Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Dice che noi morimmo al peccato già nel momento in cui, per ricevere il dono della indulgenza, professammo di rinunziare al mondo e a tutti i peccati.
Memori perciò del dono, dice che dobbiamo vivere così da apparire consepolti con il Cristo e da portare la sua risurrezione nella evidenza della santità.
E come, dopo che risorse dai morti, egli non soffre più infermità corporali e oltraggi, così noi pure cerchiamo di essere invulnerabili a tutti i peccati e vizi.
Se infatti siamo stati completamente uniti a lui con una morte simile alla sua, lo saremo anche con la sua risurrezione.
Sappiamo bene che il nostro uomo vecchio è stato crocifisso con lui, perché fosse distrutto il corpo del peccato e noi non fossimo più schiavi del peccato.
Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato. ( Rm 6,5-7 )
Costringe i fedeli con un chiaro ragionamento: Se volete partecipare, dice, alla sua risurrezione, imitate anche la virtù della sua morte, così che, morti ai vizi, viviate nella virtù; allora infatti sarete " consorti " in quella felicità, se avrete portato l'immagine della sua morte morendo ai peccati.
Infatti il nostro uomo vecchio deve apparire affisso alla sua croce, perché egli distrugga il corpo del peccato, con la fortezza evidentemente della passione.
Ma corpo del peccato Paolo, secondo il suo solito, chiama i vizi e non la sostanza della carne.
Così infatti seguita e dice: Perché sia distrutto il corpo del peccato e noi non siamo più schiavi del peccato.
Infatti chi è morto, è ormai libero dal peccato.
Agostino. Comunque tu interpreti il corpo del peccato, non negherai che i bambini battezzati nel Cristo Gesù siano morti al peccato, per non negare apertissimamente che essi siano stati battezzati nella morte del Cristo Gesù e quindi negare che siamo stati battezzati nel Cristo Gesù.
Quanti infatti siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 )
Di' dunque: a quale peccato essi muoiono, quando i bambini si battezzano nel Cristo Gesù?
Ma non avrai assolutamente niente da dire, se con tutta la Chiesa del Cristo non intendi e non rispondi: A causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e per il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, che tutti peccarono in lui. ( Rm 5,12 )
Ecco a quale peccato muoiono i bambini, quando si battezzano nella morte del Cristo Gesù.
Vi prego, non siate come il cavallo e come il mulo privi d'intelligenza. ( Sal 32,9 )
Udite: Se siamo morti al peccato, come potremo vivere in esso?
O non sapete che quanti siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte? ( Rm 6,3 )
Quanti dunque siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo morti al peccato, perché siamo stati battezzati nella sua morte.
Udite: Quanti siamo stati battezzati.
Non infatti i piccoli senza i grandi o i grandi senza i piccoli; bensì quanti, cioè e i piccoli e i grandi, siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte, e quindi siamo morti al peccato.
Dunque, o dite apertamente che non è necessario il battesimo del Cristo ai bambini, o dite a quale peccato muoiono i bambini quando si battezzano nel Cristo, o, perché non potete trovare nessun altro peccato, riconoscete una buona volta finalmente il peccato originale.
Giuliano. Evidentemente, poiché parlava a persone viventi, diceva che anche a loro era stata conferita la giustizia per mezzo dei misteri.
In che senso dunque afferma morto colui che è stato giustificato, se non indicando senza nessuna ambiguità che qui chiama morte la rinunzia a peccare e adopera il nome di morte per indicare che i fedeli devono smettere di peccare, come i morti di agire?
Agostino. O uomo litigioso, se in questo passo delle parole apostoliche si chiama morte la rinunzia, nel senso che muore al peccato chi rinunzia al peccato, ripensa in che modo nella Chiesa del Cristo, dove sei stato battezzato, si celebrano i misteri del battesimo e troverai che i bambini anche con la bocca di coloro che li presentano fanno la rinunzia, come con la bocca di coloro che li presentano fanno la loro professione di fede.
Il che forse non si fa più presso di voi.
