Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sul Levitico

30. ( Lv 9,24 ) Il Signore è in ogni luogo

E uscì un fuoco proveniente dal Signore e divorò ciò che era sull'altare, gli olocausti e i pannicoli adiposi; possiamo chiederci che cosa vuol dire l'espressione dal Signore, se ciò avvenne per un segno e per volontà del Signore o se il fuoco uscì dal luogo dov'era l'Arca dell'alleanza.

Di certo il Signore non sta solamente in un luogo particolare, come se non stesse anche in un altro.

31. ( Lv 10,1-3 ) Non è stato scritto tutto ciò che Dio disse agli scrittori sacri

Dopo che erano morti i due figli di Aronne arsi da un fuoco, mandato dal Signore, per aver osato servirsi di un fuoco profano e porre così nei loro incensieri l'incenso per il Signore - azione illecita, perché tutto ciò che occorreva accendere nella tenda-santuario doveva accendersi con il fuoco divampato per volontà di Dio sull'altare e poi custodito - dopo dunque che essi erano morti, Mosè disse: Ecco ciò che aveva detto il Signore nei seguenti termini: Tra coloro che si avvicinano a me io mi farò riconoscere santo e in mezzo a tutta la comunità io mi farò glorificare, volendo far capire che si avvicinano al Signore coloro che esercitano il sacerdozio nella tenda-santuario, e che egli si fa riconoscere santo tra loro anche castigando, come infatti era avvenuto.

Disse Dio così forse perché si sapesse quanto meno perdona agli altri se non perdona ad essi - nel qual senso la Scrittura dice: Se il giusto sarà salvato a stento, dove compariranno l'empio e il peccatore? ( Pr 11,31; 1 Pt 4,18 ) - non è forse nel senso di quest'altro testo: tanto più sarà richiesto a colui al quale più è stato dato, ( Lc 12,48 ) o di quest'altro passo: Chi non sa quel che vuole il proprio padrone e farà cose meritevoli di percosse, ne riceverà poche, mentre il servo che, pur conoscendo la volontà del proprio padrone, farà cose degne di percosse, ne riceverà molte, ( Lc 12,47-48 ) e nel senso dell'altro passo: Poiché al piccolo sarà concessa misericordia, ma i potenti subiranno tormenti più gravi? ( Sap 6,7 )

Ma nei passi precedenti della Sacra Scrittura non si trova dove il Signore disse ciò che Mosè menziona detto da lui.

Un caso simile a questo è quello dell'Esodo in cui [ Mosè ] dice al Signore: Tu hai detto: Io ti conosco meglio di tutti, ( Es 33,12 ) cosa che troviamo scritta essere stata detta dal Signore, ma in seguito.

Orbene, poiché Mosè non avrebbe mai detto una bugia simile, si comprende che il Signore gli aveva detto ciò anche prima, sebbene non sia stato scritto : anche qui succede la stessa cosa.

Da quanto detto si dimostra che non è stato scritto tutto ciò che Dio disse a coloro per mezzo dei quali ci è stata tramandata la Sacra Scrittura.

32. ( Lv 10,6-7 ) Mosè vietò di piangere coloro che Dio castigò

Che significa ciò che [ Mosè ] dice quando proibisce ad Aronne e ai figli rimastigli di piangere la morte dei due figli: Non togliete la tiara dalla vostra testa, ove mostra senza dubbio che le tiare erano coperture del capo?

Il divieto è spiegato solo dal fatto che coloro, che facevano il lutto, facevano ciò che era contrario all'ornamento consueto.

Allo stesso modo che, secondo la nostra abitudine, siamo soliti avere la testa scoperta e la copriamo a causa d'un lutto, così dovevano tenerla scoperta coloro che piangevano, poiché era per loro un ornamento tenerla coperta.

Mosè vietò di piangere coloro con il castigo dei quali era stato riconosciuto santo il Signore, cioè era stato messo in rilievo il timore a lui dovuto.

Il motivo di quel divieto non era perché quei [ due figli di Aronne ] non dovessero essere compianti - Mosè infatti permise che essi fossero compianti dagli altri - ma perché essi non dovevano far lutto allora dato che stavano celebrando i giorni della loro consacrazione, non essendo ancora passati i sette giorni nei quali era stato comandato loro di non allontanarsi dalla tenda-santuario.

Comunque sia, essendo stati quelli consacrati con l'olio, potrebbe sembrare che ciò fu detto perché non avrebbero dovuto mai piangere alcuno.

Mosè infatti dice così: I vostri fratelli però, tutta la casa d'Israele, piangeranno la morte di essi arsi dal fuoco inviato su di loro dal Signore.

Ma dalla porta della tenda della testimonianza voi non dovrete uscire per evitare di morire, poiché su di voi è l'olio dell'unzione proveniente dal Signore.

33. ( Lv 10,8-11 ) La proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti

E il Signore parlò ad Aronne nei termini seguenti: "Tu e i tuoi figli con te non berrete né vino né altre bevande inebrianti quando entrerete nella tenda della testimonianza o quando vi avvicinerete all'altare, e così non morrete".

Quando mai dunque era lecito loro di bere, dal momento che dovevano entrare ogni giorno nella tenda-santuario e accostarsi all'altare per il continuo servizio?

Se invece uno dirà che non si solevano imporre sacrifici ogni giorno, che cosa dirà del fatto dell'entrare nella tenda-santuario che avveniva ogni giorno a causa del candelabro e per portare i pani dell'offerta sull'altare?

Se poi si risponde che per la tenda della testimonianza di cui si parla ora deve intendersi quella ov'era l'arca dell'alleanza, [ si deve ribattere che ] anche là doveva entrare il sommo sacerdote per non fare spegnere l'incenso.

Egli non entrava una volta sola all'anno, ma una volta sola all'anno con il sangue della purificazione, mentre per l'incenso vi entrava ogni giorno.

O forse si deve intendere che Dio comandò che non bevessero vino in alcun modo.

Perché dunque non formulò piuttosto il comando in modo da dire brevemente: Non dovrete bere vino, ma aggiunse: quando entrerete nella tenda o quando vi accosterete all'altare?

