Instrumentum Laboris |
Dopo che i due discepoli di Emmaus avevano confidato a Gesù le ragioni della loro tristezza e del venir meno della loro speranza, Gesù « disse loro: "Sciocchi e tardi di cuore nel credere alla parola dei profeti!
Non bisognava che il Cristo sopportasse queste sofferenze per entrare nella sua gloria?"
E cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui » ( Lc 24,25-27 ).
È, quindi, Gesù stesso che annuncia la sua risurrezione e conduce i due discepoli alla fede.
Rimandando ai profeti che l'hanno preceduto, spiega il disegno dell'amore luminoso e misterioso di Dio: la passione e la morte non contraddicono l'azione liberatrice del Messia, ma sono la via scelta da Dio per comunicare agli uomini la sua « gloria », ossia il suo amore che salva e redime.
Ed è grazie a questo annuncio - che ripercorre tutta la storia della prima alleanza e che trova il suo sigillo definitivo e incontrovertibile nel riconoscimento del Signore allo spezzare del pane - che il loro cuore si scalda e i due riacquistano la speranza smarrita.
Il racconto di Emmaus ci si presenta così come una lunga catechesi tutta orientata a condurre i discepoli alla fede nella risurrezione di Gesù Cristo consegnato alla morte.
Quale riflesso fedele dell'insegnamento della Chiesa primitiva, questo testo rimane paradigmatico anche per la Chiesa di oggi e per la sua azione pastorale, che si risolve in una paziente, continua, tenace e coraggiosa testimonianza e predicazione destinate a far nascere e crescere la fede in Gesù Cristo risorto da morte, fonte e sostegno della speranza ferma e duratura.
Come scrive, infatti, san Paolo, « se noi abbiamo avuto speranza in Cristo soltanto in questa vita, siamo da compiangere più di tutti gli uomini » ( 1 Cor 15,19 ).
Anche la Chiesa è chiamata nella storia ad annunciare Cristo risorto.
Essa - ieri, come oggi e sempre, in qualunque angolo della terra come in Europa - non è mandata a dire se stessa, ma a dire Cristo crocifisso e risorto.
Così ha fatto fin dalle origini, come risulta dalla prima predica di Pietro nel giorno di Pentecoste: « Uomini d'Israele, ascoltate queste parole: Gesù di Nazaret - uomo accreditato da Dio presso di voi per mezzo di miracoli, prodigi e segni, che Dio stesso operò fra di voi per opera sua, come voi ben sapete - dopo che, secondo il prestabilito disegno e la prescienza di Dio, fu consegnato a voi, voi l'avete inchiodato sulla croce per mano di empi e l'avete ucciso.
Ma Dio lo ha risuscitato, sciogliendolo dalle angosce della morte, perché non era possibile che questa lo tenesse in suo potere …
Sappia dunque con certezza tutta la casa di Israele che Dio ha costituito Signore e Cristo quel Gesù che voi avete crocifisso! » ( At 2,22-24.36 ).
Con queste parole di Pietro, la Chiesa delle origini come quella di ogni epoca della storia proclama con certezza che Gesù Cristo è vivo, opera nel presente e cambia la vita.
Così fa in ogni tempo, perché « la Risurrezione di Gesù è la verità culminante della nostra fede in Cristo, creduta e vissuta come verità centrale dalla prima comunità cristiana, trasmessa come fondamentale dalla Tradizione, stabilita dai documenti del Nuovo Testamento, predicata come parte essenziale del Mistero pasquale insieme con la croce: "Cristo è risuscitato dai morti.
Con la sua morte ha vinto la morte, ai morti ha dato la vita" ( Liturgia bizantina, Tropario di Pasqua ) ».27
Questa è stata l'intenzione più profonda anche del Concilio Vaticano II, che il Sinodo intende riprendere e fare propria: proclamare alla Chiesa stessa e annunciare al mondo « Cristo, nostro principio, Cristo, nostra via e nostra guida!
