Etica nelle comunicazioni sociali

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IV - Alcuni importanti principi etici

20. I principi e le norme etiche importanti in altri campi valgono anche per il settore delle comunicazioni sociali.

I principi di etica sociale, come la solidarietà, la sussidiarietà, la giustizia, l'equità e l'affidabilità nell'uso delle risorse pubbliche e nello svolgimento dei ruoli che si basano sulla fiducia della gente, sono sempre da tenere in conto.

La comunicazione deve essere sempre veritiera, perché la verità è essenziale alla libertà individuale e alla comunione autentica fra le persone.

L'etica nelle comunicazioni sociali non riguarda solo ciò che appare sugli schermi cinematografici o televisivi, nelle trasmissioni radiofoniche, sulla carta stampata e su Internet, ma va riferita anche a molti altri aspetti.

La dimensione etica tocca non solo il contenuto della comunicazione ( il messaggio ) e il processo di comunicazione ( come viene fatta la comunicazione ), ma anche questioni fondamentali strutturali e sistemiche, che spesso coinvolgono temi relativi alle politiche di distribuzione delle tecnologie e dei prodotti sofisticati ( chi sarà ricco e chi povero di informazioni? ).

Queste questioni ne comportano altre che hanno implicazioni politiche ed economiche relative alla proprietà e al controllo.

Almeno nelle società aperte con economie di mercato, il problema etico di tutti consiste nel bilanciare il profitto e il servizio al pubblico interesse, inteso secondo una concezione ampia del bene comune.

Anche per le persone di buona volontà non è sempre immediatamente chiaro in che modo applicare principi e norme etici a casi particolari.

Sono necessari riflessioni, dibattiti, dialogo.

E proprio nella speranza di promuovere la riflessione e il dialogo fra quanti decidono le politiche relative alle comunicazioni sociali, professionisti del settore, persone impegnate nel campo dell'etica e della morale, fruitori, ecc. che offriamo in questo documento le considerazioni che seguono.

21. In tutte e tre le aree, messaggio, processo, questioni strutturali e sistemiche, il principio etico fondamentale è il seguente: la persona umana e la comunità umana sono il fine e la misura dell'uso dei mezzi di comunicazione sociale.

La comunicazione dovrebbe essere fatta da persone a beneficio dello sviluppo integrale di altre persone.

Lo sviluppo integrale richiede beni e prodotti materiali sufficienti, ma anche una certa attenzione alla « dimensione interiore » ( Giovanni Paolo II, Sollicitudo rei socialis, n. 29; n. 46 ).

Tutti meritano l'opportunità di crescere e di prosperare attingendo alla vasta gamma di beni materiali, intellettuali, emotivi, morali e spirituali.

Gli individui hanno una dignità e un'importanza inalienabili e non possono essere sacrificati in nome di interessi collettivi.

22. Un secondo principio è complementare al primo: il bene delle persone non si può realizzare indipendentemente dal bene comune delle comunità alle quali le persone appartengono.

Questo bene comune andrebbe inteso esclusivamente come somma totale di propositi condivisi, per il cui raggiungimento tutti i membri della comunità si impegnano insieme e al cui servizio è l'esistenza stessa della comunità.

Per questo, anche se le comunicazioni sociali guardano giustamente alle esigenze e agli interessi di gruppi particolari, non dovrebbero farlo in modo da mettere un gruppo contro l'altro, in nome, ad esempio del conflitto di classe, del nazionalismo esagerato, della supremazia razziale, della pulizia etnica e simili.

La virtù della solidarietà, « la determinazione ferma e perseverante di impegnarsi per il bene comune » ( Sollicitudo rei socialis, n. 38 ), dovrebbe regnare in tutte le aree della vita sociale, economica, politica, culturale e religiosa.

Gli operatori delle comunicazioni sociali, e chi prende decisioni circa le politiche di queste ultime, devono porsi al servizio delle necessità e degli interessi reali sia degli individui sia dei gruppi, a tutti i livelli.

L'equità a livello internazionale è necessaria laddove la distribuzione iniqua di beni materiali fra Nord e Sud è esacerbata da una cattiva distribuzione delle fonti di comunicazione e della tecnologia dell'informazione, dalle quali dipendono la produttività e la prosperità.

