Querida Amazonia |
61. La Chiesa è chiamata a camminare con i popoli dell'Amazzonia.
In America Latina questo cammino ha avuto espressioni privilegiate come la Conferenza di Vescovi a Medellín ( 1968 ) e la sua applicazione all'Amazzonia a Santarem (1972);79 e poi a Puebla ( 1979 ), Santo Domingo ( 1992 ) e Aparecida ( 2007 ).
La strada prosegue e il compito missionario, se vuole sviluppare una Chiesa dal volto amazzonico, deve crescere in una cultura dell'incontro verso una « pluriforme armonia ».80
Ma perché sia possibile questa incarnazione della Chiesa e del Vangelo deve risuonare, sempre nuovamente, il grande annuncio missionario.
Di fronte a tanti bisogni e tante angosce che gridano dal cuore dell'Amazzonia, possiamo rispondere a partire da organizzazioni sociali, risorse tecniche, spazi di dibattito, programmi politici, e tutto ciò può far parte della soluzione.
Ma come cristiani non rinunciamo alla proposta di fede che abbiamo ricevuto dal Vangelo.
Pur volendo impegnarci con tutti, fianco a fianco, non ci vergogniamo di Gesù Cristo.
Per coloro che lo hanno incontrato, vivono nella sua amicizia e si identificano con il suo messaggio, è inevitabile parlare di Lui e portare agli altri la sua proposta di vita nuova: « Guai a me se non annuncio il Vangelo! » ( 1 Cor 9,16 ).
63. L'autentica scelta per i più poveri e dimenticati, mentre ci spinge a liberarli dalla miseria materiale e a difendere i loro diritti, implica che proponiamo ad essi l'amicizia con il Signore che li promuove e dà loro dignità.
Sarebbe triste che ricevessero da noi un codice di dottrine o un imperativo morale, ma non il grande annuncio salvifico, quel grido missionario che punta al cuore e dà senso a tutto il resto.
Né possiamo accontentarci di un messaggio sociale.
Se diamo la nostra vita per loro, per la giustizia e la dignità che meritano, non possiamo nascondere ad essi che lo facciamo perché riconosciamo Cristo in loro e perché scopriamo l'immensa dignità concessa loro da Dio Padre che li ama infinitamente.
64. Essi hanno diritto all'annuncio del Vangelo, soprattutto a quel primo annuncio che si chiama kerygma e che « è l'annuncio principale, quello che si deve sempre tornare ad ascoltare in modi diversi e che si deve sempre tornare ad annunciare durante la catechesi in una forma o nell'altra ».81
È l'annuncio di un Dio che ama infinitamente ogni essere umano, che ha manifestato pienamente questo amore in Cristo crocifisso per noi e risorto nella nostra vita.
Propongo di rileggere un breve riassunto su tale tema contenuto nel capitolo IV dell'Esortazione Christus vivit.
Questo annuncio deve risuonare costantemente in Amazzonia, espresso in molte modalità diverse.
Senza questo annuncio appassionato, ogni struttura ecclesiale diventerà un'altra ONG, e quindi non risponderemo alla richiesta di Gesù Cristo: « Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo ad ogni creatura » ( Mc 16,15 ).
65. Qualsiasi proposta di maturazione nella vita cristiana deve avere come cardine permanente questo annuncio, perché « tutta la formazione cristiana è prima di tutto l'approfondimento del kerygma che va facendosi carne sempre più e sempre meglio ».82
La reazione fondamentale a questo annuncio, quando riesce a provocare un incontro personale con il Signore, è la carità fraterna, quel « nuovo comandamento che è il primo, il più grande, quello che meglio ci identifica come discepoli ».83
Pertanto, il kerygma e l'amore fraterno costituiscono la grande sintesi dell'intero contenuto del Vangelo che non si può fare a meno di proporre in Amazzonia.
È quello che hanno vissuto i grandi evangelizzatori dell'America Latina come San Toribio de Mogrovejo o San José de Anchieta.
La Chiesa, mentre annuncia sempre di nuovo il kerygma, deve crescere in Amazzonia.
Per questo, riconfigura sempre la propria identità nell'ascolto e nel dialogo con le persone, le realtà e le storie del suo territorio.
In tal modo, potrà svilupparsi sempre di più un necessario processo di inculturazione, che non disprezza nulla di quanto di buono già esiste nelle culture amazzoniche, ma lo raccoglie e lo porta a pienezza alla luce del Vangelo.84
E nemmeno disprezza la ricchezza di sapienza cristiana trasmessa lungo i secoli, come se si pretendesse di ignorare la storia in cui Dio ha operato in molti modi, perché la Chiesa ha un volto pluriforme « non solo da una prospettiva spaziale [ … ], ma anche dalla sua realtà temporale ».85
Si tratta dell'autentica Tradizione della Chiesa, che non è un deposito statico né un pezzo da museo, ma la radice di un albero che cresce.86
È la millenaria Tradizione che testimonia l'azione divina nel suo Popolo e « ha la missione di mantenere vivo il fuoco più che di conservare le ceneri ».87
67. San Giovanni Paolo II ha insegnato che, nel presentare la sua proposta evangelica, « la Chiesa non pretende negare l'autonomia della cultura.
