Summa Teologica - I |
4 - L'indole propria dell'indagine razionale dell'Aquinate si manifesta, in tutto il suo rigore, nella spassionata disamina degli argomenti addotti a favore di un cominciamento temporale dell'universo.
La questione era tra le più appassionanti per gli studiosi del secolo XIII.
Il pensiero cristiano e quello aristotelico, che in quel tempo era considerato senz'altro la scienza, parevano irriducibili su di un punto così delicato.
Non esisteva infatti il minimo dubbio che nella Bibbia si parlasse di un cominciamento del mondo all'inizio del tempo; mentre Aristotele dal canto suo si era ingegnato di dimostrare inconcludenti le prove portate a favore di un cominciamento dell'universo ( De Caelo et Mundo, c. 12 ).
Alcuni perciò concludevano che la fede era compromessa dalla ragione; altri condannavano come assurde le dimostrazioni aristoteliche; e finalmente c'erano i difensori delle due verità, cioè gli averroisti, i quali dicevano di non scandalizzarsi di questo contrasto, anzi vi trovavano la conferma della loro tesi.
Secondo costoro poteva darsi benissimo che una cosa fosse vera secondo la fede e assurda secondo la scienza.
S. Tommaso fin dai primi anni del suo insegnamento assunse una posizione personalissima in questa polemica.
Dimostrò che gli argomenti di Aristotele non erano cogenti, e che le prove dei maestri cristiani a favore del cominciamento erano anch'esse prive di quel rigore scientifico che si pretendeva.
Cosicché la tesi difesa da questi ultimi rimaneva la vera, ma soltanto come dogma di fede.
- Questo atteggiamento indipendente destò lo sdegno, per non dire lo scandalo, di non pochi maestri; e il Dottore Angelico dovette difendersi dalle accuse nell'opuscolo De aeternitate mundi contra murmurantes ( 1271 ).
Nonostante tutto egli continuò ad insegnare questa dottrina negli anni della perfetta maturità, quasi con lo stesso ardore degli anni giovanili.
Nella Somma troviamo delle espressioni così forti, che ai contemporanei dovevano parere addirittura sconcertanti: « Che il mondo non sia sempre esistito si tiene soltanto per fede, e non si può provare con argomenti convincenti: come sopra abbiamo affermato a proposito del mistero della Trinità » ( I, q. 46, a. 2 ).
5 - I discepoli dell'Aquinate furono sempre molto fieri della fermezza del loro maestro in questa posizione di intransigente difesa dei diritti della ragione.
Dobbiamo anzi lamentare qualche esagerazione.
Il Card. Gaetano ammoniva già i tomisti dei suoi tempi di essere più cauti nell'affermare la possibilità di una creazione ab aeterno.
E a commento di certe ipotesi miracolistiche, escogitate per sostenere detta possibilità, osservava: « É ridicolo, a mio giudizio, ricorrere a questo miracolo, quando si tratta della possibilità di produrre questo mondo che noi vediamo » ( Comment. in I, q. 44, a. 2, n. 9 ).
Le esagerazioni più gravi si sono registrate però in questi ultimi decenni.
Ci sono stati infatti dei pensatori cattolici i quali, mentre le scienze naturali propendono piuttosto per una limitazione cronologica dell'universo visibile, si sono spinti ad affermare che il cominciamento del mondo « initio temporis » non è neppure un articolo di fede ( cfr. SERTILLANGES A. D., L'idée de création, Paris, 1945, pp. 16-19 ).
Si passa poi ogni limite quando si afferma che la possibilità della creazione ab aeterno è l'unica ipotesi ragionevole, mentre la creazione in initio temporis sarebbe qualche cosa d'inconcepibile ( cfr. ibid., p. 39 ).
Ciò è contro il pensiero stesso di S. Tommaso, il quale ritiene che Dio abbia creato nel tempo, appunto perché fosse più manifesto il suo intervento come creatore ( 2 Cont. Gent., c. 38 ).
