Fiamma viva d'amor - B |
O lampade di fuoco,
nei cui splendori,
le profonde caverne del senso,
che era oscuro e cieco
con straordinarie perfezioni
calore e luce insieme danno all'Amato.
1. Voglia Dio in questa circostanza concedermi il suo favore, poiché è assolutamente necessario per spiegare la profondità di questa strofa.
Colui che la leggerà avrà bisogno di molta attenzione, poiché se è privo di esperienza forse la reputerà oscura e prolissa, mentre se la possiede gli sembrerà per sua fortuna chiara e gustosa.
In questa strofa l'anima loda e ringrazia il suo Sposo per le grandi grazie che riceve dall'unione con lui, poiché per mezzo di questa unione le comunica molte importanti notizie di se stesso, tutte amorose, con le quali illumina e innamora le potenze e il senso dell'anima, il quale prima di questa unione era oscuro e cieco.
Ora, illuminate e dotate del calore dell'amore, come effettivamente sono, possono dare luce e amore a colui che le illuminò e innamorò.
Il vero amante, infatti, è contento solamente quando offre all'amato tutto ciò che egli è, vale, possiede e riceve e quanto più offre tanto più prova piacere.
Quindi l'anima ora gode perché, a causa degli splendori e dell'amore che riceve, può risplendere davanti al suo Amato e amarlo.
Segue il verso:
O lampade di fuoco
2. In primo luogo bisogna sapere che le lampade hanno due proprietà: illuminare e dare calore.
Per comprendere che lampade siano quelle di cui parla l'anima e come illuminino e ardano in lei dando calore, è necessario sapere che Dio, nel suo unico e semplice essere, è tutte le virtù e le grandezze dei suoi attributi.
È onnipotente, saggio, buono, giusto, forte, misericordioso e amoroso, oltre a molti altri infiniti attributi e virtù che noi non conosciamo.
Ed essendo Egli nel suo semplice essere tutte queste cose, quando, unito all'anima, ritiene opportuno dargliene notizia, allora questa comincia a vedere chiaramente in lui tutte queste virtù e grandezze che sono: l'onnipotenza, la sapienza, la bontà e la misericordia, e così via.
E dal momento che ognuna di queste cose è il medesimo essere di Dio in un solo supposto, che è il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo, e che ciascuno di questi attributi è Dio stesso, il quale come è stato detto è infinita luce e infinito fuoco divino, ne segue che ciascuno di questi innumerevoli attributi emana luce e calore come Dio, e ciascuno di loro è una lampada che illumina l'anima e le dà calore d'amore.
3. E dato che l'anima riceve la notizia di questi attributi in un unico atto di unione, lo stesso Dio rappresenta per lei molte lampade, che insieme distintamente la illuminano e le danno calore, poiché ognuna le comunica una notizia distinta infiammandola d'amore.
E così l'anima ama, infiammata da ognuna e da tutte queste lampade insieme, poiché tutti questi attributi sono un unico essere, come abbiamo detto.
E così, tutte queste lampade sono una sola lampada che, a seconda delle sue virtù e attributi, illumina e arde come molte lampade.
Perciò, in un solo atto di conoscenza di queste lampade l'anima ama per mezzo di ciascuna, e al medesimo tempo ama per mezzo di tutte insieme, riportando in quell'atto la qualità dell'amore da ciascuna e per ciascuna, da tutte e per tutte insieme.
Infatti la luce che irradia la lampada dell'essere di Dio in quanto onnipotente dà all'anima luce e calore dell'amore di Dio in quanto onnipotente e, quindi, Egli è per lei lampada di onnipotenza che le da luce e notizia di questo attributo.
La luce della lampada dell'essere di Dio per quanto riguarda la sapienza dà all'anima luce e calore dell'amore di Dio come sapiente e, perciò, Egli è per lei lampada di sapienza.
E lo splendore che le dà la lampada di Dio in quanto bontà dà all'anima luce e calore dell'amore di Dio in quanto è buono, e per questo Egli diventa per lei lampada di bontà.
E allo stesso modo Dio è per lei lampada di giustizia, di forza, di misericordia e di tutti gli altri attributi che in Dio unitamente si rappresentano all'anima.
E la luce che riceve da tutti questi attributi uniti la comunica nel calore d'amore divino con cui essa ama Dio, poiché Dio è tutte queste cose.
Perciò in questa comunicazione o manifestazione che Dio fa di sé all'anima, la quale a mio parere è la più grande che può fare in questa vita, Egli è per lei come innumerevoli lampade che le danno notizia e amore di Dio.
4. Mosè vide queste lampade sul monte Sinai, dove, passando Dio, si gettò a terra e cominciò a enumerare alcuni attributi divini così dicendo: Imperatore, Signore, Dio, misericordioso, clemente, paziente, che hai molta compassione, verace, misericordioso nei millenni, che cancelli i peccati, le malvagità e i delitti e nessuno è di per sé innocente davanti a Te ( Es 34,6-7 )
Pertanto gli attributi e le virtù che Mosè lì conobbe in Dio sono quelli dell'onnipotenza, del dominio, della divinità, della misericordia, della giustizia, della verità e rettitudine di Dio.
Mosè ebbe perciò una altissima conoscenza di Dio; e poiché l'amore che ricevette fu conforme alla conoscenza, ebbe di conseguenza un diletto d'amore e una fruizione sublime.
5. Bisogna notare che il diletto che l'anima riceve nel rapimento d'amore, comunicatole dal fuoco della luce di queste lampade, è mirabile e immenso, perché è così intenso come se provenisse da molte lampade, ciascuna delle quali bruciasse d'amore e con il proprio calore alimentasse quello delle altre e con la propria fiamma alimentasse quella delle altre, allo stesso modo in cui l'una comunica luce all'altra, poiché attraverso ognuno di questi attributi se ne conosce un altro.
E così tutte quelle lampade insieme sono diventate una sola luce e un solo fuoco, pur essendo ciascuna in sé una luce e un fuoco.
Qui l'anima profondamente assorbita in delicate fiamme, piagata soavemente d'amore da ciascuna di esse e da tutte insieme e soprattutto piagata e viva nell'amore della vita divina, comprende chiaramente che quello è un amore di vita eterna e perciò contiene in sé tutti i beni.
Comprendendo tutto ciò, l'anima capisce perfettamente la verità delle parole dello Sposo dei Cantici quando dice che le lampade dell'amore erano lampade di fuoco e di fiamme ( Ct 8,6 ), Figlia del Principe sei bella nei tuoi passi e nei tuoi calzari ( Ct 7,1 ).
Chi potrà raccontare la grandiosità e sublimità del tuo diletto e la tua maestà nel meraviglioso splendore e nell'amore delle tue lampade?
6. Narra la Sacra Scrittura che anticamente una di queste lampade passò davanti ad Abramo causandogli un grande e tenebroso orrore, poiché essa era simbolo della giustizia rigorosa che egli doveva compiere nei confronti dei cananei ( Gen 15,12-17 ).
O anima fortunata, tutte queste lampade delle notizie di Dio, che amorosamente e amichevolmente ti illuminano, ti causeranno luce e diletto molto maggiori dell'orrore e delle tenebre suscitate in Abramo da quella sola luce!
Quanto grande, eccellente e vario sarà il tuo diletto, poiché da tutte e in tutte queste tu ricevi fruizione e amore, comunicandosi Dio alle tue potenze secondo le sue qualità e i suoi attributi!
Infatti quando uno ama e fa del bene a un altro, lo ama e gli fa del bene secondo la propria condizione e le proprie capacità.
E così il tuo Sposo, dimorando in te, ti concede grazie degne di sé.
Così, essendo Egli onnipotente, senti che ti fa del bene e ti ama con onnipotenza;
essendo Egli sapiente, senti che ti fa del bene e ti ama con sapienza;
essendo infinitamente buono, senti che ti ama con bontà;
essendo santo, senti che ti ama ed elargisce grazie con santità,
essendo giusto, senti che ti ama e ti concede grazie secondo giustizia;
essendo misericordioso, pietoso e clemente, senti la sua misericordia, pietà e clemenza;
ed essendo forte, sublime e delicato, senti che ti ama in modo forte, sublime e delicato;
ed essendo limpido e puro senti che ti ama in modo limpido e puro;
poiché è generoso, senti che ti ama con generosità, senza nessun interesse, solo per farti del bene;
poiché infine Egli è la virtù della somma umiltà, ti ama con grande bontà e con grande stima, e rendendoti uguale a Lui,
mostrandosi a te attraverso i sentieri delle sue notizie benevolmente ( Sap 6,17 ), con il volto pieno di grazia e dicendoti in questa unione, non senza la tua gioia: Io sono tuo e per te, e ho piacere di essere quale sono per potere essere tuo e per darmi a te.
7. O anima fortunata chi dirà ciò che senti sapendoti così amata e con tanta stima innalzata?
Il tuo ventre, che è la tua volontà, è come quello della Sposa, simile al mucchio di grano, ricoperto e circondato da gigli ( Ct 7,2 ), poiché insieme a questi granelli di pane di vita che stai gustando ricevi anche il diletto dei gigli delle virtù che ti circondano.
Queste, infatti, sono le figlie del re che, secondo David, ti dilettarono, con la mirra, l'ambra e tutte le altre spezie aromatiche ( Sal 45,9-10 ).
Poiché le notizie che ti comunica l'Amato delle sue grazie e virtù sono le sue figlie, nelle quali tu sei così assorbita e immersa da essere anche come il pozzo delle acque vive che scorrono impetuosamente dal Monte Libano ( Ct 4,15 ), che è Dio.
In ciò tu sei meravigliosamente rallegrata secondo tutta l'armonia della tua anima e anche del tuo corpo, diventata tutta un paradiso irrigato divinamente, perché in te si compia ciò che si dice nel Salmo: L'impeto del fiume rallegra la città di Dio ( Sal 46,5 ).
8. O mirabile cosa!
In questo stato traboccano acque divine dall'anima, come da un'abbondante fonte, essendovi essa ormai immersa.
Infatti, anche se è vero che questa comunicazione, della quale stiamo parlando, è luce e fuoco delle lampade di Dio, questo fuoco però, come abbiamo detto, è qui così soave e immenso che è come acque di vita, che dissetano la sete dello spirito con l'impeto desiderato.
E così queste lampade di fuoco sono acque vive dello Spirito, come quelle che vennero sopra gli Apostoli ( At 2,3 ), che erano lampade di fuoco e al tempo stesso acque pure e limpide.
Così le chiamò il profeta Ezechiele quando profetizzò la venuta dello Spirito Santo dicendo: Infonderò, dice il Signore, su di voi acque limpide e porrò il mio spirito in mezzo a voi ( Ez 36,25-26 ).
E così, sebbene sia fuoco, al tempo stesso è acqua.
Infatti questo fuoco è simboleggiato dal fuoco nascosto da Geremia nella cisterna per il sacrificio, il quale, finché rimase nascosto, era acqua e divenne fuoco quando fu tirato fuori per compiere il sacrificio ( 2 Mac 1,20-22; 2 Mac 2,1 ).
Allo stesso modo questo spirito di Dio, finché è nascosto nelle vene dell'anima, è come acqua soave e dilettevole che calma la sete dello spirito; mentre quando si esercita nel sacrificio dell'amore divino, è come le fiamme vive del fuoco, che sono le lampade e le fiamme dell'atto d'amore di cui, come abbiamo detto prima, parla lo Sposo dei Cantici ( Ct 8,6 ).
E per questo, qui, l'animale chiama fiamme, poiché non solo le gusta in sé come acqua, ma anche le esercita nell'amore di Dio come fiamme.
E poiché l'anima, nella comunicazione dello spirito di queste lampade, è infiammata ed esercitata nell'amore, con atto d'amore, preferisce chiamarle lampade piuttosto che acque dicendo: O lampade di fuoco!
Tutto ciò che si può dire in questa strofa è inferiore a ciò che avviene, perché la trasformazione dell'anima in Dio è indicibile.
