Esposizione dei Salmi |
Il Salmo 104 è il primo di quelli che hanno come titolo la parola Alleluia.
Ora il significato di questa parola, o meglio delle due parole che la compongono, è: "Lodate Iddio".
Da esso quindi dipende il versetto iniziale: Confessate il Signore, ed invocate il suo nome.
Una tale confessione deve infatti essere intesa per una vera lode, come risulta dal passo: Io ti confesso, o Padre, Signore del cielo e della terra. ( Mt 11,25 )
E dopo aver premesso la lode si è soliti far seguire l'invocazione, con la quale l'orante presenta i suoi desideri.
Per tale ragione la preghiera stessa del Signore contiene al principio una lode brevissima, espressa dalle parole: Padre nostro, che sei nei cieli. ( Mt 6,9 )
Solo in seguito sono enumerate le varie richieste.
Sempre per tale ragione si legge anche altrove, in un salmo: Ti confesseremo, o Dio, ti confesseremo, ed invocheremo il tuo nome. ( Sal 75,2 )
Il concetto è ancora più chiaro in un altro testo: Lodando invocherò il Signore, e sarò salvo dai miei nemici. ( Sal 18,4 )
Parimenti si dice anche qui: Confessate il Signore, ed invocate il suo nome, che è come se dicesse: Lodate il Signore, ed invocate il suo nome.
Certamente egli esaudisce chi lo invoca, perché vede che gli rende la lode; e vede chi gli rende la lode perché ne apprezza l'amore.
Ma quando il Signore ha voluto che gli si dimostrasse, da parte di un servo fedele, l'amore più grande?
L'ha fatto quando gli ha detto: Pasci le mie pecorelle. ( Gv 21,17 )
Per questo anche qui seguono le parole: Annunziate tra le genti le sue opere, o meglio - stando al termine esatto del testo greco, che è riportato in altri codici latini: Evangelizzate tra le genti le sue opere.
Ed a chi sono rivolte queste parole?
Profeticamente sono rivolte agli Evangelisti.
A lui cantate ed a lui inneggiate.
Cioè: lodatelo con le parole e con le opere, se è vero che con la bocca si canta mentre con il salterio - come a dire con le mani - si inneggia.
Narrate tutte le sue meraviglie e gloriatevi nel suo santo nome.
Non senza coerenza questi due versetti potrebbero essere raccordati con le due parole precedenti, nel senso che l'espressione: Narrate tutte le sue meraviglie, sia collegata al primo verbo: A lui cantate, e l'espressione che segue: Gloriatevi nel suo santo nome, sia invece collegata all'altro verbo: A lui inneggiate.
Si avrebbe pertanto un primo riferimento alla parola buona, con la quale si canta in suo onore e si narrano tutte le sue meraviglie, ed un secondo riferimento all'opera buona, per cui solo in suo onore si inneggia, onde nessuno intenda gloriarsi dell'opera buona che compie come di una sua propria virtù.
È per questo che, dopo l'invito espresso dalla parola: Gloriatevi - un invito che quanti operano il bene possono giustamente accogliere - si aggiunge subito: nel suo santo nome, sicché chi si gloria abbia a gloriarsi nel Signore. ( 1 Cor 1,31 )
Perciò coloro che vogliono inneggiare non per sé, ma in onore di lui, si guardino dal praticare la loro giustizia davanti agli uomini per esser visti da essi; altrimenti non avranno nessuna ricompensa presso il Padre, che è nei cieli; ( Mt 6,1 ) facciano piuttosto risplendere le loro opere davanti agli uomini, non certo allo scopo di esser visti da essi ma perché questi vedano le loro opere buone e diano gloria al Padre loro, che è nei cieli. ( Mt 5,16 )
Questo significa gloriarsi nel santo nome del Signore, ed è questo il motivo per cui in un altro Salmo si legge: L'anima mia si glorierà nel Signore: ascoltino i miti e se ne rallegrino. ( Sal 34,2-3 )
Tale concetto in qualche modo continua anche qui: Si allieti il cuore di quanti cercano il Signore.
È così infatti che si rallegrano i miti, i quali non guardano mai con zelo invidioso e malvagio a coloro che compiono il bene.
Cercate il Signore, e confortatevi.
Quest'ultimo verbo è stato con maggior esattezza ripreso dal greco, anche se può apparire poco appropriato in latino; perciò alcuni codici dicono: confermatevi, ed altri ancora: corroboratevi.
Ed in effetti al Signore si dice: Mia fortezza, ( Sal 18,4 ) ed anche: Conserverò presso di te la mia fortezza, ( Sal 59,10 ) per cui insomma, cercando lui ed avvicinandoci a lui, noi siamo interiormente illuminati e confortati, evitando così di non vedere per la nostra cecità quel che bisogna operare, o di non operare per la nostra debolezza quel che pure vediamo.
Ciò che dunque riguarda il vedere: Avvicinatevi a lui, e illuminatevi, ( Sal 34,5 ) corrisponde a ciò che riguarda l'operare: Cercate il Signore, e confortatevi.
Cercate sempre - si aggiunge - la sua faccia.
Che cos'è la faccia del Signore? È la presenza di Dio.
Analogamente si parla di faccia del vento e di faccia del fuoco, perché sta scritto: Come pula dinanzi alla faccia del vento, ( Sal 83,14 ) e: Come fonde la cera, in faccia del fuoco. ( Sal 68,3 )
Si aggiunga che la Sacra Scrittura fa uso di molte simili espressioni, null'altro volendo intendere se non la presenza di quelle cose, di cui nomina la faccia.
Ma che cosa significa: Cercate sempre la sua faccia? So bene che per me il mio bene è star dappresso a Dio; ( Sal 73,28 ) ma se egli viene sempre cercato, quando sarà trovato?
O forse qui si dice sempre, nel senso che per tutta la vita che si vive quaggiù, fin dal tempo in cui abbiamo compreso che noi dobbiamo far questo, egli deve essere cercato anche quando è stato trovato?
Nessun dubbio che la fede già l'ha trovato, ma è pur vero che la speranza ancora lo cerca.
La carità poi, se l'ha certo trovato per mezzo della fede, cerca però di possederlo per mezzo della visione, nella quale sarà finalmente trovato in maniera da soddisfare il nostro desiderio e da escludere ogni ulteriore ricerca.
Ed infatti se la fede non potesse trovarlo già in questa vita, non si direbbe: Cercate il Signore, e neppure si direbbe, quando l'aveste trovato: L'empio abbandoni le sue vie, e l'uomo iniquo desista dai suoi pensieri. ( Is 55,6-7 )
Parimenti se, una volta trovato per mezzo della fede, egli non dovesse più essere ricercato, non si direbbe: Se infatti noi speriamo ciò che non vediamo, è per mezzo della pazienza che l'aspettiamo, ( Rm 8,25 ) e non si spiegherebbe quel che afferma san Giovanni: Noi sappiamo che, quando sarà apparso, saremo simili a lui, perché lo vedremo quale egli è. ( 1 Gv 3,2 )
O forse pur quando l'avremo visto faccia a faccia qual egli è, dovremo ancora continuare a ricercarlo e cercarlo senza fine, perché senza fine dovremo amarlo?
