Albero
1) Ogni pianta perenne con fusto legnoso ( tronco ) ramificato
2) È usato nella denominazione di molte varietà di piante
3) fig. Numerosi anche gli impieghi simbolici
4) mar. Antenna, palo verticale in legno, metallo o fibra sintetica fissata allo scafo, che sorregge pennoni, vele ecc.
5) mecc. Organo di varie macchine motrici atto a trasmettere il moto e la potenza, costituito da un asse rotante a sezione circolare
Sinonimo: asse
L'Albero della Conoscenza del Bene e del Male che appare nel racconto Jahvista della Creazione ( Gen 2,4b-25 ), nel Libro della Genesi, rappresenta la decisione dell'uomo di decidere da sé cosa è bene e cosa è male.
L'Albero della Conoscenza del Bene e del Male è citato nei passi biblici Gen 2,9.17:
il primo passo nomina tale albero subito dopo l'Albero della Vita; entrambi sono al centro del Giardino dell'Eden;
il secondo passo esprime il comando di YHWH, diretto all'uomo appena creato, di non mangiare dell'Albero della Conoscenza del Bene e del Male, pena la morte.
Sullo stesso Albero ritorna il c. seguente: il serpente pone alla donna la domanda sulla proibizione di mangiarne ( v. 1 ), ed Eva risponde riportando la proibizione e la sua motivazione ( v. 2 ); ma a questo punto il serpente ribatte reinterpretando il comando di YHWH: conseguenza del mangiarne non sarebbe la morte, ma l'aprirsi degli occhi e il diventare come Dio, "conoscendo il bene e il male" ( v. 4-5 ).
Dopo il peccato è YHWH stesso a prendere coscienza del fatto che l'uomo è diventato come lui per la conoscenza del bene e del male, e decide di allontanarlo dalla prossimità dell'Albero della Vita ( v. 22 ).
Per comprendere cosa significa l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male bisogna considerare anzitutto l'altro albero presente nel giardino, l'Albero della Vita: quest'albero è in rapporto col dilemma "vita o morte"; poterne usufruire significa per Adamo ed Eva vivere, altrimenti morire.
In altre parole, la vita dell'uomo dipende anche da un suo atteggiamento consapevole e responsabile, dall'impiego della sua libertà.
L'Albero della Conoscenza a fianco dell'Albero della Vita è un riferimento all'uso della libertà umana, è l'ago della bilancia della riuscita del destino dell'uomo.
Come bisogna comportarsi in modo da realizzare pienamente la propria vita evitando le insidie della morte?
La domanda situa l'interpretazione dell'Albero all'interno delle tematiche sapienziali: l'autore del racconto frequenta circoli sapienziali.
L'autore del racconto sa, con tutta la tradizione biblica, che la vita è un dono di Dio.
Essa allora può dirsi riuscita se condotta alla diretta dipendenza di Dio, avendo ben chiaro e presente ciò che la sua Sapienza creatrice ha stabilito come costitutivo del bene e del male dell'uomo.
L'Albero della Conoscenza del Bene e del Male ha il significato di insegnare come si vive alle dipendenze di Dio per ottenere e raggiungere la piena realizzazione della propria esistenza.
L'espressione conoscenza del bene e del male è un'espressione complessa, il cui senso va compreso alla luce degli altri testi simili dell'Antico Testamento.
Per comprendere il termine conoscenza bisogna osservare che nel linguaggio biblico il "conoscere" non è semplicemente un'attività dell'intelligenza, ma è un conoscere esperienziale che coinvolge tutta l'esistenza dell'uomo.
Anche il rapporto coniugale è fatto equivalere a una "conoscenza" ( Gen 4,1.25 ).
Nella letteratura sapienziale la conoscenza equivale al discernimento: esso supera la nozione delle cose per estendersi al loro valore.
L'intera formula conoscere il bene e il male ricorre spesso nella Bibbia, ad indicare la totalità positiva o negativa attraverso la menzione dei due poli antitetici ( cfr. Dt 32,36; 1 Re 14,10; 1 Re 21,21 ).