Tutto si dice in questa parola: l'anima è diventata Dio per partecipazione di Dio e dei suoi attributi, che qui sono chiamati lampade di fuoco
nei cui splendori
9. Perché si capisca quali sono gli splendori delle lampade di cui parla qui l'anima e come questa risplenda in essi, bisogna sapere che questi splendori sono le notizie amorose che le lampade degli attributi di Dio danno di sé all'anima, la quale, unita a essi secondo le sue potenze, risplende come loro, trasformata in splendori amorosi.
Ma l'illuminazione degli splendori in cui l'anima rifulge con amoroso calore non è come quella delle lampade materiali che, con le loro vampe, illuminano le cose vicine, bensì è come quella che illumina le cose che sono interne alle fiamme, perché l'anima è interna a questi splendori.
Perciò dice: nei cui splendori, che significa dentro.
E non solo questo, poiché, come abbiamo detto, ormai trasformata, è diventata essa stessa splendore.
E così possiamo dire che è come l'aria accesa e trasformata dentro la fiamma, poiché la fiamma non è altro che aria infiammata e i movimenti e gli splendori di quella fiamma non sono unicamente dell'aria né del fuoco di cui è composta, ma dell'aria e del fuoco insieme, e il fuoco li fa fare all'aria che tiene infiammata in sé.
10. A queste altezze si comprende come l'anima con le sue potenze è illuminata dentro agli stessi splendori di Dio.
E i movimenti di queste fiamme divine, che sono le vibrazioni e le vampate di cui già abbiamo parlato, non sono fatti solamente dall'anima trasformata nelle fiamme dello Spirito Santo, né solamente da lui, ma dall'uno e dall'altra insieme, poiché è lui che muove l'anima, come il fuoco muove l'aria infiammata.
E così questi movimenti fatti da Dio e dall'anima insieme non sono solo splendori, bensì anche glorificazioni, poiché questi movimenti e fiammate sono i giochi e le feste gioiose che, come dicemmo nel secondo verso della prima strofa lo Spirito Santo fa nell'anima, durante i quali sembra sempre che voglia darle la vita eterna e concederle la sua gloria perfetta, introducendola davvero in sé.
Infatti tutti i beni, i primi e gli ultimi, i maggiori e i minori che Dio fa all'anima, le vengono sempre concessi con lo scopo di condurla alla vita eterna; così come avviene anche per il fuoco, i cui movimenti e fiammate nell'aria infiammata hanno lo scopo di portarla con sé al centro della sua sfera, poiché essi sono i suoi sforzi ostinati per riuscirvi.
Ma, così come, trovandosi l'aria nella propria sfera il fuoco non può riuscire nel suo intento, allo stesso modo, sebbene questi movimenti dello Spirito Santo siano efficacissimi nell'assorbire l'anima in grande gloria, tuttavia non vi riescono sino a quando non giunge il tempo nel quale essa esce dalla sfera dell'aria di questa vita corporea e può così entrare nel centro dello spirito della vita perfetta in Cristo.
11. Bisogna però sapere che questi movimenti sono piuttosto movimenti dell'anima che di Dio, perché Egli non si muove.
Perciò questi riflessi di gloria che sono concessi all'anima sono stabili, perfetti e continui, dotati di ferma serenità in Dio, cosi come in seguito saranno anche nell'anima senza alcuna alterazione del più e del meno, né interpolazione di altri movimenti.
Allora l'anima vedrà chiaramente come, sebbene le sembrasse nella vita terrena che Dio si muovesse in lei, in effetti Egli non si muova, così come il fuoco non si muove nella sua sfera, e come, non essendo essa ancora nella perfetta gloria, avesse quei movimenti e quelle fiammate nel sentimento della gloria.
12. Da quanto è stato detto e da ciò che diremo, si comprenderà in modo più chiaro quale sia l'eccellenza degli splendori di queste lampade di fuoco, e come questi splendori sono chiamati con altro nome adombramenti.
Per intendere ciò è necessario sapere che adombrare vuol dire fare ombra e fare ombra significa proteggere, favorire e concedere grazie.
Poiché essere coperti dall'ombra di qualcuno significa che questa persona ci è vicina per favorirci e proteggerci.
E perciò la grazia che fece Dio a Maria di concepire il Figlio di Dio fu chiamata dall'angelo Gabriele adombramento dello Spirito Santo, con queste parole: Lo Spirito Santo discenderà su di te e la virtù dell'Altissimo ti adombrerà ( Lc 1,35 ).
13. Per capire bene come sia questa ombra di Dio o questi adombramenti o splendori, il che è la medesima cosa essendo tutt'uno, bisogna sapere che ogni oggetto getta ombra e la produce secondo la sua natura e le sue proprietà.
Se è opaco e scuro, produce un'ombra scura, se è trasparente e sottile, produce un'ombra chiara e sottile; cosicché l'ombra delle tenebre sarà un'altra tenebra a essa proporzionata, e l'ombra della luce sarà un'altra luce a essa conforme.
14. Poiché queste virtù e attributi di Dio sono lampade accese e risplendenti, stando così vicine all'anima, come abbiamo detto, non potranno evitare di toccarla con le loro ombre, le quali a loro volta saranno accese e risplendenti come le lampade da cui sono prodotte; e così queste ombre saranno splendori.
In modo tale che l'ombra che fa all'anima la lampada della bellezza di Dio, sarà un'altra bellezza conforme alle proprietà di quella bellezza divina; e l'ombra prodotta dalla fortezza sarà un'altra fortezza conforme a quella di Dio, e l'ombra prodotta dalla sapienza divina sarà un'altra sapienza proporzionata a quella di Dio, e così si dica di tutte le altre lampade.
Anzi, per meglio dire, saranno la stessa sapienza, la stessa bellezza e la stessa fortezza di Dio in ombra; e sebbene l'anima qui non le può comprendere perfettamente, dato che tale ombra è cosi simile alla forma e alle proprietà di Dio che è lo stesso Dio in ombra, tuttavia l'anima conosce molto bene l'eccellenza di Lui.
15. Quali saranno dunque le ombre che lo Spirito Santo proietterà nell'anima delle grandezza delle sue virtù e dei suoi attributi, essendo Egli così vicino a Lei, che non solo viene toccata dalle ombre, ma è unita con loro nelle ombre e negli splendori, comprendendo e gustando in ciascuna di esse Dio, secondo le proprietà e la natura di Lui?
Infatti, l'anima intende e gusta la potenza divina nell'ombra dell'onnipotenza; intende e gusta la sapienza divina nell'ombra della sapienza divina; intende e gusta la bontà infinita nell'ombra della bontà infinita; e infine gusta la gloria di Dio nell'ombra della gloria che permette di conoscere le proprietà e la natura della gloria divina.
Tutto ciò avviene nell'ombra chiara di quelle lampade risplendenti e accese, le quali sono una sola lampada di un unico e semplice essere di Dio che attualmente risplende in tutti questi modi.
16. Che cosa sentirà qui l'anima sperimentando la notizia e la comunicazione di quella visione, che ebbe Ezechiele, di un animale a quattro facce e di una ruota a quattro ruote, vedendo come il loro aspetto è quello di carboni accesi e di lampade, e vedendo la ruota, che è la sapienza di Dio, piena di occhi interni e esterni, che sono le notizie di Dio e gli splendori delle sue virtù, e sentendo nel suo spirito il suono che faceva al suo passaggio, che era come il suono di una moltitudine o di un esercito, in cui sono simboleggiate le grandezze di Dio, che l'anima ora conosce una a una nell'unico suono del passo che Dio compie per lei.
Gustando quel suono del battito delle sue ali, il quale, dice il profeta, era come il suono di molte acque e come suono di Dio altissimo, parole che si riferiscono all'impeto delle acque divine, di cui abbiamo già parlato, le quali, mentre lo Spirito Santo aleggia sulla fiamma dell'amore dilettando l'anima, la investono, godendo in questa circostanza della gloria di Dio, nella sua immagine e ombra, come anche il profeta dice, che la visione di quell'animale e di quella ruota era un'immagine della gloria del Signore! ( Ez 1,5-28 ).
Chi potrà dire quanto si senta elevata quest'anima fortunata, quanto si veda glorificata e meravigliosa nella sua santa bellezza?
Vedendosi essa investita in modo tale e con tanta abbondanza dalle acque di questi divini splendori, comprende che il Padre Eterno le ha concesso generosamente il terreno irrigato superiore e inferiore, come fece il padre con Asca quando ella lo chiese sospirando ( Gs 15,18-19 ).
Infatti queste acque, irrigando, penetrano nell'anima e nel corpo, che sono la parte superiore e inferiore.
17. O meravigliosa eccellenza di Dio!
Infatti, queste lampade degli attributi divini si vedono e si assaporano in modo distinto, nonostante si gustino in un unico essere e siano accese allo stesso modo e ognuna sia sostanzialmente l'altra!
O abisso di diletti!
Tanto più abbondante quanto più le tue ricchezze sono raccolte nell'unità e nella semplicità infinita del tuo unico essere, dove il conoscere e il godere dell'uno non escludono la conoscenza e il godimento perfetto dell'altro; anzi ogni grazia e virtù che è in te è luce di qualsiasi altra tua grandezza.
Poiché a causa della tua purezza, o Sapienza divina, si vedono in te molte cose guardandone una, perché tu sei il deposito dei tesori del Padre, lo splendore della luce eterna, specchio senza macchia e immagine della sua bontà ( Sap 7,26 ), nei cui splendori
le profonde caverne del senso
18. Queste caverne sono le potenze dell'anima, memoria, intelletto e volontà, che sono tanto profonde quanto capaci di beni grandi, poiché non si soddisfano se non con beni infiniti.
Da ciò che patiscono quando sono vuote si può capire, in qualche modo, quale sia il loro piacere quando sono piene di Dio, poiché due cose contrarie si chiariscono a vicenda.
Prima di tutto bisogna notare che queste caverne delle potenze, quando non sono vuote, pure e depurate da ogni affetto umano, non sentono il grande vuoto della loro profonda capacità; infatti, ogni piccola cosa che in questa vita si attacchi loro è sufficiente a renderle imbarazzate e alienate, tanto che non sentono il loro danno, né la mancanza dei loro immensi beni, né conoscono la loro capacità.
Vale la pena di notare come, essendo capaci di infiniti beni, sia sufficiente il più piccolo di questi per dar loro imbarazzo, in modo tale che non li possono ricevere finché non saranno svuotate completamente, come diremo in seguito.
Quando però sono vuote e purificate, la sete, la fa e l'ansia del senso spirituale diventano intollerabili.
Infatti, poiché gli antri di queste caverne sono profondi, le anime soffrono profondamente, dal momento che il cibo che a loro manca, ossia Dio, è anch'esso profondo.
Di norma l'anima sperimenta questo grande sentimento quando la sua illuminazione e purificazione sono quasi compiute, poco prima di arrivare all'unione, dove quei desideri sono soddisfatti.
Poiché l'appetito spirituale è vuoto e libero da ogni creatura e da ogni affezione, perduta la sua tempra naturale e forgiato in modo divino, fatto ormai l'anima il vuoto in sé, ma non avendo ancora avuto la comunicazione del divino nell'unione con Dio, essa avverte la pena di questo vuoto e una sete maggiore della morte, soprattutto quando da alcuni spiragli o riflessi traspare qualche raggio divino senza che tuttavia esso le si comunichi.
Queste anime sono coloro che soffrono con amore impaziente e che non possono stare a lungo senza ricevere tale comunicazione, altrimenti muoiono.
19. La prima caverna di cui ora ci occupiamo è l'intelletto.
Il suo vuoto è sete di Dio, e questa è così grande, quando ormai il vuoto è disposto, che David la paragona a quella del cervo, la quale dicono sia molto veemente, non essendocene un'altra maggiore con cui confrontarla: come il cervo desidera la sorgente delle acque, così la mia anima ti desidera, Dio ( Sal 42,1 ).
E questa è la sete delle acque della sapienza di Dio, che è oggetto dell'intelletto.
20. La seconda caverna è la volontà, e il vuoto di questa è una fame di Dio così grande che fa venir meno l'anima, come dice ancora David: L'anima mia vien meno e brama i tabernacoli del Signore ( Sal 84,3 ).