Cristo, nostra speranza e nostro termine ».28
Né si può dimenticare che nel Cristo morto e risorto si rivela in pienezza la gloria di Dio.
Gesù è la speranza dell'uomo, dell'Europa e del mondo perché è la via unica e universale che conduce al Padre ( cfr. Gv 14,6-7 ), fondamento e termine ultimo della vita di ogni persona e di ogni realtà, perché tra lui e il Padre c'è una sublime, ineffabile e reciproca immanenza ( cfr. Gv 14,10 ), perché lui e il Padre sono una cosa sola ( cfr. Gv 10,30 ), perché è Dio lui stesso.
27. Ed è proprio in forza di questa fede e dell'incontro con il Risorto che, come per i discepoli di Emmaus, è possibile anche alla Chiesa, alle donne e agli uomini di oggi tornare indietro nella storia, leggere le Scritture e scoprire già nelle pagine dell'antica alleanza i segni, le figure, le impronte della presenza di Cristo: realtà anticipatrici e prefigurative di ciò che nel Crocifisso Risorto si sarebbe realizzato in pienezza.
Così ha fatto Pietro nel giorno di Pentecoste, quando, rileggendo i fatti della vita di Cristo che conducevano a professarlo come Messia e Signore, portava la testimonianza delle Scritture vedendo in esse una precisa intenzionalità orientata a Gesù ( cfr. At 2,17-21.25-28.34-35 ).
Così ha fatto Paolo quando - rileggendo la storia di Israele e, in particolare, il fatto dell'acqua scaturita dalla roccia a Massa e Meriba ( cfr. Es 17,1-7; Nm 20,1-11 ) - afferma: « tutti bevvero la stessa bevanda spirituale: bevevano infatti da una roccia spirituale che li accompagnava, e quella roccia era il Cristo » ( 1 Cor 10,4 ).
Così anche noi possiamo e dobbiamo rileggere le pagine della Scrittura e ritrovare in esse segni, fatti e parole che sono « figura » di Cristo e della sua presenza.
In tal modo, ci sarà dato di guardare anche ai momenti di difficoltà, di stanchezza e di prova senza perdere la speranza, certi che - come, nell'uscire dall'Egitto, il Signore non abbandonò gli israeliti nel deserto, ma « marciava alla loro testa di giorno con una colonna di nube, per guidarli sulla via da percorrere, e di notte con una colonna di fuoco per far loro luce, così che potessero viaggiare giorno e notte » ( Es 13,21 ) - anche oggi lo stesso Signore è presente e guida il suo popolo in ogni vicenda della storia.
Come pure potremo ripetere con il profeta Sofonia « Gioisci, figlia di Sion, esulta, Israele, e rallegrati con tutto il cuore, figlia di Gerusalemme!
[…] Re d'Israele è il Signore in mezzo a te, tu non vedrai più la sventura […]
Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia!
Il Signore tuo Dio in mezzo a te è un salvatore potente.
Esulterà di gioia per te, ti rinnoverà con il suo amore, si rallegrerà per te con grida di gioia, come nei giorni di festa » ( Sof 3,14-18 ), perché sappiamo che queste affermazioni trovano in Cristo risorto il loro compimento definitivo.
Ed è sempre in forza della medesima fede nel Signore risorto e dell'incontro con lui, vivente e presente, che possiamo e dobbiamo guardare con occhi nuovi alla storia degli uomini e del mondo - e, quindi, alle vicende passate e presenti dell'Europa - scoprendo negli eventi e nelle persone un riferimento a Cristo e al suo essere il « Dio con noi ».
Guidati e illuminati dagli occhi nuovi della fede, che ci fanno riconoscere in Cristo crocifisso e risorto il centro della storia e il cuore del mondo, non ci è difficile notare che, nella nostra Europa, i processi di secolarizzazione, o più propriamente di scristianizzazione, che talvolta portano drammaticamente a una sorta di diffuso neopaganesimo, non sono certo terminati anche se consistente e diffusa appare una nuova domanda di spiritualità e di religiosità.
