esercitata dal superiore, tutti aderiscono in una obbedienza di fede.26
D'altra parte, non bisogna dimenticare che la pace e la gioia pasquale di una comunità sono sempre il frutto della morte a se medesimi e dell'accoglienza del dono dello Spirito. ( Cf. Gv 12,24 e Gal 5,22 )
27. Una comunità è formatrice nella misura in cui permette a ciascuno dei suoi membri di crescere nella fedeltà al Signore secondo il carisma dell'istituto.
Per questo, i membri devono aver chiarito insieme le ragioni d'essere e gli obiettivi fondamentali di tale comunità.
I loro rapporti interpersonali saranno improntati a semplicità e a confidenza, essendo basati principalmente sulla fede e sulla carità.
A tale scopo, la comunità si costruisce ogni giorno sotto l'azione dello Spirito Santo, lasciandosi giudicare e convertire dalla parola di Dio, purificare dalla penitenza, costruire dall'Eucaristia, vivificare dalla celebrazione dell'anno liturgico.
Essa accresce la sua comunione con il vicendevole aiuto generoso e con lo scambio continuo dei beni materiali e spirituali, in spirito di povertà e grazie all'amicizia e al dialogo.
Vive profondamente lo spirito del fondatore e la regola dell'istituto.
I superiori considereranno come missione loro propria il cercare di edificare tale comunità fraterna su Cristo ( cf. c. 619 ).
Allora, cosciente della propria responsabilità in seno alla comunità, ciascuno è stimolato a crescere, non solo per se stesso, ma per il bene di tutti.28
Religiose e religiosi in formazione devono poter trovare in seno alla loro comunità un'atmosfera spirituale, un'austerità di vita e uno slancio apostolico capaci di attirarli a seguire Cristo in conformità al radicalismo della loro consacrazione.
Conviene richiamare qui i termini del messaggio del Papa Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile: « Sarà bene dunque che i giovani, durante il periodo di formazione, risiedano in comunità dove non deve mancare nessuna delle condizioni richieste per una formazione completa: spirituale, intellettuale, culturale, liturgica, comunitaria e pastorale; condizioni che sono raramente riunite tutte nelIe piccole comunità.
È dunque indispensabile andare ad attingere nell'esperienza pedagogica della Chiesa tutto ciò che può far riuscire ad arricchire la formazione, in una comunità adattata alle persone e alla loro vocazione religiosa e, occorrendo, alla loro vocazione sacerdotale ».
28. Bisogna qui richiamare il problema che si pone con l'inserimento di una comunità religiosa di formazione in un ambiente povero.
Piccole comunità religiose inserite in un ambiente popolare nella periferia delle grandi città o nelle zone più interne e più povere della campagna esprimono significativamente « l'opzione preferenziale per i poveri » poiché non basta lavorare per loro, ma si tratta di vivere con loro e, nei limiti del possibile, come loro. Questa esigenza deve tuttavia essere regolata secondo la situazione in cui si trova il religioso stesso.
Bisogna dire anzitutto, in linea generale, che le esigenze della formazione devono prevalere su certi vantaggi apostolici dell'inserimento in ambiente povero.
La solitudine e il silenzio, per esempio, indispensabili durante tutto il tempo di formazione iniziale, devono poter essere realizzati e mantenuti.
D'altra parte, il tempo di formazione, ivi compreso il noviziato, comprende dei periodi di attività apostoliche in cui questa dimensione della vita religiosa si potrà esprimere, a condizione che queste piccole comunità inserite rispondano a certi criteri che assicurino la loro autenticità religiosa, cioè:
che esse offrano la possibilità di vivere una vera vita religiosa in accordo con le finalità dell'istituto;
che, in queste comunità, la vita di preghiera comunitaria e personale e, di conseguenza, dei tempi e dei luoghi di silenzio, possano essere mantenuti;
che le motivazioni della presenza di questi religiosi e religiose siano anzitutto evangeliche;
che queste comunità siano sempre disponibili a rispondere alle esigenze dei superiori dell'istituto;
che la loro attività apostolica non risponda ad una scelta personale, ma ad una scelta dell'istituto, in armonia con la pastorale diocesana della quale il Vescovo è il primo responsabile.