Siete infatti così progrediti in peggio da errare voi stessi e da indurre ad errare gli altri, consenzienti con voi che non deve fare la rinunzia il piccolo da battezzare, perché non ha contratto il peccato originale; ( 2 Tm 3,13 ) o se deve rinunziare al peccato, dite a quale peccato e correggete finalmente il vostro errore.
Giuliano. Se infatti siamo morti con il Cristo, crediamo che vivremo con il Cristo, sapendo che il Cristo risuscitato dai morti non muore più; la morte non avrà più potere su di lui.
Per quanto riguarda la sua morte, egli morì al peccato una volta per tutte, ma ora invece che egli vive, vive per Dio.
Così anche voi consideratevi morti al peccato, ma viventi per Dio nel Cristo Gesù. ( Rm 6,8-11 )
Dice: Come il Cristo, che una volta per sempre è morto al peccato, cioè è morto una sola volta per i nostri peccati, non muore più, ma vive nella gloria di Dio, così voi pure: consideratevi morti al peccato per vivere e per servire solamente alle virtù.
Agostino. O meraviglioso commento! L'Apostolo dice che il Cristo è morto al peccato, e tu dici: " Cioè è morto per i nostri peccati ".
Dunque quando dice: Così anche voi consideratevi morti al peccato, bisogna pensare che dica: Consideratevi morti per i vostri peccati?
Non dice certamente questo in cotesto luogo, né tu intendi così, ma li confessi morti al peccato nel senso che non vivano per il peccato.
Indica dunque che anche il Cristo è morto al peccato, perché l'Apostolo non abbia detto senza nesso logico: Così anche voi.
Per togliere infatti i nostri peccati è morto, ma nondimeno è morto al peccato, e questo in che modo lui che non ebbe assolutamente nessun peccato, né originale né proprio, se non perché la somiglianza ha preso il nome della realtà di cui era la somiglianza?
Sappiamo infatti che il Cristo è venuto in una carne simile a quella del peccato, ( Rm 8,3 ) perché è venuto in una carne vera, ma non come gli altri uomini nella carne del peccato.
È morto conseguentemente lui alla somiglianza del peccato, che portava nella carne mortale, e così compì il mistero della nostra salvezza, perché noi morissimo al peccato, di cui egli portava la somiglianza.
Per questo siamo battezzati nella sua morte, perché, come in lui avvenne una vera morte, così in noi avviene una vera remissione di peccati.
Ma qui ci sono anche i bambini, perché quanti siamo stati battezzati nel Cristo Gesù, siamo stati battezzati nella sua morte. ( Rm 6,3 )
Non si battezzano infatti gli uomini nel Cristo così da essere battezzati alcuni nella sua morte e altri non nella sua morte, ma, come dice l'Apostolo nel quale parlava il Cristo stesso, tutti quelli che sono battezzati nel Cristo Gesù, sono battezzati nella sua morte, e quindi tutti quelli che sono battezzati nel Cristo Gesù, muoiono al peccato.
Se tutti quelli che, per forza anche i bambini: ma a quale peccato muoiono i bambini?
Si confessi finalmente, per favore, la generazione, perché non si sconfessi la rigenerazione; si confessi nei bambini la carne del peccato, perché non si neghi che anche per i bambini è morta la carne somigliante alla carne del peccato.
Giuliano. Dove dunque si accusa qui la natura?
Dove s'incolpano gli esordi della sostanza umana?
Dove si condanna l'orgasmo di chi genera?
Più della luce è chiaro che la sola ad essere chiamata in giudizio dal Maestro delle Genti è la volontà, perché abdichi alle sue occulte vergogne ( 2 Cor 4,2 ) e avanzi a vita migliore correggendo le sue azioni.
Ma riceva ormai la nostra esposizione la sua chiusura, né continui ancora ad interpretare in questi passi le dichiarazioni dell'Apostolo: ascoltiamo lui stesso che discute dei suoi modi di pensare.
Alla fine del suo discutere apparirà con chi egli sia consenziente nel dogma e nella fede.