Anzi al contrario, nutre per essa il maggior rispetto », perché la cultura « non è solo soggetto di redenzione e di elevazione; ma può essere anche fautrice di mediazione e di collaborazione ».88
Rivolgendosi agli indigeni del Continente americano ha ricordato che « una fede che non diviene cultura è una fede non pienamente accolta, né totalmente pensata né fedelmente vissuta ».89
Le sfide delle culture invitano la Chiesa a « un atteggiamento di vigile senso critico, ma anche di attenzione fiduciosa ».90
68. Si può riprendere qui ciò che ho affermato nell'Esortazione Evangelii gaudium a proposito dell'inculturazione, sulla base della convinzione che « la grazia suppone la cultura, e il dono di Dio si incarna nella cultura di chi lo riceve ».91
Avvertiamo che ciò implica un doppio movimento.
Da un lato, una dinamica di fecondazione che consente di esprimere il Vangelo in un luogo, poiché « quando una comunità accoglie l'annuncio della salvezza, lo Spirito Santo ne feconda la cultura con la forza trasformante del Vangelo ».92
D'altra parte, la Chiesa stessa vive un percorso ricettivo, che la arricchisce di ciò che lo Spirito aveva già misteriosamente seminato in quella cultura.
In tal modo, « lo Spirito Santo abbellisce la Chiesa, mostrandole nuovi aspetti della Rivelazione e regalandole un nuovo volto ».93
Si tratta, in definitiva, di permettere e incoraggiare che l'annuncio del Vangelo inesauribile, comunicato « con categorie proprie della cultura in cui è annunciato, provochi una nuova sintesi con tale cultura ».94
69. Pertanto, « come possiamo vedere nella storia della Chiesa, il cristianesimo non dispone di un unico modello culturale »95 e « non renderebbe giustizia alla logica dell'incarnazione pensare ad un cristianesimo monoculturale e monocorde ».96
Tuttavia, il rischio per gli evangelizzatori che arrivano in un luogo è credere di dover comunicare non solo il Vangelo ma anche la cultura in cui essi sono cresciuti, dimenticando che non si tratta di « imporre una determinata forma culturale, per quanto bella e antica ».97
Occorre accettare con coraggio la novità dello Spirito, capace di creare sempre qualcosa di nuovo con l'inesauribile tesoro di Gesù Cristo, perché « l'inculturazione impegna la Chiesa su un cammino difficile ma necessario ».98
È vero che « benché questi processi siano sempre lenti, a volte la paura ci paralizza troppo » e finiamo per essere « spettatori di una sterile stagnazione della Chiesa ».99
Non abbiamo timore, non tagliamo le ali allo Spirito Santo!
Per ottenere una rinnovata inculturazione del Vangelo in Amazzonia, la Chiesa ha bisogno di ascoltare la sua saggezza ancestrale, tornare a dare voce agli anziani, riconoscere i valori presenti nello stile di vita delle comunità originarie, recuperare in tempo le preziose narrazioni dei popoli.
In Amazzonia abbiamo già ricevuto ricchezze che provengono dalle culture precolombiane, « come l'apertura all'azione di Dio, il senso di gratitudine per i frutti della terra, il carattere sacro della vita umana e la stima per la famiglia, il senso di solidarietà e la corresponsabilità nel lavoro comune, l'importanza della dimensione cultuale, la fede in una vita al di là di quella terrena, e tanti altri valori ».100
71. In questo contesto, i popoli indigeni amazzonici esprimono l'autentica qualità della vita come un "buon vivere" che implica un'armonia personale, familiare, comunitaria e cosmica e si manifesta nel loro modo comunitario di pensare l'esistenza, nella capacità di trovare gioia e pienezza in una vita austera e semplice, come pure nella cura responsabile della natura che preserva le risorse per le generazioni future.
I popoli aborigeni potrebbero aiutarci a scoprire che cos'è una felice sobrietà e in questo senso « hanno molto da insegnarci ».101
Sanno essere felici con poco, godono dei piccoli doni di Dio senza accumulare tante cose, non distruggono senza necessità, custodiscono gli ecosistemi e riconoscono che la terra, mentre si offre per sostenere la loro vita, come una fonte generosa, ha un senso materno che suscita rispettosa tenerezza.
Tutto ciò dev'essere valorizzato e tenuto in conto nell'evangelizzazione.102
72. Mentre lottiamo per loro e con loro, siamo chiamati « ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro ».103
Gli abitanti delle città hanno bisogno di apprezzare questa saggezza e lasciarsi "rieducare" di fronte al consumismo ansioso e all'isolamento urbano.
La Chiesa stessa può essere un veicolo in grado di aiutare questo recupero culturale in una valida sintesi con l'annuncio del Vangelo.
Inoltre, essa diventa strumento di carità nella misura in cui le comunità urbane sono non solo missionarie nel loro ambiente, ma anche accoglienti verso i poveri che arrivano dall'interno spinti dalla miseria.
E ugualmente lo è nella misura in cui le comunità sono vicine ai giovani migranti per aiutarli a integrarsi nella città senza cadere nelle sue reti di degrado.
Tali azioni ecclesiali, che nascono dall'amore, sono percorsi preziosi all'interno di un processo di inculturazione.
73. D'altra parte, l'inculturazione eleva e conferisce pienezza.
Certamente va apprezzato lo spirito indigeno dell'interconnessione e dell'interdipendenza di tutto il creato, spirito di gratuità che ama la vita come dono, spirito di sacra ammirazione davanti alla natura che ci oltrepassa con tanta vita.
Tuttavia, si tratta anche di far sì che questa relazione con Dio presente nel cosmo diventi sempre più la relazione personale con un Tu che sostiene la propria realtà e vuole darle un senso, un Tu che ci conosce e ci ama: « Galleggiano ombre di me, legni morti.
Ma la stella nasce senza rimprovero sopra le mani di questo bambino, esperte, che conquistano le acque e la notte.