Questa maggiore evidenza è tanto più chiara per noi moderni, essendo ormai sfatata l'idea che il mondo fisico stesso ci offra dei fenomeni atti a prodursi senza una durata temporale, e quindi con piena simultaneità tra causa ed effetto.
Gli antichi invece credevano che la luce si propagasse in modo istantaneo; cosicché data la presenza del sole, o di altra sorgente luminosa, simultaneamente si sarebbero illuminati i corpi verso i quali sono diretti i loro raggi.
Quindi nessuna priorità temporale della causa sarebbe stata necessaria.
É sintomatico il fatto che S. Tommaso ricorra a questo esempio della luce ogni volta che parla di una possibile creazione da tutta l'eternità.
Ma una volta eliminato l'esempio, si rimane non poco perplessi prima di accettare il principio, non essere necessaria una priorità cronologica della causa sull'effetto.
Non ne vediamo ancora l'assurdità, ma nessuna delle nostre esperienze può aiutarci ad ammetterlo.
Lo zelo di certi moderni discepoli di S. Tommaso pare che sia motivato da considerazioni del tutto estranee alle scienze sperimentali.
Sembra che piuttosto abbia influito su di loro un vago desiderio di sottolineare un punto di contatto tra il pensiero tomistico e quello kantiano.
Infatti anche E. Kant si è rifiutato di risolvere filosoficamente il problema del cominciamento del mondo.
Bisogna però osservare che il filosofo prussiano in questa sua posizione dimostra di non essere riuscito a comprendere che il tempo non è un'entità a sé stante, ma è solo un attributo dell'essere reale.
Questa maniera empirica di concepire il tempo è patente in quella espressione: « Il cominciamento presuppone sempre un tempo che preceda » ( Critica della ragion pura, trad. G. Gentile e G. Lombardo- Radice, Bari, 1940, p. 392 ).
Avvicinare perciò il pensiero dell'Aquinate a concezioni così primitive non onora davvero il genio del grande maestro.
Dire, come fa il P. Sertillanges, che prima del mondo non esisteva il tempo, e che quindi rigorosamente parlando non c'era un prima, è proclamare una verità lapalissiana.
Ma nessuno può impedire che noi, proiettando all'indefinito il tempo immaginario, costruito sull'esperienza di quello reale, possiamo dire per intenderci: un tempo il mondo non esisteva ( cfr. I, q. 46, a. 1, ad 8 ).
I semplici certo possono pensare che si tratti di tempo reale, ma non ci sembra lecito includere nel loro numero la massa dei teologi cristiani.
Tra i semplici troviamo invece con certezza coloro che, come Kant, pensano essere indispensabile al cominciamento un tempo reale che preceda.
Noi perciò non crediamo utile soffermarci sulla fortuita e materiale concordanza della tesi di Kant con quella difesa da S. Tommaso, e pensiamo che sia compito assai più costruttivo, per i moderni discepoli di quest'ultimo, chiarire come il loro maestro non sia potuto giungere a una soluzione definitiva del problema.
Si tratta di mettere in luce un complesso di circostanze storiche, le quali non hanno però impedito all'Aquinate di mostrare tutta la sua serena obbiettività di studioso, e l'altezza del suo genio.
6 - Ma prima di inoltrarci nella questione dobbiamo nettamente distinguere due problemi, che talora vengono confusi tra loro nelle discussioni dei filosofi e dei teologi.
Il primo consiste nel chiedersi se il mondo attuale possa considerarsi come esistito da tutta l'eternità; il secondo si riduce alla domanda: se Dio abbia potuto creare un qualsiasi essere eterno a parte ante.
Aristotele punta decisamente sul primo quesito; mentre S. Tommaso non sempre lo imita, poiché mira a dimostrare la pura possibilità di un fatto che egli sa per fede non essersi mai verificato.
Noi prenderemo separatamente in esame i due problemi.
Abbiamo già notato che il Dottore Angelico non ha potuto conoscere la vera storia del concetto di creazione.
Egli cioè pensava che Aristotele avesse negato soltanto la creazione nel tempo, e non l'universale causalità divina.
