Lettere |
Scritta tra il 403 e il 404.
Girolamo risponde alle questioni di Agostino proposte nelle lettere 28, 40 e 71 sul titolo della sua opera ( n. 1-3 ), sul rimprovero di Paolo a Pietro ( n. 4-18 ), sulla traduzione dell'Antico Testamento ( n. 19-21 ) e sul termine edera, difendendo energicamente le sue interpretazioni contro Agostino ( n. 22 ).
Girolamo saluta in Cristo il veramente santo e beatissimo Vescovo Agostino
Per mezzo del diacono Cipriano ho ricevuto in una sola volta tre lettere, o meglio tre brevi opuscoli della tua Eccellenza, contenenti diversi quesiti ( così li chiami tu ) mentre a mio parere sono critiche dei miei opuscoli.
Se volessi dare ad essi una risposta, questa assumerebbe necessariamente le dimensioni di un libro.
Mi sforzerò, tuttavia, per quanto mi sarà possibile, di non oltrepassare la misura d'una lettera, anche se un po' lunga, e non essere cagione di ritardo al fratello che ha premura di partire.
Egli mi ha chiesto la lettera solo tre giorni prima della data stabilita per la partenza; mi vedo in tal modo costretto a sciorinare, così su due piedi, delle risposte disordinate, senza la ponderazione di chi scrive, anzi con l'avventatezza di chi detta all'improvviso: cosa che per lo più approda a un'esposizione condotta non in maniera scientifica ma a caso.
Lo stesso succede ai soldati quando vengono sconvolti da combattimenti improvvisi: per quanto valorosi, sono costretti allora a darsi alla fuga prima che possano impugnare le armi.
Del resto, la nostra armatura è Cristo: è il sistema dell'Apostolo che agli Efesini scrive: Impugnate le armi di Dio, per poter resistere nel giorno del male; ( Ef 6,13 ) e ancora: In piedi, con i fianchi cinti della verità, indossando la corazza della giustizia e coi piedi calzati per essere pronti ad annunziare il Vangelo di pace.
Ma soprattutto impugnate lo scudo della fede, con cui possiate estinguere le frecce infocate del maligno e prendete pure l'elmo della salvezza e la spada dello Spirito, cioè la parola di Dio. ( Ef 6,17 )
Di queste armi s'era munito il re David un giorno per andare in battaglia.
Dopo aver raccolte dal torrente cinque pietre ben levigate dimostrò che pure tra i torbidi flutti di questo mondo conservava il cuore scevro di sozzi e bassi sentimenti e bevendo dal torrente per via e perciò andando a testa alta ( Sal 110,7 ) contro quel mostro di superbia ch'era Golia, ne troncò la testa e ( particolare molto significativo ) proprio con la spada di lui, percuotendo nella fronte il bestemmiatore ( 1 Sam 17,40-51 ) e colpendolo in quella parte del corpo in cui fu colpito dalla lebbra pure Ozia per aver usurpato con presunzione le funzioni sacerdotali, ( 2 Cr 26,19 ) in quella parte del corpo di cui il santo si gloria nel Signore allorché dice: È rimasta su di noi una traccia della luce del tuo volto, o Signore. ( Sal 4,7 )
E allora diciamo anche noi: Pronto è il mio cuore, o Dio, pronto è il mio cuore; canterò, salmodierò nella mia gloria.
Destatevi, o salterio e cetra; m'alzerò ai primi albori, ( Sal 57,8s; Sal 108,2s ) affinché anche per noi possa avverarsi la parola di Dio: Apri la tua bocca e io la riempirò, ( Sal 81,11 ) come pure quest'altra: Il Signore suggerirà la parola a coloro che annunciano la buona novella con gran forza. ( Sal 68,12 )
Tu pure preghi - non ne dubito - affinché tra noi, intenti a discutere, trionfi la verità; poiché tu non cerchi la tua gloria ( Gv 7,18 ) ma quella di Cristo.
Nel caso che sia tu a vincere, sarò vincitore anch'io qualora mi renderò conto del mio errore; ma pure nell'ipotesi contraria, se sarò io a vincere, sarai vincitore anche tu, poiché non sono i figli ad accumulare ricchezze per i genitori, ma i genitori per i figli. ( 2 Cor 12,14 )
Nel libro dei Paralipomeni, inoltre, leggiamo che i figli d'Israele s'avviarono a combattere con intenzioni pacifiche, ( 1 Cr 12,18 ) perché pur tra le spade e lo scorrere del sangue e tra i cadaveri dei caduti si preoccupavano non tanto della propria vittoria quanto piuttosto di quella della pace.
Cerchiamo dunque di dare una risposta a tutti i quesiti e di risolvere con una esposizione sintetica - se Cristo vorrà - i molteplici problemi.
Lascio da parte i saluti e le espressioni di stima con cui mi accarezzi la testa e le espressioni lusinghiere con cui ti sforzi di addolcire la critica che fai della mia opera.
Ma vengo senz'altro ai punti essenziali della discussione.
Dici d'aver avuto da parte d'un fratello un mio libro mancante di titolo, nel quale passerei in rassegna gli scrittori ecclesiastici sia Greci che Latini.
Avendo tu chiesto a quello - riferisco le tue parole - perché mancasse il titolo sul frontespizio o con qual titolo venisse indicato, ti avrebbe risposto che si chiamava " Epitaffio ".
Tu allora fai questo ragionamento: Un simile titolo sarebbe appropriato, se vi si leggessero unicamente le biografie o le opere di personaggi già defunti; ma, siccome vi sono ricordati gli scritti di molti autori viventi al tempo in cui componevo quell'opera e che sono ancor vivi, ti pare strano che io abbia potuto darle quel titolo.
Penso che tu, intelligente come sei, capisca che il titolo può arguirsi dal contenuto stesso dell'opera.
Poiché hai letto gli autori Latini e Greci che scrissero la vita degl'illustri personaggi, sai pure che non hanno mai intitolato " Epitaffio " quelle loro opere, ma le hanno intitolate " Degli illustri personaggi ", come sono per esempio i capitani, i filosofi, gli oratori, gli storiografi, i poeti, gli epici, i tragici, i comici; mentre un epitaffio, a rigor di termini, lo si scrive solo per i morti, come ricordo d'aver fatto io stesso tempo addietro in occasione del prete Nepoziano, di santa memoria.
Per conseguenza quel libro deve portare il titolo " Degli illustri personaggi " o più propriamente " Degli scrittori ecclesiastici ", sebbene alcuni correttori ignoranti dicano abbia per titolo " Degli autori ".