Invero anche ad una persona presente diciamo: Non ti cerco, volendo dire: Non ti amo.
Ed è per questo che l'amato viene cercato anche se è presente, mentre egli stesso è sollecitato da un moto costante di carità a non rendersi assente.
Quindi se uno ama un altro, anche quando lo vede, vuol sempre, senza provarne fastidio, che lui sia presente, cioè cerca sempre che lui sia presente.
È chiaro dunque che il cercate sempre la sua faccia non significa che in questa ricerca, in cui si esprime l'amore, il ritrovamento rappresenti la fine, ma piuttosto che, nella misura in cui aumenta l'amore, aumenta la ricerca della persona trovata.
4 - [v 5.] Ma subito dopo ecco che quest'uomo appassionato modera le sue lodi e fa ricorso a parole più intelligibili, alimentando il fiacco e infantile suo amore con il racconto delle meraviglie compiute sulla terra da Dio.
Ricordate - dice - le meraviglie da lui operate, i suoi prodigi ed i giudizi della sua bocca.
Questo passo sembra simile a quell'altro passo, in cui il Signore a Mosè, che voleva sapere chi fosse, rispose dapprima: Io sono colui che sono; e: Dirai ai figli di Israele: Colui che è mi ha inviato a voi ( Es 3,13-14 ) ( un concetto questo che raramente può essere afferrato sia pure in minima parte ), ma poi nel citare il suo nome moderò misericordiosamente il suo sovrano prestigio di fronte agli uomini, dicendo: Io sono il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe: questo è il mio nome in eterno. ( Es 3,15 )
Con tali parole egli voleva far intendere che anche coloro, di cui si diceva Dio, vivevano in eterna comunione con lui, ed insieme affermava una cosa che anche i più piccoli avrebbero potuto capire, mentre l'altra espressione: Io sono colui che sono, l'avrebbero compresa, secondo la propria capacità, quelli che facendo leva sulla forza superiore della carità, fossero in grado di cercare sempre il suo volto.
Perciò se per voi è troppo difficile vedere o cercare quel che egli è, ricordate le meraviglie da lui operate, i suoi prodigi ed i giudizi della sua bocca.
Ed a chi viene detto? O discendenza di Abramo, il suo servo, o figli di Giacobbe, il suo eletto.
Voi che siete la discendenza di Abramo, voi che siete i figli di Giacobbe, ricordate le meraviglie da lui operate, i suoi prodigi ed i giudizi della sua bocca.
Ma ad evitare che uno riferisse questo al solo popolo degli Israeliti secondo la carne, senza invece comprendere che la discendenza di Abramo sono, ben più che i figli della carne, i figli della promessa, - quelli a cui l'Apostolo, parlando ai gentili, dice: Voi dunque siete la discendenza d'Abramo, perché eredi secondo la promessa ( Gal 3,29 ) - il testo prosegue così: Egli stesso è il Signore Dio nostro; in tutta la terra valgono i suoi giudizi.
Questo viene detto anche per bocca di Isaia alla libera Gerusalemme, che è nostra madre: Colui che ti ha liberato è il tuo stesso Dio e sarà chiamato Dio di tutta quanta la terra. ( Is 54,5 )
O forse è soltanto Dio dei Giudei? Non sia mai. ( Rm 3,29 )
Egli stesso è il Signore Dio nostro; in tutta la terra valgono i suoi giudizi, perché in tutta la terra vive la sua Chiesa, che proclama e diffonde i suoi giudizi.
Perché allora in un altro salmo si dice: Egli annunzia la sua parola a Giacobbe, le sue leggi e i suoi giudizi a Israele; ma non fece così con le altre genti, non manifestò loro i suoi giudizi? ( Sal 147,19-20 )
La ragione di queste parole è che si voleva far intendere che una sola è la gente che appartiene alla progenie di Abramo: essa fu appunto chiamata da tutte le genti ed in essa sono comprese tutte le genti, in maniera tale che una sola sia la gente chiamata all'adozione.
A nessuna gente, al di fuori di essa, Dio manifestò i suoi giudizi: evidentemente a quelli che non li credettero non si può dire che tali giudizi furono manifestati, anche se furono loro annunziati.
Se essi non li credono, non potranno assolutamente comprenderli.
Si è ricordato " nel secolo " del suo testamento.
Altri codici scrivono in eterno, e la variante è determinata dall'ambiguità della parola greca.
Ora, se si deve intendere " in questo secolo " e non " in eterno ", perché allora spiegando qual è il testamento, di cui Dio si è ricordato, si aggiunge e si dice: della parola, che egli prescrisse per mille generazioni?
Ed anche se questo può essere inteso come qualcosa che significa fine, c'è da notare tuttavia quel che si dice dopo: dei patto che strinse con Abramo e del giuramento che fece con Isacco; e lo stabilì come precetto per Giacobbe, e per Israele come testamento eterno.
Su questo punto nessuna possibilità di dubbio: il greco ha il termine αίώνιον, che i nostri traduttori hanno costantemente interpretato con eterno; soltanto alcuni in qualche passo hanno reso αίώνιον con eternale.
Non è da escludere, dato che volgarmente αίώνα è tradotto con secolo, che vogliano tradurre αίώνιον non con eterno, ma con secolare; non ricordo però che qualcuno abbia avuto il coraggio di farlo.
Ora, se in questo passo bisogna intendere il Vecchio Testamento a motivo della terra di Canaan, di cui si parla nello sviluppo del discorso ( E lo stabilì come precetto allo " stesso " Giacobbe, ed allo " stesso " Israele come testamento eterno, dicendo: A te darò la terra di Canaan, quale porzione della vostra eredità ), come spiegare il termine eterno, non potendo ovviamente essere eterna una tale eredità terrena?
E si noti che si dice Vecchio Testamento, perché esso viene abolito dal Nuovo.
Quanto poi alle mille generazioni, neppure esse sembrano designare qualcosa di eterno, perché certamente comportano la fine e sono addirittura troppe per delle realtà temporali.
Anche a voler circoscrivere in pochissimi anni la generazione che i Greci chiamano γενεάν e che alcuni hanno ristretto ad un minimo di quindici anni, calcolando l'età in cui ha inizio per l'uomo la possibilità di generare, che cosa sarebbero queste mille generazioni e non soltanto dal tempo di Abramo - quello in cui gli fu fatta questa stessa promessa - fino al tempo del Nuovo Testamento, ma dalla creazione di Adamo fino alla fine del mondo?
Chi oserebbe infatti affermare che questo mondo ha la durata di quindicimila anni?