E questa è la fame della perfezione d'amore a cui l'anima aspira.
21. La terza caverna è la memoria, e il vuoto di questa corrisponde allo struggimento e all'inquietudine dell'anima per il desiderio di possedere Dio, come nota Geremia quando dice: Memoria memor ero et tabescet in me anima mea ( Lam 3,20 ), cioè: con memoria me lo ricorderò ( id est: molto me ne ricorderò ), e la mia anima si struggerà dentro di me; ripensando a queste cose nel mio cuore, vivrò nella speranza di Dio.
22. È dunque profonda la capacità di queste caverne poiché ciò che possono contenere, che è Dio, è profondo e infinito.
In un certo qual modo la loro capacità sarà infinita, come infinita sarà la loro sete; anche la loro fame sarà profonda e infinita, così come la loro inquietudine e la loro pena saranno morte infinita.
E sebbene non si soffra intensamente come nell'altra vita, tuttavia si patisce una viva immagine di quella privazione infinita, essendo l'anima disposta a ricevere la sua pienezza.
Tale sofferenza però è di un altro tipo, poiché avviene nel seno dell'amore della volontà, il che non allevia la pena poiché quanto più grande è l'amore tanto più è impaziente di possedere il suo Dio che sempre aspetta con intenso desiderio.
23. Ma, Dio mio, poiché è vero che quando l'anima desidera veramente Dio, possiede già ciò che ama, come dice san Gregorio commentando san Giovanni, come può soffrire per quello che già possiede?
Infatti nel desiderio – di cui parla san Pietro – che gli angeli hanno di vedere il Figlio di Dio ( 1 Pt 1,12 ) non vi è nessuna pena né ansia poiché già lo possiedono.
E così, sembra che quanto più l'anima desidera Dio tanto più lo possiede e il possesso di Dio le dà diletto e sazietà, come accade agli angeli che, mentre soddisfano il loro desiderio, nel possesso si dilettano, essendo sempre sazia la loro anima senza alcun fastidio, per cui dal momento che non vi è fastidio, sempre desiderano e, poiché vi è possesso, non soffrono.
L'anima, dunque, non dovrebbe provare dolore e pena, ma sentire tanto più diletto e sazietà quanto maggiore è il suo desiderio, poiché quanto più essa desidera tanto più possiede Dio.
24. Per quanto riguarda tale questione è bene notare la differenza che esiste tra possedere Dio solo per grazia e possederlo anche per unione.
L'una cosa equivale a volersi bene, l'altra a donarsi.
La differenza grande come quella che esiste tra il fidanzamento e il matrimonio.
Infatti, nel fidanzamento si ha un solo sì e una sola volontà da entrambe le parti, e gioielli e ornamenti donati dal fidanzato; ma nel matrimonio vi è anche la comunicazione delle persone e l'unione di queste.
Nel fidanzamento, anche se alcune volte il fidanzato visita la fidanzata e le porta dei regali, come abbiamo detto, non vi è l'unione tra le persone, poiché questo è il fine del fidanzamento.
Ugualmente avviene quando l'anima è arrivata a tanta purezza in sé e nelle sue potenze, che la sua volontà è purificata da tutti i gusti e gli appetiti estranei a Dio, sia secondo la parte inferiore che superiore, e ha dato il suo totale assenso a Dio; essendo la volontà di Dio e dell'anima ormai una sola grazia a un consenso personale e libero.
Così essa è giunta al possesso di Dio per grazia della volontà, ossia per quanto possibile per mezzo di questa facoltà e della grazia.
Poiché Dio, nello stesso sì dell'anima, ha dato il vero e totale sì della sua grazia.
25. Questo è uno stato elevato del fidanzamento spirituale dell'anima con il Verbo, nel quale lo Sposo le fa grandi grazie e frequenti visite amorose ed essa riceve grandi favori e diletti.
Tuttavia questi non hanno niente a che vedere con quelli del matrimonio, essendo concessi con il solo fine di disporre l'anima a tale unione.
Infatti, sebbene sia vero che tutto questo avviene nell'anima ormai purificata da ogni affetto di creatura – poiché non si dà il fidanzamento spirituale se non, come abbiamo detto, in queste condizioni –, tuttavia è altrettanto vero che l'anima ha bisogno di altre disposizioni positive da parte di Dio, delle sue visite e doni, grazie ai quali diventa più pura, più bella e più delicata, per essere convenientemente preparata a un'unione così alta.
E per questo è necessario del tempo, per alcune anime di più per altre di meno, perché Dio opera adattandosi all'anima.
E questo è simboleggiato dalle fanciulle che furono scelte per il re Assuero: esse, portate via dalla loro terra e dalla casa dei loro genitori, prima di essere introdotte nel letto del re rimasero chiuse un anno nel palazzo reale, in modo che nella prima metà dell'anno si preparassero con unguenti di mirra e di altre spezie, e nella seconda con altri unguenti ancora più preziosi.
Solo dopo tutto ciò potevano accedere al letto del re ( Est 2,2-4.8-14 ).
26. Al tempo di questo fidanzamento e delle unzioni dello Spirito Santo nell'attesa del matrimonio, quando sono più preziosi gli unguenti che preparano all'unione con Dio, le ansie delle caverne dell'anima sono solite essere fortissime e delicatissime.
Infatti, poiché tali unguenti dispongono l'anima all'unione con Dio, giacché sono molto affini a lui, e perciò allettano l'anima in modo soave con il sapore e la dolcezza divina, il desiderio dell'anima è più delicato e profondo, essendo il desiderio di Dio la predisposizione a unirsi con Lui.
27. Che momento opportuno è questo, anche se esula da ciò di cui stiamo parlando, per avvisare le anime, a cui Dio dona queste unzioni delicate, perché guardino quello che fanno e in che mani si mettono, affinché non tornino indietro!
Ma è tanto il dolore e la pena che provo nel mio cuore quando vedo le anime tornare indietro, non solo perché non si lasciano ungere in modo da progredire nell'unzione, ma anche perché perdono gli effetti di questa, che non posso fare a meno di avvertirle riguardo a ciò che debbono fare per evitare un danno così grave.
Quindi indugeremo un poco prima di tornare all'argomento principale, al quale tuttavia torneremo, sebbene tutto ciò sia utile anche per una maggiore comprensione delle proprietà di questa caverna.
Voglio parlare inoltre, poiché è necessario, non solo a quelle anime che avanzano sicure, ma anche a tutte le altre che cercano il loro Amato.
28. In primo luogo bisogna sapere che se l'anima cerca Dio, ancor di più il suo Amato cerca lei.
E se essa gli rivolge i suoi desideri amorosi, che per lui sono tanto profumati quanto le fragranze che emanano le spezie aromatiche della mirra e dell'incenso ( Ct 3,6 ), egli le invia il profumo dei suoi unguenti, con il quale l'attrae e la fa correre verso di lui ( Ct 1,2-3 ), che sono le ispirazioni e i tocchi divini.
E questi, ogni volta che provengono da Dio, vanno scelti e ordinati guardando alla perfezione della legge divina e della fede, poiché è grazie a questa che l'anima deve avvicinarsi sempre di più a Dio.
E così, l'anima deve capire che il desiderio di Dio, che egli le concede con le sue grazie, con le sue unzioni e con i profumi dei suoi unguenti, serve a prepararla ad altri unguenti più sublimi e delicati, più simili alla natura divina, finché essa non diventa così delicata e pura da meritare l'unione con Dio e la trasformazione sostanziale in tutte le sue potenze.
29. L'anima deve sapere che in questa opera Dio è l'agente principale e la guida che la deve condurre per mano dove lei non saprebbe andare, cioè ai beni soprannaturali, poiché né il suo intelletto né la sua volontà né la sua memoria sono in grado di conoscerli.
Così tutta la sua attenzione deve essere riposta nel non ostacolare colui che la guida nel cammino voluto da Dio, ordinato alla perfezione della legge divina e della fede, come abbiamo detto.
Ora, l'anima pone tali impedimenti se si lascia condurre e guidare da un altro cieco.
E i ciechi che la potrebbero sviare dal cammino sono tre, ossia: il maestro spirituale, il demonio ed essa stessa.
E perché l'anima capisca come ciò avvenga, parleremo un poco di ognuno.
30. Per quanto riguarda il primo, conviene all'anima che vuole progredire nel raccoglimento e nella perfezione guardare in quali mani si affida, poiché il discepolo sarà uguale al maestro, così come il figlio al padre.
Bisogna sapere che, per quanto riguarda questo cammino, per lo meno per la parte più elevata, e anche per quella di mezzo, non sarà facile trovare una guida adatta e che possieda tutte le caratteristiche di cui c'è bisogno, perché oltre a essere saggia e discreta, è necessario che sia esperta.
Poiché per guidare lo spirito, sebbene sono fondamentali la scienza e il discernimento, se non vi è esperienza di ciò che è puro e vero spirito, non sarà possibile condurvi l'anima quando Dio lo concederà, e neppure si potrà capirlo.
31. In questo modo molti maestri spirituali danneggiano gravemente numerose anime poiché, non conoscendo le vie e le proprietà dello spirito, fanno perdere alle anime l'unzione di quei delicati unguenti con i quali lo Spirito Santo le unge e le prepara a sé, insegnando loro quei modi vili che hanno usato o letto da qualche parte e che servono solo ai principianti.
Poiché, non sapendo se non ciò che serve a questi, non vogliono lasciare che le anime vadano oltre quei principi e quei modi discorsivi e immaginativi, sebbene Dio vorrebbe condurle oltre questi modi, affinché non superino né escano fuori dalle capacità naturali, cosicché l'anima può progredire ben poco.
32. Perché comprendiamo più chiaramente in cosa consista questa condizione di principianti, bisogna sapere che lo stato e la pratica di costoro è meditare e fare atti ed esercizi discorsivi con l'immaginazione.
In questa condizione è necessario dare all'anima materia per meditare e ragionare, ed essa per proprio conto deve fare atti interiori approfittando del sapore sensibile nei beni spirituali, affinché, nutrendo l'appetito con il sapore delle cose spirituali, si allontani da quello delle cose sensibili e abbandoni definitivamente le cose mondane.
Ma quando l'appetito è già in parte nutrito e abituato alle cose dello Spirito, con forza e costanza, comincia Dio a svezzare l'anima e a porla in stato di contemplazione; questo passaggio suole avvenire molto velocemente in alcune persone, soprattutto in quelle che hanno abbracciato la vita religiosa, perché, negate le cose mondane, più rapidamente dispongono il senso e l'appetito a Dio e ne trasferiscono l'esercizio allo spirito, operando Dio in loro.
Ciò avviene quando cessano gli atti discorsivi e riflessivi dell'anima, così come i gusti e i fervori sensibili del passato.
L'anima infatti non può più discorrere come prima, né trovare alcun appoggio nel senso, trovandosi questo in uno stato di aridità ed essendo mutata la sua capacità di ricevere lo spirito, il quale non può cadere sotto il senso.
E poiché, per natura, tutte le operazioni che può da sé compiere l'anima avvengono attraverso i sensi, ne consegue che in questo stato Dio è l'agente e l'anima la paziente; infatti essa si comporta solamente come colei che riceve e in cui viene fatto qualcosa, e Dio come colui che dà e che agisce in lei, comunicandole i beni spirituali nella contemplazione, la quale è notizia e amore divino al tempo stesso, ossia notizia amorosa, senza che lei faccia uso dei suoi atti e ragionamenti naturali, poiché ora non può più occuparsene come prima.
33. Ora però l'anima deve essere guidata in modo contrario a quello di prima.
Se prima le venivano dati argomenti da meditare, ora invece devono esserle sottratti e impedita la meditazione, poiché anche se vorrà non potrà meditare e, invece di raccogliersi in se stessa, si distrarrà.
E se prima cercava, trovandoli, sapore e fervore, ora invece non li deve volere né cercare, poiché non solo non li troverà nonostante l'impegno, ma ne ricaverà solo aridità, poiché si distrae dal bene pacifico e quieto che segretamente le stanno dando nello spirito, a causa dell'attività che essa vuole svolgere attraverso i sensi, e così perdendo una cosa non farà l'altra.