Mi basti conoscere che Tu mi conosci interamente, prima dei miei giorni ».104
74. Allo stesso modo, il rapporto con Cristo, vero Dio e vero uomo, liberatore e redentore, non è nemico di questa visione del mondo marcatamente cosmica che caratterizza questi popoli, perché Egli è anche il Risorto che penetra tutte le cose.105
Per l'esperienza cristiana, « tutte le creature dell'universo materiale trovano il loro vero senso nel Verbo incarnato, perché il Figlio di Dio ha incorporato nella sua persona parte dell'universo materiale, dove ha introdotto un germe di trasformazione definitiva ».106
Egli è gloriosamente e misteriosamente presente nel fiume, negli alberi, nei pesci, nel vento, in quanto è il Signore che regna sul creato senza perdere le sue ferite trasfigurate, e nell'Eucaristia assume gli elementi del mondo conferendo a ciascuno il senso del dono pasquale.
Questa inculturazione, vista la situazione di povertà e abbandono di tanti abitanti dell'Amazzonia, dovrà necessariamente avere un timbro fortemente sociale ed essere caratterizzata da una ferma difesa dei diritti umani, facendo risplendere il volto di Cristo che « ha voluto identificarsi con speciale tenerezza con i più deboli e i più poveri ».107
Perché « dal cuore del Vangelo riconosciamo l'intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana »,108 e ciò implica per le comunità cristiane un chiaro impegno per il Regno di giustizia nella promozione delle persone scartate.
A tale scopo è di estrema importanza un'adeguata formazione degli operatori pastorali nella dottrina sociale della Chiesa.
76. Allo stesso tempo, l'inculturazione del Vangelo in Amazzonia deve integrare meglio la dimensione sociale con quella spirituale, così che i più poveri non abbiano bisogno di andare a cercare fuori dalla Chiesa una spiritualità che risponda al desiderio della loro dimensione trascendente.
Pertanto, non si tratta di una religiosità alienante e individualista che mette a tacere le esigenze sociali di una vita più dignitosa, ma nemmeno si tratta di tagliare la dimensione trascendente e spirituale come se all'essere umano bastasse lo sviluppo materiale.
Questo ci chiama non solo a combinare le due cose, ma a collegarle intimamente.
Così risplenderà la vera bellezza del Vangelo, che è pienamente umanizzante, che dà piena dignità alle persone e ai popoli, che riempie il cuore e la vita intera.
Così potranno nascere testimonianze di santità con volto amazzonico, che non siano copie di modelli da altri luoghi, santità fatta di incontro e dedizione, di contemplazione e di servizio, di solitudine accogliente e di vita comune, di gioiosa sobrietà e di lotta per la giustizia.
A questa santità si arriva « ciascuno a modo suo »,109 e ciò vale anche per i popoli, dove la grazia si incarna e brilla con tratti distintivi.
Immaginiamo una santità dai lineamenti amazzonici, chiamata a interpellare la Chiesa universale.
78. Un processo di inculturazione, che implica percorsi non solo individuali ma anche comunitari, richiede per la gente un amore pieno di rispetto e comprensione.
In gran parte dell'Amazzonia questo processo è già stato avviato.
Più di quarant'anni fa i Vescovi dell'Amazzonia del Perù hanno rilevato che in molti dei gruppi sociali presenti in quella regione « il soggetto evangelizzatore, modellato da una propria cultura multiforme e mutevole, è inizialmente evangelizzato », poiché possiede « alcuni tratti di cattolicesimo popolare che, sebbene forse in un primo tempo siano stati promossi da operatori pastorali, attualmente sono una realtà che la gente ha fatto propria e persino ne ha mutato il significato e li trasmette di generazione in generazione ».110
Non abbiamo fretta di qualificare come superstizione o paganesimo alcune espressioni religiose che nascono spontaneamente dalla vita della gente.
Piuttosto, bisogna saper riconoscere il grano che cresce in mezzo alla zizzania, perché « nella pietà popolare si può cogliere la modalità in cui la fede ricevuta si è incarnata in una cultura e continua a trasmettersi ».111
79. È possibile recepire in qualche modo un simbolo indigeno senza necessariamente qualificarlo come idolatrico.
Un mito carico di senso spirituale può essere valorizzato e non sempre considerato un errore pagano.
Alcune feste religiose contengono un significato sacro e sono spazi di riunione e di fraternità, sebbene si richieda un lento processo di purificazione e maturazione.
Un vero missionario cerca di scoprire quali legittime aspirazioni passano attraverso le manifestazioni religiose a volte imperfette, parziali o sbagliate, e cerca di rispondere a partire da una spiritualità inculturata.
80. Sarà senza dubbio una spiritualità centrata sull'unico Dio e Signore, ma al tempo stesso capace di entrare in contatto con i bisogni quotidiani delle persone che cercano una vita dignitosa, che vogliono godere le belle realtà dell'esistenza, trovare la pace e l'armonia, risolvere le crisi familiari, curare le loro malattie, vedere i loro bambini crescere felici.
Il peggior pericolo sarebbe allontanarli dall'incontro con Cristo presentandolo come un nemico della gioia, o come uno che è indifferente alle aspirazioni e alle angosce umane.112
Oggi è indispensabile mostrare che la santità non priva le persone di « forze, vita e gioia ».113
L'inculturazione della spiritualità cristiana nelle culture dei popoli originari trova nei Sacramenti una via di particolare valore, perché in essi si incontrano il divino e il cosmico, la grazia e il creato.
In Amazzonia essi non dovrebbero essere intesi come una separazione rispetto al creato.
