Per una migliore distribuzione della terra |
La prima pagina della Bibbia racconta la creazione del mondo e della persona umana: « Dio creò l'uomo a sua immagine; a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » ( Gen 1,27 ).
Parole solenni esprimono il compito che Dio loro affida: « Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra » ( Gen 1,28 ).
Il primo compito che Dio loro assegna - si tratta, evidentemente, di un compito fondamentale - riguarda l'atteggiamento che devono assumere di fronte alla terra e a tutte le creature.
« Soggiogare » e « dominare » sono due verbi che possono essere facilmente fraintesi e addirittura sembrare una giustificazione di quel dominio dispotico e sfrenato che non si cura della terra e dei suoi frutti, ma ne fa scempio a proprio vantaggio.
In realtà « soggiogare » e « dominare » sono verbi che, nel linguaggio biblico, servono a descrivere il dominio del re saggio, che si prende cura del benessere di tutti i suoi sudditi.
L'uomo e la donna devono aver cura della creazione, perché questa serva a loro e rimanga a disposizione di tutti, non solo di alcuni.
23. La natura profonda della creazione è di essere un dono di Dio, un dono per tutti, e Dio vuole che tale rimanga.
Per questo il primo imperativo rivolto da Dio è di conservare la terra nella sua natura di dono e benedizione e di non trasformarla invece in strumento di potere o in motivo di divisione.
Il diritto-dovere della persona umana di dominare la terra deriva dal suo essere immagine di Dio: spetta a tutti, non solo ad alcuni, la responsabilità della creazione.
In Egitto e in Babilonia questa prerogativa era attribuita ad alcuni.
Nel testo biblico, invece, il dominio appartiene alla persona umana come tale e, quindi, a tutti.
Anzi è l'umanità nel suo insieme che deve sentirsi responsabile della creazione.
L'uomo è posto nel giardino per coltivarlo e custodirlo ( cfr. Gen 2,15 ), così da potersi nutrire dei suoi frutti.
In Egitto e in Babilonia il lavoro è una dura necessità imposta agli uomini a beneficio degli dei: di fatto, a beneficio del re, dei funzionari, dei sacerdoti e dei grandi proprietari.
Nel racconto biblico, invece, il lavoro è per la realizzazione della persona umana.
L'israelita ha diritto alla proprietà della terra, che la legge protegge in molti modi.
Prescrive il Decalogo: « Non bramerai la casa del tuo prossimo, né il suo campo né il suo servo né la sua serva né il suo bue né il suo asino e nulla di quanto è del tuo prossimo » ( Dt 5,21 ).
Si può dire che l'israelita si sente veramente libero, pienamente israelita, solo quando possiede il suo pezzo di terra.
Ma la terra è di Dio, insiste l'Antico Testamento, e Dio l'ha data in eredità a tutti i figli di Israele.
Dunque deve essere divisa fra tutte le tribù, clan e famiglie.
E l'uomo non è il vero padrone della sua terra, ma piuttosto un amministratore.
Il vero padrone è Dio.
Si legge nel Levitico: « Le terre non si potranno vendere per sempre, perché la terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini » ( Lv 25,23 ).
In Egitto la terra apparteneva al faraone e i contadini erano suoi servi e sua proprietà.
A Babilonia vigeva una struttura feudale: il re consegnava le terre in cambio di fedeltà e servizi.
Nulla di simile in Israele.
La terra è di Dio che la dona a tutti i suoi figli.
25. Ne derivano precise conseguenze.
Da un lato, a nessuno è lecito privare del possesso della terra la persona che l'ha in uso, altrimenti si viola un diritto divino; neppure il re lo può fare.16
Dall'altro lato, viene negata ogni forma di possesso assoluto e arbitrario esclusivamente a proprio vantaggio: non si può fare ciò che si vuole dei beni che Dio ha dato a tutti.
È su questa base che la legislazione introduce di volta in volta, e sempre sotto la spinta di concrete situazioni, molte limitazioni al diritto di proprietà.
Qualche esempio:
il divieto di raccogliere frutti da un albero durante i primi quattro anni ( cfr. Lv 19,23-25 );
l'invito a non mietere fino ai margini del campo e la proibizione di raccogliere frutti e spighe dimenticati o caduti per terra, perché appartengono ai poveri ( cfr. Lv 19,9-10; Lv 23,22; Dt 24,19-22 ).