Infatti, ora, i beni non le vengono comunicati per mezzo del senso come una volta.
Per questo motivo, in tale stato non bisogna imporle in nessun modo di meditare né di agire, né di procurarsi gusti o fervori, perché in questo modo si ostacolerebbe l'agente principale che, come dico, è Dio, il quale, segretamente e pacificamente, infonde sapienza e notizia amorosa senza atti specifici, anche se a volte fa sì che nell'anima essi si determinino per un breve momento.
Allora l'anima deve solo camminare con attenzione amorosa a Dio, senza fare atti particolari, comportandosi, come abbiamo detto, in modo passivo, senza porre alcuna diligenza, con l'attenzione amorosa semplice e pura, come chi apre gli occhi disposto all'amore.
34. Poiché Dio comunica con lei con notizia semplice e amorosa, anche l'anima si dispone verso di Lui in modo da ricevere per mezzo di una attenzione o notizia semplice e amorosa, affinché in questo modo si unisca notizia con notizia e amore con amore.
Infatti è conveniente che chi riceve si adatti alla cosa ricevuta e non viceversa, per poterla ricevere e ritenere come gli viene data, poiché, come dicono i filosofi, qualsiasi cosa si riceva si riceve al modo del recipiente.
Da ciò si deduce che, se l'anima non abbandonasse il suo modo naturale di agire, riceverebbe quel bene solo in modo naturale, ossia non lo riceverebbe, rimanendo solamente con un atto naturale; poiché il soprannaturale non può essere contenuto in ciò che è naturale né ha niente a che vedere con quello.
E così se l'anima volesse agire da sé, comportandosi in modo differente dall'attenzione amorosa passiva di cui ho parlato, cioè senza fare atti naturali, se non quando Dio la unisse a sé con un certo atto, essa ostacolerebbe i beni che in modo soprannaturale Dio le sta comunicando nella notizia amorosa, passivamente e tranquillamente.
Ciò avviene all'inizio con un esercizio di purificazione interiore nel quale essa soffre, come abbiamo detto prima, e poi successivamente con soavità d'amore.
E se, come è vero, l'anima riceve tale notizia amorosa passivamente, secondo il modo soprannaturale di Dio e non secondo il modo naturale dell'anima, ne consegue che per riceverla essa deve essere annichilita nelle sue azioni naturali, svuotata, oziosa, quieta, pacifica e serena, come vuole Dio.
Così come l'aria, la quale più è libera dai vapori, limpida e serena, più il sole la illumina e riscalda.
Perciò l'anima non deve attaccarsi a nulla, né all'esercizio della meditazione, né a gusto sia sensibile sia spirituale; né a qualsiasi altra apprensione, poiché si richiede per questo stato che lo spirito sia libero e annichilito riguardo a qualsiasi cosa.
Infatti qualsiasi pensiero, discorso o gusto a cui essa volesse appoggiarsi costituirebbe per lei un impedimento, una rovina, un rumore nel profondo silenzio che ci deve essere nell'anima secondo il senso e lo spirito, silenzio indispensabile per un così profondo e delicato ascolto.
Infatti, come dice Osea, in questa solitudine Dio parla al cuore ( Os 2,14 ), in somma pace e tranquillità, ascoltando e sentendo l'anima ciò che il Signore le dice, poiché in questa solitudine, secondo David, Egli le comunica pace ( Sal 85,9 ).
35. Se dovesse quindi accadere all'anima di sentirsi mettere in questo modo in silenzio e in ascolto, essa deve dimenticare, come dissi, anche l'avvertenza amorosa, per potere essere totalmente libera per ciò che allora il Signore vuole da lei.
Infatti, l'anima deve servirsi di quella avvertenza amorosa solo quando non sente di essere messa in solitudine, riposo interiore, dimenticanza o ascolto spirituale.
Tutto ciò, affinché sia più chiaro quando avvenga, è accompagnato da una condizione di pace o rapimento interiore.
36. Perciò, in tutto questo periodo, quando l'anima ha cominciato a entrare in questo stato di contemplazione semplice e tranquillo, che avviene quando non può né riesce a meditare, non deve preoccuparsi di farlo, né deve appoggiarsi a sapori e gusti spirituali, ma piuttosto deve rimanere senza alcun sostegno, lo spirito completamente distaccato da tutto, come fece Abacuc per ascoltare quello che Dio gli diceva: Starò in piedi sul posto di guardia e fermerò il passo sul forte e contemplerò ciò che mi dirà ( Ab 2,1 ).
E così è come se dicesse: innalzerò l'anima sopra tutte le azioni e notizie che possono cadere sotto i miei sensi e su quanto essi possono ritenere in sé e custodire, lasciando tutto ciò più in basso; fermerò il passo delle mie potenze, impedendo ogni loro operazione, affinché possa ricevere attraverso la contemplazione ciò che mi sarà comunicato da parte di Dio, poiché, come abbiamo detto, la contemplazione pura consiste nel ricevere.
37. È possibile infatti ricevere l'altissima sapienza e parola di Dio, quale è la contemplazione, solo con uno spirito silenzioso e distaccato da gusti e notizie discorsive.
Lo afferma Isaia con queste parole: A chi insegnerà la scienza e a chi farà udire le sue parole?
A coloro che sono svezzati dal latte, cioè dai gusti e dai sapori, e a coloro che si sono staccati dal petto ( Is 28,9 ), ossia dalle notizie e apprensioni particolari.
38. O anima spirituale, togli i bruscoli, i peluzzi e la nebbia e pulisci l'occhio, il sole brillerà luminoso davanti a te e vedrai chiaramente.
O maestro spirituale, poni l'anima nella pace, traendola fuori e liberandola dal giogo e dalla servitù delle deboli operazioni delle sue capacità, che è la sua schiavitù d'Egitto, dove tutto si riduce a mettere insieme la paglia per cuocere la creta ( Es 1,14; Es 5,7-19 ),
e guidala alla terra promessa dove scorrono latte e miele ( Es 3,8.17; Es 13,5; Es 33,3; Lv 20,24; Dt 6,3; Dt 26,9; Sir 46,10 );
e considera che per questa libertà dei figli di Dio e per questo riposo santo Dio la chiama nel deserto, dove si vestirà a festa e si adornerà con gioielli d'oro e d'argento ( Es 32,2-3; Es 33,5 ), avendo già spogliato l'Egitto, lasciandolo privo delle sue ricchezze ( Es 12,33-36 ), cioè la parte sensitiva.
E non solo questo, ma ha anche affogato i gitani nel mare ( Es 14,27-30 ) della contemplazione, dove il gitano del senso, non trovando spazio per posare il piede né sostegno, affoga e lascia libero il figlio di Dio, il quale è lo spirito uscito ormai fuori dai limiti angusti della sensibilità e libero dalla schiavitù dell'amore dei sensi.
Infatti il suo modo limitato di intendere, il suo rozzo modo di sentire, il suo povero modo di amare e gustare è troppo poco perché Dio gli dia la soave manna ( Es 16,14 ), il cui sapore – al quale tu vorresti condurre faticosamente l'anima –, sebbene abbia in sé tutti i sapori e gusti ( Sap 16,20-21 ), essendo così delicata che si disfa in bocca, non si potrà assaporare se si cercherà di sentire insieme il gusto di qualche altra cosa.
Quando l'anima si avvicina a questo stato, cerca di distoglierla da tutti i desideri di piacere, sapore, gusto e meditazione spirituale, e non inquietarla con la cura e la sollecitudine di cose superiori e tanto meno di cose inferiori, rendendola il più possibile distaccata e solitaria; infatti quanto prima raggiungerà questa oziosa tranquillità, con tanta più abbondanza si infonderà in lei lo spirito della divina sapienza, che è amoroso, tranquillo, solitario, pacifico, soave, inebriante, nel quale essa si sente rapita e piagata teneramente e dolcemente, senza sapere da chi né da dove né come.
Ciò accade perché la comunicazione è avvenuta senza l'aiuto delle sue facoltà.
39. Una piccola parte di ciò che Dio opera nell'anima in questo santo ozio e solitudine è un bene inestimabile molto più grande di quello che l'anima, e colui che si occupa di lei, possano pensare.
E sebbene ciò ora non si comprenda pienamente, risplenderà a suo tempo.
Quello che ora l'anima può percepire è un senso di distacco e di straniamento, alcune volte maggiore, altre minore, verso tutte le cose, con un'inclinazione alla solitudine e al tedio per tutte le creature e per il mondo.
Tutto ciò però avviene nel respiro soave di amore e di vita nello spirito.
Cosicché, tutto quello che non fa parte di questa solitudine diventa per lei insipido, poiché, come dicono, una volta gustato lo spirito, la carne risulta insipida.
40. Ma i beni che questa silenziosa comunicazione e contemplazione lascia impressi nell'anima senza che essa allora li senta sono, come dico, inestimabili, perché sono unzioni segretissime, e perciò delicatissime, dello Spirito Santo, che segretamente riempiono l'anima di ricchezze, doni e grazie spirituali, giacché, essendo Dio che li fa, Egli opera come Dio.
41. Queste unzioni e sfumature tanto delicate e sublimi dello Spirito Santo che, per la loro soavità e per la loro sottile purezza non possono essere intese dall'anima né da colui che la guida, bensì solo da colui che le infonde per compiacersi maggiormente in lei, è sufficiente che l'anima voglia fare da sé anche il minimo atto con la memoria, l'intelletto, la volontà, o usare il senso o l'appetito o una qualche notizia, o ricercare qualche piacere o gusto, perché vengano disturbate e impedite.
E ciò è un grave danno, dolore e perdita grande per l'anima.
42. Questa circostanza è grave e degna di nota, poiché, non sembrando importante ciò che si frappose in quelle sante unzioni, il danno è maggiore e più doloroso che se si danneggiassero e perdessero molte anime comuni che non si trovano in una condizione di tanto sublime splendore e sfumatura!
Se un volto dipinto con cura e in modo delicato fosse ritoccato da una mano rozza e con colori volgari e grossolani, il danno sarebbe maggiore e più rilevante e più grave il peccato, che se quella mano avesse rovinato molti altri volti dipinti di minore valore.
Chi riuscirà a imitare quella mano tanto delicata, che era quella dello Spirito Santo, la cui opera fu rovinata da quella rozza mano?
43. Pur essendo un danno più grave di quello che si possa descrivere, è così comune e frequente che molto difficilmente si troverà un maestro spirituale che non lo faccia con quelle anime che Dio comincia ad accogliere nello stato di contemplazione.
Infatti, quante volte mentre Dio sta ungendo delicatamente l'anima contemplativa con notizia amorosa, serena, pacifica, solitaria, estranea ai sensi e a ciò che si può pensare, cosicché essa non può né meditare, né pensare a nulla, né provare piacere in alcuna cosa del cielo e della terra, poiché Dio la tiene occupata in quell'unzione solitaria, inclinandola all'ozio e alla solitudine, verrà un maestro spirituale che saprà solo dare martellate e colpire le potenze come un fabbro, e dal momento che non sa insegnare che quello e non sa fare altro che meditare, dirà: su, lasciate questi riposi che non sono altro che ozi e perdite di tempo, meditate invece facendo atti interiori, poiché è necessario che voi da parte vostra facciate ciò che dipende da voi, mentre queste altre cose sono illusioni e sciocchezze.
44. E così, non intendendo né i gradi dell'orazione né le vie dello spirito, costoro non riescono a capire se non quegli atti che vogliono imporre all'anima, desiderando che questa cammini con il ragionamento, il che è già accaduto visto che quell'anima è arrivata alla negazione e al silenzio del senso e del discorso; ed è giunta alla via dello spirito, cioè alla contemplazione, in cui cessa l'azione del senso e del discorso proprio dell'anima, e Dio è il solo agente e colui che parla segretamente all'anima solitaria e muta.
E così essendo entrata quest'anima nelle vie dello spirito come abbiamo detto, se la vogliono ancora fare camminare per le vie del senso, tornerà indietro e si distrarrà; infatti chi è arrivato al traguardo, se si rimette a camminare per raggiungerlo, oltre a essere ridicolo, necessariamente se ne allontana.
