Il castigo e il perdono dei peccati e il battesimo dei bambini |
Cosi dunque sia tutti coloro che in questa vita sono stati elogiati dalle Scritture divine per buona volontà e opere di giustizia, sia tutti gli altri simili a loro, che sono vissuti dopo e non sono celebrati ed esaltati dalle medesime testimonianze, o vivono anche adesso o vivranno in futuro, tutti sono grandi, tutti giusti, tutti veramente lodevoli.
Ma nessuno è senza un qualche peccato, perché in forza delle testimonianze delle Scritture ( Sal 143,2 ) per le quali crediamo ai loro elogi crediamo altresi che nessun vivente è giusto al cospetto di Dio, crediamo che Dio perciò viene supplicato perché non chiami in giudizio i suoi servi e crediamo che l'orazione del Signore da lui insegnata ai suoi discepoli è necessaria a tutti i fedeli, non solo collettivamente, ma anche singolarmente.
Ma infatti il Signore comanda: "Siate perfetti com'è perfetto il Padre vostro celeste", ( Mt 5,48 ) e non lo comanderebbe, dicono, se sapesse che è impossibile ciò che comanda.
Adesso non si cerca se tale perfezione sia possibile, intendendola nel senso che si trascorra questa vita senza alcun peccato.
Abbiamo già risposto sopra che è possibile.
Ma la questione presente è di sapere se qualcuno realizzi tale perfezione.
Ora, che nessuno esista che impegni la propria volontà nella perfezione tanto quanto essa esige fu già previsto da Dio antecedentemente, come dichiarano le testimonianze cosi importanti delle Scritture, da me riferite addietro.
Tuttavia, quando si parla della perfezione di chicchessia, bisogna vedere sotto quale aspetto se ne parla.
Ho citato per esempio poco fa un testo dell'Apostolo, dove egli riconosce di non essere ancora perfetto nell'acquisizione della giustizia da lui desiderata, e tuttavia dice subito di seguito: Quanti dunque siamo perfetti, dobbiamo avere questi sentimenti. ( Fil 3, 12.15 )
Non farebbe le due dichiarazioni insieme, se non fosse perfetto per un verso e imperfetto per l'altro.
Ammettiamo che uno sia già uditore perfetto della sapienza.
Non lo erano coloro al quali Paolo scriveva: Vi ho dato da bere latte, non un nutrimento solido, perché non ne eravate capaci.
E neanche ora lo siete. ( 1 Cor 3,2 )
Ad essi dice appunto anche questo: Tra i perfetti parliamo, si, di sapienza, ( 1 Cor 2,6 ) volendo certamente intendere i perfetti uditori della sapienza.
Uno dunque, dicevo, può essere uditore perfetto della sapienza e non ancora dottore perfetto, può essere conoscitore perfetto della giustizia e non ancora esecutore perfetto, può essere perfetto nell'amare i nemici e non ancora perfetto nel sopportare i nemici.
E se uno è perfetto perché ama tutti gli uomini, essendo arrivato appunto all'amore anche dei nemici, ci si domanda se sia già perfetto proprio nell'amore, cioè se coloro che ama li ami tanto quanto prescrive di amarli l'immutabile regola della verità.
Quando dunque si legge nelle Scritture della perfezione d'una persona, bisogna saper intuire senza negligenza sotto quale aspetto si parla di perfezione.
Non s'intende dichiarare che uno è assolutamente senza peccato per il fatto che si dice perfetto in qualche dote.
Si può inoltre parlare di perfezione in un dato settore, non nel senso che non si possa progredire ancora, ma nel senso che uno ha già progredito moltissimo.
Cosi nella conoscenza della legge uno può dirsi perfetto anche se gli sfugge qualcosa ancora.
In tal modo l'Apostolo chiamava perfetti quelli a cui scriveva: Se in qualcosa pensate diversamente, Dio vi illuminerà anche su questo.
Intanto, dal punto a cui siamo arrivati continuiamo ad avanzare sulla stessa linea. ( Fil 3,15-16 )
Non si deve nemmeno negare che Dio ci comandi d'essere tanto perfetti nell'eseguire la giustizia da evitare assolutamente qualsiasi peccato.
Non sarà infatti nemmeno peccato se si farà un'azione che Dio non proibisce di fare.
Costoro obiettano: Perché dunque Dio comanda ciò che sa che nessuno farà?
Allo stesso modo ci si può chiedere anche perché ai primi uomini che erano due soltanto abbia comandato ciò che sapeva che non avrebbero fatto.
Non possiamo dire in questo caso che lo comandò perché lo facesse qualcuno di noi, se non lo facevano essi: il divieto di mangiare di quell'albero Dio lo diede tassativamente a loro soltanto ( Gen 2,17 ) perché, come sapeva quanto essi non avrebbero fatto di giusto, cosi pure sapeva quanto egli stesso avrebbe fatto di giusto nei loro riguardi.