Infatti, « sono un modo privilegiato in cui la natura viene assunta da Dio e trasformata in mediazione della vita soprannaturale ».114
Sono un compimento del creato, in cui la natura è elevata per essere luogo e strumento della grazia, per « abbracciare il mondo su un piano diverso ».115
82. Nell'Eucaristia, Dio « al culmine del mistero dell'Incarnazione, volle raggiungere la nostra intimità attraverso un frammento di materia. [ … ]
[ Essa ] unisce il cielo e la terra, abbraccia e penetra tutto il creato ».116
Per questo motivo può essere « motivazione per le nostre preoccupazioni per l'ambiente, e ci orienta ad essere custodi di tutto il creato ».117
Quindi « non fuggiamo dal mondo né neghiamo la natura quando vogliamo incontrarci con Dio ».118
Questo ci consente di raccogliere nella liturgia molti elementi propri dell'esperienza degli indigeni nel loro intimo contatto con la natura e stimolare espressioni native in canti, danze, riti, gesti e simboli.
Già il Concilio Vaticano II aveva richiesto questo sforzo di inculturazione della liturgia nei popoli indigeni,119 ma sono trascorsi più di cinquant'anni e abbiamo fatto pochi progressi in questa direzione.120
83. Nella domenica « la spiritualità cristiana integra il valore del riposo e della festa.
L'essere umano tende a ridurre il riposo contemplativo all'ambito dello sterile e dell'inutile, dimenticando che così si toglie all'opera che si compie la cosa più importante: il suo significato.
Siamo chiamati a includere nel nostro operare una dimensione ricettiva e gratuita ».121
I popoli originari conoscono questa gratuità e questo sano ozio contemplativo.
Le nostre celebrazioni dovrebbero aiutarli a vivere questa esperienza nella liturgia domenicale e incontrare la luce della Parola e dell'Eucaristia che illumina le nostre vite concrete.
84. I Sacramenti mostrano e comunicano il Dio vicino che viene con misericordia a guarire e fortificare i suoi figli.
Pertanto devono essere accessibili, soprattutto ai poveri, e non devono mai essere negati per motivi di denaro.
Neppure è ammissibile, di fronte ai poveri e ai dimenticati dell'Amazzonia, una disciplina che escluda e allontani, perché in questo modo essi alla fine vengono scartati da una Chiesa trasformata in dogana.
Piuttosto, « nelle difficili situazioni che vivono le persone più bisognose, la Chiesa deve avere una cura speciale per comprendere, consolare, integrare, evitando di imporre loro una serie di norme come se fossero delle pietre, ottenendo con ciò l'effetto di farle sentire giudicate e abbandonate proprio da quella Madre che è chiamata a portare loro la misericordia di Dio ».122
Per la Chiesa, la misericordia può diventare una mera espressione romantica se non si manifesta concretamente nell'impegno pastorale.123
L'inculturazione deve anche svilupparsi e riflettersi in un modo incarnato di attuare l'organizzazione ecclesiale e la ministerialità.
Se si incultura la spiritualità, se si incultura la santità, se si incultura il Vangelo stesso, come fare a meno di pensare a una inculturazione del modo in cui si strutturano e si vivono i ministeri ecclesiali?
La pastorale della Chiesa ha in Amazzonia una presenza precaria, dovuta in parte all'immensa estensione territoriale con molti luoghi di difficile accesso, alla grande diversità culturale, ai gravi problemi sociali, come pure alla scelta di alcuni popoli di isolarsi.
Questo non può lasciarci indifferenti ed esige dalla Chiesa una risposta specifica e coraggiosa.
86. Occorre far sì che la ministerialità si configuri in modo tale da essere al servizio di una maggiore frequenza della celebrazione dell'Eucaristia, anche nelle comunità più remote e nascoste.
Ad Aparecida si invitò ad ascoltare il lamento di tante comunità dell'Amazzonia « private dell'Eucaristia domenicale per lunghi periodi di tempo ».124
Ma nello stesso tempo c'è bisogno di ministri che possano comprendere dall'interno la sensibilità e le culture amazzoniche.
87. Il modo di configurare la vita e l'esercizio del ministero dei sacerdoti non è monolitico e acquista varie sfumature in luoghi diversi della terra.
Perciò è importante determinare ciò che è più specifico del sacerdote, ciò che non può essere delegato.
La risposta consiste nel sacramento dell'Ordine sacro, che lo configura a Cristo sacerdote.
E la prima conclusione è che tale carattere esclusivo ricevuto nell'Ordine abilita lui solo a presiedere l'Eucaristia.125
Questa è la sua funzione specifica, principale e non delegabile.
Alcuni pensano che ciò che distingue il sacerdote è il potere, il fatto di essere la massima autorità della comunità.
Ma San Giovanni Paolo II ha spiegato che, sebbene il sacerdozio sia considerato "gerarchico", questa funzione non equivale a stare al di sopra degli altri, ma « è totalmente ordinata alla santità delle membra di Cristo ».126
Quando si afferma che il sacerdote è segno di "Cristo capo", il significato principale è che Cristo è la fonte della grazia: Egli è il capo della Chiesa « perché ha il potere di comunicare la grazia a tutte le membra della Chiesa ».127
88. Il sacerdote è segno di questo Capo che effonde la grazia anzitutto quando celebra l'Eucaristia, fonte e culmine di tutta la vita cristiana.128
Questa è la sua grande potestà, che può essere ricevuta soltanto nel sacramento dell'Ordine sacerdotale.
Per questo lui solo può dire: « Questo è il mio corpo ».
Ci sono altre parole che solo lui può pronunciare: « Io ti assolvo dai tuoi peccati ».
Perché il perdono sacramentale è al servizio di una degna celebrazione eucaristica.
