Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. Sarebbe stato necessario senza dubbio che presso il genere umano avesse vigore il rispetto di tutte le virtù.
Sarebbe stato necessario che si resistesse sempre ai crimini con animo sapiente e si meritasse il favore del Creatore con buone scelte.
Degno sarebbe stato infine che, risultando questo primo e più felice grado di continua devozione tanto raro quanto anche troppo arduo, si respingessero almeno i vizi lungamente covati e si ritornasse al presidio della emendazione e della penitenza.
Sarebbe stato certamente necessario che il rispetto inviolabile di Dio si conservasse almeno in questo: non sorgesse per noi la necessità di rivendicare con tanta guerra la legge divina.
Ma poiché il furore di coloro che peccano si è spinto tanto da costringerci a somme fatiche per insegnare che Dio è giusto, confidando nell'aiuto della sua stessa giustizia, di cui dibattiamo la causa, adempiamo adesso le promesse fatte nel libro precedente.
Agostino. L'aiuto di Dio lo cerchi per la compilazione dei tuoi vani libri e non lo cerchi per la correzione dei tuoi perversi errori.
Vorrei tuttavia che tu dicessi per quale ragione chiedi in quest'opera l'aiuto di Dio, se è in potere del tuo libero arbitrio, sia fare quest'opera, sia non farla.
O chiedi forse la disponibilità di quelle condizioni che non sono in tuo potere e senza le quali non si può scrivere, come sono, per ometterne altre, lo stesso vitto e il tempo libero?
Ma queste sono condizioni che quasi sempre Dio somministra a noi per mezzo delle volontà altrui.
Tu vedi dunque che quando chiedi l'aiuto per compilare i tuoi libri, chiedi all'onnipotente Dio di operare nelle volontà degli uomini ciò che ti è di giovamento e non di impedimento.
Infatti se gli altri non ti vogliono somministrare il vitto e le spese congrue, se infine non vogliono smettere d'importunarti e di ostacolarti, non potrai scrivere o dettare cotesti tuoi libri.
Speri dunque che l'aiuto di Dio faccia agire le volontà delle persone tra le quali vivi così che non ti manchi nulla di necessario.
La volontà infatti è preparata da Dio: ( Pr 8,35 ) ciò che voi non credete.
Dunque o correggi subito il tuo dogma o per difenderlo smetti di chiedere l'aiuto divino.
Giuliano. Poiché nel primo volume era risultato da perspicue premesse che Dio è tanto necessariamente giusto che, se si potesse provare non giusto, si dimostrerebbe che non è Dio, e poiché non era rimasto nessun dubbio su questa verità, si chiarì pure che la giustizia non è nient'altro che una virtù la quale non giudica mai nulla iniquamente, non fa mai nulla iniquamente, ma rende a ciascuno il suo senza frode e senza grazia, cioè senza preferenze personali.
Agostino. Senza frode dici il vero, perché non sia punito chi non lo merita.
Ma senza grazia se lo fosse la giustizia di Dio, mai il Cristo sarebbe morto per gli empi, cioè per coloro che non meritavano nulla di buono e molto di cattivo; mai avrebbe adottato ad essere cittadini del suo regno i bambini dei quali non preesisteva né alcuna buona opera né alcuna buona volontà, e nella medesima causa non avrebbe escluso dalla partecipazione del medesimo regno altri bambini colui che non giudica mai nulla iniquamente, non fa mai nulla iniquamente e rende a ciascuno il suo senza frode.
Riconosci dunque vasi nobili per grazia i bambini che sono assunti al regno di Dio e vasi ignobili per condanna gli altri bambini che non sono assunti a quell'onore, e una buona volta finalmente, per non fare ingiusto Dio, confessa il peccato originale.
Giuliano. Lo stile poi della virtù della giustizia si dimostra nel non punire nessun suddito se non per quei delitti che si dimostrano commessi con volontà libera.
Agostino. Con volontà libera fu commesso anche quel delitto di Adamo, nel quale fu condannata la natura umana, per la cui condanna nascono soggetti a condanna gli uomini, se non rinascono in Colui che nacque non soggetto a condanna.
Questo è il dogma cristiano che volete sovvertire, ma siete voi ad essere sovvertiti, perché esso rimane in piedi.
Giuliano. Né darebbe Dio agli uomini precetti che sapesse non osservabili dalla loro natura, né giudicherebbe nessuno reo di azioni naturali.