Sebbene dunque preveda che nessuno adempirà il suo comando, Dio ordina a tutti gli uomini di non fare alcun peccato, con il seguente criterio: rispetto a coloro che empiamente e riprovevolmente avranno disprezzato i suoi precetti egli farà nella loro condanna ciò che è giusto; rispetto poi a quelli che avranno progredito docilmente e piamente nei suoi precetti e, pur non avendoli adempiuti perfettamente, avranno rimesso agli altri i peccati come essi vogliono la remissione dei propri, egli farà nella loro purificazione ciò che è buono.
In che modo infatti è rimesso dalla misericordia di Dio a chi lo rimette, se non è peccato in che modo non è vietato dalla giustizia di Dio, se è peccato?
Obiettano costoro: Ma ecco, l'Apostolo dice: "Ho combattuto la buona battaglia, ho conservato la fede, ho terminato la mia corsa.
Ora mi resta solo la corona di giustizia". ( 2 Tm 4,7-8 )
Non lo direbbe, se avesse qualche peccato.
Ebbene, essi a loro volta rispondano come abbia potuto dirlo uno a cui restava ancora la prova cosi grave, il combattimento cosi doloroso e importante della stessa passione che aveva predetto sovrastargli.
Gli mancava forse ancora poco per terminare la corsa, quando gli mancava l'assalto dove il nemico si sarebbe fatto più aspro e crudele?
Paolo con quelle parole espresse gioiosamente la propria certezza e sicurezza, avendolo ormai reso certo e sicuro della vittoria nel futuro combattimento cosi importante, colui che gli aveva rivelato l'imminenza della medesima passione; non volle quindi indicare una realtà già piena, quanto invece la sua ferma speranza come se fosse già fatto quanto preconosceva come futuro.
Se dunque alle sue parole avesse anche aggiunto la dichiarazione: "Non ho alcun peccato", interpreteremmo che avrebbe fatto anche tale dichiarazione non della perfezione della realtà già raggiunta, ma della perfezione della realtà da raggiungere.
Tanto infatti rientrava nella conclusione della sua corsa l'assenza d'ogni peccato, che essi ritengono già completa in lui al momento in cui scriveva, quanto nella conclusione della sua corsa rientrava pure il superamento dell'avversario nella battaglia della passione: cosa che al momento in cui scriveva, essi stessi lo devono ammettere, doveva ancora compiersi.
Noi dunque diciamo che doveva ancora compiersi perfettamente ciò che egli, in quel momento, fiduciosissimo ormai della promessa di Dio, presentava come se fosse stato compiuto.
Alla conclusione della sua corsa apparteneva altresì che egli rimettesse i peccati ai suoi debitori e pregasse che ugualmente gli si rimettessero i propri. ( Mt 6,12 )
Per questa promessa del Signore egli era certissimo che nell'ora finale, ancora futura, ma da lui espressa fiduciosamente come già passata, non avrebbe avuto alcun peccato.
Infatti, per omettere altre cose, mi meraviglierei se, quando scriveva quello che a costoro lo fa credere senza peccato, gli fosse già stato tolto lo stimolo della carne, per il cui allontanamento aveva pregato tre volte il Signore ricevendo la risposta: Ti basta la mia grazia; la mia potenza infatti si manifesta pienamente nella debolezza umana. ( 2 Cor 12,9 )
Alla perfetta costruzione di tanto personaggio fu necessario che non gli fosse tolto quell'angelo di satana, dal quale veniva schiaffeggiato, perché non s'insuperbisse per la grandezza delle rivelazioni.
E si oserà credere o dire che qualcuno posto sotto il peso di questa vita sia pienamente mondo da ogni peccato?
Esistono senza dubbio uomini tanto eccellenti nella giustizia che Dio si metta a parlare con loro da una colonna di nubi, quali Mosè e Aronne tra i suoi sacerdoti e Samuele tra quanti invocano il suo nome. ( Sal 99,6-7 )
Di Samuele la Scrittura verace esalta con grandi lodi la pietà e l'innocenza fin dall'inizio della sua puerizia, da quando la madre per lo scioglimento d'un voto lo presentò al tempio di Dio e lo destinò al servizio del Signore.