Ai suoi tempi non era stato ancora chiarito il fatto, che i filosofi greci avevano impostato le loro speculazioni cosmologiche sulla base comune della eternità della materia.
Inoltre Aristotele ha trasmesso a S. Tommaso un sistema cosmologico imperniato su un fissismo rigoroso, che oggi non possiamo accettare senza riserve.
Le forme, fisse come le idee e i numeri, escludono nell'universo, in cui sono state calate dallo Stagirita, ogni evoluzione.
Il tempo non poteva rientrare così nei fattori determinanti della struttura del cosmo.
Contro l'incalzante divenire delle cose terrestri « il maestro di color che sanno » si era difeso appellandosi alla immobilità dei corpi celesti.
E S. Tommaso lo ha seguito su questa strada.
Ecco le sue parole di biasimo contro Eraclito: « Fu una stoltezza giudicare di tutta la natura sensibile da queste poche cose; che anzi sarebbe stato più tollerabile se si fosse giudicato tale natura [ delle cose terrestri ] alla stregua dei corpi celesti, che superano per la quantità gli altri corpi » ( 4 Metaphys., c. 5, lect. 13, n. 689 ).
Anche l impulso di questa macchina di sfere intrasmutabili era stato concepito come qualche cosa di perenne: tutto il movimento dell'universo dipendeva dal moto uniforme del primo cielo.
Era facile pensare che il tempo stesso, misura di questo moto, fosse sempiterno; o per lo meno era difficile resistere alla tentazione di pensarlo.
Chi pretendesse che S. Tommaso non abbia affatto risentito le conseguenze di questa concezione cosmologica nella soluzione di certi problemi filosofici, mostrerebbe di non conoscere i limiti del pensiero umano.
Aristotele era ai suoi tempi il filosofo, cioè il fisico per antonomasia.
Soltanto pochi reazionari si ribellavano alle sue affermazioni nel campo delle scienze naturali.
D'altra parte a proposito dell'eternità del mondo il Dottore Angelico sentiva argomentare i teologi contemporanei con troppa faciloneria.
Perciò le impalcature dialettiche di questi ultimi non potevano reggere all'urto formidabile del suo genio.
Ma se egli potesse riprendere in esame il problema alla luce di una scienza progredita, che riconosce ormai inequivocabilmente le varie tappe della evoluzione cosmica, c'è da dubitare del suo rispetto verso la posizione aristotelica.
7 - La fisica moderna ci offre il vantaggio incalcolabile di farci considerare il tempo più come elemento qualitativo che quantitativo.
E se puntiamo su questa matura concezione del tempo, evitando certe esagerazioni e certi paradossi, possiamo risolvere con abbastanza facilità la questione relativa alla possibilità che il mondo attuale e visibile sia stato creato da sempre.
S. Tommaso aveva già compreso perfettamente che il tempo, prima di essere una misura più o meno soggettiva, è una proprietà, un accidens, di un determinato soggetto ( I, q. 10, a. 6 ).
Ed aveva saputo ben distinguere tra tempo fisico - reale -, e tempo misura più o meno convenzionalmente di ragione - ( cfr. In 4 Physic., lect. 23, e lect. 18 ).
Era rimasto però legato a una fisica tramontata, la quale ammetteva l'esistenza di un primo motore mosso.
Credeva cioè, con Aristotele, che tutto il moto degli esseri corporei fosse determinato dal movimento uniforme della prima sfera.
Per questo le fasi successive di quel primo mobile venivano a costituire la misura anche dei moti che ne derivavano.
Perciò unico sarebbe stato il tempo per gli esseri corporei.
In tale ipotesi il tempo poteva essere anche sempiterno, essendo legato in definitiva a degli esseri sostanzialmente immutabili, quali sarebbero state le sfere celesti.
Ma una volta abolito quel motore immutabile, supremo ed unico, ogni essere corporeo acquista un tempo autonomo, che ne costituisce quasi un accidens proprio, una qualità quasi incomunicabile.