Agostino. Ma c'era Adamo e in lui siamo stati tutti noi,1 quando peccò così da perdere in sé tutti gli altri, e non sarebbero liberati dalla massa dei perduti se non quelli che volesse liberare colui che venne a cercare ciò che era perduto. ( Lc 19,10 )
Giuliano. Né imputerebbe Dio agli uni i peccati degli altri, né per le iniquità dei genitori aggiudicherebbe ai castighi eterni i loro figli innocenti, che non avessero operato da sé nulla o di bene o di male per essere indicati come imitatori dei crimini dei loro genitori. ( Sir 40,1 )
Dalle quali premesse risultava la certezza e dell'esistenza di Dio e della giustizia di Dio, rispetto al quale si era chiarito che, se operasse qualcosa di ingiusto, subirebbe tanto danno nella divinità quanto ne avesse patito nella equità.
Agostino. Dici la verità e quindi nulla d'ingiusto opera Dio quando fa gravare un giogo pesante sui figli di Adamo dal giorno della loro nascita dal grembo materno.
Il che sarebbe senza dubbio ingiusto, se non ci fosse il peccato originale.
Giuliano. Quantunque - o infelicità dell'errore umano! - troppo grande è il dolore che mi scuote quando soppeso la natura stessa del nostro conflitto.
Fu mai possibile che sorgesse questo dubbio e che avrebbe avuto bisogno di essere affermata questa causa: fu mai possibile, dico, che nelle Chiese che confessano di credere al Cristo si dubitasse se Dio giudichi giustamente, ossia ragionevolmente?
Agostino. Proprio perché di questo non si dubita è scritto che un giogo grave sta sopra i figli di Adamo dal giorno della loro nascita dal grembo materno. ( Sir 40,1 )
Né infatti la sapienza pelagiana è migliore della sapienza ecclesiastica.
Giuliano. Ma troppo mi sono dimenticato della lite di cui si tratta, preso dal rispetto stesso della realtà.
Mi meraviglio infatti che si sia potuto dubitare dell'equità di Dio quando è noto che nelle sinagoghe dei traduciani non viene neanche il sospetto della sua equità.
Agostino. Proprio perché non si dubita della equità di Dio, si crede giusto il grave giogo che pesa sul bambino, e proprio perché esso si crede giusto, non si crede che il bambino sia senza il peccato originale.
Quindi nella Chiesa cattolica, dalla quale uscirono i pelagiani di mezzo a noi, non è che non si dubiti per nulla della iniquità di Dio, come tu dici, ma piuttosto non si dubita per nulla della equità di Dio nella Chiesa dove si insegna e si dice ( Gb 14,4-5 ) che nemmeno un bambino, la cui vita sia di un giorno soltanto sopra la terra, è immune dalla macchia del peccato; e quindi nei mali che il bambino patisce, non si riconosce ingiusto Dio, ma giusto.
Giuliano. Il che è certamente tanto più brutto, quanto scegliere il male è più grave che omettere il bene, quanto tendere alla falsità è più dannoso che dubitare della verità, quanto infine osare d'incriminare Dio è più sacrilego che non volerlo onorare.
Agostino. Ma siete voi ad incriminare Dio, perché pur vedendo i bambini gravati per giudizio di Dio da un giogo pesante, negate tuttavia che abbiano un qualche peccato.
Giuliano. Aveva detto, sì, come attesta il profeta Davide, l'insensato in cuor suo: Dio non c'è, ( Sal 14,1; Sal 53,1 ) ma non aveva detto che Dio esiste, sì, ed è tuttavia ingiusto.
Con la voce di tutta la natura risuonava armoniosamente che la giustizia è tanto inseparabile da Dio da essere più facile trovare chi neghi la sua realtà che non chi neghi la sua equità.
Poté esserci chi ritenne che Dio non esistesse, perché non lo vedeva; ma non si era mai trovato uno che dicesse iniquo l'essere che credeva Dio.
Agostino. Proprio tu stesso sei stato trovato ad essere quel tale.
Infatti a chi se non ad una simile persona dice il Salmo: Pensi iniquamente che io sia simile a te? ( Sal 50,21 )
Ma i Cristiani cattolici, proprio perché sanno e che Dio c'è e che Dio è giusto, non possono avere dubbi: i nati degli uomini, se muoiono in età piccola non ancora rinati, sebbene siano immagini di Dio, non sono accolti nel regno di Dio, non tuttavia ingiustamente, ma per merito del peccato originale.