Bisogna considerare infine che, nelle culture dei Paesi in cui l'ospitalità costituisce un valore particolarmente apprezzato, la comunità religiosa in quanto tale deve poter disporre di tutta la sua autonomia ed indipendenza in rapporto agli ospiti, dal punto di vista del tempo e dei luoghi.
Ciò è senza dubbio più difficile da realizzarsi nelle case religiose di dimensioni modeste, ma deve essere preso in considerazione quando la comunità stabilisce il suo progetto di vita comunitaria.
È lo stesso religioso che ha la responsabilità primaria di dire « sì » alla chiamata che ha ricevuto e di accettare tutte le conseguenze di tale risposta, la quale non è tanto di ordine intellettuale, ma piuttosto di ordine vitale.
La chiamata e l'azione di Dio, come il suo amore, sono sempre nuovi: le situazioni storiche non si ripetono mai.
Il chiamato, quindi, è incessantemente invitato a dare una risposta attenta, nuova e responsabile.
Il suo cammino ricorda quello del popolo di Dio dell'Esodo, come pure la lenta evoluzione dei discepoli "tardi a credere", ( Lc 24,25 ) ma che finiscono per ardere di fervore quando il Signore risuscitato si manifesta loro. ( Cf. Lc 24,32 )
Ciò vuol dire fino a qual punto la formazione del religioso debba essere personalizzata.
Si tratterà dunque di richiamarsi vigorosamente alla sua coscienza personale e alla sua personale responsabilità, perché interiorizzi i valori della vita religiosa e nello stesso tempo la regola di vita che gli è proposta dai suoi maestri e maestre di formazione, per cui trovi in se stesso la giustificazione delle sue opzioni pratiche e, nello Spirito creatore, il suo dinamismo fondamentale.
Si deve, quindi, trovare un giusto equilibrio tra la formazione di gruppo e quella di ciascuna persona, tra il rispetto dei tempi previsti per ciascuna fase della formazione e il loro adattamento al ritmo di ciascuno.
Lo Spirito di Gesù risuscitato si fa presente ed operante attraverso un insieme di mediazioni ecclesiali.
Tutta la tradizione religiosa della Chiesa attesta il carattere decisivo del ruolo degli educatori per la riuscita dell'opera di formazione.
Loro compito è di discernere l'autenticità della chiamata alla vita religiosa nella fase iniziale di formazione e di aiutare i religiosi a ben condurre il loro dialogo personale con Dio, scoprendo nello stesso tempo le vie nelle quali sembra che Dio voglia farli progredire.
Spetta anche a loro di accompagnare il religioso sulle strade del Signore ( Cf. Tb 5,10.17.22 ) attraverso un dialogo diretto e regolare, nel rispetto della competenza del confessore e del direttore spirituale propriamente detto.
Uno dei compiti principali dei responsabili della formazione è proprio quello di vigilare che i novizi e i giovani professi e professe siano effettivamente guidati da un direttore spirituale.
Essi devono offrire ai religiosi un solido nutrimento dottrinale e pratico, in funzione delle tappe di formazione in cui si trovano.
Infine, devono verificare e valutare progressivamente il cammino compiuto da coloro di cui essi hanno cura, alla luce dei frutti dello Spirito, e giudicare pure se il chiamato ha le capacità richieste in quel momento dalla Chiesa e dall'istituto.
31. Oltre ad una buona conoscenza della dottrina cattolica riguardo la fede e il costume, « l'esigenza di qualità adeguate risulta dunque evidente per coloro che assumono responsabilità di formazione:
capacità umane d'intuito e di accoglienza;
esperienza sviluppata di Dio e della preghiera;
sapienza derivante dall'attento, prolungato ascolto della parola di Dio;
amore della liturgia e comprensione del suo ruolo nell'educazione spirituale ed ecclesiale;
competenza culturale necessaria;
disponibilità di tempo e buona volontà per dedicarsi alla cura personale dei singoli candidati e non soltanto del gruppo ».32
Questo compito dunque richiede serenità interiore, disponibilità, pazienza, comprensione ed un vero affetto per coloro che sono stati affidati alla responsabilità pastorale dell'educatore.
32. Se, sotto la responsabilità personale del responsabile di formazione, esiste un'équipe formatrice, i membri devono agire d'accordo, vivamente coscienti della loro comune responsabilità.
« Sotto la guida del superiore siano in strettissima unità di spirito e di azione e formino una famiglia unita fra loro e con quelli che devono formare ».33
Non meno necessarie sono la coesione e la collaborazione continua tra i responsabili delle diverse tappe della formazione.