Problemi simili esistono anche nei Paesi ricchi « dove l'incessante trasformazione dei modi di produrre e di consumare svaluta certe conoscenze già acquisite e professionalità consolidate » così che « coloro che non riescono a tenersi al passo con i tempi possono facilmente essere emarginati » ( Centesimus annus, n. 33 ).

È ovviamente necessaria una vasta partecipazione nel processo decisionale non solo a proposito dei messaggi e dei processi di comunicazione sociale, ma anche a proposito di questioni sistemiche e di ripartizione delle risorse.

Chi prende decisioni in questo campo ha il serio dovere morale di riconoscere le necessità e gli interessi di quanti sono particolarmente vulnerabili, i poveri, gli anziani, i nascituri, i bambini e i giovani, gli oppressi e gli emarginati, le donne e le minoranze, i malati e i disabili, così come le famiglie e i gruppi religiosi.

In particolare oggi la comunità internazionale e gli interessi internazionali delle comunicazioni sociali dovrebbero avvicinarsi con generosità e senza esclusioni alle nazioni e alle regioni nelle quali ciò che i mezzi di comunicazione sociale fanno o non fanno li rende partecipi della vergogna per il perpetuarsi di mali quali la povertà, l'analfabetismo, la repressione politica e le violazioni dei diritti umani, i conflitti interreligiosi e intersociali, e la soppressione delle culture indigene.

23. Comunque continuiamo a credere che « la soluzione ai problemi nati da questa commercializzazione e da questa privatizzazione non regolamentate, non consista in un controllo dello Stato sui media, ma in una regolamentazione più importante, conforme alle norme del servizio pubblico, così come in una maggiore responsabilità pubblica.

Bisogna sottolineare a questo proposito che, se i quadri di riferimento giuridico e politico all'interno dei quali funzionano i media di alcuni Paesi sono attualmente in netto miglioramento, vi sono altri luoghi in cui l'intervento governativo rimane uno strumento d'oppressione e di esclusione ( cfr Aetatis novae, n. 5 ).

Bisogna essere sempre a favore della libertà di espressione, perché « ogni qualvolta gli uomini, seguendo l'inclinazione della natura, si scambiano un loro diritto, rendono, nello stesso tempo un servizio alla società » ( cfr Communio et progressio, n. 45 ).

Tuttavia, considerato da un punto di vista etico, questo presupposto non è una norma assoluta, imprescrittibile.

Ci sono istanze ovvie, per esempio la calunnia e diffamazione, messaggi che cercano di promuovere l'odio e il conflitto fra individui e gruppi, l'oscenità e la pornografia, la descrizione morbosa della violenza, nelle quali non esiste diritto a comunicare.

Anche la libera espressione dovrebbe osservare principi come la verità, la correttezza e il rispetto per la vita privata.

I professionisti delle comunicazioni sociali dovrebbero impegnarsi attivamente per sviluppare e potenziare codici etici di comportamento professionale, in cooperazione con i rappresentanti pubblici.

Gli organismi religiosi e altri gruppi meritano di essere parte di questo sforzo costante.

24. Un altro principio importante, già menzionato, riguarda la partecipazione pubblica al processo decisionale relativo alla politica delle comunicazioni.

Questa partecipazione a tutti i livelli dovrebbe essere organizzata, sistematica e autenticamente rappresentativa, non deviata a favore di gruppi particolari.

Questo principio vale anche, e anzi forse ancor di più, laddove si possiedono e utilizzano i mezzi di comunicazione sociale a scopo di lucro.

Nell'interesse della partecipazione pubblica, gli operatori devono « cercare di comunicare con le persone, e non soltanto parlare loro.

Ciò implica la conoscenza delle necessità della gente, la consapevolezza dei loro problemi, la presentazione di tutte le forme di comunicazione con la sensibilità che la dignità umana esige » ( Giovanni Paolo II, Discorso agli operatori dei massmedia, Los Angeles, 15 settembre 1987 ).

La circolazione, gli indici d'ascolto, gli incassi insieme alle ricerche di mercato, sono a volte i migliori indicatori del sentire pubblico, infatti sono gli unici di cui la legge di mercato ha bisogno per operare.

Senza dubbio in tal modo si può udire la voce del mercato.