Noi appunto diciamo che l'Apostolo ha parlato del peccato della volontà umana, la quale è in ognuno che pecca; tu invece dici che ha parlato del peccato nel quale tu credi credendo a Fausto, un peccato che si trasmette per generazione ed è ricevuto da tutti senza la loro volontà.
Le nostre dispute tacciano pertanto, se ciò piace, e volendo io agire con moderazione, mettiamo da parte la dignità dell'Apostolo, la quale, anche se le sue parole fossero in tutto all'unisono con voi, basterebbe tuttavia a prescrivere che, atteso lo splendore del suo ufficio, egli non ha potuto sentire nulla di tanto mostruoso: c'è ambiguità di locuzioni, non pravità di modi di sentire.
A lui, uomo equilibrato di mente, sia concesso nella presente questione questo soltanto: fargli credito che egli abbia capito i propri scritti meglio di te.
Non regni dunque, scrive, il peccato nel vostro corpo mortale così da obbedirgli. ( Rm 6,12 )
Già qui potrei dire che dalla testimonianza della sua esortazione è provato che egli tratta dei peccati della volontà, perché se questi peccati fossero mali naturali, si potrebbero difendere in nome della giustizia, piangere in ultimo in nome della misericordia, ma in nessun modo ci sarebbe l'ammonimento di evitarli.
Infatti di qualsiasi male naturale, se ve ne potesse essere qualcuno, questo sarebbe stato il male più grande: l'insania di chiunque si fosse messo ad esigere l'impegno di evitare comportamenti imposti dalla natura.
Ma l'Apostolo non prescrisse nulla che si possa giustamente riprovare.
Pertanto indica il peccato della volontà e lo inculca come peccato da doversi evitare.
Agostino. Chi ignora che l'Apostolo non parla ai bambini, ma a coloro che sono in grado di capire le sue parole e di obbedire ai precetti con l'aiuto della grazia di Dio?
Ma certamente i genitori anche con i loro figli si comportano così che, secondo il crescere in loro dell'uso di ragione, sbocci in essi il frutto dell'obbedienza, perché non abbiano ricevuto invano la grazia di Dio, quando furono rigenerati ancora inconsapevoli.
Ma tuttavia quella tua bella " pupilla ", che è orribile per tutti coloro che la combattono, dico la concupiscenza della carne, per mezzo della quale ogni uomo nasce e con la quale ogni uomo nasce, questa concupiscenza della carne l'Apostolo comanda di frenarla, ( 2 Cor 6,1 ) né le permette di regnare e le dà il nome di peccato, perché e ha origine dal primo peccato e pecca chiunque acconsente ai suoi impulsi per comportamenti illeciti.
La quale concupiscenza allora sarà annullata in noi quando avremo un corpo immortale.
Per quale ragione quindi, potendo limitarsi a dire: Non regni il peccato nel vostro corpo, ha aggiunto una parola e ha detto: Nel vostro corpo mortale, ( Rm 6,12 ) se non perché sperassimo che allora non esisterà più cotesta concupiscenza, da lui chiamata peccato, quando non avremo più un corpo mortale?
Infatti di' a noi per quale ragione non ha scritto: Non ci sia il peccato nel vostro corpo mortale, ma ha scritto: Non regni, se non perché cotesta concupiscenza, la quale non può esistere se non nella carne mortale, regna in coloro che acconsentono alle sue brame per commettere azioni cattive e che, dovunque li abbia allettati, vinti da lei, sono trascinati con maggiore impetuosità, proprio per la proibizione della legge, se non sono aiutati dalla grazia?
In coloro invece che fanno secondo il dono di Dio quello che è comandato, ossia non obbediscono ai movimenti e alle insistenze della concupiscenza, né mettono a sua disposizione come strumenti le membra, la concupiscenza c'è, sì, ma non regna.
Che ci sia lo prova poi il fatto che il male si brama, che non regni lo prova il fatto che esso non si fa, perché a vincere è la dilettazione della giustizia.
In che modo infatti ci sarebbe comandato di non obbedire alla concupiscenza, se essa non comandasse o non persuadesse?