Conoscere il bene e il male significa quindi conoscere tutto, sapere come stanno perfettamente le cose ( cfr 2 Sam 14,17-20 ); "non conoscere il bene e il male" equivale a non sapere nulla, a ignorare la cosa di cui, per esempio, si è interrogati ( cfr Gen 24,50; Gen 31,24.29; 2 Sam 13,22 ).
Se la formula impiegata in Gen 2-3 si dovesse intendere in tal senso, allora l'Albero della Conoscenza del Bene e del Male significherebbe la conoscenza universale, superiore, riservata solo a Dio.
Nel momento in cui Adamo ed Eva tentassero di appropriarsene con una ricerca o con l'esperienza, essi oltrepasserebbero i limiti della loro natura e si approprierebbero di un bene indebito.
Una simile interpretazione ha una qualche validità, poiché è sufficientemente conforme alla problematica sapienziale.
Altri testi paralleli però che invitano a considerare la formula più nel campo del comportamento e quindi della responsabilità morale che in quello dell'attività conoscitivo-esperienziale.
Nella sua preghiera Salomone chiede a Dio "un cuore che comprenda per giudicare, in modo da distinguere il bene e il male" ( 1 Re 3,9.11 ), e Dio gli concede "un cuore saggio e intelligente ( o perspicace ) come nessuno ne ebbe né prima né dopo di lui" ( v. 12 ).
La vera sapienza, secondo questo testo, consiste nella capacità di discernere tra bene e male.
In base al discernimento ci si regola e si sceglie quel che si deve o non si deve fare.
Discernimento in vista della scelta nell'azione.
Siamo in pieno campo morale.
In un celebre testo del Deuteronomio è posto in forma ancora più netta il dilemma della scelta tra bene e male in stretto rapporto con vita e morte: « Vedi, io pongo oggi davanti a te la vita e il bene, la morte e il male; oggi io ti comando di amare il Signore Dio tuo camminando per le sue vie e osservando i suoi precetti ...
Io ti ho posto davanti la vita e la morte, la benedizione e la maledizione; scegli dunque la vita perché viva tu e la tua discendenza. » ( Dt 30,15-16.19 )
La parola di Dio indica a Israele qual è il bene che porta alla vita e quale il male che conduce inesorabilmente alla morte.
A Israele tocca solo decidersi per una delle due opzioni.
Egli sa qual è il suo bene: è quello che la parola di Dio gli svela come costitutivo della sua condizione di popolo salvato da Dio e in alleanza con lui.
Solo nell'assecondare questo bene c'è vita per Israele.
Israele è libero di fare il contrario, può camminare al di fuori della strada tracciatagli da Dio e della situazione di popolo dipendente da lui, ma in questa nuova strada non avrà più Dio al suo fianco, si ritroverà solo, in balia della sua "finitezza", in balia della morte.
Deve quindi scegliere.
Nel racconto del Genesi, Adamo ed Eva sono posti di fronte a una scelta dello stesso genere: se accettare di dipendere da Dio nella determinazione del bene e del male oppure no; se costruire l'esistenza e il destino con Dio o senza Dio; se essere gli arbitri assoluti di se stessi, di quello che fanno e di come lo fanno o se dipendere da Dio in tutto questo.
Attraverso la parola, rivelata a loro come comandamento e legge, YHWH indica e svela il bene e il male come segnati già nella costituzione del loro essere, e, in quanto tali, da accettare e da realizzare, senza indulgere all'arbitrio incontrollato dell'uomo.
La storia umana, una storia di libertà, ha avuto inizio in questo modo.
All'uomo delle origini, come all'uomo di ogni tempo, è posta la stesso domanda riguardo l'uso della sua libertà.
I profeti rinfacciano a Israele d'aver agito male cambiando il bene in male e il male in bene ( Am 5,14-15; Is 5,20-21 ): in questa maniera il popolo di Dio non ha fatto altro che "rigettare la legge di YHWH degli eserciti e ha disprezzato la parola del Santo d'Israele" ( Is 5,24 ).
