Apparizione/i

Dizionario

1) L'apparire improvviso e inatteso di qualcuno o di qualcosa;

Sinonimo: comparsa

estens. L'apparire di cose soprannaturali

2) Visione fuggevole e quasi irreale

Sinonimo: fantasma


Per apparizione s'intende la manifestazione extranaturale, percepibile, sia dai sensi esteriori che dall'immaginazione, di un oggetto che sembri presente.

In altre parole, per apparizione s'intende la manifestazione di Dio, della Madonna, di un angelo ecc., sotto forma materiale, vale a dire che l'oggetto dell'apparizione è visto, toccato o sentito come presente.

In questi eventi straordinari il primo elemento che si riscontra è il carattere sensibile, cioè la presenza come realtà corporea esistente dell'apparizione.

Descrizione del fenomeno.

Le parole latine « apparere, apparitio » significano apparire, mostrarsi, manifestarsi.

Tali termini hanno degli equivalenti nella lingua ebraica e greca, indicanti manifestazioni di ordine sensibile.

La Vulgata traduce tali termini con la parola « apparere » che significa esser visto, mostrarsi agli occhi, evidenziarsi, ecc.

È chiaro pertanto che, secondo la consuetudine, i modi attraverso cui un'apparizione si verifica interessano in ogni caso l'aspetto visivo che, perciò, costituisce l'esperienza più immediatamente intelligibile del fenomeno ( ad esempio, apparizione della Madonna a Lourdes e a Fatima ).

Tuttavia, non vi è totale identificazione tra il termine apparizione ed il termine visione, poiché mentre la visione esprime un atto soggettivo del vedente, il termine apparizione esprime una manifestazione dell'oggetto, vale a dire l'espressione di una realtà attualmente ed obiettivamente presente.

È necessario, inoltre, precisare che l'aspetto visivo talora non è il solo interessato, potendosi associare aspetti di altro ordine sensoriale ( ad esempio, udito od olfatto ).

Se, tuttavia, fosse assente l'aspetto visivo, si useranno altri termini per definire tali fenomeni mistici.

In caso di percezioni uditive, si parlerà, più che di apparizione, di locuzioni, ovvero citando s. Giovanni della Croce « tutto ciò che l'intelletto riceve secondo il modo di udire ».

Per esemplificare tale fenomeno è possibile ricordare la percezione di « parole miracolose ».

Qualora fosse assente l'aspetto visivo e fossero presenti percezioni olfattive, parleremo di percezione di odori miracolosi.

Il tatto avrà la funzione di controllare la realtà obiettiva dell'apparizione, confermandone il senso di presenza.

* * *

Le apparizioni divine sono presenti in ogni esperienza del "sacro", ma la Rivelazione biblica - su questo punto più che su altri - si distanzia non poco dal sentimento religioso comune.

Mette conto allora di guardare in primo luogo alle apparizioni narrate nella storia biblica e, in un secondo momento, di soffermarsi a considerare i criteri per una corretta valutazione delle apparizioni nell'esperienza spirituale.

Le apparizioni nella Bibbia

A differenza della religione greca, che K. Kerényi ha definito "una religione della vista", la tradizione biblica o testimonianza di una religione dell'udito: "Ascolta, Israele!" è il richiamo di Dio al suo popolo ( Dt 6,4; si legga soprattutto Dt 4,10-20 ).

L'"ascolto" si traduce nell'obbedienza della fede, ovvero nella venerazione dell'unico Dio e nella scelta di stare lontano dal male ( Gb 28,28 ).

Non mancano, tuttavia, racconti di apparizione, che sintetizziamo in tre modelli: le apparizioni di Dio ( teofanie ), le apparizioni di angeli ( angelofanie ) e il caso singolare delle apparizioni pasquali del Risorto ( cristofanie ).

Le apparizioni di Dio

Pur essendo molte volte riaffermato il principio che "nessuno ha mai visto Dio" ( Gv 1,18; Es 33,20 ), l'Antico Testamento racconta diverse teofanie poetiche ( per esempio, Ab 3; Gb 38; Sal 50 ) e profetiche ( per esempio: Is 6; Ez 1-3 ).

In nessun passo, comunque, si descrive direttamente il Dio che appare, ma la teofania è sempre in funzione di un messaggio da comunicare.

Mose ha il privilegio di molte apparizioni divine, a cominciare da Es 3 e Es 19-24.

La motivazione di questo privilegio è dichiarata da Nm 12,8: Mosé è il profeta per eccellenza.

Le teofanie servono quindi da giustificazione e da conferma per il suo ruolo singolare di mediatore dell'alleanza sinaitica.