Giuliano. Dunque quel famoso " insensato " sembrava che si fosse fermato all'estremo dei crimini negando Dio.
Ma a vincerlo si è trovata con i suoi sacrilègi la nazione dei manichei e dei traduciani.
Agostino. Sapendo quanto chiari e stimati Dottori della Chiesa del Cristo sul peccato originale e sulla giustizia di Dio abbiano creduto ciò che credo io, abbiano insegnato ciò che insegno io, abbiano difeso ciò che difendo io, devo ascoltare le tue calunnie come se fossero lodi per me.
Giuliano. Ma per tornare al punto dove abbiamo deviato, si era chiarito che da colui che confessavamo vero Dio niente poteva esser fatto in giudizio che ripugnasse alla giustizia, e che quindi nemmeno per i peccati degli uni si ritenessero rei gli altri, chiunque fossero, e che perciò non si condannasse affatto l'innocenza dei nascenti per l'iniquità dei genitori, perché era ingiusto che il reato si trasmettesse per mezzo dei semi.
Agostino. Per quale ragione dunque sarebbe stato scritto: Il loro seme è maledetto fin da principio? ( Sap 12,11 )
Non è stato detto infatti nello stesso senso in cui si legge: Seme di Canaan e non di Giuda, ( Dn 13,56 ) dove si è mostrato a quali persone si erano fatti simili e da quali persone avevano degenerato; ma ha detto maledetto il seme di quegli stessi uomini che voleva far intendere naturalmente cattivi, come lo sono tutti i figli di Adamo, dai quali per grazia si fanno i figli di Dio.
Dove infatti si legge: Non ignoravi che la loro razza era perversa, che la loro malvagità era naturale e che non si sarebbe mai potuta cambiare la loro mentalità, perché il loro seme era maledetto fin da principio, ( Sap 12,10-11 ) ritengo che sia accusata la natura e non l'imitazione, e la natura in che modo se non viziata dal peccato e non creata in tale stato nel primo uomo?
Da quale principio dunque è stato maledetto il seme, se non da quando a causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo?
Essi poi non potevano essere cambiati da se stessi, ma potevano esserlo da Dio, il quale tuttavia non li cambiava per un giudizio certamente giustissimo, benché occultissimo.
Da questa massa infatti si sapeva mutato non in virtù del proprio arbitrio, ma in virtù della grazia di Dio, l'Apostolo quando diceva: Siamo stati anche noi per natura figli dell'ira, come tutti gli altri. ( Ef 2,3 )
Giuliano. Il che sebbene sia immerso in tanta luce da non trovarsi nulla o di più sicuro o di più vero, tuttavia avevo promesso di dimostrare con la testimonianza della legge divina questa stessa verità, cioè che è iniquissimo imputare le scelleratezze dei genitori ai loro figli nell'atto di nascere, e che Dio è tanto avverso a questo da aver prescritto anche nella sua legge che nulla di simile perpetrasse la disonestà dei giudici.
Questa dunque la promessa alla quale mi sono obbligato: ma poiché il mio secondo libro è stato occupato dalla spiegazione delle sentenze dell'apostolo Paolo, tocca alle prime parti di questo volume mantenere fede alla mia promessa.
Leggiamo dunque che nel Deuteronomio, nel catalogo dei precetti che ordinavano la vita e la condotta di quel popolo, fu comandato in modo assai esplicito da Dio anche questo.
Perché infatti lo si possa intendere dai contesti tra i quali è inserito, da quello che lo precede e da quello che lo segue: Non defrauderai, dice, il salariato povero e bisognoso, sia egli uno dei tuoi fratelli o uno dei forestieri che stanno nelle tue città.
Gli darai il suo salario il giorno stesso, prima che tramonti il sole, perché egli è povero e vi volge il desiderio; così egli non griderà contro di te al Signore e tu non sarai in peccato.
Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato. ( Dt 24,14-16 )
Agostino. Questo l'ha detto dei figli già nati e non dei figli condannati nel primo padre, in cui tutti peccarono e in cui tutti muoiono.
E certamente diede questo precetto ai giudici che il padre non morisse per il figlio o il figlio per il padre, quando fosse risultato reo solamente il padre o solamente il figlio.