Quest'ultima, infatti, non può essere qualificata immediatamente come cristiana, se non altro per quel suo eclettismo o relativismo di fondo che le rende assai difficile riconoscere in Gesù Cristo l'unico salvatore; è una domanda che, per buona parte, rimane all'interno di quei processi sociali e culturali rispetto ai quali, per altro, costituisce una indubbia reazione.
Ma, nello stesso tempo, non possiamo non riconoscere che « persiste la ricerca dell'esperienza religiosa, sebbene in una molteplicità di forme non sempre coerenti tra loro e che spesso conducono lontano dall'autentica fede cristiana », per cui « tutta l'Europa si trova oggi di fronte alla sfida di una nuova scelta di Dio ».29
Il nostro allora non è il tempo della semplice conservazione dell'esistente.
È piuttosto il tempo di proporre di nuovo e prima di tutto Gesù Cristo vivente nella sua Chiesa, unica vera e solida sorgente di speranza.
In questa stessa direzione, si muovevano le conclusioni della prima Assemblea speciale per l'Europa del Sinodo dei Vescovi.
Ne emergeva, infatti, la nitida coscienza che la Chiesa non può ridursi ad essere una semplice e generica agente di civiltà, seppure di una civiltà più genuinamente umana.
Essa, piuttosto, deve annunciare il Vangelo nella sua interezza e secondo la precisione dei suoi contenuti e deve aiutare gli uomini e le donne del nostro tempo a vivere secondo lo stile delle beatitudini in un rapporto di adesione personale al Signore Gesù.
In questo senso, si affermava che « l'Europa non deve oggi semplicemente fare appello alla sua precedente eredità cristiana: occorre infatti che sia messa in grado di decidere nuovamente del suo futuro nell'incontro con la persona e il messaggio di Gesù Cristo ».30
Si trattava e si tratta, dunque, di favorire l'incontro dell'uomo europeo con la persona vivente del Signore Gesù, un incontro che si apre all'esperienza del discepolato, la provoca e la sostiene.
Di qui la necessità di ridire il centro del Vangelo e, quindi, di annunciare un Dio vivo e vicino, che si comunica a noi in una esperienza di comunione che è già iniziata e che apre alla certa speranza della vita eterna, nella convinzione che « se la Chiesa predica questo Dio, non parla di un Dio ignoto, ma del Dio che ci ha amati a tal punto che il Figlio suo si è fatto carne per noi.
È il Dio che si avvicina a noi, che si comunica a noi, che si fa uno con noi, vero "Emmanuele" ( cfr. Mt 1,23 ) ».31
E, nello stesso tempo, ne derivava la necessità di ridire tutte le conseguenze del Vangelo, innanzitutto di ridire quelle che riguardano l'uomo, la sua esistenza, la sua verità, consapevoli che « la causa di Dio in nessun modo è in opposizione alla causa dell'uomo.
Sono piuttosto le promesse puramente terrene che - come mostra la storia recente - in definitiva riducono in schiavitù, in maniera totalitaria, le persone umane ».32
A otto anni di distanza, si tratta di verificare il cammino fatto e di continuarlo con sempre maggiore decisione e determinazione.
Ci guida in questo l'indicazione di Giovanni Paolo II: « Se, in Europa, bisogna giungere ad un incontro nuovo con il Vangelo di Gesù Cristo, sono soprattutto necessarie un'apertura spirituale, una nuova determinazione e una gioia rinnovata della fede fra i cristiani.
Solo così si può dare una "testimonianza della nostra speranza"; soltanto in questo modo la fede diventerà anche una forza creativa a livello spirituale e culturale ».33
A tale scopo, il Sinodo intende, anzitutto, riproporre la vera fede nel Signore Gesù risorto e vivente, unico salvatore, presente nella sua Chiesa.
