Opera incompiuta contro Giuliano |
Giuliano. O forse è giusto senz'altro ciò che fa Dio stesso, imputando agli uni i peccati degli altri, e a noi comanda ciò che è ingiusto: giudicare ciascuno reo dei delitti della sua volontà?
Agostino. Leggi quanto ti è stato risposto sopra e impara, se puoi, in che modo i peccati originali si intendano e altrui e nostri.
Non altrui per la medesima causa che nostri: altrui infatti perché non li ha commessi ciascuno di noi nella sua vita, ma nostri perché c'era Adamo e in lui siamo stati noi tutti.4
Giuliano. E donde a Dio o tanta invidia o tanta malignità?
È invidia infatti se la ragione per cui ingannò la sua creatura nel comandare fu che essa non tentasse d'imitare per quanto poteva le sue virtù; ma è malignità, anzi è crudeltà, se punisce i mortali per opere ingiuste che essi commettono obbedendo alla sua legge.
Agostino. Già sopra ho dimostrato che Dio fa giustamente alcune azioni che se le fa l'uomo le fa ingiustamente.
Per esempio, anche delle ingiurie contro di lui Dio si vendica giustamente, ma agli uomini è detto: Non vi fate giustizia da voi stessi, carissimi, ma lasciate fare all'ira divina. Sta scritto infatti: A me la vendetta, sono io che ricambierò, dice il Signore. ( Rm 12,19 )
Giuliano. O forse Dio non punisce - e lo fa senza dubbio prudentemente -, ma anche ricompensa i servi ossequienti ai suoi precetti, sebbene questi insegnino l'ingiustizia?
E che ha giovato a Dio l'invidia, se anche facendo ingiustizie sono giunti i mortali là dove sarebbero arrivati pur osservando la giustizia?
E mentre gli uomini, circuiti da Dio, non perdono nulla della loro felicità, Dio tuttavia si priva della coscienza e insieme dell'onore della benignità e della giustizia.
Quanto sarebbe stato più tollerabile sottrarre il collo degli uomini al giogo della professione della religione, piuttosto che orbitarli per vie tanto sconnesse e dannose!
Agostino. Vai dietro a te stesso senza dire nulla.
Dalla giustizia umana discerni la giustizia divina e vedrai che Dio punisce giustamente i peccati dei padri nei loro figli.
Il che tuttavia se lo usurpa l'uomo per sé nel suo giudizio, egli è ingiusto.
Perché tu non esorbiti dalla via giusta, quando ascolti che i peccati dei padri sono puniti nei figli, queste due cose devi fare: devi non volere che Dio lo faccia, non devi volere che l'uomo lo faccia, altrimenti resisterai o alle testimonianze divine o alle leggi divine.
Giuliano. Quindi, poiché nemmeno dai suoi servi Dio lascia che si commetta nulla di simile a ciò che tu asserisci perpetrato da lui stesso, è palese che tu sei fuggito lontano dall'onore dovuto a Dio non meno che dalla ragione umana.
E perciò noi non siamo sedotti dall'errore pelagiano, come dici tu, ma siamo condotti dalla legge di Dio ad asserire che è ingiusto imputare ai figli i crimini dei genitori.
Agostino. Non una volta sola, ma più che spesso Dio ha detto che castiga i peccati dei padri nei figli.
In quei testi non ha detto certamente che castiga i peccati dei figli nei padri o dei fratelli nei fratelli o degli amici negli amici o dei cittadini nei cittadini o qualcosa di simile, perché sapessimo che quando parla in quel modo è colpita la generazione e non la imitazione; il che potresti intendere anche tu nelle testimonianze divine, se non fossi impedito dall'errore pelagiano.
Giuliano. La quale imputazione si deplora che l'abbia partorita prodigalmente in questo periodo la del peccato, figlia dei manichei e madre di voi.
Agostino. Tu non ragioni, ma offendi e calunni.
Rileggi gli antichi commentatori della parola divina e vedi che, non in questo tempo, bensì molto prima di noi nelle parole dell'Apostolo è stato inteso quello che egli ha detto apertissimamente, cioè le parole: A causa di un solo uomo il peccato entrò nel mondo e per il peccato la morte, e così passò in tutti gli uomini, ( Rm 5,12 ) riguardano la generazione, che la rigenerazione risana, e non riguardano l'imitazione, che voi avete piuttosto partorita in questo tempo.
Perciò la tempesta del vostro dogma novizio vi ha dispersi dalla faccia della Chiesa cattolica, come la polvere che il vento disperde dalla faccia della terra. ( Sal 1,4 )
Giuliano. È chiaro quindi che Dio ha comandato ciò che noi asseriamo.
E sebbene la genuinità della stessa sentenza, aperta e adatta ad ogni intelligenza, non abbia ammesso in sé il neo di nessuna oscurità, tuttavia, perché tu non prenda a pretesto la tardità del nostro ingegno e non dica che non capiamo quanto è stato comandato, insegniamo come sia stata intesa la legge anche con un'altra testimonianza, non più di un precetto, ma di un'opera compiuta secondo il precetto.
Leggiamo nel Quarto Libro dei Re riguardo ad Amazia, figlio di Joas, re di Giuda: Quando il regno fu saldamente nelle sue mani, mise a morte gli ufficiali che avevano assassinato suo padre, ma non uccise i loro figli, secondo la disposizione della legge del Signore, che prescrive: " Non si metteranno a morte i padri per i figli né i figli per i padri ". ( 2 Re 14,5-6 )
Tu vedi in che modo la fede della storia ha presentato la giustizia di quel re nel giudicare.
Il quale, sebbene fosse devoto, poiché tuttavia si narra che in alcune situazioni abbia zoppicato moralmente, a conferma del suo giudizio si è aggiunta l'autorità della citazione della legge di Dio.
Perché infatti quell'azione non avesse poco peso in considerazione di chi la faceva, si sottolinea che fu compiuta secondo la legge e la disposizione di Dio.