In secondo luogo mi chiedi perché nei Commentari sulla Lettera ai Galati ho detto che Paolo non ha potuto riprendere Pietro per un fatto compiuto pure da lui stesso, cioè riprendere un altro di simulazione, di cui egli stesso era colpevole. ( Gal 2,11 )
Tu invece sostieni che il rimprovero dell'Apostolo non fu finto, ma autentico e che perciò io non dovrei insegnare che lì si tratta di menzogna, ma che tutto ciò che sta scritto nella Bibbia dev'essere inteso come sta scritto.
Rispondo: anzitutto la tua Prudenza avrebbe dovuto tener presente la breve prefazione premessa ai miei Commentari, dove, parlando di me stesso, dico: " E che? Sarei dunque si sciocco e temerario, da promettere una cosa che egli stesso non poté mantenere? Niente affatto!
Mi pare anzi d'essere stato tanto più cauto e riservato in quanto, consapevole delle mie deboli forze, mi sono attenuto ai Commentari d'Origene ".
Quell'illustre esegeta compose appunto ben cinque volumi a commento della lettera di Paolo ai Galati e concluse il decimo libro del suoi Stromati con un'esposizione sommaria del suddetto commento, ed inoltre compose vari trattati ed estratti che sarebbero, anche da soli, esaurienti.
Passo sotto silenzio Didimo, il mio veggente e il Laodiceno, recentemente uscito dalla Chiesa, e il vecchio eretico Alessandro Eusebio di Emesa e Teodoro di Eraclea, i quali pure ci lasciarono dei Commentari sullo stesso soggetto.
Se raccogliessi insieme, anche solo dei passi scelti da tali opere, compilerei un'antologia tutt'altro che disprezzabile.
E, a dirtela schiettamente, le ho lette tutte e, dopo essermi riempito la testa di moltissime delle loro idee, fatto venire il mio stenografo, mi sono messo a dettare: erano pensieri sia miei che di altri, dei quali talora non ricordavo né il piano dell'opera né le parole, anzi spesso neppure i concetti.
È pur tuttavia già un dono della divina misericordia, che, malgrado la mia incapacità, non sia andato perduto quel che di buono è stato detto dagli altri e che gli stranieri non provino fastidio per ciò che piace ai loro compatrioti.
Se perciò qualche punto della mia spiegazione t'era parso meritevole d'essere criticato, avresti dovuto, con la cultura che possiedi, far delle ricerche per vedere se quel che ho scritto si trovava negli esegeti Greci e, solo nel caso che non l'avessero già detto essi, avresti dovuto condannare la mia opinione come personale.
Tanto più che nella prefazione ho confessato apertamente d'aver seguito i Commentari di Origene e d'aver dettato idee non solo mie ma pure di altri.
Anzi, alla fine del capitolo da te censurato, avevo pure scritto: " Se a qualcuno non garba la mia spiegazione, che cioè Pietro non ha commesso colpa né Paolo s'è mostrato insolente nel biasimare chi era superiore a lui, dovrà spiegarmi con quale logica Paolo biasimerebbe un altro d'una cosa fatta da lui stesso".
Con ciò ho voluto mettere in rilievo che non difendevo come dimostrata la spiegazione che avevo letto negli esegeti Greci, ma solo che avevo esposto le idee che avevo lette, lasciando al giudizio del lettore se fossero da approvare o da disapprovare.
Tu, invece di rispondere a queste mie precise domande, hai escogitato un nuovo argomento, asserendo che i Gentili, i quali avevano creduto in Cristo, erano stati liberati dal giogo della Legge, mentre i Cristiani provenienti dal Giudaismo erano ancora soggetti alla Legge.
Come rappresentante perciò d'una delle due categorie, Paolo aveva ragione di biasimare quelli che osservavano la Legge, in quanto egli era il maestro dei Gentili, mentre Pietro rappresentante dell'altra, fu giustamente biasimato in quanto, come capo dei Cristiani provenienti dalla circoncisione, ( Gal 2,8 ) imponeva ai Gentili pratiche che avrebbero dovuto osservare solo i Cristiani provenienti dal Giudaismo.
Se la pensi così, che cioè tutti i Giudei che si convertono alla fede cristiana, sono in dovere d'osservare la Legge, ( Gal 5,3 ) tu che sei un vescovo notissimo in tutto il mondo, dovresti promulgare questa tua opinione ed indurre tutti i vescovi ad abbracciarla.
Io invece, confinato in questo misero tugurio insieme ai miei monaci, vale a dire con peccatori come me, non osando pronunciare una precisa opinione su questioni tanto difficili, dichiaro schiettamente che leggo le opere degli autori che mi hanno preceduto e che nei miei Commentari registro - secondo l'usanza generalmente seguita - le varie spiegazioni in modo che ciascuno possa seguire quella da lui preferita.
Penso che tu pure segui e approvi questo metodo di leggere le opere della letteratura profana e della sacra Scrittura.
Ora, il primo a seguire la mia spiegazione fu Origene nel suo decimo libro degli Stromati - dove commenta la lettera di Paolo ai Galati - e dopo di lui l'hanno seguita tutti gli altri esegeti.
Il motivo principale per cui essi l'hanno avanzata era quello di dare una risposta alla
bestemmia di Porfirio, il quale accusa Paolo d'impudenza per aver osato riprendere Pietro, il capo degli
Apostoli, per avergli
lanciato un'accusa proprio in faccia e per averlo costretto a riconoscere d'aver
agito male, cioè d'esser caduto nello stesso errore in cui era caduto anch'egli, che accusava l'altro di
peccare.
Che dire di Giovanni, che or non è molto governava da vescovo la Chiesa di Costantinopoli?
Proprio sul capitolo in questione ha composto un'opera voluminosa, in cui s'è attenuto alle idee di Origene e degli Antichi.
Se quindi m'incolpi di sbagliare, lasciami, per favore, sbagliare con autori di tale levatura: e se ti renderai conto che sono in compagnia di molti che hanno sbagliato come me, avrai tu il dovere di presentarmi almeno uno che sostenga la tesi da te ritenuta vera.
Ciò che ho detto concerne l'esegesi d'un solo capitolo della Lettera ai Galati.
Ma per non darti l'impressione ch'io m'opponga alla tua tesi facendo leva sul numero dei testimoni a mio discarico e che col pretesto degl'illustri personaggi non voglia affrontare la verità né misurarmi con te, ti sottoporrò alcuni brevi esempi tratti dagli Atti degli Apostoli.
A Pietro giunse una voce che diceva: Alzati Pietro, uccidi e mangia, cioè la carne di tutti gli animali, ossia dei quadrupedi e dei serpenti della terra e dei volatili dell'aria. ( At 10,13 )
Quest'ordine dimostra che nessun uomo è per natura immondo, ma che tutti senza distinzione sono chiamati al Vangelo di Cristo.