Non mi sembra perciò verosimile che qui si debba intendere il Vecchio Testamento, di cui il Profeta annunzia l'ineluttabile scomparsa all'apparire del Nuovo: Ecco vengono i giorni - dice il Signore - in cui io stabilirò con la casa di Giacobbe un testamento nuovo; non sarà come il testamento che io feci con i loro padri, quando li trassi fuori dalla terra d'Egitto. ( Ger 31,31-32 )
Si tratta invece del testamento della fede, che l'Apostolo esalta, quando ci propone l'esempio di Abramo e confuta coloro che si gloriano delle opere della Legge, proprio basandosi sul fatto che Abramo credette a Dio anche prima della circoncisione e ciò gli fu imputato a giustizia. ( Gal 3,5-6 )
Infine dopo aver detto: Si è ricordato " nel secolo " del suo testamento, che dobbiamo intendere in eterno, ossia come testamento della giustificazione e dell'eredità eterna, che Dio ha promesso alla fede, il testo aggiunge: della parola, che egli prescrisse per mille generazioni.
Che significa prescrisse? Dicendo infatti: A te darò la terra di Canaan, non dà una prescrizione, ma fa una promessa: la prescrizione si riferisce a qualcosa che dobbiamo compiere, la promessa a qualcosa che dobbiamo ricevere.
Oggetto di una prescrizione è dunque la fede.
Perché il giusto viva per la fede ( Rm 1,17 ), ed è a questa fede che viene promessa l'eredità eterna.
Le mille generazioni dunque, considerata la perfezione del numero, stanno a designare tutte le generazioni, nel senso che, per tutto il tempo in cui una generazione succederà all'altra, vige sempre la prescrizione di viver per la fede.
Tale prescrizione è osservata dal popolo di Dio, dai figli della promessa che vengono e vanno, nel ritmo della nascita e della morte, fino a che ogni generazione avrà termine, e questo è simboleggiato dal numero mille, perché il numero dieci al quadrato fa esattamente cento e questo, moltiplicato per dieci, arriva a mille.
Del patto - continua che strinse con Abramo, e del giuramento che fece con Isacco.
E lo stabilì per Giacobbe, cioè lo diede allo stesso Giacobbe, come precetto.
Sono questi i tre Patriarchi, di cui egli si dice Dio ad un titolo speciale e che il Signore stesso nomina nel Nuovo Testamento, quando dice: Verranno molti dall'Oriente e dall'Occidente e siederanno a mensa con Abramo e Isacco e Giacobbe nel regno dei cieli. ( Mt 8,11 )
Ed è proprio questa l'eredità eterna.
Qui infatti dicendo: Lo stabilì per Giacobbe come precetto, dichiara che si tratta del precetto della fede, non potendo evidentemente chiamare precetto la promessa: nel precetto è compresa l'opera, nella promessa la ricompensa.
Ora il Signore dice: Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato. ( Gv 6,29 )
Perciò la parola che prescrisse, ricordandosi in eterno del suo testamento, in definitiva la parola della fede che noi predichiamo, ( Rm 10,8 ) egli la stabili per Giacobbe come precetto, e per Israele, cioè sempre per lui, come testamento eterno, sicché in compenso dell'adempimento della sua parola e del suo precetto gli avrebbe donato qualcosa di eterno.
Dicendo: A te darò la terra di Canaan, quale porzione della vostra eredità.
Ma si tratterebbe di realtà eterna, se questo non designasse qualcosa di eterno?
Sta di fatto che quella è chiamata anche la terra promessa, la terra che stilla latte e miele: ( Es 3, 8.17 ) tutto ciò significa la grazia che fa gustare quanto è soave il Signore. ( Sal 34,8 )
Non tutti però raggiungono la grazia, perché non di tutti è la fede. ( 2 Ts 3,2 )
Per questo c'è l'aggiunta: quale porzione della vostra eredità; aggiunta che trova riscontro in un altro Salmo, dove, secondo la comune interpretazione, è la progenie di Abramo, cioè il Cristo, che parla e che dice: Le sorti caddero per me in buon terreno: davvero magnifica è l'eredità a me toccata. ( Sal 16,6 )
Perché poi l'eredità sia chiamata " terra di Canaan ", lo chiarisce il significato di questo nome: Canaan significa infatti " umile ".
E se ciò mettiamo in rapporto a quella maledizione, con la quale il santo Noè annunziò proprio a Canaan che sarebbe divenuto il servo dei propri fratelli, ( Gen 9,25 ) allora ne ricaviamo anche il significato di timore servile.
Ora il servo non rimane nella casa in eterno; il figlio invece vi rimane in eterno. ( Gv 8,35 )
Avviene quindi che, scacciato il Cananeo, la terra della promessa resta assegnata alla progenie di Abramo.
Difatti la carità perfetta mette fuori ogni timore ( 1 Gv 4,18 ), onde il figlio rimanga nella casa in eterno.
Per questo sta scritto: E lo stabilì per lo stesso Israele come testamento eterno.
8 - [v 12.] Successivamente il salmo espone per esteso la storia ben nota secondo il racconto verace dei Libri Santi.
Quando erano ancora in numero esiguo, pochissimi e pellegrini in essa, cioè nella terra di Canaan.
Allorché lì abitarono i patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, prima di ricevere quella terra in eredità, erano davvero pochissimi nella loro progenie e vi soggiornavano come pellegrini.
Alcuni codici scrivono paucissimos et incolas, anziché paucissimi et incolae.
Ma è chiaro che coloro che han tradotto il passo così, si sono ispirati letteralmente alla locuzione greca, la quale non può essere resa in latino così com'è, se non con una stonatura che riuscirebbe assolutamente inammissibile.
Difatti se tentassimo di rendere alla lettera l'intera locuzione, dovremmo dire: in eo esse illos numero brevi, paucissimos et incolas in ea.
Ma la costruzione alla greca in eo esse illos in latino si traduce cum essent, ed a questo verbo non può seguire il caso accusativo, ma solo il nominativo.
Non si può insomma dire: cum essent paucissimos; bisogna dire: cum essent paucissimi.
Quando dunque erano esigui di numero, oppure in numero esiguo, pochissimi e pellegrini in essa, passarono da una gente all'altra gente, e da un regno a un popolo diverso.
Quest'ultima espressione è la ripetizione della precedente: da una gente all'altra gente.
Non lasciò, cioè non permise, che alcun uomo nuocesse ad essi.
La locuzione greca è nocere illos, ma quella latina deve essere nocere illis.
E castigò per causa loro i re.
Non toccate - dice - i miei unti, e non fate alcun male contro i miei profeti.
Sono qui riferite le parole di Dio che castigava o rimproverava i re, perché non osassero offendere i santi Patriarchi, quando erano essi esigui di numero e pochissimi e per di più pellegrini nella terra di Canaan.
E bisogna pensare che tali parole, benché non si leggano nei libri della storia suaccennata, siano state dette in segreto, come quando Dio parla con nascoste e veraci visioni al cuore degli uomini, ovvero siano state proferite apertamente per bocca di un Angelo.
Difatti, anche il re di Gerar ed il re degli Egiziani furono ammoniti da Dio perché non nuocessero ad Abramo; ( Gen 12,17-20; Gen 20,3 ) un altro re fu ammonito perché non nuocesse ad Isacco, ( Gen 26,8-11 ) ed altri ancora perché non nocessero a Giacobbe, ( Gen 26,31-33 ) sempre quando erano pochissimi e pellegrini, prima cioè che Giacobbe passasse con i suoi figli in Egitto per abitarvi; fatto questo che appare qui ricordato per le stesse parole usate: Passarono da una gente all'altra e da un regno a un popolo diverso.