Per la fisica moderna ogni entità, ogni fenomeno, ha le sue inconfondibili proporzioni spaziali e temporali, che a tutto rigore non si possono misurare su quelle di altre entità e di altri fenomeni.
Per tale motivo noi siamo subito spinti a domandarci se ha ancora un senso quel problema: il mondo attuale poteva essere creato da tutta l'eternità?
Se è impossibile veder coincidere in una unità di durata temporale due fenomeni meccanici, come si può pensare a una coincidenza anche solo materiale dell'essere creato con l'essere increato?
Si aggiunga che tutte le strutture degli esseri corporei, anche quelle dell'infinitamente piccolo, ci si mostrano in continua evoluzione.
Nel mondo fisico non esiste nulla di assolutamente stabile e permanente.
Ogni molecola, ogni atomo, tendono a disgregarsi; come è possibile pensare che queste cose possano essere esistite dall'eternità, se la loro disgregazione è essenzialmente legata al fattore tempo?
Inoltre la fisica moderna ci fa chiaramente comprendere che la serie delle cause per accidens non può essere indefinita, perché ogni fenomeno dipende in concreto da un determinato numero di coefficienti, e da una situazione che non si ripeterà mai più, con identità assoluta, nella storia del mondo.
Non è soltanto la materia prima a rendere individuali le cose: c'è il fatto che in ogni istante il cosmo seguita la sua evoluzione, e ogni fenomeno vi concorre in maniera inimitabile.
La serie delle cause per accidens viene perciò a perdere la sua assoluta contingenza.
E quindi non si deve più parlare di una possibile serie indefinita ditali cause.
Tutto il pensiero moderno nel costruire una visione integrale del mondo non può ormai prescindere da questi due fatti: dalla evoluzione e dalla intrinseca finitezza del cosmo.
Vengono distrutte così le basi della teoria fisica aristotelica favorevole all'eternità del creato.
Per tornare indietro bisognerebbe negare i risultati delle scienze sperimentali.
Perciò chi volesse oggi riesumare la vecchia teoria sarebbe costretto a uscire dal campo della scienza, per slanciarsi nei facili voli della fantasia.
Ai poeti e ai romanzieri è ancora permesso parlare di palingenesi, di cicli e di eterni ritorni; ma tutto questo fantasticare non regge alla più elementare analisi scientifica.
8 - Ai cattolici però queste divagazioni sono interdette dalla loro fede, come già diceva S. Tommaso, e come ha opportunamente ricordato S. S. Pio XII nell' Enciclica Humani Generis ( A. A. S. Sept. 1950, p. 570 ).
Questo richiamo giova a farci meglio comprendere, che la questione relativa al cominciamento dell'universo attuale non è una questione elegante ( cfr. alloc. pontif. del 22 Nov. 1951, in A. A. S., lan. 1952, pp. 31-43 ).
Noi ci siamo soffermati sull'argomento perché non pochi tomisti, per una fedeltà malintesa alla dottrina del Maestro, concorrono con il loro atteggiamento di riserva a svalorizzare le prove cosmologiche moderne dell'esistenza di Dio.
A sentire certuni non avrebbero quasi nessun valore le prove impostate sulla legge di entropia e sulla produzione piuttosto recente dei fenomeni vitali.
Le loro riserve partono sempre dalla possibilità della creazione ab aeterno sostenuta dall'Aquinate.
Se questa possibilità concretamente esiste, tutte le prove, che mirano immediatamente ad assicurare un limite alla serie delle cause per accidens, non avrebbero un valore apodittico.
Ma è una cosa seria oggi dubitare di questi limiti di fronte alla patente evoluzione del cosmo?
Ci sembra perciò quanto mai opportuno ripetere l'ammonimento del Gaetano: « Cauti sint thomistae in concedendo mundum potuisse esse ab aeterno ».
Alcuni pensano che tutte le prove scientifiche non valgano affatto quando si tratta di un'operazione non sperimentabile, quale è appunto la creazione.
La fisica, si dice, non può escludere l'eternità dei primi elementi, dai quali prese le mosse l'evoluzione dell'universo.