Pietro allora rispose: Dio me ne guardi! Non ho mai mangiato cibi profani o immondi.
Ma gli si fece sentire di nuovo la voce che diceva: Non chiamare profano ciò che Dio ha reso puro. ( At 10,14s )
Andò quindi a Cesarea ed entrato nella casa di Cornelio, aprendo la bocca disse: Riconosco che effettivamente Dio non è parziale verso nessuno, ma che in tutti i popoli gli è gradito chi lo teme e pratica la giustizia. ( At 10,34s )
Scese poi su di essi lo Spirito Santo: i credenti che provenivano dalla circoncisione e che avevano accompagnato Pietro, rimasero stupiti nel vedere come la grazia dello Spirito Santo s'era effusa pure su i Gentili …
Pietro allora soggiunse: Ci è forse lecito rifiutare l'acqua del battesimo a costoro che hanno ricevuto lo Spirito Santo al pari di noi?
E ordinò che venissero battezzati nel nome di Gesù Cristo.
Gli Apostoli poi e i fratelli che si trovavano nella Giudea vennero a sapere che anche i Gentili avevano ricevuto la parola di Dio.
Quando però Pietro risalì a Gerusalemme, i convertiti dalla circoncisione cominciarono a muovergli dei rimproveri dicendo: Perché mai sei entrato in casa di persone incirconcise e hai mangiato con esse? ( At 10,44-11,3 )
Dopo aver esposto loro tutti i motivi del suo agire, alla fine concluse il suo discorso con queste parole: Se dunque Dio ha concesso loro la medesima grazia che a noi, i quali abbiamo creduto nel Signore Gesù Cristo, chi mai ero io da oppormi a Dio?
A queste parole si calmarono e resero gloria a Dio dicendo: Dunque, Dio ha concesso anche ai Gentili di ravvedersi perché abbiano la vita. ( At 11,17s )
Un'altra volta, molto tempo dopo, essendo Paolo e Barnaba andati ad Antiochia, radunata l'assemblea dei Cristiani, riferirono tutte le cose che Dio aveva compiuto per mezzo di loro e come aveva aperto ai Gentili la porta della Fede. ( At 14,26 )
Ora, alcuni che venivano dalla Giudea andavano insegnando ai fratelli questa dottrina: Se non vi farete circoncidere secondo il rito di Mosè, non potrete esser salvi.
Scoppiò allora una sedizione piuttosto grave contro Paolo e Barnaba.
Decisero perciò di recarsi, sia gli accusati che gli accusatori, a Gerusalemme dagli Apostoli e dai Seniori, per dirimere la controversia …
Erano appena giunti a Gerusalemme, … che insorsero alcuni della setta dei Farisei, che avevano creduto in Cristo dicendo: È necessario che vengano circoncisi pure i Gentili e imporre loro d'osservare la Legge di Mosè.
Dopo una lunga discussione su tale questione, Pietro con l'abituale sua franchezza: Fratelli, disse, vi è noto che fin dai primi tempi Dio scelse me tra voi perché dalla mia bocca i Gentili ascoltassero la parola del Vangelo e credessero; e Dio, che conosce i cuori, ha reso loro testimonianza dando loro lo Spirito Santo come a noi, senza fare alcuna, distinzione tra noi e loro, rendendo i loro cuori puri mediante la fede.
Allora, perché mai volete provocare la pazienza di Dio con l'imporre sul collo dei Discepoli un giogo che né i nostri Padri né noi siamo riusciti a portare?
Ora noi crediamo che la nostra, come la loro salvezza, viene dalla grazia del Signor nostro Gesù Cristo.
Tutta l'assemblea rimase in silenzio 22, ( At 15,1.2.4s.7.12 ) e l'apostolo Giacomo e tutti i Seniori approvarono il suo parere.
Queste citazioni non devono infastidire il lettore, ma essere utili sia a lui che a me per provare che, prima ancora dell'apostolo Paolo, Pietro non ignorava la norma presa in una decisione, di cui egli era stato l'autore principale, per cui la Legge dopo il Vangelo non obbligava più all'osservanza.
Insomma Pietro era investito di tanta autorità che Paolo in una sua lettera scrisse: In seguito, tre anni dopo, salii a Gerusalemme per incontrarmi con Pietro e rimasi con lui quindici giorni; ( Gal 1,18 ) e ancora nei versetti seguenti: Quattordici anni dopo salii di nuovo a Gerusalemme insieme a Barnaba conducendo con me pure Tito.
Vi salii in seguito a una rivelazione ed esposi a quei fedeli il Vangelo che predico ai Gentili. ( Gal 2,1s )
Con ciò fa vedere chiaramente ch'egli non si sentiva sicuro della sua predicazione del Vangelo, se non si fosse sentito sostenuto della conferma di Pietro e degli altri che erano con lui.
E subito soggiunse: A parte poi lo esposi a quelli ch'erano tenuti in particolare reputazione per sapere se correvo o avevo corso invano. ( Gal 2,2 )
Perché mai a parte e non in pubblico?
Per evitare che nascesse lo scandalo a danno della fede per i fedeli convertitisi dal Giudaismo, i quali credevano che ci fosse ancora l'obbligo d'osservare la Legge come presupposto della Fede nel Signore e Salvatore.
Così pure dovette dunque accadere quando Pietro andò ad Antiochia ( sebbene gli Atti degli Apostoli non lo riferiscano, si deve crederlo per l'affermazione di Paolo ); Paolo infatti scrive che si oppose a lui apertamente, perché era degno di biasimo.
Infatti prima che arrivassero alcune persone da parte di Giacomo, Pietro mangiava con i Gentili, mentre dopo l'arrivo di quelle li evitava e se ne stava in disparte per timore dei fedeli provenienti dal Giudaismo.
Tutti gli altri Giudei agirono in modo corrispondente, tanto che perfino Barnaba si lasciò trascinare a simulare come loro.
Ma quando mi accorsi - soggiunge Paolo - che non si comportavano rettamente secondo la verità del Vangelo, in presenza di tutti apostrofai Pietro: Se tu, che sei Giudeo, vivi da pagano e non da Giudeo, come mai costringi i pagani a vivere alla maniera dei Giudei? ( Gal 2,11.14 ) ecc.
Nessuno dunque può mettere in dubbio che sia stato Pietro il primo autore di questa norma, che ora viene accusato di trasgredire.
Ora la causa di queste trasgressioni fu solo il timore dei Giudei.
La Scrittura infatti dice che dapprima mangiava con i Gentili, mentre, dopo l'arrivo di alcune persone da parte di Giacomo, li evitava e stava in disparte, perché temeva i fedeli convertitisi dal Giudaismo. ( Gal 2,12 )
Perché mai Pietro ha paura dei Giudei di cui era l'Apostolo?