Ma in che modo lo potrebbe fare, se non fosse presente?
Giuliano. Non offrite le vostre membra al peccato come strumenti di ingiustizia, ma offrite a Dio voi stessi come viventi ritornati dai morti e le vostre membra a Dio come strumenti di giustizia.
Il peccato infatti non domina su di voi, poiché non siete più sotto la legge, ma sotto la grazia. ( Rm 6,13-14 )
Con tanta più fedeltà, dice, dovete servire a Dio, con quanta anche più liberalità.
Il peccato dominava appunto su di voi quando pendeva su di voi il castigo dei vostri reati; ma dopo che per la grazia avete conseguito i benefici di Dio e, deposti i pesi dei reati, avete respirato, dovete rendere grazie al Medico, avvertiti da un nobile pudore.
Agostino. Tu secondo la vostra moda, che discende dal vostro errore, non riconosci la grazia se non nella remissione dei peccati: dopo di essa l'uomo per mezzo del libero arbitrio fabbrica da se stesso la sua giustizia.
Ma non questo dice la Chiesa, la quale grida tutto ciò che ha imparato dal suo buon Maestro: Non ci indurre in tentazione. ( Mt 6,13 )
Non questo dice l'Apostolo che dice: Noi preghiamo Dio che non facciate alcun male. ( 2 Cor 13,7 )
Non questo dice Gesù che dice: Ho pregato per te, o Pietro, che non venga meno la tua fede. ( Lc 22,32 )
In questo modo infatti la grazia fa che non pecchiamo, e non lava in questo modo i peccati che abbiamo commessi.
In ambedue i modi infatti aiuta la grazia: e rimettendo le azioni che abbiamo fatto malamente e aiutando perché evitiamo il male e facciamo il bene.
Giuliano. Ma poiché ritornava l'occasione della medesima obiezione affrontata sopra che, liberati dalla legge, provocatrice d'ira, potevano peccare sicuri sotto la benignità della grazia di Dio, aggiunse immediatamente: Che dunque? Dobbiamo commettere peccati perché non siamo più sotto la legge, ma sotto la grazia? È assurdo.
Non sapete che se vi mettete a servizio di qualcuno come schiavi per obbedirgli, siete schiavi di colui al quale servite: sia del peccato, sia della obbedienza che conduce alla giustizia? ( Rm 6,15-16 )
Crediamo ormai o no a lui quale sia il peccato di cui ha finora discusso la condizione?
Di colui al quale, dice, vi offrite per obbedirgli come schiavi, siete schiavi: sia del peccato, sia della giustizia.
Dov'è qui dunque indicato dall'Apostolo quel peccato che prima dei tempi della volontà, prima della scelta di coloro che obbediscono, prima dell'età della scienza e coscienza, si finge volato sopra gli stessi semi?
Un peccato che certamente non si può trovare se non nei libri dei manichei.
Agostino. Non sono libri dei manichei quelli dove si legge: Eravamo anche noi per natura meritevoli d'ira, come tutti gli altri: ( Ef 2,3 ) ciò che voi adesso con una moda nuova, ma in modo sfacciato, lo interpretate dal greco così da fare apparire che l'Apostolo non ha detto: Per natura, ma " assolutamente ", cioè: Eravamo assolutamente meritevoli d'ira.
E forse oserete emendare questo testo nei vostri codici: non volete infatti acquietarvi al fatto che, se quella testimonianza non fosse quanto più vera tanto più antica, non avrebbero questo testo tutti i codici latini.
Né tuttavia l'Apostolo non avrebbe dovuto ammonire di obbedire alla giustizia e non al peccato per la ragione che " noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato, essendo viziata la stessa nostra origine ".63
Poiché infatti il reato della generazione è stato assolto dall'indulgenza della rigenerazione, si deve obbedire solo allo spirito della giustizia, al quale dobbiamo acconsentire, e non si deve obbedire alla concupiscenza della carne, contro la quale dobbiamo combattere.