Le apparizioni di angeli

Gli angeli ( v. Angelo ), la "gloria" o altri mediatori intervengono nei racconti come espedienti teologici ( teologumeni ) per poter narrare l'intervento di Dio nella storia dell'uomo, rispettando il suo essere totalmente trascendente.

Le apparizioni pasquali del Risorto

Le apparizioni pasquali sono le apparizioni di Cristo risorto avvenute tra il giorni di Pasqua e il giorno dell'Ascensione.

Il passo del Nuovo Testamento che per primo testimonia le apparizioni pasquali è quello di Paolo ai Corinzi: « Vi ho trasmesso … quello che anch'io ho ricevuto: che cioè Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici. » ( 1 Cor 15,3-5 )

L'apostolo si fa trasmettitore di questo annuncio, che egli a sua volta ha ricevuto.

La risurrezione e le apparizioni appartengono al deposito della Rivelazione che Gesù stesso, mediante i suoi apostoli ed evangelisti, ha lasciato alla sua Chiesa.

oncretamente, le apparizioni pasquali di Gesù sono incontri di Cristo risorto con i suoi discepoli.

Le cristofanie vanno mantenute nella loro singolarità.

Non si tratta di semplici "visioni", ma dell'esperienza unica che il gruppo dei Dodici ha avuto con il Risorto.

Mentre Paolo presenta l'apparizione del Risorto come la credenziale della missione apostolica ( 1 Cor 15,5-11 ), per gli altri scrittori del Nuovo Testamento di apparizioni del Risorto si può parlare solo nei primi giorni dopo la risurrezione ( 40 giorni per Lc e At ).

I destinatari

Le prime apparizioni sono dirette alle donne, non ai discepoli e agli stessi apostoli.

Tra le apparizioni alle donne emerge quella a Maria di Magdala ( Gv 20,11-18 ), dove Maria rivela tutta la sua appassionata e composta dedizione alla sequela di Gesù.

Le apparizioni testimoniate dal Nuovo Testamento sono tutte a persone amiche.

Non si conoscono apparizioni di Cristo risorto ai suoi nemici.

Le caratteristiche del corpo di Cristo risuscitato

Nelle apparizioni pasquali Gesù si presenta alle donne e ai discepoli col suo corpo trasformato, reso spirituale e partecipe della gloria dell'anima, ma senza alcuna caratteristica trionfalistica.

L'aspetto di Gesù è segnato da grande semplicità; il modo in cui parla è da amico ad amici, le circostanze in cui si fa incontrare sono quelle ordinarie della vita quotidiana.

Dai destinatari delle sue apparizioni Gesù si lascia conoscere nella sua identità fisica: il volto, le mani, i lineamenti che essi ben conoscevano, il costato che avevano visto trafitto, la voce che tante volte avevano udito.

La dinamica del riconoscimento

Nelle apparizioni pasquali vi è una iniziale difficoltà a riconoscere Cristo da parte di coloro che egli incontra ( la Maddalena, Gv 20,14-16 e i discepoli di Emmaus, Lc 24,16 ).

Gesù porta gradualmente i suoi interlocutori al riconoscimento e alla fede: la Maddalena ( Gv 20,16 ), i discepoli di Emmaus ( Lc 24,26-28 ) e gli altri discepoli ( Lc 24,25-48), Tommaso ( Gv 20,27-29 ).

A livello psicologico, i diversi incontri lasciano intravedere una certa difficoltà a riconoscere non solo la verità della risurrezione, ma anche l'identità di Gesù, che appare come lo stesso e allo stesso tempo anche come un altro: il suo aspetto è trasformato.

Al riconoscimento corrisponde nei discepoli una nuova intelligenza del mistero di Cristo, corrisponde la risposta della fede:

"Non ci ardeva forse il cuore nel petto mentre conversava con noi lungo il cammino, quando ci spiegava le Scritture?" ( Lc 24,32 );

"Mio Signore e mio Dio!" ( Gv 20,28 );

"Ho visto il Signore!" ( Gv 20,18 ).

Il riconoscimento di Gesù e le sue parole gettano una luce nuova sull'evento della croce, e rivelano il senso vero e completo del mistero del suo dolore e della sua morte, che appaiono parte del piano di Dio.

Apparizioni e missione

Le apparizioni di Cristo risorto rappresentano il definitivo affidamento agli apostoli ( e alla Chiesa ) della missione evangelizzatrice.

Nell'apparizione nel cenacolo la sera di Pasqua Gesù dice: "Come il Padre ha mandato me, anch'io mando voi" ( Gv 20,21 ), effonde lo Spirito Santo e concede il potere di rimettere i peccati.

Nell'apparizione sul mare di Tiberiade, seguita dalla pesca miracolosa, che simboleggia e annuncia la fruttuosità della missione, Gesù vuole orientare gli spiriti dei discepoli verso l'opera che li attende] ( Gv 21,1-23 ).