Non voleva che prendessero pretesto dai Gentili per allontanarsi dalla fede di Cristo, non voleva cioè, da imitatore del Buon Pastore, perdere il gregge a lui affidato.
Pietro dunque, come ho dimostrato, era ortodosso nel giudicare abolita la Legge mosaica, ma fu il timore a spingerlo a praticarla con finzione.
Vediamo ora se Paolo, che incolpa un altro, ha agito quasi allo stesso modo.
Ecco cosa leggiamo sempre nel medesimo libro: Paolo percorreva la Siria e la Cilicia confermando le Chiese.
Giunse così a Derbe e a Listri, dove incontrò un discepolo chiamato Timoteo, figlio di una Giudea convertita e di padre pagano.
I fratelli abitanti a Listri e ad Iconio gli rendevano buona testimonianza.
Paolo volle che partisse con lui e, presolo con sé, lo fece circoncidere per riguardo dei Giudei abitanti in quei luoghi, poiché tutti sapevano che suo padre era pagano. ( At 15,41-16,3 )
O beato apostolo Paolo! proprio tu che avevi biasimato la simulazione in Pietro perché s'era tenuto in disparte dai Gentili, in quanto temeva i Giudei venuti da parte di Giacomo, come mai sei costretto, contrariamente al tuo insegnamento, a far circoncidere Timoteo, figlio di padre pagano, e naturalmente anch'egli pagano, poiché non poteva essere giudeo, dacché non era stato circonciso?
Mi risponderai: "L'ho fatto per paura dei Giudei stanziati in quel paese ".
Ebbene, se ti credi scusato per aver fatto circoncidere un discepolo proveniente dal paganesimo, scusa pure Pietro, tuo predecessore in una colpa commessa per paura dei Giudei.
In un altro passo sta scritto: Dopo essersi trattenuto [ a Corinto ] ancora molti giorni, salutati i fratelli, Paolo s'imbarcò alla volta della Siria insieme a Priscilla ed Aquila; a Cencre si fece rasare i capelli perché aveva fatto un voto. ( At 18,18 )
Va bene che nel primo caso Paolo sia stato costretto a compiere un'azione da lui non voluta; perché mai nel caso presente s'era fatto crescere i capelli in base a un voto fatto e poi se li era fatti rasare a Cencre secondo la Legge?
Sono i Nazareni votatisi a Dio che in base al precetto di Mosè ( Nm 6,18 ) hanno quest'usanza!
Ma questi fatti sono quasi trascurabili a paragone di quello che segue Luca, l'autore di questa storia sacra, riferisce il fatto seguente: Giunti a Gerusalemme, i fratelli ci accolsero con piacere; ( At 21,17 ) il giorno seguente Giacomo e tutti i seniori che erano con lui, dopo avere approvato il suo Vangelo, gli dissero: Tu vedi, fratello, quante migliaia di Giudei hanno creduto in Cristo e tutti zelanti della Legge.
Ora, sono venuti a sapere che ai Giudei sparsi tra i Gentili insegni ad apostatare da Mosè dicendo che non devono far circoncidere i loro figli e non devono seguire le consuetudini.
Come stanno le cose?
Naturalmente s'adunerà della folla perché verranno certamente a sapere del tuo arrivo.
Fa dunque come ti diciamo noi: Ci sono qui con noi quattro uomini vincolati da un voto.
Prendili con te, purìficati con loro e paga per essi, affinché si radano il capo.
Così tutti capiranno che le chiacchiere udite sul tuo conto sono false, ma che tu pure ti comporti come osservante della Legge … Paolo allora, presi con sé quei tali, il giorno dopo si purificò, entrò con essi nel Tempio annunziando ( ai sacerdoti ) entro quali giorni si sarebbe compiuta la purificazione, cioè in qual giorno per ciascuno di essi sarebbe stata presentata l'offerta. ( At 21,20-24,26 )
Oh, Paolo! Anche a proposito di questo fatto ti domando: " Perché mai ti facesti radere la testa?
Perché mai hai fatto la processione a piedi nudi secondo il rito giudaico?
Perché mai avresti offerto sacrifici e per te sarebbero state immolate vittime prescritte dalla Legge mosaica? "
Certamente risponderai: " Perché non si scandalizzassero i Giudei convertiti ".
Ti fingesti dunque giudeo per salvare i Giudei.
E questa simulazione ti fu insegnata da Giacomo e dagli altri seniori: eppure non riuscisti a scamparla.
Poiché scoppiò un tumulto, in cui avresti dovuto essere ucciso, ma ne fosti strappato dal tribuno e mandato a Cesarea sotto una scorta circospetta di soldati, per evitare che i Giudei ti sopprimessero come simulatore ed eversore della Legge.
Di là raggiungesti Roma, ove nell'alloggio da te affittato predicavi Cristo ai Giudei e ai Gentili, e ove il tuo modo di pensare ricevette la suprema ratifica dalla spada di Nerone. ( At 23,23s )
Abbiamo visto che Pietro e Paolo finsero l'uno come l'altro d'osservare i precetti della Legge per paura dei Giudei.
Con quale faccia, allora, con quale ardire ha potuto Paolo biasimare l'altro d'una mancanza commessa pure da lui stesso?
Io, o meglio, altri prima di me, hanno dato del fatto una spiegazione basata sulle loro opinioni, ma non hanno propugnato, come scrivi tu, trattarsi d'una bugia ufficiosa, mentre hanno insegnato che si tratta d'onesta diplomazia, per far vedere la prudenza degli Apostoli e ricacciare in gola a Porfirio la sua blasfema impudenza.
Costui infatti diceva che Pietro e Paolo litigarono come bambini, anzi che Paolo aveva cocente gelosia delle virtù di Pietro e che, mosso dall'orgoglio, avrebbe scritto fatti che o l'altro non aveva commesso o, anche se li aveva commessi, avrebbe agito da sfrontato criticando un altro d'una mancanza commessa pure da lui.
Quegli esegeti hanno spiegato questo passo secondo le proprie capacità; tu invece come lo spiegheresti?
Certamente sei in grado di dare una spiegazione migliore, dal momento che hai disapprovato l'opinione degli antichi!
Nella tua lettera tu mi scrivi: " Non sono certo io che debbo insegnarti come si debba intendere la frase del medesimo Apostolo: Mi sono fatto come Giudeo per attirarmi i Giudei ( 1 Cor 9,20 ) e le altre frasi che seguono, dette per un senso di compassione e di pietà, non già per mascherare un comportamento falso.