Agostino. Questo modo di giudicare Dio ha voluto che fosse quello degli uomini, non il suo, perché egli ha detto: Punirò i peccati dei padri nei figli. ( Dt 5,9 )
Il che fece anche per mezzo di un uomo, quando per mezzo di Gesù di Nun uccise non solo Acar, ma pure i suoi figli, ( Gs 7,24-25 ) o quando per mezzo del medesimo condottiero del suo popolo, non certamente con ingiusta severità, condannò tuttavia allo sterminio insieme ai loro genitori i figli dei Cananei, anche piccoli, che non avevano ancora imitato con i propri costumi i peccati dei loro genitori. ( Gs 6,21; Gs 10,40 )
Non voler dunque moltiplicare loquacemente e vanamente i tuoi scritti, ma attendi diligentemente a tutti gli scritti di Dio, perché ciò che ritieni di avere aperto in una sola parte di essi non lo trovi chiuso contro di te in un'altra parte.
Giuliano. A due e a tre testimoni si suole credere anche contro il sangue di un uomo.
Quanto più per l'onore di Dio si crederà a due testimoni sacri: alla legge contenuta nel Deuteronomio e alla storia che abbraccia i fatti dei re!
In che modo Dio voleva che si facessero i giudizi l'ha prescritto egli stesso, in che modo doveva intendersi ciò che aveva comandato lo attestano i giudizi celebrati secondo la sua legge.
E ancora si dubita che non si possa provare con l'autorità delle Scritture la " traduce " del peccato?
Sono certamente posizioni contrarie quelle per le quali si stanno combattendo battaglie tanto lunghe: cioè la posizione difesa da voi e l'altra difesa da noi; e così contrarie e incompatibili tra loro che voi combattete con la persecuzione e noi con la discussione, voi con il furore e noi con la ragione.
Dunque l'una e l'altra parte concordano sul fatto che i punti della reciproca distanza e ripugnanza sono questi: per i peccati dei genitori si puniscono i figli e per i peccati dei genitori non si puniscono i figli; esiste un crimine naturale e non esiste un crimine naturale; che i peccati dei genitori si imputino ai figli è prescritto dalla legge di Dio e che non si imputino i peccati dei genitori ai figli è prescritto dalla legge di Dio.
Che queste opinioni e sentenze che si guerreggiano tra loro non possano essere parimenti vere è manifesto.
Infatti anche le regole della discussione erudita indicano che, quando su tesi incerte nascono due opinioni, possono essere entrambe false e non possono essere entrambe vere.
Il che può avvenire senz'altro in specie diverse e delle quali si dice che hanno un punto intermedio; non avviene tuttavia nelle opinioni che sono contrarie tra loro, ma mancano di un punto intermedio.
Sono regole note ai dialettici, ma spieghiamole con qualche esempio per il lettore inesperto di questa disciplina.
Agostino. Cerchi così affannosamente di che riempire i tuoi loquacissimi libri da metterti anche ad insegnare ai loro lettori la dialettica dove non ce n'è bisogno, e non pensi come la Chiesa del Cristo butti via te come dialettico perché ti scorge eretico.
Chi non capirebbe infatti che tu lo fai per rendere vana con un discorrere sapiente la croce del Cristo, ( 1 Cor 1,17 ) che a favore di tutti coloro per i quali è morto, compresi tra loro i bambini anche per tua confessione, ha versato il sangue in remissione dei peccati?
Giuliano. Venga per esempio in questione che colorito abbia avuto Golia e uno sostenga che sia stato negro, un altro che sia stato bianco; ( 1 Sam 17,4-5 ) ciascuna di queste due opinioni diverse può essere falsa, ma l'una e l'altra non può essere vera.
Non può infatti essere vero che sia stato negro se è stato sempre bianco, o che sia stato bianco se rimase negro in ogni sua età.
Dunque queste due opinioni, che non possono essere vere entrambe, nello stesso tempo, possono essere false in questo modo: se il suo colorito non fu né bianco né nero, ma biondo o mediocremente temperato di bianco non compatto e di nero non profondo.
È più facile dunque che realtà diverse e contrarie si possano negare alla pari che approvare alla pari.
Ma coteste realtà contrarie che non hanno un punto intermedio, come per esempio il bene e il male, il giusto e l'ingiusto, l'innocenza e la reità, come non possono coesistere insieme nello stesso tempo in una sola e medesima realtà, così è necessario che, ammessa l'una, si neghi l'altra: ossia, come un precetto o un consiglio o un aiuto non può essere contemporaneamente giusto e ingiusto, così anche un uomo non può essere contemporaneamente reo e innocente, buono e cattivo.
Agostino. Nessuno cerca di che colorito sia stato Golia, ma tu cerchi di che colori avvolgerti da uomo versipelle per insidiare gli altri.
Se cotesta dialettica che non ti edifica ma ti gonfia e ti rende buffone perché un po' spaccone, se questa dialettica, dico, secondo la quale uno non può essere contemporaneamente buono e cattivo, si applica alle leggi della discussione cristiana, non può un uomo essere contemporaneamente e buono per natura e cattivo per vizio.
Eppure la verità grida che può esserlo, né lo neghi, e contro la tua dialettica sei chiamato a produrti tu stesso come teste, poiché, come la verità impone, di queste due realtà, che non dubiti contrarie tra loro, una l'attribuisci al Creatore dell'uomo e l'altra alla volontà dell'uomo.
Arrossisca dunque la tua dialettica e, come tu dalla comunione, così se ne vada anch'essa dalla discussione dei cattolici.
Se tu invece vorrai rientrare, e ce lo auguriamo, rimanga fuori la dialettica.
Giuliano. Alla causa si applichino degli esempi.
Che i peccati dei genitori si imputino ai figli e che i peccati dei genitori non si imputino ai figli sono due tesi contrarie che non si possono approvare entrambe come giuste a parità; ma se è giustizia ritenere rea la prole dei generanti, è necessario che sia un'ingiustizia non ritenere per i medesimi peccati rea la prole.
E come è bene comandare giustamente, così è male ordinare qualcosa d'ingiusto.
