Questioni sull'Ettateuco |
Che significa il fatto che viene comandato di scegliere dei capi da ogni tribù ed essi sono chiamati χιλιάρχους [ capo di mille uomini ]?
Alcuni traduttori latini li hanno chiamati tribuni, ma sembra che il termine χιλίαρχοι stia ad indicare capi di mille.
Quando però Ietro, suocero di Mosè, diede al suo genero il consiglio, approvato anche da Dio, di organizzare il popolo sotto dei capi, in modo che non tutte le cause comuni gravassero sopra Mosè più in là delle sue forze, chiamò χιλιάρχους coloro che dovevano essere posti a capo di mille uomini, έκατοντάρχους quelli a capo di cento, πεντακοντάρχους quelli a capo di cinquanta e δεκαδάρχους quelli a capo di dieci, chiamati così per il numero di uomini dei quali erano a capo. ( Es 18, 21.25 )
Il termine χιλίαρχοι deve forse prendersi nel senso che ciascuno di essi fosse a capo di mille uomini? No di certo.
Poiché a quel tempo la totalità degli uomini del popolo d'Israele non era composta solo da dodicimila individui.
In realtà ciascuno di questi furono scelti tra ciascuna tribù; quelle dodici tribù senza dubbio non contenevano mille uomini ciascuna ma molte migliaia.
Il termine χιλίαρχοι è dunque uguale a quello di coloro che sono chiamati così nell'Esodo, in quanto ciascuno di essi era a capo di mille uomini, mentre ciascuno di questi era a capo di migliaia di uomini, poiché la disposizione delle lettere che compongono il nome χιλίαρχοι manda lo stesso suono sia che venga da " mille " che da " migliaia ".
Con ragione si pone il quesito che cosa significhi il fatto che, per ciascuna delle tribù, dei figli di Israele in età adatta a fare il soldato, per ciascuna di esse si dice: Secondo le loro parentele, secondo i loro popoli, secondo il loro casato, secondo il numero delle loro persone, secondo le loro teste, e queste cinque formule sono ripetute in modo del tutto uguale fino a quando è terminato il censimento di tutte le tribù, come se una cosa fosse secondo le loro parentele, un'altra secondo i loro popoli, un'altra secondo le casate, un'altra secondo il numero delle persone, un'altra ancora secondo le teste, mentre pare piuttosto che venga indicata una medesima cosa con espressioni diverse.
Ma desta la nostra riflessione il fatto che le medesime espressioni sono riportate per tutte le tribù con tanta diligenza che si può pensare che ciò non avviene senza uno scopo anche se non si capisce.
Senza dubbio dunque lo stesso numero indica qualche mistero nel ripetere la medesima cosa cinque volte con diverse espressioni.
L'importanza di questo numero, che è il medesimo dei cinque libri di Mosè, il numero cinque, è messa in risalto specialmente nell'Antico Testamento.
Al contrario le altre quattro espressioni che poi sono concatenate tra loro, cioè i maschi da vent'anni in su, chiunque poteva andare in guerra, il censimento di essi, sebbene siano ripetute assolutamente allo stesso modo anch'esse per tutte le tribù, hanno una inevitabile differenza.
Trattandosi infatti del numero di tutte quante le persone facenti parte d'una tribù, doveva distinguersi il sesso, e perciò si dice: tutti i maschi.
Ma perché tra questi non fossero contati anche i ragazzi si aggiunge: dai venti anni in su.
Invece perché non fossero computati i vecchi, inadatti alla guerra, si aggiunge: chiunque poteva andare in guerra.
Tutte le espressioni si concludono con la frase denotante l'operazione che veniva svolta dicendo: il censimento di essi.
Si faceva infatti il censimento per contare quelle migliaia di uomini.
Orbene quelle cinque categorie: " parentele, clan, casati, numero delle persone, testa ", e di poi queste altre quattro: " sesso, età, esercito, censimento " con il loro numero insegnano qualcosa d'importante.
Poiché se uno di questi due numeri, cioè il cinque e il quattro, si moltiplicasse per l'altro, vale a dire cinque per quattro, oppure quattro per cinque, si otterrebbe venti.
Con questo numero si indica anche l'età degli adolescenti [ atti alle armi ].
Questo numero inoltre viene menzionato anche quando [ gli Israeliti ] entrano nella terra promessa e si afferma che quell'età di venti anni non si sarà piegata né a destra né a sinistra.
In questo fatto mi pare che sono simboleggiati i santi fedeli d'ambedue i Testamenti che conservano la vera fede.
Infatti l'Antico Testamento eccelle soprattutto nei cinque libri di Mosè e il Nuovo nei quattro Evangeli.
Quando la Scrittura parla di spostare, di collocare al suo posto e di erigere la tenda-santuario dice: e lo straniero, che si avvicinerà, dovrà morire; questo straniero deve intendersi anche come uno degli Israeliti non appartenenti alla tribù che aveva l'obbligo di prestar servizio alla tenda-santuario, che cioè non era della tribù di Levi.
È però strano che si chiami impropriamente straniero chi più propriamente significa una persona di un'altra stirpe, cioè άλλογενής e non più propriamente άλλόφυλος, che significa " una persona di un'altra tribù ".
La Scrittura usa questo termine piuttosto per denotare individui di altri popoli, cosicché vengono chiamati " allofili " come se fossero individui di altre tribù.
E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Prendi la tribù di Levi e mettila a disposizione del sacerdote Aronne e lo serviranno, e osserveranno le osservanze officiate da lui e le osservanze degli Israeliti, che non erano di quella tribù davanti alla tenda-santuario del Signore ".
Quelle che il greco chiama φυλακάς, i nostri traduttori le chiamano alcuni custodias [ guardie ], altri excubias [ sentinelle ].
Ma molto probabilmente sarebbe meglio chiamarle vigilias [ veglie ], poiché avevano l'ufficio di vegliare a difesa dell'accampamento, a turno di tre ore ciascuno.
Ecco perché la Scrittura dice: Alla quarta veglia della notte andò da essi camminando sulle acque, ( Mt 14,25 ) cioè dopo l'ora nona nove della notte, ossia dopo tre turni di veglia.
Anche in molti altri passi della Scrittura i nostri autori hanno tradotto con vigiliae quelle che i Greci chiamano φυλακάς.
Non c'è alcun dubbio che in quei passi sono indicati gli spazi del tempo della notte, come credo che si debba intendere anche qui.
