Questioni sull'Ettateuco |
Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre e non ti accosterai alla moglie di lui.
Si spiega qui che cosa significa: Non scoprirai la vergogna del fratello di tuo padre, cioè del tuo zio paterno; perché ciò vuol dire: non ti accosterai alla moglie di lui, in quanto l'autore sacro volle che si distinguesse la vergogna dello zio paterno nella moglie dello zio, così come nella moglie del padre volle s'intendesse la vergogna del padre.
Non dovrai scoprire l'indecenza della moglie di tuo fratello; è la vergogna di tuo fratello.
Ci domandiamo se questo atto è proibito durante la vita del fratello o dopo la sua morte: e il quesito non è di poca importanza.
Se infatti diremo che la Scrittura parla della moglie del fratello vivente in un unico precetto generale con cui è proibito all'uomo di accostarsi alla moglie altrui, vi è incluso certamente anche questo. ( Es 20,17 )
Perché dunque la Scrittura in un modo così diligente distingue dalle altre con proibizioni particolari queste persone chiamate domestiche?
Poiché l'atto che si proibisce riguardo alla moglie del padre, cioè della matrigna, si deve intendere quello compiuto essendo vivo il padre e non dopo la sua morte.
Infatti chi non vede che quell'atto è proibito molto più severamente essendo vivo il padre, se è proibito di disonorare con l'adulterio la moglie altrui, di qualsiasi uomo si tratti?
Sembra dunque che parli di quelle persone che non avendo marito possono unirsi in matrimonio, salvo che fosse loro proibito dalla legge, come si dice essere consuetudine dei persiani.
Ma d'altra parte, se intenderemo che era proibito di sposare la moglie del fratello dopo che questi fosse morto, ci si presenta l'obbligo che la Scrittura prescrive di osservare al fine di procurare un discendente al fratello, se questi sia morto senza lasciare figli. ( Dt 25,5 )
E perciò, confrontando questo divieto con quel comando, affinché non siano in contraddizione tra loro, si deve pensare a un'eccezione, cioè che non è lecito ad alcuno sposare la moglie del fratello defunto, se il defunto lasciò dei discendenti, oppure pensare che quell'atto fu proibito anche al fine che non fosse lecito sposare la moglie del fratello, compresa quella che a causa del ripudio si fosse separata dal fratello ancora vivente.
Poiché a quel tempo - come dice il Signore - Mosè aveva permesso di dare la dichiarazione scritta di divorzio, ( Mt 19,8 ) e a causa di questo ripudio si poté pensare che chiunque potesse sposare lecitamente la moglie del proprio fratello dal momento che non avrebbe avuto paura di commettere adulterio, poiché quella si era separata a cagione del ripudio.
Non scoprirai la nudità di una donna e quella di sua figlia, vale a dire nessuno pensi che gli sia lecito sposare la figlia di sua moglie.
Poiché non è lecito scoprire insieme la nudità d'una donna e di sua figlia, cioè aver relazione sessuale con ambedue, con la madre e con la figlia di lei.
Non prenderai la figlia del figlio di quella donna né la figlia di sua figlia.
La Scrittura proibisce anche di sposare la nipote della donna, cioè la figlia di un suo figlio o d'una sua figlia.
Non prenderai in moglie una donna e in più sua sorella per provocarne la gelosia.
Qui non è proibito di sposare più di una donna, come era lecito fare agli uomini del tempo passato al fine di propagare un'abbondante discendenza, ma è proibito di avere per mogli due sorelle allo stesso tempo.
Ciò pare che avesse fatto Giacobbe ( Gen 30,22-28 ) o perché ancora non era stato proibito dalla legge o perché era stato ingannato, essendogli stata data in moglie un'altra e dopo che ebbe in moglie colei che a maggior diritto gli toccava in base all'impegno, ma sarebbe stato ingiusto mandar via la prima, per evitarle di farle commettere adulterio.
Quanto poi all'espressione: per provocarne la gelosia, è usata forse nel senso che non ci sia gelosia tra le sorelle, gelosia di cui non si sarebbe dovuto fare alcun caso se fosse stata tra persone che non fossero sorelle?
Oppure è usata piuttosto perché non si faccia per questo motivo, cioè che il matrimonio con due sorelle non si faccia con l'intenzione di provocare gelosia tra di loro?
Non ti accosterai a donna per scoprire la sua nudità durante l'immondezza mestruale, cioè non ti accosterai ad una donna durante la mestruazione, poiché veniva segregata secondo la legge, a causa dell'impurità.
Che significa il fatto che l'autore ha voluto aggiungere qui questo caso [ d'impurità sessuale ] con i medesimi precetti con i quali lo aveva proibito assai sufficientemente più sopra? ( Lv 15,19-27 )
O forse, avendo l'autore parlato di ciò in precedenza, per evitare che fosse preso in senso figurato, è stato ripetuto anche in questo passo in cui sono elencate le proibizioni di azioni di tal genere, proibizioni che senza dubbio devono essere osservate anche al tempo del Nuovo Testamento, eliminando l'osservanza delle ombre antiche?
Sembra che la Scrittura abbia indicato questa cosa per mezzo del profeta Ezechiele che, tra i peccati che non sono simbolo ma chiaramente contrari alla legge di Dio, menziona anche questo di accostarsi a una donna durante la sua mestruazione, e tra i meriti della giustizia menziona quello di non accostarsi. ( Ez 18,6; Ez 22,10 )
In questo caso non si condanna la natura, ma si mostra il danno che si arreca al concepimento della prole.