In questi due Sacramenti c'è il cuore della sua identità esclusiva.129
89. Nelle circostanze specifiche dell'Amazzonia, specialmente nelle sue foreste e luoghi più remoti, occorre trovare un modo per assicurare il ministero sacerdotale.
I laici potranno annunciare la Parola, insegnare, organizzare le loro comunità, celebrare alcuni Sacramenti, cercare varie espressioni per la pietà popolare e sviluppare i molteplici doni che lo Spirito riversa su di loro.
Ma hanno bisogno della celebrazione dell'Eucaristia, perché essa « fa la Chiesa »,130 e arriviamo a dire che « non è possibile che si formi una comunità cristiana se non assumendo come radice e come cardine la celebrazione della sacra Eucaristia ».131
Se crediamo veramente che è così, è urgente fare in modo che i popoli amazzonici non siano privati del Cibo di nuova vita e del Sacramento del perdono.
90. Questa pressante necessità mi porta ad esortare tutti i Vescovi, in particolare quelli dell'America Latina, non solo a promuovere la preghiera per le vocazioni sacerdotali, ma anche a essere più generosi, orientando coloro che mostrano una vocazione missionaria affinché scelgano l'Amazzonia.132
Nello stesso tempo, è opportuno rivedere a fondo la struttura e il contenuto sia della formazione iniziale sia della formazione permanente dei presbiteri, in modo che acquisiscano gli atteggiamenti e le capacità necessari per dialogare con le culture amazzoniche.
Questa formazione dev'essere eminentemente pastorale e favorire la crescita della misericordia sacerdotale.133
L'Eucaristia, al tempo stesso, è il grande Sacramento che significa e realizza l'unità della Chiesa,134 e si celebra « perché da estranei, dispersi e indifferenti gli uni agli altri, noi diventiamo uniti, eguali ed amici ».135
Chi presiede l'Eucaristia deve curare la comunione, che non è un'unità impoverita, ma che accoglie la molteplice ricchezza dei doni e dei carismi che lo Spirito riversa nella Comunità.
92. Pertanto, l'Eucaristia, come fonte e culmine, richiede che si sviluppi questa multiforme ricchezza.
C'è necessità di sacerdoti, ma ciò non esclude che ordinariamente i diaconi permanenti – che dovrebbero essere molti di più in Amazzonia –, le religiose e i laici stessi assumano responsabilità importanti per la crescita delle comunità e che maturino nell'esercizio di tali funzioni grazie ad un adeguato accompagnamento.
93. Dunque, non si tratta solo di favorire una maggiore presenza di ministri ordinati che possano celebrare l'Eucaristia.
Questo sarebbe un obiettivo molto limitato se non cercassimo anche di suscitare una nuova vita nelle comunità.
Abbiamo bisogno di promuovere l'incontro con la Parola e la maturazione nella santità attraverso vari servizi laicali, che presuppongono un processo di maturazione – biblica, dottrinale, spirituale e pratica – e vari percorsi di formazione permanente.
94. Una Chiesa con volti amazzonici richiede la presenza stabile di responsabili laici maturi e dotati di autorità,136 che conoscano le lingue, le culture, l'esperienza spirituale e il modo di vivere in comunità dei diversi luoghi, mentre lasciano spazio alla molteplicità di doni che lo Spirito Santo semina in tutti.
Infatti, lì dove c'è una necessità particolare, lo Spirito ha già effuso carismi che permettano di rispondervi.
Ciò richiede nella Chiesa una capacità di aprire strade all'audacia dello Spirito, di avere fiducia e concretamente di permettere lo sviluppo di una cultura ecclesiale propria, marcatamente laicale.
Le sfide dell'Amazzonia esigono dalla Chiesa uno sforzo speciale per realizzare una presenza capillare che è possibile solo attraverso un incisivo protagonismo dei laici.
95. Molte persone consacrate hanno speso le loro energie e buona parte della loro vita per il Regno di Dio in Amazzonia.
La vita consacrata, capace di dialogo, di sintesi, di incarnazione e di profezia, occupa un posto speciale in questa configurazione plurale e armonica della Chiesa amazzonica.
Le manca, però, un nuovo sforzo di inculturazione, che metta in gioco la creatività, l'audacia missionaria, la sensibilità e la forza peculiare della vita comunitaria.
96. Le comunità di base, quando hanno saputo integrare la difesa dei diritti sociali con l'annuncio missionario e la spiritualità, sono state vere esperienze di sinodalità nel cammino evangelizzatore della Chiesa in Amazzonia.
Molte volte « hanno aiutato a formare cristiani impegnati nella fede, discepoli e missionari del Signore, come testimonia la dedizione generosa, fino a versare il proprio sangue, di tanti loro membri ».137
97. Incoraggio l'approfondimento del compito comune che si realizza attraverso la REPAM e altre associazioni, con l'obiettivo di consolidare ciò che già chiedeva Aparecida: « Stabilire, tra le Chiese locali dei diversi Paesi sudamericani che fanno parte del bacino amazzonico, una pastorale d'insieme differenziata nelle rispettive priorità ».138
Questo vale specialmente per le relazioni tra le Chiese limitrofe.
98. Infine, desidero ricordare che non sempre possiamo pensare a progetti per comunità stabili, perché in Amazzonia c'è una grande mobilità interna, una costante migrazione molte volte pendolare, e « la regione è diventata di fatto un corridoio migratorio ».139
La « transumanza amazzonica non è stata ben compresa né sufficientemente analizzata dal punto di vista pastorale ».140
Perciò occorre pensare a gruppi missionari itineranti e « sostenere l'inserimento e l'itineranza delle persone consacrate vicino ai più poveri ed esclusi ».141
D'altra parte, questo mette alla prova le nostre comunità urbane, che dovrebbero coltivare con intelligenza e generosità, specialmente nelle periferie, diverse forme di vicinanza e di accoglienza nei confronti delle famiglie e dei giovani che arrivano dall'interno.