Ormai nell'immediata vigilia del terzo millennio - nella scia del Concilio Vaticano II, che il Santo Padre ha indicato come « un evento provvidenziale, attraverso il quale la Chiesa ha avviato la preparazione prossima al Giubileo »34 del Duemila, il Sinodo si propone di aiutare le Chiese in Europa ad avere rinnovata e piena avvertenza del « molteplice e unico, fisso e stimolante, misterioso e chiarissimo, stringente e beatificante rapporto tra noi e Gesù benedetto, tra questa santa e viva Chiesa, che noi siamo, e Cristo, da cui veniamo, per cui viviamo, e a cui andiamo ».35
Il Sinodo, quindi, come già il Concilio, intende confessare e celebrare il Signore Gesù Cristo come « il Verbo incarnato, il Figlio di Dio e il Figlio dell'uomo, Redentore del mondo, cioè la speranza dell'umanità e il suo sommo Maestro, lui il Pastore, lui il pane della vita, lui nostro Pontefice e nostra vittima, lui l'unico Mediatore fra Dio e gli uomini, lui il Salvatore della terra, lui il Re venturo del secolo eterno ».36
Si tratta di riaffermare con forza e con convinzione che Cristo ci è necessario: ci è necessario per la nostra salvezza e, insieme, per la piena realizzazione dei valori umani.
Con Paolo VI, anche le Chiese d'Europa oggi, infatti, sono chiamate a ripetere con fede genuina e appassionata che « Cristo è necessario, senza di Lui non si può fare; senza di Lui non si può vivere »;37
« Cristo è il nostro Salvatore.
Cristo è il nostro supremo benefattore.
Cristo è il nostro liberatore.
Cristo ci è necessario,
per essere uomini degni e veri nell'ordine temporale, e uomini salvati ed elevati nell'ordine soprannaturale ».38
Come più volte ha sottolineato Giovanni Paolo II rivolgendosi alle donne e agli uomini del continente europeo, il Sinodo vuole proclamare che Gesù Cristo è il Signore della storia; il contenuto e il centro vitale del messaggio di salvezza; la via, la verità e la vita ( cfr. Gv 14,6 ) che si conferma come l'unica speranza valida per ogni generazione; il punto di partenza della nuova evangelizzazione.
Egli è la nostra Pasqua; in lui, attraverso la sua croce e la sua risurrezione, Dio si è unito all'uomo per tutti i tempi in un'alleanza nuova ed eterna; lui è il segreto della forza dell'Europa.
Gesù è, oggi e sempre, sorgente di speranza perché in lui le promesse di Dio si sono pienamente realizzate: egli ci rivela, senza timore di smentita, che il nostro Dio è un Dio fedele, che porta a compimento le sue promesse e le realizza.
In particolare, Gesù è colui che libera l'uomo da ogni schiavitù; è il solo che può appagare pienamente la sua insopprimibile aspirazione alla libertà; è l'unica soluzione definitiva alle questioni sul senso della vita e agli interrogativi fondamentali che assillano anche oggi tanti uomini e donne del continente europeo, che sono in ricerca, perché in lui soltanto le aspirazioni più profonde dell'uomo trovano la risposta pienamente adeguata.
Come anche recentemente ha affermato Giovanni Paolo II, il Sinodo intende proclamare Cristo come colui che « rivela l'uomo all'uomo stesso nella sua pienezza di figlio di Dio, nella sua dignità inalienabile di persona, nella grandezza della sua intelligenza, capace di raggiungere la verità, e della sua volontà, capace di agire bene ».39
È questo, per altro, un dato pienamente coerente con l'umanesimo europeo, occidentale e orientale, anche se « col passare del tempo, soprattutto nei tempi cosiddetti moderni, Cristo quale artefice dello spirito europeo, quale artefice della libertà che in Lui affonda la sua radice salvifica, è stato messo tra parentesi e [ … ] si è andata formando un'altra mentalità europea, mentalità che sinteticamente possiamo esprimere in questa frase: "pensiamo e viviamo come se Dio non esistesse" ».40
30. C'è, poi, un altro aspetto che il Sinodo intende confessare nel contesto dell'attuale pluralismo religioso che va sempre più caratterizzando l'Europa: l'unicità e l'universalità di Cristo Salvatore e, quindi, l'assoluta irriducibilità del cristianesimo alle altre religioni.