L'intera opera di formazione è il frutto della collaborazione tra i responsabili di formazione e i loro discepoli.
Se è vero che il discepolo ne è il primo responsabile umano, questa responsabilità non si può esercitarla che all'interno di una tradizione specifica, quella dell'istituto, di cui i responsabili di formazione sono i testimoni e gli attori immediati.
Il Concilio Vaticano II, nella sua dichiarazione sull'educazione cristiana, ha enunciato i fini e i mezzi di ogni vera educazione a servizio della famiglia umana.
È bene tenerli presenti nell'accoglienza e nella formazione dei candidati alla vita religiosa, essendo prima esigenza di tale formazione il poter incontrare nella persona un presupposto umano e cristiano.
Molti fallimenti della vita religiosa possono infatti essere attribuiti a delle falle non percepite e non colmate in questo campo.
Non soltanto deve essere verificata l'esistenza di questa base umana e cristiana all'entrata nella vita religiosa, ma bisogna assicurarne la messa a punto utile durante il ciclo di formazione, in funzione della evoluzione delle persone e degli avvenimenti.
34. La formazione integrale della persona comporta una dimensione fisica, morale, intellettuale e spirituale.
Sono note le sue finalità e le sue esigenze.
Il Concilio Vaticano II le riporta nella Costituzione pastorale Gaudium et spes34 e nella dichiarazione sull'educazione cristiana Gravissimum educationis.35
Il decreto sulla formazione dei sacerdoti Optatam totius propone criteri che permettono di giudicare il livello di maturità umana richiesta dai candidati al ministero presbiterale.36
Tali criteri possono applicarsi agevolmente ai candidati alla vita religiosa, vista la natura di quest'ultima e la missione che il religioso è chiamato a compiere nella Chiesa.
Il decreto Perfectae caritatis sul rinnovamento della vita religiosa richiama infine la radice battesimale della consacrazione religiosa37 e perciò, implicitamente, induce a non ammettere al noviziato che i candidati che vivono già, in modo conveniente alla loro età, tutti gli impegni del loro battesimo.
Così pure, una buona formazione alla vita religiosa li dovrebbe confermare, in tutte le tappe della vita e soprattutto nei periodi più difficili in cui si è chiamati a scegliere di nuovo liberamente ciò che è stato una volta per tutte, la professione di fede e gli impegni del battesimo.
35. Nonostante l'insistenza che il presente documento pone sulla dimensione culturale ed intellettuale della formazione, la dimensione spirituale rimane prioritaria.
« La formazione religiosa nelle sue varie fasi, iniziale e permanente, ha lo scopo precipuo di immergere i religiosi nell'esperienza di Dio e aiutarli a perfezionarla progressivamente nella propria vita ».38
« Il cammino al seguito di Cristo conduce a condividere sempre più coscientemente e concretamente il mistero della sua passione, morte e risurrezione.
Il mistero pasquale deve essere come il cuore dei programmi di formazione, in quanto sorgente di vita e di maturità.
È su questo fondamento che si forma l'uomo nuovo, il religioso e l'apostolo ».39
Questo ci porta a ricordare l'indispensabile necessità dell'ascesi nella formazione e nella vita dei religiosi.
In un mondo di erotismo, di consumismo e di abusi di ogni genere, vi è bisogno di testimoni del mistero pasquale di Cristo, la cui prima tappa passa obbligatoriamente attraverso la croce.
Questo passaggio conduce a porre nel programma di una formazione integrale un'ascesi personale quotidiana che porti i candidati, novizi e professi, all'esercizio delle virtù di fede, di speranza, di carità, di prudenza, di giustizia, di fortezza e di temperanza.
Questo programma non ha età e non può passare di moda.
È sempre attuale e sempre necessario.
Non si può vivere il proprio battesimo senza adottare questo programma e ancor meno essere fedele alla propria vocazione religiosa.
Questo programma sarà tanto più seguito, come tutto l'insieme della vita cristiana, se è motivato dall'amore di nostro Signore Gesù Cristo e dalla gioia di servirlo.
Inoltre, il popolo cristiano ha bisogno di trascinatori che l'aiutino a percorrere la « via regale della santa croce ».