Israele non si è lasciato guidare da YHWH, e questa è la radice del suo male.
Ha pervertito la nozione del bene, così come glielo indicava la parola del Signore.
Ha cercato un suo bene.
S'è reso autonomo da Dio.
Un altro testo dell'Antico Testamento contribuisce anch'esso a illustrare, sulla stessa linea, la portata della formula conoscere il bene e il male.
Si tratta di Is 7,14-15: "Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emmanuele.
Egli mangerà panna e miele finché non imparerà a rigettare il male e a scegliere il bene".
Il segno indicato dal profeta è costituito da tre elementi riguardanti il personaggio centrale, il figlio oggetto della profezia: Innanzitutto il suo nome: Emmanuele, "Dio con noi".
È evidente il richiamo alla situazione iniziale di Gen 2, dove l'uomo è nel giardino di YHWH, nella sua shalom, nella sua amicizia e pace.
Altro elemento del segno è il cibo del bambino: "latte e miele".
Nella cultura mesopotamica è questo il cibo degli dei; così anche nel Deuteronomio la "terra dove scorre latte e miele" è un modo di indicare una terra ricca donata a Israele, una terra di Dio.
Anche qui sembra che si sia autorizzati a vedere un richiamo al paradiso perduto.
Il terzo elemento del segno è l'atteggiamento dell'Emmanuele di fronte al male e al bene.
È l'atteggiamento contrario a quello di Adamo e a quello d'Israele.
Il bambino, al momento in cui raggiungerà l'età del discernimento, farà la sua scelta operando secondo giustizia, rigettando quel che è da rigettare, il male, e scegliendo quel che è da scegliere, il bene.
Ecco l'uomo nel quale Dio si rende presente e attraverso il quale Dio diventa un "Dio con noi": è l'uomo della scelta del bene secondo la parola di Dio.
La profezia di Isaia indica quindi una decisione di libertà dalla quale deriverà agli uomini una situazione nuova di fronte a Dio e, di conseguenza, un ritorno definitivo alla vita paradisiaca.
Se il paradiso è il simbolo di una situazione umana iniziale, essa non dev'essere considerata un'età dell'oro definitivamente tramontata: essa è sempre a disposizione dell'uomo e sarà certamente il coronamento del piano restauratore di Dio nell'epoca ultima.
Umanamente parlando, la croce è un albero senza radici, che non può dare alcun frutto; eppure, nell'ottica di Dio, le cose stanno diversamente:
la croce non è albero sterile, ma fecondo ( cf. 1 Pt 1,18-19 );
non isterilisce, ma dà fecondità ( cf. Gv 12,23-24 ).
Tuttavia, solo allo sguardo di fede la croce cambia senso.
Se non decifriamo la croce con l'occhio credente, essa non potrà significare che il segno della fine di Cristo, la sua umiliazione estrema, la forma della sua esclusione dalla comunità degli uomini.
Ma la croce non è solo nel suo manifestarsi esteriore; essa esprime sensi opposti a quelli che le attribuiscono gli uomini.
La croce è paradossale.
Lo è per tanti motivi.
Per me lo è anzitutto per questo: il luogo in cui viene innalzato appare come un luogo di solitudine e d'abbandono, eppure, a ben scrutarlo con l'occhio della fede, il Calvario è da ritenere il luogo più "affollato" della terra:
c'è, in modo misterioso, l'intera Famiglia trinitaria;
vi sosta Adamo come capostipite d'una famiglia di peccatori e giusti;
vi aleggiano tutte le creature angeliche;
vi sono presenti i due popoli di Dio: Israele e la chiesa, che sono riuniti in Maria, quale figlia di Sion.
È paradossale la croce; essa non disperde, ma raccoglie ( cf. Gv 11,49-52 ); non abbatte, ma eleva: « Io, quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me » ( Gv 12,32 ).