E sebbene una verità evidente diventi più tenue a forza di ragionarci sopra, tuttavia, poiché una causa posta al sicuro giova confermarla anche con i suffragi della legge divina, aggrappiamoci a questo testo, nel quale a chiunque si fermi con mente sana non sarà lasciato di errare per i precipizi delle presenti questioni.
Ti acquieti tu dunque, o annunziatore del male naturale, a riconoscere come prescritto dalla legge di Dio che nei peccati dei genitori non siano puniti i figli.
Tu riconosci pure che questo precetto non fu inteso da quel popolo diversamente da come se ne difende ora da noi la debita osservanza.
E quindi il re Amazia, obbedendo ai precetti di Dio, frenò con lodevole moderazione lo sdegno da lui concepito per l'uccisione di suo padre e, messi a morte gli assassini di suo padre, risparmiò tuttavia i loro figli, non per ignavia, ma per giustizia.
È lodato senz'altro Amazia e si dice che in questo si comportò secondo la legge di Dio, si approva la sua obbedienza alla volontà del Signore, ma tuttavia non si tace che fu offuscato da strascichi di idolatria e si nota che non imitò la devozione del suo padre Davide. ( 2 Re 14,6 )
Egli, pur degenerando dalla santità della sua razza, tenne nel giudicare la giustizia voluta dalla legge divina: tanto valeva il rispetto dell'equità manifesta.
Quale sia dunque il male che comporta la tua fede soppesalo: a Dio, che noi confessiamo eterno e pio e giusto, tu addebiti una iniquità come quella che non commise né la superbia di un re ammantato di porpora, né il dolore di un orfano.
Agostino. Amazia era un uomo al quale non era lecito giudicare di responsabilità occulte che non poteva conoscere.
Per questo nel suo giudizio osservò il precetto dato all'uomo di non uccidere i figli per il peccato dei loro genitori.
Ma un peccato tanto grande da convertirsi in natura, il peccato che a causa di un solo uomo entrò nel mondo, il peccato senza il quale non nasce nessun uomo, in che modo potrebbero gli uomini presumere di giudicarlo, dal momento che è passato in tutti gli uomini con la morte, così da essere per esso la morte compagna della sua pena fino alla perdizione eterna, meno che dove la divina grazia abbia risanato la generazione con la rigenerazione?
Questo peccato dunque appartiene al giudizio di Dio e non al giudizio degli uomini, come molti altri fatti dei quali gli uomini non possono assolutamente giudicare.
Perciò altro è il modo che Dio comandò all'uomo nel giudicare genitori e figli che vivono già le proprie vite separatamente, altro è il modo in cui giudicò egli stesso, quando secondo la sua inscrutabile giustizia condannò insieme alla sua stirpe la natura prevaricatrice, che egli conosceva nella sua radice, benché ancora non avesse pullulato nei suoi germogli, con il proposito di liberare da questa condanna quelli che voleva per mezzo di una grazia non meno inscrutabile.
Quantunque anche ai figli già viventi separatamente fece scontare i peccati dei padri separatamente viventi.
Il che non volle che fosse lecito all'uomo nel giudicare, perché Dio stesso sa per quale ragione giustamente lo faccia quando lo fa; ma l'infermità umana non lo sa.
Giuliano. Ma per premere sul testo: è risultato appunto che l'ingiustizia non può attaccarsi a Dio; è risultato pure che da Dio stesso è stato prescritto che i peccati dei genitori non rechino danno ai figli.
La stessa dignità di Dio legislatore assicura senz'altro l'ingiustizia di quello che egli proibisce.
Ora, per agire con te in modo alquanto liberale, ti do facoltà di rispondere: delle due opinioni che sopra ho messe faccia a faccia, cioè che si imputino i peccati dei genitori ai figli o non si imputino, quale reputi che si debba ritenere giusta?
Se dirai la tua, che vuoi consona pure all'ultimo giudizio, replico se reputi giusta o ingiusta la nostra che è rimasta.
Senza dubbio la dichiarerai iniqua.
Ma è questa che l'autorità della legge comanda di custodire.
Tu vedi dunque che rimane necessariamente una sola di queste tre possibilità: o confessi ingiusta la legge di Dio, anzi accusi d'iniquità Dio stesso attraverso la legge; o ti rifugi nella dottrina dei tuoi maestri e dici che non fu emanata dal tuo Dio la legge data per mezzo di Mosè; o, se non osi proferire nessuna di queste due affermazioni, confessi che la " traduce " del peccato si asserisce contro gli insegnamenti e i precetti della legge.
Né infatti è il caso di credere che tu possa delirare così tanto da dire che Dio tiene, sì, la giustizia nei precetti, ma nei giudizi tiene l'iniquità; oppure, almeno secondo il vostro dogma, nei giudizi osserva la giustizia, ma nei precetti insegna l'iniquità.
Il che, sebbene lo abbiamo trattato più sopra, ora tuttavia lo abbiamo necessariamente ripetuto.
Agostino. Odiosamente ripeti ciò di cui oziosamente parli: hai tempo infatti di rigirare con loquacità sempre le medesime affermazioni che non puoi assicurare con verità, e dire senza " modo " quello che non sei in grado di provare in nessun modo.
Vuoi infatti far apparire contrarie fra loro queste due proposizioni: sui figli ricadono i peccati dei padri e per i peccati dei padri non si devono punire i figli, quasi che io dica la prima e Dio dica la seconda.
O sordo, è Dio che dice l'una e l'altra, e quindi sono giuste ambedue, perché le dice il Giusto.
Ma perché tu capisca che Dio non ha parlato in modo contraddittorio, distingui secondo la diversità delle cause le persone dei giudici: Dio e l'uomo.
Così né incolperai Dio, benché punisca nei figli i peccati dei padri, né spingerai l'uomo a giudicare nello stesso modo.
Ma tu queste due affermazioni, apparentemente contrarie tra loro, me le obietti con tanta prolissità e perplessità di discussione non per altra ragione che hai molte chiacchiere e poco senno.