Tuttavia anche in riferimento a tali personaggi è scritto: Eri per loro un Dio paziente, pur castigando tutti i loro peccati. ( Sal 99,8 )
Precisamente sui figli della condanna si vendica adirato, sui figli della grazia viceversa si vendica paziente, perché corregge chi ama e sferza chiunque riconosce come figlio. ( Pr 3,12; Eb 12,6 )
Ora, nessuna vendetta, nessuna correzione, nessun flagello di Dio è dovuto se non al peccato, eccettuato colui che fu appositamente preparato ai flagelli ( Sal 38,18 ) cosi da sperimentarli tutti nella sua carne somigliante a quella del peccato, ma senza il peccato, allo scopo di essere il Sacerdote che, Santo dei santi, intercedesse anche per i santi, ciascuno dei quali senza mentire dice di sé: Rimetti a noi i nostri debiti, come noi li rimettiamo ai nostri debitori. ( Mt 6,12 )
Poniamo che coloro che discutono contro queste verità, siano lodevoli per castità di vita e per condotta morale e non esitino a fare quello che al ricco desideroso di consiglio per il conseguimento della vita eterna, e che aveva dichiarato di aver già osservato tutti i precetti della legge, il Signore comandò di fare se voleva essere perfetto, cioè vendere quanto possedeva e darlo ai poveri trasferendo cosi il suo tesoro in cielo, tuttavia nessuno nemmeno di costoro osa dire d'essere senza peccato. ( Mt 19,20-21 )
E lo dicono, come crediamo, senza falsità d'animo.
Se poi mentiscono, cominciano per questo stesso o ad avere un peccato di più o ad avere almeno un peccato.
Vediamo ordunque la questione che ho messo al terzo posto.
Poiché l'uomo, aiutandolo nella sua volontà la grazia divina, può vivere in questa vita senza peccato, al quesito come mai ciò non avvenga potrei con molta facilità e verità rispondere: perché gli uomini non vogliono.
Ma se mi si chiede perché non vogliano, andiamo per le lunghe.
Tuttavia dirò brevemente anche questo senza pregiudizio d'un esame più diligente.
Gli uomini non vogliono fare ciò che è giusto per due ragioni: e perché rimane occulto se sia giusto e perché non è dilettevole.
Infatti tanto più fortemente noi vogliamo qualcosa quanto meglio conosciamo la grandezza della sua bontà e quanto più ardentemente ci diletta.
Ignoranza dunque e debolezza sono i vizi che impediscono alla volontà di determinarsi a fare un'opera buona o ad astenersi da un'opera cattiva.
Ma che diventi noto quello che era nascosto e soave quello che non dilettava è dono della grazia di Dio, la quale aiuta le volontà degli uomini: e che queste non siano aiutate da essa dipende dagli uomini stessi e non da Dio, tanto se sono predestinati ad essere condannati per la malizia della loro superbia, quanto se sono predestinati ad essere giudicati e corretti della loro stessa superbia, come figli della misericordia.
Perciò Geremia, dopo aver detto: Lo so, Signore, che l'uomo non è padrone della sua via e non è in potere di chi cammina dirigere i suoi passi, subito soggiunge: Correggimi, Signore, ma con giusta misura, non secondo la tua ira. ( Ger 10,23-24 )
Come se dicesse: "So che è un castigo il fatto di non essere aiutato da te a camminare perfettamente bene; anche questo tuttavia non lo fare nei miei riguardi con l'ira con la quale hai stabilito di condannare i malvagi, ma con la giusta misura con la quale insegni ai tuoi a non insuperbirsi".
Tanto che altrove si legge: Mi aiutino i tuoi giudizi. ( Sal 119,175 )
Ma al fondo di ogni nostro peccato c'è la superbia.
Perciò non accusare Dio per le colpe degli uomini. Di tutti i vizi umani ha colpa la superbia.
A condannarla e toglierla è venuta dal cielo questa medicina: all'uomo che si era innalzato per superbia l'umile Dio è disceso per misericordia, mostrando chiara e manifesta la sua grazia nell'uomo stesso che con tanta carità assunse a preferenza dei suoi compagni.
Infatti nemmeno questo stesso uomo cosi unito con il Verbo di Dio cosi da diventare il solo ed unico soggetto della consistenza, nello stesso tempo, del Figlio di Dio e del Figlio dell'uomo, ottenne ciò per meriti precedenti della sua volontà.
Uno solo egli appunto doveva essere: ce ne sarebbero invece due, tre e ancora di più, se ciò fosse possibile non per un dono proprio di Dio, ma per il libero arbitrio dell'uomo.
È questo dunque che viene soprattutto sottolineato, è questo che principalmente s'insegna e s'impara, per quanto oso giudicare, dai tesori di sapienza e di scienza nascosti nel Cristo. ( Eb 1,9; Col 2,3 )
Proprio per questa ragione ciascuno di noi ora sa e ora non sa iniziare, tirare avanti e finire una buona azione, ora ne sente diletto e ora non ne sente diletto: perché impari che non è in suo potere, ma è dono divino la sua scienza o il suo diletto, e cosi guarisca dalla vanità della superbia e conosca con quanta verità sia stato detto, non di questa terra, ma in senso spirituale: Il Signore donerà la soavità e la nostra terra produrrà il suo frutto. ( Sal 85,13 )
Tanto più dilettevole è una buona azione quanto più si ama Dio, somma e immutabile bontà e autore di tutti i beni di qualsiasi genere.