Del resto i suoi giudizi Dio, sia quando giudica da se stesso, sia quando giudica per mezzo di uomini ai quali dà lo spirito profetico, non li ha vincolati a questa legge.
Né infatti quando, eccettuato Noè con i suoi, distrusse con il diluvio tutti gli altri, separò gli infanti che non avevano ancora imitato i loro genitori, o senza i loro bambini consumò i Sodomiti quel fuoco famoso. ( Gen 7,21-23; Gen 19,24-25 )
Se lo avesse voluto, lo avrebbe potuto benissimo l'Onnipotente.
Anche quell'Acar fu trovato unico trasgressore del precetto e tuttavia venne ucciso con i suoi figli e con le sue figlie. ( Gs 7,24-25 )
Che fu di tutte le città espugnate dal medesimo condottiero Gesù di Nun, uomo di Dio?
Non furono uccisi tutti così da non rimanere nessuno a respirare? ( Gs 6,21; Gs 10,32-40 )
I bambini dunque che avevano fatto di male?
Non è vero che subirono per giudizio divino la pena comune per i peccati dei loro genitori, dei quali non potevano essere ancora né consapevoli né imitatori?
In un modo dunque giudica Dio e in un altro modo comanda che giudichi l'uomo, pur essendo Dio senza dubbio più giusto dell'uomo.
Queste riflessioni avresti dovuto fare prima, per non fermarti su esempi che non sono pertinenti alla nostra causa.
Giuliano. Non lederai il diritto dello straniero, dell'orfano, della vedova.
Non prenderai in pegno la veste della vedova, perché sei stato schiavo nella terra dell'Egitto e di là ti ha liberato il Signore tuo Dio; per questo ti comando di fare così. ( Dt 24,17-18 )
Nell'istituire la forma di giudicare Dio ebbe subito cura di sancire che né i genitori fossero colpiti per la colpa dei figli, né i figli per la colpa dei genitori.
Come principio dunque e soglia della giustizia, che ordinava di osservare nel giudizio, questo ha indicato: la parentela non danneggiasse gli innocenti e l'odio meritato da una persona non trascorresse nella sua stessa gente.
Nella causa dunque delle azioni la giustizia separa quelli che la parentela unisce.
Il che non farebbe certamente, se volontà e seme fossero in una e medesima condizione o se l'opera dell'arbitrio passasse ai posteri mediante la fecondità.
Abbastanza dunque e oltre abbiamo spiegato con questa sola testimonianza che cotesta tenebrosissima perversità di giudizio, abbracciata dal nuovo errore, è polverizzata dall'autorità antica della legge scritta.
La quale sentenza è stata certamente così pronunziata per la nostra causa da non aver lasciato nessuno spazio di dubbio.
Agostino. Ti resiste Dio, che ha detto nel libro del Levitico: Quelli di voi che sopravviveranno, scompariranno per i loro peccati e per i peccati dei loro padri. ( Lv 26,39 )
Giuliano. Stabilendo appunto Dio la forma da seguire nei processi, prescrisse che l'innocenza non fosse legata ai rischi della sua parentela e come separò il padre dal castigo del figlio che aveva peccato, così separò il figlio dalla condanna del padre, mostrando sicuramente con il pari trattamento di ambedue le persone che tanto non possono passare ai figli i peccati dei genitori quanto non passano ai genitori i peccati dei figli.
Agostino. Ti soffocano i bambini, dei quali tante volte si legge che sono stati uccisi non anche per i loro peccati, ma solo per i peccati dei genitori.
Giuliano. Chi dunque contro questa sentenza dice che esiste la " traduce " del peccato, dica altresì che esiste il riflusso del peccato: se i peccati discendono dai genitori ai figli, è legittimo pensare che risalgono dai figli ai genitori.
L'autorità della legge divina indica che non nuocciono ai figli i crimini dei genitori, così come nemmeno i crimini dei figli ai genitori.
Agostino. Nei giudizi umani non ha voluto l'autorità della legge divina che i figli paghino le pene per i loro genitori; non nei giudizi divini, dove Dio dice: Punirò le colpe dei padri nei loro figli. ( Es 20,5; Nm 14,18; Dt 5,9; Ger 32,18 )
Dalla legge devi leggere le parole che vuoi, ma così da pensare che ti toccherà ascoltare dalla legge le parole che non vuoi.
Giuliano. Tentando dunque di andare contro questa sentenza, asserisca ugualmente che si faccia ciò che è stato ugualmente vietato di fare.