Ma poiché veniva in mente di chiedere in che modo quei padri, prima di passare e moltiplicarsi in Egitto, essendo esigui di numero, pochissimi e pellegrini, avessero potuto resistere a lungo in una terra altrui, il salmo continua aggiungendo: Non permise che alcuno nocesse ad essi, e castigò per causa loro i re.
Non toccate i miei unti, e non fate alcun male contro i miei profeti.
Ora può giustamente sorprendere il fatto che essi siano stati chiamati " cristi " o unti, prima che esistesse l'unzione da cui derivò appunto il nome imposto ai re.
L'uso cominciò con Saul, che ebbe David come successore nel regno: dopo di loro, anche gli altri re sia di Giuda che d'Israele, secondo una sacra tradizione ininterrotta, venivano unti.
In tale unzione era prefigurato il vero ed unico Cristo, al quale è detto: Ti ha unto Dio, il tuo Dio con l'olio dell'esultanza a preferenza dei tuoi compagni. ( Sal 45,8 )
Perché dunque quei padri furono chiamati " cristi " fin d'allora?
Che essi fossero profeti, lo troviamo attestato di Abramo, e senza dubbio ciò che è detto esplicitamente di uno deve essere inteso anche per gli altri.
O forse essi furono chiamati " cristi " perché, sia pure in segreto, erano già cristiani?
E difatti, benché la carne di Cristo derivi da loro, Cristo tuttavia è prima di loro: proprio questo egli rispose ai Giudei, quando disse: Prima che Abramo fosse, io sono. ( Gv 8,58 )
D'altra parte, come potevano essi non conoscere Cristo o non credere in lui, se erano chiamati profeti proprio perché preannunciavano, anche se in forma misteriosa e nascosta, il Signore?
Per tale ragione egli stesso afferma chiaramente: Abramo desiderò di vedere il mio giorno: lo vide e ne esultò. ( Gv 8,56 )
Nessuno infatti senza questa fede che fa centro in Gesù Cristo, sia prima che dopo la sua incarnazione, si è riconciliato con Dio.
È una verità questa definita in termini esattissimi dall'Apostolo: C'è infatti un Dio solo, e uno solo è il Mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo uomo. ( 1 Tm 2,5 )
Subito dopo il Salmo comincia a narrare e a spiegare come mai i padri passassero da una gente all'altra gente, e da un regno a un popolo diverso.
E chiamò - dice - la fame sopra la terra, e distrusse tutto il sostentamento del pane.
Mandò dinanzi a loro un uomo, e Giuseppe fu venduto come schiavo.
Furono questi i fatti che provocarono il passaggio da una gente all'altra e da un regno ad un popolo diverso.
Non bisogna peraltro lasciar correre senza un attento esame queste espressioni della Sacra Scrittura.
Si dice anzitutto: Chiamò la fame sopra la terra, come se la fame sia personificata, quasi una specie di corpo animato o di spirito che possa obbedire a chi lo chiama.
La fame è in realtà un flagello derivante dalla mancanza di cibo, e tale da costituire per coloro che la soffrono una specie di malattia.
E difatti come la scomparsa di una malattia si ottiene per lo più mediante la medicina opportuna, così anche la guarigione dalla fame avviene, per così dire, mediante la somministrazione del cibo.
Che significa dunque: Chiamò la fame?
Forse questi malanni, che affliggono gli uomini, hanno assegnati come loro capi degli angeli cattivi, dal momento che anche in un altro Salmo si dice, non certo per errore di giudizio, che Dio colpì gli uomini con l'invio di angeli cattivi? ( Sal 78,49 )
In tal caso chiamò la fame significherebbe che chiamò l'angelo capo della fame, designandolo appunto con il nome della cosa, a cui sarebbe preposto.
Era questa l'opinione per la quale gli antichi Romani elevarono a divinità alcuni di questi fenomeni, come la dea Febbre ed il dio Pallore.
O forse, come appare più verosimile, chiamò la fame, deve essere inteso come: " disse che ci fosse la fame ", e quindi chiamare equivale a denominare, e denominare equivale a dire, e dire equivale a comandare?
In effetti a chiamare la fame fu Colui che chiama le cose che non sono, come quelle che sono.
E si noti che in quel passo l'Apostolo non ha detto: Colui che chiama le cose che non sono, perché siano; ma: come se siano. ( Rm 4,17 )
Ché dinanzi a Dio è già fatto quel che per la sua disposizione dovrà essere fatto; sempre di lui è detto altrove: Colui che ha fatto le cose che dovranno essere. ( Is 45, 11 sec. LXX).
Così qui, quando si ebbe la fame, si dice che fu chiamata perché cioè venisse quella fame che Dio nel suo ordinamento nascosto aveva già stabilita.
Da ultimo, il modo con cui fu chiamata la fame è precisato subito dopo dalle parole: Distrusse tutto il sostentamento del pane.
È questa un'espressione inusitata, in quanto è detto distrusse per significare: fece esaurire.
Mandò dinanzi a loro un uomo. Quale uomo? Giuseppe.
E come lo mandò? Giuseppe fu venduto come schiavo.
Sicuramente quando questo avvenne, ci fu un peccato dei suoi fratelli, eppure Dio mandò Giuseppe in Egitto.
Bisogna dunque considerare in questo avvenimento grande e inevitabile come Dio si serva in bene delle opere cattive degli uomini allo stesso modo che questi, invece, si servono male delle opere buone di Dio.
13 - [vv 18.19.] Il salmista sviluppa poi la narrazione, ricordando le tristi vicende che Giuseppe dovette sopportare nella sua umiliazione, e come fu anche esaltato.
Umiliarono i suoi piedi nei ceppi; il ferro trapassò la sua anima, finché non si compì la sua parola.
Che Giuseppe sia stato legato ai ceppi noi non lo leggiamo, tuttavia non c'è alcun dubbio che ciò sia realmente avvenuto.
È possibile infatti che in quella sua storia furono omessi alcuni particolari, i quali non restarono peraltro nascosti allo Spirito Santo, che parla in questi salmi.
Ed il ferro, di cui si dice che trapassò la sua anima, l'intendiamo come indice della dolorosa tribolazione che dovette subire, poiché si parla non del corpo, ma della sua anima.
Un'espressione di questo genere ricorre infatti nel Vangelo, allorché Simeone disse a Maria: Ecco questi è stato posto per la caduta e per la risurrezione di molti in Israele e come segno di contraddizione; ed a le pure uno spada trapasserà l'anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori. ( Lc 2,34-35 )
Certamente la passione del Signore, la quale fu per molti occasione di rovina e nella quale divennero palesi i segreti profondi di molti cuori, in quanto fu da loro manifestato quel che pensavano del Signore, ferì gravemente la stessa sua Madre, privandola della presenza corporale di lui e senza dubbio la rattristò intimamente.