Perché poi si ami Dio, l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori, non per merito nostro, ma per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )
Ma ci sono taluni che si affannano a trovare nella nostra volontà quale bene sia nostro senza che ci venga da Dio, ed io ignoro come si possa trovare.
Io accetto infatti la dichiarazione dell'Apostolo che parlando dei beni dell'uomo dice: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto?
E se l'hai ricevuto, perché te ne vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Perfino la stessa esplorazione che possiamo tentare noi, per quello che siamo, su questi problemi, butta violentemente nell'ansia ciascuno di noi che ne cerca la soluzione, per il timore che il tono della nostra difesa della grazia ci faccia apparire come negatori del libero arbitrio e viceversa il tono della nostra affermazione del libero arbitrio ci faccia giudicare ingrati alla grazia di Dio per superba empietà.
Alcuni però hanno voluto difendere la dichiarazione dell'Apostolo che ho ricordato in questo modo: In tanto tutto quello che l'uomo ha di buono perfino nella volontà è da attribuirsi a Dio in quanto anche questo non potrebbe esserci nell'uomo, se l'uomo stesso non esistesse.
Ma, poiché l'esistenza d'ogni cosa e l'esistenza dell'uomo non dipende se non da Dio, perché mai non si dovrebbe attribuire a Dio come causa anche tutto quello che di buono c'è nella volontà dell'uomo e che non esisterebbe, se non esistesse l'uomo dove poter esistere?
Ma in questo modo si può dire che anche la cattiva volontà deve attribuirsi a Dio come causa, perché nemmeno essa potrebbe esistere nell'uomo, se non esistesse l'uomo dove poter esistere.
Ora, che l'uomo esista dipende da Dio, e cosi dipenderebbe da Dio anche la cattiva volontà dell'uomo, la quale non potrebbe esistere in nessun modo, se non avesse per soggetto l'uomo.
E dir questo è un sacrilegio.
Perciò, se non mettiamo al sicuro che, non solo l'arbitrio della volontà, che si flette liberamente da una parte o dall'altra ed è tra quei beni naturali di cui un soggetto cattivo può usare anche malamente, ma altresì la volontà buona, che è già tra quei beni non usabili malamente, non la possiamo avere se non da Dio, non so in che modo riusciremo a difendere il testo: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Perché, se da Dio riceviamo la volontà libera, indecisa ancora tra l'essere buona o cattiva, e se invece la volontà buona viene da noi, quello che viene da noi è meglio di quello che viene da Dio.
Poiché questa è un'affermazione assurdissima, costoro devono per forza riconoscere che riceviamo da Dio anche la volontà buona.
A parte poi la stranezza che la volontà possa fermarsi cosi a mezza strada senza essere né buona né cattiva.
Infatti, o amiamo la giustizia e la volontà è buona - più buona se l'amiamo di più, meno buona se l'amiamo di meno -, o non è buona se non l'amiamo affatto.
Chi poi esita a dire non solo cattiva, ma anche pessima la volontà che non ama in nessun modo la giustizia?
Se dunque la volontà o è buona o è cattiva, e se la volontà cattiva non la riceviamo da Dio, resta che da Dio riceviamo la volontà buona.
Altrimenti non saprei di quale altro dono di Dio dovremmo godere, quando veniamo giustificati da lui.
Per questo credo che sia stato scritto: Dal Signore viene preparata la volontà, ( Pr 8,35 ) e nei Salmi: Il Signore fa sicuri i passi e l'uomo e segue con amore il suo cammino, ( Sal 37,23 ) e quello che dice l'Apostolo: È Dio infatti che suscita in voi il volere e l'operare secondo i suoi benevoli disegni. ( Fil 2,13 )
Poiché dunque dipende da noi convertirci ad altro contro Dio, e questa è volontà cattiva, e invece se Dio non ci previene e non ci aiuta, non possiamo convertirci a lui, e questa è volontà buona, che cosa possediamo che non abbiamo ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
Se poi l'abbiamo ricevuto, perché ce ne gloriamo come se non l'avessimo ricevuto?
E quindi, perché chi si vanta si vanti nel Signore, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 ) per quelli a cui Dio ha voluto donare di convertirsi a lui ciò dipende dalla sua misericordia e non dai loro meriti, per quelli a cui viceversa non l'ha voluto donare ciò dipende dalla sua verità.
Ai peccatori infatti è dovuta una giusta pena, perché misericordia e verità ama il Signore Dio, ( Sal 85,12 ) la misericordia e la verità s'incontrano, ( Sal 85,11 ) tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )
Chi potrebbe dire quanto spesso la divina Scrittura ricordi questi due attributi congiuntamente?