Tuttavia, le decisioni sui contenuti e sugli orientamenti dei media non dovrebbero essere affidate solo al mercato e a fattori economici, ossia ai profitti, perché non ci si può basare su questi ultimi né per tutelare l'interesse pubblico in generale né gli interessi legittimi delle minoranze in particolare.

In una certa misura si può rispondere a questa obiezione con il concetto di « nicchia », secondo il quale alcuni periodici, programmi, stazioni radio ed emittenti si rivolgono a platee particolari.

L'approccio è legittimo fino a un certo punto.

La diversificazione e la specializzazione, ossia l'organizzazione dei mezzi di comunicazione sociale per soddisfare le aspettative di un pubblico frammentato in unità sempre più piccole basate su fattori economici e modelli di consumo, non dovrebbero spingersi troppo in là.

I mezzi di comunicazione sociale devono restare un « areopagus » ( Redemptoris missio, n. 37 ), un foro per lo scambio di idee e di informazione, che riunisca gli individui e i gruppi, promuovendo la solidarietà e la pace.

Internet, in particolare, desta una certa preoccupazione circa le « conseguenze radicalmente nuove che ha: perdita del valore intrinseco degli strumenti di informazione, uniformità indifferenziata nei messaggi che vengono così ridotti a pura informazione, mancanza di retroreazione responsabile e un certo scoraggiamento nei rapporti interpersonali » ( Verso un approccio pastorale alla cultura, n. 9 ).

25. I professionisti dei mezzi di comunicazione sociale non sono gli unici ad avere doveri etici.

Anche i fruitori hanno obblighi.

Gli operatori che tentano di assumersi delle responsabilità meritano un pubblico consapevole delle proprie.

Il primo dovere degli utenti delle comunicazioni sociali consiste nel discernimento e nella selezione.

Dovrebbero informarsi sui media, sulle loro strutture, sui modi operativi, sui contenuti, e fare scelte responsabili secondo sani criteri etici circa cosa leggere o guardare o ascoltare.

Oggi tutti hanno bisogno di alcune forme di costante educazione ai media, sia per studio personale sia per poter partecipare a un programma organizzato o entrambe le cose.

Più che insegnare tecniche, l'educazione dei mezzi di comunicazione sociale contribuisce a suscitare nelle persone il buon gusto e il veritiero giudizio morale.

Si tratta di un aspetto di formazione della coscienza.

Attraverso le sue scuole e i suoi programmi di formazione la Chiesa dovrebbe offrire un'educazione in materia di media di questo tipo ( cfr Aetatis novae, n. 28; Communio et progressio, n. 107 ).

Rivolte in origine agli Istituti di vita consacrata, le seguenti parole hanno un'applicazione più ampia: « La comunità, conscia del loro influsso, ( dei Mezzi di Comunicazione Sociale, ndr ) si educa a utilizzarli per la crescita personale e comunitaria con la chiarezza evangelica e la libertà interiore di chi ha imparato a conoscere Cristo ( cfr Gal 4,17-23 ).

Essi, infatti, propongono e spesso impongono una mentalità e un modello di vita che va in costante contrasto con il Vangelo.

A questo riguardo da molte parti si richiede un'approfondita formazione alla recezione e all'uso critico e fecondo di tali mezzi.

Perché non farne oggetto di valutazione, di verifica, di programmazione nei periodici incontri comunitari? » ( Congregazione per gli Istituti di Vita Consacrata e le Società di Vita Apostolica, Vita fraterna in comunità, n. 34 ).

Parimenti, i genitori hanno il serio dovere di aiutare i loro figli a imparare in che modo valutare e utilizzare i mezzi di comunicazione sociale, formando le loro coscienze correttamente e sviluppando la loro capacità di critica ( cfr Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, n. 76 ).

Per il bene dei loro figli e del proprio, i genitori devono imparare ad essere spettatori, ascoltatori e lettori consapevoli, agendo da modello di uso prudente dei media in casa.

Secondo l'età e le circostanze i bambini e i giovani dovrebbero essere avviati alla formazione circa i mezzi di comunicazione sociale, resistendo alla tentazione semplificatoria della passività acritica, a pressioni esercitate dai loro compagni e allo sfruttamento commerciale.