Chi infatti assiste un malato si fa, per così dire, malato non quando afferma, mentendo, di avere la febbre, ma quando intimamente soffre col malato e pensa come vorrebbe essere assistito se fosse lui il malato.
Paolo era realmente Giudeo ma, una volta diventato cristiano, non aveva ripudiato i riti giudaici che quel popolo aveva ricevuto come ad esso convenienti a tempo legittimo e opportuno.
Ecco perché si sottopose a osservarli quand'era già apostolo di Cristo, al fine d'insegnare che non erano dannosi a quanti li volevano osservare secondo la Legge che avevano ricevuta dai genitori, anche dopo essersi convertiti a Cristo: solo che non dovevano riporre in essi la speranza della salvezza perché l'unica vera salvezza preannunciata simbolicamente da quei riti era ormai venuta col Signore Gesù ".
Il succo di tutto il tuo discorso, protratto con un'argomentazione fin troppo lunga, è questo: Pietro non avrebbe sbagliato in quanto riteneva che i Giudeo-Cristiani dovevano continuare a osservare la Legge, ma in quanto s'allontanò dalla retta strada per aver costretto i Pagano-Cristiani a seguire le usanze giudaiche, e li avrebbe costretti non con l'autorità del suo insegnamento, ma con l'esempio del suo comportamento.
Paolo inoltre non avrebbe detto il contrario di quel che praticava, ma voleva sapere perché mai Pietro obbligava i Cristiani venuti dal gentilesimo a seguire le usanze giudaiche.
Insomma il punto essenziale della questione o meglio della tua opinione è che " dopo il Vangelo di Cristo i Cristiani venuti dal giudaismo fanno bene a osservare le prescrizioni della Legge, ossia a offrire i sacrifici offerti da Paolo, a far circoncidere i figli, a osservare il sabato come aveva fatto Paolo con Timoteo e come praticavano tutti i giudei ".
Ma se ciò è vero, cadiamo nell'eresia di Cerinto e di Ebione; costoro, pur credendo in Cristo, furono condannati dai Padri della Chiesa unicamente perché avevano mescolato i riti della Legge mosaica col Vangelo di Cristo, professando in tal modo la nuova dottrina senza rinunziare a quella antica.
Che dire poi degli Ebioniti, che fingono d'essere Cristiani?
Ancor oggi, in tutte le sinagoghe dell'Oriente perdura tra i Giudei l'eresia condannata ancora adesso dai Farisei e detta dei Minei, chiamati comunemente Nazarei: essi credono in Cristo, Figlio di Dio, nato dalla Vergine Maria, dicono che ha patito sotto Ponzio Pilato e ch'è risuscitato, proprio come crediamo anche noi, ma mentre vogliono essere Giudei e Cristiani allo stesso tempo, non sono ne Giudei né Cristiani.
Orbene, ti prego: poiché ti preoccupi di sanare una mia piccola lesione, una foratina, anzi si potrebbe dire appena una puntura d'ago, cerca di sanare la ferita di questa tua opinione prodotta da una lancia, anzi, per così dire, da una poderosa falarica.
Ben diversa è la colpa di esporre - quando si spiega la sacra Scrittura - le varie opinioni dei predecessori, da quella d'introdurre di nuovo nella Chiesa una scelleratissima eresia!
Ma se non potessimo sottrarci alla necessità d'accogliere i Giudei coi loro riti legali, e fosse loro lecito osservare nelle Chiese di Cristo le usanze praticate nelle sinagoghe di Satana, dirò quel che penso: non saranno essi a diventare Cristiani, ma faranno diventare Giudei noi stessi!
Quale Cristiano potrebbe rimanere impassibile nel sentire le seguenti espressioni contenute nella tua lettera?
Eccole: " Paolo era giudeo.
Diventato poi Cristiano non aveva abbandonato le pratiche religiose giudaiche ricevute da quel popolo al tempo opportuno, e ad esso convenienti e legittime.
E se volle sottoporsi di nuovo a praticarle quando era già apostolo di Cristo, ci fu un motivo: insegnare che non erano dannose a coloro che le volessero osservare come le avevano ricevute dai loro padri ".
Di nuovo ti scongiuro: non offenderti se t'esprimo il mio dolore.
Paolo osservava le pratiche religiose del giudaismo quand'era già apostolo di Cristo e tu vieni a dirmi ch'esse non erano dannose per quelli che le volevano osservare come le avevano ricevute dai loro padri?
È proprio il contrario di quel che dico io; associandomi alle grida di protesta che si levano da tutto il mondo, dichiaro apertamente che le pratiche religiose giudaiche sono dannose e letali per i Cristiani, e chi le osserva - sia esso convertito dal giudaismo o dal paganesimo - è già sprofondato nel baratro del diavolo.
Il fine di tutta la Legge è infatti Cristo, che giustifica tutti quelli che credono, ( Rm 10,4 ) Giudei o pagani, s'intende.
Cristo poi non sarebbe il fine che giustifica tutti quelli che credono, se si eccettuassero i Giudei.
Anche nel Vangelo leggiamo: La Legge e i Profeti fino a Giovanni Battista. ( Mt 11,12; Lc 16,16 )
E in un altro passo: Per questo dunque i Giudei cercavano più che mai di uccidere Gesù, perché non solo non osservava il sabato, ma diceva pure che Dio era suo Padre facendosi uguale a Dio. ( Gv 5,18 )
E in un altro ancora: Dalla pienezza di lui noi tutti abbiamo ricevuto grazia su grazia; poiché da Mosè fu data la Legge, mentre per mezzo di Gesù Cristo è venuta la grazia e la verità. ( Gv 1,16 )
Invece della grazia della Legge, destinata a passare, abbiamo ricevuto la grazia del Vangelo, destinata a permanere; invece delle ombre e delle figure simboliche del Vecchio Testamento è venuta la verità per mezzo di Gesù Cristo.
Pure Geremia, in persona di Dio, fa questa profezia: Ecco, vengono i giorni - dice il Signore - in cui concluderò una nuova alleanza con la casa d'Israele e con la casa di Giuda: non sarà come l'alleanza che stipulai con i loro padri il giorno che li presi per mano per condurli fuori dalla terra d'Egitto. ( Ger 31, 31s )
Considera queste parole del Profeta: promette la nuova alleanza non già al popolo dei Gentili, con cui antecedentemente non aveva stretto alcuna alleanza, ma al popolo giudaico, al quale aveva dato la Legge per mezzo di Mosè, affinché i Giudei non vivessero secondo l'antica lettera ma secondo lo Spirito nuovo. ( 2 Cor 3,6 )
Ora, Paolo, sulla cui persona si sta ora discutendo, spesse volte esprime nei suoi scritti pensieri simili.