Forse perché non c'era ragione di passare sotto silenzio il motivo di non bere, soprattutto perché Dio sapeva che in seguito ci sarebbero stati anche tanti sommi sacerdoti contemporaneamente, cioè non risultanti per via di successione, i quali avrebbero svolto a turno l'officiatura per la tenda, per i sacrifici e per l'incenso, e per tutto ciò che era richiesto dal culto, quando certamente non bevevano quelli dei quali era il turno di officiare, mentre gli altri bevevano?

O che cos'altro si deve intendere in base a questo testo?

Poiché, dopo la proibizione fatta ai sacerdoti di bere vino e bevande inebrianti, il testo aggiunge: regola eterna per le vostre generazioni.

È incerto se questa espressione sia connessa con la frase precedente, cioè al divieto di bere vino, o alla seguente ove è detto: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra le pure e le impure, e insegnare ai figli d'Israele tutte le regole che il Signore ha enunciato loro per mezzo di Mosè, affinché questa sia una legge eterna per il ministero dei sacerdoti e dei loro discendenti.

In qual senso poi quella regola è detta eterna, lo abbiamo spiegato già numerose volte.

Ambiguo è pure il senso della frase seguente: Per distinguere tra le cose sante e quelle profane, tra quelle pure e quelle impure, se per il fatto che ci sono cose sante e cose pure o profane e impure, o per il fatto che ci sono santi e puri o corrotti e impuri, cioè se Dio volle che i sacerdoti distinguessero tra le azioni fatte secondo le debite cerimonie o no, oppure tra le stesse persone lodevoli o riprovevoli o piuttosto il comando si deve riferire a tutte e due le specie [ di realtà ], cioè sia alle persone che alle cose sacre.

34. ( Lv 10,14 ) Il petto e la spalla delle vittime separate per il sacerdote

Il petto della parte separata e la spalla del prelevamento le mangerete in un luogo santo.

Sebbene ciascuna cosa sia data a ogni sacerdote, tuttavia è evidente che ambedue le cose si potrebbero dire separate, poiché l'una e l'altra cosa viene separata per essere data al sacerdote e l'una e l'altra potrebbe dirsi di prelevamento oppure oggetto detratto, che in greco si dice άφαίρεμα, poiché l'una e l'altra cosa si prende e si porta via a coloro per i quali viene offerta, perché sia data ai sacerdoti.

Proprio più sopra abbiamo letto del petto della deposizione e della spalla del prelevamento, ( Lv 7,34; Lv 8,29 ) poiché dalla spalla nulla veniva posto sull'altare, mentre vi veniva posto il grasso tolto dal petto.

35. ( Lv 10,14 ) I sacrifici della salvezza

Che cosa significa l'espressione: [ prelevata ] dai sacrifici delle salvazioni, quando in un altro passo sono chiamati sacrifici di salvezza e al singolare è detto sacrificio di salvezza sebbene si parli della stessa cosa?

In questo passo dove è detto: Dai sacrifici delle salvazioni si sarebbe forse dovuto dire: delle sanità?

Infatti nel Salmo ove si dice: Ascoltaci o Dio, nostra salvezza,6 il greco ha questa medesima parola che ha in questo passo, cioè σωτηρίων.

È però incerto se questo genitivo plurale nella lingua greca è un caso della declinazione di salus, -tis [ salute, salvezza ] o del [ neutro ] salutare, -is [ salute, sicurezza, mezzo di salvezza, redenzione ], poiché σωτηρία significa salvezza o sanità e il suo genitivo plurale è τών σωτηριών salutare invece in greco si dice σωτηριών e il suo genitivo plurale è il medesimo.

Se dunque può intendersi correttamente anche come sacrificio di salvezza quello che è il sacrificio per l'azione di salvare, poiché la salvezza si dà mediante l'azione di salvare, e l'azione di salvare è ciò per cui si riceve la salvezza, non è necessario pensare che qui, ove si parla di sacrifici delle salvazioni, si tratti di sacrifici di molte salvezze, ma forse di molte sanità che tuttavia si ottengono per mezzo di un solo sacrificio di salvezza.

La fede cristiana però sa che si tratta della salvezza di Dio, della quale è detto: Prenderò il calice della salvezza ( Sal 116,13 ) e della quale parla Simeone nel Vangelo, dicendo: Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza. ( Lc 2,30 )

I sacrifici della salvezza possono dunque intendersi o chiamarsi a ragione anche " sacrifici salutari ".

36.1. ( Lv 10,15-20 ) Alle donne è vietato cibarsi del vitto dei sacerdoti

E ciò sarà per te, per i tuoi figli e le tue figlie una regola per sempre.

Non senza ragione è stato aggiunto: per le figlie, poiché alle donne è vietato cibarsi di alcune cose relative al vitto dei sacerdoti, che invece è comandato agli uomini.

36.2. Mosè s'era informato circa il capro offerto [ in sacrificio ] per i peccati della comunità ma, non avendolo trovato - perché era stato bruciato - si adirò, poiché il Signore aveva ordinato che le vittime offerte dal popolo [ in sacrificio ] per il peccato dovevano essere mangiate dai sacerdoti dopo esserne stati offerti [ al Signore ] i pannicoli adiposi e i rognoni; Mosè però non s'era adirato contro suo fratello ma contro i figli di questi, cosa - credo io - attinente al suo ufficio di ammonirli.

Aronne gli rispose in questi termini: Oggi essi hanno offerto le vittime per il loro peccato e i loro olocausti al cospetto del Signore e mi sono capitate queste cose; e io mangerò oggi la vittima destinata al sacrificio per il peccato; ciò sarà forse gradito dal Signore?

Mosè udì queste parole e ne restò soddisfatto.

Pare che Aronne disse così poiché nel giorno che i figli d'Israele avevano offerto per la prima volta il sacrificio per il loro peccato, quel sacrificio non s'era dovuto mangiare dai sacerdoti, ma bruciato totalmente senza farne tuttavia una regola per gli altri sacrifici, poiché in seguito i sacerdoti mangiavano le vittime sacrificate per i peccati.

Ma poiché quello fu offerto la prima volta il primo giorno, si deve pensare che il sacerdote Aronne disse ciò per ispirazione divina, affinché in seguito i sacerdoti osservassero il comando impartito da Dio a Mosè e che quanto aveva detto Aronne, come ispirato da Dio, fu approvato da Mosè.

Che cosa dire dunque degli altri sacrifici di quel giorno, cioè del montone e del vitello, i quali abbiamo detto doversi intendere offerti per il peccato?