- La fisica, si risponde, non può escludere una tale ipotesi proprio perché non è un' ipotesi scientifica; cioè si tratta di un'ipotesi che prescinde dalla natura evolutiva del mondo fisico, cioè di quell'unico mondo reale che noi conosciamo.
La materia inerte è un'ipotesi metafisica.
Si passa così a un'altra questione: alla questione della pura possibilità di una creazione ab aeterno.
9 - Veniamo a trattare brevemente di tale argomento.
Questo secondo problema, come abbiamo accennato, è una questione rigorosamente metafisica e quasi una questione elegante.
Suscita ancora e susciterà sempre un grande interesse, perché nasce facilmente la speranza o il sospetto che si possa giungere ad escludere la stessa possibilità di una creazione eterna.
S. Tommaso pensa che tale possibilità non esista; perché in qualsiasi momento si pensi avvenuta la creazione, si potrà sempre pensare alla ipotesi di una creazione antecedente, all'indefinito.
Perciò Dio poteva creare da tutta l'eternità ( cfr. I, q. 46, a. 2 ).
Ma l'Aquinate ritiene che si possano imbastire degli argomenti di probabilità favorevoli alla creazione in tempore, e quindi probabilmente validi contro la possibilità della creazione ab aeterno.
Noi pensiamo che sia del tutto superfluo insistere su quegli argomenti che già furono confutati da S. Tommaso come inconcludenti.
E invece molto istruttivo seguire i passi compiuti dal grande Dottore per avvicinare la ragione umana alla tesi proposta dalla fede cristiana.
Questi nel corso di tutta la sua vita ci si mostra assillati da un problema analogo e connesso a quello della possibile eternità del mondo: il problema della possibilità o meno della concreta esistenza di un'estensione infinita o di un numero illimitato di cose.
Dopo qualche indecisione S. Tommaso dimostrò chiaramente l'impossibilità di un infinito attuale in tutto l'ordine creato ( I, q. 7, a. 4 ).
Questa soluzione negativa del secondo problema doveva avere subito delle ripercussioni su quello precedente.
Infatti nella Somma Teologica, dove si giunge a quella soluzione, l'Aquinate stesso è costretto a restringere le possibilità di una creazione ab aeterno.
Egli sente l'assurdità di concedere l'esistenza di un numero infinito di anime umane, che sarebbero derivate dal succedersi di infinite generazioni.
« Alcuni, egli dice, non ritengono assurda l'esistenza attuale di anime infinite …
Ma questa tesi più sopra l'abbiamo confutata …
- Però è da notare che questo è un argomento particolare.
Perciò uno potrebbe rispondere che se non è esistito l'uomo, è esistito eternamente il mondo, o almeno qualche creatura, p. es., un angelo » ( I, q. 46, a. 2, ad 8 ).
La connessione tra le due tesi è così forte, che in generale i tomisti, per potere ancora affermare la pura possibilità di un mondo eterno, sono costretti a ricorrere all' ipotesi di un mondo privo di qualsiasi movimento.
Ogni operazione, essi dicono, è un'entità definita; se quindi il mondo fosse eterno, senza essere del tutto immobile, si andrebbe incontro al grave inconveniente di un infinito attuale; cioè si ricadrebbe nell'assurdo.
E questa in sostanza la tesi di Giovanni di S. Tommaso e di Alcuni invece si mostrarono poco persuasi del valore apodittico delle prove portate da S. Tommaso contro la possibilità dell' infinito attuale.
Ma i loro argomenti non sono davvero persuasivi; perché mostrano di confondere l'ordine astratto con l'ordine concreto, la matematica con la fisica.
Altri tomisti, finalmente, concedono che l'infinito attuale ripugna, ma negano che fatti o cose successive indefinite siano da considerarsi come entità attuali.
- Noi non insisteremo nel confutare la loro posizione, poiché crediamo sufficiente far notare che la successione nel tempo non toglie nulla alla individualità e concretezza delle cose.