Nella finale di Marco l'invio in missione è accompagnato dal comando di battezzare, e dall'assicurazione dei segni che accompagneranno i credenti: scacciare i demoni, parlare in lingue, immunità ai veleni, guarigioni ( Mc 16,15.18 ).

La finale di Matteo collega ancora il comando della predicazione con il battesimo "nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo", e assicura la presenza del Cristo glorioso e onnipotente ai suoi inviati ( Mt 28,18-20 ).

Le apparizioni nell'esperienza cristiana

Le apparizioni sono un tema su cui la sensibilità popolare si scontra con l'approccio spirituale critico: mentre a livello popolare si è subito propensi ad accogliere nuovi interventi straordinari del divino, l'atteggiamento spirituale maturo è più cauto.

Un giudizio sereno deve essere espresso sulla base di tre criteri.

1. Ammessa la possibilità che Dio possa rivelarsi con mezzi straordinari che superino la normale capacità visiva, è importante verificare il contesto spirituale complessivo entro cui avvengono tali fenomeni: veggente, messaggio ed effetto dell'apparizione devono avere uno stile coerente con l'insieme della Rivelazione biblica.

2. Un criterio oggettivo importante è la conversione a una vita evangelica che l'apparizione provoca e fa maturare nel veggente,
come ha lasciato scritto s. Teresa d'Avila: "Una sola di quelle visioni bastava per trasformarmi in altra, e lo vedevo chiaramente".

L'uomo ha bisogno di "visione", ma la salvezza cristiana è la fede che agisce per mezzo dell'amore ( Gal 5,6; 1 Cor 13,1-13 ).

3. Se Cristo è l'ultima e definitiva parola del Padre per l'umanità ( Eb 1,1s. ), le apparizioni devono condurre a riaffermare la centralità di quella salvezza attuata una volta per tutte nella Croce e risurrezione del Figlio di Dio venuto nella carne ( 1 Gv 4,2s. ).

Nella vita del cristiano, le apparizioni non possono che essere la ripresentazione della speranza del Vangelo, "segni e mediazioni spirituali che ci permettono di avvicinarci e di ricevere l'unico dono della grazia nel Signore Gesù".

Le apparizioni mariane

Secondo la dottrina della Chiesa cattolica, l'era delle rivelazioni pubbliche è terminata con la morte dell'ultimo Apostolo e dopo che è stato completato il Nuovo Testamento.

La Chiesa cattolica considera le apparizioni mariane come un supporto alla vita e alla speranza dei fedeli, ma consente la devozione solo dopo un'indagine ( anche con supporti tecnico-scientifici ), cui può seguire l'approvazione.

Fin dai primi secoli della Chiesa si ricordano le manifestazioni della Vergine Maria a Gregorio taumaturgo ( m. 250 ), a Teofilo, a Maria Egiziaca.

Più avanti nei secoli, si ricorda l'apparizione della Virgen Morena avvenuta a Guadalupe, in Messico, nel XIV sec.: il santuario a lei dedicato, mèta continua di pellegrinaggi, è diventato il fulcro centrale dell'espressione e dell'identità religiosa latino-americana.

Tuttavia le apparizioni di Maria sono un fenomeno moderno, se si considera la loro risonanza e l'impressionante accorrere di fedeli ai santuari mariani: basti ricordare Lourdes con circa 5 milioni di pellegrini ogni anno o il caso di Medjugorje, con migliala di presunte apparizioni, su cui l'autorità ecclesiastica non si è ancora pronunciata.

In verità, le apparizioni più note riconosciute o approvate dal Magistero episcopale e papale non sono molte.

L'elenco è il seguente:

Parigi ( 1846, rue du Bac ), con le apparizioni a Catherine Laboure a Rue du Bac nel 1830;

La Salette ( Francia, 1846 ) con un'unica apparizione a Melania Calvat e Massimino Giraud;

Lourdes ( Francia, 1858 ) con 18 apparizioni a Bernadette Soubirous;

Potmain ( 1871 ) con un'unica e silenziosa apparizione ad alcuni bambini;

Fatima ( Portogallo, 1917 ) con sei apparizioni a tre pastorelli;

Bauring ( Belgio, 1932-1933 ) con 33 apparizioni a cinque bambini;

Banneux ( Francia, 1933 ) con 9 apparizioni a Mariettc Béco.

Si possono poi aggiungere altri fenomeni ritenuti straordinari dall'autorità competente:

Rimini ( 1850 ),

Taggia ( Imperia, 1855 ),

Quito ( Ecuador, 1906 ),

Siracusa ( Italia, 1953 ),

Pakita ( Giappone, 1973 ).