Forse non c'è alcun problema a proposito del sacrificio del vitello, dato che doveva essere compiuto come era stato ordinato, in modo che fosse introdotta [ nella tenda-santuario ] parte del suo sangue, con il quale ungere i corni dell'altare dell'incenso ed era naturale che la vittima bruciasse completamente?

Che dire quindi del sacrificio del montone? Poiché Mosè dapprima s'era informato del capro, si deve intendere anche del montone ciò che gli era stato risposto a proposito del capro, sul quale si sarebbe informato successivamente qualora non gli fosse piaciuta la risposta del sacerdote?

Ma a proposito del [ sacrificio del ] vitello quali informazioni avrebbe potuto chiedere, dal momento che poteva essere stato compiuto secondo la legge stabilita da Dio riguardo al vitello da sacrificare per il peccato del sacerdote, che cioè doveva essere bruciato interamente fuori dell'accampamento? ( Lv 4, 12.21 )

Queste infatti sono le parole rivolte da Mosè ai figli di suo fratello, sdegnato per non aver trovato il capro da lui richiesto per il peccato, essendo stato completamente consumato dal fuoco: Per qual motivo non avete mangiato nel luogo santo l'animale che era [ la vittima ] per il peccato?

In effetti, essendo cose santissime, il Signore vi ha dato di mangiarne affinché eliminiate il peccato delle comunità e lo espiate davanti al Signore.

Poiché nulla del suo sangue è stato introdotto nella tenda-santuario, nell'interno, alla presenza [ del Signore ], lo mangerete nel santuario, come ha ordinato il Signore.

Comunque sia, quando si dice: Poiché nulla del suo sangue fu introdotto alla presenza del Signore nell'interno del santuario, senza dubbio distingue ciò che si compie così per il peccato del sacerdote o per il peccato di tutta la comunità, non riguardo al capro che non doveva essere bruciato interamente in quanto non era stato ordinato che il suo sangue fosse introdotto all'interno [ del santuario ] per ungere i corni dell'altare dell'incenso, ma che fosse mangiato dai sacerdoti.

Il motivo perché avvenne in quel modo, cioè che fosse anch'esso bruciato per intero, fu esposto da Aronne nella sua risposta e Mosè ne fu soddisfatto.

36.3. Certamente, agli anziani del popolo era stato ordinato che fossero offerti per il popolo sei animali: di questi sono menzionati prima quattro: il capro, il montone, il vitello e l'agnello di un anno; di essi evidentemente il capro era da offrirsi per il peccato, mentre l'agnello di un anno - come è anche evidente - era per l'olocausto.

Avevamo visto, al contrario, che era incerto se i due animali elencati in mezzo, cioè tra il montone e il vitello, servissero per il sacrificio offerto per il peccato e fossero aggiunti al capro o piuttosto all'agnello perché fossero offerti per l'olocausto, problema su cui a suo luogo abbiamo esposto la nostra opinione.

In seguito, infatti, perché si completasse il numero di sei animali, ha commemorato il vitello e il montone nel sacrificio di salvezza, e tuttavia, quando sono stati immolati e parimenti menzionati, non si fa menzione degli stessi animali, il montone e il vitello, che erano stati inseriti tra il capro e l'agnello, ma sono nominati solo il vitello e il montone che era stato ordinato fossero offerti per il sacrificio di salvezza; di conseguenza si può pensare che non si trattasse più di sei, ma piuttosto di quattro animali; ( Lv 9,4; Lv 9, 15.16 ) si potrebbe forse pensare che i due animali nominati prima tra il capro e l'agnello sono menzionati di nuovo e che non è un altro vitello o un altro montone per il sacrificio di salvezza, e così l'agiografo, avendo spiegato che il capro era destinato al sacrificio per il peccato, ma non per che cosa, cioè per quale sacrificio erano destinati il montone e il vitello, mentre indica l'agnello destinato all'olocausto, in seguito avrebbe voluto dire che cosa dovesse farsi del vitello e del montone, cioè che era comandato di non offrirli né per il peccato come il capro, né per l'olocausto come l'agnello, ma per il sacrificio di salvezza.

Se però intenderemo la cosa in questo senso, rimarrà il problema di sapere per qual motivo per il peccato della comunità fu offerto un capro, dal momento che, parlando fin dal principio dei sacrifici che si dovevano offrire per i peccati, il Signore aveva comandato che per il peccato della comunità si offrisse un vitello, così come per il peccato del sacerdote aveva comandato si offrisse non un capro ma un vitello - a proposito del quale vitello comandò che s'introducesse nel santuario anche il sangue, così come per il peccato del sacerdote, per ungere i corni dell'altare dell'incenso ( Lv 4,3-18 ) - [ rimane inoltre il quesito ] per quale motivo sia Mosè offrì un vitello per il peccato di Aronne, ( Lv 8,14 ) sia lo stesso Aronne offrì un altro vitello, ( Lv 9,8 ) come dovevano essere offerti per il peccato del sacerdote secondo il precetto di Dio, mentre per il peccato del popolo non si offriva un vitello - com'era stato comandato - ma piuttosto un capro. ( Lv 9,15 )

Poiché incontravamo difficoltà in questo problema, ci sembrò - come abbiamo detto in precedenza - che si comandava di offrire non solo un capro per il peccato del popolo, ma anche un montone e un vitello, solo che per questi tre sacrifici si sottintenda lo scopo, cioè " per il peccato ", poiché non solo facevano parte del popolo anche i capi, per i quali si doveva offrire il capro, ma anche le singole persone potevano avere peccati, per i quali si doveva offrire un montone, e poiché avevano tutti un qualche peccato, per il quale veniva offerto un vitello, per il peccato di tutta la comunità si doveva offrire un vitello, come era stato comandato fin dal principio. ( Lv 4,13-21 )

Perciò infatti, quando si facevano sacrifici viene nominato soltanto il capro perché gli altri animali, anche se non nominati, erano sottintesi mediante la metafora con la quale si esprime la parte per il tutto, poiché tutti quegli animali erano offerti per il peccato.

37. ( Lv 11,33-34 ) Recipiente d'acqua reso immondo da carogne immonde

Trattando delle carogne degli animali immondi il testo sacro dice: Se una di quelle carogne cadrà in un recipiente di argilla tutto ciò che vi si trova all'interno sarà immondo e anche quello sarà rotto, vale a dire il recipiente.