In qual modo infatti ai leviti è ordinato di osservare i turni di guardia di Aronne e degli Israeliti, cioè le φυλακάς, salvo forse che ciò è detto affinché essi non pensassero di dover essere esenti dall'osservare i turni di guardia, che propriamente si suole osservare nell'accampamento, a motivo dell'onore che avevano di prestare servizio per la tenda-santuario, quando invece anch'essi dovevano osservare a loro volta non meno degli altri, a motivo delle opere riguardanti la tenda-santuario, i turni di guardia negli altri accampamenti degli Israeliti posti tutto all'intorno?
Lo straniero che avrà toccato morirà.
Dobbiamo chiederci perché nel Levitico ( Lv 6,18 ) si dice: Chi avrà toccato la tenda-santuario sarà santificato, mentre qui si dice: Lo straniero che avrà toccato morirà, ove con lo straniero si vuol fare intendere coloro che non erano della tribù di Levi.
Toccherà si riferisce forse, qui, al servizio del culto di Dio che per comando [ del Signore ] doveva essere prestato dai soli leviti?
Di ciò parla infatti l'agiografo.
Che vuol dire il fatto che Dio si riserva i leviti al posto dei primogeniti dei figli d'Israele, cosicché, fatto il computo dei primogeniti del popolo, quelli che superavano il numero dei leviti dovevano essere riscattati con il denaro in ragione di cinque sicli per ciascuno?
Ciò non si effettuò con il bestiame minuto perché Dio volle che il bestiame dei leviti fosse riservato a lui al posto del bestiame dei figli di Israele.
Di conseguenza come potrebbero appartenere a Dio i loro primogeniti o quelli del loro bestiame, dal momento che comandò che i primogeniti impuri anche degli uomini fossero riscattati con pecore?
Come mai in seguito non si contavano anche per questi primogeniti i figli dei leviti, dato che nei posteri perdurava la medesima tribù, che avrebbe potuto computarsi per i primogeniti venuti dopo?
Ciò non si spiega forse perché era giusto che i figli che sarebbero nati da coloro che già appartenevano alla porzione del Signore, assegnatagli in ragione dei primogeniti ch'erano usciti dall'Egitto, Dio li possedeva già come suoi, discendenti dai suoi e non avrebbero potuto essere computati giustamente per coloro che in seguito avrebbero dovuto essere dati come primogeniti?
Poiché da tutto quanto il popolo e da tutti quanti i bestiami minuti del popolo era stata data a Dio una parte in ragione dei primogeniti.
E questa parte erano i leviti e il loro bestiame.
Tutto ciò che avessero generato apparteneva a Dio; ma ciò non poteva darsi come se fosse dato dal popolo poiché non era sua proprietà.
E perciò i primogeniti in seguito dovevano essere offerti a Dio e al loro posto non potevano contarsi i posteri dei leviti né quelli del loro bestiame.
Quando il Signore diede l'ordine di togliere la tavola, comandò di levare con essa anche i pani dicendo: e anche i pani che saranno sempre sopra di essa.
Evidentemente l'espressione: sopra di essa saranno non indica i medesimi pani ma altri simili, poiché quelli venivano tolti e ogni giorno se ne mettevano di freschi, purché tuttavia la tavola non restasse senza pani.
Ecco perché è detto: i quali saranno sempre su di essa, cioè: vi saranno sempre i pani, ma non i medesimi pani.
E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola e lo copriranno con una coperta di pelle di colore viola.
Potrebbe sembrare solo un modo di dire la frase: E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola, che i traduttori latini non vollero tradurre quasi fosse senza senso e non completa, come per dire: " copriranno l'altare d'oro con un drappo di colore viola ".
Infatti copriranno il drappo di color viola sembra voler dire che il drappo doveva essere coperto con un drappo diverso, non che l'altare doveva essere coperto con lo stesso drappo.
A me però sembra che non si tratti tanto di un tipo di espressione quanto d'un senso non molto chiaro [ della frase ].
La frase: E sull'altare d'oro stenderanno come copertura un drappo di stoffa viola può infatti essere inteso nel senso che il Signore comanda di coprire il drappo di stoffa viola con un'altra copertura, ch'era già sull'altare; in tal modo con una brachilogia si indicherebbero entrambe le coperture: il drappo di stoffa violacea con cui si doveva coprire l'altare e l'altra copertura per coprire quel drappo di stoffa violacea.
Per conseguenza il testo soggiunge con che cosa si doveva coprire il drappo di stoffa violacea dicendo: e lo copriranno con una coperta di pelle violacea.
Chiunque, uomo o donna, avrà commesso qualunque peccato umano e non curandosi avrà trascurato e peccato, quell'anima dovrà riconoscere il peccato commesso e dovrà restituire il peccato per intero e vi aggiungerà il quinto di esso e lo restituirà a colui contro il quale ha peccato.
Se però quella persona non avrà un prossimo a cui rendere il peccato, il peccato che si restituisce al Signore sarà del sacerdote, oltre all'ariete dell'espiazione con il quale [ il sacerdote ] offrirà per lui il sacrificio del perdono.
Qui sono da intendersi i peccati commessi in relazione a oggetti che possono restituirsi con denaro, altrimenti non si vedrebbe in qual modo si devono restituire se non si tratti di un danno pecuniario.
È comandato infatti di restituire l'intero e il quinto cioè l'intero oggetto, quale che esso sia, e un quinto di esso oltre al capro, che si sarebbe dovuto offrire per il sacrificio per espiare il peccato.
Si comanda poi che ciò che si restituisce sia del sacerdote, cioè l'intero più un quinto, se non ha parenti stretti colui contro il quale fu commesso il peccato.
Con ciò s'intende che si deve rendere al Signore quanto è del sacerdote, se non sopravvive la persona che patì il danno né un suo prossimo, che penso debba intendersi l'erede.
La Scrittura però non dice nulla di questa persona; tuttavia quando dice: se non avrà un prossimo, con questa brachilogia fa capire che allora si deve ricercare il suo prossimo se non vive più il derubato.
Se poi non si trova neppure il suo erede, la refurtiva sarà restituita al Signore perché non rimanga impunito il peccato commesso, essa tuttavia non deve andare per il sacrificio, ma dev'essere del sacerdote.
La frase della Scrittura deve avere di certo la seguente interpunzione: Se però la persona non avrà un prossimo, per restituire il peccato a lui stesso; l'aggiunta a lui stesso è un idiomatismo proprio della Scrittura; o forse si dice a lui stesso perché appartiene a lui, cioè è suo possesso.
Il testo poi continua dicendo: Il peccato che viene restituito al Signore sarà del sacerdote.