La legge di Dio è appunto più facile poterla negare che emendare e, sebbene sia sacrilega la sua negazione, è tuttavia più sacrilega e più assurda la sua correzione.
Se infatti di due decreti della legge ne veneri uno e ne esecri l'altro, il decreto che accetti ti costringe ad obbedire contro voglia anche a quello che rifiuti, perché la dignità del primo che ti è caro difende anche il decreto che avversi, ed è assurdissimo che qualcuno creda di venerare i precetti dei quali osa contestare una parte.
Per cui si può più conseguentemente negare tutta la legge intera che correggerne una parte.
Ma nessuno, se non un empio, tenterà di correggere la legge.
Dalle persone dunque religiose e sagge la legge è accettata tutta ed è lodata tutta.
Né certamente si turberà qualcuno al vedere che nell'età del Nuovo Testamento è cessato il rito dei vecchi sacrifici.
Non è la medesima la condizione delle virtù e delle vittime: altra è la perennità dei precetti e altra la temporaneità dei sacrifici.
Tuttavia con la venuta del Cristo, che era prefigurato dalle vittime antiche, le istituzioni precedenti furono adempiute e non condannate.
Né infatti se ne predice l'esercizio ai loro tempi, ma con il subentrare della perfezione si acquietarono le promesse legate al compimento delle istituzioni.
Agostino. Questo che c'entra? I peccati dei padri ha detto Dio che li avrebbe puniti nei figli, non i sacrifici.
E sebbene anche i genitori possano imitare i loro figli cattivi, tuttavia non ha mai detto Dio: Punirò i peccati dei figli nei padri, ma dovunque, e lo ha detto spesso,2 ha detto sempre: Dei padri nei figli, e qui mostra senza dubbio di perseguitare i vizi della generazione e non i vizi della imitazione.
Giuliano. I precetti invece che riguardano la pietà, la fede, la giustizia, la santità, non solo non sono cessati, ma sono anzi aumentati.
E questa legge della giustizia da custodire nei giudizi che abbiamo citato dal Deuteronomio, non si riferisce all'età delle cerimonie, ma alla perennità dei precetti, né scomparve insieme alla circoncisione, ma persevera insieme alla giustizia.
Agostino. Ti è già stato detto che questi sono giudizi comandati agli uomini e non sono condizioni pregiudiziali imposte a Dio.
In conclusione se un giudice umano dice: Punirò le colpe dei padri nei figli, lo dice ingiustissimamente e contraddice il comando divino.
Non per questo tuttavia o è mendace o è ingiusto Dio quando lo dice lui.
Giuliano. È assodato dunque: se si crede a Mosè, per mezzo del quale parla Dio, più che ad Agostino, per mezzo del quale parla Manicheo, a causa dei peccati dei genitori non si ritengono rei per natura i figli.
Agostino. Che io difenda contro di te quella fede che Dottori cattolici santi e chiari, vissuti prima di noi, impararono e insegnarono nella Chiesa cattolica, lo sai anche tu stesso.
Ma poiché, se tu osi lacerare quei dottori, non ti sopportano nemmeno i tuoi, per questo hai scelto me come unico bersaglio e, aggreditomi con la calunnia di un falso crimine, speri di persuadere gli altri come se io fossi una persona da sfuggire, perché si sfugga quella fede che vi condanna, se difesa.
Te l'ho già detto anche prima: quando per la difesa della fede cattolica ascolto le contumelie degli eretici, le prendo come lodi.
Perché ti affanni a predicarci quello che sappiamo? Mosè ha detto la verità, ma tu non dici nulla.
Punirò le colpe dei padri nei figli ( Es 20,5; Nm 14,18; Dt 5,9; Ger 32,18 ) non lo afferma un uomo, ma Dio; né che l'uomo lo faccia ha comandato Dio in questo luogo, ma ha indicato che cosa fa lui stesso.
Giuliano. Ed è assodato che i crimini dei generanti non passano ai posteri, benché nati da loro, così come i crimini dei figli non passano ai genitori, che non hanno potuto davvero essere generati dai loro figli.
Dunque non può recare danno all'innocenza la sua natività, così come non può nuocere la natività quando non ha luogo.
Agostino. Non puoi tuttavia negare che i genitori possano imitare i loro figli e che Dio non abbia mai detto: Punirò le colpe dei figli nei padri.