La croce mostra d'essere contraddittoria, ed è più che contraddittoria: è « scandalo e stoltezza »: alla stoltezza del patibolo romano s'è già ribellato il « greco », esteta e razionalista ( cf. 1 Cor 1,22 ).
Alla stoltezza del patibolo, in verità, si ribella anche la nostra cultura, e si ribellerà ogni tipo di cultura, perché alla pura ragione la croce non potrà non apparire quale essa è: un problema scandaloso.
Non la croce, ma il miracolo di liberarsi da essa avrebbe indotto a credere il « greco » esteta e razionalista ( cf. Mt 27,39-44 ): e come potrebbe non ribellarsi alla croce la nostra civiltà, a suo modo greca, certamente congeniale col « greco » che si è ribellato alla croce di Cristo?
La scelta della croce è, perciò, la pratica di un profetismo dissonante dai canoni del "profetismo" mondano: è profezia dello stile di Dio che, nella rivelazione, mostra costantemente, in una difficile dialettica di somiglianza-diversità con l'avventura umana, di voler essere, ad un tempo, "vicinissimo" e "distante", "uno di noi" e uno "totalmente altro".
La croce, infatti, da un lato, è il segno d'una morte disumana ( e perciò solo l'uomo poteva essere l'artefice di questo ), ma, nello stesso tempo, è rivelatrice di una sapienza che non è congeniale con la sapienza dell'uomo, che anzi le è diametralmente opposta.
L'interpretazione della croce è tutta in questa bipolarità di vicinanza-lontananza di Dio con l'uomo.
La croce è la dimostrazione più alta che i pensieri e le vie di Dio non sono i pensieri e le vie degli uomini ( cf. Is 55,8 ).
La croce è profezia, è miracolo, è Vangelo.
Essa è una parola non verbale pronunciata dalla santa trinità.
In concreto, come s'articola la sorprendente profezia della croce?
È certamente possibile rispondere a questa domanda in maniera articolata; ma basta forse darvi una risposta oltremodo semplificata, addirittura in forma litanica.
La croce manifesta il suo carattere sorprendente e paradossale almeno in questi modi:
il simbolo dell'odio diventa il simbolo dell'amore;
il patibolo dei servi si tramuta in causa di liberazione;
il gesto dell'esclusione di Dio dalla storia comincia a indicare il più forte inserimento di Dio nella storia degli uomini;
il servizio dell'amore e del dolore ha ragione del potere gaudente;
l'umiltà di Dio sconfigge la superbia dell'uomo;
la morte viene privata della sua definitività;
all'uomo che vuole detronizzarlo, Dio reagisce elevandolo;
ciò che dicevamo stoltezza è sapienza;
ciò che sembrava il luogo della sconfitta è il luogo della vittoria;
quanto appariva dimostrazione di forza e di potere diventa svuotamento dell'una e giudizio dell'altro;
la conseguenza del peccato si fa inizio di grazia;
il sintomo della sterilità si cambia nel segno della nascita d'una nuova vita.
Cristo impone dunque alla croce una perdita ideologica, mentre l'arricchisce d'un acquisto profetico che consiste nel valore di salvezza che Gesù di Nazaret dà alla croce.
Ci troviamo di fronte ad una ricreazione: Dio rivitalizza un albero già tagliato da mano d'uomo e fatto segno di morte, e lo ripianta, ne fa un "albero di vita".
È qui che comprendiamo che la croce possa esserci resa "comprensibile" nel senso di significativa e accettabile, solo con un'ermeneutica di fede: solo per questa via essa apparirà al cristiano come "parte" del mistero di Cristo.
Ecco il legno della croce, dal quale pende la salvezza del mondo: venite, adoriamo.
Mentre compiamo il suggestivo e austero gesto dello svelamento e dell'ostensione della Croce, nella Liturgia del Venerdì Santo, si canta questa antica antifona, risalente forse addirittura all'ottavo o nono secolo della nostra era cristiana.