Nella scia dell'insegnamento conciliare e del più recente magistero,41 si tratta di rinnovare la propria fede e di proclamare che Gesù è il mediatore unico e costitutivo di salvezza per l'intera umanità: solo in lui l'umanità, la storia e il cosmo trovano il loro significato definitivamente positivo e si realizzano totalmente; egli ha in se stesso, nel suo evento e nella sua persona, le ragioni della definitività assoluta della salvezza; egli non è solo un mediatore di salvezza, ma è la fonte stessa della salvezza.
« In nessun altro c'è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati » ( At 4,12 ).
Illuminati da questa cristallina affermazione di Pietro, alla vigilia del grande Giubileo del Duemila, sentiamo con Giovanni Paolo II l'urgente bisogno di illustrare e approfondire « la verità su Cristo come unico Mediatore tra Dio e gli uomini e unico Redentore del mondo, ben distinguendolo dai fondatori di altre grandi religioni, nelle quali pur si trovano elementi di verità, che la Chiesa considera con sincero rispetto ».42
Anche nelle situazioni più difficili, quando viene meno la speranza e va in crisi la fede, Gesù è presente: egli non abbandona la sua Chiesa, ma si fa suo compagno di viaggio; è come il viandante che nel peregrinare storico della Chiesa mai abbandona la sua amata sposa, prevenendola e accompagnandola con una delicatezza che testimonia l'assoluta gratuità del suo amore.
È quanto ci insegna, ancora una volta, la vicenda dei due viandanti di Emmaus: « Camminava con loro.
Ma i loro occhi erano incapaci di riconoscerlo » ( Lc 24,15-16 ).
Anche se non riconosciuto, Gesù è presente, incrocia le loro strade, si fa premuroso compagno di viaggio e loro guida.
Come scrive sant'Agostino: « Camminava per via come un compagno di viaggio, anzi era lui che li conduceva.
Quindi lo vedevano, ma non erano in grado di riconoscerlo.
I loro occhi - abbiamo così inteso - erano impediti dal riconoscerlo.
Erano impediti non di vederlo ma di riconoscerlo ».43
È quanto ha sempre professato e continua a professare la fede della Chiesa.
Gesù, infatti, elevato al cielo e glorificato, continua a permanere sulla terra, nella sua Chiesa: « quando la sua presenza visibile è stata tolta ai discepoli, Gesù non li ha lasciati orfani ( cfr. Gv 14,18 ).
Ha promesso di restare con loro sino alla fine dei tempi ( cfr. Mt 28,20 ), ha mandato loro il suo Spirito ( cfr. Gv 20,22; At 2,23 ).
In un certo senso, la comunione con Gesù è diventata più intensa: "Comunicando infatti il suo Spirito, costituisce misticamente come suo Corpo i suoi fratelli, chiamati da tutte le genti" ( Lumen gentium, 7 ) ».44
Gesù continua ad agire mediante l'intervento potente dello Spirito Paraclito, che costituisce la continua e fedele « memoria » di ciò che Gesù ha detto e ha fatto ( cfr. Gv 14,26 ) e che, giorno dopo giorno, viene plasmando Gesù stesso nella Chiesa e nei discepoli, rendendoli così il corpo vivente di Cristo.
32. Diversi e molteplici - come insegna il Concilio - sono i modi della presenza del Signore Gesù: « Cristo è sempre presente nella sua Chiesa, in modo speciale nelle azioni liturgiche.
È presente nel sacrificio della Messa sia nella persona del ministro [ … ], sia soprattutto sotto le specie eucaristiche.
È presente con la sua virtù nei sacramenti [ … ]
È presente nella sua parola, perché è Lui che parla quando nella Chiesa si legge la Sacra Scrittura.