In quello stato di tribolazione si trovò Giuseppe, finché non si compì la sua parola, con la quale aveva dato un'interpretazione verace dei sogni: per questa ragione fu raccomandato al re, perché anche a lui predicesse il futuro in base ai suoi sogni. ( Gen 41 )
Ma dato che il testo ha detto: finché non si compì la sua parola, perché non intendessimo quel sua in senso assoluto e nessuno pensasse di dover attribuire ad un semplice uomo una cosa sì grande, subito dopo ha aggiunto: il responso del Signore lo infiammò, ovvero - come scrivono altri codici in forma più aderente al greco - il responso del Signore lo infuocò, onde anch'egli fosse annoverato tra coloro ai quali fu detto: Gloriatevi nel suo santo nome. ( Sal 105,3 )
Il responso del Signore lo infuocò.
Giustamente, quando dal Signore fu mandato lo Spirito Santo, apparvero ai discepoli come delle lingue separate di fuoco; ( At 2,3 ) parimenti l'Apostolo dice: Ardenti nello spirito. ( Rm 12,11 )
Da questo fuoco si allontanano coloro dei quali si dice: Si raffredderà la carità di molti. ( Mt 24,12 )
14 - [vv 20-22.] E quindi il testo prosegue: Il re mandò e lo sciolse; il sovrano di popoli mandò e lo liberò.
Il re è quello stesso che è detto sovrano di popoli; egli sciolse chi era stretto nei ceppi e liberò chi era chiuso nel carcere.
Lo costituì padrone della sua casa e signore di tutti i suoi possessi, affinché istruisse i suoi principi come se stesso, ed ai suoi vecchi insegnasse la prudenza.
Il testo greco scrive: Ed ai suoi anziani insegnasse la sapienza.
Il che, in forma del tutto letterale, potrebbe esser reso così: … istruisse i suoi principi come se stesso, e facesse sapienti i suoi anziani.
È usato infatti il termine πρεσβυτέρους che noi siamo soliti chiamare anziani, e non γέροντας , che significa vecchi.
Quanto al verbo σοφίσαι che non può esser tradotto in latino con una sola parola, esso deriva dalla sapienza, detta appunto in greco σοφία e non dalla prudenza, che è invece chiamata φρόνησις.
Ma neppure di questo leggiamo al momento dell'esaltazione di Giuseppe, come non troviamo cenno dei ceppi al momento della sua umiliazione.
Ma come poteva avvenire che un uomo tanto grande, adoratore dell'unico vero Dio, in Egitto dovesse attendere soltanto all'alimentazione dei corpi ed alla direzione dei soli affari temporali, senza preoccuparsi, piuttosto, della cura delle anime, al fine di renderle più buone?
Teniamo presente che in quella storia sono state scritte solo le cose che, secondo il disegno dell'autore in cui operava lo Spirito Santo, furono ritenute sufficienti per simboleggiare nella trama della narrazione gli avvenimenti futuri.
Ed entrò Israele nell'Egitto, e Giacobbe fu ospite nella terra di Cam.
Dire Giacobbe è lo stesso che Israele, e la terra di Cam è lo stesso che dire l'Egitto.
Ora qui è dimostrato in tutta chiarezza che proprio dalla stirpe di Cam, figlio di Noè, il cui primogenito fu Canaan, derivò anche il popolo egiziano.
Pertanto bisogna correggere quei codici che, in questo punto, leggono Canaan.
È poi meglio aver tradotto fu ospite, anziché - come scrivono altri codici - vi abitò: ciò sarebbe lo stesso che dire pellegrino, perché non significa niente di diverso.
Difatti nel greco, a questo punto, ricorre la stessa parola, che è usata nel passo precedente, laddove si dice: Pochissimi e pellegrini in essa. ( Sal 105,12 )
Ora l'abitare come pellegrino o ospite non designa l'indigeno, ma il forestiero.
Ecco in che modo gli Ebrei passarono da una gente all'altra gente, e da un regno a un popolo diverso. ( Sal 105,13 )
Quel che prima era stato brevemente enunciato, viene brevemente spiegato nella narrazione.
Ma si può chiedere giustamente da quale regno essi passarono ad un popolo diverso, stante il fatto che non regnavano ancora nella terra di Canaan, dove non esisteva ancora nessun regno del popolo d'Israele.
In che senso dunque può essere intesa la frase?
Solo nel senso di un'anticipazione, perché in quella terra sarebbe stato costituito il regno dei loro discendenti.
Successivamente sono narrati i fatti accaduti in Egitto.
Ed accrebbe grandemente - si dice - il suo popolo, e lo rese più forte dei suoi nemici.
Anche tutto questo è stato enunciato brevemente, per essere successivamente narrato secondo il modo in cui avvenne.
In realtà, il popolo di Dio non fu reso più forte dei suoi nemici, gli Egiziani, quando i loro bambini maschi venivano messi a morte o quando essi erano oppressi nel fabbricare i mattoni, ma solo quando, sorretti da una mano potente, grazie ai segni e ai portenti del Signore loro Dio, cominciarono ad essere temuti ed onorati, fino a che fu vinta l'ostinazione del Faraone crudele ed il mar Rosso inghiottì il persecutore con tutto il suo esercito.
Perciò, come se noi domandassimo in che modo avvenne quel che è riferito brevemente nella frase: Rese più forte il suo popolo dei suoi nemici, il Salmo comincia a dirlo fino a precisarlo compiutamente nella narrazione.
E convertì il loro cuore, perché odiassero il suo popolo ed usassero l'inganno contro i suoi servi.
Bisognerà forse intendere o credere che Dio convertì il cuore dell'uomo facendogli commettere i peccati?
O non è un peccato, oppure è un peccato leggero, odiare il popolo di Dio ed usare inganno contro i suoi servi?
Chi potrebbe dir questo? Forse dunque l'autore di questi così gravi peccati è Dio, che non può essere concepito come autore di un qualsiasi peccato, neppure il più lieve?
Chi è sapiente ed intenderà queste cose? ( Sal 107,43 )
Ricorre infatti anche qui quella bontà meravigliosa di Dio, per la quale si serve in bene anche dei malvagi, siano essi angeli o uomini.
Nonostante che questi siano per loro colpa malvagi, egli sa ricavare il bene dal loro male.
E quelli non erano buoni prima che odiassero il suo popolo: al contrario, erano tanto empi e maligni da invidiare per facile propensione i loro ospiti nella buona fortuna.
Se Dio dunque moltiplicò il suo popolo, con questo suo beneficio convertì i malvagi che giunsero ad odiare.
L'invidia consiste intatti nell'odio della felicità altrui.
Egli dunque convertì il loro cuore in quanto, per invidioso livore, essi odiarono il suo popolo ed usarono l'inganno contro i suoi servi.
Insomma, non rendendo malvagio il loro cuore, ma facendo del bene al suo popolo, Dio convertì all'odio il loro cuore naturalmente malvagio.
Non è che pervertì il loro cuore retto, ma convertì il loro cuore naturalmente perverso all'odio verso il suo popolo, per ricavare poi da un tal male il bene: non già rendendo malvagi quelli, ma piuttosto elargendo a questi altri dei beni, per cui quei malvagi potevano odiarli con tanta facilità.