In Amazzonia ci sono comunità che si sono sostenute e hanno trasmesso la fede per lungo tempo senza che alcun sacerdote passasse da quelle parti, anche per decenni.
Questo è stato possibile grazie alla presenza di donne forti e generose: donne che hanno battezzato, catechizzato, insegnato a pregare, sono state missionarie, certamente chiamate e spinte dallo Spirito Santo.
Per secoli le donne hanno tenuto in piedi la Chiesa in quei luoghi con ammirevole dedizione e fede ardente.
Loro stesse, nel Sinodo, hanno commosso tutti noi con la loro testimonianza.
100. Questo ci invita ad allargare la visione per evitare di ridurre la nostra comprensione della Chiesa a strutture funzionali.
Tale riduzionismo ci porterebbe a pensare che si accorderebbe alle donne uno status e una partecipazione maggiore nella Chiesa solo se si desse loro accesso all'Ordine sacro.
Ma in realtà questa visione limiterebbe le prospettive, ci orienterebbe a clericalizzare le donne, diminuirebbe il grande valore di quanto esse hanno già dato e sottilmente provocherebbe un impoverimento del loro indispensabile contributo.
101. Gesù si presenta come Sposo della comunità che celebra l'Eucaristia, attraverso la figura di un uomo che la presiede come segno dell'unico Sacerdote.
Questo dialogo tra lo Sposo e la sposa che si eleva nell'adorazione e santifica la comunità, non dovrebbe rinchiuderci in concezioni parziali sul potere nella Chiesa.
Perché il Signore ha voluto manifestare il suo potere e il suo amore attraverso due volti umani: quello del suo Figlio divino fatto uomo e quello di una creatura che è donna, Maria.
Le donne danno il loro contributo alla Chiesa secondo il modo loro proprio e prolungando la forza e la tenerezza di Maria, la Madre.
In questo modo non ci limitiamo a una impostazione funzionale, ma entriamo nella struttura intima della Chiesa.
Così comprendiamo radicalmente perché senza le donne essa crolla, come sarebbero cadute a pezzi tante comunità dell'Amazzonia se non ci fossero state le donne, a sostenerle, a sorreggerle e a prendersene cura.
Ciò mostra quale sia il loro potere caratteristico.
102. Non possiamo omettere di incoraggiare i doni di stampo popolare che hanno dato alle donne tanto protagonismo in Amazzonia, sebbene oggi le comunità siano sottoposte a nuovi rischi che non esistevano in altre epoche.
La situazione attuale ci richiede di stimolare il sorgere di altri servizi e carismi femminili, che rispondano alle necessità specifiche dei popoli amazzonici in questo momento storico.
103. In una Chiesa sinodale le donne, che di fatto svolgono un ruolo centrale nelle comunità amazzoniche, dovrebbero poter accedere a funzioni e anche a servizi ecclesiali che non richiedano l'Ordine sacro e permettano di esprimere meglio il posto loro proprio.
È bene ricordare che tali servizi comportano una stabilità, un riconoscimento pubblico e il mandato da parte del Vescovo.
Questo fa anche sì che le donne abbiano un'incidenza reale ed effettiva nell'organizzazione, nelle decisioni più importanti e nella guida delle comunità, ma senza smettere di farlo con lo stile proprio della loro impronta femminile.
Accade spesso che, in un determinato luogo, gli operatori pastorali intravedano soluzioni molto diverse per i problemi che affrontano, e perciò propongano forme di organizzazione ecclesiale apparentemente opposte.
Quando succede questo, è probabile che la vera risposta alle sfide dell'evangelizzazione stia nel superare tali proposte, cercando altre vie migliori, forse non immaginate.
Il conflitto si supera ad un livello superiore dove ognuna delle parti, senza smettere di essere fedele a sé stessa, si integra con l'altra in una nuova realtà.
Tutto si risolve « su di un piano superiore che conserva in sé le preziose potenzialità delle polarità in contrasto ».142
Altrimenti il conflitto ci blocca, « perdiamo la prospettiva, gli orizzonti si limitano e la realtà stessa resta frammentata ».143
105. In nessun modo questo significa relativizzare i problemi, fuggire da essi o lasciare le cose come stanno.
Le autentiche soluzioni non si raggiungono mai annacquando l'audacia, sottraendosi alle esigenze concrete o cercando colpe esterne.
Al contrario, la via d'uscita si trova per "traboccamento", trascendendo la dialettica che limita la visione per poter riconoscere così un dono più grande che Dio sta offrendo.
Da questo nuovo dono, accolto con coraggio e generosità, da questo dono inatteso che risveglia una nuova e maggiore creatività, scaturiranno, come da una fonte generosa, le risposte che la dialettica non ci lasciava vedere.
Ai suoi inizi, la fede cristiana si è diffusa mirabilmente seguendo questa logica, che le ha permesso, a partire da una matrice ebraica, di incarnarsi nelle culture greca e romana e di assumere al suo passaggio differenti modalità.
Analogamente, in questo momento storico, l'Amazzonia ci sfida a superare prospettive limitate, soluzioni pragmatiche che rimangono chiuse in aspetti parziali delle grandi questioni, al fine di cercare vie più ampie e coraggiose di inculturazione.