Alla luce di questa visione della proprietà si comprende la severità del giudizio morale espresso dalla Bibbia sulle prevaricazioni dei ricchi, che costringono i poveri e i contadini a cedere i loro fondi familiari.
Sono particolarmente i Profeti a condannare con energia questi soprusi.
« Guai a voi, che aggiungete casa a casa e unite campo a campo », grida Isaia ( Is 5,8 ).
E il suo contemporaneo Michea: « Sono avidi di campi e li usurpano, di case, e se le prendono.
Così opprimono l'uomo e la sua casa, il proprietario e la sua eredità » ( Mi 2,2 ).
Lo sforzo di legare stabilmente e in perpetuo la proprietà della terra al suo possessore e, nel contempo, lo sforzo di distribuire equamente le terre fra tutte le famiglie d'Israele, sono all'origine di uno degli istituti sociali più singolari di quel popolo: il Giubileo ( cfr. Lv 25).17
Questo istituto traduce direttamente sul piano sociale ed economico la signoria di Dio ed intende affermare, o difendere, tre libertà.
La prima libertà riguarda i campi e le case che, nell'anno giubilare, debbono ritornare agli antichi proprietari.
Campi e case si possono vendere, ma la vendita è semplicemente un passaggio dei diritti di utilizzo, fermo restando il diritto del proprietario ( o di un parente ) a riscattare in qualsiasi momento il suo fondo.
In ogni caso, ogni cinquant'anni le proprietà alienate torneranno alle antiche famiglie.
La seconda libertà riguarda le persone che, nell'anno del Giubileo, devono tornare libere alle loro famiglie e alle loro proprietà.
La terza libertà riguarda la terra che, nell'anno del Giubileo e nell'anno sabbatico, deve essere lasciata riposare per un anno.
Particolarmente interessante è la motivazione di queste tre libertà: « Poiché io sono il Signore Dio vostro » ( Lv 25,17 ); « La terra è mia e voi siete presso di me come forestieri e inquilini » ( Lv 25,23 ).
La motivazione basilare, dunque, è la signoria di Dio, una signoria che si manifesta nel dono agli uomini: « Io sono il Signore vostro Dio, che vi ho fatto uscire dal paese d'Egitto, per darvi il paese di Canaan, per essere il vostro Dio » ( Lv 25,38 ).
Nella prospettiva delineata dalle Sacre Scritture, la Chiesa ha elaborato lungo i secoli la sua dottrina sociale.
Autorevoli e significativi documenti ne illustrano i principi fondamentali, i criteri per il giudizio e il discernimento, le indicazioni e gli orientamenti per le scelte opportune.
Nella dottrina sociale, il processo di concentrazione della proprietà della terra è giudicato uno scandalo perché in netto contrasto con la volontà ed il disegno salvifico di Dio, in quanto nega a tanta parte dell'umanità il beneficio dei frutti della terra.
Le perverse diseguaglianze nella distribuzione dei beni comuni e delle opportunità di sviluppo di ogni persona e gli squilibri disumanizzanti nelle relazioni individuali e collettive, provocati da una simile concentrazione, sono causa di conflitti che minano le fondamenta della convivenza civile e provocano il disfacimento del tessuto sociale e il degrado dell'ambiente naturale.
Le conseguenze dell'attuale disordine confermano l'esigenza, per l'intera società umana, di essere continuamente richiamata ai principi di giustizia, in particolare al principio della destinazione universale dei beni.
La dottrina sociale della Chiesa, infatti, fonda l'etica delle relazioni di proprietà dell'uomo rispetto i beni della terra sulla prospettiva biblica che indica la terra come dono di Dio a tutti gli esseri umani.
« Dio ha destinato la terra e tutto quello che essa contiene, all'uso di tutti gli uomini e popoli, e pertanto i beni creati debbono secondo un equo criterio essere partecipati a tutti, essendo guida la giustizia, e compagna la carità.
Pertanto … si deve sempre ottemperare a questa destinazione universale dei beni ».18
Il diritto all'uso dei beni terreni è un diritto naturale, primario, di valore universale, in quanto compete ad ogni essere umano: non può essere violato da nessun altro diritto a contenuto economico;19 si dovrà piuttosto tutelare e rendere effettivo con leggi e istituzioni.