È chiamata peccato la cosa tolta commettendo un peccato e poi viene restituita.
Possiamo chiederci inoltre come mai nell'Esodo si dice che chi avrà rubato un bue o una pecora deve restituire cinque buoi o quattro pecore, se li uccise o li vendette; se però la refurtiva si trovi in suo possesso salva e sana, si deve restituire il doppio, ( Es 22,1-4 ) mentre qui si comanda di restituire l'oggetto per intero e un quinto in più che è lontano finanche dal doppio, che è più lontano dal quadruplo e ancor più dal quintuplo.
Sennonché forse, poiché qui si dice: qualunque uomo o donna avrà commesso qualsiasi peccato umano, per " peccati umani " si debbono intendere i peccati commessi per ignoranza.
Può infatti avvenire che uno, prestando poca attenzione, per negligenza si appropri di un oggetto altrui: questo è un peccato poiché, se uno prestasse la debita attenzione, non lo commetterebbe.
Il Signore inoltre volle che di quegli oggetti fosse restituita la totalità e un quinto, ma non volle che le relative appropriazioni fossero punite come furti.
Poiché se penseremo che in questo passo si trattasse di furti e di frodi che si commettono non per ignoranza dovuta a negligenza, ma con l'intenzione di rubare e di frodare e sono quindi chiamati umani perché sono commessi contro uomini, la soluzione di questo quesito consisterà - se non mi sbaglio - nel fatto che colui il quale commise il peccato non dovrebbe restituire neppure il doppio, poiché non viene sorpreso e non viene convinto irrefutabilmente della sua colpa, ma egli stesso confessa il proprio peccato a coloro che non sanno da chi fu commesso o se fu commesso.
La Scrittura infatti, dopo aver detto: Chiunque, uomo o donna, avrà commesso uno qualunque dei peccati umani e non curandosene avrà trascurato e peccherà, cioè avrà commesso tali azioni per trascuratezza, soggiunge: quella persona farà conoscere il peccato da lei commesso e restituirà il maltolto per intero più un quinto di quello.
Forse dunque è irrogata solo questa punizione poiché quell'individuo confessò da se stesso la propria azione e perciò non doveva essere punito con lo stesso castigo con cui doveva essere punito il ladro sorpreso in flagrante o convinto della propria colpa.
Ecco le parole che la Scrittura ordina al sacerdote di dire alla donna quando il marito la conduce per il sospetto di adulterio: Il Signore ti dia alla maledizione e all'esecrazione; il testo greco ha ένόρκιον, parola che sembra significhi: " giuramento per esecrazione ", come se uno dicesse: Così non mi succeda questo o quello, o come se giurasse così: " non avvenga questo o quello se farò o non farò [ questo e quello ] ".
In questo modo si dice qui: Il Signore ti dia in maledizione e in esecrazione, come se si dicesse: come giurano riguardo a te ciò che giureranno per esecrazione, così ciò non avvenga loro o avvenga loro se non faranno quello.
E presenterà come suo dono al Signore un agnello di un anno, senza difetti, per l'olocausto, e un'agnella di un anno come peccato.
Alcuni nostri traduttori non vollero tradurre così, per evitare un'espressione da loro ritenuta inusitata e dissero pro peccato [ in sacrificio espiatorio del peccato ] e non in peccatum [ come peccato ], pur essendo questo il senso che non doveva essere alterato in quella espressione.
In effetti è detto come peccato poiché ciò che si presentava per il peccato si chiamava peccato.
Ecco perché l'Apostolo così si esprime a proposito di Cristo Signore: Colui che non aveva conosciuto il peccato lo fece peccato per noi, ( 2 Cor 5,21 ) cioè Dio Padre fece peccato per noi Dio Figlio, vale a dire " sacrificio per il peccato ".
Quindi, come l'agnello [ era offerto ] per l'olocausto, di modo che quell'animale era olocausto, così anche l'agnella era offerta come peccato, di modo che lo stesso animale fosse peccato, diventasse cioè sacrificio per il peccato, allo stesso modo che nel seguito il testo dice del montone che sarà per la salvezza, come se esso fosse la salvezza, mentre era sacrificio di salvezza.
La Scrittura di poi rende ciò chiaro ripetendo [ le due espressioni ] poiché chiama sacrificio pro peccato [ in espiazione del peccato ] quello che prima aveva chiamato in peccatum [ come peccato ] e sacrificio di salvezza questo che prima aveva chiamato sacrificio per la salvezza.
E il Signore parlò a Mosè dicendo: " Questo riguarda i leviti ".
Altri hanno tradotto la frase così: Questa è la legge riguardo ai leviti, ma la frase: Questo riguarda i leviti, vuol dire: " Questo io stabilisco riguardo ai leviti ".
Di poi segue: [ I leviti ] entreranno a prestare servizio nelle attività della tenda della testimonianza da venticinque anni in su; ma a partire da cinquant'anni si ritirerà dal servizio e non lavorerà più, e presterà servizio suo fratello, nella tenda della testimonianza per osservare le osservanze del Signore ma non dovrà compiere alcun lavoro.
Il senso di questo passo è reso oscuro dall'ύπέρβατον [ ipèrbato ] il quale così risulta confuso, come se si riferisse al fratello l'espressione osservare le osservanze, mentre si riferisce a colui che cesserà di servire [ nella Tenda ], ma gli resterà il compito di osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza, ma non dovrà accudire alle occupazioni del suo ministero, che saranno invece svolte dal fratello che, incominciando il suo servizio a partire dall'età di venticinque anni, non è ancora giunto al cinquantesimo.
Il testo del passo deve quindi essere diviso nel modo seguente: A partire dai cinquanta anni cesserà dal suo servizio cultuale e non dovrà accudire più alle occupazioni del suo ministero e le compirà il fratello di lui.
Di poi torna a parlare del levita cinquantenne, del quale parlava prima e di cui espone gli altri compiti: osservare le osservanze nella Tenda della testimonianza ma non accudirà alle fatiche del suo servizio cultuale.
Quanto all'infinito osservare è sottinteso " comincerà "; è come se con un solo verbo si dicesse: " osservare i precetti cultuali ", poiché anche nelle frasi latine suole usarsi abitualmente un verbo all'infinito invece di un tempo finito.