Non peccherai con la moglie del tuo prossimo per contaminarti con lei.
Ecco, qui si torna a proibire l'adulterio che si commette con la moglie di un altro ed è proibito anche nel decalogo. ( Es 20,17 )
Di qui è chiaro che quelle cose vengono proibite in modo che, anche dopo la morte dei loro mariti non devono sposare le donne delle quali è proibito scoprire la nudità.
Non permetterai che nessuno della tua discendenza serva il principe.
Qui non vedo in che senso possa prendersi [ servire ] il principe, se non il principe che viene adorato invece di Dio.
In greco infatti non è detto δουλεύειν ma λατρεύειν che i Latini sono soliti tradurre solo con la parola servire; tra i due termini infatti c'è un'enorme differenza di significato.
Poiché la Scrittura non proibisce di servire gli uomini come servono gli schiavi, cosa che non è λατρεύειν ma δουλεύειν; ma nel senso proprio di λατρεύειν [ adorare ] è comandato di servire il solo vero Dio e non gli uomini, come sta scritto: Adorerai il Signore tuo Dio e servirai lui solo. ( Dt 6,13 )
La Scrittura però indica bene di quale principe essa parli, cioè colui al quale si rende culto come a Dio, non solo con il verbo λατρεύειν, ma anche per il fatto che aggiunge: e non profanerai il nome santo, il nome di Dio, dal popolo del quale si può servire il principe in quel modo, o il nome santo del popolo d'Israele, a motivo del quale è detto: Voi siete santi, poiché anch'io sono santo. ( Lv 11,44; Lv 19,2; 1 Pt 1,16 )
Molto opportunamente anche in questo passo viene aggiunta l'affermazione: Io sono il Signore, con cui Egli ammonisce che a lui solo è dovuta la λατρεία, cioè il servizio con il quale si serve Dio.
E la terra è inorridita per coloro che vi si sono stabiliti.
[ Inorridì ] per le cattive azioni menzionate prima; non si deve pensare però che la terra abbia il senso con il quale avere la sensazione di queste azioni e inorridirne, ma con il nome di terra sono indicati gli uomini che vivono sulla terra.
Perciò quando gli uomini compiono queste cattive azioni inquinano la terra, poiché si contaminano coloro che le imitano e la terra inorridisce, perché inorridiscono gli uomini che non le fanno né le imitano.
Non ruberete, non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo.
Il precetto di non rubare si trova nel decalogo. ( Es 20,15 )
Quanto poi a ciò che segue: Non mentirete e nessuno calunnierà il prossimo, sarebbe strano se non fosse contenuto nel precetto scritto nello stesso decalogo: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo, ( Es 20,16 ) poiché non si può calunniare senza mentire, cosa che è inclusa nel precetto generale della falsa testimonianza.
Ma un problema difficile è quello di sapere se questi peccati si possono commettere in vista di un compenso [ di bene ], come sembra quasi a tutti a proposito della menzogna, che si possa mentire per salvare qualcuno quando non si reca danno a nessuno.
Si può forse dire la stessa cosa a proposito del furto? Oppure non si può fare un furto quando non si danneggia nessuno?
Anzi, al contrario, può farsi anche quando si viene in aiuto a qualcuno al quale si ruba, come se uno rubasse la spada a uno che volesse uccidersi.
Quanto invece alla calunnia io non so se uno può essere calunniato perché gli sia di giovamento.
A meno che il fatto che Giuseppe aveva incolpato falsamente del furto della coppa i suoi fratelli - contro i quali aveva mosso anche la falsa accusa di essere delle spie ( Gen 42, 9.14; Gen 44,4-5 ) -, tendeva ad aumentare la gioia che avrebbero goduto in seguito.
Sennonché se tentassimo di precisare queste cose entro determinati limiti, forse non si commette furto se non quando si danneggia il prossimo con il sottrarre di nascosto la roba altrui, e non c'è calunnia se non quando si danneggia il prossimo con l'accusa di una colpa falsa; quanto alla menzogna però non possiamo dire che ci sia solo quando si danneggia il prossimo, poiché quando si dice il falso coscientemente, senza dubbio è una menzogna sia che venga danneggiato qualcuno o nessuno.
Perciò il difficile problema della menzogna, se talora cioè possa essere giusta la bugia, forse si risolverebbe facilmente se considerassimo solo i precetti e non anche gli esempi.
In effetti quale comandamento è più tassativo di questo, essendo enunciato come il precetto non ti fabbricherai nessun idolo - azione, questa, che non può essere mai lecita - e allo stesso modo che è enunciato: non commettere adulterio - chi oserebbe infatti dire che l'adulterio talora può essere lecito? - e: non rubare - che secondo la precedente definizione del furto non può mai essere lecito - e: non uccidere, ( Es 20, 4.13-15 ) poiché quando viene uccisa giustamente una persona, la uccide la legge, non sei tu ad ucciderla.
Si può forse dire che quando uno mentisce lecitamente, mentisce la legge?
Ma gli esempi complicano estremamente il problema.
Le ostetriche egiziane avevano mentito e Dio le ricompensò con benefici; ( Es 1,19-20 ) Raab aveva mentito in favore degli esploratori del paese e per questo fu liberata. ( Gs 2,4; Gs 6,25 )
Per il fatto che nella legge è detto: Non mentirete, si deve forse concludere che non è lecito mentire nemmeno in un caso simile a quello in cui si legge che Raab disse una menzogna?