In che modo Dio si sia servito di questo loro odio per mettere alla prova il suo popolo e per procurare gloria al suo nome - il che è tanto utile a noi - lo spiegano le parole successive.
Esse vengono ricordate come elementi per la sua lode, quando viene cantato l'Alleluia.
18 - [v 26.] Mandò Mosè, il suo servo, ed Aronne, che egli prescelse in persona.
Poteva essere sufficiente dire: che egli prescelse, ma non bisogna cercare la ragione per cui è stato aggiunto in persona.
È un'espressione propria delle Scritture, come quella che dice: Nella quale abiteranno in essa. ( Nm 13,20; Lv 18, 3 sec. LXX )
Di simili espressioni sono piene le pagine da Dio ispirate.
19 - [v 27.] Pose in essi le parole dei suoi segni e prodigi nella terra di Cam.
Non dobbiamo intendere le parole dei segni e prodigi come parole mediante le quali potevano compiersi segni e prodigi, parole cioè che essi pronunciavano perché si compissero segni e prodigi.
In realtà, molti portenti si compirono senza parole, per esempio con la verga, con la mano distesa, con una favilla lanciata nel cielo.
Ma dato che gli stessi portenti, che si compirono, non erano privi di un loro significato, proprio come le parole che noi pronunciamo, perciò furono anch'essi chiamati parole, fatte non di voci e di suoni, ma di segni e prodigi.
Pose in essi vuol dire: fece per mezzo di essi.
20 - [v 28.] Mandò le tenebre e fece buio.
Anche questo sta scritto come una delle piaghe, da cui furono colpiti gli Egiziani.
Ma il passo che segue è riferito in vario modo dai diversi codici.
Difatti alcuni codici scrivono: E si irritarono per i suoi discorsi, mentre altri scrivono: E non si irritarono per i suoi discorsi.
Tuttavia la forma che ho riferito per prima risulta in maggior numero di codici; quella invece in cui è aggiunta la particella di negazione, ho potuto riscontrarla soltanto in due codici.
Ma nell'eventualità che si sia determinata una corruzione del testo in ragione del senso più facile ( non è forse più facile intendere quel che si è detto: E si irritarono per i suoi discorsi riferendolo alla loro tanto ostinata opposizione? ), abbiamo tentato di dare un'interpretazione accettabile anche all'altra versione.
Quel che in essa si dice: Non si irritarono per i suoi discorsi, può essere applicato a Mosè ed Aronne, in quanto sopportarono con grande pazienza anche i discorsi più duri, finché non si compirono esattamente tutte le cose che Dio aveva stabilito di fare per mezzo di loro.
21 - [vv 29.30.] Convertì le loro acque in sangue, e fece morire i loro pesci.
Diede come loro terra le rane fin nelle stanze segrete degli stessi re.
Questo è come se dicesse: Convertì la loro terra in rane.
Fu tanta infatti la moltitudine delle rane, che appare giusto, che sia fatta, per iperbole, questa affermazione.
22 - [v 31.] Disse, e vennero tafani e zanzare in tutto il loro territorio.
Se ci si domanda quando Dio disse questo, dirò che esisteva nella sua parola prima che avvenisse, e vi esisteva, al di fuori del tempo, in qual tempo doveva avvenire.
Per quanto, in certo modo, lo disse anche allora per mezzo degli Angeli o per mezzo dei suoi servi Mosè ed Aronne, perché avvenisse quando appunto doveva avvenire.
23 - [v 32.] Stabilì come loro pioggia la grandine.
Questa espressione è simile a quella di sopra, in cui è detto: Diede come loro terra le rane, ( Sal 105,30 ) tranne il fatto che, in quel caso, non tutta la terra fu certo convertita in rane, mentre la pioggia poté davvero esser tutta convertita in grandine.
Il fuoco bruciante nella loro terra: si sottintenda stabilì.
24 - [v 33.] E colpì le loro vigne e le loro piante di fichi, e distrusse tutti gli alberi del loro territorio.
Questo avvenne per la violenza della grandine e per i fulmini, onde si è parlato anche di fuoco bruciante. ( Sal 105,32 )
25 - [v 34.] Disse, e vennero locuste e bruchi, in quantità innumerevole.
Locuste e bruchi costituiscono una sola piaga, perché le prime sono le madri e gli altri sono i figli.
26 - [v 35.] E divorarono tutta l'erba nella loro terra, e divorarono tutto il frutto del loro campo.
Anche l'erba è frutto secondo il modo di parlare della Scrittura, la quale chiama erba tutto ciò che producono i campi; ma se si parla qui di due cose, ciò è forse dovuto all'intenzione di farle corrispondere, nel numero, ai due animali, nominati prima, cioè alla locusta e al bruco.
L'intera frase poi tende a creare una varietà di stile, evitando fastidiose impressioni, ma non introduce una diversità di concetti.
E colpì tutti i primogeniti nella loro terra, le primizie di tutto il loro lavoro.
È questa l'ultima delle piaghe, se si eccettua quella della morte nel mar Rosso.
Quanto alle primizie dei loro lavori, ritengo che ciò sia detto in ragione dei primogeniti degli animali.
Essendo poi dieci le piaghe, è chiaro che qui non sono state ricordate tutte né sono esposte secondo l'ordine in cui si legge che avvennero.
Il canto di lode non è infatti vincolato alle leggi di chi narra e compone la storia.
E poiché di questa lode è autore e cantore, per mezzo del profeta, lo Spirito Santo, evidentemente con la stessa autorità con cui fece agire l'uomo che scrisse la storia, egli può ricordare un avvenimento che là non si legge e tralasciarne un altro che invece vi si legge.
Aggiunge poi anche questo fatto alle lodi di Dio: l'aver cioè tratto fuori dall'Egitto gli Israeliti ricchi e carichi d'argento e d'oro, mentre di per sé erano in condizioni tali da non poter disprezzare la giusta e dovuta mercede, anche se temporale, del loro lavoro.
E se essi ingannarono gli Egiziani, chiedendo loro di avere in prestito oro e argento, non per questo si deve pensare che Dio comandi siffatti raggiri o li approvi, quando siano avvenuti, in coloro che hanno il cuore lassù.
Piuttosto da quelle parole di Dio, che certo vedeva nel loro cuore e ne leggeva i desideri, bisogna concludere che fu ad essi permesso, non comandato di far questo.
Ne risultò tuttavia un vantaggio per la loro anima carnale, perché il sopruso lo fecero a coloro che in fondo se lo meritavano, e sottrassero, sia pur con l'inganno, a quegli uomini ingiusti quel che era loro dovuto. In tutto ciò Dio come si servì divinamente dell'ingiustizia degli Egiziani, così si servì della debolezza del suo popolo per prefigurare ed annunciare con questi fatti quel che egli riteneva necessario.
E li trasse fuori nell'argento e nell'oro: è questa un'espressione propria delle Scritture.
Dicendo infatti nell'argento e nell'oro è come se dicesse: "con l'argento e con l'oro ".
E non c'era alcun infermo nelle loro tribù: infermo s'intende nel corpo, non nell'anima.