29. Mentre afferma l'esigenza di assicurare a tutti gli uomini, sempre e in qualsiasi circostanza, il godimento dei beni della terra, la dottrina sociale sostiene anche il diritto naturale all'appropriazione individuale di questi beni.20
L'uomo, ogni uomo, pone a frutto, in modo effettivo ed efficace, i beni della terra che sono stati messi al suo servizio, e dunque afferma se stesso, se è nelle condizioni di poter usare liberamente di questi beni, avendone acquisito la proprietà.21
Essa è condizione e presidio di libertà; è presupposto e garanzia della dignità della persona.
« La proprietà privata o un qualche potere sui beni esterni assicurano a ciascuno una zona del tutto necessaria di autonomia personale e familiare, e devono considerarsi come un prolungamento della libertà umana.
Infine, stimolando l'esercizio dei diritti e dei doveri, essi costituiscono una delle condizioni delle libertà civili ».22
Senza il riconoscimento del diritto di proprietà privata sui beni anche produttivi, come attestano la storia e l'esperienza, si arriva alla concentrazione del potere, alla burocratizzazione dei vari ambiti di vita della società, al malcontento sociale, a comprimere e soffocare « le fondamentali espressioni della libertà ».23
30. Il diritto alla proprietà privata, secondo il Magistero della Chiesa, non è però incondizionato ma, all'opposto, è caratterizzato da vincoli ben precisi.
La proprietà privata, infatti, quali che siano le forme concrete delle sue istituzioni e delle sue norme giuridiche, è, nella sua essenza, uno strumento per la realizzazione del principio della destinazione universale dei beni, dunque un mezzo e non un fine.24
Il diritto alla proprietà privata, di per sé valido e necessario, deve essere circoscritto all'interno dei limiti di una sostanziale funzione sociale della proprietà.
Ogni proprietario, pertanto, deve essere costantemente consapevole dell'ipoteca sociale che grava sulla proprietà privata: « Perciò l'uomo, usando di questi beni, deve considerare le cose esteriori che legittimamente possiede, non solo come proprie, ma anche come comuni, nel senso che possano giovare non unicamente a lui ma anche agli altri ».25
31. La funzione sociale direttamente e naturalmente inerente alle cose e al loro destino, consente alla Chiesa di affermare nel suo insegnamento sociale: « Colui che si trova in estrema necessità, ha diritto di procurarsi il necessario dalle ricchezze altrui ».26
Il limite al diritto di proprietà privata è posto dal diritto di ogni uomo all'uso dei beni necessari per vivere.
Questa dottrina, già elaborata da San Tommaso d'Aquino,27 aiuta nella valutazione di alcune complesse situazioni di grande rilievo etico-sociale, quali l'espulsione dei contadini dalle terre che hanno lavorato, senza che sia stato assicurato loro il diritto di ricevere la parte dei beni necessari per vivere, e i casi di occupazione di terre incolte da parte di contadini che non ne sono proprietari e vivono in uno stato di estrema indigenza.
La dottrina sociale della Chiesa, basandosi sul principio della subordinazione della proprietà privata alla destinazione universale dei beni, analizza le modalità di esercizio del diritto di proprietà della terra come spazio coltivabile e condanna il latifondo come intrinsecamente illegittimo.
Tale è la grande proprietà terriera, spesso malamente coltivata, o addirittura tenuta in riserva senza coltivarla per motivi speculativi, mentre si dovrebbe aumentare la produzione agricola per soddisfare la crescente domanda di alimenti della maggior parte della popolazione, sprovvista di terre da coltivare o con terre troppo limitate a disposizione.
Per la dottrina sociale della Chiesa, il latifondo contrasta nettamente con il principio che « la terra è data a tutti e non solamente ai ricchi », cosicché « nessuno è autorizzato a riservare a suo uso esclusivo ciò che supera il suo bisogno, quando gli altri mancano del necessario ».28
Il latifondo, di fatto, nega ad una moltitudine di persone il diritto di partecipare con il proprio lavoro al processo produttivo e di sovvenire ai bisogni propri, della propria famiglia e a quelli della comunità e della nazione di cui fanno parte.29
I privilegi assicurati dal latifondo sono causa di contrasti scandalosi e di situazioni di dipendenza e di oppressione tanto su scala nazionale che internazionale.