Possiamo invece pensare piuttosto che la menzogna era proibita per il fatto che era illecita, anziché pensare che divenne ingiusto perché era proibito.
Forse dunque, come abbiamo detto delle levatrici, non furono ricompensate per il fatto che avevano mentito, ma perché avevano salvato dei bambini ebrei, e così quell'atto di misericordia rese veniale quel peccato, ma tuttavia non si deve pensare che non fosse un peccato; così anche a proposito di Raab si deve pensare che fu ricompensata per aver salvato gli esploratori, di modo che le fu perdonata la menzogna per aver procurato loro la salvezza.
Nel caso infatti che si concede il perdono è chiaro che c'è il peccato.
Si deve però evitare di pensare così, cioè che si possa concedere il perdono agli altri peccati qualora vengano commessi per la salvezza delle persone.
Poiché da questo errore derivano molti mali intollerabili e molto detestabili.
Non recherai danno al tuo prossimo.
Se tutti comprendessero chiaramente che cosa vuol dire " recar danno " o " non recar danno ", forse questo precetto sarebbe sufficiente a conservare l'innocuità.
Poiché tutto ciò che è proibito fare al prossimo si può ridurre all'unico precetto espresso con le parole: Non recherai danno al tuo prossimo.
Infatti il seguito: Non sottrargli [ la sua roba ] ha il senso di non danneggiarlo con il rubare; alle volte accade che uno danneggi il prossimo astenendosi dal sottrargli qualcosa.
Infatti a uno che si comporta da pazzo si deve sottrarre la spada e, se uno non lo facesse quando fosse necessario, gli recherebbe un danno maggiore.
Che cosa significa il fatto che, avendo detto prima: Non avrai odio per il tuo fratello nel tuo cuore; rimprovera apertamente il tuo prossimo e così non incorrerai in un peccato a causa di lui, l'autore sacro soggiunge subito dopo: e la tua mano non sarà vendicata?
Vindicatur sta forse per " non sarà punita "? Poiché fai con sentimento ben disposto verso di lui la correzione al tuo prossimo che commette un peccato, per non incorrere nel suo peccato trascurando di rimproverarlo.
A ciò si riferisce la frase precedente: Non coverai odio contro il tuo prossimo nel tuo cuore.
Poiché a colui che viene rimproverato può sembrare che tu lo abbia in odio sebbene questo non sia nel tuo cuore.
O forse la frase: la tua mano non si vendicherà significa piuttosto: " non cercare che la tua mano sia vendicata e non lasciarti trascinare dalla passione della vendetta ".
Che cos'altro infatti vuol dire " volersi vendicare " se non rallegrarsi e compiacersi del male altrui?
Ecco perché la Scrittura dice: Non ti adirerai con i figli del tuo popolo.
L'ira infatti è stata definita giustamente la passione della vendetta.
Alcuni manoscritti al contrario hanno: e non si vendicherà la tua mano, cioè: non vendicarti rimproverando, ma piuttosto cerca di fare il bene di colui che rimproveri.
E non farete incisioni sul vostro corpo per un'anima.
Per un'anima vuol dire " per il cadavere di un morto "; in realtà si soffre per la dipartita di una persona.
Di questo dolore fa parte il lutto a causa del quale alcuni popoli hanno l'abitudine di farsi incisioni sul corpo.
È questo ciò che Dio proibisce di fare.
Affinché quelli del suo popolo fórnichino per i prìncipi.
Il testo non vuol dire " prìncipi del suo popolo ", ma " fórnichino quelli del suo popolo ".
L'agiografo vuol fare intendere qui per " prìncipi " quelli ch'erano adorati come dèi, come dice l'Apostolo: Seguendo il principe dell'impero dell'aria, ( Ef 2,2 ) e nel Vangelo il Signore dice: Ora il principe di questo mondo è stato cacciato fuori, ( Gv 12,31 ) e: Ecco, verrà il principe del mondo, ma in me non troverà nulla. ( Gv 14,30 )
Qualunque uomo che commetta adulterio con la moglie di un altro o chiunque commetterà adulterio con la moglie del suo prossimo devono morire assolutamente.
Si dice al plurale: Devono morire assolutamente, cioè tanto l'adultero quanto l'adultera.
Qui l'autore ha voluto indicare una certa differenza tra un uomo quale che sia e il prossimo, sebbene la Scrittura in molti passi usi il termine prossimo per indicare un uomo qualsiasi.
Ma che vuol dire questo modo di esprimersi che, avendo già parlato di un uomo qualsiasi, ripete la medesima cosa a proposito del prossimo, pur essendo naturale che, se ci si deve astenere dalla moglie di un qualsiasi uomo, molto di più ci si deve astenere dalla moglie del prossimo?
Se infatti prima l'Autore avesse parlato del prossimo, avrebbe dovuto aggiungere il riferimento a un uomo qualsiasi, perché non si pensasse che fosse lecito commettere adulterio con la moglie di chi non fosse prossimo; ora, al contrario, se non è lecito il male minore, quanto meno è lecito il male più grave.
Poiché se non è lecito non commettere adulterio con la moglie di qualsiasi uomo, quanto meno lecito sarà commetterlo con la moglie del prossimo!