Giuliano. Ma se dirai che è giusto sia ciò che diciamo noi, sia ciò che dite voi, ossia tanto quello che ha sancito la legge di Dio, quanto quello che ha mentito il manicheo e il traduciano, allora, frenando la potenza dell'evidenza della ragione, ti affrontiamo con più benignità e mitezza.
Per quale ragione dunque, se credete buono quello che diciamo e buono quello che dite, avete messo in subbuglio l'Italia intera con tante fazioni?
Per quale ragione avete suscitato sedizioni a Roma con truppe mercenarie?
Per quale ragione con i soldi dei poveri avete ingrassato quasi per tutta l'Africa torme di cavalli, che poi dietro la guida di Alipio avete destinati a tribuni e centurioni?
Per quale ragione con eredità oblate da matrone avete corrotto le autorità secolari per far divampare contro di noi la paglia del furore pubblico?
Per quale ragione avete dissipato la quiete delle Chiese?
Per quale ragione avete macchiato con empietà di persecuzioni i tempi di un principe religioso, se da noi non si dice nulla di diverso da quello che anche tu sei costretto a confessare come buono?
Agostino. Come sono falsi i crimini che rinfacci a noi, così sono falsi i dogmi che inventate voi.
Ma dite per quanto potete ogni sorta di male contro di noi, mentendo; noi ci limitiamo a difendere contro di voi la fede cristiana e cattolica.
E che bisogno c'è di restituirvi simili maledizioni e non credere piuttosto al Vangelo e godere che per coteste vostre falsissime maledizioni aumenti per noi la ricompensa nei cieli? ( Mt 5,11-12 )
In che modo poi, nella causa che trattiamo adesso, possiamo credere buono e ciò che dite voi e ciò che diciamo noi, se noi diciamo che Dio ha detto: Punirò le colpe dei padri nei loro figli, ( Dt 5,9 ) mentre voi l'ordine dato da Dio al giudice umano di non punire nei figli le colpe dei padri lo lodate in tal modo da accusare come nostra la punizione dei figli dichiarata da Dio e da disapprovarla come falsa e ingiusta: né in questo vi sentite litigiosi e calunniosi, non contro noi ma contro Dio?
Giuliano. Ma basti che io abbia usato fino a questo punto un linguaggio più che mite.
Ora invece lo splendore fiammeggiante della ragione fa vedere che tra cattivi e buoni, tra profani e sacri, tra pii ed empi, tra giusti e iniqui non c'è nessuna comunione, e quindi tra i precetti e i giudizi di Dio non c'è nessuna battaglia, ma è contraddittorio imputare agli uni i peccati degli altri e comandare che i medesimi peccati non siano imputati.
Poiché, di queste due posizioni è necessario che, concessa l'una, si rimuova l'altra, ossia se si insegna giusta l'una, si insegni iniqua l'altra.
Ma nella legge di Dio è stato prescritto che i peccati dei genitori non si imputino ai figli. ( Dt 24,16 )
Quindi per la medesima autorità il contrario di questo, ossia l'opinione della " traduce ", è stato abbattuto dalle fondamenta insieme con i manichei.
Agostino. A me rincresce dire tante volte la verità, a te invece non fa sentire vergogna dire tante volte la falsità.
È Dio che dice che egli punisce nei figli i peccati dei padri; che i peccati dei padri non li punisca nei figli lo dice Dio, sì, ma lo dice all'uomo: l'uno e l'altro è da approvarsi, perché l'uno e l'altro lo dice Dio.
Giuliano. Ho spiegato che noi certamente non difendiamo nulla di diverso da quello che la ragione per prima indica come giustissimo, nulla di diverso da quello che anche Dio in secondo luogo conferma con la sua legge, nulla di diverso da quello che in terzo luogo è stato fatto con lode dall'opera, come asserito da noi e comandato da Dio.
È altresì inculcato che la vera giustizia è quella che Dio ha mostrato di gradire anche comandando.
E per questo è risultato che la " traduce " manichea non trova nessun ammennicolo né da parte della ragione, né da parte delle testimonianze della legge.
Agostino. I manichei dicono che esiste una natura cattiva da sempre senza inizio, e sostengono che da essa viene ogni male.
Invece i cattolici, come voi non voleste essere, dicono che la natura umana è stata creata buona, è stata viziata dal peccato, ha bisogno del Cristo come suo medico in tutti gli uomini dai bambini fino ai vecchi, perché per tutti egli morì e tutti quindi morirono. ( 2 Cor 5,14 )
Dunque l'opinione dei manichei è che bisogna separare il male dal bene, così che il male sia fuori dal bene.
Noi al contrario, sebbene con l'intelligenza separiamo il male dal bene, né crediamo che sia una qualche sostanza ciò che si dice male, tuttavia non riteniamo che il male debba essere separato da coloro che sono liberati, così che sia al di fuori di loro, ma sappiamo che è da risanare in loro, perché il male non ci sia più.
I manichei dicono infatti che il male è una sostanza cattiva, noi diciamo che il male è il vizio di una sostanza buona, senza nessuna sostanza.
Quanto ci corra avvertilo e smetti di negare ai bambini, bisognosi di essere guariti, il medico Cristo, perché non rimanga su di loro l'ira di Dio che dice: Punirò le colpe dei padri nei loro figli. ( Dt 5,9 )
Guarda chi lo ha detto: è Dio, non Manicheo.
Guarda chi ha detto: A causa di un uomo venne la morte, a causa di un uomo verrà anche la risurrezione dei morti: come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti riceveranno la vita nel Cristo; ( 1 Cor 15,21-22 ) è un Apostolo del Cristo, non un discepolo di Manicheo.
Guarda colui che ha detto: Noi uomini nasciamo tutti sotto il peccato;5 è un vescovo cattolico, non Manicheo o Pelagio o un eretico pelagiano.