Ha bisogno di testimoni che rinuncino a ciò che San Giovanni chiama « il mondo » e « le sue concupiscenze », e anche a questo « mondo » creato e conservato dall'amore del creatore e ad alcuni suoi valori.
Il regno di Dio, di cui la vita religiosa « manifesta che esso supera le cose terrestri »,40 non è di questo mondo.
C'è bisogno di testimoni che lo dicano.
Naturalmente ciò suppone nel corso della formazione una riflessione sul senso cristiano dell'ascesi e l'acquisto di convinzioni correttamente fondate su Dio e sui suoi rapporti con il mondo uscito dalle sue mani, giacché si tratta di guardarsi contemporaneamente sia da un ottimismo beato e naturalista, sia da un pessimismo dimentico del mistero di Cristo creatore e redentore del mondo.
37. L'ascesi, d'altronde, che comporta un rifiuto di seguire i nostri impulsi e gli istinti spontanei e primari, è un'esigenza antropologica prima di essere specificamente cristiana.
Gli psicologi fanno notare che i giovani, soprattutto, hanno bisogno per strutturare la loro personalità di incontrare degli ostacoli ( gli educatori, un regolamento, ecc. ), a cui resistere.
Ma ciò non vale solo per i giovani, sicché la strutturazione di una persona non è mai completata.
La pedagogia messa in opera dalla formazione dei religiosi e delle religiose dovrà aiutarli ad entusiasmarsi per un'impresa che reclama qualche sforzo.
È così che Dio stesso conduce la persona umana che Egli ha creato.
38. L'ascesi inerente alla vita religiosa richiama, tra altri elementi, un'iniziazione al servizio ed alla solitudine, anche negli istituti dediti all'apostolato.
È necessario « che in queste famiglie religiose venga osservata con fedeltà quella legge di ogni vita spirituale, che consiste nello stabilire, durante il corso della propria vita, un proporzionato avvicendamento tra i periodi riservati alla solitudine con Dio e a quelli dedicati alle diverse attività ed alle relazioni umane che esse comportano »41
La solitudine, se è liberamente accettata, porta al silenzio interiore e questo esige il silenzio materiale.
Il regolamento di ogni comunità religiosa, e non soltanto delle case di formazione, deve assolutamente prevedere tempi e luoghi di solitudine e di silenzio, per favorire l'ascolto e l'assimilazione della Parola di Dio insieme alla maturazione spirituale della persona e ad una vera comunione fraterna in Cristo.
Le generazioni di oggi sono spesso cresciute in un ambiente di coeducazione, senza che i ragazzi e le ragazze siano sempre aiutati a conoscere le loro ricchezze e i loro rispettivi limiti.
I contatti di apostolato di ogni genere, maggiore collaborazione che si è instaurata tra i religiosi e le religiose, con correnti culturali attuali, rendono particolarmente utile una formazione in questo campo.
La promiscuità prematura e la collaborazione stretta e frequente sono necessariamente una garanzia di maturità nelle relazioni tra gli uni e le altre.
Converrà dunque prendere le misure per promuovere e affermare questa maturità, in vista di educare alla pratica della castità perfetta.
Inoltre, uomini e donne devono prendere conoscenza della loro specifica situazione nel piano di Dio, del contributo originale che apportano rispettivamente all'opera della salvezza.
Così si offrirà ai futuri religiosi la possibilità di una riflessione sul ruolo della sessualità nel disegno divino di creazione e di salvezza.
In questo contesto, si esporranno e si comprenderanno le ragioni che giustificano il fatto di scartare dalla vita religiosa quelle e quelli che non giungeranno a padroneggiare le tendenze omosessuali e che pretendessero di poter adottare una terza via « vissuta come uno stato ambiguo tra il celibato e il matrimonio »42
40. Dio non ha fatto un mondo indifferenziato.
Creando l'uomo a sua immagine e somiglianza ( Gen 1,26-27 ), in quanto creatura ragionevole e libera, capace di conoscerlo ed amarlo, non l'ha voluto solo, ma in relazione con un'altra persona umana, la donna ( Gen 2,18 ).