Quando dunque dice: Dei padri nei figli, non colpisce l'imitazione, ma la generazione.
Non nel modo di quell'unico uomo nel quale fu cambiata in peggio la stessa natura umana, e a causa di ciò sorse per l'uomo la necessità anche di morire.
Ma tuttavia in qualche modo certe colpe dei padri, chiunque essi siano, sono punite nei figli, non a causa dell'imitazione, bensì della generazione.
Per questo non dice: Fino alla terza e quarta imitazione, ma dice: generazione, ( Es 20,5; Nm 14,18; Dt 5,9; Ger 32,18 ) non volendolo voi certamente, ma tuttavia ascoltandolo anche voi, volenti o nolenti.
Giuliano. La questione è certamente finita, ma prego non di meno il lettore a seguire il mio prossimo ragionamento.
Se esistesse qualcuno che con libertà di parole professasse la tesi che il traduciano Agostino tenta di costruire con il suo modo di argomentare, così cioè da dichiarare guerra alla legge di Dio, da disprezzare senza alcun ritegno la sentenza da noi proferita, da asserire in tutti i modi possibili la falsità di ambedue le norme che Dio ha voluto rispettare, da sgominare la sentenza di cui parliamo dall'uno e dall'altro lato, per quanto fosse in lui, costui avrebbe reputato in modo assoluto che è tanto solita quanto debita la condanna dei genitori per i peccati dei figli e la condanna dei figli per i peccati dei genitori, tuttavia neppure un tizio cosiffatto potrebbe asserire, nemmeno secondo le sue opinioni, la " traduce " del peccato.
Per quale ragione? Evidentemente per questa ragione: anche se risultasse falsa la sentenza della legge che testimonia l'impossibilità che siano reciprocamente colpiti tali rapporti di parentela dai crimini delle due parti, tuttavia rimaneva inconcusso che non esiste la " traduce " del peccato.
Infatti lo stesso riflusso del reato dai genitori ai figli e dai figli ai genitori provava che non era stata la generazione a fare arrivare ai figli i peccati dei genitori, perché i peccati erano anche ritornati indietro dai figli ai genitori, e qui la causa non poteva essere la generazione.
Apparisce dunque a questo punto il risultato che ho ottenuto: è senza dubbio inviolabile l'autorità della legge divina e tale che gli argomenti dell'empietà non la possano distruggere; ma è stato prescritto nella maniera più decisa e più assoluta dalla sua sanzione che è opinione infame e perversione di giustizia, da cui aveva comandato energicamente di guardarsi, se i figli si pronunziassero rei per il peccato dei genitori.
E per questo fulmine è saltata in aria la struttura della " traduce ".
Tuttavia però la fede che noi custodiamo è protetta da così grandi presìdi di verità, che non la scuote nemmeno un'empietà capace di negare la legge di Dio.
Agostino. Cerchi dove spaziare, non copioso per vagabonda loquacità, ma odioso a coloro che, attaccati alla realtà, disprezzano le parole superflue.
Sei vinto appunto dagli avversari che hai e ti proponi di vincere gli avversari che non hai.
Chi infatti ti dice che sia falsa la norma di cui Dio ha voluto l'osservanza nei giudizi umani: non siano puniti né i figli per i padri, né i padri per i figli, quando già padri e figli hanno le proprie cause pertinenti alla vita privata di ciascuno, che è condotta separatamente?
Nessuno si oppone o alla legge o a te che lo dici.
Da parte tua non voler fare il sordo contro Dio che dice: Punirò i peccati dei padri nei figli,3 e che, pur dicendolo assiduamente, non dice mai in nessun luogo che punisce i peccati dei figli nei padri, perché tu intenda che egli è attento non agli imitatori, ma ai genitori.
Giuliano. Ora dunque il discorso si volga direttamente al nostro interlocutore.
Ti acquieti alla legge di Dio - per confessione in questo momento, perché sappiamo del resto che cosa tu faccia con le tue argomentazioni - o resisti?
Se ti acquieti, viene meno il contendere; se resisti, viene meno il consentire.
Se ti acquieti, è estinta la perfidia dei traduciani; se resisti, è rivelata la perfidia dei manichei.
Purché resti fermo che l'opinione vostra e la legge di Dio non vanno in nessun modo d'accordo.
Agostino. Io mi acquieto alla legge di Dio, ma non ti acquieti tu.