O forse questa ripetizione spiega - per così dire - che cosa fu detto prima, affinché si comprendesse quanto male sia commettere adulterio con la moglie di [ qualsiasi uomo ] poiché, se lo si facesse, si commetterebbe adulterio con la moglie del prossimo?
In effetti ogni uomo è prossimo rispetto a qualunque altro uomo.
Se una donna si accosta a una bestia per lordarsi con essa, ucciderai la donna e la bestia; tutte e due dovranno essere messe a morte, sono colpevoli.
Sorge il problema in qual modo è colpevole una bestia, dato che è irrazionale e non è in alcun modo capace d'intendere e osservare la legge.
O forse, come nella figura retorica, chiamata in greco μεταφορά, si trasportano i vocaboli delle qualità proprie da un essere animato a un essere inanimato - come si dice "vento malvagio " e " mare adirato " - così anche qui è stata trasferita una qualità propria d'un essere a un altro essere irrazionale?
Si deve infatti pensare che è stato comandato di uccidere le bestie per il fatto che, contaminate da una turpitudine così infamante, ridestano il ricordo di un fatto così vituperevole.
Se uno prende la propria sorella, figlia di suo padre o figlia di sua madre, e vede la nudità di lei, e lei quelle di lui, è un'infamia; tutti e due saranno eliminati alla presenza dei figli del loro popolo; quel tale ha scoperto la nudità della propria sorella; si addosseranno il loro peccato.
Che cosa vuol dire vede, se non " la conoscerà mediante l'accoppiamento "?
Così è detto nella legge: conobbe sua moglie, ( Gen 4, 1. 17.25 ) che sta per: " si accoppiò con lei ".
E che cosa vuol dire: si addosseranno il loro peccato, mentre l'autore parla del loro castigo, se non che vuole chiamare " peccato " il castigo del peccato?
Chi si coricherà con una sua parente, scopre l'indecenza della sua parentela: morranno senza figli.
Ci chiediamo fino a qual grado si deve intendere questa parentela, dal momento che è certamente lecito prendere moglie dal grado lontano.
Si deve però intendere che non è lecito prenderla dai gradi proibiti conforme a quanto è detto: Chi si coricherà con una sua parente.
Qui l'autore ha passato sotto silenzio anche alcuni membri da considerarsi componenti una parentela, come una sorella, figlia di ambedue i genitori, come la moglie del fratello della madre, cioè dello zio materno.
Prima infatti il testo sacro proibisce di sposarsi con la moglie dello zio paterno, sebbene questa non si chiami parentela ma affinità.
Ma che vuol dire: morranno senza figli, dato che da tal genere di unioni sono nati figli prima e nascono ancor oggi?
Si deve forse pensare che è stato stabilito dalla legge di Dio che i nati da tali unioni non siano considerati come figli, cioè non succedono con alcun diritto ai loro genitori?
76.2. Non renderete le vostre vite abominevoli a causa delle bestie, degli uccelli e di tutti gli animali che strisciano per terra che io vi ho fatto distinguere come immondi.
Sembra che qui il testo voglia dire che gli animali menzionati sono impuri non per natura, ma in quanto sono prefigurazione d'una verità religiosa profonda, dal momento che il testo dice: che io vi ho fatto distinguere come immondi, come per dire che per gli Israeliti non sarebbero impuri, se non fossero separati per loro.
Se uno, uomo o donna, avrà un ventriloquo o un incantatore, devono morire ambedue; li lapiderete con le pietre, sono colpevoli.
Saranno lapidati forse l'uomo e la donna oppure l'uomo e il ventriloquo o la donna e il ventriloquo o indovino?
L'ipotesi più probabile però sembra questa: non solo la persona che ha l'indovino, ma anche l'indovino che essa ha.
Non prenderanno in moglie una prostituta o profanata, e una donna ripudiata dal marito; poiché è santo per il Signore suo Dio.
L'agiografo prima aveva detto: non prenderanno in moglie, ora invece dice: poiché è santo, e non " poiché sono santi ".
Parlava di più persone che sono sacerdoti nello stesso tempo e di ciascuno di loro dice: poiché è santo, con un'espressione che suole usare la Scrittura.
Dopo infatti menziona l'unico sommo sacerdote che entrava nel luogo più santo [ della tenda-santuario ], ma conclude il discorso dicendo: E lo si riterrà santo: è lui che offre i doni del Signore vostro Dio; è santo poiché sono santo io, il Signore che li santifico.
Quanto poi si riferisce ai doni, poiché dice: È lui che offre i doni del Signore vostro Dio, non li offrivano solo il sommo sacerdote ma anche i sacerdoti inferiori.
Perciò la proibizione formulata con le parole: Non prenderanno in moglie una prostituta e già disonorata né una donna ripudiata dal marito, si riferisce anche ai sacerdoti di secondo grado, poiché si parla poi del sommo sacerdote e si dice che ha l'obbligo di prendere in moglie solo una vergine. ( Lv 21,13 )
E il sacerdote, il grande tra i suoi fratelli cioè quello che per l'appunto è grande tra i suoi fratelli, colui - s'intende - che è l'unico sommo sacerdote.
Sulla testa del quale è stato versato l'olio santo, la Scrittura chiama unto l'olio.
Che è stato abilitato per indossare i paramenti, precisamente quelli che sono descritti con molta esattezza a proposito delle vesti sacerdotali. ( Es 28, 4ss )
Non scoprirà il capo togliendosi la tiara e non si straccerà le vesti né si avvicinerà ad alcuna anima morta.