Qualche volta anche mutando i vocaboli e ponendo il termine di grazia al posto di misericordia, come nel testo: Noi vedemmo la sua gloria, gloria come di Unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità, ( Gv 1,14 ) a volte ponendo il termine di giudizio al posto di verità, come nel testo: La tua misericordia e il tuo giudizio voglio cantare, Signore. ( Sal 101,1 )
Perché poi di alcuni voglia la conversione a lui e di altri la punizione per diversione da lui è in ogni modo una scelta che compete a lui di una giustizia troppo arcana per noi.
Quantunque, nessuno lo potrebbe giustamente riprendere per la sua misericordia nell'elargizione di un beneficio e nessuno lo potrebbe giustamente riprendere per la sua giustizia nell'imposizione d'un castigo.
Come nessuno può giustamente incolpare in quegli operai evangelici il padrone di pagare agli uni la mercede concordata ( Mt 20,9-10 ) e di regalare anche agli altri la mercede non concordata.
Dio ci vuole soprattutto umili nella lotta vigile e nella preghiera ardente.
19 - Noi, per quanto c'è concesso, cerchiamo d'avere la sapienza e l'intelligenza di questa convinzione, se possiamo: il Signore, Dio buono, non dona nemmeno ai suoi santi o la scienza certa o la dilettazione vittrice di qualche giusta azione, perché sappiano che non da se stessi, ma da lui ricevono la luce che illumina le loro tenebre e la soavità che fa dare alla loro terra il suo frutto. ( Lc 1,79; Sal 85,13 )
19.33 - Ora, quando imploriamo da Dio il suo aiuto per fare la giustizia e farla perfettamente, che altro imploriamo se non che apra per noi quanto era chiuso e renda soave quanto non era dilettevole?
Perfino la necessità di chiedere quest'aiuto l'abbiamo imparata per sua grazia, mentre prima c'era nascosta, e per sua grazia siamo arrivati ad amare questa preghiera, mentre prima non ci dilettava, perché chi si vanta si vanti nel Signore ( 1 Cor 1,31 ) e non in sé.
Questo levarsi in superbia dipende dalla propria volontà degli uomini, non da un intervento di Dio: non è Dio infatti che li spinge o li aiuta a ciò.
Precede dunque nella volontà dell'uomo una certa brama della propria indipendenza che lo fa disobbedire per superbia.
Ora, se non ci fosse questa brama, niente sarebbe molesto e l'uomo, come ha scelto di disobbedire, cosi avrebbe fatto senza difficoltà la scelta d'obbedire.
Ma da debita e giusta pena è venuto che obbedire alla giustizia rechi ormai molestia.
È un vizio questo che, se non viene superato dalla grazia adiuvante, non c'è per nessuno la conversione alla giustizia, e se non viene risanato dalla grazia operante, non c'è per nessuno la fruizione della pace della giustizia.
Ma con quale grazia è superato e risanato se non con la grazia di colui al quale si dice: Rialzaci, Dio, nostra salvezza, e placa il tuo sdegno verso di noi? ( Sal 85,5 )
Se lo fa, è per sua misericordia che lo fa, cosi da dover noi dire: Non ci tratta secondo i nostri peccati, non ci ripaga secondo le nostre colpe. ( Sal 103,10 )
E a quelli che non lo fa è per un suo giusto giudizio che non lo fa.
E chi potrà dire: "Che cosa hai fatto?", a colui del quale dai santi si canta devotamente la misericordia e il giudizio? ( Sal 101,1 )
La ragione per cui risana con ritardo anche i suoi santi e i suoi fedeli in alcuni vizi, dove provano che per liberarsene e compiere integralmente la giustizia non è sufficiente l'attrattiva del bene, sia quello nascosto, sia anche quello manifesto, è perché si possa dire che nessun vivente è giusto al suo cospetto, ( Sal 143,2 ) secondo l'integerrima regola della sua verità.
Né in questa maniera egli vuole la nostra condanna, ma la nostra umiltà, raccomandandoci la stima della sua grazia, perché noi, raggiunta la facilità in tutte le situazioni, non riteniamo nostro quello che è suo dono: un errore questo che è molto contrario alla religione e alla pietà.
Né ciò tuttavia c'induca a credere di dover rimanere nei medesimi vizi; ma principalmente contro la stessa superbia, a causa della quale siamo umiliati in essi, noi dobbiamo per un verso combattere vigilantemente e per l'altro pregare Dio ardentemente, consapevoli che tanto il nostro combattere quanto il nostro pregare sono suoi doni, perché in tutto, non abbassando gli occhi su di noi, ma elevando il cuore al cielo, rendiamo grazie al Signore nostro Dio e se ci vantiamo sia in lui il nostro vanto. ( 1 Cor 1,31 )
Resta ormai la quarta questione: non solo se tra i figli degli uomini esista, ma anche se sia mai potuto esistere o possa esistere in avvenire qualcuno che non abbia avuto o che in futuro non avrà assolutamente nessun peccato.