È presente, infine, quando la Chiesa prega e loda, Lui che ha promesso: "Dove sono due o tre riuniti nel mio nome, io sono in mezzo a loro" ( Mt 18,20 ) ».45
Egli, ancora, « è presente alla sua Chiesa che esercita le opere di misericordia non solo perché quando facciamo un po' di bene a uno dei suoi più umili fratelli lo facciamo allo stesso Cristo ( cfr. Mt 25,40 ), ma anche perché è Cristo stesso che fa queste opere per mezzo della sua Chiesa, soccorrendo sempre con divina carità gli uomini.
È presente alla sua Chiesa pellegrina anelante al porto della vita eterna, giacché egli abita nei nostri cuori mediante la fede ( cfr. Ef 3,17 ), e in essi diffonde la carità con l'azione dello Spirito Santo, da lui donatoci »;46 è presente « nei poveri, nei malati, nei prigionieri ( cfr. Mt 25,31-46 ), nei sacramenti di cui egli è l'autore ».47
Un'altra presenza speciale del Signore è ravvisata anche in singole persone che hanno particolari titoli di vicinanza con Lui.
« Nella vita di quelli che, sebbene partecipi della nostra natura umana, sono tuttavia più perfettamente trasformati nell'immagine di Cristo ( cfr. 2 Cor 3,18 ) Dio manifesta vividamente agli uomini la sua presenza e il suo volto.
In loro è Lui stesso che ci parla e ci mostra il segno del suo regno ».48
Nella medesima linea, la presenza di Gesù si realizza nelle famiglie, nei gruppi, nei movimenti, nelle comunità parrocchiali, là dove c'è una persona che, amando, vive e incarna il comandamento nuovo dell'amore ( cfr. Gv 15,1-17 ).
È una presenza, la sua, che si manifesta nella concretezza di una comunità cristiana che vive nell'amore, come un cuore solo e un'anima sola, facendo propri gli atteggiamenti della Chiesa degli apostoli ( cfr At 2,42-48; At 4,32-35 ).
Gesù è presente a tal punto nella Chiesa, suo Corpo, che l'attività della Chiesa stessa è una partecipazione alla missione di Gesù.
Tutto ciò che la Chiesa « ha » ed « è » è frutto dell'amore di donazione di Cristo; essa non soltanto « nasce » dall'amore e dal dono di Cristo, che l'ha amata e ha dato se stesso per lei ( cfr. Ef 5,25 ), ma « è » questo stesso amore di donazione reso visibile e operante nella storia.
Perciò, come Cristo è il « sacramento » dell'amore del Padre, così la Chiesa è il « sacramento » dell'amore di Cristo.
Per questo essa esiste; per questo essa è mandata da Cristo nel mondo.
Ne deriva che, sia pure secondo modalità diverse e nonostante le fragilità e le imperfezioni, la Chiesa rappresenta il Signore, prende parte alla sua missione di salvezza, è animata e sostenuta dalla forza del suo Spirito.
Come scrive sant'Ambrogio, « la Chiesa brilla non di luce propria, ma dello splendore di Cristo »;49 essa ne è il sacramento vivente. « Certo, grande è la consapevolezza del nostro limite, ma altrettanto potente è la certezza della sua presenza e del suo costante intervento salvifico ».50
Questa è la professione di fede che il Sinodo intende proclamare senza alcuna reticenza.
Ma è anche motivo fondamentale dell'esame di coscienza che il Sinodo vuole propiziare nelle nostre Chiese.
La proclamazione della presenza di Gesù nella sua Chiesa conduce a considerare la Chiesa stessa nelle sue dimensioni di « mistero » e di « comunione ».
Parlare del « mistero » della Chiesa significa affermare la sua natura sacramentale, ossia sottolineare il suo radicamento nel mistero di Cristo che la costituisce: è il dono di Dio, manifestato in Gesù Cristo e comunicato attraverso lo Spirito, che la precede e la fa vivere; è il mistero pasquale di Cristo, annunciato dalla parola e reso attuale nei sacramenti, a costituire la fonte della sua esistenza e della sua missione.
In questo senso, « la Chiesa è strumento di Cristo.