E ogni specie di alimento commestibile sul quale sarà caduta dell'acqua sarà impuro per voi.

Non deve intendersi di qualunque acqua che, se sarà caduta sull'alimento, lo rende immondo, ma di quella che fosse contenuta eventualmente nel recipiente reso immondo da carogne immonde e cadesse da quello.

38. ( Lv 11,47 ) Gli animali generanti esseri vivi

Per insegnare ai figli d'Israele [ a distinguere ] tra gli animali generanti esseri vivi, che si possono mangiare, e animali generanti esseri vivi che non si possono mangiare, alcuni nostri autori preferirono tradurre la parola greca ζωογονοϋντα con vivificantia - termine bene o male entrato in uso nella nostra lingua - anziché formarne uno insolito, qualora fosse stato possibile dire vivigignentia [ generanti esseri vivi ].

Poiché ζωογονοϋντα indica non gli animali che fanno vivere, ma quelli che generano viva la loro prole, cioè non le uova ma i loro piccoli.

39. ( Lv 12,4 ) Dove potevano entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull'altare

Che cosa significa ciò che dice il testo sacro a proposito della donna che ha partorito: Non toccherà alcunché di santo e non entrerà nel santuario?

Qual santuario vuole che s'intenda, dal momento che leggiamo nella Scrittura che nella tenda-santuario solevano entrare solo i sacerdoti e solo fino al secondo velo interno, mentre oltre quello dov'era l'Arca dell'alleanza poteva entrare solo il sommo sacerdote?

Si poteva forse chiamare santuario anche il locale davanti alla tenda-santuario ov'era l'altare dei sacrifici?

Spesso infatti è chiamato luogo santo anche lo stesso atrio, quando si dice: Le mangeranno nel luogo santo. ( Lv 6,19 )

Là solevano forse entrare le donne quando offrivano i loro doni da porre sull'altare.

40.1. ( Lv 12,2-8 ) I giorni dell'isolamento della purificazione della donna

Che significa il seguente testo: Se una donna partorirà un maschio sarà impura per sette giorni; conforme ai giorni d'isolamento [ della sua indisposizione ] sarà immonda; l'ottavo giorno, poi, farà circoncidere la carne del prepuzio di lui; e durante trentatré giorni resterà seduta nel suo sangue.

Non toccherà nulla di ciò che è santo e non entrerà nel santuario?

Quale differenza c'è tra quei sette giorni nel corso dei quali è dichiarata impura e i trentatré giorni in cui resterà seduta nel suo sangue puro?

Poiché, se non è più impura per trentatré giorni, per qual motivo non può toccare ciò che è santo?

C'è forse la differenza ch'essa si trova [ inattiva ] sebbene con il sangue puro?

Ci sarebbe così la differenza che, quando è impura, rende impuro anche qualsiasi luogo in cui starà seduta, mentre, quando ormai sta seduta con il sangue puro non le è lecito toccare solo ciò che è santo ed entrare nel santuario?

Questo infatti significa l'espressione: conforme ai giorni dell'isolamento della sua purificazione, poiché in un altro passo è detto che l'impurità della donna, la quale si purifica delle mestruazioni, dura sette giorni, durante i quali tutto ciò su cui starà seduta sarà immondo. ( Lv 15,19-23 )

L'agiografo inoltre dice: dell'isolamento, poiché la donna restava alquanto in disparte per non contaminare ogni cosa mentre trascorreva quei giorni.

La legge raddoppiava quei giorni dell'impurità della donna se avesse partorito una femmina e ne fissava quattordici; la legge poi aveva anche ordinato che degli altri giorni che la donna restava con il proprio sangue puro fossero osservati il doppio, cioè sessantasei, in modo che, nel caso che la donna avesse partorito un maschio, i giorni in totale fossero quaranta e, nel caso avesse partorito una femmina, fossero ottanta.

Alcuni manoscritti greci non portano la lezione: nel suo sangue puro, ma: nel suo sangue impuro.

40.2. E quando saranno terminati i giorni della sua purificazione per un figlio o per una figlia, essa porterà [ al sacerdote ] un agnello d'un anno, senza difetto, per l'olocausto, e il piccolo di un piccione o d'una tortora per il peccato all'ingresso della Tenda della testimonianza.

Il sacerdote lo offrirà davanti al Signore e farà il sacrificio espiatorio per essa e la purificherà dal flusso del suo sangue.

Ecco la legge riguardante colei che partorisce un maschio o una femmina.

Se però la sua mano non ha trovato il sufficiente per [ offrire ] un agnello, prenderà due tortore o due piccoli d'un piccione, uno per l'olocausto e l'altro per il peccato, e il sacerdote farà il sacrificio espiatorio per essa ed essa resterà purificata.

Pertanto la lezione corretta della frase precedente non è: offrirà un agnello d'un anno, senza difetto, per l'olocausto " oppure " il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, come hanno alcuni manoscritti ma, come abbiamo detto: e il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, dal momento che poi il testo dice: se la sua mano non ha trovato i mezzi sufficienti per [ offrire ] un agnello, prenderà due tortore, dove pare che il testo ha in più la congiunzione e, tolta la quale la frase continua in modo corretto: prenderà due tortore o due piccoli d'un piccione, cioè un uccello per l'olocausto e un altro per il peccato.

40.3. Ma per quale peccato? Forse qui si mostra la discendenza da Adamo, della quale l'Apostolo dice: Da uno per la condanna ( Rm 5,16 ) e poiché il peccato è entrato nel mondo per mezzo d'un solo uomo e attraverso il peccato la morte e così la morte passò su tutti gli uomini. ( Rm 5,12 )

Anche in questo testo appare assai chiaramente il senso espresso nelle parole: Io infatti nella colpa sono stato concepito e nei peccati mia madre nel suo ventre mi ha fatto crescere. ( Sal 51,7 )

Perché dunque la Scrittura dice che mediante questo sacrificio viene purificato non il figlio nato ma la madre che lo ha partorito?

La purificazione è stata forse riferita, a causa del flusso del sangue, proprio a colei dalla quale proveniva quella sorgente?

Tuttavia tale purificazione non poteva avvenire senza quella dello stesso feto nato dallo stesso sangue?