33. L'insegnamento sociale della Chiesa denuncia anche le insopportabili ingiustizie provocate dalle forme di appropriazione indebita della terra ad opera di proprietari o di imprese nazionali e internazionali, a volte sostenute da organismi dello Stato, i quali, calpestando ogni diritto acquisito e, non raramente, gli stessi titoli legali al possesso del suolo, spogliano i piccoli coltivatori ed i popoli indigeni delle loro terre.
Sono forme di appropriazione particolarmente gravi, perché, oltre ad accrescere la disuguaglianza nella distribuzione dei beni della terra, conducono, in genere, alla distruzione di una parte di questi stessi beni, impoverendo l'intera umanità.
Esse determinano modi di sfruttamento della terra che spezzano equilibri tra l'uomo e l'ambiente costruiti nel corso dei secoli e provocano un forte degrado ambientale.
Questo deve apparire come il segno della disobbedienza dell'uomo al comando di Dio di agire come guardiano e saggio amministratore della creazione ( cfr. Gen 2,15; Sap 9,2-3 ).
Il prezzo di questa disobbedienza peccaminosa è altissimo.
Essa, infatti, causa una grave e vile forma di mancanza di solidarietà tra gli uomini perché colpisce i più deboli e le generazioni future.30
34. Alla condanna del latifondo e dell'appropriazione indebita della terra, contrari al principio della destinazione universale dei beni, la dottrina sociale aggiunge la condanna delle forme di sfruttamento del lavoro, specialmente quando esso viene remunerato con salari o altre modalità che sono indegni di un uomo.
Con l'ingiusta remunerazione per il lavoro compiuto e con altre forme di sfruttamento si nega ai lavoratori la possibilità di percorrere « una via concreta, attraverso la quale la stragrande maggioranza degli uomini può accedere a quei beni che sono destinati all'uso comune: sia beni della natura, sia quelli che sono frutto della produzione ».31
Accade di frequente che le politiche tese a promuovere un uso corretto del diritto di proprietà privata della terra non servano ad impedire che essa continui ad essere esercitata, in vaste aree, come un diritto assoluto, senza limiti provenienti da corrispondenti obblighi sociali.
Su questo punto la dottrina sociale della Chiesa è molto esplicita e indica la riforma agraria come una delle più urgenti, da intraprendere senza indugio: « In molte situazioni sono dunque necessari cambiamenti radicali ed urgenti per ridare all'agricoltura - ed agli uomini dei campi - il giusto valore come base di una sana economia, nell'insieme dello sviluppo della comunità sociale ».32
Particolarmente drammatico, a questo proposito, l'appello che Giovanni Paolo II ha lanciato ad Oaxaca, in Messico, agli uomini di governo e ai grandi proprietari terrieri: « A voi responsabili dei popoli, a voi classe di potere che a volte tenete improduttive le terre e nascondete il pane alle famiglie a cui manca, la coscienza umana, la coscienza dei popoli, il grido dei poveri derelitti, e soprattutto la voce di Dio, la voce della Chiesa ripetono con me: non è giusto, non è umano, non è cristiano continuare con certe situazioni chiaramente ingiuste.
È necessario mettere in pratica misure concrete, efficaci, a livello locale, nazionale e internazionale secondo le ampie linee tracciate dall'enciclica Mater et magistra.
Ed è chiaro che chi più deve collaborare a questo, è chi ha più potere ».33
36. La dottrina sociale afferma, a più riprese, che deve essere garantita la maggiore valorizzazione possibile delle potenzialità produttive agricole laddove una percentuale rilevante della popolazione è dedita al lavoro dei campi ed è da esso dipendente.
Nel caso di fondi non sufficientemente coltivati, essa giustifica, dietro congruo indennizzo ai proprietari,34 l'espropriazione della terra per assegnarla a coloro che ne sono privi o ne posseggono in misura troppo limitata.35
È opportuno sottolineare, tuttavia, che, secondo la dottrina sociale, una riforma agraria non deve limitarsi alla sola distribuzione dei titoli di proprietà tra gli assegnatari.