Poiché il peccato di un'opera cattiva lo punisce anche l'uomo, ma il peccato di origine lo punisce solamente Dio, per questo mentre dichiara di punire nei figli i peccati dei padri, Dio tuttavia comanda all'uomo di non condannare anche i figli per i peccati dei padri.
Distingui tra giudizi divini e umani e troverai che cotesti due comportamenti non sono contrari tra loro.
Giuliano. Ma perché non esista per caso qualcuno tanto pignolo da volere che gli si dimostri con testimonianze evidenti che Dio non giudica diversamente da come ha comandato di giudicare - il che è di una litigiosità riprovevole -, tuttavia poiché le armi sono a disposizione della verità per ogni sazietà di documentazione, non rincrescerà di produrre a questo proposito i testi più validi.
Pieno pertanto di Spirito Santo il profeta Ezechiele parla così: Mi fu rivolta questa parola dal Signore: Figlio dell'uomo, perché andate ripetendo nella terra d'Israele questo proverbio: I padri hanno mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati?
Com'è vero che io vivo, dice Adonai il Signore, non si dirà più questo proverbio in Israele.
Perché tutte le anime sono mie: come l'anima del padre, così l'anima del figlio, tutte le anime sono mie.
L'anima che pecca, lei ha da morire.
Se uno è giusto, se osserva il diritto e la giustizia, non mangia sulle alture, non alza gli occhi agli idoli della casa d'Israele, non disonora la moglie del suo prossimo, non si accosta ad una donna durante il suo stato d'impurità, non opprime nessuno, rende il pegno al debitore, non commette rapine, divide il pane con l'affamato e copre di vesti l'ignudo, non presta ad usura e non esige interesse, desiste dalla iniquità, pronunzia retto giudizio tra un uomo e l'altro, cammina nei miei precetti e osserva le mie leggi con fedeltà, questi è giusto e vivrà, dice Adonai il Signore.
Ma se uno ha generato un figlio violento e sanguinario, che commette dei peccati e non cammina nella via del giusto suo padre, mangia sulle montagne, disonora la donna del prossimo, opprime il povero e l'indigente, commette rapine e non restituisce il pegno, volge gli occhi agli idoli e compie cose abominevoli, presta ad usura ed esige gli interessi, costui non vivrà di vita.
Poiché ha commesso tutte queste iniquità, costui morirà di morte e dovrà a se stesso la propria morte.
Ma se uno ha generato un figlio che, pur vedendo tutti i peccati commessi da suo padre, è timorato e non li imita, non mangia sulle alture e non leva gli occhi agli idoli di Israele, non disonora la donna del prossimo e non opprime nessuno, non trattiene il pegno e non commette rapina, dà il pane all'affamato e copre di vesti l'ignudo, desiste dall'iniquità, non presta ad usura né ad interesse, osserva la giustizia e cammina nei miei precetti, costui non morirà per le iniquità di suo padre, ma vivrà di vita.
Suo padre invece, che oppresse e derubò il suo prossimo, che non agì bene in mezzo al mio popolo, morirà per la sua iniquità.
Voi dite: Perché il figlio non sconta l'iniquità del padre?
Perché il figlio agì secondo giustizia e rettitudine, fu misericordioso, osservò tutti i miei comandamenti e li mise in pratica: per questo vivrà di vita.
L'anima che pecca è lei che dovrà morire.
Il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio.
Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità.
Ma se il malvagio si ritrae da tutti i peccati che ha commessi, osserva tutti i miei comandamenti, agisce con giustizia e rettitudine, vivrà di vita e non morirà.
Nessuna delle sue colpe commesse sarà ricordata, ma egli vivrà di vita per la giustizia che ha praticata.
Ho forse piacere della morte del malvagio, dice Adonai il Signore, o non piuttosto che desista dalla sua condotta e viva?
Ma se il giusto si allontana dalla giustizia e commette l'iniquità secondo tutti gli abomini che commette l'empio, non vivrà.
Tutte le opere giuste fatte da lui saranno dimenticate; a causa della prevaricazione in cui è caduto e dei peccati da lui commessi egli morirà.
Voi dite: Non è retto il modo di agire del Signore.
Ascolta dunque, o casa d'Israele: Non è retta la mia condotta? È la vostra che non è retta.
Se il giusto si allontana dalla giustizia per commettere iniquità, morirà a causa del delitto commesso.
E se l'iniquo desiste dall'iniquità che ha commessa e agisce con giustizia e rettitudine, egli fa vivere se stesso.
Ha riflettuto, si è allontanato da tutte le sue colpe, egli vivrà di vita e non morirà.
Eppure gli Israeliti vanno dicendo: Non è retta la via del Signore.
O popolo d'Israele, non è retta la mia via o non piuttosto la vostra?
Perciò, o Israeliti, io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta, dice Adonai il Signore. ( Ez 18,1-30 )
Agostino. Questa è per la bocca del profeta Ezechiele la promessa, che tu non intendi, del nuovo patto, dove Dio discerne i rigenerati dai generati secondo le loro proprie azioni, se sono già nella maggiore età.
Quelli infatti di cui dice: L'anima del padre è mia e l'anima del figlio è mia, ( Ez 18,4 ) conducono senza dubbio le loro vite separate.
Se al contrario il figlio fosse ancora nei lombi di suo padre, come di Levi è scritto che era nei lombi di Abramo, quando Abramo pagò le decime a Melchisedech, ( Eb 7,9-10 ) allora non si potrebbe dire: L'anima del padre è mia e l'anima del figlio è mia, quando l'anima era certamente una sola.
Il Profeta, velando il mistero da svelare a suo tempo, non ha nominato la rigenerazione con la quale ogni figlio dell'uomo passa da Adamo al Cristo, ma quello che non disse allora volle che fosse inteso in questo tempo, nel quale doveva essere tolto il velo a coloro che passano al Cristo.
Poiché infatti confessi d'essere cristiano, benché ti dimostri un anticristo macchinando di ottenere che il Cristo sia morto invano, ti chiedo se un uomo che fa tutte le buone opere che il profeta Ezechiele ricorda ripetendole più volte, viva anche se non è stato rigenerato.