Nelle sue mani essa è lo "strumento della Redenzione di tutti" ( Lumen gentium, 1 ), il "sacramento universale della salvezza" ( Ibid. , 48 ), attraverso il quale Cristo "svela e insieme realizza il mistero dell'amore di Dio verso l'uomo" ( Gaudium et spes, 45 ).
Essa "è il progetto visibile dell'amore di Dio per l'umanità" ( Paolo VI, Discorso del 22 giugno 1973 ), progetto che vuole "la costituzione di tutto il genere umano nell'unico Popolo di Dio, la sua riunione nell'unico Corpo di Cristo, la sua edificazione nell'unico tempio dello Spirito Santo" ( Ad gentes, 7; cfr. Lumen gentium, 17 ) ».51
Parlare della Chiesa come « comunione » , vuol dire, anzitutto, affermare che la Chiesa non è soltanto radunata « attorno a Cristo », ma è unificata « in lui », nel suo Corpo.52
« Cristo e la Chiesa formano, dunque, il "Cristo totale" [ … ]
La Chiesa è questo Corpo, di cui Cristo è il Capo: essa vive di lui, in lui e per lui; egli vive con essa e in essa ».53
Con questa certezza, possiamo e dobbiamo ripetere - come un giorno ha fatto santa Giovanna d'Arco di fronte ai suoi giudici - « Gesù Cristo e la Chiesa sono un tutt'uno, e non bisogna sollevare difficoltà ».
Vuol dire, ancora e insieme, fare riferimento a quella « communio » basata sulla comunione con Dio nello Spirito Santo mediante Gesù Cristo, divenuta realtà nella comunione ecclesiale proiettata verso la comunione di tutta l'umanità.
34. Di fronte a queste prospettive, seppure con accentuazioni diverse tra l'Est e l'Ovest, la percezione che oggi in Europa si ha della Chiesa come « mistero » appare assai variegata e rispecchia la variopinta mappa del cristianesimo contemporaneo.
Anche se generalmente costituiscono un gruppo minoritario, quanti vivono un orientamento esplicito alla comunità e in vari modi portano il peso della vita ecclesiale in un'ottica di collaborazione e corresponsabilità concepiscono la Chiesa come mistero, comunione e missione, così come essa, a partire da alcuni elementi presenti nei documenti del Concilio Vaticano II, è stata più organicamente delineata nelle varie assemblee sinodali e nei diversi interventi pontifici.
Tra costoro sono da annoverare numerose comunità di vita consacrata, l'area dei diversi operatori pastorali, gli appartenenti a diverse associazioni e movimenti ecclesiali.
Un più vasto settore di persone, anche tra i cristiani, condivide invece quella visione di Chiesa che caratterizza l'odierna opinione pubblica ecclesiale e non, secondo la quale la Chiesa è complessivamente vista come istituzione articolata gerarchicamente, che con i suoi pronunciamenti, soprattutto in campo morale, si contrappone alle aspirazioni di quanti rivendicano per sé e per gli altri ampi spazi di libertà e non accettano di sentirsi dire dall'alto cosa devono fare e come devono comportarsi.
In molti casi, poi, la Chiesa è percepita come una istituzione e organizzazione umanitaria, assistenziale e culturale e, quindi, come una sorta di « offerta di servizi » di vario genere che, come tali, possono anche essere ricercati e apprezzati.
Tra le cause che stanno alla base di tale mentalità, sembrerebbero da annoverare:
la presentazione che della Chiesa viene fatta dai mass media;
la pesante eredità della filosofia individualista degli ultimi secoli;
una scarsa sottolineatura del carattere misterico della Chiesa nella predicazione e nell'insegnamento;
una prassi ecclesiastica sovente non ispirata dalla comunione e non sufficientemente basata sul vicendevole rispetto e sul sincero ascolto delle posizioni altrui.
In particolare, tale diffusa mentalità sembra dipendere dalla preoccupante perdita della visione della Chiesa come realtà sacramentale con conseguenze negative in molti ambiti: la stessa diminuzione delle ordinazioni sacerdotali in molti paesi europei è dovuta a questa mutata visione ecclesiale che non percepisce più il ministero sacerdotale come uno stato sacramentale di vita ma soltanto come un ruolo, possibilmente sostituibile, della struttura organizzativa ecclesiale.