E così, essendo arrivato per mezzo delle potenze al raccoglimento quieto cui aspira ogni spirituale, in cui cessa l'opera delle stesse potenze, non solo sarebbe cosa inutile tornare ad agire con quelle stesse potenze per arrivare al raccoglimento, ma sarebbe per lei anche dannoso, in quanto si distrarrebbe e perderebbe il raccoglimento che già possiede.
45. Questi maestri spirituali, non comprendendo, come ho già detto, che cosa sia il raccoglimento e la solitudine spirituale dell'anima, né le sue proprietà, solitudine nella quale Dio infonde nell'anima queste sublimi unzioni, sovrappongono e frappongono altri unguenti di più basso esercizio spirituale, facendo operare l'anima come abbiamo detto.
Tra ciò e quello che l'anima aveva vi è tanta differenza quanta ce n'è tra l'operare umano e quello divino, tra il naturale e il soprannaturale; poiché nell'un caso Dio opera nell'anima in modo soprannaturale, nell'altro è l'anima a operare solo naturalmente.
E la cosa peggiore è che, per esercitare la sua operazione naturale, perde la solitudine e il raccoglimento interiore e, conseguentemente, l'opera sublime che Dio sta dipingendo in lei; e così tutto si riduce a dar colpi al ferro, facendo danno da una parte e senza guadagnare dall'altra.
46. Queste persone che guidano le anime ricordino e considerino che il principale agente e guida di queste, in tale assunto, non sono loro, bensì lo Spirito Santo, che non tralascia mai di prendersene cura; e che loro sono solo strumenti per indirizzarle alla perfezione per mezzo della fede e legge di Dio, secondo lo spirito che Dio concede a ciascuna di loro.
E così tutta la loro preoccupazione non sia nel rendere le anime conformi al loro modo e alla loro condizione, ma nel sapere dove Dio le vuole condurre, e se non lo sanno le lascino andare senza perturbarle.
E conformemente al cammino e allo spirito attraverso i quali Dio le conduce, cerchino d'indirizzarle verso una maggiore solitudine, libertà, tranquillità e profondità dello spirito, affinché non attacchino il senso spirituale e corporeo a nessuna cosa particolare interiore ed esteriore quando Dio le conduce attraverso questa solitudine.
E non si preoccupino e non sollecitino l'anima pensando che ozi, poiché, anche se l'anima non agisce, Dio opera in lei.
Loro si preoccupino di sgravare l'anima e di collocarla in solitudine e in riposo, in modo che non si attacchi a nessuna notizia particolare del cielo e della terra, né a nessun desiderio di qualche gusto né a qualsiasi altra apprensione, in modo che resti vuota nella negazione, pura di tutte le creature, in povertà spirituale; questo è ciò che deve fare l'anima da parte sua, come consiglia il Figlio di Dio quando dice: Colui che non rinuncia a tutte le cose che possiede, non può essere mio discepolo ( Lc 14,33 ).
Con ciò si intende non solo la rinuncia a tutte le cose temporali secondo la volontà, ma anche la disappropriazione di quelle spirituali, delle quali fa parte la stessa povertà spirituale, in cui il Figlio di Dio ripone la beatitudine ( Mt 5,3 ).
In questo modo abbandonando l'anima tutte le cose, giungendo a essere libera e sciolta nei loro confronti, che è, come abbiamo detto, ciò che può fare per proprio conto, è impossibile che Dio non faccia ciò che dipende da Lui, comunicandosi a lei almeno segretamente.
È impossibile così come è inevitabile che un raggio di sole non riesca a entrare in un luogo sereno e sgombro.
Infatti, come il sole che sorge colpisce la tua casa per entrare se gli apri la finestra, così Dio, che per custodire Israele che non dorme, neppure Egli dorme ( Sal 121,4 ), entrerà nell'anima vuota e la riempirà dei beni divini.
47. Dio sta come il sole sulle anime per donarsi a loro.
Perciò coloro che le guidano si accontentino di disporle a questo secondo la perfezione evangelica, che è la nudità e il vuoto del senso e dello spirito, e non vogliano passare oltre a edificare, ufficio che è proprio del Padre delle luci, da cui discende ogni dono buono e perfetto ( Gc 1,17 ).
Perché come dice David: Se il Signore non edifica la casa, invano lavora chi la edifica ( Sal 127,1 ).
E colui che è l'artefice soprannaturale edificherà soprannaturalmente in ogni anima l'edificio che vorrà, se tu la disporrai, cercando di annichilire le sue operazioni e affetti naturali, con i quali non ha capacità né forza per costruire l'edificio soprannaturale, anzi in questa circostanza più che aiutarla la disturbano.
Tuo compito è quindi disporre l'anima, mentre quello di Dio è, come dice il Saggio, dirigerne i passi ( Pr 16,9 ) verso i beni soprannaturali per vie e modi che né tu né l'anima potete intendere.
Perciò non dire che l'anima non procede oltre poiché non fa nulla; perché se è vero che non fa nulla, io ti dimostrerò che, proprio perché non fa nulla, fa molto.
Infatti se l'intelletto si va allontanando da conoscenze particolari, naturali e spirituali, avanza, e quanto più si allontana da esse e dagli atti della conoscenza, tanto più l'intelletto si avvicina al sommo bene soprannaturale.
48. Dirai che l'anima non intende distintamente nessuna cosa e così non può progredire.
Ma io ti rispondo che, se intendesse distintamente, non potrebbe andare avanti, poiché Dio, a cui va l'intelletto, trascende l'intelletto e, dunque, è incomprensibile e inaccessibile all'intelletto, cosicché, quando l'intelletto intende, non si avvicina a Dio, anzi si allontana da Lui.
Perciò bisogna allontanare l'intelletto da se stesso e dal suo atto, per giungere a Dio, camminando in fede, credendo senza intendere.
E, in questo modo, l'intelletto arriva alla perfezione, perché attraverso la fede e non in altri modi si unisce a Dio; e l'anima si avvicina di più a Dio senza intendere piuttosto che intendendo.
Quindi non ti preoccupare giacché se l'intelletto non torna indietro - e ciò avverrebbe se volesse applicarsi a notizie distinte, a ragionamenti e pensieri, mentre invece vuole rimanere tranquillo –, va avanti, poiché si svuota di tutto ciò che può contenere.
Infatti nulla di tutto questo era Dio, perché Dio, come abbiamo detto, non può essere compreso dall'intelletto.
E in questo stato di perfezione il non tornare indietro significa andare avanti, e il procedere dell'intelletto consiste nel consolidarsi nella fede, ossia nel mettersi all'oscuro, perché la fede è tenebra per l'intelletto.
Di conseguenza, poiché l'intelletto non può sapere com'è Dio, necessariamente deve procedere del tutto sottomesso, senza intendere; e così, per il suo bene, gli conviene ciò che tu condanni, cioè che non si applichi in intelligenze distinte, poiché per mezzo di queste non può arrivare a Dio, anzi esse sono di ostacolo nel cammino verso di Lui.
49. E dirai che, se l'intelletto non intende con chiarezza, la volontà rimarrà oziosa e non amerà, cosa da evitare sempre nel cammino dello spirito.
La ragione di ciò risiede nel fatto che la volontà non può amare se non ciò che l'intelletto conosce.
Questo è vero soprattutto nelle operazioni e negli atti naturali dell'anima, nei quali la volontà non ama se non ciò che l'intelletto intende in modo chiaro; però nella contemplazione di cui parliamo, durante la quale Dio infonde qualcosa di sé nell'anima, non è necessario che vi sia nessuna notizia chiara e distinta, né che l'anima compia alcun atto con l'intelletto, poiché Dio in un solo atto le sta comunicando insieme luce e calore, ossia la notizia soprannaturale amorosa, che possiamo dire sia come luce calda che riscalda, perché al tempo stesso innamora.
Essa è confusa e oscura per l'intelletto, poiché è notizia di contemplazione, ossia, come dice Dionigi, raggio di tenebra per l'intelletto.
Quindi quale è l'intelligenza nell'intelletto, tale è l'amore nella volontà e perciò come per l'intelletto questa notizia che Dio le infonde è generale, oscura e indistinta, così anche la volontà amerà in generale, senza distinzione alcuna nei confronti di qualche cosa appresa in modo particolare.
Essendo Dio luce divina e amore, nella comunicazione che fa di sé all'anima informa nello stesso modo queste due potenze, intelletto e volontà, con intelligenza e amore; e siccome Egli non è intelligibile in questa vita, l'intelligenza è oscura così come l'amore nella volontà.
Talvolta, in questa delicata comunicazione, ferisce e si comunica di più a una delle due potenze, cosicché può accadere di percepire più notizia che amore o più amore che intelligenza, mentre a volte solo notizia senza amore o solo amore senza intelligenza.
Pertanto dico che, quando l'anima compie atti naturali con l'intelletto, non può amare senza intendere; ma per quanto riguarda ciò che Dio fa e infonde nell'anima, come accade per quella di cui stiamo parlando, è diverso.
Infatti Dio si può comunicare a una potenza senza bisogno dell'altra e come una persona può essere scaldata dal fuoco senza vederlo, Egli può infiammare la volontà con il tocco del calore del suo amore, senza che l'intelletto comprenda.
50. In questo modo molte volte l'anima sentirà la volontà infiammata o intenerita o innamorata senza sapere né conoscere qualcosa di diverso da prima, ordinando Dio l'amore in lei, come afferma la Sposa dei Cantici: Il Re mi fece entrare nella cella del vino e ordinò in me la carità ( Ct 2,4 ).
Perciò, in questo caso, non bisogna temere l'ozio della volontà; infatti, se essa cessa di compiere atti d'amore nei confronti di notizie particolari, Dio li compie in lei, inebriandola segretamente con amore infuso, o per mezzo della notizia di contemplazione o senza di essa, come abbiamo appena detto.
Tali atti sono tanto più gustosi e meritori di quelli che potrebbe compiere l'anima, quanto maggiore è colui che muove e infonde questo amore, ossia Dio.
51. Dio infonde questo amore nella volontà, quando essa è vuota e distaccata da ogni altro gusto e affetto particolare, terreno o divino; per questo motivo si curi che la volontà sia vuota e distaccata dai suoi affetti, altrimenti, volendo gustare qualche sapore, torna indietro; mentre se non lo sente particolarmente in Dio, va avanti, innalzandosi sino a Lui al di sopra di tutte le cose, non provando piacere in nessuna di esse.
E anche se l'anima non gusta Dio in modo particolare e distinto, né lo ama con un atto determinato, gusta Dio nella infusione indistinta, oscuramente e segretamente più di qualsiasi altra cosa distinta; infatti ora vede chiaramente che nulla le dà tanto piacere come quella quiete solitaria e ama Dio al di sopra di tutte le cose degne di amore, poiché i gusti e i sapori di quelle ormai li rifiuta sentendoli insipidi.
E così non bisogna preoccuparsi; giacché se la volontà non può ristorarsi con gusti e sapori di atti particolari, va avanti; infatti, non tornare indietro, abbracciando qualcosa di sensibile, significa andare avanti verso l'inaccessibile, che è Dio; per cui non c'è da meravigliarsi che non se ne accorga.
E così, la volontà, per andare verso Dio, deve distaccarsi dalle cose dilettevoli e gustose piuttosto che appoggiarvisi.
E adempie perfettamente il precetto dell'amore, che consiste nell'amare al di sopra di tutte le cose; il che non può accadere senza spogliarsi e senza fare il vuoto nei confronti di ognuna di esse.
52. Non vi è da temere neppure che la memoria rimanga vuota delle sue forme e figure, poiché, dal momento che Dio non ha né forma né figura, essa prosegue sicura allorché se ne libera, avvicinandosi così di più a Dio.
Infatti, quanto più si appoggia all'immaginazione, tanto più si allontana da Dio e va incontro a pericoli, poiché Dio, essendo inimmaginabile, non cade sotto l'immaginazione.