L'espropriazione delle terre e la loro ridistribuzione sono soltanto uno degli aspetti, e non il più complesso, di una equa ed efficiente politica di riforma agraria.36
La dottrina sociale della Chiesa individua nella riforma agraria uno strumento adatto a diffondere la proprietà privata della terra qualora i poteri pubblici si muovano secondo tre direttrici d'azione distinte, ma complementari:
a) a livello giuridico, affinché si abbiano leggi adeguate a mantenere e a tutelare l'effettiva diffusione della proprietà privata;37
b) a livello di politiche economiche, per facilitare « una più larga diffusione della proprietà privata di beni di consumo durevoli, dell'abitazione, del podere, delle attrezzature proprie dell'impresa artigiana ed agricolo-familiare, dei titoli azionari nelle medie e nelle grandi aziende »;38
c) a livello di politiche fiscali e tributarie, per assicurare la continuità della proprietà dei beni nell'ambito della famiglia.39
Condannando sia il latifondo, perché espressione di un uso socialmente irresponsabile del diritto di proprietà e perché grave ostacolo alla mobilità sociale, sia la proprietà statale della terra, perché conduce ad una spersonalizzazione della società civile, la dottrina sociale della Chiesa, pur nella consapevolezza che « non è possibile fissare a priori quale sia la struttura più conveniente alla impresa agricola »,40 suggerisce di valorizzare ampiamente l'impresa familiare proprietaria della terra che coltiva direttamente.41
L'impresa agricola a cui si fa riferimento utilizza prevalentemente nella propria azienda il lavoro familiare e si può integrare con il mercato del lavoro esterno assumendo lavoro salariato.
La dimensione aziendale di tale impresa dovrebbe essere tale da consentire il raggiungimento di redditi familiari adeguati, la continuità della famiglia nell'azienda, l'accesso al mercato del credito fondiario e la sostenibilità dell'ambiente rurale anche attraverso un utilizzo appropriato dei fattori.
Grazie all'efficienza della sua gestione e alla ricchezza sociale che viene così prodotta, una simile impresa crea nuove occasioni di lavoro e di crescita umana per tutti.
Essa, infatti, può offrire un contributo altamente positivo non solo allo sviluppo di una struttura agraria efficiente, ma anche alla realizzazione dello stesso principio della destinazione universale dei beni.
Il Magistero sociale della Chiesa non considera la proprietà individuale come la sola forma legittima di possesso della terra.
Esso tiene in particolare considerazione anche la proprietà comunitaria, che caratterizza la struttura sociale di numerosi popoli indigeni.
Questa forma di proprietà, infatti, incide tanto profondamente nella vita economica, culturale e politica di questi popoli da costituire un elemento fondamentale della loro sopravvivenza e del loro benessere, offrendo inoltre un contributo non meno basilare alla protezione delle risorse naturali.42
La difesa e la valorizzazione della proprietà comunitaria, tuttavia, non deve escludere la consapevolezza del fatto che questo tipo di proprietà è destinato ad evolversi.
Se si agisse in modo da garantire solo la sua semplice conservazione si correrebbe il rischio di legarla al passato e, in questo modo, di distruggerla.43
40. Condurre una giusta politica del lavoro
La tutela dei diritti umani che scaturiscono dal lavoro è un'altra fondamentale direttrice d'azione che la dottrina sociale della Chiesa offre per assicurare un corretto esercizio del diritto di proprietà privata della terra.
Date le relazioni che lo legano alla proprietà, il lavoro rappresenta un mezzo di importanza cruciale per assicurare la destinazione universale dei beni.
Vi è quindi il dovere per i pubblici poteri44 di intervenire affinché:
a) promuovere le condizioni che assicurino il diritto al lavoro;45
b) garantire il diritto alla giusta remunerazione del lavoro;46
c) tutelare e promuovere il diritto dei lavoratori di costituire associazioni, che abbiano come scopo la difesa dei loro diritti.47
Il diritto di associazione rappresenta, infatti, la condizione necessaria per raggiungere l'equilibrio nei rapporti di potere contrattuale tra i lavoratori ed i loro datori di lavoro e per garantire, pertanto, lo sviluppo di una corretta dialettica tra le parti sociali.
Realizzare un sistema d'istruzione capace di produrre una effettiva crescita culturale e professionale della popolazione
41. Il fattore sempre più decisivo in vista dell'accesso ai beni della terra non è più, come nel passato, il possesso della terra, ma il patrimonio di conoscenze che l'uomo sa e può accumulare.