Con la soluzione di tale questione, come ci consentirà l'aiuto del Signore, avrà finalmente termine anche questo nostro discorrere tanto prefisso.
È certissimo che all'infuori assolutamente dell'unico Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 1,8 ) non esiste, non è esistito, non esisterà un tale uomo.
A questo proposito abbiamo già detto molto parlando del battesimo dei bambini.
Se essi non hanno nessun peccato, non solo esistono innumerevoli uomini senza peccato, ma sono anche esistiti ed esisteranno.
Ma se rimane vero e fermo ciò di cui abbiamo trattato nel secondo punto, che nessuno è senza peccato, certamente nemmeno i bambini sono senza peccato.
Da questo si trae che, pur ammessa la possibilità che qualcuno in questa vita abbia potuto perfezionarsi tanto nella virtù da raggiungere la pienezza della giustizia con l'esclusione di qualsiasi peccato, costui tuttavia sarebbe stato senza dubbio in peccato precedentemente e poi sarebbe stato convertito da quella sua condizione a questa novità di vita.
Altro era infatti il quesito del secondo punto, altro è il quesito di questo quarto punto.
Nel secondo si cercava se qualcuno in questa vita con la grazia di Dio e con la forza della volontà giunga ad una vita perfetta che sia assolutamente immune da ogni peccato.
In questo quarto punto si cerca invece se esista tra gli uomini o abbia potuto o possa esistere in futuro, non qualcuno che dal peccato giunga alla più perfetta giustizia, ma qualcuno che non sia mai stato implicato per nessun verso in nessun peccato.
Perciò, se è vero quello che con tanta profusione abbiamo detto dei bambini, nessuno c'è, né ci fu, né ci sarà tra i figli degli uomini in tale condizione, all'infuori dell'unico Mediatore, in cui è riposta per noi la propiziazione e la giustificazione, ( Rm 3,25 ) mediante la quale si pone fine alle inimicizie dei peccati e veniamo riconciliati con Dio. ( Rm 5,10 )
Non sarà fuori tema se, per quanto sembri bastare al presente argomento, partendo dalle origini stesse del genere umano ripeteremmo alcune verità che possano illuminare l'animo del lettore contro certe difficoltà che lo potrebbero impressionare.
Dopo che i primi uomini, Adamo unico maschio ed Eva sua moglie derivata da lui, non vollero prestare obbedienza al precetto di Dio, furono colpiti da una giusta e debita pena.
Il Signore infatti aveva minacciato che sarebbero stati certamente vittime della morte il giorno che avessero mangiato il cibo proibito. ( Gen 2,17 )
All'inizio dunque avevano ricevuto il permesso di prendere il cibo da ogni albero del paradiso dove Dio aveva piantato anche l'albero della vita.
Poi erano stati esclusi unicamente dall'albero che Dio chiamò della scienza del bene e del male a indicare le conseguenze dell'esperienza che avrebbero fatta, sia in ciò che avrebbero provato di bene se avessero aspettato il divieto, sia in ciò che avrebbero provato di male se l'avessero trasgredito.
È certamente esatto pensare che prima della maligna seduzione del diavolo si siano astenuti dal cibo vietato e ancor prima abbiano fatto uso dei cibi concessi, e cioè di tutti gli alberi e principalmente dell'albero della vita. ( Gen 2, 9.16-17 )
Sarebbe troppo assurdo pensare che si siano alimentati con gli altri alberi e non invece anche con l'albero della vita che era ugualmente permesso e che aveva il vantaggio preminente di non lasciar cambiare i loro corpi, benché animali, attraverso il succedersi delle età e di non lasciarli invecchiare per la morte.
Era in grado l'albero della vita di assicurare questo beneficio al corpo umano con il suo frutto materiale, e con la sua significazione mistica indicava quali benefici fossero conferiti per mezzo della sapienza, di cui era simbolo, all'anima razionale, perché, resa vivace dal nutrimento della sapienza, non cadesse affatto nella malattia e nella morte del peccato.
Giustamente della sapienza si dice: È un albero di vita per chi ad essa si attiene. ( Pr 3,18 )
Ciò che era l'albero della vita nel paradiso del corpo, lo era la sapienza nel paradiso dello spirito: quello dava vigoria vitale ai sensi dell'uomo esteriore, questa ai sensi dell'uomo interiore, senza alcun deterioramento per il volgere del tempo.