Tornando alle apparizioni, si deve notare che l'ultimo riconoscimento canonico di un'apparizione di Maria risale al 1933 ( Banneux ).

Forse a causa della proliferazione di presunte apparizioni - si contano, da quella data, più di 200 tatti straordinari degni di nota -, e anche a causa della divulgazione di notizie che accrescono la difficoltà di conoscere con precisione e con rigore il succedersi dei fatti, l'autorità religiosa, da sempre prudente, è diventata ancor più riservata nei confronti delle manifestazioni visibili di un essere estraneo al nostro spazio-tempo, come è il corpo glorificato della Madonna.

D'altronde, quando l'autorità ecclesiastica, seguendo le formule rigorose di Benedetto XIV e di Pio X, approva un'apparizione, lascia il cristiano libero di credervi o meno; può raccomandargli di credere, ma non lo obbliga.

Alla stregua delle rivelazioni particolari, le apparizioni di Maria e i messaggi connessi a questi eventi non aggiungono nulla alla Rivelazione che, con Gesù Cristo, è completa, così che nulla di veramente nuovo può esservi aggiunto.

Sia le apparizioni che le rivelazioni private non sono che un sostegno destinato a ricordare elementi trascurati o una sollecitazione di certi punti particolarmente utili in determinate circostanze.

Quando l'autorità non si pronuncia su un'apparizione, lascia tuttavia al cristiano di giudicare i fatti secondo la sua discrezione e la sua prudenza.

Quando infine la Chiesa dichiara inautentica un'apparizione, in quanto non vede nei fatti esaminati alcunché di fondato o di utile, o peggio vi vede qualcosa che può ingenerare un pericolo per la fede, per il cristiano e temerario andare contro questo giudizio.

v. Miracolo

* * *

1. Le apparizioni nella Bibbia costituiscono uno dei modi della rivelazione di Dio.

Attraverso esse si rendono presenti in modo visibile gli esseri che, per natura, sono invisibili agli uomini.

Nel VT, Dio appare in persona ( « teofania » ), manifesta la propria gloria, o si rende presente tramite il suo angelo.

A queste apparizioni si collegano su scala inferiore le apparizioni di angeli o i sogni.

Il NT riferisce di apparizioni dell'angelo del Signore o degli angeli, in occasione della nascita di Gesù ( Mt 1-2; Lc 1,11.26; Lc 2,9 ) o della sua risurrezione ( Mt 28,2ss; Mc 16,5; Lc 24,4; Gv 20,12 ), per dimostrare che in questi momenti culminanti dell'esistenza di Cristo, il cielo è presente sulla terra.

In questo, il NT è il prolungamento del VT.

Ma lo oltrepassa in modo decisivo, quando si astiene dal riferire delle teofanie, perché non è possibile definire con questo termine la trasfigurazione ( Mt 17,1-9par ) e neppure l'avanzata sul mare ( Mt 14,22-27par ), sebbene allora traspaia l'essenza misteriosa di Gesù.

Infatti, è intervenuto un cambiamento radicale, che Giovanni esprime in questo modo: « Dio, nessuno l'ha mai visto; il Figlio unico che è nel seno del padre, è lui che l'ha fatto conoscere » ( Gv 1,18 ).

Come? Con la sua sola esistenza.

« Chi vede me ha visto il Padre » ( Gv 14,9; cfr. Gv 12,45 ); Dio è apparso in Cristo.

Il grande mistero si è così rivelato ( 1 Tm 3,16 ), « il giorno in cui apparvero la bontà di Dio nostro salvatore e il suo amore per gli uomini » ( Tt 3,4 ).

Noi attendiamo soltanto « l'epifania della sua gloria » ( Tt 2,13 ), al momento della parusia.

Quest'ultima apparizione sarà come il lampo ( Lc 17,24 ).

Allora, essa non avrà più come oggetto il testimone che Stefano vide « in piedi alla destra di Dio » ( At 7,55 ), ma il giudice « seduto alla destra della Potenza » ( Mt 26,64par ).

Manifestatosi infine, Cristo renderà pure noi manifesti « con lui pieni di gloria » ( Col 3,4 ), perché « apparirà una seconda volta, a coloro che lo attendono in vista della salvezza ( Eb 9,28 ) e conferirà loro « la corona di gloria immarcescibile » ( 1 Pt 5,4 ).

« Al momento di questa manifestazione noi saremo simili a lui, perché lo vedremo qual è » ( 1 Gv 3,2 ).

Tra le teofanie del VT e la parusia futura, si inseriscono le apparizioni di Gesù risorto che al tempo stesso ricapitolano la esistenza anteriore di Gesù di Nazareth e ne anticipano il ritorno.