Per amore di brevità ne citerò solo qualcuno: Ecco, io Paolo vi dico che se vi farete circoncidere, Cristo non vi gioverà a nulla. ( Gal 5,2 )
Ancora: Voi che volete essere giustificati dalla Legge, vi siete separati da Cristo; siete decaduti dalla grazia. ( Gal 5,4 )
E più oltre: Se vi lasciate guidare dallo Spirito non siete più sotto la legge. ( Gal 5,18 )
Da ciò appare chiaro che colui, il quale sta sotto la Legge, non ha lo Spirito Santo non solo per modo di dire, come pensavano i nostri padri, ma non lo ha realmente, come tu ben vedi.
Di qual natura poi siano le prescrizioni della Legge impariamolo da Dio stesso che ci ha insegnato: Ho dato loro - dice - delle prescrizioni dannose, delle leggi per cui non possono vivere. ( Ez 20,25 )
Diciamo questo, non per negare il valore alla Legge come fanno Mani e Marcione, ben sapendo noi che secondo S. Paolo essa è santa e spirituale, ( Rm 7, 12.14 ) ma perché dopo che sopraggiunse la fede, insieme alla pienezza dei tempi Dio mandò suo Figlio fatto da una donna, fatto sotto la Legge, affinché riscattasse quelli ch'erano sotto la Legge e noi ricevessimo l'adozione di figli, ( Gal 4, 4s ) e così non vivessimo più sotto il pedagogo, ( Gal 3,25 ) ma sotto colui che è adulto, il Signore, l'erede.
Nella tua lettera viene poi questo passo: " Paolo fece la riprensione a Pietro non perché questi osservava le tradizioni dei suoi Padri, dato che, se avesse voluto farlo, avrebbe agito senza infingimento e non avrebbe fatto nulla di sconveniente ".
Ti ripeto: Sei vescovo, sei maestro delle Chiese di Cristo; se vuoi sapere se è vero quel che affermi, prenditi un Giudeo il quale, divenuto Cristiano, faccia circoncidere il figlio che gli è nato, che rispetti il sabato, che si astenga dai cibi creati da Dio perché ce ne serviamo rendendogli grazie, ( 1 Tm 4,3 ) il quale il quattordicesimo giorno del primo mese immoli l'agnello verso sera.
Dopo aver fatto ciò, anzi dopo non averlo fatto ( poiché so che sei Cristiano e non hai la minima intenzione di fare una simile cosa ), lo voglia o no, dovrai condannare la tua tesi e ti convincerai per esperienza personale ch'è più difficile dimostrare le proprie tesi che criticare quelle altrui.
Ma forse che non ti avremmo dato ragione o, peggio, non avremmo capito cosa volessi esprimere?
Succede spesso, infatti, che un discorso tirato troppo in lungo sia incomprensibile e, proprio perché non se ne coglie il senso, sia meno criticato dagl'ignoranti.
Perciò insisti e replichi: " Paolo, dunque, del giudaismo aveva abbandonato solo quel che aveva di male ".
Ma quale è il male abbandonato da Paolo?
Certamente quanto affermi nella frase seguente: Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria giustizia, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio; ( Rm 10,3 ) inoltre è male il fatto che anche dopo la passione e la risurrezione di Cristo, dopo cioè ch'era stato dato e manifestato il mistero della grazia secondo l'ordine di Melchisedec; ( Sal 110,4; Eb 5,10; Eb 7,11 ) credevano che gli antichi riti sacri dovevano essere ancora celebrati come indispensabili alla salvezza e non unicamente come sopravvivenze d'una tradizione sacra.
( Ma bisogna pure dire che, se non fossero stati mai necessari, il martirio affrontato dai Maccabei per rimanervi fedeli sarebbe stato del tutto inutile e senza scopo ).
E infine è male il fatto che i Giudei perseguitavano come nemici della Legge i Cristiani che predicavano la, grazia.
Questi errori e colpe ed altri di tal genere, dice Paolo di aver reputato dannosi e come spazzatura per guadagnarsi Cristo. ( Fil 3,8s )
Sappiamo da te quali sarebbero stati i mali del Giudaismo abbandonati dall'apostolo Paolo; vediamo ora, come tu insegni, quali sarebbero stati gli elementi buoni del Giudaismo da lui conservati.
" Sono le pratiche prescritte dalla Legge - dici tu - dai Giudei celebrate in omaggio alla tradizione dei loro padri, e secondo questo spirito celebrate personalmente pure da Paolo, nella convinzione che non erano affatto necessarie alla salvezza".
Non capisco bene cosa vuoi intendere con l'espressione: "Nella convinzione che non erano affatto necessarie alla salvezza".
In realtà se non apportano la salvezza, perché mai vengono osservate?
Ma se è necessario osservarle, apportano senza dubbio la salvezza, soprattutto quelle, la cui osservanza ha fatto dei martiri.
Poiché non verrebbero osservate, se non apportassero la salvezza.
D'altra parte non sono neppure indifferenti, di mezzo tra il bene e il male, come dicono dei filosofi nelle loro disquisizioni.
È un bene la continenza, un male la lussuria; azioni indifferenti tra l'una e l'altra sono: camminare, evacuare gli escrementi dal ventre, espellere dal naso le secrezioni della testa, sputare il catarro.
Siffatte azioni non sono né buone né cattive; tanto è vero che a farle o a non farle non si acquista né la giustizia né l'ingiustizia.
Ebbene, osservare i riti legali, non può essere un'azione indifferente, ma o buona o cattiva.
Tu la chiami buona: io invece affermo che è cattiva: cattiva non solo per i Cristiani provenienti dal Gentilismo, ma anche dal Giudaismo.
Su questo punto, se non mi sbaglio, mentre cerchi di schivare l'errore, cadi in un altro.
Mi spiego: mentre per paura stai lontano dalle bestemmie di Porfirio, cadi nel tranello di Ebione, dal momento che dichiari che i Giudei convertiti al Cristianesimo, sono tenuti ancora ad osservare la Legge.
Siccome però capisci quanto sia pericolosa la tua affermazione, cerchi di attenuarla con la seguente inutile espressione: " Nella convinzione che non sono affatto necessarie alla salvezza, come invece pensavano i Giudei obbligandone l'osservanza, oppure facendo finta di osservarle e così mentendo, colpa questa per cui Paolo aveva rimproverato Pietro ".
Pietro, quindi, fece solo finta d'osservare la Legge, mentre l'altro che biasimò Pietro, osservò senza alcuna paura le prescrizioni legali.