A che cosa infatti si riferisce la frase precedente: Per un figlio o per una figlia essa porterà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione o una tortora per il peccato, se con questo sacrificio non si procurava alcun beneficio alle creature che nascevano?

40.4. Se poi uno cercherà di punteggiare il periodo del testo in modo da affermare che la frase non deve unirsi così: Per un figlio o per una figlia offrirà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione per il peccato, ma si deve leggere piuttosto nel modo seguente: e quando saranno compiuti i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia, cioè si saranno compiuti i giorni della purificazione per quello o per quella, vale a dire per il figlio o per la figlia, in modo che il testo poi continui con un altro senso: offrirà un agnello d'un anno, senza difetti, per l'olocausto e il piccolo d'un piccione per il peccato, cioè per il suo peccato, allorché saranno terminati i giorni della sua purificazione per il figlio o per la figlia.

Se uno cercherà di punteggiare la frase in questo modo, sarà convinto d'errore dal Vangelo, in cui, quando fu compiuta una simile cerimonia religiosa per il Signore nato dalla Vergine, più per accondiscendenza a un'abitudine della legge che per la necessità di espiare e purificare alcun peccato in Lui, si legge così: Quando i genitori portarono il bambino Gesù nel tempio per compiere a suo riguardo quanto era consueto farsi secondo la legge. ( Lc 2,27 )

L'agiografo non dice: " riguardo a sua madre ", ma: riguardo a lui, sebbene fossero compiute le prescrizioni che in questo passo erano state ordinate a proposito delle due tortore o dei due piccoli piccioni.

Così infatti si degnò di essere battezzato anche Lui con il battesimo di Giovanni, che era un battesimo di " penitenza " per la remissione dei peccati, ( Mt 3,11-13 ) sebbene egli non avesse alcun peccato.

Giustamente quindi alcuni nostri scrittori tradussero questo passo del Levitico in modo da dire non: " a proposito " del figlio o della figlia, ma: per il figlio o per la figlia.

Essi infatti avevano compreso che questo è il significato della proposizione super in questo passo, ove il greco dice: εφ υίώ ή έπί θυγατρί [ per un figlio o per una figlia ].

Di certo bisogna considerare quanto povero volle nascere il Signore, fino al punto che per lui fu offerto non un agnello e un giovane piccione o una tortora, ma un paio di tortore o due giovani piccioni, come si legge nel Vangelo; ( Lc 2,24 ) quanto comandò di offrire la Scrittura del Levitico allora con l'espressione: Se la mano dell'offerente non avrà il sufficiente per un agnello.

41. ( Lv 13,2 ) La cicatrice indica un difetto del colore

Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice di un segno, chiara, e sulla pelle di quel colore sarà apparso un altro attacco di lebbra.

L'agiografo poi, a modo di spiegazione, espone più avanti come si debba intendere ciò che aveva detto prima, poiché aveva detto: Se a un uomo si formerà sulla pelle del suo corpo una cicatrice chiara, perché non intendessimo la cicatrice come suole essere il segno di una ferita rimarginata, e spiega che, quando aggiunge: e sarà sulla pelle del suo colore un attacco di lebbra, dice ciò riguardo al colore.

Qualunque cosa sia ciò che l'agiografo chiama cicatrice, è un difetto del colore.

Quanto a ciò che invece chiama attacco di lebbra, non [ si deve pensare ] che quel colore si senta con il tatto, ma si chiama attacco di lebbra come se la persona o il suo corpo venisse toccato dalla lebbra, cioè coperto di macchie ed infettato.

Così per esempio si suole dire: " Ha avuto o non ha avuto un attacco di febbre ".

Così l'agiografo chiama la stessa macchia attacco [ della lebbra ] e la chiama sempre con questo nome.

Per questo motivo alcuni dei nostri [ traduttori ] non hanno tradotto attacco, ma macchia.

Per la verità con questo vocabolo sembra più chiaro il senso di ciò che si legge; ma anche il testo greco avrebbe potuto dire non άφήν, cioè contagio, ma μώμον, cioè macchia, dal quale deriva άμωμον che vuol dire senza macchia, sebbene la Scrittura sia solita chiamare puro non solo ciò che riguarda il colore, ma ciò che è privo d'ogni specie di difetto.

La Scrittura, quindi, non vuole che s'intenda come una macchia di colore, ma come una macchia d'ogni specie di difetto ciò ch'essa chiama μώμον.

Ciò che si riferisce al solo colore si sarebbe potuto dire dunque σπίλον, termine usato dall'Apostolo nel passo ove, parlando della Chiesa, dice: senza macchia né ruga. ( Ef 5,27 )

[ L'agiografo del Levitico ] però non disse né μώμον σπίλον, ma άφήν, cioè contagio, parola che anche nella lingua greca è usata raramente riguardo ai colori.

Perché dunque se ne sarebbero dovuti vergognare i latini?

Quanto all'espressione: cicatrice d'un segno, essa è usata perché significa qualcosa o piuttosto perché con un segno distingue la persona dalle altre, cioè lo rende riconoscibile tra gli altri.

42. ( Lv 13,3 ) L'inquinamento della lebbra

Che significa la frase: E lo esaminerà e lo inquinerà il sacerdote, dal quale andrà [ il malato ] per essere mondato?

Ma inquinerà è detto nel senso " lo dichiarerà inquinato " se il sacerdote vedrà in lui gli indizi indicati dalla Scrittura a proposito della macchia della lebbra.

43. ( Lv 13, 4.7 ) La macchia di colore della lebbra

Se però nella pelle del suo colore ci sarà un bianco lucente e ciò che si vede non sarà incavato rispetto alla pelle.

Nell'espressione bianco lucente si sottintende " l'attacco ", cioè la macchia di colore, non i peli.

Riguardo poi all'espressione che segue: Se però è cambiata la significazione sulla pelle, ora l'agiografo chiama significazione ciò che prima nel testo latino si legge signum [ segno ].

Il testo greco infatti tanto prima che qui usa il medesimo vocabolo, cioè σημασίαν.

44. ( Lv 13,5-6 ) Segregazione del lebbroso

E il sacerdote lo isolerà di nuovo per sette giorni; e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco che [ la macchia ] del contagio sarà di colore oscuro e sulla pelle non si sarà cambiata; il sacerdote lo purificherà, poiché si tratta di un segno, cioè lo dichiarerà purificato, poiché non è la lebbra, ma un segno.