53. Questi maestri spirituali non comprendono le anime che avanzano in questa contemplazione quieta e solitaria, per non essere arrivati a essa, e per non sapere che cosa significhi abbandonare il ragionamento della meditazione, come ho detto, pensano che queste anime stiano in ozio, cosicché le disturbano impedendo la pace della contemplazione tranquilla e quieta che Dio gratuitamente concede loro, e le spingono nel cammino della meditazione, a discorrere con l'immaginazione, obbligandole a compiere atti interiori.
Nel fare ciò esse provano ripugnanza, aridità e distrazione, volendo rimanere nel loro ozio santo e nel raccoglimento quieto e pacifico.
E poiché qui il senso non trova nulla cui attaccarsi, né cosa da gustare o da fare, essi le persuadono a ricercare gusti e fervori, mentre dovrebbero consigliarle di fare il contrario.
Non potendo esse fare ciò, né dedicarvisi come prima, poiché è passato quel momento e quello non è più il loro cammino, si turbano molto ritenendo di essere perdute, e ancor di più questi maestri le aiutano a crederlo inaridendo il loro spirito e privandole delle unzioni preziose che nella solitudine e tranquillità Dio infonde loro; e ciò, come dissi, è un grave danno poiché getta queste anime nel dolore e nel fango, cosicché da una parte non progrediscono e dall'altra soffrono inutilmente.
54. Costoro non sanno che cosa sia lo spirito: offendono Dio e gli mancano di rispetto mettendo la loro rozza mano dove Egli opera.
E costato infatti molto sforzo a Dio condurre le anime fino a quel punto ed Egli considera molto importante averle portate fino alla solitudine e al vuoto delle loro potenze e operazioni per potere parlare al loro cuore, che è ciò che Egli sempre desidera.
Essendo ormai Dio che prende per mano l'anima, Lui che regna in essa con abbondanza di pace e tranquillità, facendo venir meno gli atti naturali delle sue potenze, con i quali, lavorando tutta la notte, essa non faceva nulla ( Lc 5,5 ), nutrendole lo spirito senza l'operazione del senso, poiché né i sensi né la loro azione sono capaci dello spirito.
55. E quanto Dio apprezzi questa tranquillità, questo sonno o annichilimento dei sensi, si può capire chiaramente in quella supplica così notevole ed efficace che fece lo Sposo dei Cantici, dicendo: Vi scongiuro, figlie di Gerusalemme, per i caprioli e i cervi dei campi, non svegliate, né tenete sveglia la mia amata finché ella non vorrà ( Ct 2,7; Ct 3,5 ).
Da ciò si capisce quanto Dio ami il sonno e l'oblio solitario, dal momento che ricorre a questi animali tanto solitari che amano vivere appartati.
Questi maestri spirituali, però, non vogliono che l'anima riposi né stia quieta, bensì vogliono che lavori sempre e agisca, così da impedire che Dio possa operare, e facendola agire distruggono e cancellano ciò che Lui fa, come le volpi che rovinano la vigna fiorita dell'anima ( Ct 2,15 ).
Per tale motivo si lamenta di loro il Signore dicendo per bocca di Isaia: Voi avete devastato la mia vigna ( Is 3,14 ).
56. Costoro sbagliano per zelo, perché il loro sapere non arriva oltre.
Non per questo però sono scusati per i consigli che danno in modo temerario, senza comprendere prima il cammino dell'anima e lo spirito che conduce, e pur non comprendendo mettono la loro rozza mano in cose che non capiscono, non lasciandole a chi le capisce.
Ed è cosa importante e grave colpa far perdere a un'anima beni inestimabili e a volte lasciarla lacerata a causa di consigli temerari.
E così colui che sbaglia per essere temerario dovrebbe sapere, come deve ognuno nel suo officio, che sarà punito in proporzione al danno compiuto.
Perché le cose di Dio devono essere trattate con molta attenzione e a occhi aperti, soprattutto in un caso così importante e in una questione così sublime come è quella di queste anime, dove c'è la possibilità di avere un guadagno infinito se si trova la via giusta e una perdita altrettanto infinita se si sbaglia.
57. Se vuoi obiettare con qualche altra scusa, benché io non la veda, puoi farlo, ma non mi potrai dire che l'abbia colui il quale, occupandosi di un'anima, non la lascia mai uscire dal suo potere a causa di motivi vani, che solo lui conosce e che non resteranno senza castigo.
È certo che, dovendo essa proseguire nel cammino spirituale, in cui Dio sempre l'aiuta, deve cambiare modo di pregare e, dunque, ha bisogno di una dottrina più elevata di quella posseduta da questo maestro, e di un altro spirito.
Poiché non tutti sono preparati per tutti i casi e per tutte le mete esistenti nel cammino spirituale, né hanno uno spirito così perfetto da sapere come l'anima deve essere guidata e retta in qualsiasi stato della vita spirituale, nessuno deve credere di possedere tutti i requisiti, né che Dio non voglia condurre più avanti un'anima.
Infatti chi sa sbozzare il legno non sempre sa intagliare una immagine, né chi sa intagliarla sa sempre ritoccarla e rifinirla, così come chi la sa rifinire non sempre la sa dipingere, né chi la sa dipingere saprà necessariamente dare l'ultimo ritocco e terminarla.
E poiché ognuno di questi non può nell'immagine fare più di ciò che sa, se vuole fare di più la rovinerà.
58. E se tu sei solo uno che sa sbozzare, il cui compito è quello di condurre l'anima al disprezzo del mondo e alla mortificazione dei suoi appetiti, o al massimo un intagliatore, che sa insegnarle solo la santa meditazione, poiché non sai di più, come dunque arriverà quell'anima all'ultima perfezione della delicata pittura, che non consiste né nello sbozzare né nell'intagliare e neppure nel rifinire, bensì nell'opera che Dio deve compiere in lei?
È certo che se la fai rimanere legata alla tua dottrina, che è sempre la stessa, o tornerà indietro o per lo meno non farà alcun progresso.
Infatti, cosa ne sarà dell'immagine se continuerai a darle martellate e a sbozzarla, il che corrisponde nell'anima all'esercizio delle potenze?
Quando sarà finita?
Quando e come la dipingerà Dio?
È possibile che tu possa compiere tutti questi offici e che ti ritenga tanto perfetto da pensare che essa non abbia bisogno di nessun altro che di te?
59. E ammesso che tu possa fare ciò con qualche anima, non potendo forse questa andare oltre, è impossibile che tu abbia doti sufficienti per tutte quelle cui impedisci di staccarsi da te.
Infatti, poiché Dio conduce ciascuna anima per un diverso cammino, difficilmente si troverà uno spirito che corrisponda, anche solo a metà, con il modo di procedere di un altro.
Chi, dunque, come san Paolo, saprà essere tutto per tutti per guadagnare tutti ( 1 Cor 9,22 )?
Così tu tiranneggi le anime, togli loro la libertà e reputi te solo garante della profondità della dottrina evangelica, in modo che non solo fai sì che non ti lascino, ma, ciò che è peggio, se per caso vieni a sapere che qualcuna è andata a trattare un argomento con qualcun altro – che non sarebbe stato conveniente trattare con te o condottavi da Dio, affinché le insegnasse ciò che tu non le insegni – ti comporti con lei, e lo dico con vergogna, con le dimostrazioni di gelosia che sono proprie di coloro che sono sposati, le quali non sono certamente a vantaggio dell'onore di Dio o di quell'anima – non è giusto infatti che tu creda che mancando essa contro di te abbia mancato verso Dio –, bensì sono gelosie dovute alla tua superbia e presunzione o a qualche altra tua imperfezione.
60. Dio si sdegna contro queste persone e promette castighi dicendo per mezzo di Ezechiele: Bevevate il latte del mio gregge, vi coprivate con la sua lana e non lo pascevate; io toglierò il mio gregge dalle vostre mani ( Ez 34,3.10 ).
61. I maestri spirituali devono, dunque, lasciare libere le anime, anzi sono obbligati a mostrare loro buon viso quando esse volessero cercare qualcosa di meglio.
Poiché non sanno per quali sentieri Dio vorrà condurre tali anime, soprattutto quando non provano più gusto per la loro dottrina, il che è segno che non ne hanno più vantaggio, o perché Dio le conduce oltre o per un altro cammino rispetto a quello del maestro, o perché quest'ultimo ha cambiato metodo.
E questi maestri glielo devono consigliare, mentre qualsiasi altro comportamento nasce da superbia, presunzione o da qualche altra pretesa.
62. Ma lasciamo da parte ciò, per parlare di un altro più dannoso modo di comportarsi e di altri peggiori usati da costoro.
Accadrà che Dio procederà all'unzione di alcune anime con unguenti di desideri santi e aspirazioni di lasciare il mondo, di cambiare il loro modo di vivere e di servire Dio, disprezzando le cose del secolo e per Dio è molto importante averle portate fino a questo punto, perché le cose del mondo non dipendono dalla Sua volontà, questi maestri invece con ragioni umane e motivi profondamente contrari alla dottrina di Cristo, alla sua umiltà e disprezzo di tutte le cose, guardando al proprio interesse e gusto, o temendo dove non c'è da temere, renderanno invece difficile ciò o lo faranno ritardare o, quel che è peggio, si impegneranno per toglierlo dal cuore.
Infatti avendo costoro uno spirito poco devoto, poco distaccato dal mondo, e poco tenero verso Gesù, non entrano per la porta stretta della vita ( Mt 7,13-14; Lc 13,24 ), impedendo anche agli altri di entrarvi.
Il nostro Salvatore minaccia costoro dicendo attraverso san Luca: Guai a voi, che prendete le chiavi della scienza, e non entrate, né lasciate entrare gli altri! ( Lc 11,52 ).
Questi in verità si mettono davanti alla porta del cielo, impedendo l'entrata a coloro che chiedono consiglio, pur sapendo che Dio ha dato ordine non solo che li lascino entrare e che li aiutino, bensì che li costringano a entrare, dicendo attraverso san Luca: Insisti, falli entrare perché la mia casa si riempia di invitati ( Lc 14,23 ).
Mentre loro, al contrario, non glielo permettono.
In tal modo il maestro è un cieco che può disturbare la vita dell'anima, che è lo Spirito Santo.
Ciò accade nei maestri spirituali in diversi modi, alcuni sapendolo, altri non sapendolo; ma gli uni e gli altri non rimarranno senza castigo poiché, essendo il loro officio, è loro dovere sapere e guardare bene ciò che fanno.
63. Il secondo cieco che, come abbiamo detto può disturbare l'anima in questo tipo di raccoglimento è il demonio; costui, dal momento che è cieco, vuole che anche l'anima lo sia.
Durante queste sublimi solitudini nelle quali lo Spirito Santo infonde le sue unzioni – il demonio prova dolore e invidia, perché vede non solo che l'anima si arricchisce, ma anche che se ne vola via e non la può sorprendere in nessuna cosa, in quanto è solitaria, nuda e aliena a qualsiasi creatura e vestigio di essa –, egli cerca in questi momenti di straniamento dell'anima di frapporre cateratte di notizie e nebbie di gusti sensibili, a volte buone, per nutrirla con esse e farla ritornare al tratto distinto e all'opera del senso, in modo tale che l'anima rivolga la sua attenzione a quei gusti e notizie buone che egli le rappresenta cosicché li abbracci per andare a Dio appoggiandosi a essi.
In questo modo la distrae e la distoglie facilmente da quella solitudine e raccoglimento nel quale, come abbiamo detto, lo Spirito Santo sta operando segretamente.
E siccome l'anima è inclinata naturalmente a sentire e a gustare soprattutto se lo pretende e non intende il cammino che sta percorrendo, è molto facile che si attacchi a quelle notizie e gusti che le presenta il demonio, perdendo quella solitudine nella quale l'aveva messa Dio.
E poiché l'anima in quella solitudine e quiete delle sue potenze crede di non fare nulla, reputa ciò migliore in quanto fa qualcosa.
È un grande peccato per l'anima non comprendere che, per saziarsi mangiando un boccone di notizia o di gusto, si priva di essere divorata completamente da Dio, poiché così fa Dio in quella solitudine nella quale mette l'anima, assorbendola in sé per mezzo di quelle solitarie unzioni spirituali.