E fu pure questo un grande beneficio di Dio se, nel momento difficile in cui se ne andavano, non ci fu nessun ammalato tra loro.
Si rallegrò l'Egitto nella loro partenza, perché cadde sopra di essi il timore di loro.
È da intendere il timore degli Ebrei sopra gli Egiziani.
Il timore di loro non è infatti quello per cui temevano gli Ebrei, ma quello per cui erano temuti.
Uno potrebbe chiedere: Perché dunque gli Egiziani non volevano lasciarli partire?
E perché poi li fecero partire quasi che dovessero ritornare?
E perché a questi uomini che l'avevano richiesto prestarono l'oro e l'argento quasi che sarebbero ritornati e l'avrebbero restituito, se si rallegrò l'Egitto nella loro partenza?
Ma bisogna pensare che, dopo l'ultima piaga della morte degli Egiziani, dopo la vasta strage che colpì nel mar Rosso il grande esercito dei persecutori, gli Egiziani rimasti temettero davvero che gli Ebrei avrebbero fatto ritorno ed abbattuto con grande facilità quanto restava di loro.
Allora ebbe compimento quel che sopra, dopo aver detto: Ed accrebbe grandemente il suo popolo, era stato subito aggiunto: E lo rese più forte dei suoi nemici. ( Sal 105,24 )
Proprio per spiegare tale affermazione, enunciata in un solo versetto, per dire come avvenne la cosa, sono stati inseriti gli altri particolari narrati nell'elogio per la rotta nemica, fino al passo presente, in cui si dice: Si rallegrò l'Egitto nella loro partenza, perché cadde sopra di essi il timore di loro.
È come la determinazione di ciò che prima era stato enunciato: Dio rese il suo popolo più forte dei suoi nemici.
Per tale ragione si passa ora a dire quali benefici divini furono fatti agli Ebrei, incamminati sulla via del deserto: Distese una nube a loro protezione, ed un fuoco perché brillasse per loro durante la notte.
Sono fatti questi tanto chiari quanto conosciuti.
31 - [v 40.] Essi chiesero, e vennero le quaglie.
Non desiderarono avere le quaglie, ma la carne.
Ma poiché anche la quaglia è carne, ed in questo Salmo non si parla dell'irritazione provocata da coloro nei quali non trova Dio il suo compiacimento, ma della fede degli eletti, che costituiscono la vera discendenza di Abramo, bisogna pensare che furono questi a chieder che venisse la carne per spegnere la mormorazione di quegli amari provocatori.
Nella parte del versetto che segue: E li saziò con il pane del cielo, per la verità non è nominata la manna, ma pure non rimane nascosta a chi legge una tale frase.
32 - [v 41.] Spezzò la roccia, e ne sgorgarono le acque; scorsero i fiumi nelle zone aride.
Anche questo fatto si comprende immediatamente, non appena si legge.
33 - [vv 42-44.] Ora con tutti questi suoi benefici Dio dimostra di apprezzare in Abramo il merito della fede.
Il testo infatti continua dicendo: Perché si ricordò della sua santa parola, che rivolse ad Abramo, suo servo.
E trasse fuori il suo popolo nell'esultanza, ed i suoi eletti nella letizia.
Si noti la doppia ripetizione, perché dire il suo popolo corrisponde ai suoi eletti, e dire nell'esultanza corrisponde a nella letizia.
E diede a loro le regioni delle genti, e possedettero i lavori dei popoli.
Anche qui le regioni delle genti sono la stessa cosa che i lavori dei popoli, e l'aver detto: diede loro è stato ripetuto con possedettero.
E come se noi chiedessimo per quale scopo più alto furono dati questi benefici e perché non avessimo a considerare sommo bene questa fortunata abbondanza di beni temporali donata al popolo di Dio, subito dopo una tale abbondanza viene riferita ad un altro piano, a quello cioè in cui bisogna cercare il sommo bene: perché custodiscano - si dice - le sue prescrizioni e ricerchino la sua legge.
In questo è da intendere che i servi di Dio ed i figli eletti della promessa, i quali sono la vera ed autentica discendenza di Abramo in quanto imitano la fede di Abramo, ricevono da Dio questi beni terreni non per darsi con essi alla dissoluzione ed al lusso né per intorpidire in una colpevole sicurezza; ma che li possiedono tutti come la misericordia divina li ha loro preparati, mentre cercandoli dovrebbero impegnarsi in gravissime fatiche, per attendere quindi in piena libertà al modo di acquistare il bene eterno, vale a dire: perché custodiscano le sue prescrizioni, e ricerchino la sua legge.
Da ultimo, si noti che il testo, dicendo discendenza di Abramo, vuole intendere quelli che furono veramente della discendenza di Abramo, quali non mancarono certo in mezzo a quel popolo, come ci indica abbastanza chiaramente anche l'apostolo Paolo, quando dice: Ma non in tutti loro Dio trovò il suo compiacimento. ( 1 Cor 10,5 )
Infatti se non in tutti lo trovò, ci furono senz'altro alcuni tra loro, nei quali Dio trovò il suo compiacimento.
Poiché dunque questo salmo esalta tali uomini, non si dice qui nulla delle iniquità e delle irritazioni e dell'amarezza provocata da coloro nei quali Dio non trovò alcun compiacimento.
Ma poiché pure agli iniqui si è rivelata non solo la giustizia, ma anche la misericordia di Dio onnipotente e clemente, di essi parla il salmo seguente, nel cantare le lodi di Dio.
Comunque gli uni e gli altri coesistettero in mezzo al medesimo popolo, né quelli riuscirono a corrompere questi con l'influsso pernicioso delle loro iniquità.
Difatti conosce il Signore quelli che sono suoi; e se in questo mondo non può stare lontano dagli ingiusti, deve stare lontano dall'ingiustizia chiunque invoca il nome del Signore. ( 2 Tm 2,19 )
Ed allora quasi a sottolineare nel corpo di questo salmo quello che è lo spirito che vi sta in qualche modo nascosto, e quindi per cogliere attraverso le parole esteriori quella che è la sua interiore significazione, mi sembra che qui venga esortata la discendenza di Abramo, costituita da tutti i figli della promessa ai quali spetta l'eredità eterna dell'eterno testamento.
Sono essi esortati perché, come propria eredità, si scelgano Dio e disinteressatamente l'adorino, cioè per se stesso e non per un qualche vantaggio o compenso che sia fuori di lui; e ciò facciano lodandolo, invocandolo, annunziandolo, e non per la loro gloria, ma per la sua; operando bene mediante la fede, godendo per la speranza ed ardendo per la carità. ( Rm 12,11-12 )
Tutto questo risuona già nei primi versetti: Celebrate il Signore, ed invocate il suo nome; annunziate tra le genti le sue opere.
A lui cantate ed a lui inneggiate; narrate tutte le sue meraviglie.
Gloriatevi nel suo santo nome; si allieti il cuore di quanti cercano il Signore.