Ma il concetto teologico e di fede legato a quest'antifona è ancor più antico, soprattutto se - invece di tradurre letteralmente "il legno" della Croce - adoperiamo il termine "albero della Croce".
I Padri della Chiesa ( pensiamo anche solo ad Ambrogio e Agostino ) comparavano l'albero della Croce all'albero dell'Eden.
La comparazione non era paritaria: se all'albero dell'Eden fu appeso il frutto che portò alla nostra condanna, all'albero della Croce fu appeso il Frutto che portò alla nostra salvezza.
La natura dell'albero della Croce, e di conseguenza il frutto che ne pende, è di tutt'altra essenza rispetto a ciò che segnò l'inizio della nostra storia di disobbedienza e di lontananza da Dio.
Per questo, se per la disobbedienza del primo Adamo fu colto dall'albero dell'Eden il frutto della nostra condanna, per l'obbedienza del nuovo Adamo fu colto dall'albero della Croce il frutto della nostra salvezza, che - in maniera incomprensibile e mirabile - coincide con lo stesso nuovo Adamo, Cristo: il frutto e colui che obbedendo coglie per noi la salvezza che viene da Dio sono, in realtà, la stessa persona.
Ma non è su queste suggestive immagini teologiche che vorrei soffermare la mia attenzione, quest'oggi, quanto sul fatto che la Croce sia un albero che dà frutti, e frutti di salvezza.
Parliamoci chiaro: che cos'è, per noi, la Croce?
Che cosa pensiamo, quando pensiamo alla Croce?
Di certo, non credo che ci venga da pensare a qualcosa di bello e di positivo.
Quando, infatti, diciamo: "Ho un'enorme croce da portare sulle spalle", oppure "Che croce mi è capitata!", non esprimiamo sicuramente gioia né tanto meno soddisfazione.
La Croce ci rimanda alla fatica, alla sofferenza, al sacrificio, al peso, alla malattia, al dolore, in definitiva, alla morte.
A tutto possiamo pensare, quando pensiamo alla Croce, tranne che a un albero che dà frutti.
Il frutto è qualcosa di piacevole, qualcosa gustoso da assaggiare, qualcosa che sazia e che dà piacere, che rinfresca e dà vigore ... insomma, un frutto ci parla di vita, non certo di dolore o di morte.
Eppure, per un incomprensibile mistero della volontà di Dio, anche l'albero della Croce dà frutto, e per di più un frutto che dona la vita; tra l'altro, non una vita qualsiasi, ma quella che dura per sempre.
Non è piacevole da mangiare, il frutto dell'albero della Croce, "non ha bellezza per attirare i nostri sguardi, non splendore per poterci piacere", come dice il profeta Isaia: eppure "vivrà a lungo e vedrà una discendenza".
Questo è capace di fare il frutto dell'albero della Croce.
La nostra vita è cosparsa di croci, di tutte le dimensioni, di tutte le fattezze, di qualsiasi peso e forma, di ogni tipo di durata.
Tutti quanti le abbiamo sulle spalle, ognuno la nostra, ognuno diversa, a volte più di una, e tutti per lo meno una.
Ce ne sono di tutti i tipi, eppure nessuna è identica all'altra; tutte sono pesanti, nessuna è più leggera o più facile da portare, la maggior parte di esse le sopportiamo.
Grandi e piccini, giovani e vecchi, adulti o anziani, nessuno è escluso: e nessuno può lamentarsi più di un altro, nessuno consolarsi più degli altri, la croce tocca tutti, prima o dopo, presto o tardi, nessuno ne è escluso.
E soprattutto, nessuno può scrollarsela di dosso facilmente dicendo: "A me non importa, io non la voglio".
Non è neppure necessario andarsela a cercare: la nostra croce è già in cerca di noi, ce l'abbiamo sulle spalle prima ancora di accorgerci, e quando ce ne accorgiamo ha già preso la forma del nostro corpo e della nostra vita.