Siccome nel tempo della Pasqua alcuni che erano diventati impuri a causa dell'anima di un uomo, cioè a causa del contatto con un cadavere, chiesero in che modo avrebbero potuto celebrare la Pasqua, poiché secondo la legge dovevano purificarsi dalle impurità per sette giorni, Mosè consultò il Signore e ricevette in risposta che chiunque al quale fosse accaduto qualcosa di simile o si fosse trovato in un viaggio tanto lungo da non poter arrivare in tempo, deve celebrare la Pasqua in un altro mese per attenersi al 14 del mese, in cui si osservava quel numero della luna.
Ma se fosse stato chiesto che cosa fare qualora per caso una tale impurità si fosse presentata verso il secondo mese, penso che si sarebbe dovuto ritenere come norma ciò che era stato detto del secondo mese, che si osservasse il precetto della Pasqua nel terzo mese oppure che non ci sarebbe stata colpa nel non celebrare la Pasqua a causa di un ostacolo derivante da una tale necessità.
E nel giorno in cui si finì di erigere la tenda-santuario, una nuvola coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino.
Così avveniva sempre: la nube la copriva di giorno e l'aspetto di fuoco durante la notte.
Quando la nube si alzava dalla tenda i figli di Israele si mettevano in marcia e in qualunque luogo ove la nube si fermava lì ponevano l'accampamento i figli d'Israele.
All'ordine del Signore i figli di Israele erigeranno l'accampamento e all'ordine del Signore si rimetteranno in marcia.
Tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda i figli di Israele rimarranno accampati.
E quando la nube si attarderà per più giorni sulla tenda i figli di Israele osserveranno l'osservanza del Signore e non si metteranno in marcia.
E accadrà che quando la nube coprirà per pochi giorni la tenda, alla voce del Signore rimarranno accampati e alla voce del Signore si metteranno in marcia.
E avverrà che quando la nube sarà stata dalla sera fino alla mattina e nella mattina la nube sarà salita, si metteranno in marcia di giorno e partiranno di notte se la nube sarà salita; durante il giorno o il mese del giorno quando la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda, i figli di Israele resteranno accampati e non partiranno, poiché partiranno all'ordine del Signore.
Osserveranno l'osservanza del Signore per mezzo di Mosè.
16.2. Tutto questo passo dev'essere spiegato diligentemente, poiché è reso oscuro da inusitate specie di locuzioni.
E il giorno - è detto - in cui si finì di erigere la tenda-santuario una nube coprì la tenda, la dimora della testimonianza; la tenda è chiamata anche la dimora della testimonianza.
E la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino. Così avveniva sempre.
Di poi si espone precisamente che cosa avveniva sempre.
La nube - è detto - coprì la tenda, la dimora della testimonianza; e la sera c'era sulla tenda come l'aspetto di un fuoco, fino al mattino.
E la nube si alzava al mattino e i figli di Israele si mettevano in marcia.
Questa frase è oscura solo a causa dell'espressione idiomatica nella quale è messa in più la congiunzione e.
La successione ordinata delle parole procederebbe compiuta anche se mancasse la stessa congiunzione e il discorso risulterebbe così: ed una volta alzatasi la nube dalla tenda, dopo i figli di Israele si mettevano in marcia, quantunque il senso della frase potrebbe risultare compiuto se mancasse anche lo stesso avverbio dopo.
Il testo poi continua dicendo: in qualsiasi luogo si fermava la nube i figli di Israele si accampavano.
16.3. Narrando poi tutto ciò che gli Israeliti facevano secondo il precetto del Signore, il testo lo riassume così: All'ordine del Signore - dice - i figli d'Israele costruiranno l'accampamento e all'ordine del Signore si metteranno in marcia.
Viene chiamato ordine del Signore il segnale dato dalla nube sia quando rimaneva ferma coprendo con la sua ombra la tenda, affinché anche l'accampamento restasse fermo, sia quando si era alzata spostandosi altrove affinché [ gli Israeliti ] levassero il campo e la seguissero.
In quest'ultima frase è cambiato certamente il modo di narrare dell'agiografo e, come uno che predice e preannunzia, comincia ad usare i verbi del tempo futuro.
Poiché non dice: All'ordine del Signore i figli di Israele " si accampavano ", ma s'accamperanno; e non dice: All'ordine del Signore " si mettevano in marcia ", ma si metteranno in marcia.
Anche nelle frasi seguenti conserva questo modo di narrare, che è quanto mai inconsueto nelle Scritture.
Sappiamo infatti che spesso [ nelle Scritture ] sono stati predetti avvenimenti futuri con verbi del tempo passato, come per esempio: Hanno trafitto le mie mani e i miei piedi, ( Sal 22,17 ) e: È stato condotto per essere immolato, ( Is 53,7 ) e altre innumerevoli frasi di tal genere; ma è assai difficile trovare nelle Scritture che un narratore di avvenimenti passati usi verbi del tempo futuro.
16.4. L'agiografo quindi, dopo aver detto a quale segnale del giorno o della notte il popolo si metteva in marcia o rimaneva fermo, affinché non si pensasse che erano soliti marciare di notte e restare fermi durante il giorno e fare così ogni giorno, prosegue dicendo: In tutti i giorni in cui la nube coprirà con la sua ombra la tenda, i figli d'Israele rimarranno accampati.
E quando la nube rimarrà per più giorni sulla tenda.
Richiamando poi alla mente che ciò non avveniva in forza delle loro condizioni critiche ma per volontà di Dio, e i figli d'Israele - dice - osserveranno l'osservanza di Dio, cioè il precetto dato da Dio, e non si metteranno in marcia.
E come se uno avesse chiesto: " Quando dunque si metteranno in marcia? ", è detto: E avverrà quando la nube coprirà la tenda un numero di giorni - cioè per un determinato numero di giorni, un numero che di certo piace a Dio - alla voce del Signore rimarranno nell'accampamento e all'ordine del Signore si metteranno in marcia.
Sembra che l'agiografo chiami voce del Signore il segnale dato mediante il sostare e il muoversi della nube, poiché anche la voce di chi parla è senza dubbio della volontà.
Quanto dunque all'espressione e all'ordine credo sia da intendere come il medesimo segnale.
Sennonché l'espressione potrebbe prendersi anche nel senso di " parlò a Mosè " - come suole esprimersi la Scrittura - e " ordinò si facesse così ".
Poiché [ gli Israeliti ] non avrebbero potuto sapere che dovevano partire al muoversi della nube e dovevano restare accampati al sostare della nube se non fosse stato ordinato loro in precedenza.
16.5. Da quanto abbiamo detto non è ancora chiaro se gli Israeliti marciassero solo durante il giorno o anche durante la notte a seconda del segnale che la nube dava con il suo movimento.
