Summa Teologica - II-II |
I-II, q. 67, a. 4, ad 2; In 3 Sent., d. 34, q. 2, a. 3, sol. 4; De Virt., q. 4, a. 4, ad 2; In Psalm., 18
Pare che il timore non possa sussistere nella patria.
1. Sta scritto [ Pr 1,32 ]: « Chi mi ascolta sarà tranquillo e sicuro dal timore del male »: parole che si riferiscono all'uomo che gode della sapienza nell'eterna beatitudine.
Ora, qualsiasi timore è timore del male: poiché il male, come si è visto [ aa. 2,5; I-II, q. 42, a. 1 ], è l'oggetto del timore.
Quindi in patria non vi sarà alcun timore.
2. Nella patria gli uomini saranno conformi a Dio, poiché sta scritto [ 1 Gv 3,2 ]: « Saremo simili a lui ».
Ma Dio non teme nulla.
Quindi nella patria gli uomini non avranno alcun timore.
3. La speranza è più perfetta del timore: poiché la speranza ha di mira il bene, mentre il timore ha per oggetto il male.
Ma la speranza non ci sarà nella patria.
Quindi non vi sarà neppure il timore.
Sta scritto nei Salmi [ Sal 19,10 ]: « Il timore del Signore è puro, dura sempre ».
Il timore servile, cioè il timore della pena, in nessun modo potrà esistere nella patria: poiché questo timore è incompatibile con la sicurezza della beatitudine eterna, implicita nel concetto stesso di felicità, come già si disse [ q. 18, a. 3; I-II, q. 5, a. 4 ].
Invece il timore filiale, come cresce con l'aumento della carità, così col coronamento della carità giungerà alla perfezione.
Per cui nella patria non avrà un atto del tutto identico a quello che ha ora.
A conferma di ciò si deve notare che l'oggetto proprio del timore è il male possibile, come l'oggetto proprio della speranza è il bene raggiungibile.
E poiché il moto del timore assomiglia a una fuga, il timore implica la fuga di un male grave possibile: infatti i piccoli mali non incutono timore.
Ora, come per qualsiasi essere il bene consiste nel conservare il proprio ordine, così il male consiste nell'abbandono di esso.
Ma l'ordine proprio della creatura ragionevole esige che essa sia soggetta a Dio e al di sopra delle altre creature.
Come quindi è un male per la creatura ragionevole mettersi al di sotto delle creature inferiori con l'amore, così è un male il non stare soggetta a Dio, mettendosi presuntuosamente sopra di lui o disprezzandolo.
Ora, questo male è sempre possibile alla creatura ragionevole considerata nella sua natura, per la naturale flessibilità del libero arbitrio, ma nei beati è reso impossibile dalla perfezione della gloria.
Perciò nella patria non avremo più da fuggire questo male che è il non sottomettersi a Dio, male che è possibile alla natura ma impossibile alla beatitudine.
Invece nella vita presente si ha la fuga di questo male come realmente possibile.
Quindi S. Gregorio [ Mor. 17,29 ], nel commentare quel passo del libro di Giobbe [ Gb 26,11 ]: « Le colonne del cielo si scuotono, sono prese da stupore alla sua minaccia », afferma: « Le stesse virtù dei cieli, che lo contemplano senza interruzione, nel contemplarlo tremano.
Però questo tremore, non essendo di pena, non è dovuto al timore, ma all'ammirazione »: ammirano cioè Dio come esistente sopra di loro e incomprensibile per esse.
E anche S. Agostino [ De civ. Dei 14,9 ] ammette in questo modo il timore nella patria, pur lasciando in dubbio la cosa.
« Il timore casto », egli dice, « che rimane in eterno, se sussisterà nel secolo futuro, non sarà un timore che ritrae da un male che possa capitare, ma [ sarà un timore ] che mantiene nel bene inamissibile.
Infatti là dove l'amore del bene raggiunto è immutabile, è certo che il timore del male da fuggire, se di esso si può parlare, è del tutto sicuro.
Infatti col nome di timore casto viene indicata la volontà per cui necessariamente noi non vorremo peccare, e ciò non con la preoccupazione di peccare per fragilità, ma scansando il peccato con la tranquillità della carità.
Oppure, se allora non vi potrà essere assolutamente timore di alcun genere, forse si dice che il timore dovrà sussistere in eterno nel senso che dovrà sussistere lo stato a cui quel timore conduce ».
1. Quel testo esclude dai beati il timore accompagnato dalla preoccupazione di evitare il male, ma non il timore sicuro, come dice S. Agostino.
2. Secondo Dionigi [ De div. nom. 9 ] « le medesime cose sono simili e dissimili rispetto a Dio: simili per un'imitazione dell'inimitabile », nel senso cioè che per quanto possono imitano Dio, che non è perfettamente imitabile, « e dissimili in quanto gli effetti rimangono inferiori alla causa, allontanandosi da essa in una misura che sfugge a ogni limite e a ogni comparazione ».
Se quindi a Dio non conviene il timore, non avendo egli un superiore a cui sottostare, non è detto che esso non convenga ai beati, la cui beatitudine consiste nella perfetta sottomissione a Dio.
3. La speranza implica un difetto, cioè l'assenza della beatitudine, che viene eliminato dalla beatitudine stessa.
Invece il timore implica un difetto connaturato alla creatura, cioè la sua distanza infinita da Dio: il che rimarrà anche nella patria.
Perciò il timore non sarà mai totalmente eliminato.
Indice |