Ci capita addosso personalmente, singolarmente, e ci capita addosso anche come umanità, nel nostro insieme.
In alcuni luoghi ha la forma di una guerra, in altri ha la forma della miseria, in altri ancora del degrado, in altri della violenza e della delinquenza, della corruzione, dello sfruttamento, della menzogna, della perversione del potere.
Chi più ne ha, più ne metta.
E chi non sa vedere le croci dell'umanità, apra il giornale, accenda la televisione, consulti la rete, entri nel suo social network, si connetta con il cellulare ... la croce è diventata esperta, abile a mostrarsi anche attraverso le nuove tecnologie.
Perché sta al passo con i tempi, progredisce con l'uomo, non lo abbandona mai, non lo lascia mai solo, non fugge da lui così come lui vorrebbe: no, gli sta sempre addosso, in cima, sulle spalle.
Eppure, la croce è un albero che dà frutti.
Poco piacevoli da mangiare, ma li dà, li produce.
E l'umanità se n'è accorta un venerdì pomeriggio, un giorno come oggi, quando da uno di questi alberi della Croce di cui il giardino dell'umanità è disseminato, fu appeso un frutto che è la salvezza del mondo, e che da quel giorno non ha più abbandonato l'umanità al suo destino.
Da allora, non c'è croce che non dia frutto, non c'è sofferenza che sia solo dannosa, non c'è male che venga solo per nuocere, non c'è dolore che non purifichi, non c'è sacrificio che non rafforzi, non c'è lacrima che non fiorisca.
Perché Dio ha scelto di pendere con suo Figlio, come un frutto, da quell'albero della Croce.
Perché la Croce, da quel venerdì pomeriggio, non è certo scomparsa dalla faccia della terra, tutt'altro: ma non ha più l'ultima parola sull'umanità.
… della vitaL'albero della vita viene da una tradizione parallela a quella dell'albero della conoscenza. L'uomo è mortale per natura ( Gen 3,19 ), ma aspira all'immortalità che gli sarà finalmente accordata. il paradiso perduto per la colpa dell'uomo è parallelo all'immagine del paradiso ritrovato per la grazia di Dio. |
Gen 3,22 |
Non può un albero buono dar frutti cattivi, né un albero cattivo frutti buoni | Mt 7,18 |
Schedario biblico |
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Croce, albero di vita | B 94 |
Fico sterile | B 102 |
Ombra di Dio | A 24 |
Magistero |
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Enciclica Pio XII - Auspicia quaedam | 1-5-1948 |
Gesù Cristo, sospeso all'albero della croce, recò la salvezza a tutto il genere umano | |
Enciclica Giovanni Paolo II - Dominum et Vivificantem | 18-5-1986 |
« l'albero della conoscenza del bene e del male » doveva esprimere e costantemente ricordare all'uomo il « limite » invalicabile per un essere creato | |
Catechesi Giovanni Paolo II | 3-9-1986 |
L'albero della conoscenza del bene e del male richiama simbolicamente al limite invalicabile che l'uomo, in quanto creatura, deve riconoscere e rispettare. | |
Eciclica Giovanni Paolo II - Veritatis splendor | 6-8-1993 |
il potere di decidere del bene e del male non appartiene all'uomo, ma a Dio solo. ( n. 35 ) | |
La vera autonomia morale dell'uomo non significa affatto il rifiuto, bensì l'accoglienza della legge morale, del comando di Dio ( n. 41 ) | |
Compendio Dottrina sociale della Chiesa | 2-4-2004 |
Il dramma del peccato | |
Ma questa libertà non è illimitata ( n. 136 ) | |
ricorda all'uomo che egli ha ricevuto tutto come dono ( n. 256 ) | |
Meditazione Francesco | 14-9-2013 |
L'albero della croce | |
Catechismo della Chiesa Cattolica |
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Albero del bene e del male | 396 |
Un grande albero dai molti rami | 917 |
Summa Teologica |
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… della vita | I, q. 97, a. 4 |