Afferma Giovanni Paolo II: « Ma un'altra forma di proprietà esiste, in particolare, nel nostro tempo e riveste un'importanza non inferiore a quella della terra: è la proprietà della conoscenza, della tecnica e del sapere ».48
Quanto più l'agricoltore conosce le capacità produttive della terra e degli altri fattori di produzione e le molteplici modalità con cui possono essere soddisfatti i bisogni dei destinatari dei frutti del proprio lavoro, tanto più fecondo diventa il suo lavoro, soprattutto come strumento di realizzazione personale, per il quale egli esercita la propria intelligenza e la propria libertà.
È necessario e urgente, pertanto, dare priorità all'obiettivo della realizzazione di un sistema d'istruzione capace di offrire, ai vari livelli scolastici, il più ampio bagaglio di conoscenze e di abilità tecniche e scientifiche.
Indice |
16 | Emblematico è in proposito il racconto della vigna di Nabot ( cfr. 1 Re 21 ) |
17 | Cfr. Giovanni Paolo II, Tertio millennio adveniente, nn. 12-13 |
18 | Cost. pastorale Gaudium et spes, n. 69 |
19 | Cfr. Giovanni XXIII, Lett. Enc.
Mater et magistra, n. 69. Nel Radiomessaggio della Pentecoste 1941 Pio XII, trattando del diritto ai beni materiali, affermava che « Ogni uomo, quale vivente dotato di ragione, ha infatti dalla natura il diritto fondamentale di usare dei beni materiali della terra, pur essendo lasciato alla volontà umana e alle forme giuridiche dei popoli di regolarne più particolarmente la pratica attuazione. Tale diritto individuale non può essere in nessun modo soppresso, neppure da altri diritti certi e pacifici sui beni materiali » ( n. 13 ) |
20 | Diritto naturale perché, secondo il Magistero della Chiesa, esso deriva dalla peculiare natura del lavoro umano e dalla « priorità ontologica e finalistica dei singoli esseri umani nei confronti della società », Giovanni XXIII, Mater et magistra, n. 96 |
21 | « E per poter far fruttificare queste risorse per il tramite del suo lavoro, l'uomo si appropria di piccole parti delle diverse ricchezze della natura: del sottosuolo, del mare, della terra, dello spazio. Di tutto questo egli si appropria facendone il suo banco di lavoro. Se ne appropria mediante il lavoro e per un ulteriore lavoro », Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Laborem exercens, n. 12 |
22 | Gaudium et spes, n. 71b |
23 | Giovanni XXIII, Mater et magistra, n. 96 |
24 | « La tradizione cristiana non ha mai sostenuto questo diritto come un qualcosa di assoluto ed intoccabile. Al contrario, essa l'ha sempre inteso nel più vasto contesto del comune diritto di tutti ad usare i beni dell'intera creazione: il diritto della proprietà privata come subordinato al diritto dell'uso comune, alla destinazione universale dei beni », Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 14 |
25 | Gaudium et spes, n. 69a |
26 | Ivi. |
27 | Cfr. Summa Theologiae, II-II, q. 66 art. 7 |
28 | Paolo VI, Lett. Enc. Populorum progressio, n. 23 |
29 | La proprietà dei mezzi di produzione in campo agricolo « giusta e legittima, se serve a un lavoro utile; diventa, invece, illegittima, quando non viene valorizzata o serve a impedire il lavoro di altri, per ottenere un guadagno che non nasce dall'espansione globale del lavoro e della ricchezza sociale, ma piuttosto dalla loro compressione, dall'illecito sfruttamento, dalla speculazione e dalla rottura della solidarietà nel mondo del lavoro. Una tale proprietà non ha nessuna giustificazione e costituisce un abuso al cospetto di Dio e degli uomini », Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Centesimus annus, n. 43 |
30 | La degradazione dell'ambiente materiale conduce, in sostanza, alla degradazione del « contesto umano che l'uomo non padroneggia più, creandosi così per il domani un ambiente che potrà essergli intollerabile: problema sociale di vaste dimensioni che riguarda l'intera famiglia umana », Paolo VI, Lett. Apost.