Così certamente da ricordare che anche questa pia obbedienza è dono di Dio, promessa da lui per mezzo del Profeta: Darò a loro un cuore capace di conoscermi e orecchi capaci di ascoltarmi; ( Ger 24,7 ) e questo che vuol dire se non capaci di obbedire?
Giuliano. Del resto l'Apostolo mostra - ma se trova qualche credito negli uomini del nostro tempo - di non dire schiavi del peccato se non coloro che risultano avere obbedito al peccato con la propria volontà, per la cui mutazione, della volontà s'intende, cominciarono a servire alla giustizia.
Ha dunque collocato in mezzo l'obbedienza ed ha imputato ad essa di avere scelto di obbedire sia prima ai vizi, sia dopo alle virtù.
Agostino. Coloro che confidano nella propria forza ( Sal 49,7 ) sono vani come voi, e saranno distrutti come voi.
Giuliano. Rendiamo grazie a Dio, dice, perché voi eravate schiavi del peccato, ma avete obbedito di cuore a quell'insegnamento che vi è stato trasmesso, e così, liberati dal peccato, siete diventati servi della giustizia. ( Rm 6,17-18 )
Agostino. O sordo, ascolta l'Apostolo che ringrazia Dio perché hanno obbedito di cuore alla sua dottrina, dal momento che non ha detto: Rendiamo grazie a Dio perché vi è stata predicata la sua dottrina, ma: Perché avete obbedito.
Non tutti infatti obbediscono al Vangelo, ( Rm 10,16 ) ma coloro ai quali è dato di obbedire, come: A voi è dato di conoscere il mistero del regno dei cieli, affermò il Signore, ma a loro non è dato. ( Mt 13,11; Mc 4,11; Lc 8,10 )
Non avrebbero dunque obbedito con il cuore, cioè con la volontà, se la loro volontà non fosse stata preparata dal Signore.
Altrimenti l'Apostolo avrebbe ringraziato indebitamente Dio di ciò, se Dio stesso non lo avesse fatto.
Giuliano. La mutazione della volontà ad obbedire di cuore, dice, vi ha liberati dal peccato e vi ha fatti aderire alla santità.
Agostino. Ma questa è la mutazione che viene dalla destra dell'Altissimo.
Ascolta l'uomo di Dio che nel Salmo confessa questa grazia, e impara chi sia a mutare in meglio la volontà dell'uomo.
Si legge: E ho detto: ora incomincio; questa è la mutazione della destra dell'Altissimo. ( Sal 77,11 )
Giuliano. Vi parlo " umano " a causa della debolezza della vostra carne.
Come avete messo le vostre membra a servizio dell'impurità e dell'iniquità a pro dell'iniquità, così ora mettete le vostre membra a servizio della giustizia per la vostra santificazione. ( Rm 6,19 )
O precettore pieno dello Spirito di Dio! O vaso veramente d'oro!
O tromba che fa rimbombare non stridori spezzati, ma voci spiegate!
Concilia credito al suo dire con la umanità della esortazione.
Agostino. O ingannatore, pieno tu di spirito eretico, che dài tutto alla volontà dell'uomo contro colui che dice: Che cosa possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
O uomo pelagiano, l'Apostolo lo diceva piantando e irrigando, sapeva tuttavia che né chi pianta né chi irriga è qualcosa, ma Dio che fa crescere. ( 1 Cor 3,7 )
Non comandava soltanto, ma anche pregava Dio perché non facessero il male coloro ai quali predicava la parola di Dio.
Lo dice infatti apertamente altrove: Noi preghiamo Dio che non facciate nulla di male. ( 2 Cor 13,7 )
Giuliano. Perché infatti non sembrasse che comandasse all'uomo qualcosa di arduo e d'impervio, fa uso di una parola comune, così da dire " umano ", cioè facile, pratico, raddolcito da esempi.
Non vi chiedo, dice, un impegno pari alle auguste realtà, né, quanto più grandi sono le ricchezze delle virtù, tanto più nuovi precetti io vi propongo per conquistarle: non vi infliggo nulla di fiero, non vi indico nulla che sia troppo difficile portare, perché, se vi comandassi qualcosa di simile in proporzione allo splendore della giustizia, voi, lamentando l'infermità della carne, opporreste di non poter sopportare una fatica continua.