2. Le diverse apparizioni di Cristo.

- L'elenco più antico è fornito da Paolo nell'anno 55, muovendo da una tradizione che aveva ricevuto molto tempo prima e che in seguito ( verso il 50 ) aveva trasmesso ai Corinti ( 1 Cor 15,3ss ).

Secondo questa antica confessione di fede, Cristo è apparso a Cefa, ai Dodici, a più di cinquecento confratelli, a Giacomo, a tutti gli apostoli e infine a Paolo.

Di questa lista, i vangeli contemplano solo le prime due apparizioni:

a Simone ( Lc 24,34 ),

nonché agli Undici ( Mt 28,16-20; Mc 16,14-18; Gv 20,19-29 )

ai quali si uniscono alcuni altri discepoli ( Lc 24,33-50 );

in compenso, riferiscono delle apparizioni a dei privati:

Maria e le donne ( Gv 20,11-18; Mt 28,9-10; Mc 16,9-11 ),

i discepoli di Emmaus ( Lc 24,13-35; Mc 16,12s ),

i Sette sulle rive del lago ( Gv 21,1-23 ).

Queste diverse apparizioni possono essere riportate a due tipi, a seconda che siano destinate al collegio apostolico o ai discepoli in generale:

le apparizioni ufficiali, i cui resoconti puntano soprattutto sulla missione che sta alla base della Chiesa,

e le apparizioni private la cui narrazione si interessa innanzitutto al riconoscimento di colui che appare.

3. Né apocalisse, né cronaca.

- I racconti evangelici non consentono di venir catalogati nel genere apocalittico: nessuna insistenza sulla gloria, nessuna rivelazione di segreti, niente messa in scena straordinaria, ma la vicinanza familiare e la missione.

Una novità del genere nella descrizione presuppone un'esperienza originale unica, tale da trasformare quello che il linguaggio apocalittico, pur tuttavia preoccupato di descrivere le cose celesti, si sforzava di esprimere.

I narratori non hanno inteso neppure redigere una cronaca biografica delle apparizioni del risorto.

È impossibile coordinare i racconti nel tempo e nello spazio.

Il concordismo, che vuole in ordine successivo le apparizioni a Gerusalemme nel giorno di Pasqua ( Lc, Gv ) e l'ottavo giorno ( Gv ), poi in Galilea ( Mt, Gv ), e di nuovo a Gerusalemme per l'ascensione, tenta un'armonizzazione inaccettabile, perché sacrifica dei dati letterari sicuri.

Secondo Lc 24,49, i discepoli devono restare a Gerusalemme fino al giorno della Pentecoste: il che esclude ogni possibilità di apparizioni in Galilea.

Viceversa, Mt e Mc dicono che l'incontro è fissato in Galilea.

Non è possibile far concordare queste topografie divergenti; lo stesso vale per la cronologia: i « molti giorni » di cui parla Atti 1,3 sono in antitesi con Lc 24, che colloca chiaramente l'ascensione al giorno di Pasqua, e in antitesi anche con Gv 20 che presenta il dono dello Spirito nel giorno stesso di Pasqua, salvo riferire di una ulteriore apparizione al lago di Tiberiade ( Gv 21 ).

Una costruzione letteraria artificiosa caratterizza sia Luca ( concentrazione a Gerusalemme in un giorno ) che Giovanni ( distribuzione del racconto secondo lo schema di una settimana ).

Gli evangelisti non hanno neppure voluto lasciarci delle « foto-ricordo »: i particolari ( ad es. porte chiuse, palpazione del corpo … ) non devono venir considerati indipendentemente dalla totalità del mistero di cui vogliono rendere un aspetto.

4. Iniziativa, riconoscimento, missione, sono i tre aspetti comuni a tutti i racconti,

che permettono di penetrare concretamente nell'intendimento degli autori.

a) Mostrando che Gesù interviene personalmente presso o in mezzo a gente che non se l'aspetta, gli evangelisti ( salvo Lc 24,34 ) vogliono dimostrare che non si tratta di un'invenzione soggettiva degli interessati, originata da una fede esasperata o da una fantasia sbrigliata.

Questo tema dell'iniziativa del risorto ( che a suo modo esprime il verbo ofthe, « si è fatto vedere », nella lista di 1 Cor 15) sta a significare che i racconti di apparizioni descrivono esperienze realmente vissute dai discepoli.

Questo aspetto dei racconti corrisponde ai modi di vedere della predicazione primitiva: Dio è intervenuto per risuscitare Gesù, gli ha concesso di mostrarsi vivo dopo la morte.

La fede è una conseguenza di questo incontro.

b) Seconda caratteristica, il riconoscimento.