Le famiglie, genitori e figli insieme, riterranno utile riunirsi in gruppi per studiare e discutere i problemi e le opportunità create dalla comunicazione sociale.

26. Oltre alla promozione dell'educazione relativa ai mezzi di comunicazione sociale, le istituzioni, le agenzie e i programmi della Chiesa hanno responsabilità importanti a proposito delle comunicazioni sociali.

Soprattutto, la pratica ecclesiale della comunicazione dovrebbe essere esemplare, rispecchiando i più alti modelli di veridicità, affidabilità, sensibilità ai diritti umani e altri principi e norme rilevanti.

Oltre a ciò, i mezzi di comunicazione sociale propri della Chiesa dovrebbero impegnarsi a comunicare la pienezza della verità sul significato della vita umana e della storia, in particolare così com'è contenuto nella Parola rivelata di Dio ed espresso dall'insegnamento del Magistero.

I Pastori dovrebbero incoraggiare l'uso dei mezzi di comunicazione sociale per diffondere il Vangelo ( cfr Codice di Diritto Canonico, Canone 822.1 ).

Chi rappresenta la Chiesa deve essere onesto e aperto nei suoi rapporti con i giornalisti.

Anche se le domande a volte sono « imbarazzanti o inquietanti, in particolare quando non corrispondono assolutamente al messaggio che dobbiamo diffondere » bisogna ricordare che « la maggior parte dei nostri contemporanei pone tali domande sconcertanti » ( Verso un approccio pastorale alla Cultura, n. 34 ).

Quanti parlano a nome della Chiesa devono dare risposte credibili e veritiere a queste domande apparentemente scomode.

I cattolici, come altri cittadini, hanno il diritto di esprimersi liberamente e quindi anche quello di accesso ai mezzi di comunicazione.

Il diritto di espressione implica quello di esprimere opinioni sul bene della Chiesa, con il dovuto riguardo per l'integrità di fede e di morale, il rispetto per i Pastori e la considerazione del bene comune e della dignità delle persone ( cfr canone 212.3; Canone 227 ).

Nessuno, tuttavia, ha il diritto di parlare a nome della Chiesa, o se lo fa, deve essere investito di tale incarico.

Non si dovrebbero presentare opinioni personali come parte dell'insegnamento della Chiesa ( cfr canone 227 ).

La Chiesa riceverebbe un servizio migliore se quanti detengono cariche e svolgono funzioni a suo nome venissero formati nella comunicazione.

Ciò non vale solo per i seminaristi, per le persone in formazione nelle comunità religiose, e per i giovani laici cattolici, ma per il personale della Chiesa in generale.

Se i media sono « neutrali, aperti e onesti » offrono a cristiani ben preparati « un ruolo missionario in prima linea » ed è importante che questi ultimi siano « sostenuti e ben istruiti ».

Anche i Pastori dovrebbero offrire al loro popolo una guida circa i mezzi di comunicazione sociale e i loro messaggi a volte discordanti e perfino distruttivi ( cfr Canone 822. 2, 3 ).

Considerazioni di questo genere valgono per la comunicazione interna alla Chiesa.

Un flusso bidirezionale di informazione e opinioni fra Pastori e fedeli, la libertà di espressione sensibile al benessere della comunità e al ruolo del Magistero nel promuoverlo, e un'opinione pubblica responsabile sono tutte espressioni importanti del « diritto fondamentale al dialogo e all'informazione in seno alla Chiesa » ( Aetatis novae, n. 10; Communio et progressio, n. 20 ).

Il diritto di espressione dovrebbe essere esercitato con rispetto per la verità rivelata e la dottrina della Chiesa e per i diritti ecclesiali degli altri ( cfr Canone 212.1,2,3, Canone 220 ).

Come altre comunità e istituzioni, anche la Chiesa a volte ha bisogno, di fatto talvolta vi è obbligata, di mantenere il segreto e la riservatezza.

Tuttavia, ciò non dovrebbe avvenire al fine di manipolare e di controllare.

Nell'ambito della comunione di fede, « I ministri, infatti, che sono rivestiti di sana potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò godono della vera dignità cristiana, aspirino tutti insieme liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza » ( Concilio Ecumenico Vaticano II, Lumen gentium, n. 18 ).

La giusta pratica nella comunicazione è una delle vie per realizzare questa visione.

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