Ora, le entità concrete, nel divenire oggetto diretto di causalità, impediscono formalmente che il loro proprio numero rimanga potenziale.
É inutile ricorrere alla distinzione tra moltitudine numerata e moltitudine innumerabile, quando si tratta di realtà che sono e furono oggetto di positivi influssi causali.
La causalità infatti non si esercita sul generico o sull' indistinto, che sono categorie degli enti di ragione, ma sul concreto che è individuale.
Così pure non giova ricorrere al famoso testo del De aeternitate mundi: « adhuc non est demonstratrum quod Deus non possit facere, ut sint infinita actu ».
Il testo può essere spiegato per analogia con altri testi, i quali non compromettono la tesi comune, secondo cui S. Tommaso nella sua maturità ha negato la possibilità di un infinito attuale ( cfr. 2 Cont Gent., c. 38,: « tamen ratio non est multum utilis: quia multa supponit »; I, q. 46, a. 2, ad 8: « haec ratio particularis est … » ).
Come si vede, il Dottore Angelico cerca di mostrare ai maestri cristiani, troppo frettolosi di concludere, che per rispondere alle istanze dei filosofi puri, degli averroisti, bisognava rassegnarsi a provare prima di tutto altre tesi, che per molti erano ancora in discussione.
Perciò, a suo giudizio, la posizione dei maestri cristiani e le loro argomentazioni avevano, negli spunti più felici, solo una certa probabilità.
Egli stesso non sdegnava perciò di ricorrere a tali dimostrazioni; ché anzi ha voluto farci conoscere quale argomento, a suo giudizio, poteva considerarsi il più solido in favore della creazione nel tempo: è quello che prende lo spunto dalla causa finale.
Al fine di raggiungere una maggiore evidenza della sua libertà, liberalità e potenza, era conveniente che Dio effettuasse la creazione nel tempo ( 2 Cont. Gent., c. 38 ).
10 - Noi pensiamo che si possa giungere, insistendo su questa via della finalità, con elementi tomistici, a una prova assai probabile dell'impossibilità di un mondo o di una creatura eterna.
Direttamente, come si è visto, rimane da escludere la sola ipotesi di una creatura del tutto immobile.
Ora, un angelo o qualsiasi altra creatura, che per ipotesi fosse stata creata da tutta l'eternità, non potrebbe essere oggetto dell'atto creativo, a prescindere dal movimento, o dall'operazione.
Dio infatti non crea soltanto per partecipare il proprio essere, ma anche per comunicare la propria bontà.
Ma perché gli esseri derivati abbiano Dio per fine, e partecipino così formalmente la di lui bontà, devono poter tendere a lui.
E non si tende a Dio senza operazione alcuna, nella immobilità assoluta.
Perciò è impossibile la creazione di un essere posto nella immobilità assoluta ( cfr. I, q. 62, a. 1, ad 2 ).
Non si sfugge a questa conseguenza ammettendo per ipotesi la creazione di un angelo, in cui l'atto secondo coincidesse perfettamente da tutta l'eternità con l'atto primo esistenziale, e perciò eternamente in possesso di Dio per mezzo di una intuizione eterna come la sua sostanza.
Infatti, perché si possa dare un motivo ragionevole all'atto creativo, è necessario che le operazioni della creatura appartengano formalmente a quest'ultima.
Se invece l'angelo raggiungesse la propria perfezione ultima con un'operazione emessa nell'atto medesimo che riceve l'essere, tale operazione apparterrebbe più al creatore che alla creatura ( cfr. I, q. 63, a. 5 ).
E allora non si vede più il perché della creazione.
Dio infatti, nell'ipotesi ammessa, non verrebbe glorificato affatto dalla creatura, perché non è più cercato né desiderato da essa.
A questo primo argomento possiamo aggiungerne un secondo non meno tomistico del precedente.
S. Tommaso fa giustamente osservare che ogni creatura « nell' imprimere attivamente la propria azione ne riceve anche [ un perfezionamento ] » ( I, q. 44, a. 4 ).
Ma questa è la condizione di tutte le creature in quanto tali.