Sebbene infatti rimanessero nell'accampamento per più giorni, se la nube non si muoveva, tuttavia potevano forse pensare che la nube non era solita alzarsi dall'accampamento e dare il segnale di mettersi in viaggio se non durante il giorno.
L'agiografo dunque seguita dicendo: E avverrà che quando la nube sarà rimasta dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, e partiranno di giorno.
Qui è usata la congiunzione copulativa e, secondo l'usanza della Scrittura; una volta che sia tolta si ha un senso perfetto del seguente tenore: "E avverrà che, quando la nube rimarrà dalla sera alla mattina e la nube si sarà innalzata la mattina, si metteranno in marcia di giorno ".
Di conseguenza, poiché partivano anche di notte se la nube s'innalzava ed effettuavano il viaggio di notte, se ricevevano quel segnale, il testo aggiunge quanto segue: oppure partiranno di notte se la nube s'innalzerà.
Ma questa è un'espressione più inconsueta, poiché non solo è inserita una e, ma nel modo che non è abituale.
Mi sembra perciò che l'ordine delle parole sia invertito come suole accadere spesso anche nelle espressioni latine e questo modo di esprimersi si chiama antistrofe.
Pertanto il senso risulterebbe assai chiaro se si dicesse così: " oppure si metteranno in marcia se la nube si sarà innalzata ", o per lo meno si dicesse così: " se anche di notte si sarà innalzata la nube, si metteranno in marcia ".
16.6. Tuttavia ancora un altro quesito si presentava allo spirito desideroso di maggior conoscenza.
Come si sa che gli Israeliti erano soliti marciare di giorno o di notte o restare accampati di giorno e di notte a seconda del segnale della nube, così erano soliti restare accampati solo nei giorni nelle cui notti essi marciavano; io penso che la Scrittura faccia intendere ciò quando dice: I figli d'Israele rimarranno nell'accampamento e non si metteranno in marcia nel giorno o nel mese del giorno mentre la nube coprirà per lungo spazio di tempo la tenda.
Poiché aveva detto: anche di notte, e se s'innalzerà la nube si metteranno in viaggio, come se restasse da dire: " ma di giorno non si metteranno in cammino se non si alzerà " quando pareva come se dovessero mettersi in marcia.
Ma siccome poteva accadere anche per parecchi giorni che potevano marciare di notte, quando la nube si alzava, e non si mettevano in cammino nei giorni in cui essa restava ferma [ sulla tenda ], perciò si dice: durante il giorno o durante il mese del giorno.
Non è detto: " durante il mese " perché non s'intendesse che in quella frase fossero incluse anche le notti dello stesso mese, ma è detto: durante il mese del giorno, cioè durante il mese per la parte relativa ai suoi giorni, non per la parte relativa alla notte.
Nel giorno, dunque, o nel mese del giorno, quando la nube la copre abbondantemente - cioè quando abbonda nel coprirla con la sua ombra o quando la copre più abbondantemente con la sua ombra - al di sopra di essa - vale a dire al di sopra della tenda - i figli d'Israele resteranno accampati e non si metteranno in marcia.
Alla fine la Scrittura ripete che tutto quello [ che racconta ] fu compiuto per la volontà di Dio, alla quale naturalmente non doveva essere opposta resistenza e aggiunge: poiché si metteranno in cammino all'ordine del Signore.
Osservarono l'osservanza del Signore secondo il comando del Signore per mano di Mosè.
Qui l'agiografo torna al verbo usato nel tempo passato, dicendo osservarono.
L'espressione usata alla fine: per mano di Mosè è un idiomatismo assai usato nella Scrittura, poiché Dio comandava queste cose " per mezzo di Mosè ".
E quando adunerete l'assemblea, sonerete la tromba, ma non come segnale.
Non fu dunque comandato di sonare la tromba per adunare l'assemblea - poiché se viene sonata a questo scopo è un segnale - ma è comandato di sonare la tromba dopo che l'assemblea è stata già radunata, come se facesse parte del canto e non per dare un segnale, con il quale si avverte di fare qualcosa.
Quando perciò il fatto che sonavano le trombe dopo che era già stata riunita l'assemblea, qualsiasi persona del Nuovo Testamento lo interpreta in un senso spirituale, è un segnale per lui che intende per quale scopo ciò avviene, non per coloro che non lo comprendevano se non quando si faceva allo scopo d'indicare qualche opera [ da compiere ].
Io prenderò un po' dello spirito che è su di te e lo porrò su di loro; e porteranno con te il peso del popolo e non li porterai da solo.
Un gran numero di traduttori latini non tradussero come il testo riporta nel greco, ma lo resero esprimendosi così: prenderò del tuo spirito che è in te e lo porrò su di essi, oppure in essi, e così formarono un'espressione dal senso difficile a comprendersi.
Poiché si potrebbe pensare che si trattasse dello spirito dell'uomo di cui insieme al corpo risulta formata la natura umana, che è composta di corpo e di spirito, detto anche anima; di questo spirito anche l'Apostolo dice: Poiché tra gli uomini chi mai conosce i pensieri dell'uomo, se non lo spirito dell'uomo che è in lui?
Allo stesso modo nessuno conosce le proprietà di Dio, se non lo Spirito di Dio.
E quanto aggiunge e dice: Ora, noi non abbiamo ricevuto lo spirito del mondo, ma lo Spirito che viene da Dio, ( 1 Cor 2,11-12 ) mostra senz'altro che diverso è lo Spirito di Dio, di cui lo spirito dell'uomo diventa partecipe per grazia di Dio.
Tuttavia nell'espressione: Dello spirito tuo che è in te - come l'hanno tradotta altri - si potrebbe intendere anche lo Spirito di Dio; l'agiografo avrebbe detto tuo in quanto diventa anche nostro quello che è di Dio, quando lo riceviamo, come la Scrittura dice a proposito di Giovanni: [ camminerà ] con lo spirito e la potenza di Elia. ( Lc 1,17 )
Evidentemente non era trasmigrata in lui l'anima di Elia.
Se taluni la pensano così con una perversità eretica, che cosa diranno a proposito della seguente affermazione della Scrittura: Lo spirito di Elia si è posato su Eliseo, ( 2 Re 2,15 ) quando costui era già in possesso sicuramente della propria anima?
La Scrittura parla quindi dello Spirito di Dio, che anche per mezzo di lui compiva azioni come quelle che compiva per mezzo di Elia, senza allontanarsi da lui al fine di poter riempire costui e senza essere minore in Elia dopo essere stato diviso, per poter essere in qualche misura anche in Eliseo?