I discepoli scoprono l'identità dell'essere che si impone loro; è quel Gesù di Nazareth di cui hanno conosciuto la vita e la morte.

Lui che era morto è vivo.

In lui, si compie la profezia.

In un certo qual modo, non hanno più nulla da « vedere », in futuro, perché è stato loro dato tutto nel risorto.

Il modo in cui avviene questo riconoscimento è progressivo: nell'uomo che viene verso di loro, i discepoli vedono in un primo tempo un personaggio comune, un viaggiatore ( Lc 24,15s; Gv 21,4s ), un giardiniere ( Gv 20,15 ); poi riconoscono il Signore.

Questo riconoscimento è libero, perché secondo il tema dell'incredulità, che fa parte del complesso della tradizione ( Mt 28,17; Mc 16,11.13s; Lc 24,37.41; Gv 20,25-29 ), essi avrebbero potuto rifiutarsi di credere.

Infine, poiché il Signore in genere appare ad un gruppo di persone, ne viene facilitata la verifica.

Per elaborare dal punto di vista letterario questo dato fondamentale, i narratori hanno voluto mettere in evidenza contemporaneamente due aspetti.

Il risorto è sottratto alle normali condizioni della vita terrena come Dio nelle teofanie del VT ( Gen 18,2; Nm 12,5; Gs 5,13; 1 Cr 21,15s; Zc 2,7; Zc 3,5; Dn 8,15; Dn 12,5 ) appare e scompare a suo piacere.

D'altra parte, non è un fantasma; di qui l'insistenza sui contatti sensibili.

Questi due aspetti devono essere presi in considerazione simultaneamente se non si vuole incorrere in errore.

Il corpo del risorto è vero corpo, ma, per dirlo con S. Paolo in una formula apparentemente paradossale, è un « corpo spirituale » ( 1 Cor 15,44-49 ), perché è un corpo trasformato dallo Spirito ( cfr. Rm 1,4 ).

c) Un terzo aspetto, di ordine uditivo, caratterizza il racconto.

Riconoscendo il Signore, i discepoli anticipano la visione che sarà prerogativa del cielo; con l'ascolto della parola, sono riportati alla condizione terrena.

Odono così la promessa di una presenza eterna ( Mt 28,20) e l'invito a continuare l'opera di Gesù in una missione propriamente detta ( Mt 28,19; Mc 16,15-18; Lc 24,48s; Gv 20,22s; cfr. Mt 28,10; Gv 20,17 ).

La presenza di Gesù non è statica, ma missionaria.

Questi tre aspetti devono rimanere in rapporto dinamico.

Il presente è senza posa rinnovato dall'iniziativa del risorto; il discepolo è invitato ad assumere il passato nella persona di Gesù di Nazareth, che lo incita allora a costruire l'avvenire che è la Chiesa -

5. L'apparizione a Paolo ha un posto a parte ( Gal 1,12-17; At 9,3-19par ).

Paolo la colloca allo stesso livello delle altre apparizioni: come i discepoli, egli ha visto il Signore vivo.

Distingue così il fatto di Damasco dalle semplici visioni ( horama ) che avrà in seguito ( At 16,9; At 18,9; At 23,11; At 27,23 ).

Quest'apparizione è interpretata come una missione affidata a Paolo ( Gal 1,16 ), non con la mediazione di un uomo qualsivoglia ( Gal 1,1; cfr. At 9,6; At 22,15 ), ma in modo diretto ( At 26,16ss ).

L'ha costituito apostolo ( 1 Cor 9,1 ), ma non l'ha tuttavia assimilato ai Dodici.

Questi, sotto i tratti del risorto, hanno riconosciuto Gesù di Nazareth col quale avevano vissuto ( cfr. At 2,21s ), e, sulla parola di Cristo, hanno costituito la Chiesa.

Paolo, invece, non conosceva Gesù se non attraverso la Chiesa che andava perseguitando; e questo significa due cose.

L'apparizione di cui beneficia non è all'origine della Chesa; è orientata non verso il Gesù pre-pasquale, ma verso la Chiesa già esistente.

Per tali motivi, e anche perché Luca lo colloca dopo l'ascensione, essa, conformemente al linguaggio di Paolo ( Gal 1,16 ), viene presentata in uno stile apocalittico: luce, voce, gloria, conferiscono alla scena un tono sostanzialmente diverso da quello delle apparizioni familiari destinate agli Undici.

Tuttavia, malgrado queste differenze, Paolo ha catalogato questa apparizione tra quelle che contrassegnarono i quaranta giorni.

6. Il fatto e il linguaggio.

- Per interpretare correttamente il linguaggio al quale gli evangelisti ricorrono per riferire l'esperienza pasquale, devono essere rispettate due condizioni.