Se tu dici che vive, a te anticristo contraddice il Cristo e dice: Se non mangiate la mia carne e non bevete il mio sangue, non avrete la vita in voi, ( Gv 6,54 ) il quale cibo e la quale bevanda che spettino ai rigenerati tu sei costretto a riconoscerlo, lo voglia o non lo voglia.
Ma, se schiacciato da tanta mole di autorità, risponderai che non vivrà, qualora non sia stato rigenerato colui che avesse fatto tutte quelle buone azioni, rispondi quale sia la causa e vedi che si oppone alla generazione la rigenerazione e non alla imitazione l'imitazione nella contrapposizione che l'Apostolo fa di Adamo dalla parte del peccato al Cristo dalla parte della giustizia.
Ma più evidentemente ti mostrerò che quanto hai ricordato dal profeta Ezechiele si riferisce al nuovo patto dove si trova l'eredità dei rigenerati; non ora però; ma quando avrai detto tutto quello che secondo lo stile della tua loquacità intendi dire sulle stesse sue parole.
Giuliano. Non ti sembra un facondo assertore dei suoi giudizi Dio, che con tanto numerose espressioni non solo ha giudicato, ma ha pure discusso della presente questione?
Prevedendo esattamente gli errori dei nostri tempi, con la tanta luce e abbondanza delle sue parole, ha ottenuto giustamente e provvidenzialmente due risultati: il primo che nessuno fosse turbato da nessuna ambiguità delle questioni; il secondo, che non rimanesse nessuna tavola di salvezza a coloro che si fossero immersi in naufragi volontari.
Parla ai Giudei che, vivendo in cattività a causa delle loro scelleratezze, per rimuovere la odiosità della propria prevaricazione andavano dicendo che la cattività era dovuta ai loro padri e non ai loro costumi, e li affronta con la sua autorità di Padre.
Perché, dice, andate ripetendo questo proverbio: " I padri hanno mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati? ".
Com'è vero che io vivo, dice Adonai il Signore, non si dirà più questo proverbio in Israele.
Perché tutte le anime sono mie: come l'anima del padre così l'anima del figlio, tutte le anime sono mie.
L'anima che pecca, lei ha da morire. ( Ez 18,2-4 )
Agostino. Quando afferma: Non si dirà più questo proverbio in Israele, mostra che si soleva dire: I padri hanno mangiato l'uva acerba e i denti dei figli si sono allegati.
Né rimprovera che si dicesse, ma promette un tempo in cui non si dirà più.
Ma per quale ragione lo dicevano, se non perché sapevano che Dio aveva detto: Punirò le colpe dei padri nei figli? ( Dt 5,9 )
Giuliano. Per proporre a modello e per confermare l'equità del suo giudizio Dio ricorre ad un giuramento e aggiunge all'autorità del suo precetto l'autorità di una sua solenne attestazione.
Comprese questo genere letterario l'Apostolo, che agli Ebrei spiegò così: Dio, volendo mostrare agli eredi della promessa l'irrevocabilità della sua decisione, interpose un giuramento, perché grazie a due atti immutabili, nei quali è impossibile che Dio mentisca, noi avessimo un fortissimo incoraggiamento. ( Eb 6,17-18 )
Agostino. E in quel passo si prometteva il nuovo patto.
Giuliano. Da questi due atti dice dunque che si indica l'impossibilità di mentire da parte di Dio: la stessa sua promessa e la sua protesta di adempiere la sua promessa.
Non che Dio senza tale protesta sia solito discorrere in maniera debole e dubbia, ma per accreditare la sua verità con strumenti importanti si servì di quel genere di locuzione che rende credibili anche gli uomini soliti a mentire.
Con questa ponderatezza dunque Dio ammonisce e prescrive anche nella presente causa e che nessuno del popolo sospetti come vero ciò che asseriscono i traduciani, e che ciascuno conosca che Dio non può giudicare nel modo che detesta: Com'è vero che io sono, dice Adonai il Signore, non si dirà più questo proverbio in Israele. ( Ez 18,3 )
Agostino. Non si dirà più in Israele lo diresti giustamente, se tu guardassi ai veri Israeliti rigenerati, tra i quali non si dirà più quel proverbio.
Tra quelli infatti che non sono rigenerati si dice meritatamente, poiché essi non sono Israele, stando a quanto l'Apostolo scrive ai Romani: Non tutti i discendenti d'Israele sono Israele, ( Rm 9,6 ) dove senza dubbio voleva far intendere i figli del nuovo patto, ossia i figli della promessa.
Poi seguita: Ma in Isacco ti sarà data una discendenza, cioè non sono considerati figli di Dio i figli della carne, ma come discendenza sono considerati i figli della promessa. ( Rm 9,7-8 )
Giuliano. Che significa questa predizione: Non si dirà più, mentre fino ad oggi lo si asserisce con i tanto grandi sforzi dei manichei?
Ma questa è l'indicazione del testo: nessuno che è del popolo d'Israele o che accoglie l'autorità di questa Scrittura, dopo la mia decisione oserà accreditare qualcosa di simile.
Perciò chiunque persiste in quella opinione, né obbedisce a queste Lettere, né sarà annoverato in quello che è il vero Israele.
Agostino. Se dunque Dio vuol far capire che dopo la sua affermazione nessuno avrebbe più creduto questo, bisogna cercare per quale ragione prima di essa non fosse riprovevole credere che i peccati dei padri dovevano essere puniti anche nei figli.
E se si cerca bene, si troverà che per la generazione inquinata fu detto: Punirò le colpe dei padri nei loro figli. ( Dt 5,9 )
Di qui nasce quel proverbio delle uve acerbe.
Ma per la libera rigenerazione fu promesso il nuovo patto, nel quale non lo si dirà più, perché alla eredità dannosa che viene da Adamo si rinunzia mediante la grazia del Cristo, quando si rinunzia a questo secolo, dove è inevitabile che sui figli di Adamo gravi un giogo pesante, non certamente ingiusto, dal giorno della loro nascita dal seno della loro madre fino al giorno della loro sepoltura nel seno della madre comune. ( Sir 40,1 )
Perciò i sacri misteri, anche con la rinunzia dei bambini, indicano sufficientemente che cosa si faccia.