Fra i due si stabilisce una relazione reciproca, dell'uomo riguardo alla donna e della donna riguardo all'uomo.43
"La donna è un altro io nella loro comune umanità ».44
Perciò « l'uomo e la donna sono chiamati fin dal principio non solo a vivere l'uno accanto all'altra, a insieme, ma anche a vivere reciprocamente l'uno per l'altra ».45
Si comprenderà facilmente l'interesse di questi principi antropologici quando si tratta di formare quelli e quelle che, per una grazia speciale, hanno fatto liberamente professione di castità perfetta per il Regno dei cieli.
41. « Uno studio approfondito dei fondamenti antropologici della condizione maschile o femminile » porterà a « precisare l'identità personale propria della donna nella sua relazione di diversità e di complementarietà reciproca con l'uomo; e ciò non solo per quanto riguarda i ruoli da ricoprire e le funzioni da assicurare, ma anche e più profondamente per quanto riguarda la struttura della persona e il suo significato.46
La storia della vita religiosa prova che molte donne, nel chiostro o nel mondo, vi hanno trovato un posto ideale di servizio a Dio e agli uomini, le condizioni favorevoli all'espansione della propria femminilità e, di conseguenza, una più profonda comprensione della loro identità.
Questo approfondimento deve essere ancora perseguito grazie alla riflessione teologica e all'« apporto offerto dalle diverse scelte umane e dalle varie culture ».47
Non bisogna dimenticare infine, per una migliore perfezione della specificità della vita religiosa femminile, che « la figura di Maria di Nazaret proietta una luce sulla donna in quanto tale, per il fatto stesso che Dio, nel sublime evento dell'incarnazione del Figlio, è ricorso al servizio libero e attivo di una donna.
Si può dunque affermare che la donna, se guarda a Maria, trova in lei il segreto per vivere degnamente la sua femminilità e realizzare la sua vera promozione.
Alla luce di Maria, la Chiesa scopre nel volto della donna i riflessi di una bellezza che è come lo specchio dei sentimenti più elevati di cui il cuore umano è capace:
la pienezza del dono di sé suscitato dall'amore;
la forza che sa resistere alle più grandi sofferenze;
la fedeltà senza limiti e l'attività instancabile;
la capacità di armonizzare l'intuizione penetrante con la parola di sostegno e di incoraggiamento ».48
Indice |
6 | RD 17. |
7 | EE 11,
n. 53; cf. nota 10 Introduzione; LG 53 e can. 663, 4; RM 42-45; Lettera di Giovanni Paolo II a tutte le persone consacrate, 22-5-1988. |
8 | Cf. LG 44. |
9 | MR 10; cf. nota 8 Introduzione. |
10 | MR 10; cf. nota 8 Introduzione; cf. LG 44 c. 678. |
11 | LG 45; MR 8; cf. nota 8 Introduzione. |
12 | Cf. S. Atanasio, Vita S. Antonio: PG 26. |
13 | Cf. DV 25. |
14 | Cf. LG 45. |
15 | Cf. LG 11. |
16 | PG 12. |
17 | Cf. DV 10. |
18 | Cf. MR 5; cf. nota 8 Introduzione. |
19 | LG 18. |
20 | Esercizi spirituali, n. 351 e n. 352. |
21 | LG 4. |
22 | RPU 24; cf. nota 9 Introduzione. |
23 | Ibid.; cf. anche Documento a Puebla, nn. 211-219. |
24 | RPU 33c; cf. nota 9 Introduzione; cf. anche c. 602. |
25 | PC 15 c. 602; cf. EE 18-22. |
26 | Cf. c. 601,
c. 618 e
c. 619; PC 14. |
28 | ET 32-34; cf. nota 4 Introduzione; cf. anche EE 18-22. |
32 | DCVR 20; cf. nota 9 introduzione. |
33 | OT 5b. |
34 | Cf. GS 12-22 e n. 61. |
35 | Cf. GE 1 e 2. |
36 | Cf. OT 11. |
37 | Cf. PC 5. |
38 | DCVR 17; cf. nota 9 Introduzione. |
39 | Giovanni Paolo II ai religiosi del Brasile,
11.7.1986, n. 5; cf. nota 5 Introduzione. |
40 | LG 44. |
41 | RC 5; cf. nota 7 Introduzione. |
42 | Documento finale del Sinodo particolare dei vescovi dei Paesi Bassi L'Osservatore Romano 2-2980, proposizione 32. |
43 | MD 7. |
44 | MD 6. |
45 | MD 7. |
46 | CL 50. |
47 | Ibid. 50. |
48 | RM 46. |