45. ( Lv 13,7-8 ) Il sacerdote esamini il colore della lebbra

Ma se nella sua evoluzione la significazione nella pelle si sarà cambiata dopo che lo aveva esaminato il sacerdote per purificarlo e l'uomo si farà visitare di nuovo dal sacerdote e questi lo esaminerà ed ecco che la significazione nella pelle è cambiata e il sacerdote lo inquinerà: è lebbra.

Anche qui è detto lo inquinerà, cioè " lo dichiarerà impuro "; il testo ha in più la congiunzione e, secondo l'esprimersi della Scrittura.

Pare quindi che l'agiografo ammonisca che quando si è visto solo il colore bianco e lucido dissimile dal colore sano, il sacerdote esamini il malato di nuovo affinché, se vedrà mutato nel colore bianco anche il pelo e divenuta più profonda la cavità della pelle in cui si trova il colore bianco, solo allora dichiari che si tratta di lebbra, giudichi impuro l'uomo dichiarandolo lebbroso.

Se però - è detto - nella pelle del suo colore ci sarà il bianco lucido - sarà cioè bianco lucido il contagio, nome con cui il testo denota la medesima macchia - e non apparirà profonda la cavità nella pelle e il pelo non si sarà cambiato in bianco, ma è scuro - cioè che lo stesso pelo non è bianco e il sacerdote terrà segregata la persona affetta per sette giorni.

E il sacerdote esaminerà il settimo giorno quell'attacco [ del contagio ] - vale a dire quella macchia - ed ecco, l'attacco rimane davanti a lui, ma non si è esteso nella pelle, cioè non si è trovato dissimile e di colore diverso da quello della pelle.

Era dunque tornata sana la parte che prima era malata.

È comandato però che la guarigione sia controllata ancora per altri sette giorni e perciò la Scrittura continua dicendo: E il sacerdote terrà l'uomo di nuovo isolato durante sette giorni - cioè per altri sette giorni - e il sacerdote lo esaminerà di nuovo il settimo giorno ed ecco il gonfiore [ diventato ] oscuro - vale a dire che non è bianco e lucido e perciò dello stesso colore del colore sano - l'attacco nella pelle non si è cambiato - come aveva detto poco prima, cioè non è diverso dal colore di tutta l'altra pelle - e il sacerdote lo purificherà, cioè lo dichiarerà libero dal sospetto di lebbra non perché abbia avuto la lebbra che ormai non ha, ma perché la lebbra non c'è stata per il fatto che nel colore lucido e bianco del contagio, cioè della macchia ch'era apparsa, allorché si aspettava per vedere se la cavità [ sulla pelle ] divenisse più profonda e il pelo in quel punto si cambiasse in bianco, non avvenne così, ma piuttosto quel contatto che prima era lucido e bianco, fu trovato scuro, cioè simile a tutto il restante colore non lucido.

Non era dunque la lebbra; infatti ciò che appariva lebbra non lo era, ma solo un segno.

Tuttavia, sebbene liberato per questo motivo dal sospetto della lebbra, dovrà lavare le sue vesti, poiché in quel segno c'era qualcosa per cui si dovevano lavare gli abiti, e sarà puro.

46. ( Lv 13,7-8 ) La lebbra consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore

Il testo infine continua: Se però sulla pelle il segno si sarà cambiato dopo che il malato era stato esaminato dal sacerdote per essere purificato - cioè dopo che il sacerdote lo aveva esaminato prima il settimo giorno trovandolo sano per purificarlo, quella significazione, cioè quel segno sulla pelle, era cambiata - e sarà stato esaminato di nuovo dal sacerdote - cioè dopo altri sette giorni - e il sacerdote lo avrà esaminato, ed ecco il segno sulla pelle è cambiato - cioè non perdurò nello stato di salute in cui lo aveva visto dopo i primi sette giorni - e il sacerdote lo dichiarerà impuro: è lebbra.

Orbene in questo caso, poiché ciò che era apparso sano dopo i primi sette giorni non era continuato a rimanere nel suo stato, ma si era mutato nel male di prima, viene dichiarato lebbra: di conseguenza in quel caso non si deve aspettare né che la cavità [ sulla pelle ] sia più incavata, né che il pelo sia mutato in bianco.

Poiché la lebbra non è percettibile e non si presenta come un male ma consiste solo nel cambiamento delle chiazze di colore, il fatto stesso di tornare da un colore malsano a quello naturale e da quello naturale a quello malsano è tanto percettibile che non c'è bisogno di aspettare ciò che nel primo caso era stato ordinato di aspettare circa la cavità più fonda e circa la bianchezza del pelo, ma dal solo fatto del cambiamento viene considerata sicuramente lebbra.

47. ( Lv 13,9-17 ) La carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco

L'agiografo poi continua così: Nel caso che in un uomo ci sarà un attacco di lebbra lo si condurrà dal sacerdote.

E il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca sulla pelle ed essa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco e da quello sano della carne viva nella cicatrice.

Se toglieremo e da questa frase, aggiunto secondo il modo di esprimersi delle Scritture, il senso della frase sarà il seguente: Il sacerdote osserverà ed ecco una cicatrice bianca nella pelle e questa ha fatto cambiare il colore del pelo rendendolo bianco da sano che è quello della carne viva nella cicatrice.

La costruzione diretta della frase è la seguente: ha fatto cambiare il colore del pelo in bianco sulla cicatrice da quello sano della carne viva, cioè: mentre la carne sana e viva ha il pelo scuro o nero, la cicatrice lo ha bianco: È lebbra inveterata nella pelle del suo colore; e il sacerdote lo condannerà - cioè lo dichiarerà impuro - non lo isolerà perché è impuro.

L'agiografo pare voglia dire che quando si trova il pelo mutato in bianco, un pelo del medesimo colore del pelo bianco per la malattia della carne, non s'isolerà più il malato per esaminarlo né si aspetta per vedere se la cavità diventi più profonda, ma per il solo fatto che la pelle è bianca di colore diverso dal restante, ed ha il pelo bianco di colore diverso da quello degli altri che sono nella carne viva e sana, si dichiara che c'è la lebbra inveterata; inveterata poiché non dev'essere verificata più durante i suddetti quattordici giorni.