S'intende che gli era proibito di fare ciò che più sopra era detto a proposito del lutto, cioè scoprire il capo togliendo la tiara e stracciandosi le vesti.
Poiché stracciarsi le vesti era un costume proprio degli antichi, come la Scrittura dice di Giobbe quando gli fu annunciato che i suoi figli erano stati schiacciati sotto la caduta della casa. ( Gb 1,20 )
Scoprire la testa togliendo la tiara poté invece essere un segno di lutto per il fatto ch'era il togliersi un ornamento.
Quanto all'espressione: non si avvicinerà ad alcuna anima morta, è al contrario difficile comprendere il senso in cui si dice anima morta, il corpo morto.
Esso è tuttavia un modo di esprimersi usuale delle Scritture, mentre per noi è assai insolito.
In realtà il corpo privo dell'anima riceve anche il nome di essa che lo governava, poiché dev'essere restituito ad essa nella risurrezione; così l'edificio chiamato " chiesa ", anche quando esce da essa l'assemblea [ dei fedeli ] che sono uomini, tuttavia si chiama chiesa.
Ma siccome il corpo non riceve il nome di anima in una persona vivente, è strano che venga chiamato " anima " quando è rimasto privo dell'anima.
D'altra parte se intenderemo come anima morta quella separata dal corpo, cosicché sembri che l'agiografo abbia chiamato " morte " quella separazione, cioè che sia morta l'anima una volta che si sia separata dal corpo senza perdere la sua natura - poiché nemmeno quando si dice che siamo morti al peccato, ( Rm 6,2 ) si afferma che sia morta la natura, ma che non viviamo più nel peccato, di modo che in questo senso s'intenda " morta " l'anima, cioè morta al peccato poiché ha cessato di vivere nel peccato, sebbene viva nella sua natura - in che modo può uno accostarsi a un'anima morta, azione proibita al sacerdote, in quanto chi vi si accosta, si accosta a un corpo morto e non a un'anima ch'è uscita dal corpo?
O forse ciò che l'agiografo chiama con il nome di " anima " denota la vita temporale, che di certo è morta in un corpo defunto dopo la dipartita dell'anima, che non può morire?
Non che l'anima fosse la vita ma che per la presenza dell'anima dalla quale sussisteva prese il nome di essa, come abbiamo distinto quando parlavamo del sangue,7 per qual motivo l'autore sacro disse: L'unione di ogni carne è il suo sangue. ( Lv 17,11 )
Poiché anche il sangue è morto in un corpo morto, e non se ne allontana con l'anima che se ne diparte.
La Scrittura dunque proibì al sommo sacerdote di avvicinarsi al cadavere di suo padre o di sua madre, cosa che non proibì ai sacerdoti di rango inferiore.
L'autore infatti continua dicendo: Non si contaminerà né per suo padre né per sua madre; la disposizione ordinata delle parole è però la seguente: per suo padre non si contaminerà né per sua madre.
E non uscirà dai [ luoghi ] sacri.
Senza dubbio non doveva uscirne durante il tempo in cui si celebravano i funerali dei suoi come gli era vietato di uscire dai luoghi sacri durante i sette giorni in cui veniva consacrato, ( Lv 8,33 ) però non sempre.
Naturalmente se ai sommi sacerdoti non era proibito allora di sposarsi e di generare figli, sorge un grave problema.
Poiché la legge dice che un uomo è impuro fino alla sera anche per il coito coniugale, pur dopo essersi lavato il corpo con l'acqua ( Lv 15,16 ) e al sommo sacerdote è comandato di entrare due volte al giorno quotidianamente al di là del velo ov'era l'altare dell'incenso ( Es 30,7-8 ) perché l'incenso continuasse a bruciare e non era lecito ad alcuna persona impura avvicinarsi ai luoghi sacri, in qual modo poteva adempiere questo suo dovere ogni giorno il sommo sacerdote se generava figli?
Se infatti uno chiedesse chi lo potesse supplire qualora si fosse ammalato, gli si potrebbe rispondere che per grazia di Dio non si ammalava.
Per conseguenza o doveva essere continente o durante alcuni giorni si doveva interrompere il servizio dell'incenso oppure, se non poteva interrompersi quel servizio dell'incenso che solo il sommo sacerdote poteva porre, questi non sarebbe rimasto impuro per il coito coniugale grazie alla sua speciale condizione di consacrato.
Oppure se si riferisce anche a lui ciò che è detto nel seguito a proposito dei figli di Aronne, che cioè nessuno di essi si avvicini ai luoghi sacri se gli capitasse di avere qualche impurità, ( Lv 22,3 ) resta certamente solo da pensare che in alcuni giorni non si poneva l'incenso.
Quanto al divieto fatto al sommo sacerdote di non avvicinarsi al cadavere di suo padre si può porre il quesito: in qual modo poteva già essere sommo sacerdote quando suo padre non era ancora morto, dal momento che la Scrittura ordina che i sommi sacerdoti succedano ai loro padri?
Per mantenere sempre acceso l'incenso, che doveva essere messo ogni giorno dal sommo sacerdote [ sul braciere dell'altare ], era necessario che venisse sostituito il sacerdote al precedente sommo sacerdote anche se questo non fosse stato ancora sepolto.