Giuliano. Riprovata la falsità di quel proverbio, dopo che ha sancito la sentenza con la promulgazione e con la certificazione divina, si degna pure di palesare la ragione della sua giustizia, la ragione per cui non devono essere gravati i rapporti di parentela dei peccati altrui.
Perché tutte le anime, dice, sono mie; come l'anima del padre, così l'anima del figlio, tutte le anime sono mie.
L'anima che pecca, lei ha da morire. ( Ez 18,4 )
Per quale ragione dunque fosse giustissima cotesta moderazione della sentenza lo indica pure con la proprietà delle anime.
Agostino. Cotesta proprietà delle anime appartiene alle vite separate.
Nessuno infatti può rinascere se non è nato.
Ma per quale ragione Levi pagò le decime, quando era nei lombi di Abramo, se non perché non era ancora avvenuta nei lombi di Abramo la proprietà delle anime proprie?
Giuliano. Poiché, dice, l'anima del padre è mia e l'anima del figlio è mia - con la quale testimonianza, come con molte altre, si insegna che non deve nulla ai semi l'anima che Dio rivendica al proprio diritto -, è iniquissimo e stolto, dice, che la mia proprietà, che la mia immagine sia gravata da opere altrui.
Agostino. Tu dunque separi la carne dal diritto di Dio, facendogli rivendicare al proprio diritto soltanto l'anima, e ti sei dimenticato che è scritto: Come la donna deriva dall'uomo, così anche l'uomo ha vita dalla donna, ma tutto proviene da Dio? ( 1 Cor 11,12 )
Il che certamente è stato detto o secondo la carne o secondo ambedue, non tuttavia secondo l'anima soltanto.
Visto poi che ti piace mettere sulle labbra di Dio le parole: " È iniquissimo e stolto che la mia proprietà, che la mia immagine sia gravata da opere altrui ", perché non cerchi la ragione per cui l'anima sia gravata giustamente dalla carne tratta dai genitori e gravata dalle stesse opere di Dio?
Infatti un corpo corruttibile appesantisce l'anima. ( Sap 9,15 )
E penso che tu riconosca come opera di Dio anche il corpo corruttibile.
Che cosa dunque ha fatto meritare all'immagine di Dio d'essere appesantita da un corpo corruttibile per essere impedita nella conoscenza della verità, se non esiste nessun peccato originale?
Perché non fai dire a Dio anche questo: È iniquissimo e stolto che la mia proprietà, che la mia immagine, per mancanza di fede o per negligenza dei genitori o delle persone tra le quali vive o per qualsiasi necessità, esca dal corpo senza il battesimo e non sia ammessa nel mio regno, né abbia la vita, perché non ha mangiato la mia carne santa né ha bevuto il mio sangue? ( Gv 6,53-54 )
O forse contesterai pure questa sentenza del Cristo e griderai dicendo: Certo che vivrà, anche senza aver mangiato la carne del Cristo e bevuto il suo sangue.
Di chi questa voce se non di un anticristo? Va', di' cotesti errori, insegna cotesti errori.
Ti ascoltino i cristiani, maschi e femmine.
Ti ascoltino gli uomini corrotti di mente, reprobi circa la fede.
Ti ascoltino, ti amino, ti onorino, ti pascano, ti vestano, ti abbiglino e seguendoti perduto si perdano anch'essi.
Ma il Signore conosce chi sono i suoi, ( 2 Tm 2,19 ) né c'è da disperare neppure di voi, finché la sua pazienza si prodiga per voi.
Giuliano. All'anima io ho dato tale stato che nessuno le potesse nuocere dall'esterno contro la sua volontà, ma spontaneamente scegliesse da sé il peccato o la giustizia o il premio o il reato.
Agostino. Lo si può dire della prima natura dell'uomo, non di questa natura viziata e condannata.
Né infatti anche nel paradiso prima del peccato appesantiva l'anima un corpo corruttibile; oppure voi siete a tal punto corrotti di mente da osare di dire anche questo?
Se non lo osate, dite come meritò l'immagine di Dio d'essere appesantita da un corpo corruttibile, voi che non volete confessare con la Chiesa cattolica il carattere originale del peccato.
Giuliano. Ti sdegni con me perché credo più a Dio che giura che non a Manicheo che congettura, il quale soprattutto non porta nessuna prova, non dico testimonianze di sana fede, ma almeno argomenti di vigilante ingegno.
Tali argomenti, sebbene non si possano mai trovare così validi da poter abbattere le fondamenta della verità, tuttavia apporterebbero almeno sul momento, se si dicessero nel modo adatto, un certo conforto contro la vergogna della stoltezza.
Persiste Dio nel fortificare giurando ciò che aveva reso sacro comandando.
Prosegue nel rendere piano anche per mezzo di esempi quanto ha sancito e dice che, se esistesse un uomo rispettoso con immacolata devozione di tutte le specie della giustizia e avesse generato costui un figlio che si attaccasse a costumi pestiferi e deviasse dalle orme paterne, non potrebbe giovare a lui per nulla la nobiltà meritata dal padre con tanta cura di giustizia.
Inversamente propone il caso del figlio di un padre peccatore, che con miglior consiglio rifugge dalle vie di suo padre, e dichiara che non gli nuoce per nulla l'iniquità del genitore.
Mette sulla stessa linea la giustizia e il peccato, asserendo che i vizi dei generanti non camminano con i semi, così come non possono camminare con i semi le virtù, ma che tutte le anime appartengono alla sua giurisdizione: con il che si rivela sacrilego anche il tuo dire che le anime e i corpi dei nascenti sono appannaggio del diritto del diavolo.
Agostino. Ti è già stato risposto: è vana la tua verbosità.