Questo dici nel seguito della tua lettera: " Ora, se aveva celebrato quei riti per guadagnarsi la simpatia dei Giudei col figurarsi Giudeo, perché mai non ha pure offerto sacrifici coi Gentili, dal momento che era diventato come uno che è senza Legge con quelli che erano senza Legge allo scopo di poter guadagnare anche loro? ( 1 Cor 9,21 )
Non ha agito forse solo perché era Giudeo di nascita?
E ha fatto tutto quel discorso, non per mostrarsi falsamente quel che non era, ma perché sentiva di dover venire loro in aiuto con carità, come se egli stesso fosse vittima dello stesso errore.
Agì insomma con una bugia strategica, ma con l'amore che lo portava a compatire ".
Sei davvero bravo nel difendere Paolo!
Non avrebbe simulato l'errore dei Giudei, ma fu veramente vittima del loro errore.
E non avrebbe solo imitato la menzogna di Pietro, dissimulando per paura dei Giudei quello che era, ma si sarebbe pure dichiarato Giudeo con tutta franchezza!
O nuova clemenza dell'Apostolo!
Mentre vuol fare Cristiani i Giudei diventa Giudeo lui stesso!
Non avrebbe potuto davvero ricondurre i dissoluti alla temperanza, senza dar prova d'essere anch'egli dissoluto, non avrebbe potuto soccorrere con carità i miserabili, senza sentirsi - tu dici - anche egli un miserabile!
Sì, erano davvero dei miserelli e misericordiosamente da compiangere quei tali che, animati da zelo accanito per la Legge di già abolita, riuscirono a fare Giudeo un Apostolo di Cristo!
Non c'è poi molta differenza fra la mia e la tua opinione.
Io dico che Pietro e Paolo per paura dei Giudeo-Cristiani osservarono, o meglio finsero di osservare, le prescrizioni legali; tu invece asserisci ch'essi agirono così per condiscendenza " non con una bugia strategica, ma per sentimento di amore che li portava a compatire ".
D'accordo, purché sia provato che abbiano simulato di essere quello che non erano, per paura o per condiscendenza.
L'altro argomento che usi contro di me, che cioè pure con i pagani convertiti avrebbe dovuto diventare pagano, se divenne Giudeo coi Giudei, è piuttosto a mio favore.
Difatti, come non era veramente Giudeo, così non era veramente nemmeno pagano; e come non era veramente pagano, così non era veramente nemmeno Giudeo.
Egli ha imitato i Gentili solo nell'ammettere alla fede gli incirconcisi e nel permettere loro di mangiare con perfetta indifferenza certi cibi vietati ai Giudei, non già per aver partecipato - come tu credi - al culto degli idoli. ( 1 Cor 8,1ss )
In Gesù Cristo, infatti, non vale nulla l'essere circoncisi, né il non essere circoncisi, ma l'osservare i comandamenti di Dio. ( Gal 5,6; Gal 6,15; 1 Cor 7,19 )
Concludendo ti chiedo, per favore, e torno a supplicarti di perdonarmi questa mia piccola discussione.
Se poi ho oltrepassato la mia abituale misura, dànne la colpa a te stesso, che mi hai costretto a risponderti, e per avermi cavato gli occhi, come fu fatto a Stesicoro.
Non pensare poi che sia maestro di menzogna io, discepolo di Cristo che disse: Sono io la via, la vita e la verità. ( Gv 14,6 )
A me che ho il culto della verità non può accadere che pieghi il collo alla menzogna.
Non aizzarmi la bassa plebe degli ignoranti, che ti venerano in quanto vescovo e, quando predichi in Chiesa, ti guardano con rispetto per la venerazione che hanno del Sacerdozio; di me invece, ormai giunto alla vecchiaia e quasi decrepito, che me ne sto volentieri nascosto in un monastero di campagna, non fanno quasi nessun conto.
Cèrcati altri discepoli o altre persone da criticare, poiché a me, separati come siamo da sì vaste distese di mari e di terre, giunge a stento il suono della tua voce.
E se per caso mi scrivi qualche lettera, fa che la ricevano l'Italia e Roma prima che venga recapitata a me, che dovrei esserne il destinatario.
In altre lettere mi domandi perché la mia prima traduzione dei libri canonici porta asterischi e obelischi, segnati davanti ad alcune parole, mentre poi ho pubblicato la seconda edizione priva di tali segni.
Non ti offendere se ti dirò che mi dai l'impressione di non avere idee esatte su quel che vuoi sapere.
Ecco come stanno le cose: la prima è la traduzione della Bibbia dei Settanta, e dovunque ci sono dei " bastoncini " ossia obelischi, significa che i Settanta hanno aggiunto qualche parola o frase al testo ebraico; dove invece si trovano degli asterischi - ossia delle stelle, che, per così dire, precedono con la loro luce qualche parola - c'è qualche aggiunta fatta da Origene in base all'edizione di Teodozione.
La prima versione è stata condotta sul testo greco; la seconda direttamente dall'ebraico, traducendo, secondo quanto avevo capito, rispettando più il pensiero genuino che - talora - la disposizione delle parole.
Mi stupisco inoltre che tu legga i libri dei Settanta, non nel testo originale pubblicato da essi, ma nel testo emendato ( o corrotto ) da Origene, con obelischi ed asterischi, e non segui la traduzione, sia pure modesta di un Cristiano, tanto più che le aggiunte, Origene le prese dalla versione di un Giudeo e blasfemo, per di più eseguita dopo la passione di Cristo.
Vuoi essere un lettore davvero fanatico dei Settanta? non leggere le parole precedute da asterisco, anzi raschiale dai rotoli per dar prova in tal modo che sei partigiano degli antichi.
Se farai così, sarai costretto a condannare tutte le biblioteche ecclesiastiche, perché è assai difficile trovare uno o due libri che non portino quei segni!
Affermi inoltre che non avrei dovuto tradurre di nuovo libri già tradotti dagli antichi; per provarlo ricorri a questo singolare sillogismo: " i testi tradotti dai Settanta, o erano oscuri o erano chiari.
Se oscuri, bisogna credere che tu pure hai potuto sbagliare nel tradurli.
Se chiari, è evidente che essi non poterono sbagliare ".
Ti rispondo ricalcando il tuo argomento.
Tutti gli antichi esegeti che ci hanno preceduti nel Signore ed hanno commentato le Sacre Scritture, hanno spiegato passi oscuri o chiari.
Se oscuri, come hai tu osato spiegare, dopo di essi, ciò che essi non hanno potuto spiegare?
Se chiari, è stata una fatica inutile voler spiegare ciò che non poteva loro sfuggire.
Ciò dico soprattutto per la spiegazione dei Salmi, che sono stati illustrati in molti volumi dai Greci: il primo dei quali fu Origene, il secondo Eusebio di Cesarea, il terzo Teodoro di Eraclea, il quarto Asterio di Scitopoli, il quinto Apollinare di Laodicea, il sesto Didimo di Alessandria.