Pertanto vi sfido adesso con questa moderazione: date alle virtù il medesimo impegno che deste prima ai crimini e, sebbene sia un'offesa per i comportamenti onesti l'essere messi alla pari dei comportamenti disonesti nell'appetibilità, tuttavia al grado di disciplina nella quale voi siete basta che seguiate la giustizia almeno con la medesima intensità con la quale avete seguito l'iniquità e l'impurità.
Agostino. Questo tuttavia non lo faranno, se non si ribelleranno a quella tua famosa " pupilla ", che è la concupiscenza della carne, con la robustezza della carità.
Con la quale legge delle membra, sempre pronta a ribellarsi alla legge della mente, nasce ogni uomo, e per il suo legame ogni uomo è reo se non rinasce, ed essa i mortali non la vincono con il loro spirito se non sono governati dallo Spirito di Dio: Tutti quelli infatti che sono guidati dallo Spirito di Dio, costoro sono figli di Dio. ( Rm 8,14 )
Andate ora e contro questa verità cristiana e apostolica sollevando il libero arbitrio fatelo precipitare, e confidate nella vostra forza, con il risultato non di levarvi in alto, ma di cadere in basso.
Giuliano. Crediamo pertanto al Maestro delle Genti e rendiamogli testimonianza della sua verità.
È infatti " umano " davvero, come ha detto, il precetto dato da lui: la correzione della volontà emendi i vizi della volontà.
Agostino. Ma questa correzione umana non si fa se non per protezione divina.
Chi infatti corregge la volontà dell'uomo se non Dio a cui si dice: Convertici, o Dio degli eserciti, ( Sal 80,8 ) e: Convertendoci, o Dio, tu ci ridonerai la vita? ( Sal 85,7 )
Il Signore infatti dirige i passi dell'uomo e questi vorrà seguire la via di Dio. ( Sal 37,23 )
Se invece i passi dell'uomo non sono diretti da Dio, l'uomo non vorrà seguire la via di Dio, benché la legge gli comandi di volerla seguire.
Giuliano. Ma com'è umano questo che ha detto, così se avesse pensato il contrario, non solo sarebbe disumano, non solo sarebbe fiero, ma anche ingiusto, e non solo ingiusto, ma anche insano, così da rimproverare, pur sapendo che il peccato è innato in noi, agli uomini del suo tempo i vizi di un parto antico e da comandare di astenersi da comportamenti che credeva congeniti e da prescrivermi minacciosamente di deporre i vizi che avevo cominciato a possedere, prima che l'anima entrasse nel mio corpo e prima che il corpo entrasse in questo mondo.
Agostino. Non è dunque innata la concupiscenza della carne o non comanda di astenersi da essa colui che dice: Contieni te stesso, ( Sir 30,24 ) e: Fuggi i desideri giovanili? ( 2 Tm 2,22 )
Per quale ragione non ha detto: Fuggi i desideri volontari?
La giovinezza è appunto un nome di età, ma le età le ha la natura, non la volontà, e quella concupiscenza trova la sua massima esca nell'età giovanile, mentre nell'infanzia la sua forza è certamente sopita, come la forza della ragione, come la forza della stessa volontà.
Ma l'occhio cristiano e non l'occhio pelagiano sa discernere che cosa dall'istituzione del Creatore e che cosa dalla contaminazione del vizio prenda o contragga la natura, la quale loda Dio come creatore per il bene che possiede e ha bisogno del medesimo creatore come salvatore dal male che l'ha viziata.
Quanto infatti al reato con il quale l'uomo nasce non c'è altro che gli si comandi se non di rinascere.
Giuliano. Più giusto sarebbe stato che quanti si studiava di emendare lo avessero esortato a soppesare ciò che comandava e a sapere che il primo passo di una volontà ferma è la moderazione nel comandare.