A tutto ciò è connessa una diminuita consapevolezza della presenza di Gesù Cristo con il suo Spirito nella vita della Chiesa.
Di qui la necessità di sviluppare maggiormente il concetto di Chiesa mistero, comunione e missione nell'annuncio evangelico, nella catechesi e nel lavoro pastorale.
Non mancano, infine, minoranze di cattolici, nostalgiche del passato, che possono diventare a vari livelli causa di dinamiche conflittuali nelle comunità locali.
Se si guarda alla Chiesa come « comunione », tra i modi concreti per esprimere e realizzare questa sua dimensione, vengono normalmente annoverati:
le celebrazioni liturgiche,
la preghiera,
la lettura sacra,
la vita sacramentale,
i pellegrinaggi.
Va pure ribadito, in questo contesto, il ruolo crescente che vanno assumendo alcune comunità spirituali e alcuni gruppi divita cristiana, ferma restando l'importanza della parrocchia quale genuino « spazio di comunione vissuta ».
Indice |
27 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 638. |
28 | Paolo VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio ( 29 settembre 1963 ). |
29 | Sinodo dei Vescovi - Prima Assemblea speciale per l'Europa, Dichiarazione finale, 1. |
30 | Ivi, 2. |
31 | Ivi, 3. |
32 | Ivi. |
33 | Giovanni Paolo II, Vescovi dell'Austria in visita « ad limina » ( 25 aprile 1992, 3 ). |
34 | (34) Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente, 18 ( 10 novembre 1994 ). |
35 | Paolo VI, Discorso in apertura del secondo periodo del Concilio ( 29 settembre 1963 ). |
36 | Ivi. |
37 | Paolo VI, Discorso all'udienza generale ( 3 febbraio 1965 ). |
38 | Paolo VI, Omelia durante la Santa Messa al « Quezon Circle » di Manila [ Filippine ] ( 29 novembre 1970 ). |
39 | Giovanni Paolo II, Discorso ai partecipanti al Simposio pre-sinodale sull'Europa promosso dal Pontificio Consiglio della Cultura su « Cristo, sorgente di una nuova cultura per l'Europa alle soglie del Terzo Millennio » ( 14 gennaio 1999, 3 ). |
40 | Giovanni Paolo II, Omelia nella Messa per la beatificazione di padre Rafal Chylinski, a Varsavia [ Polonia ] ( 9 giugno 1991, 6 ). |
41 | Cfr. Giovanni Paolo II, Let. Enc.
Redemptoris missio ( 7 dicembre 1990 ); Pontificio Consiglio per il dialogo interreligioso - Congregazione per l'evangelizzazione dei popoli, Istr. Dialogo e annuncio. Riflessioni e orientamenti sul dialogo interreligioso e l'annuncio del Vangelo di Gesù Cristo ( 19 maggio 1991 ). |
42 | Giovanni Paolo II, Lett. Ap. Tertio millennio adveniente, 38 ( 10 novembre 1994 ). |
43 | Sant'Agostino, Discorso 235, 2 |
44 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 788. |
45 | Sacrosanctum Concilium, 7. |
46 | Paolo VI, Let. Enc.
Mysterium fidei ( 3 settembre 1965 ); cfr. anche S. Congregazione per i riti, Istr. Eucharisticum mysterium ( 25 maggio 1967, 9 ): AAS 59(1967) 547. |
47 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 1373; cfr. anche 1374. |
48 | Lumen gentium, 50. |
49 | Sant'Ambrogio, Exameron , dies IV, ser. VI, c. 8,32: CSEL 32 / I,1 / 138. |
50 | Giovanni Paolo II, Al Consiglio delle Conferenze Episcopali d'Europa ( 16 aprile 1993, 9 ). |
51 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 776. |
52 | Cfr. ivi , 789. |
53 | Ivi , 795; 807. |