Alla base, si trova un avvenimento che deve essere definito escatologico; poiché la risurrezione di Gesù non è un ritorno alla vita terrena, ma l'accesso alla vita che non conosce più la morte ( Rm 6,9 ), l'avvenimento delle apparizioni trascende il quadro nel quale viviamo e le categorie per mezzo delle quali ci esprimiamo: è di per sé indicibile.

D'altra patte, si tratta nello stesso tempo di un'esperienza reale dei discepoli, che ebbe luogo nel nostro tempo e fa parte della conoscenza storica.

Conviene perciò guardarsi da due eccessi.

Dal momento che la risurrezione non è un mito, non si deve « mitizzare » il linguaggio delle apparizioni: questo equivarrebbe inevitabilmente a ridurre la presenza di Cristo a quella di un qualsiasi eroe sopravvissuto nella memoria dei suoi ammiratori.

Per evitare un eccesso del genere, per non ridurre le apparizioni a un'esperienza puramente soggettiva, non bisogna neppure cadere nell'eccesso opposto e reputare necessario dichiarare che l'oggettività dipende esclusivamente dall'ordine sensibile, spaziotemporale.

Immaginare il contatto stabilito dal risorto con i suoi discepoli sulla falsariga di quello che avrebbe potuto essere il contatto di Lazzaro risuscitato che ritrova i suoi, significherebbe misconoscere il carattere unico della risurrezione di Gesù; non basta aggiungere qualche ritocco al concetto che ci si fa di un corpo rianimato: un confronto del genere porterebbe a conferire un valore indebito ai particolari materiali dei racconti.

In effetti, l'esperienza dei discepoli, non esclusivamente soggettiva, ripetuta, condivisa, è stata comunicata tramite il linguaggio ambientale e la tradizione religiosa, in particolare con l'aiuto della loro fede nella risurrezione collettiva alla fine dei tempi.

Se si vuole evitare di assimilare il contatto con il risorto con quello che si può avere quaggiù con un uomo, basta far riferimento alla triplice dimensione che i racconti manifestano.

Per iniziativa del risorto, i discepoli sono preservati dall'illusione che li porterebbe a dubitare dell'autenticità del loro incontro con il vivente; « vedendolo », collegano questa esperienza al passato che hanno vissuto; udendolo, fanno fronte all'avvenire.

Nel rapporto tra queste tre dimensioni, risiede appunto il segreto della presenza di Cristo vivente oggi.

7. « Beati quelli che credono senza vedere! » ( Gv 20,29 ).

- Attraverso l'incredulità di Tommaso, Giovanni ha presente i futuri credenti.

La loro situazione infatti non è paragonabile da tutti i punti di vista a quella dei primi testimoni.

Certo, i vangeli suggeriscono che anche i discepoli dal canto loro non avrebbero dovuto aver bisogno delle apparizioni: sarebbe dovuto bastare l'annuncio ( Mc 16,13 ), e la comprensione stessa delle Scritture avrebbe dovuto avviare i discepoli alla fede nella risurrezione ( Gv 20,9 ).

In un certo senso, le apparizioni rispondono alle esigenze di una fede ancora imperfetta.

Tuttavia, in un altro senso, furono necessarie e hanno una portata unica, quella che gli evangelisti hanno sottolineato descrivendo le apparizioni dei quaranta giorni.

Quelli che avevano vissuto con Gesù di Nazareth dovevano essere i testimoni unici e privilegiati di Gesù il Cristo.

Occorreva radicare storicamente il punto di partenza della fede cristiana e della Chiesa.

Così si può dire che i discepoli hanno visto il Signore vivente, in una esperienza storica: senza dubbio nel corso di un pasto comunitario, di una passeggiata, di una pesca …

Di colpo sono stati a contatto con il Cristo vivente.

Concedendo loro di riconoscere Gesù, Dio ha donato loro la fede: questa fede è quindi, in certo qual senso, conseguenza dell'aver visto.

La situazione cambia per i credenti che non sono dei testimoni privilegiati.

Per quanto riguarda loro, non hanno visto quel che hanno visto i discepoli, però sanno che questi l'hanno visto.

Il credente conosce il significato delle apparizioni solo attraverso la predicazione attuale fatta dalla Chiesa, corpo di Cristo.

Si ritrova la triplice dimensione della presenza del risorto, ma trasposta.

L'iniziativa proviene sempre da Dio, e più precisamente dal risorto, ma oggi egli parla attraverso la predicazione attuale.

Gesù di Nazareth si fa riconoscere, ma attraverso l'esperienza storica dei primi testimoni.

Il Signore invia in missione, questa volta in diretta continuità con la missione apostolica.