L'evoluzione quindi non è solo una condizione degli esseri attualmente esistenti: è una proprietà essenziale dell'ente che non è l'atto puro.
Lo svolgersi della potenzialità radicale dell'essere esclude un moto esasperatamente uniforme, come il moto del primo cielo aristotelico.
E se ogni creatura è costituzionalmente in evoluzione, non si può risalire all'indefinito nella sua durata.
Sarebbe come dire che l'orologio, il quale in un dato momento è sul punto di fermarsi per aver esaurito la carica, è stato caricato dall'eternità.
Il fatto della evoluzione incide necessariamente nei rapporti tra Dio e il mondo.
E troppo sbrigativa la risposta del P. Sertillanges: « non si tratta che di legislazione interiore del cosmo » ( La critica bergsoniana e la creazione ex nihilo », in Quaderni di Roma, marzo 1947, p. 105 ).
Se una creatura è essenzialmente evolutiva, la sua esistenza non può trascendere le fasi concrete del suo sviluppo.
Una durata indefinita è inconciliabile con una evoluzione definita e circostanziata.
Se l'esistenza di una creatura fosse necessariamente accompagnata da un fenomeno evolutivo, non ci sarebbe il minimo dubbio che la creazione non sarà mai stata ab aeterno, perché le fasi di un moto creato segnano un tempo definito.
E S. Tommaso stesso che lo dichiara: « Ex parte actionis impeditur ne id quod est a principio simul sit cum suo principio, propter hoc quod actio est successiva » ( I, q. 42 a. 2,. cfr. De aeternitate mundi, ediz. Parmense, p. 319a )
11 - Bisogna però insistere nell'affermare, con il celebre e compianto confratello, che il cominciamento del mondo non si può descrivere in termini di cronistoria, ma solo di relazione.
Sarebbe quindi un parlare assai improprio se si dicesse che Dio, prima di creare il mondo, è stato per miliardi di secoli nella solitudine, e che finalmente ha posto in atto quel disegno, che aveva concepito da tutta l'eternità.
L'eternità di Dio non ha né anni né secoli: è qualche cosa di assolutamente trascendente; non ha passato come non ha futuro.
Dio è l'eterno presente.
- Volendo egli partecipare l'essere alle cose, le pone all'esistenza decretando la misura delle loro perfezioni sostanziali e accidentali.
Queste limitazioni le troviamo nelle cose, ma formalmente quei limiti non si trovano mai in Dio.
Così è anche per il tempo.
Le cose tutte, essendo tese per la loro radicale potenzialità verso un perfezionamento, ed evolvendosi progressivamente, hanno sempre un cominciamento: è l'inizio del tempo.
Prima di tale inizio non c'è tempo, non c'è storia, non c'è a tutto rigore un prima: è Dio che trascende ogni tempo, che non subisce evoluzioni o mutamenti di sorta ( cfr. De Causis, prop. II, lect. II ).
Lo scrittore ispirato per parlarci di quella realtà trascendente, verso la quale balbettando proiettiamo talora il tempo immaginario, sarà costretto a usare la medesima espressione con la quale ci viene descritto il cominciamento delle cose.
« In principio era il Verbo » materialmente suona come l'altra affermazione: « In principio creò Dio il cielo e la terra ».
Ma in questo secondo caso ci è indicato davvero un inizio, un cominciamento; mentre nel primo caso ci è indicato soltanto il termine che si vuole trascendere.
Questi punti fermi, posti dalla rivelazione divina al pensiero umano, non servono a confonderlo, ma ad orientano in mezzo agli errori di tutti i secoli.
S. Tommaso ha provato egli stesso questo senso di liberazione nel constatare le paurose incertezze di tanti filosofi di fronte ai problemi più assillanti della sopravvivenza delle anime umane, connessi col problema della eternità del mondo.
« É certo tuttavia che su questi argomenti non incontrano nessuna difficoltà coloro che professano la fede cattolica, non ammettendo essi l'eternità del mondo » ( 2 Cont. Gent., c. 81 ).
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