Sennonché resta irrisolto anche il problema della malattia del sommo sacerdote se avesse dovuto rimanere infermo alcuni giorni prima di morire, salvo che anche questo problema si possa risolvere dicendo che i sommi sacerdoti erano soliti morire improvvisamente, come di Aronne dice la Scrittura. ( Nm 20,26-29 )
Si deve notare che la Scrittura molte volte dice: Sono io il Signore che lo santifico, parlando del sommo sacerdote e questa stessa cosa è detto [ di farla ] a Mosè: e lo santificherai. ( Es 29,24 )
In qual modo allora santifica Mosè e il Signore?
Mosè non lo fa in luogo del Signore, ma mediante il suo ministero celebrando i riti sacri visibili, il Signore invece lo fa mediante lo Spirito Santo con la grazia invisibile in cui sta tutta l'efficacia anche dei riti sacri visibili. In realtà senza tale santificazione prodotta dalla grazia invisibile a che cosa giovano i riti visibili?
Giustamente quindi si pone il quesito se anche l'invisibile santificazione non giovi ugualmente per nulla senza i riti sacri visibili, con i quali l'uomo viene santificato visibilmente, cosa che è certamente illogica.
Poiché più tollerabilmente uno potrebbe dire che la santificazione non esisterebbe senza quelli, anziché dire che non gioverebbe se ci fosse, in quanto è nella santificazione tutta l'utilità dei riti.
Ma bisogna considerare attentamente come possa affermarsi con ragione che senza i riti non potrebbe esistere la santificazione.
A nulla infatti giovò il battesimo visibile a Simon Mago al quale mancò la santificazione invisibile. ( At 8,9-12 )
Coloro però ai quali giovò la santificazione invisibile poiché l'avevano, avevano ricevuto anch'essi i riti visibili essendo stati battezzati ugualmente.
Quanto a Mosè, che santificava visibilmente i sacerdoti, la Scrittura non fa vedere tuttavia ove fu santificato lui stesso con gli stessi sacrifici o con l'olio, ma chi oserebbe negare che fu santificato invisibilmente lui, che aveva la grazia in grado così elevato?
Ciò può dirsi anche di Giovanni Battista, poiché apparve prima come battezzatore che come battezzato. ( Mt 3,11.14 )
Per conseguenza non possiamo negare assolutamente che fosse santificato.
In nessun passo [ della Scrittura ] troviamo che questo fatto sia avvenuto in lui visibilmente prima che giungesse al ministero di battezzare.
Lo stesso può dirsi anche del ladrone crocifisso con il Signore, che gli disse: Oggi sarai con me in paradiso; ( Lc 23,43 ) egli infatti non ricevette una sì grande felicità senza la santificazione invisibile.
Logicamente perciò si può concludere che alcuni ebbero e giovò loro la santificazione invisibile senza i riti sacri che furono cambiati rispetto alle diverse epoche, di modo che allora erano diversi da quelli che sono adesso, ma la santificazione visibile, prodotta per mezzo dei riti visibili, può aversi ma può non giovare.
Non per questo tuttavia dev'essere disprezzato il rito visibile, poiché se uno lo disprezza non può essere santificato in alcun modo.
Di qui si deduce che Cornelio e coloro che erano con lui, sebbene apparissero già santificati invisibilmente per aver ricevuto lo Spirito Santo, tuttavia furono battezzati ( At 10,44-48 ) e non fu giudicata inutile la santificazione visibile, sebbene fosse stata già preceduta da quella invisibile.
E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Di' ad Aronne e ai suoi figli: "E abbiano rispetto per le cose sante dei figli d'Israele - e non profaneranno il mio santo nome - tutte quelle che essi santificano per me; sono io il Signore".
E dirai loro: "Per le vostre generazioni ogni uomo, chiunque egli sia, discendente da ogni vostro seme, quando si avvicinerà a qualsiasi cosa che i figli di Israele avranno santificato al Signore e l'impurità sarà in lui, quell'anima sarà sterminata da me; sono io il Signore vostro Dio" ".
Viene eliminato ogni dubbio che nessuno dei sommi sacerdoti o di quelli inferiori doveva accostarsi alle cose sante qualora fosse in lui la sua impurità.
Ne seguiva dunque il dovere della continenza imposto al sacerdote per evitare che per la procreazione dei figli non si continuasse in alcuni giorni a mettere l'incenso, che soleva essere messo due volte al giorno, al mattino e alla sera, dai sommi sacerdoti, ( Es 30,7-8 ) dal momento che, dopo il coito coniugale e dopo essersi lavato il corpo, restava immondo fino alla sera il sacerdote dal quale era necessario che fosse posto l'incenso sull'altare. ( Lv 15,16 )
Quanto poi all'espressione: le cose che santificano i figli di Israele, deve intendersi ciò che offrendolo ai sacerdoti doveva essere offerto da essi al Signore.
Si deve inoltre considerare il genere di consacrazione che si fa per un voto e per la devozione dell'offerente.
Ma si deve considerare anche se la Scrittura dice che gli uomini consacrano se stessi nello stesso modo che vengono consacrate le cose da loro offerte, quando in qualche caso consacrano se stessi.
E chi toccherà qualunque impurità di anima, cioè qualche cadavere, il cui contatto produce un'impurità secondo quanto dice la legge.
Qualunque uomo che maledirà Dio prenderà su di sé il proprio peccato, ma chi avrà pronunciato il nome del Signore, muoia senza scampo, come se una cosa fosse il maledire il proprio Dio e un'altra aver pronunciato il nome del Signore e quello fosse un peccato e questo un sacrilegio così grave da meritare perfino la morte; sennonché in questo passo l'espressione nome del Signore si deve intendere nel senso che uno lo faccia con una maledizione, vale a dire pronunci il nome del Signore maledicendolo.