64. Così, con poco più di nulla, il demonio causa gravissimi danni, facendo perdere all'anima grandi ricchezze, togliendola, con una piccola esca, dal golfo delle semplici acque dello spirito, dove era immersa e annegata in Dio senza sostegno né appoggio.
In questo modo la porta a riva e le offre appoggio per mettere il piede, affinché possa camminare in terra con fatica, e non nuoti nelle acque di Siloe che scorrono in silenzio ( Is 8,6 ), bagnata dalle unzioni di Dio.
E il demonio fa tanto conto di ciò, che bisogna notare come un piccolo danno di questo tipo è maggiore di molti altri fatti a numerose anime, perché, come abbiamo detto, poche sono quelle anime, che vanno per questo sentiero, alle quali egli non procuri gravi danni e non faccia subire gravi perdite.
Infatti, il maligno aspetta in agguato con grande attenzione sul passaggio dal senso allo spirito, ingannando e nutrendo l'anima con lo stesso senso, interponendo, come abbiamo detto, cose sensibili.
L'anima, non pensando che in ciò vi possa essere pericolo, tralascia di entrare dallo Sposo, mettendosi alla porta per vedere ciò che passa all'esterno, nella parte sensitiva.
Dice Giobbe: Il demonio vede tutto ciò che è sublime ( Gb 41,25 ), cioè l'altezza spirituale dell'anima per combatterla.
Perciò, se per caso qualche anima entra in profondo raccoglimento, se non può distrarla nel modo in cui abbiamo detto, per lo meno con orrori, timori, o dolori corporali, così come con suoni o rumori esterni, fa tutto ciò che è in suo potere perché essa percepisca i sensi, per tirarla fuori e allontanarla dallo spirito interiore, finché non potendo fare altro, la lascia.
Ma è tanta la facilità con cui dissipa le ricchezze di queste anime che, anche se lo considera più importante rovinare molte altre, non lo tiene in grande considerazione, perché lo fa facilmente e gli costa poco.
Perciò, a questo proposito possiamo capire ciò che di lui disse Dio a Giobbe: Assorbirà un fiume e non si meraviglierà e confida che il Giordano cadrà nella sua bocca, il che significa il culmine della perfezione.
Nei suoi stessi occhi lo caccerà come con un amo e gli perforerà le narici con lesina ( Gb 40,19 ); cioè con la punta delle notizie con le quali sta ferendo l'anima allontanerà lo spirito da lei, come l'aria aspirata che esce dalle narici, se queste sono forate, si disperde da tutte le parti.
E più avanti aggiunge: Sotto di lui staranno i raggi di sole e spargerà sotto di sé oro come fango ( Gb 41,21 ); poiché fa perdere alle anime illuminate meravigliosi raggi di notizie divine e impoverisce quelle ricche disperdendo l'oro prezioso delle sfumature divine
65. O anime, quando Dio vi concede così sublimi grazie, che vi porta alla solitudine e al raccoglimento, allontanandovi dal vostro faticoso modo di sentire, non tornate indietro ai sensi; abbandonate le vostre operazioni, che, se prima vi erano d'aiuto per negare il mondo e voi stesse quando eravate principianti, ora che Dio vi fa la grazia di essere lui l'agente, vi saranno di grande ostacolo e imbarazzo.
Poiché, se vi occupate di non porre le vostre potenze in alcuna cosa, distaccandole da tutto e non imbarazzandole, essendo l'unica cosa che da parte vostra dovete fare in questo nato, insieme all'attenzione amorosa e semplice di cui ho parlato prima, e nella maniera in cui ho detto, ossia quando non vi dà disgusto averla, poiché no dovete sforzare l'anima se non per distaccarla da tutto e liberarla, per non turbarne e alterarne la pace e tranquillità, Dio, se non frapponete ostacoli, nutrirà le vostre potenze con cibo celestiale.
66. Il terzo cieco è l'anima stessa: siccome non capisce se stessa, come abbiamo detto, si turba da sola e si danneggia.
Infatti, poiché non sa agire se non con sensi e il ragionamento, quando Dio la vuole porre in quel vuoto e in quella solitudine dove non si possono usare le potenze né compiere atti, vedendosi in ozio, cerca di agire e così si distrae.
Quindi l'anima, che già gustava l'ozio della pace e il silenzio spirituale nel quale Dio la stava segretamente adornando, si inaridisce e si amareggia.
E succederà che Dio insisterà affinché rimanga in quella silenziosa solitudine, ed essa da parte sua si ostinerà a volere agire da sé con l'immaginazione e l'intelletto, come il bambino che, volendo essere preso in braccio dalla madre, grida e pesta i piedi in terra, e in questo modo né cammina né lascia camminare la madre; o come un pittore che stesse dipingendo un'immagine e un altro gliela muovesse, cosicché o non si farebbe nulla o si rovinerebbe il dipinto.
67. Bisogna ricordare all'anima giunta a questa quiete che, anche se non avverte di camminare, né fa niente, in realtà procede molto di più che se andasse coni suoi piedi, perché è Dio che la porta in braccio, e così, anche se cammina al passo di Dio, non se ne accorge.
E, sebbene essa non operi con le potenze della sua anima, fa molto di più che se lo facesse, perché è Dio che agisce in lei.
E che essa non lo possa vedere non stupisce, perché ciò che Dio fa nell'anima in questo stato non può essere percepito dal senso, giacché è in silenzio.
Infatti come dice il Saggio, le parole della sapienza si sentono nel silenzio ( Qo 9,17 ).
Si abbandoni quindi nelle mani di Dio e non si fidi di se stessa né degli altri due ciechi: se fa così e non applica le potenze in cosa alcuna, andrà sicura.
68. Ma torniamo ora all'argomento delle profonde caverne delle potenze, riguardo alle quali dicevamo che la sofferenza dell'anima può essere tanto più grande quanto più Dio la unge e la dispone per unirla a sé con i sublimi unguenti dello Spirito Santo.
I quali sono così raffinati e costituiscono un'unzione così delicata che, penetrando l'intima sostanza del fondo dell'anima, la dispongono e la preparano in maniera tale per cui la sofferenza e il venir meno del desiderio, assieme al grande vuoto di queste caverne, è immenso.
E se gli unguenti che disponevano queste caverne dell'anima per l'unione del matrimonio spirituale con Dio sono così sublimi come abbiamo detto, quale pensiamo che sarà il possesso di intelligenza, di amore e di gloria che hanno in questa unione con Dio l'intelletto, la volontà e la memoria?
È certo che la loro soddisfazione, la loro sazietà e il loro diletto saranno ora in proporzione alla sete e alla fame che sperimentarono queste caverne, così come, proporzionata alla delicatezza della disposizione, sarà la perfezione del possesso di Dio da parte dell'anima e la fruizione del suo senso.
69. Per senso dell'anima qui si intende la virtù e la forza che ha la sostanza dell'anima per sentire e godere gli oggetti delle potenze spirituali attraverso le quali essa gusta la sapienza, l'amore e la comunicazione di Dio.
E perciò l'anima chiama profonde caverne del senso queste tre potenze, memoria, intelletto e volontà, perché attraverso di esse e in esse l'anima sente profondamente la grandezza della sapienza e delle eccellenze di Dio.
Così molto propriamente le chiama profonde caverne; infatti dal momento in cui sente che in essa sono contenute le profonde intelligenze e splendori delle lampade di fuoco, capisce che ha tante capacità e profondità quante sono le cognizioni, i sapori, i diletti, i piaceri che riceve da Dio.
Tutte queste cose sono ricevute e accolte nel senso dell'anima che, come dico, è la virtù e capacità che ha l'anima di sentire, possedere e gustare ogni cosa, per mezzo delle caverne delle potenze, così come al senso comune della fantasia accorrono i sensi corporali con le forme dei loro oggetti, poiché questo è il ricettacolo e l'archivio di quelle.
Perciò questo senso comune dell'anima, fatto ricettacolo e archivio delle grandezze di Dio, è tanto illuminato e ricco quanto maggiore è quel possesso sublime e splendente che ottiene.
Che era oscuro e cieco.
70. Questo prima che Dio illuminasse l'anima, come è stato detto.
Per la comprensione di ciò bisogna sapere che l'occhio può non vedere per due motivi: o perché è al buio o perché è cieco.
Dio è luce e oggetto dell'anima.
Quando questa luce non la illumina, essa si trova al buio nonostante abbia una vista eccellente.
Quando è in peccato o applica l'appetito in altre cose, allora è cieca.
E sebbene la investa la luce di Dio, dal momento che è cieca, non la vede.
L'oscurità dell'anima è l'ignoranza dell'anima, la vale, prima che Dio la illuminasse per mezzo di questa trasformazione, era al buio e ignorante di tutti i beni di Dio, condizione nella quale, come dice il Savio si trovava egli stesso, prima che la sapienza lo illuminasse: Illuminò la mia ignoranza ( Sir 51,25-26 ).
71. Parlando dello spirito, una cosa è essere al buio, un'altra cosa è trovarsi nelle tenebre.
Essere nelle tenebre significa essere cieco, come ho detto, nel peccato; però si può stare al buio senza peccato.
E questo in due modi: per quanto riguarda l'ordine naturale, non avendo luce di alcuna cosa naturale; per quello soprannaturale, invece, non avendo luce delle cose soprannaturali.
E riguardo a queste due cose, l'anima dice che era all'oscuro di entrambe prima di questa preziosa unzione.
Perché fino al momento in cui Dio disse: Fiat lux ( Gen 1,3 ), le tenebre erano sopra il volto dell'abisso ( Gen 1,2 ) della caverna del senso dell'anima, il quale contiene, quanto più è abissale e quanto più profonde sono le sue caverne, tanto più abissali e profonde tenebre riguardo al soprannaturale, quando Dio, che è la sua luce, non lo illumina.
E così è impossibile all'anima alzare gli occhi verso la luce divina e pensare a essa, poiché non avendola mai vista non sa come sia.
E per questo non la potrà desiderare, anzi desidererà le tenebre, poiché le conosce, e passerà da una tenebra a un'altra, guidata dalla tenebra stessa.
Infatti una tenebra non può che condurre a un'altra tenebra, perché, come dice David: Il giorno trabocca nel giorno e la notte insegna scienza alla notte ( Sal 19,3 ).
E così un abisso chiama un altro abisso ( Sal 12,8 ), cioè un abisso di luce chiama un abisso di luce, come un abisso di tenebre uno di tenebre, poiché ogni simile chiama il suo simile e gli si comunica.
E così, la luce della grazia che Dio aveva dato prima a quest'anima, con cui le aveva illuminato l'occhio dell'abisso del suo spirito aprendolo alla luce divina, e avendola resa con ciò a sé gradita, chiamò un altro abisso di grazia, che è questa trasformazione divina dell'anima in Dio, per mezzo della quale l'occhio del senso rimane tanto illuminato e gradito a Dio, che possiamo dire che la luce di Dio e quella dell'anima sono una sola.
Infatti, unita la luce naturale dell'anima con quella soprannaturale di Dio, risplende ormai solo quella soprannaturale, allo stesso modo in cui la luce che Dio creò si unì a quella del sole, risplendendo così quella del sole senza venir a mancare l'altra ( Gen 1,14-18 ).
72. Ed era cieco, perché trovava gusto in altre cose.
La cecità del senso razionale e superiore è, infatti, l'appetito che, come cataratta e nube, si frappone e si mette davanti all'occhio della ragione perché non veda le cose che le stanno innanzi.
E così, quando essa metteva davanti al senso qualche gusto, questo gli impediva di vedere le grandi ricchezze e bellezze divine che stavano dietro alla cataratta.
Infatti, come succede quando si mette davanti agli occhi una cosa, sia pure piccola, questa è sufficiente a impedire che se ne possano vedere altre, anche grandi; così un piccolo appetito e un atto ozioso dell'anima sono sufficienti perché essa non veda tutte queste grandezze divine nascoste dai gusti e appetiti che l'anima ricerca.