Dio infatti è tanto grande da poter essere in tutti coloro in cui vorrà essere per sua grazia.
Ora però, poiché la Scrittura dice: Prenderò una parte dello spirito che è su di te, e non " del tuo spirito ", più facile è la soluzione del nostro problema, in quanto comprendiamo che Dio volle indicare solo che anche quegli altri avrebbero ricevuto l'aiuto della grazia dal medesimo Spirito dal quale lo aveva Mosè, di modo che anch'essi ne avessero quanto Dio avrebbe voluto senza che Mosè ne avesse di meno.
E Mosè disse: Seicentomila soldati a piedi in mezzo ai quali io sono e tu mi hai detto: Darò loro carni e ne mangeranno per un mese di giorni.
Si ammazzeranno forse per loro pecore e buoi e basteranno a loro? Oppure si raccoglieranno per essi tutti i pesci e saranno loro sufficienti?
Si è soliti porre il quesito se Mosè disse ciò non avendo fiducia o cercando di sapere.
Ma se penseremo che Mosè disse ciò non avendo fiducia, sorge il problema perché il Signore non lo rimproverò di ciò come lo rimproverò per il fatto che presso la roccia, da cui sgorgò l'acqua, sembra che dubitò del potere del Signore. ( Nm 20,12 )
Se invece diremo che disse così volendo sapere in qual modo si sarebbe avverata la risposta del Signore quando gli disse: La mano del Signore non sarà forse capace? sembra quella con cui il Signore lo rimprovera per il fatto di non aver creduto alle sue parole.
Io però penso che sia meglio intendere che il Signore rispose così come se non avesse voluto dire il modo in cui si sarebbe svolto il fatto, che Mosè cercava di conoscere, ma piuttosto mostrare la sua potenza col compiere l'azione.
Anche a Maria quando disse: In qual modo avverrà ciò, poiché non conosco uomo? ( Lc 1,34 ) si sarebbe potuto obiettare da parte dei calunniatori che avesse poca fede, mentre essa cercava di conoscere il modo ma non dubitava affatto della potenza di Dio.
Quanto alla risposta che le fu data: Lo Spirito Santo verrà su di te e la potenza dell'Altissimo ti avvolgerà con la sua ombra, ( Lc 1,35 ) poteva essere formulata come quella data a Mosè: " È forse impossibile allo Spirito Santo, che verrà su di te? ".
In questo modo si sarebbe conservato lo stesso senso.
Inoltre d'altra parte Zaccaria, dicendo qualcosa di simile, viene rimproverato d'incredulità e viene punito con il restar privo della parola. ( Lc 1,34-35 )
Per qual motivo, se non perché Dio giudica non secondo le parole ma secondo i sentimenti intimi [ delle persone ].
Altrimenti si sarebbero potute scusare le parole di Mosè anche presso la roccia da cui sgorgò l'acqua, se non fosse stata chiara la sentenza di Dio contro di lui nel senso che aveva detto quelle parole perché non aveva avuto fiducia.
In realtà le parole [ di Mosè ] suonano così: Ascoltatemi, increduli, potremo forse far uscire da questa roccia dell'acqua per voi?
Il testo poi continua: E Mosè alzando la sua mano colpì due volte la roccia con il suo bastone e ne uscì molta acqua e ne bevve la comunità e il suo bestiame. ( Nm 20,10-11 )
Certamente per questo aveva radunato il popolo e per questo aveva preso il bastone con cui aveva compiuto tanti prodigi e con esso colpì la roccia e ne seguì l'effetto del solito potere.
Di conseguenza le parole con cui disse: Potremo forse far uscire per voi dell'acqua da questa roccia? si potrebbero intendere come se fosse stato detto nel seguente senso: " secondo la vostra incredulità non può farsi uscire acqua da questa roccia ", per dimostrare alla fine, colpendola, che era stato possibile per l'intervento di Dio, cosa che quelli non credevano possibile a causa della loro incredulità, soprattutto perché aveva detto: Ascoltatemi, increduli.
Queste parole si potrebbero, sì, intendere in questo senso, se Dio, che scruta i cuori, ( Pr 24,12 ) non indicasse con quale sentimento furono dette.
La Scrittura infatti seguita dicendo: E il Signore disse a Mosè e ad Aronne: " Perché non avete creduto [ in me ], manifestando la mia santità al cospetto dei figli d'Israele, non sarete voi a introdurre questa comunità nel paese che ho dato loro ". ( Nm 20,12 )
Si comprende perciò che Mosè disse quelle parole come se colpisse la roccia senza avere la certezza del risultato, di modo che se questo non fosse seguito, si sarebbe potuto pensare che egli lo aveva predetto quando disse: Potremo forse fare sgorgare dell'acqua per voi da questa roccia?
Questa sua diffidenza sarebbe rimasta totalmente nascosta nel suo animo, se non fosse stata svelata dalla sentenza di Dio.
In questo passo, al contrario, le parole relative alla promessa delle carni dobbiamo intenderle piuttosto nel senso che furono dette al fine di conoscere in qual modo quella promessa si sarebbe potuta adempiere, anziché pronunciate per diffidenza, dal momento che a esse non seguì alcuna sentenza del Signore diretta a punirlo ma piuttosto ad istruirlo.
A proposito della moglie etiope di Mosè si è soliti porre il quesito se era la stessa figlia di Ietro1 o se aveva sposato una seconda donna o più d'una.
È però probabile che fosse la stessa donna, poiché era della stirpe dei Madianiti, che nel libro dei Paralipomeni sono chiamati Etiopi ( 2 Cr 14,9-14 ) quando Giosafat combatté contro di loro.
Nei passi di questo libro si dice che il popolo d'Israele li perseguitò dove abitano i Madianiti, che ora sono chiamati Saraceni.
Adesso però quasi nessuno li chiama Etiopi, come spesso i nomi dei luoghi e dei popoli sono soliti cambiare con il lungo passare del tempo.
E disse loro: " Salite attraverso il deserto e salirete sul monte e vedrete com'è la terra e il popolo che l'abita se è forte o debole, se sono pochi o molti ".
Si capisce che cosa esprime dicendo: se sono forti o deboli, cioè se sono pochi o molti.
Poiché in che modo guardando dall'alto di un monte avrebbero potuto conoscere l'energia delle forze umane?
La frase potrebbe avere anche un altro senso molto più appropriato alla realtà.
Quando la Scrittura dice: salirete sul monte, vuol dire " nella terra " che volevano esplorare.