Quale differenza c'è allora tra quel peccato e questa colpa di un sacrilegio così grave?
Ripetendo la stessa cosa ha voluto forse la Scrittura mostrare che quello non era un peccato leggero ma un sacrilegio tanto grave da dover essere punito con la morte?
L'espressione però risulta non molto chiara, poiché il testo introdusse il concetto con una distinzione; infatti non dice: nominans enim [ chi pronuncia ], ma: nominans autem [ chi invece pronuncia ].
Se, perciò, ciò s'intende bene, si deve considerare anche il genere del modo di esprimersi.
E l' uomo che ferirà l'anima di un uomo e questi morirà, muoia inesorabilmente.
Il testo non dice: " chiunque ferirà un uomo e questi morirà ", ma l'anima di un uomo, quando è piuttosto il corpo dell'uomo a essere ferito dall'assassino, come dice anche il Signore: Non temete coloro che uccidono il corpo. ( Mt 10,28 )
La Scrittura secondo il suo solito modo di esprimersi chiama anima la vita del corpo che gli è data dall'anima e in questo modo ha voluto far vedere che è omicida uno in quanto ferisce l'anima di un uomo, cioè priva della vita un uomo ferendolo a morte.
Perché allora il testo aggiunge: e questi morirà se già si mostra l'omicidio con il fatto che ha ferito l'anima di un uomo, cioè un uomo è stato privato della vita dall'assassino?
Si è voluto forse dire in qual senso deve intendersi l'espressione: " l'anima dell'uomo ferita " e perciò dice: morirà, come se dicesse: " cioè morirà "?
È questo infatti ciò che significa il fatto che fu ferita l'anima di un uomo.
Quando entrerete nel paese che vi dò, la terra che vi dò riposerà il Sabato per il Signore.
Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo frutto; nel settimo anno invece vi sarà un riposo per la terra, Sabato per il Signore. In qual senso deve intendersi la frase: Quando entrerete nel paese che vi dò, e la terra riposerà; per sei anni seminerai il tuo campo, ecc.?
Poiché dà l'impressione che venga comandato di fare ciò quando la terra si sia riposata, mentre la terra riposa poiché è lasciata riposare.
Il testo infatti vuole che il riposo della terra sia inteso naturalmente quello nel settimo anno, nel quale era stato comandato che nessuno lavorasse in essa compiendo le opere dell'agricoltura.
Il lungo iperbato però rende oscuro il senso della frase.
Sembra dunque che l'ordine delle parole sia il seguente: Quando entrerete nel paese che vi do e la terra che vi do si sarà riposata, è Sabato del Signore; i vegetali che spuntano spontaneamente dal tuo campo non li mieterai e l'uva della tua santificazione non la vendemmierai.
Sarà l'anno del riposo per la terra. E il riposo della terra servirà da cibo per te, per il tuo servo, per la tua serva, per il tuo salariato e per il forestiero che risiede presso di te.
E per le tue bestie e per gli animali che sono nel tuo paese servirà di nutrimento tutto ciò che nascerà dal campo.
Al fine di spiegare come riposa la terra l'autore interpose però le seguenti frasi: Per sei anni seminerai il tuo campo e per sei anni poterai la tua vigna e raccoglierai il suo prodotto, ma nel settimo anno ci sarà il Sabato: sarà il riposo della terra, il Sabato del Signore.
Non seminerai il tuo campo e non poterai la tua vigna.
Inoltre dall'espressione: non poterai, dobbiamo intendere che in quell'anno era proibito ogni lavoro agricolo per coltivarla, poiché se non la si può potare non può essere arata né tenuta in ordine con sostegni né impiegare alcun altro mezzo necessario per coltivarla; ma allo stesso modo che suole prendersi la parte per il tutto, così con il termine " potatura " è indicata ogni altra specie di coltivazione.
Così pure il campo e la vigna, ch'era proibito rispettivamente di seminare e di potare, devono essere presi per qualsiasi altro genere di terreno coltivabile, poiché non si deve compiere alcun lavoro né in oliveto né in qualsiasi altro genere di terreno tenuto a cultura.
Quanto invece alla frase: e il Sabato della terra servirà da nutrimento per te, per il tuo servo, per la tua serva, ecc., fa capire bene che al padrone del campo non è proibito di mangiare i prodotti nati spontaneamente [ nel suo campo ] quell'anno ma di raccoglierne i frutti.
Gli è permesso perciò di prenderne qualcosa per mangiarlo, come di passaggio, prendendo solo ciò che può consumare subito mangiandolo, non ciò che si raccoglie al fine di metterlo in serbo per i bisogni della vita.
E la terra non sarà venduta per la profanazione.
Altri manoscritti hanno: per la confermazione; penso che questo errore negli uni o negli altri sia capitato prima nel testo greco a causa della somiglianza del suono della parola, poiché βεβήλωσις significa profanazione, βεβαίωσις invece vuol dire confermazione.
Il senso però della prima parola è chiaro: E la terra non sarà venduta per la profanazione, cioè che nessuno osi vendere la terra, ricevuta da Dio, ai profani perché se ne servano per l'empietà e il culto degli dèi stranieri e falsi.