Se invece sarà restituito il colore naturale e si sarà cambiato in bianco - [ l'agiografo dice così ] poiché aveva detto che tutto il colore bianco esteso su tutta la pelle era già puro per il fatto stesso che non c'era più il cambio di colore -.

Continua poi dicendo: Ma in qualunque giorno sarà visto in lui il color vivo, verrà dichiarato impuro.

Da questa frase appare in modo assai chiaro che si disapprova il cambiamento di colore.

E perciò riguardo a quanto ha detto poco prima l'agiografo, cioè: Se invece sarà restituito il colore sano e si sarà cambiato in bianco, [ il malato ] si recherà dal sacerdote.

E il sacerdote lo esaminerà ed ecco l'attacco rimutato in bianco e il sacerdote purificherà l'uomo colpito dall'attacco: è puro, non dobbiamo pensare che il colore sano ritornò perché risultasse sano, poiché era già sano il colore ma per caso tuttavia diventava impuro a causa del suo cambiamento.

Dice che tornò sano il colore in modo che tornò ad essere quel che era stato, cioè colore bianco scomparendo quello sano.

Poiché allora sarà di nuovo puro, quando sarà tutto bianco poiché non ci sarà nessun cambiamento.

Ma prendere restituito nel senso di "scomparso " sarebbe un modo di esprimersi troppo inusitato.

Pare infatti che si sarebbe dovuto dire piuttosto: se però sarà restituito il colore bianco.

Ora, al contrario, si dice: sarà stato restituito sano e si sarà cambiato in bianco come se dicesse: se sarà stato restituito in bianco il colore sano.

48. ( Lv 13,30 ) La lebbra della testa

Per qual motivo, quando la Scrittura parla della lebbra della testa, la chiama anche una percossa, dal momento ch'essa consiste solo nel colore della cute e dei capelli e dal fatto che appare più incavata rispetto al resto della pelle, tuttavia senza alcun dolore o scossa?

Ha forse l'agiografo preferito chiamare colpo invece di " piaga " ciò che è impuro, come se uno fosse percosso da tale impurità?

49. ( Lv 13,47-48 ) La lebbra dei vestiti

Che cosa vuol dire la Scrittura quando, parlando della lebbra dei vestiti o di altre cose attinenti ai bisogni umani dice: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa o di canapa o nella lana e nelle cose di lino o di lana, dal momento che già prima aveva detto: in un vestito di lana o in un vestito di stoppa?

Poiché una cosa di stoppa è certamente [ anche ] di lino.

O forse l'agiografo lì volle fare intendere i vestiti, qui invece qualunque oggetto di lana o di lino?

Poiché non sono vestiti le coperte dei giumenti, pur essendo di lana, o sono vestiti le reti pur essendo di lino.

Prima dunque volle parlare in particolare dei vestiti e poi in genere di tutti gli oggetti di lana e di lino.

50. ( Lv 13,48 ) Il pellame lavorato

Si pone il presente quesito: perché l'agiografo dice: in ogni specie di pellame di lavoro.

Ma alcuni hanno tradotto: in ogni sorta di pellame lavorato.

Il testo greco però non dice έργασμένω δέρματι, ma dice: έργασίμω, parola, questa, usata anche nel Libro dei Re dove Gionata dice a Davide: Rimani nella campagna in un giorno lavorativo, ( 1 Sam 20,19 ) cioè in un giorno in cui si lavora.

E perciò anche qui per pellame di lavoro dobbiamo intendere quello in cui si fa un lavoro, cioè adatto a qualche lavoro.

Ci sono infatti delle pelli che si tengono solo per ornamento, non per farvi dei lavori.

51. ( Lv 13,49 ) Il termine vas indicante qualsiasi utensile

Che cosa vuol dire l'espressione: In qualsiasi oggetto di lavoro di pelle, se non quello fatto di pelle, cioè un qualsiasi oggetto di pelle?

D'altra parte l'agiografo in questo passo chiama ciò vas [ arnese ], che in greco si chiama σκεϋος; termine, questo, generale indicante qualsiasi utensile.

Altra cosa è invece ciò che è chiamata αγγεϊον [ vaso; recipiente ] poiché anche questo in latino significa vas [ vaso, recipiente ].

Ma per αγγεϊον s'intende piuttosto un recipiente che contiene del liquido.

52. ( Lv 15,11 ) Il malato ha il dovere di lavarsi le mani

Che cosa significano le seguenti espressioni: Qualunque persona che il malato di gonorrea toccherà, senza essersi lavato le mani nell'acqua, laverà le sue vesti e bagnerà il suo corpo nell'acqua, e sarà impuro fino alla sera?

Poiché l'espressione: senza essersi lavato le mani nell'acqua è formulata in modo ambiguo, quasi volesse dire: " dopo averlo toccato ".

Si deve invece intendere così: qualunque persona che [ il malato ] toccherà senza essersi lavate prima le mani, la stessa persona ch'egli avrà toccato dovrà lavarsi le vesti, ecc.

53.1. ( Lv 16, 16.19 ) In qual modo si dovrà fare l'espiazione per i santi

Che significa ciò che l'agiografo, a proposito del comando [ dato dal Signore ] al sommo sacerdote quando deve entrare nel " Santo ", situato dietro il velo, tra l'altro dice: Farà l'espiazione per purificare i santi dalle impurità dei figli d'Israele e dalle loro ingiustizie [ e ] da tutti i loro peccati?

In qual modo farà l'espiazione per i santi, se sarà fatta per togliere le impurità dei figli d'Israele e le ingiustizie dei loro peccati?

Forse, perché non dice: " in favore [ pro ] delle impurità ", ma dalle [ ab ] impurità dei figli d'Israele, si deve intendere: farà l'espiazione per i santi dalle impurità dei figli d'Israele?

Vale a dire per coloro che sono santi esenti dalle impurità dei figli d'Israele in quanto non acconsentono alle loro impurità, non perché si dovesse fare l'espiazione solo per essi, ma anche per essi, affinché non si pensasse che fossero talmente santi da non aver nulla per cui si dovesse fare l'espiazione per essi, sebbene fossero estranei dalle impurità dei figli d'Israele e dalle loro ingiustizie.

Da tutti i loro peccati, cioè dalle ingiustizie derivanti da tutti i loro peccati.