Perché non avrebbero potuto facilmente essere considerati spie individui che s'informavano d'ogni cosa con esattezza come forestieri.
Ora, se pensassimo che essi avessero osservato ed esaminato attentamente il paese dalla cima di una montagna, in qual modo avrebbero potuto indagare tutto ciò che Mosè aveva ordinato d'indagare?
Come sarebbero potuti entrare nelle città in cui la Scrittura dice che dovevano entrare?
Come avrebbero potuto portar via da quella valle un grappolo d'uva a motivo del quale fu dato il nome anche alla località la quale fu chiamata perciò " la Valle del Grappolo ".
E divulgarono il terrore del paese che avevano esplorato.
L'espressione terrore del paese non indica il terrore da cui era colpito lo stesso paese, ma quello che gli Israeliti sentivano in sé a causa di quel paese.
Caleb e Giosuè, figlio di Nun, parlando al popolo d'Israele perché non temessero di entrare nella terra promessa, tra l'altro dissero: Voi però non dovete temere il popolo di quella terra, poiché essi sono pane per noi.
Da loro infatti si è allontanata l'epoca favorevole, il Signore invece è con noi, non abbiate paura di loro.
Con la frase: sono pane per noi, vollero intendere: " li distruggeremo ".
Quanto alla frase che segue: da loro infatti si è allontanato il tempo favorevole, è da notare che con molta circospezione non dissero: " Il Signore si è allontanato da loro " - poiché erano empi sin dal tempo antico - ma, poiché anche agli empi per una misteriosa disposizione della divina Provvidenza è concesso un tempo favorevole di prosperare e di regnare, dissero: si è allontanato da loro il tempo favorevole, ma il Signore è con noi.
Non dissero: " s'è allontanato da loro il tempo favorevole ed è subentrato il nostro ", ma: è con noi il Signore, non il tempo.
Quelli ebbero il loro tempo favorevole, questi hanno il Signore Dio, creatore e ordinatore dei tempi, che li distribuisce a chiunque gli piace.
Quanto al fatto che si ordina in qual modo si devono espiare i peccati commessi involontariamente, a buon diritto ci chiediamo quali siano i peccati involontari: se quelli che si commettono inconsciamente, oppure se può chiamarsi involontario un peccato che uno è costretto a commettere; poiché si suole dire che anche questo peccato lo si fa contro la volontà.
Ma in ogni caso uno vuole ciò per cui fa qualcosa; come, per esempio, se uno non volesse giurare il falso, ma lo fa poiché desidera conservare la vita se uno lo minaccia di morte, se non lo farà.
Vuole dunque fare quel giuramento poiché vuole vivere e perciò senza desiderare di per se stesso di giurare il falso ma di vivere giurando il falso.
Se le cose stanno così, non so se peccati di questa specie possano chiamarsi involontari come quelli che qui si dice che devono essere espiati.
Poiché se si considera attentamente la cosa, forse nessuno vorrebbe proprio peccare, ma si commette il peccato in vista di un'altra cosa voluta da chi pecca.
In realtà tutti gli uomini, che consapevolmente fanno ciò che è illecito, vorrebbero che fosse lecito; tanto è vero che nessuno vuole proprio peccare per il peccato in se stesso, ma per ciò che ne deriva.
Se le cose stanno così, non ci sono peccati involontari ma solo commessi per ignoranza, distinti dai peccati volontari.
Qualunque anima tanto degli indigeni quanto dei forestieri, che avrà peccato con mano di superbia, esacerba Dio e quell'anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo, poiché disprezzò la parola del Signore e infranse i suoi precetti.
Quell'anima sarà distrutta totalmente: il suo peccato è in essa.
Quali siano i peccati commessi con mano di superbia, cioè con superbia la Scrittura lo spiega molto chiaramente nel seguito in cui dice: poiché disprezzò le parole del Signore.
Una cosa è dunque disprezzare i precetti e un'altra stimarli molto ma poi agire contro di essi o per ignoranza o per debolezza.
Queste due specie di peccati appartengono forse ai peccati che si commettono involontariamente: come questi peccati si espiassero placando Dio con i sacrifici l'ha esposto la Scrittura più sopra e di poi continua parlando dei peccati di superbia quando uno agisce male montando in superbia, cioè disprezzando il precetto.
Quanto a questa specie di peccato la Scrittura non dice che si debba espiare con alcuna specie di sacrificio, giudicandolo incurabile solo con il trattamento che veniva compiuto per mezzo dei sacrifici che la Scrittura qui prescrive di fare.
Tali sacrifici, considerati in se stessi, non possono espiare nessun peccato; se però si esaminano le cose di cui questi sono prefigurazioni, potrà trovarsi in essi l'espiazione dei peccati.
Perciò nell'espressione della Scrittura: quando il peccatore è caduto nel profondo dei mali, disprezza, ( Pr 18,3 ) è prefigurato simbolicamente colui - come in questo passo dice la Scrittura - che pecca con la mano della superbia.
Questo peccato perciò non può essere cancellato senza la pena di colui che lo commette; e pertanto non può restare impunito e si espia con la penitenza.
Poiché l'afflizione del penitente è una pena del peccato sebbene sia medicinale e salubre.
Giustamente quindi si giudica grave il peccato commesso da chi disprezza con superbia il precetto; ma, al contrario, affinché possa essere perdonato, Dio non disprezza un cuore contrito ed umiliato. ( Sal 51,19 )
Tuttavia, poiché ciò non avviene senza pena, per conseguenza sono dette tali cose.
Costui - dice la Scrittura - esarceba Dio, poiché Dio resiste ai superbi. ( Gc 4,6 )
E quell'anima sarà cacciata via di mezzo al suo popolo - poiché un tale individuo non è affatto del numero di coloro che appartengono a Dio - in quanto disprezzò la parola di Dio e infranse i suoi precetti; quell'anima sarà totalmente distrutta.
Il motivo per cui sarà totalmente distrutta la Scrittura lo dice subito dopo: il suo peccato è in essa.
Se perciò il peccatore applicherà da sé a se stesso la debita contrizione per tale peccato pentendosi, Dio non disprezza un cuore contrito, come è stato già detto.
Sennonché in questo passo il testo greco non dice: quell'anima sarà totalmente distrutta, ma: sarà completamente consumata; espressione, questa, che può prendersi nel senso che quell'anima, a forza di venir logorata, si consuma fino a cessare di esistere.