Tutto l'uomo, cioè l'anima e il corpo, appartiene per la sua sostanza al diritto del Creatore; ma per il vizio, che non è nessuna sostanza, è stato mancipato al diavolo, tuttavia sotto la medesima potestà del Creatore, sotto la quale è costituito lo stesso diavolo.
Giuliano. Asserita la giustizia del suo giudizio, viene subito ad accusare la vostra opinione in coloro che avevano idee simili: Voi dite: Perché il figlio non sconta l'iniquità del padre?
Risponde: Perché l'anima che pecca, è lei che deve morire. Il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio.
Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità. ( Ez 18,19-20 )
Chi di noi avrebbe mai potuto discutere di questo con tanta diligenza con quanta ne ha dissertato Dio per bocca del suo profeta distinguendo, confrontando, ripetendo?
Agostino. E tuttavia, benché Dio lo abbia fatto, tu mescoli la tua loquacità alla tanta perspicuità delle sue parole, sapendo che non è buona la tua causa.
Giuliano. Ma non contento di avere spiegato soltanto questo, a conferma di tale giustizia prende anche un altro argomento dalle opere della misericordia e dichiara che a quelle stesse persone che hanno peccato di spontanea volontà, se si rifugiano nella penitenza e nell'emendazione, non nuocciono gli errori trascorsi.
Dice: Se il malvagio si ritrae dalle iniquità che ha commesse e osserva i comandamenti, nessuna delle colpe commesse sarà ricordata, ma egli vivrà per la giustizia che ha praticata. ( Ez 18,21-22 )
Cioè, essendo io in tal proposito di clemenza da indulgere anche i peccati propri a coloro che se ne sono corretti, com'è possibile che io imputi ai nascenti i peccati altrui?
O forse i fatti lasciano pensare che l'innocenza nel momento in cui è creata sia rea presso di me, per il quale essa è nella sua efficenza anche quando si recupera dopo che è stata guastata?
Agostino. Altra è la causa dei penitenti, altra la causa dei nascenti.
Infatti voi non trovate in nessun modo come dimostrare la giustizia di Dio se egli, pur non trovando nei nascenti nessun peccato, nondimeno li aggrava di un corpo corruttibile e per giunta di tante e di così grandi calamità.
Sono realmente innumerevoli i mali che soffrono i bambini: febbre, tosse, scabbia, dolori sparsi in tutte le membra, diarrea, vermi e altri mali da non potersi contare, provenienti dalla carne stessa; poi i moltissimi patimenti degli stessi trattamenti curativi delle malattie, e dall'esterno i colpi delle ferite, le piaghe delle percosse, le incursioni dei demoni.
Ma voi, sapienti eretici, per non confessare il peccato originale, siete pronti a riempire il paradiso di tali fiori.
Se infatti dite che nel paradiso non ci sarebbero stati questi mali, chiedo per quale ragione essi siano nei bambini, che non hanno, come sostenete voi, nessun peccato in nessun modo.
Se invece non vi vergognate di dire che anche cotesti mali sarebbero stati nel paradiso, quali cristiani siate voi che bisogno c'è che lo diciamo noi?
Giuliano. Dispiacque ciò ai cultori degli idoli, dispiace anche a voi la nostra fede, che vedete modellata su questa legge.
Dissero dunque i profani: Non è retta la via del Signore.
Replica: Udite dunque, o popolo d'Israele.
Non è retta la mia via o non piuttosto la vostra?
Perciò io giudicherò ognuno di voi secondo la sua condotta, dice Adonai il Signore. ( Ez 18,29-30 )
Lo vedi o no da quali testimonianze siamo garantiti?
Seguiamo forse indicazioni ambigue?
Andiamo forse a caccia di parole vaghe?
Difendiamo forse la fede con argomenti deboli o involuti?
Noi esecriamo ciò che Dio esecra, noi intendiamo ciò che Dio spiega, noi ragioniamo su ciò che Dio ha discusso, noi crediamo ciò che Dio giura: Il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio.
Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità. ( Ez 18,20 )
In che modo prometta Dio di giudicare riluce: cioè né peseranno sui figli i peccati dei genitori, né sui genitori i peccati dei figli, e per questo anche con le testimonianze delle Scritture risulta ciò di cui non lasciava dubitare la ragione, ossia che Dio tiene nei suoi giudizi la stessa giustizia che ha tenuta nei suoi precetti.
Agostino. Da qui almeno cerca di capire che Dio in questo passo ha parlato di quei padri e di quei figli che vivevano già separatamente, ossia dal fatto che dopo aver detto: Il figlio non sconta l'iniquità del padre, né il padre l'iniquità del figlio, ha subito aggiunto: Al giusto sarà accreditata la sua giustizia.
È mai possibile infatti in questo secolo dire di un bambino che a lui stesso è accreditata la sua giustizia, dal momento che non può vivere ancora per mezzo della sua propria vita né in modo giusto né in modo iniquo?
Quanto dunque patisce di pene nella sua età, per quale merito lo patisce, se non ha tratto nessun merito dai genitori?
Poiché il giustissimo Dio non infligge a nessuno pene immeritate, né le lascia infliggere, non si potrebbe nemmeno dire che il bambino patisca i mali presenti per esercitare la virtù, che non c'è ancora affatto in lui.
Ebbene, se pensi al secolo futuro che appartiene all'eredità del nuovo patto, anche dei bambini che muoiono nella loro stessa età si dice esattissimamente: Al giusto sarà accreditata la sua giustizia e al malvagio la sua malvagità.
Così infatti si distinguerà il generato dal rigenerato: questo vivrà di vita nel regno dove abita la giustizia, quello invece morirà di morte nel castigo dove è tormentata l'iniquità.
Ma quale la giustizia del rigenerato se non quella che passa in lui dal Cristo, nel quale tutti riceveranno la vita?
E quale l'iniquità del generato se non quella che passa in lui da Adamo, nel quale tutti muoiono?
Indice |
4 | Ambrosius, In Luc. 7, 234 |
5 | Ambrosius, De paenitentia 1, 3, 13 |