Octogesima adveniens, n. 21. All'opposto l'uomo deve lavorare sapendo di essere « erede del lavoro di generazioni e insieme coartefice del futuro di coloro che verranno dopo di lui nel succedersi della storia », Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 16 |
31 | Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 19 |
32 | Ivi, n. 21 |
33 | Giovanni Paolo II, Discorso agli Indios del Messico, Cuilapan Oaxaca,
29 gennaio 1979. Sul tema della riforma agraria, il Santo Padre Giovanni Paolo II è intervenuto in diverse occasioni: a Recife, in Brasile, il 7 luglio 1980; a Cuzco, in Perù, il 3 febbraio 1985; a Iquitos, in Perù, il 5 febbraio 1985; a Lucutanga, in Equador, il 31 gennaio 1985; a Quito, in Equador, il 30 gennaio 1985; nel Discorso ai Vescovi Brasiliani in visita « ad limina », il 24 marzo 1990; a Aterro do Bacanga São Luis, in Brasile, il 14 ottobre 1991; nel Discorso ai Vescovi Brasiliani in visita « ad limina », il 21 marzo 1995 |
34 | Cfr. Pio XII,
Radiomessaggio, n. 13, 1 settembre 1944; Gaudium et spes, n. 71f |
35 | « Il bene comune esige dunque talvolta l'espropriazione se, per via della loro estensione, del loro sfruttamento esiguo o nullo, della miseria che ne deriva per le popolazioni, del danno considerevole arrecato agli interessi del paese, certi possedimenti sono di ostacolo alla prosperità collettiva », Paolo VI,
Populorum progressio, n. 24. « Si impongono pertanto … anche riforme che diano modo di distribuire i fondi non sufficientemente coltivati a beneficio di coloro che sono capaci di metterli in valore », Gaudium et spes, n. 71f |
36 | Cfr. Giovanni XXIII, Mater et magistra, nn. 110-157 |
37 | « Principalissimo è questo: i governi devono per mezzo di sagge leggi assicurare la proprietà privata », Leone XIII, Lett. Enc. Rerum novarum, n. 30 |
38 | Giovanni XXIII, Mater et magistra, n. 102 |
39 | La pubblica autorità non può usare arbitrariamente del suo diritto di determinare i doveri della proprietà violando il diritto naturale di proprietà privata e di trasmissione ereditaria dei propri beni e non può « aggravare tanto con imposte e tasse esorbitanti la proprietà privata da renderla quasi stremata », Pio XI, Lett. Enc. Quadragesimo anno, n. 49 |
40 | Giovanni XXIII, Mater et magistra, n. 128 |
41 | « … quando si ha dell'uomo e della famiglia una concezione umana e cristiana, non si può non considerare un ideale l'impresa configurata e funzionante come una comunità di persone nei rapporti interni e nelle strutture rispondenti ai criteri di giustizia e allo spirito sopraesposti; l'altra, in rispondenza alle condizioni ambientali, diventino realtà », ivi, n. 128 |
42 | « Nelle società economicamente meno sviluppate frequentemente la destinazione comune dei beni è in parte attuata mediante un insieme di consuetudini e di tradizioni comunitarie, che assicurano a ciascun membro i beni più necessari », Gaudium et spes, n. 69b |
43 | Cfr. ivi, n. 69 |
44 | « È, infatti, lo Stato che deve condurre una giusta politica del lavoro », Giovanni Paolo II, Laborem exercens, n. 17 |
45 | È dovere dello Stato « agire contro la disoccupazione, la quale è in ogni caso un male e, quando assume certe dimensioni, può diventare una vera calamità sociale »,
ivi, n. 18. Per rendere possibile a tutti l'occupazione, lo Stato deve promuovere una corretta organizzazione del lavoro mediante « una giusta e razionale coordinazione, nel quadro della quale deve essere garantita l'iniziativa delle singole persone, dei gruppi liberi, dei centri e complessi di lavoro locali, tenendo conto di ciò che è già stato detto sopra circa il carattere soggettivo del lavoro umano », ivi, n. 18 |
46 | La remunerazione del lavoro è giusta se, oltre al salario, il lavoratore può beneficiare delle « varie prestazioni sociali, aventi come scopo quello diassicurare la vita e la salute dei lavoratori e quella della loro famiglia », ivi, n. 19 |
47 | « L'esperienza storica insegna che … l'unione degli uomini per assicurarsi i diritti che loro spettano, nata dalle necessità del lavoro, rimane un fattore costruttivo di ordine sociale e di solidarietà, da cui non è possibile prescindere », ivi, n. 20 |
48 | Giovanni Paolo II, Centesimus annus, n. 32 |