In un'Amazzonia multi-religiosa, i credenti hanno bisogno di trovare spazi per dialogare e agire insieme per il bene comune e la promozione dei più poveri.
Non si tratta di renderci tutti più light o di nascondere le convinzioni proprie, alle quali siamo più legati, per poterci incontrare con altri che pensano diversamente.
Se uno crede che lo Spirito Santo può agire in chi è diverso, allora proverà a lasciarsi arricchire da quella luce, ma la accoglierà dall'interno delle sue convinzioni e dalla sua identità.
Perché tanto più profonda, solida e ricca è un'identità, tanto più potrà arricchire gli altri con il suo peculiare contributo.
107. Come cattolici possediamo un tesoro nelle Sacre Scritture che altre religioni non accettano, benché a volte siano capaci di leggerle con interesse e anche di apprezzare alcuni dei loro contenuti.
Qualcosa di simile cerchiamo di fare noi con i testi sacri di altre religioni e comunità religiose, dove si trovano « quei precetti e quelle dottrine che [ … ] non raramente riflettono un raggio di quella Verità che illumina tutti gli uomini ».144
Abbiamo anche una grande ricchezza nei sette Sacramenti, che alcune comunità cristiane non accettano nella loro totalità o in un identico significato.
Mentre crediamo fermamente in Gesù come unico Redentore del mondo, coltiviamo una profonda devozione verso sua Madre.
Pur sapendo che ciò non avviene in tutte le confessioni cristiane, sentiamo il dovere di comunicare all'Amazzonia la ricchezza del caldo amore materno del quale ci sentiamo depositari.
Infatti concluderò questa Esortazione con alcune parole rivolte a Maria.
108. Tutto questo non dovrebbe farci diventare nemici.
In un vero spirito di dialogo si alimenta la capacità di comprendere il significato di ciò che l'altro dice e fa, pur non potendo assumerlo come una propria convinzione.
Così diventa possibile essere sinceri, non dissimulare ciò in cui crediamo, senza smettere di dialogare, di cercare punti di contatto, e soprattutto di lavorare e impegnarsi insieme per il bene dell'Amazzonia.
La forza di ciò che unisce tutti i cristiani ha un valore immenso.
Prestiamo tanta attenzione a quello che ci divide che a volte non apprezziamo e non valorizziamo quello che ci unisce.
E quanto ci unisce è ciò che ci permette di essere nel mondo senza che ci divorino l'immanenza terrena, il vuoto spirituale, il comodo egocentrismo, l'individualismo consumista e autodistruttivo.
109. Come cristiani, ci unisce tutti la fede in Dio, il Padre che ci dà la vita e ci ama tanto.
Ci unisce la fede in Gesù Cristo, l'unico Redentore, che ci ha liberato con il suo sangue benedetto e la sua risurrezione gloriosa.
Ci unisce il desiderio della sua Parola che guida i nostri passi.
Ci unisce il fuoco dello Spirito che ci spinge alla missione.
Ci unisce il comandamento nuovo che Gesù ci ha lasciato, la ricerca di una civiltà dell'amore, la passione per il Regno che il Signore ci chiama a costruire con Lui.
Ci unisce la lotta per la pace e la giustizia.
Ci unisce la convinzione che non si esaurisce tutto in questa vita, ma che siamo chiamati alla festa celeste dove Dio asciugherà ogni lacrima e raccoglierà quanto abbiamo fatto per coloro che soffrono.
110. Tutto questo ci unisce.
Come non lottare insieme?
Come non pregare insieme e lavorare fianco a fianco per difendere i poveri dell'Amazzonia, per mostrare il volto santo del Signore e prenderci cura della sua opera creatrice?
Indice |
79 | Cfr Documenti di Santarem ( 1972 ) e Manaos ( 1997 ), in Conferenza Nazionale dei Vescovi del Brasile, Desafío missionário. Documentos da Igreja na Amazônia, Brasilia 2014, pp. 9-28 e 67-84. |
80 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 220 ( 24 novembre 2013 ) |
81 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 164 ( 24 novembre 2013 ) |
82 | Ibid., 165 |
83 | Ibid., 161 |
84 | Così lo intende il Concilio Vaticano II nel
n. 44 della Costituzione Gaudium et spes quando dice: « [ La Chiesa ] fin dagli inizi della sua storia, imparò ad esprimere il messaggio di Cristo ricorrendo ai concetti e alle lingue dei diversi popoli; inoltre si sforzò di illustrarlo con la sapienza dei filosofi: e ciò allo scopo di adattare il Vangelo, nei limiti convenienti, sia alla comprensione di tutti, sia alle esigenze dei sapienti. E tale adattamento della predicazione della parola rivelata deve rimanere la legge di ogni evangelizzazione. Così, infatti, viene sollecitata in ogni popolo la capacità di esprimere secondo il modo proprio il messaggio di Cristo, e al tempo stesso viene promosso uno scambio vitale tra la Chiesa e le diverse culture dei popoli » |
85 | Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania ( 29 giugno 2019, 9 ) |
86 | Cfr S. Vincenzo di Lerins, Commonitorium primum, 23: PL 50, 668: « Ut annis scilicet consolidetur, dilatetur tempore, sublimetur aetate » |
87 | Lettera al Popolo di Dio che è in cammino in Germania (
29 giugno 2019, 9 ): O.R., cit. Cfr l'espressione attribuita a Gustav Mahler: "la tradizione è la salvaguardia del futuro e non la conservazione delle ceneri" |