73. Chi potrebbe mai dire quanto sia impossibile per l'anima che ha appetiti giudicare le cose di Dio come veramente sono!
Perché per riuscire a giudicare le cose di Dio, bisogna totalmente escludere l'appetito e il gusto, e non bisogna giudicarle per mezzo di questo, poiché altrimenti inevitabilmente si considereranno le cose divine come non divine, e quelle che non sono di Dio per Dio stesso.
Infatti, essendo questa cataratta e nube davanti all'occhio del giudizio, l'anima non vede che la cataratta, una volta di un colore, una volta di un altro, a seconda di come le si presenta, e pensa che la cataratta è Dio, perché, come dico, non vede nient'altro che la cataratta che è sul senso, dal quale Dio non può essere abbracciato.
In questo modo l'appetito e i gusti sensibili impediscono la conoscenza delle cose più sublimi, come spiega perfettamente il Savio con le parole: L'inganno della vanità oscura i beni, e l'incostanza della concupiscenza sconvolge il senso senza malizia ( Sap 4,12 ), cioè il retto giudizio.
74. Perciò coloro che non sono così spirituali da essere purgati dagli appetiti e dai gusti, e che hanno ancora qualcosa dell'animale in loro, credono che le cose che sono più basse e vili per lo spirito, che sono quelle che più facilmente arrivano al senso, secondo il quale ancora loro vivono, siano cose grandi; mentre quelle che sono più preziose e più sublimi per lo spirito, ossia quelle che più si distanziano dal senso, le terranno in poca considerazione e non le stimeranno, e ancor di più a volte le considereranno folli, come fa ben capire san Paolo con le parole: L'uomo animale non percepisce le cose di Dio; sono per lui follia e non le può capire ( 1 Cor 2,14 ).
Per uomo animale qui si intende colui che vive tuttavia con appetiti e gusti naturali, poiché, sebbene alcuni gusti nascano nel senso dallo spirito, se l'uomo si attacca a quelli con l'appetito naturale, essi non sono altro che appetiti naturali.
Poco importa che l'oggetto o il motivo sia soprannaturale, perché l'appetito smetta di essere naturale, poiché se nasce e ha la sua radice e forza nella natura, ha la stessa sostanza e natura che avrebbe se avesse origine e motivo naturale.
75. Mi dirai: dunque, quando l'anima desidera Dio, non lo fa in modo soprannaturale, e quindi quell'appetito non sarà meritorio davanti a Lui.
Rispondo: è vero che quando l'anima desidera Dio non sempre quell'appetito è soprannaturale, ma soltanto quando lo infonde Dio, dando Lui la forza di quell'appetito, e questo è molto diverso dall'appetito naturale, cosicché fino a quando Dio non lo infonde, molto poco o niente si ottiene.
E così, quando tu, da te, vuoi avere appetito di Dio, non sarà nient'altro che appetito naturale, e tale rimarrà finché Dio non lo vorrà informare in modo soprannaturale.
Perciò, quando da te stesso vuoi applicare l'appetito ai beni spirituali, attaccandoti al loro sapore ed esercitando il tuo appetito naturale, allora ti metti delle cataratte davanti agli occhi e sei animale.
E così non potrai intendere, né giudicare ciò che è spirituale, poiché lo spirito trascende il senso e l'appetito naturale.
E se hai degli altri dubbi, non so cosa dirti, se non di rileggere; forse lo capirai, poiché la sostanza della verità è stata detta e, quindi, non è il caso che io mi dilunghi di più.
76. Questo senso dell'anima, che prima stava all'oscuro senza questa luce divina di Dio ed era cieco per i suoi appetiti e le sue affezioni, ora non soltanto è illuminato e chiaro con le sue profonde caverne per mezzo di questa divina unione con Dio, ma è diventato insieme alle caverne delle potenze una risplendente luce.
Con straordinarie perfezioni
calore e luce insieme danno all'amato!
77. Queste caverne delle potenze così mirifiche e, come abbiamo già detto, meravigliosamente immerse nei mirabili splendori di quelle lampade che in lei stanno ardendo, oltre che consegnare se stesse a Dio, stanno inviando a Lui, in Lui, quegli stessi splendori che hanno ricevuto con amorosa gloria.
Infatti, diventate anch'esse lampade accese negli splendori delle lampade divine, inclinate a Dio in Dio, offrono all'Amato la stessa luce e calore d'amore che ricevono.
Poiché, qui, lo offrono a colui che glielo ha dato nello stesso modo e con la stessa perfezione con cui l' hanno ricevuto, come fa il vetro che, quando è investito dal sole, emana anch'esso splendori; sebbene in questo caso ciò avviene in modo più sublime, poiché interviene l'esercizio della volontà:
con straordinarie perfezioni
78. Cioè, straordinarie e aliene da ogni comune modo di pensare, da ogni lode, da ogni modo e maniera.
Infatti, conforme alla perfezione con la quale l'intelletto riceve la sapienza divina, essendo diventato l'intelletto una sola cosa con quello di Dio, è la perfezione con cui l'anima la restituisce, poiché non la può dare se non nel modo in cui la riceve.
E conforme alla perfezione con la quale la volontà è unita alla bontà è la perfezione con cui rende a Dio in Dio la stessa bontà, poiché la riceve solo per darla.
Ugualmente, conforme alla perfezione con la quale conosce nella grandezza divina, essendo unita a quella, dà luce e calore d'amore.
E conformi alle perfezioni degli attributi divini che lì l'anima comunica, di fortezza, bellezza, giustizia e così via, sono le perfezioni con le quali il senso, godendo, sta dando al suo Amato quella stessa luce e calore che sta ricevendo dall'Amato stesso; perché, essendo l'anima diventata una stessa cosa con Dio, giacché, come abbiamo già detto in un certo senso è essa stessa Dio per partecipazione, sebbene non tanto perfettamente come nell'altra vita, è quasi un'ombra di Dio.
A questo punto, diventata grazie a questa sostanziale trasformazione un'ombra di Dio, essa fa in Dio per mezzo di Dio, nello stesso modo di Lui, ciò che Dio fa in lei da se stesso, poiché la volontà dei due è una sola e quindi uno è anche l'operare di Dio e dell'anima.
Di conseguenza, allo stesso modo in cui Dio si offre a lei con volontà libera e gratuita, così anch'essa, avendo la volontà tanto più libera e generosa quanto più è unità a Lui, offre a Dio lo stesso Dio in Dio.
E ciò è un perfetto e vero dono dell'anima a Dio.
Perché lì l'anima veramente vede che Dio è suo e che lo possiede a titolo ereditario, con diritto di proprietà come figlio adottivo di Dio, per la grazia che Dio le fece di offrirsi a lei, e che, come cosa sua, lo può dare e comunicare a chi vuole.
E così lo dà al suo Amato, che è lo stesso Dio, che si offrì a lei, e in questo modo essa paga a Dio tutto ciò che gli deve, poiché volontariamente gli dà quanto da Lui riceve.
79. E poiché in questo regalo che fa l'anima a Dio, essa gli offre liberamente lo Spirito Santo come suo dono, affinché in Lui ami se stesso come merita, ha l'anima un diletto e una fruizione inestimabili, vedendo che offre a Dio una cosa propria che corrisponde al suo infinito essere.
E sebbene sia vero che l'anima non può dare Dio a Dio, poiché Egli è in sé sempre identico, tuttavia l'anima lo fa perfettamente e veramente, offrendo tutto ciò che Egli le aveva dato per ottenere il suo amore, che è dare tanto quanto ha ricevuto.
E Dio, che con meno non si pagherebbe, si paga con quel dono dell'anima e lo riceve in modo gradito, come qualcosa che l'anima gli offre di suo, e in questo stesso dono Egli ama di nuovo l'anima, e in questo ridonarsi di Dio all'anima, questa lo ama nuovamente.
E così tra Dio e l'anima esiste ora un amore reciproco, in conformità all'unione matrimoniale, in cui i beni di entrambi, che sono la divina essenza, possedendoli ognuno liberamente per la donazione volontaria dell'uno all'altra, li possiedono insieme entrambi, dicendo l'uno all'altra ciò che il Figlio di Dio disse al Padre secondo le parole di san Giovanni: Omnia mea tua sunt, et tua mea sunt, et clarificatus sum in eis ( Gv 17,10 ).
Ossia: Tutti i miei beni sono tuoi, e i tuoi sono miei e in essi sono glorificato.
Nell'altra vita ciò avviene nella fruizione perfetta senza alcuna interruzione; invece in questo stato di unione avviene quando Dio esercita nell'anima questo atto di trasformazione, anche se non con la perfezione con cui avviene nell'altra vita.
Ed è chiaro che l'anima può fare quel dono, anche se è di entità maggiore rispetto alle sue capacità e al suo stesso essere, così come chi possiede come propri molti popoli e molti regni, che sono di entità superiore a lui, li può donare a chi vuole.
80. Questa è la grande soddisfazione e gioia dell'anima: vedere di potere donare a Dio più di ciò che è in sé e vale.
Nell'altra vita questo avviene per mezzo del lume di gloria, mentre in questa per mezzo della fede illuminata.
In questo modo,
le profonde caverne del senso
con straordinarie perfezioni
calore e luce insieme danno all'Amato!
Dice insieme perché è congiunta nell'anima la comunicazione del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, che sono luce e fuoco di amore in lei.
81. Dobbiamo notare qui brevemente le perfezioni con le quali l'anima fa questo dono.
Bisogna avvertire che, godendo l'anima di una immagine di fruizione causata dall'unione con Dio dell'intelletto e dell'affetto, dilettata e obbligata da questa grande grazia, consegna se stessa e lo stesso Dio a Dio in modi meravigliosi; infatti riguardo all'amore l'anima si comporta con Dio con straordinarie perfezioni, e così avviene, né più né meno, nei confronti di questo preludio di fruizione, della lode e della gratitudine.
82. Riguardo all'amore, l'anima ha tre fondamentali perfezioni.
La prima è che qui l'anima ama Dio non per sé, ma per Lui stesso.
Ciò è di una perfezione ammirevole, giacché ama attraverso lo Spirito Santo, come si amano il Padre e il Figlio, così come lo stesso Figlio afferma attraverso le parole di san Giovanni: L'amore con cui mi amasti sia in loro, e io in loro ( Gv 17,26 ).
La seconda perfezione consiste nell'amare Dio in Dio, perché in questa veemente unione l'anima è assorbita nell'amore di Dio, e Dio con grande slancio si dona all'anima.
La terza fondamentale perfezione dell'amore consiste nell'amare Dio per ciò che Egli è.
Infatti non lo ama solo perché è per lei magnanimo, buono e glorioso, bensì con maggiore forza lo ama perché è in sé essenzialmente tutte queste cose.
83. E riguardo a questa immagine di fruizione, l'anima possiede altre tre fondamentali e straordinarie perfezioni.
La prima è che qui essa gode Dio per mezzo di Dio stesso; infatti siccome qui l'anima unisce l'intelletto all'onnipotenza, alla sapienza, alla bontà, sebbene non in modo così chiaro come nell'altra vita, ha un grande diletto in tutte queste cose intese in maniera distinta, come abbiamo detto prima.
La seconda perfezione principale di questa fruizione consiste nel provare diletto ordinatamente solo in Dio, senza l'interferenza di alcuna creatura.
La terza è quella di goderne unicamente per ciò che è, senza interferenza di alcun gusto proprio.
84. Riguardo alla lode che l'anima offre a Dio in questa unione vi sono altre tre perfezioni.
La prima è lodarlo per dovere, perché l'anima sa che Dio la creò per lodarlo, come dice Isaia: Ho creato questo popolo per me; canterà le mie lodi ( Is 43,21 ).
La seconda perfezione è lodarlo per il diletto che l'anima prova nella sua stessa lode e per i beni che riceve.
La terza perfezione è lodarlo per ciò che Dio è in se stesso; infatti, anche se l'anima non ricevesse nessun diletto, lo loderebbe per ciò che Egli è in sé.
85. Riguardo alla gratitudine essa ha altre tre perfezioni.
La prima consiste nel ringraziare per i beni naturali e spirituali e i benefici che ha ricevuto.
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