Il risorto è quindi oggi ancora presente ( Mt 28,20 ), ma con la mediazione della Chiesa vivente, suo corpo; e si fa sempre « riconoscere dalla frazione del pane » ( Lc 24,35 ).


Nella sua redazione finale, questo racconto jahvista narra una apparizione di Jahvè ( vv 1.10s.13.22 ) accompagnato da due « uomini », che, secondo Gen 19,1+, sono due angeli.

Il testo esita in parecchi luoghi tra il plurale e il singolare ( come mostrano le varianti dei LXX e di sam. ).

In questi tre uomini ai quali Abramo si rivolge al singolare, molti Padri hanno visto l'annunzio del mistero della trinità, la cui rivelazione era riservata al N. T.

Gen 18,1

( venuta ) del Cristo

Manifestazione: questo termine epifania ( usato in 2 Ts 2,8 a proposito dell'empio ) è adottato dalle pastorali che lo preferiscono a quello di « venuta » ( 1 Cor 15,23+ ) e di « rivelazione » ( 1 Cor 1, 7+ ), per designare la manifestazione del Cristo, sia nel suo trionfo escatologico ( qui e 2 Tm 4,1.8; Tt 2,13; Eb 9,28 ), sia già nella sua opera redentrice ( 2 Tm 1,10; Tt 2,11; Tt 3,4 ).

1 Tm 6,14

… di Cristo risuscitato

Se i quattro vangeli sono d'accordo nell'attribuire l'apparizione dell'angelo ( o degli angeli) alle donne ( Mt 28,5-7; Mc 16,5-7; Lc 24,4-7; Gv 20,13 ), divergono in ciò che concerne le apparizioni di Gesù stesso.

A parte Mc. la cui conclusione improvvisa pone un problema speciale ( Mc 16,8+ ) mentre la « finale lunga » ricapitola i dati degli altri vangeli, si osserva in tutti una distinzione letterariamente e dottrinalmente accentuata tre:

1 - apparizioni private che servivano a provare la resurrezione: a Maria Maddalena, sola ( Gv 20,14-17; Mc 16,9 ), accompagnata ( Mt 28,9-10); ai discepoli di Emmaus ( Lc 24,13-32; Mc 16,12 ); a Simone ( Lc 24,34 ); a Tommaso ( Gv 20,26-29);

2 - un'apparizione collettiva con missione apostolica ( Mt 28,16-20; Lc 24,36-49; Gv 20, 19-23; Mc 16,14-18 ).

Si notano, d'altra parte, due tradizioni circa la località: in Galilea soltanto ( Mc 16,7; Mt 28,10.16-20); in Giuda solamente ( Lc e Gv 20); Gv 21 aggiunge, come in appendice, un'apparizione in Galilea che, pur rivestendo un carattere privato ( soprattutto a Pietro e a Giovanni ) si accompagna con una missione ( a Pietro ).

Il kerigma antico, che Paolo riferisce in 1 Cor 15,3-7, enumera cinque apparizioni ( alle quali si aggiunge l'apparizione a Paolo stess o); queste non si possono facilmente mettere d'accordo con i racconti evangelici; Paolo menziona in particolare un'apparizione a Giacomo che è raccontata anche nel Vangelo degli Ebrei.

Si sentono, in questi racconti, tradizioni differenti, dovute a gruppi diversi che è difficile precisare.

Ma le loro stesse divergenze attestano, meglio che una uniformità artificiosamente costruita, il carattere antico e storico di queste molteplici manifestazioni del Cristo risorto.

Mt 28,10

Schedario biblico

Teofanie A 27
Apparizioni di Cristo B 100

Magistero

Enciclica Pio XII - Le pèlerinage de Lourdes 2-7-1957
Il cinquantenario della definizione dogmatica dell'immacolata concezione della Vergine santissima offrì a san Pio X l'opportunità di attestare, in un documento solenne, il nesso storico tra questo atto del magistero e l'apparizione di Lourdes: "Appena Pio IX aveva definito verità di fede cattolica che Maria fu sin dall'origine esente dal peccato, la Vergine stessa cominciò a operare meraviglie in Lourdes".
Perciò Noi siamo lieti, in questo centenario, di associarci al seguente omaggio reso da san Pio X: "La gloria unica del santuario di Lourdes sta nel fatto che i popoli vi sono, da ogni parte, chiamati da Maria all'adorazione di Cristo Gesù nell'augusto sacramento, di modo che quel santuario, insieme centro di devozione mariana e trono del mistero eucaristico, sembra superare, in gloria, tutti gli altri del mondo cattolico".
Catechesi Paolo VI 29-3-1967
L'apparizione di Gesù nella Galilea

Catechismo della Chiesa Cattolica

Le apparizioni del Risorto 641
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