88 | Discorso ai docenti universitari e agli uomini di cultura, Coimbra, 15 maggio 1982, 5 |
89 | Messaggio agli indigeni del Continente americano, Santo Domingo (
12 ottobre 1992, 6 ); cfr Discorso ai partecipanti al Congresso nazionale del Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale ( 16 gennaio 1982, 2 ) |
90 | S. Giovanni Paolo II, Esort. ap. postsin. Vita consecrata, 98 ( 25 marzo 1996 ) |
91 | N. 115 |
92 | Ibid., 116 |
93 | Ibid. |
94 | Ibid., 129 |
95 | Ibid., 116 |
96 | Ibid., 117 |
97 | Ibid. |
98 | S. Giovanni Paolo II, Discorso all'Assemblea plenaria del Pontificio Consiglio per la Cultura ( 17 gennaio 1987 ) |
99 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 129 ( 24 novembre 2013 ) |
100 | IV Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Santo Domingo, 17 ( 12-28 ottobre 1992 ) |
101 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 198 ( 24 novembre 2013 ) |
102 | Cfr Vittorio Messori - Joseph Ratzinger, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo 1985, 211-212 |
103 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 198 ( 24 novembre 2013 ) |
104 | Pedro Casaldáliga, "Carta de navegar ( Por el Tocantins amazónico )", in El tiempo y la espera, Santander 1986 |
105 | San Tommaso d'Aquino lo spiega così: « Il triplice modo in cui Dio è nelle cose: una è comune, per essenza, presenza e potenza; un'altra, per la grazia, nei santi; la terza, singolare, in Cristo, per unione» ( Ad Colossenses, II, 2 ) |
106 | Lett. enc. Laudato si', 235 ( 24 maggio 2015 ) |
107 | III Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Puebla, 196 ( 23 marzo 1979 ) |
108 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 178 ( 24 novembre 2013 ) |
109 | Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium, 11; cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 10-11 ( 19 marzo 2018 ) |
110 | Vicariati Apostolici dell'Amazzonia Peruviana, "Segunda asamblea episcopal regional de la selva", San Ramón - Perú ( 5 ottobre 1973 ); in Éxodo de la Iglesia en la Amazonia. Documentos pastorales de la Iglesia en la Amazonia peruana, Iquitos 1976, 121 |
111 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 123 (24 novembre 2013) |
112 | Cfr Esort. ap. Gaudete et exsultate, 126-127 ( 19 marzo 2018 ) |
113 | Ibid., 32 |
114 | Lett. enc. Laudato si', 235 ( 24 maggio 2015 ) |
115 | Ibid. |
116 | Ibid., 236 |
117 | Ibid. |
118 | Ibid., 235 |
119 | Cfr Cost. Sacrosanctum Concilium, 37-40; n. 65; n. 77; n. 81 |
120 | Nel Sinodo è emersa la proposta di elaborare un "rito amazzonico" |
121 | Lett. enc. Laudato si', 237 ( 24 maggio 2015 ) |
122 | Esort. ap. postsin.
Amoris laetitia, 49 ( 19 marzo 2016 ); cfr ibid. 305 |
123 | Cfr ibid., 296; n. 308 |
124 | V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Aparecida, 100 ( 29 giugno 2007 ), e: ed. it. Bologna 2014, p. 63 |
125 | Cfr Congregazione per la Dottrina della Fede, Lettera Sacerdotium ministeriale ai Vescovi della Chiesa Cattolica su alcune questioni riguardanti il ministro dell'Eucaristia ( 6 agosto 1983 ) |
126 | Lett. ap. Mulieris dignitatem, 27 ( 15 agosto 1988 ) |
127 | S. Tommaso d'Aquino, Summa Theologiae III, q. 8, a. 1, resp |
128 | Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Decr.
Presbyterorum ordinis, 5; S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 22 ( 17 aprile 2003 ) |
129 | È proprio del sacerdote anche amministrare l'Unzione dei malati, perché essa è intimamente legata al perdono dei peccati: « E se ha commesso peccati, gli saranno perdonati » ( Gc 5,15 ) |
130 | Catechismo della Chiesa Cattolica, 1396; S. Giovanni Paolo II, Lett. enc. Ecclesia de Eucharistia, 26 ( 17 aprile 2003 ); cfr Henri de Lubac, Meditazione sulla Chiesa, Milano 1965, 185 |
131 | Conc. Ecum. Vat. II, Decr. Presbyterorum ordinis, 6 |
132 | Colpisce il fatto che in alcuni Paesi del bacino amazzonico vi sono più missionari per l'Europa o per gli Stati Uniti che per aiutare i propri Vicariati dell'Amazzonia |
133 | Nel Sinodo si è parlato anche della carenza di seminari per la formazione sacerdotale di persone indigene |
134 | Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 3 |
135 | S. Paolo VI, Omelia nella Solennità del Corpus Domini, 17 giugno 1965 |
136 | È possibile, data la scarsità di sacerdoti, che il Vescovo affidi « ad un diacono o ad una persona non insignita del carattere sacerdotale o ad una comunità di persone una partecipazione nell'esercizio della cura pastorale di una parrocchia » ( Codice di Diritto Canonico, 517 § 2 ) |
137 | V Conferenza Generale dell'Episcopato Latinoamericano e dei Caraibi, Documento di Aparecida, 178 ( 29 giugno 2007 ): ed. it. Bologna 2014, p. 100 |
138 | Ibid., 475: ed. it. cit., p. 245 |
139 | Instrumentum laboris, 65 |
140 | Ibid., 63 |
141 | Ibid., 129, d, 2 |
142 | Esort. ap. Evangelii gaudium, 228 ( 24 novembre 2013 ) |
143 | Ibid., 226 |
144 | Conc. Ecum. Vat. II, Dich. Nostra aetate, 2 |