Non è invece molto chiaro il senso della frase: E la terra non sarà venduta per la confermazione, penso che non si debba intendere se non nel senso che la vendita non sia tanto definitiva che il venditore non possa riaverla nel tempo stabilito per essere restituita come è comandato.
Invece ciò che segue può accordarsi al senso di ambedue le espressioni, sia che si legga: e la terra non sarà venduta per la profanazione, sia: in modo definitivo, perché immediatamente si aggiunge: Poiché mia è la terra, in quanto per me voi siete degli immigrati e residenti di passaggio.
E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra.
Altri manoscritti invece hanno: Darete il riscatto del terreno.
Il senso dunque è il seguente: Il terreno non sarà venduto per la profanazione, vale a dire a coloro che lo userebbero per offendere il Creatore, oppure: in modo definitivo, cioè in modo che il compratore lo possieda per sempre né lo restituisca al venditore dopo un determinato intervallo di tempo, secondo il precetto di Dio.
Poiché mia - è detto - è la terra, per conseguenza dovete servirvene secondo il mio precetto.
E per dimostrare che è sua e non di essi e che cosa essi fossero nella terra, il testo aggiunge immediatamente dopo: Poiché per me voi siete degli immigrati e residenti di passaggio, cioè: sebbene per voi siano degli immigrati, vale a dire forestieri, coloro i quali, provenienti dagli stranieri, si uniscono al vostro popolo e quantunque siano residenti di passaggio, cioè non siano residenti nella propria terra, tuttavia anche voi per me siete immigrati e residenti di passaggio.
Dio dice così non solo agli Israeliti in quanto diede loro la terra degli altri popoli che egli cacciò via, ma anche a ogni uomo, poiché agli occhi di Dio che rimane in eterno e, come sta scritto, ( Ger 23,24 ) riempie di certo il cielo e la terra con la sua presenza, ogni uomo è un forestiero nel nascere e un abitante di passaggio nella vita, poiché con la morte è costretto ad emigrare.
Il testo poi aggiunge la frase seguente: E per ogni terreno di vostra proprietà darete la ricompensa alla terra come inquilini, oppure il riscatto.
Se non mi sbaglio l'agiografo vuole qui farci intendere ciò che, preso dalla terra, in certo qual modo le restituivano lasciandola incolta ogni sette anni e ogni cinquanta anni, ( Lv 25,8 ) scadenza che era chiamata " annata della remissione ", cosicché il riposo della terra come ricompensa per l'abitazione e il riscatto sarebbero derivati da colui che è il padrone della terra, cioè da Dio che l'ha creata.
Io porrò la mia tenda in mezzo a voi e l'anima mia non vi avrà in abominazione. Dio chiama anima la sua volontà.
Poiché egli non è un essere vivente composto di corpo e di anima; e la sua sostanza non è come quella della sua creatura che si chiama anima, creata da lui, come attesta lui stesso per mezzo di Isaia dicendo: e ogni alito vitale l'ho creato io, ( Is 57,16 ) cosa che dal seguito del testo si capisce bene che Dio lo dice dell'anima dell'uomo.
Come dunque, allorché Dio si esprime parlando dei " suoi occhi " e delle " sue labbra " o usando gli altri vocaboli denotanti le membra del corpo, non pensiamo che egli sia delimitato dalla natura del corpo ma tutti quei termini denotanti le membra li consideriamo solo come effetti delle azioni e delle potenze di Dio, così anche quando Dio dice: l'anima mia dobbiamo intendere che vuol dire la sua volontà.
In effetti la natura perfetta e semplice che si chiama Dio non risulta composta di corpo e di spirito e non è mutabile per lo spirito come lo è l'anima; Dio invece è spirito e sempre lo stesso, e in lui non c'è cambiamento. ( Gc 1,17 )
Dal nostro passo presero il pretesto gli Apollinaristi, i quali affermano che il Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Cristo Gesù, ( 1 Tm 2,5 ) non avesse l'anima ma fosse unicamente Verbo e carne quando dice: L'anima mia è oppressa dalla tristezza fino a morirne. ( Mt 26,28 )
Ma dal suo modo di agire che a noi si manifesta chiaramente attraverso il racconto del Vangelo, le funzioni dell'anima umana appaiono così evidenti che dubitarne è proprio di chi è demente.
Che cosa significa il fatto che Dio, nel minacciare i castighi dovuti alla disubbidienza, tra il resto disse: Vi annienterà la spada che verrà all'improvviso, e poi aggiunge: e il vostro paese resterà deserto e le vostre città rimarranno deserte.
Allora il paese accetterà i suoi Sabati per tutti i giorni della sua desolazione, e voi sarete nel paese dei vostri nemici?
In che modo li annienterà la spada se saranno nel paese dei loro nemici?
Li annienterà forse nello stesso paese in quanto dopo quella carneficina non esisteranno più in quel paese?
Oppure dice: vi annienterà come se volesse dire: " vi ucciderà " di modo che appartengano a tale sterminio solo coloro che moriranno di spada, non tutti dal momento che poco dopo dice: e a quelli tra voi che rimarranno, introdurrò nel loro cuore il terrore?
Oppure l'espressione vi annienterà è un'iperbole, secondo il quale modo di esprimersi è detto che il loro grande numero è come la sabbia del mare? ( Gen 22,17; Gen 32,12 )
Alla stregua di questo modo di parlare è detto anche ciò che segue: e li perseguiterà il fruscio di una foglia che cade, cioè saranno in preda a un terrore sì grande che avranno paura perfino delle cose più futili.
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