È mancante di autorità la dottrina che non ha l'equità a sua difesa, ed è piena di autorità la dottrina a cui rende testimonianza la bilancia della giustizia.
E perciò risulta che l'Apostolo, rispettabile educatore delle Chiese, pronto a rendere conto del suo magistero con saggezza, con equità, con umanità, non ha avuto nessun sentore del peccato naturale, ma ha insegnato, come la natura esigeva, sia che noi non siamo stati servi dei vizi se non per la nostra volontà, sia che noi con la medesima volontà, se essa si corregge, possiamo servire alla giustizia.
Ma poiché finora sono stato occupato nella spiegazione di questo testo, a dimostrare che con le parole dell'apostolo Paolo non si possono prendere affatto le difese dei manichei, e poiché dal contesto del suo discorrere è apparsa potente la verità che egli applica attraverso tutto il corpo dei suoi scritti, abbia qui fine il secondo libro.
Con il quale libro tuttavia è necessario avvertire che ai traduciani non è rimasto nulla all'infuori della loro sfacciataggine.
Perché essi, che riconoscevano di non poter contare sull'aiuto della ragione, si rivendicavano una totale soddisfazione dai testi dell'Apostolo che sono stati spiegati.
E poiché si è fatta luce che in essi non sta scritto nulla di deforme, nulla di difforme dalla santità e dalla ragione, appare evidente la caduta di una sentenza che è stata fatta crollare sia dalla ragione con tante testimonianze delle Scritture, sia dalla religione dei cattolici che è in Dio: sentenza che ormai non è difesa più dall'opinione basata su cotesto passo [ di Paolo ].
Agostino. Appare a tutti coloro che leggono con testa sana e con intelligenza queste pagine che tu nel molto tuo dire contro parole non più mie che dell'Apostolo beato, non hai trovato nulla di buono da dire, e con il tortuoso strepito della tua loquacità hai voluto far apparire a quelli che non capiscono di aver detto qualcosa.
Vogliate o non vogliate: A causa di un solo uomo il peccato è entrato nel mondo e per il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini. ( Rm 5,12 )
Che significa così se non: a causa del peccato, non indipendentemente dal peccato?
Né infatti la morte passerebbe, se il peccato non la veicolasse: la morte segue e non precede il peccato.
Dal peccato vengono tutte le miserie dei mortali a cominciare dal giorno della loro uscita dal grembo materno, ( Sir 40,1 ) come sta scritto.
Le quali miserie dicendo voi che accadono ai bambini senza nessun peccato, siete voi veramente a fare ingiusto Dio, e siete voi ad aiutare orribilmente i manichei.
Essi infatti, per non fare ingiusto Dio, queste miserie dei mortali fino dalla natività le attribuiscono alla natura immutabile del male e ad una sostanza delle tenebre, che proviene da un principio diverso da Dio.
I quali empi manichei e insieme voi stessi vince la fede cattolica, che attribuisce tutte coteste miserie al peccato che entrò nel mondo dalla volontà del primo uomo e che fu seguito anche dalla morte, la quale mettendo in fuga l'anima uccide il corpo: morte della quale voi dite che sarebbe accaduta all'uomo per natura, anche se non avesse peccato.
Donde segue che non solo di quella imperiosa libidine, di cui troppo vi dilettate, ma anche della molestissima febbre e di tutti gli altri innumerevoli morbi, da cui vediamo afflitti e uccisi i bambini, voi diciate che sarebbero esistiti nel paradiso, anche se nessuno avesse peccato, perché dite che i bambini li soffrono senza il merito di nessun peccato.
Tenetevi alla larga per favore con le vostre lodi false e fatali, tenetevi alla larga dagli infanti e dai lattanti, che con crudele errore voi lodate come esenti da ogni male.
D'accostarsi al Cristo liberatore non lo impedite ai bambini, bisognosi di liberazione.
Che la misera natura, viziata dal primo uomo, sia sanata dal secondo uomo permettetelo, perché vinti, perché corretti.
Indice |
63 | Ambrosius, De paenitentia 1, 3 |