Io non nego che non dev'essere condannato né il figlio per il padre, né il padre per il figlio, quando hanno le loro cause separate; ma tu non vuoi ascoltare nel Levitico: Scompariranno per i peccati dei loro padri, ( Lv 26,39 ) e nel libro dei Numeri: Castiga la colpa dei padri nei figli fino alla terza e alla quarta generazione, ( Nm 14,18 ) e in Geremia: Fai subire la pena dell'iniquità dei padri ai loro figli dopo di essi. ( Ger 32,18 )
Queste e altre simili voci tu non le ascolti, a queste e a tali testimonianze della legge tu non ti acquieti, e tuttavia nel parlare e nel rinfacciare ai cattolici i manichei tu non ti quieti.
Giuliano. A meno che tu non dica che Dio lo ha comandato, sì, ma non fa come ha comandato e anzi fa il contrario di quello che ha comandato di fare.
Agostino. Anche questo perché non avverti con quanta insipienza tu lo pensi?
Fa Dio infatti qualche volta il contrario di quello che ha comandato di fare.
Né occorre che ricordi molti casi, per evitare lungaggini: ecco, dico quello che è noto a tutti.
Ha comandato all'uomo la divina Scrittura: Non ti lodi la tua bocca, ( Pr 27,2 ) né tuttavia si deve chiamare arrogante o superbo Dio che non cessa di lodare se stesso innumerevoli volte.
E stando alla norma in esame, ho già dimostrato sopra come Dio senza nessuna iniquità abbia fatto uccidere per i peccati dei genitori i loro bambini insieme con essi, benché abbia comandato all'uomo che giudica di non condannare i figli per i peccati dei padri.
Se tu avessi l'avvertenza di questi fatti, non diresti quello che dici; o se hai l'avvertenza di questi fatti e dici tuttavia quello che dici, abbi anche l'avvertenza che sono parole vane quelle che tu dici.
Giuliano. Il che di quanta empietà sia, benché apparisca già fortemente alla prima indicazione, tuttavia per la pace della stessa divinità di cui proteggiamo l'equità, vediamo almeno con un leggero esame quale sia la sua natura.
A diventare dunque prevaricatore della sua legge Dio stesso c'è costretto dalla necessità delle vicende che lo pressano o dalla sua incapacità?
Oppure, poiché non è vera nessuna delle due ipotesi, è costretto Dio dalla sola libidine di delinquere?
Ma questo non l'ha potuto dire nemmeno Manicheo, e perciò egli ha immaginato che il vostro dio abbia sofferto un grave combattimento.
Agostino. Getti parole, ma sono realtà quelle che ti comprimono.
Non è prevaricatore Dio della sua legge, quando come Dio fa in un modo e comanda all'uomo di fare come uomo in un altro modo.
Giuliano. Se dunque né calamità, né incapacità, né libidine incombe su Dio perché prevarichi, com'è possibile che nel giudicare distrugga quella forma di giustizia che ha raccomandato nel legiferare?
Com'è possibile anzi che infierisca, non contro cotesta giustizia ma contro la propria maestà?
Tanto grande è appunto la potenza dell'equità che essa e riprova coloro che deviano da lei e non viene meno per nessuna autorità di coloro che fuggono da lei.
Infine, se vuole che noi facciamo azioni giuste ed egli per conto suo fa ciò che è ingiusto, desidera farci apparire più giusti di quanto è lui stesso, anzi non più giusti di lui, ma giusti noi e lui iniquo?
Agostino. Cos'è ciò che dici, o uomo, che dici tante stupidaggini?
Quanto più eccelsa, tanto più inscrutabile della giustizia umana è la giustizia divina e tanto più distante la giustizia divina da quella umana.
Quale uomo giusto lascia infatti che si perpetri un delitto che ha il potere di impedire?
Eppure Dio lascia commettere i delitti, benché egli sia incomparabilmente più giusto di tutti i giusti e incomparabilmente più grande di tutte le potestà sia la sua potestà.
Pensa a questo e non voler confrontare tra loro come giudici gli uomini e Dio, del quale non si può mettere in dubbio la giustizia, nemmeno quando fa ciò che sembra ingiusto agli uomini e fa ciò che renderebbe ingiusto l'uomo se lo facesse.
Indice |
1 | Ambrosius, In Luc., 7, 234 |
2 | Sopra 15 |
3 | Sopra 15 |