Vivevano dunque sottomessi a Dio, essendo stata inculcata moltissimo a loro la pietà dell'obbedienza, che sola onora Dio.
Quanto valga per se stessa e come basti da sola a custodire nella sottomissione al Creatore la creatura razionale Dio non lo poteva mettere meglio in evidenza che proibendo a loro un albero non cattivo.
Era assolutamente impossibile che il Creatore del bene, il quale ha fatto tutte le cose ed erano molto buone, ( Gen 1,31 ) piantasse alcunché di cattivo nella fertilità di quel paradiso, considerato anche materialmente.
Ma perché l'uomo, al quale era utilissimo servire sotto un tale Padrone, capisse quanto fosse grande la bontà della sola obbedienza, che era stata l'unica prestazione richiesta dal Padrone al servitore e che conveniva non al dominio del Padrone, ma piuttosto agli interessi del servitore, fu proibito ai primi uomini un albero che a farne uso senza la proibizione non avrebbe recato a loro assolutamente nessun male.
Dal male che incorsero usando di esso dopo la proibizione si veniva a capire sufficientemente che quel male non fu causato a loro da un albero pernicioso con il suo frutto nocivo, ma solamente dalla violazione dell'obbedienza.
Prima dunque che la violassero piacevano a Dio e Dio piaceva a loro.
Sebbene portassero un corpo animale, non avvertivano in esso nessun movimento di disobbedienza contro di loro.
Era effetto dell'ordine della giustizia: avendo la loro anima ricevuto dal Signore il corpo in qualità di servitore, come l'anima stessa obbediva al suo Signore, cosi a lei doveva obbedire il suo corpo e prestare senza resistenza alcuna quel genere di servizio appropriato a lei.
Per questo ed erano nudi e non ne provavano vergogna. ( Gen 2,25 )
Ciò appunto di cui l'anima razionale per pudore di natura si vergogna adesso è di non poter ottenere, non so per quale infermità, che nella carne, sul cui servizio ha ricevuto diritto potestativo, le membra non si muovano se essa non vuole che si muovano e si muovano se essa vuole che si muovano.
Giustamente queste membra in ogni persona casta si chiamano pudende, proprio perché si eccitano a loro piacere contro il dominio della mente, quasi fossero autonome, e l'unico potere che esercitano su di esse i freni della virtù è di non lasciarle arrivare a perversioni immonde e illecite.
Quindi tale disobbedienza della carne, che consiste nello stesso suo movimento istintivo, anche se non gli si permette d'avere effetto, non esisteva allora nei primi uomini, quando erano nudi e non se ne confondevano.
Non si era ancora prodotta appunto la disobbedienza dell'anima razionale, signora della carne, contro il suo Signore, disobbedienza che per reciprocità di pena la portò a sperimentare la disobbedienza della carne, sua ancella, con un certo senso di vergogna e di molestia, che ovviamente l'anima stessa con la sua disobbedienza non inflisse a Dio.
Non reca infatti a Dio né vergogna né molestia se noi disobbediamo a lui, perché non possiamo diminuire in nessun modo il suo supremo potere su di noi, ma a noi deve recare vergogna che la carne non stia sottomessa al nostro comando, perché ciò avviene per l'infermità meritata da noi peccando e che è chiamata peccato che abita nelle nostre membra. ( Rm 7, 17.23 )
Questo poi è un peccato cosi speciale da essere pena del peccato.
Infine, dopo che fu commessa quella trasgressione e l'anima disobbedendo si rivoltò contro la legge del suo Signore, il servitore dell'anima, cioè il suo corpo, cominciò a sentire contro di essa la legge della disobbedienza e quegli uomini si vergognarono della loro nudità, avendo avvertito in sé un movimento che non avevano sentito prima, ed è questa avvertenza che è stata detta apertura degli occhi, ( Gen 3,7 ) perché certamente non vagavano ad occhi chiusi tra quegli alberi.
Anche di Agar nello stesso senso è scritto: Dio le aprì gli occhi ed essa vide un pozzo d'acqua. ( Gen 21,19 )
Fu allora che quegli uomini si coprirono le parti pudende: essi coprirono di vergogna le parti che Dio aveva fatte membra per essi.
Da Adamo si propagò e continua a propagarsi il peccato, la carne del peccato, la morte, la fatica, il dolore.
Da questa legge del peccato nasce la carne del peccato, che dev'essere purificata mediante il sacramento di colui che è venuto nella somiglianza della carne del peccato ( Rm 8,3 ) per distruggere il corpo del peccato, chiamato anche corpo di questa morte. ( Rm 6,6 )
Da esso non libera questo povero uomo se non la grazia di Dio per Gesù Cristo nostro Signore. ( Rm 7,24-25 )
Cosi infatti dai primi uomini questa legge iniziatrice di morte passò nei posteri alla stessa maniera della fatica che tutti gli uomini soffrono in terra, alla stessa maniera delle doglie del parto che passarono nelle donne. ( Gen 3,16 )
Queste furono infatti le pene che i primi uomini meritarono per sentenza di Dio quando furono castigati per il peccato, e vediamo che esse hanno esecuzione non solo in loro, ma anche nei loro successori, più in alcuni e meno in altri, comunque in tutti.