Cercate il Signore, e confortatevi; cercate sempre la sua faccia. ( Sal 105,1-4 )
36 - Successivamente, per nutrire il cuore dei piccoli, per rafforzarli nella fede, vengono proposti, attinti dalla vita dei Patriarchi, alcuni esempi sia della loro fede sia della promessa di Dio, affinché noi, imitandoli e sperando, possiamo essere la loro discendenza: non quelli solo che appartengono al popolo ebraico, ma quanti, in tutta la terra, ricevono una tale grazia.
E tutto questo è contenuto nei versetti che seguono: Ricordate le meraviglie da lui operate, i suoi prodigi ed i giudizi della sua bocca.
O discendenza di Abramo, il suo servo, o figli di Giacobbe, il suo eletto.
Egli stesso è il Signore Dio nostro; in tutta la terra valgono i suoi giudizi.
Si è ricordato nel secolo del suo testamento, della parola che egli prescrisse per mille generazioni.
Del patto che strinse con Abramo, e del giuramento che fece con Isacco; e lo stabilì come precetto per Giacobbe, e per Israele come testamento eterno, dicendo: A te darò la terra di Canaan, quale porzione della vostra eredità. ( Sal 105,5-11 )
E circa tutte queste cose ho già esposto, secondo la mia capacità, in che senso dovevano essere intese.
Ma qui ad un'anima dalla debole fede si presentava un interrogativo: Se dunque Dio deve essere adorato disinteressatamente, se solo lui, quale eredità dell'eterno testamento, deve essere per se stesso ricercato, allora non abbandona forse, pur nell'accresciuta grandezza della sua misericordia, la vita mortale di quelli che lo cercano e le loro necessità temporali?
No: ascoltate attentamente ciò che egli ha dato ai nostri padri, e mi riferisco sia a quelli che ha stabilito come modello di fede, sia a quelli che, nati dalla loro carne, ne hanno anche imitato la fede.
Quando erano esigui di numero, pochissimi e pellegrini in essa, cioè nella terra di Canaan.
E passarono da una gente all'altra e da un regno ad un popolo diverso.
Non lasciò che alcun uomo nocesse ad essi, e colpì per causa loro i re.
Non toccate i miei unti, e non fate alcun male contro i miei profeti. ( Sal 105,12-15 )
38 - Se poi voi chiedete come essi passarono da una gente all'altra, e da un regno ad un popolo diverso, state a sentire: E chiamò la fame sopra la terra, distrusse tutto il sostentamento del pane.
Mandò innanzi a loro un uomo, e Giuseppe fu venduto come schiavo.
Umiliarono i suoi piedi nei ceppi; il ferro trapassò la sua anima, finché non si compì la sua parola.
Il responso del Signore lo infuocò: il re mandò e lo sciolse, il sovrano di popoli mandò e lo liberò.
Lo costituì padrone della sua casa, e signore di tutti i suoi possessi.
Affinché istruisse i suoi principi come se stesso, ed ai suoi vecchi insegnasse la prudenza.
Ed entrò Israele nell'Egitto, e Giacobbe fu ospite nella terra di Cam. ( Sal 105,16-23 )
Ecco come essi trapassarono da una gente all'altra, e da un regno ad un popolo diverso.
39 - Ed accrebbe grandemente il suo popolo, e lo rese più forte dei suoi nemici. ( Sal 105,24 )
Se poi voi volete sapere come Dio lo rese più forte dei suoi nemici, state a sentire: Convertì il loro cuore, perché odiassero il suo popolo ed usassero l'inganno contro i suoi servi.
Mandò Mosè, il suo servo, Aronne, che egli prescelse in persona.
Pose in essi le parole dei suoi segni e prodigi nella terra di Cam.
Mandò le tenebre e fece buio, e si irritarono per i suoi discorsi.
Convertì le loro acque in sangue, e fece morire i loro pesci.
Diede come loro terra le rane fin nelle stanze segrete degli stessi re.
Disse e vennero tafani e zanzare in tutto il loro territorio.
Stabilì come loro pioggia la grandine, il fuoco bruciante nella loro terra.
E colpì le loro vigne e le loro piante di fichi, e distrusse tutti gli alberi del loro territorio.
Disse, e vennero locuste e bruchi, in quantità innumerevole.
E divorarono tutta l'erba nella loro terra, e divorarono tutto il frutto del loro campo.
E colpì tutti i primogeniti nella loro terra, le primizie di tutto il loro lavoro.
E li trasse fuori nell'argento e nell'oro, e non c'era nessun infermo nelle loro tribù.
Si rallegrò l'Egitto nella loro partenza, perché cadde sopra essi il timore di loro. ( Sal 105,25-38 )
Ecco come Dio rese il suo popolo più forte dei suoi nemici.
Ma dopo che la divina giustizia ebbe inflitto questi mali ai loro nemici, sentite ora quali beni anche temporali elargì a loro stessi la sua misericordia: Distese una nube a loro protezione, ed un fuoco perché brillasse per loro durante la notte.
Essi chiesero, e vennero le quaglie, e li saziò con il pane del cielo.
Spezzò la roccia, e ne sgorgarono le acque; scorsero i fiumi nelle zone aride.
Perché si ricordò della sua santa parola, che rivolse ad Abramo, suo servo.
E trasse fuori il suo popolo nell'esultanza, ed i suoi eletti nella letizia.
E diede a loro le regioni delle genti, e possedettero i lavori dei popoli. ( Sal 105,39-44 )
Dio agisce così, non perché l'adorino a motivo di questi beni, ma perché anche questi riferiscano e trasformino nei beni eterni, cioè perché custodiscano le sue prescrizioni, e ricerchino la sua legge. ( Sal 105,45 )
Perciò tutti gli altri beni donati da Dio, devono essere riferiti al culto disinteressato di lui, ma questo stesso culto non dev'essere riferito a siffatti beni donati da Dio: allora sarà veramente disinteressato.
A questo combattimento il nemico incitava quando osò dire a Dio: Forse che Giobbe adora Dio disinteressatamente? ( Gb 1,9 )
Orbene, se Giuseppe venduto come schiavo, prima umiliato e poi esaltato, preparò e procurò quei beni temporali al popolo di Dio, che divenne più forte dei suoi stessi nemici, quanto più Gesù, prima venduto ed umiliato dai suoi fratelli secondo la carne e poi esaltato nei cieli, prepara e procura i beni eterni al popolo di Dio, che trionfa del diavolo e dei suoi angeli?
Ascolta dunque, o discendenza di Abramo, tu che non ti glori di aver la sua carne, ma ne imiti la fede; ascoltate, o servi di Dio ed eletti di Dio, voi che possedete la promessa della vita presente e di quella futura. ( 1 Tm 4,8 )
Se in questo mondo sono violente le tentazioni cui andate incontro, pensate a Giuseppe nel carcere e a Gesù sulla croce.
Se invece è a vostra portata di mano la prosperità delle cose temporali, non servite Dio a motivo di essa, ma di essa servitevi per elevarvi a Dio; e non pensate che egli è adorato dai suoi fedeli a motivo di queste cose necessarie alla vita presente, di cui fa dono anche a chi lo bestemmia, ma cercate prima di tutto il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta. ( Mt 6,33 )
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