Ma a questo senso si oppone anzitutto la natura dell'anima che è immortale; in secondo luogo, se ciò che si consuma si consumasse totalmente fino a cessare di esistere, la Scrittura non direbbe del sapiente: il tuo piede consumi i gradini della sua porta. ( Sir 6,36 )
Nondimeno si deve considerare sempre più la distinzione da fare per sapere se si pecca solo per ignoranza o perché si cede alla passione o per disprezzo; ma di ciò ora sarebbe troppo lungo discutere.
Che significa ciò che dissero Datan e Abiron quando, essendo insorti alla sommossa [ contro Mosè ], furono chiamati da Mosè e gli risposero con superbia e con ingiurie: È forse poco averci fatto uscire in una terra ove scorre latte e miele per farci morire nel deserto, perché tu domini su di noi e sei il nostro capo?
E tu ci hai condotti in una terra dove scorre latte e miele e ci hai dato in possesso campi e vigne.
E di poi aggiunsero: Avresti cavato gli occhi di quegli uomini; noi ci rifiutiamo di salire.
Degli occhi di quali uomini parlavano? Forse di quelli del popolo d'Israele, come se volessero dire: " Se tu avessi dato queste cose, avresti cavato gli occhi di quegli uomini, cioè ti avrebbero voluto tanto bene che si sarebbero cavati gli occhi e li avrebbero dati a te "?
Anche l'Apostolo dice che questa sia una grande prova d'amore: Poiché, se fosse stato possibile, vi sareste cavati gli occhi per darli a me. ( Gal 4,15 )
Di poi, al colmo dell'arroganza, aggiunsero: Noi ci rifiutiamo di salire, cioè " noi non verremo ", poiché li aveva chiamati.
Oppure chiama occhi di quegli uomini gli occhi dei nemici, che gli esploratori avevano riferito essere assai crudeli e terribili?
Come se dicessero: Anche se tu avessi fatto una cosa simile, non ti ubbidiremmo; sennonché qui è usato un modo del verbo invece di un altro modo, e perciò non avrebbe detto: non saliremo, ma " Non saliamo ", esprimendosi così con una specie di idiomatismo.
E il Signore parlò a Mosè e ad Aronne dicendo: "Separatevi di mezzo alla comunità di costui ".
Si deve osservare che il Signore comanda di fare la separazione fisica allorché sui malvagi incombe di già il castigo.
Così Noè con la sua famiglia viene separato da tutti gli altri destinati a perire nel diluvio; ( Gen 7,15 ) così Lot con i suoi viene separato da Sodoma che sarebbe stata distrutta dal fuoco sceso dal cielo; ( Gen 19,12 ) così lo stesso popolo [ d'Israele ] fu separato dagli Egiziani che sarebbero stati sommersi dalle acque del mare. ( Es 14,20 )
Così ora questi vengono separati dalla comunità di Core, Abiron e Datan, che prima avevano voluto separarsi mediante una sommossa.
Ma i fedeli servi di Dio, che prima vivevano ed avevano rapporti con essi e con tutti gli altri biasimati da Dio secondo le parole che dice rimproverandoli, non poterono affatto essere contaminati da essi: e nemmeno fu loro ordinato di separarsi da quelli quando il Signore differiva il castigo oppure ne infliggeva un altro, in cui non avrebbero potuto correre pericolo né venir danneggiati gli innocenti, come i morsi dei serpenti o le stragi che causavano la morte, con le quali Dio colpiva chi voleva e come voleva lasciandone immuni altri: non come accadde con l'acqua del diluvio e con la pioggia di fuoco o con l'acqua del mare o con la spaccatura della terra che poteva sterminare tutti, buoni e cattivi, allo stesso modo; e non perché Dio non avrebbe potuto anche in quel caso salvare i suoi, ma che bisogno c'era di attendersi da Dio un miracolo, quando si poteva fare la separazione in modo che l'acqua o il fuoco o la spaccatura della terra potesse sottrarre alla morte coloro che avesse incontrato?
Così anche alla fine del mondo il grano sarà separato dalla zizzania, affinché con le fiamme mentre bruciano i malvagi brillino i giusti come il sole nel regno del Padre suo. ( Mt 13, 30.40-43 )
Ciò che Mosè dice di Core, Abiron e Datan: Il Signore lo manifesterà in una visione, e la terra, aprendo la sua bocca, li inghiottirà, alcuni l'hanno tradotto così: Il Signore lo manifesterà con l'apertura,2 credendo - a mio parere - che il testo dica χάσματι, mentre nel greco si dice [ εν ] φάσματι, espressione corrispondente a quella latina in manifestatione [ con la manifestazione ] perché apparirà chiaramente agli occhi.
In effetti l'espressione in visione non denota una " visione " come quella dei sogni o di qualunque altra immagine vista nell'estasi, ma, come ho detto, una " manifestazione ".
Alcuni poi, che hanno un'opinione diversa, hanno voluto tradurre con un fantasma, ma questa versione è assolutamente incompatibile con il nostro consueto modo di esprimerci e perciò quasi mai si dice " fantasma " se non quando i nostri sensi sono ingannati dalla falsità delle cose viste.
Tuttavia, anche questo può dirsi della visione, ma - come ho detto - s'oppone a quel senso il modo ordinario d'esprimerci.
Ed essi con tutti i loro averi scesero vivi negli inferi.
Bisogna osservare che si parla degli inferi riguardo a un luogo terreno, cioè alle parti inferiori della terra.
Poiché il termine inferi nelle Scritture ha diverse accezioni e molteplici significati, come esige il senso delle cose di cui si tratta ed esso suole essere usato soprattutto a proposito di morti.
Ma siccome è detto che quegli individui scesero vivi agli inferi e dal racconto appare assai chiaramente che cosa successe, è manifesto - come ho detto - che con il termine inferi sono chiamate le parti inferiori della terra paragonate con la parte superiore, sulla superficie della quale noi viviamo.
Allo stesso modo la Scrittura dice che gli angeli peccatori, scacciati giù nell'oscurità dell'atmosfera terrestre, sono riservati per essere puniti, come nel carcere degli inferi, paragonati con il cielo superiore ove dimorano gli angeli santi.
Poiché - dice la Scrittura - se Dio non risparmiò gli angeli che avevano peccato, ma precipitandoli nel carcere tenebroso degli inferi sono riservati per essere puniti nel giudizio, ( 2 Pt 2,4 ) e l'apostolo Paolo chiama il diavolo principe dell'impero dell'aria che opera negli uomini ribelli. ( Ef 2,2 )
Indice |
1 | Ex 2, 21 |
2 | Ambrogio, Ep. 63,52 |