Si citano pure gli opuscoli di commento di diversi altri autori, su un piccolo numero di Salmi; ma qui parliamo dell'intero Salterio.
Tra i Latini poi, Ilario di Poitiers e il vescovo Eusebio di Vercelli hanno solo tradotto Origene ed Eusebio; anche il nostro Ambrogio si è attenuto generalmente alla traduzione del primo di questi due.
Ora la tua Prudenza mi risponda perché, dopo sì grandi e qualificati commentatori, tu nello spiegare i Salmi hai espresso interpretazioni differenti.
Poiché, se i Salmi sono oscuri, bisogna credere che tu pure hai potuto sbagliare; se invece sono chiari, non è pensabile che abbiano potuto sbagliare.
Pertanto, sia in un modo, sia in un altro, il tuo commento sarà inutile.
Anzi, in base al tuo principio, nessuno avrà il coraggio di dire la sua dopo quelli che hanno detto la loro per primi; insomma, se uno ha già trattato un argomento, un altro non avrà più diritto di trattarlo nuovamente per iscritto!
Dovresti al contrario sentirti piuttosto in dovere, come uomo, di permettere anche agli altri di fare ciò che permetti a te stesso!
Ora, col mio lavoro, ho inteso non tanto cancellare le opere degli autori che mi hanno preceduto ( opere che ho solo corretto e tradotte dal greco in latino per le persone che parlano la mia lingua ), quanto mettere sotto gli occhi di tutti le espressioni saltate o corrotte dai Giudei, affinché i nostri fedeli conoscano il contenuto genuino della sacra Scrittura redatta in ebraico.
Se poi a qualcuno non garba il mio lavoro, nessuno lo costringe a leggerlo contro il suo volere; beva pure con gusto il vino vecchio e disprezzi il nostro mosto, destinato proprio a spiegare gli antichi, a rendere più comprensibili, per suo mezzo, le edizioni, incomprensibili degli altri.
Quale sia poi il metodo da seguire nel tradurre la sacra Scrittura, l'ho già spiegato nel mio libro intitolato "Il metodo ideale per tradurre" e in tutte le brevi prefazioni premesse alla mia edizione della Bibbia.
A dette opere penso debba rimandarsi un lettore intelligente.
Dici inoltre che approvi la correzione che ho fatto del Nuovo Testamento ed esponi pure il motivo per cui la approvi, e cioè che moltissimi conoscono il greco assai bene e perciò sono in grado di dare un giudizio critico del mio lavoro.
Ebbene, avresti dovuto ammettere la medesima integrità e purezza nella mia edizione del Vecchio Testamento: in essa non ho cambiato nulla di mia testa, ma ho tradotto il testo divino come l'ho trovato in ebraico.
Se per caso hai dei dubbi, interroga gli Ebrei.
Ma forse potrai obiettarmi: "E se gli Ebrei non vorranno rispondere o vorranno mentire?" ma proprio tutti i Giudei, numerosi come sono, non vorranno rispondere a proposito della mia traduzione?
È possibile che non si trovi alcuno che conosca l'ebraico?
O seguiranno tutti l'esempio di quei Giudei che affermi di aver scoperto in una borgatuccia dell'Africa e che si sono messi d'accordo per calunniarmi?
Ecco che razza di storiella mi racconti nella tua lettera: " Un nostro confratello d'episcopato aveva cominciato a leggere la tua traduzione nella Chiesa da lui retta.
Orbene, un brano del profeta Giona, tradotto da te in maniera assai diversa da quel che era impresso da troppo tempo nell'anima o nella memoria di tutti e tramandato e ripetuto di generazione in generazione, provocò una poco favorevole impressione.
Scoppiò un tale baccano tra il popolo ( i Greci erano i più accesi nel lanciare accuse di falso ), che il Vescovo - si trattava appunto della città di Ea - fu costretto a chiedere la conferma dei Giudei.
Questi, non so se per ignoranza o per malizia, risposero che i testi ebraici riportavano le stesse lezioni contenute in quelli latini e greci.
A farla breve, quel poveretto fu costretto ad emendare il testo quasi fosse inesatto, nell'intento di scongiurare il grave pericolo e di non rimanere senza fedeli!
Per lo stesso motivo posso pensare anch'io che talora tu pure, in qualche caso, possa avere sbagliato ".
Mi dici che ho tradotto male un passo del Profeta Giona e che, essendosi messo il popolo a far baccano e a schiamazzare a motivo di una parola tradotta diversamente, per poco il vescovo ci rimetteva la carica episcopale.
Non mi dici però qual è il passo che avrei tradotto male e così mi togli la possibilità di difendermi, per paura che la mia risposta mandi a monte la critica mossami.
A meno che non sia tornata in ballo, dopo tanti e tanti anni, la zucca; un Cornelio, anzi un Asinio Pollione di allora, sosteneva che io avevo tradotto edera al posto di zucca.
Su questo particolare ho dato una risposta abbastanza esauriente nel mio Commento al Profeta Giona.
Qui mi accontento di dire solo che nel passo dove i Settanta tradussero zucca, e Aquila con tutti gli altri edera cioè χισσόν, l'ebraico ha ciceion, che corrisponde a ciò che i Siri chiamano comunemente ciceia.
Si tratta in altre parole di un arbusto dalle foglie larghe a mo' di pampano.
Una volta piantato, presto diventa un arboscello che si regge alto senza alcun sostegno di canne o di pertiche ( di cui invece hanno bisogno le zucche e le edere ), perché si sostiene sul proprio tronco.
Ora, se avessi voluto tradurre quella parola con ciceion, per rendere l'espressione alla lettera, nessuno l'avrebbe capita; se con zucca, avrei reso un senso inesistente nel senso ebraico; ho usato allora la parola edera, per essere d'accordo con gli altri traduttori.
Se invece i Giudei delle vostre parti - come tu affermi - hanno detto, per malizia o per ignoranza, che nei testi ebraici c'era lo stesso termine contenuto nei testi greci e latini, è chiaro che o non sanno l'ebraico o mentirono apposta, per farsi gioco dei cucurbitari.
Finisco la presente chiedendoti di non costringere un vecchio veterano a riposo come me ad impugnare le armi e a mettere a repentaglio ancora la propria vita.
Tu che sei giovane, dall'alta cattedra della dignità episcopale ove ti trovi, ammaestra i popoli, arricchisci i magazzini di Roma delle nuove messi africane.
A me basta far sentire la mia debole voce a qualche poverello che mi legge o mi sta ad ascoltare in un angolo del monastero.
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