Dunque la prima giustizia di quei primi uomini fu di obbedire a Dio e di non avere nelle membra questa legge della concupiscenza contrastante con la legge della loro mente. ( Rm 7,23 )
Mentre adesso, poiché è nata da essi dopo il loro peccato la nostra carne di peccato, è già molto se quanti obbediscono a Dio riescono a non soddisfare i desideri della medesima concupiscenza ( Rm 6,12 ) e a crocifiggere in se stessi la carne con le sue passioni e brame, perché siano di Gesù Cristo, che ha rappresentato nella sua croce tale spiritualità, quelli a cui per sua grazia ha dato il potere di diventare figli di Dio.
Non a tutti gli uomini infatti ha dato di rinascere a Dio mediante lo Spirito, ma a coloro che l'hanno accolto, nati al secolo mediante la carne. ( Gv 3,5 )
Cosi è stato detto di essi: A quanti però l'hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio, e questi non da carne, non da sangue, non da volere di uomo, non da volere di carne, ma da Dio sono stati generati. ( Gv 1,12-13 )
Soggiunge immediatamente: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi, ( Gv 1,14 ) come se dicesse: Si è compiuto certamente un grande evento col nascere a Dio da Dio in coloro che prima erano nati dalla carne al secolo, benché creati dallo stesso Dio.
Ma un evento ancora molto più meraviglioso sta in questo: mentre per costoro fu naturale nascere dalla carne e fu invece un dono nascere da Dio, per elargire questo dono colui che è nato da Dio per sua natura si è degnato per sua misericordia di nascere anche dalla carne.
Questo valgono le parole: E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi.
In tanto, dice l'evangelista, è avvenuto che noi, benché carne nata dalla carne, col nascere poi dallo Spirito fossimo spirito e abitassimo con Dio, in quanto anche Dio nato da Dio, col nascere poi dalla carne si fece carne e abitò tra noi.
Il Verbo infatti che si fece carne, era in principio ed era Dio presso Dio. ( Gv 1,14 )
Nondimeno la sua stessa partecipazione alla nostra inferiorità, avvenuta per rendere possibile la nostra partecipazione alla sua superiorità, ha tenuto anche nella nascita della sua carne una certa linea mediana: noi siamo nati nella carne del peccato, ( Rm 8,3 ) egli è nato invece in una carne somigliante a quella del peccato; noi siamo nati non solo da carne e da sangue, ( Gv 1,13 ) ma anche da volere di uomo e da volere di carne, egli invece è nato da carne e da sangue soltanto, non da volere di uomo né da volere di carne, ma da Dio.
Quindi noi siamo nati per morire a causa del peccato ed egli è nato senza peccato per morire per noi.
Inoltre come la sua inferiorità con la quale discese fino a noi non era alla pari in tutto con la nostra inferiorità, nella quale ci ha trovati in terra, ( Rm 5, 6.9; 1 Cor 15,3; 2 Cor 5,15 ) cosi la nostra superiorità con la quale noi ascendiamo fino a lui non sarà pari alla sua superiorità nella quale lo troveremo in cielo.
Noi infatti diventeremo figli di Dio per sua grazia, egli era Figlio di Dio da sempre per natura; noi, convertiti finalmente a Dio, aderiremo a Dio, ma non saremo pari a Dio; ( Mt 3,17; Lc 3,22 ) egli, mai convertito ad altro contro Dio, rimane uguale a Dio. ( Fil 2,6 )
Noi saremo partecipi della vita eterna, egli è la vita eterna.
Egli è dunque il solo che, rimanendo Dio, anche dopo essersi fatto uomo, non ha mai avuto nessun peccato e non ha assunto la carne del peccato, benché abbia assunto carne dalla materna carne del peccato.
Quanto di carne infatti prese dalla madre egli certamente o lo mondò prima per prenderlo o lo mondò nel prenderlo.
Nei riguardi quindi della Vergine sua Madre, la quale non lo concepì per la legge della carne del peccato, cioè in forza dell'esercizio della concupiscenza carnale, ma meritò con la dedizione della sua fede che quel santo Germe sbocciasse in lei, egli fu il Creatore che la elesse, e la elesse per essere sua creatura.
Se dunque la carne immune da peccato è stata battezzata per essere modello da imitare, quanto più si deve battezzare la carne del peccato per la condanna da evitare!
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