53.2. Il senso della frase: Farà l'espiazione dalle impurità dei figli d'Israele potrebbe essere anche questo altro, che cioè si fa l'espiazione per essi, affinché fossero al riparo dalle impurità dei figli d'Israele.

Ma farà l'espiazione non può intendersi se non nel senso espresso dall'altro verbo farà propizio.

Si chiama perciò anche " propiziatorio " quello che altri traducono con " offerta espiatoria ", e in greco si chiama ίλαστήριον.

Inoltre ciò che in questo passo il latino esprime dicendo: farà l'espiazione [ exorabit ] per i santi, il greco lo esprime con έξιλάσεται, che non s'intende se non per i peccati.

Ecco perché nel Salmo sta scritto: [ Il Signore ] che perdona tutti i tuoi peccati. ( Sal 103,3 )

Questo dunque è il senso più confacente, quello di intendere che il sacerdote invochi Dio propizio anche verso coloro che sono santi, estranei cioè alle impurità dei figli d'Israele e perché, sebbene siano tanto santi da non acconsentire alle impurità e alle ingiustizie dei figli d'Israele, hanno tuttavia qualche colpa a causa della quale è necessaria per essi la misericordia di Dio.

53.3. Per la verità in un manoscritto greco troviamo: Ed espierà il Santo, non " a favore dei santi " e il termine il Santo è in verità di genere neutro, cioè τό άγιον.

In effetti l'espressione potrebbe intendersi nel senso " supplicherà Dio santo " e non ci sarebbe alcun problema, è però difficile dire in qual senso possa intendersi espierà il Santo se non forse intendendo per Santo tutto ciò che è Dio, perché anche lo Spirito Santo, che è Dio, in greco è espresso col genere neutro τό πνεϋμα τό άγιον.

E forse - qualora il manoscritto che pareva più corretto fosse più autentico - έξιλάσεται τό άγιον, significa ciò, vale a dire lo Spirito Santo ( τό πνεϋμα τό άγιον ) che in latino non può denotarsi con il genere neutro.

Sennonché anche negli altri tre manoscritti, uno greco e due latini, abbiamo trovato solo ciò che abbiamo detto più sopra: Farà l'espiazione per i santi.

Questa espressione però potrebbe intendersi anche nel senso che l'espiazione non riguarda le persone sante, ma le cose che sono sante, cioè la tenda-santuario e tutti gli oggetti che tra quelle cose sono consacrati al Signore; in modo che il senso dell'espressione: farà l'espiazione per i santi al fine di liberarli dalle impurità dei figli d'Israele, sarebbe: Farà propizio Dio verso le cose consacrate al Signore liberandole dalle impurità dei figli d'Israele, poiché la tenda-santuario era situata in mezzo a loro.

Avendo infatti l'agiografo detto: Farà l'espiazione per i santi per purificarli dalle impurità dei figli d'Israele e dalle ingiustizie di tutti i loro peccati, soggiunge immediatamente: e la medesima cosa farà con la tenda della testimonianza, che si trova tra di loro, in mezzo alle loro impurità; così che quella espiazione pare necessaria per le cose sante, cioè per la tenda-santuario e per tutti gli oggetti pertinenti ad essa che sono chiamati santi.

Infatti anche un po' dopo si dice dell'altare che il sacerdote deve purificare con l'aspersione del sangue e santificarlo purificandolo dalle impurità dei figli d'Israele.

54. ( Lv 16,20 ) Se santificherà in modo perfetto ciò che santifica

Porterà a termine purificando il Santo. Compirà forse il Santo?

Oppure facendo espiazione per il santo, come abbiamo detto più sopra?

Poiché anche qui in greco è detto τό άγιον di genere neutro.

Facendo dunque l'espiazione al Signore, porterà a compimento il santo, cioè santificherà in modo perfetto ciò che santifica?

Oppure significa: completerà espiando il santo, cioè quel santo che è ( lo Spirito Santo )?

55. ( Lv 16, 8-10.26-33 ) I due capri, l'uno destinato ad essere immolato e l'altro a essere allontanato

A proposito dei due capri, l'uno destinato ad essere immolato e l'altro a essere allontanato nel deserto, chiamato dai Greci άποπομπαϊον, suole esserci discussione: da alcuni quello destinato a essere immolato è preso nel senso buono, quello destinato ad essere allontanato invece in senso cattivo.

Tuttavia una tale opinione non si deve sostenere, poiché all'uomo, per mezzo del quale il capro viene allontanato nel deserto, è comandato, quando torna, di lavare i suoi vestiti e il suo corpo con l'acqua e così entrare nell'accampamento - come se anche questo fosse una prova perché si debba considerare in senso cattivo quel capro, dal cui contagio l'uomo si deve purificare; nello stesso modo dice che deve lavarsi anche colui che avrà preso le carni d'un altro capro e di un vitello e le avrà bruciate fuori dell'accampamento -, poiché così comanda che si faccia a proposito del capro e del vitello, con il sangue dei quali, dopo essere stati immolati, si fa l'aspersione e sono sacrificati per il peccato.

Perciò la distinzione di questi due capri dev'essere interpretata in senso allegorico.

Allo stesso modo, quando il Signore stabilì il dieci del settimo mese per il Sabato dei Sabati in cui si doveva fare la suddetta purificazione dall'unico sacerdote che succede al proprio padre, parlando del medesimo sacerdote dice: Compia il rito espiatorio per il luogo santissimo.

Orbene, io non so se questa espressione si possa intendere in un senso diverso dal seguente, cioè: compirà il rito dell'espiazione nel Santo dei santi, a causa di una forma di idiomatismo; vale a dire nel luogo santo, in cui entrava solo lo stesso sommo sacerdote, ed era situato all'interno oltre il velo, ov'erano l'Arca dell'alleanza e l'altare dell'incenso.

Naturalmente il sommo sacerdote non espierà il medesimo luogo come se fosse Dio, ma, siccome lì espierà Dio, così è usata l'espressione: compirà il rito dell'espiazione per il Santo dei santi.

Infatti anche questa locuzione è espressa in greco col genere neutro: τό άγιον τοϋ άγιου.

O forse farà l'espiazione dello Spirito Santo, cioè τό άγιον πνεϋμα τοϋ άγιου Θεοϋ? O piuttosto espierà sta per "espiando purificherà "?

Infatti il testo continua così: E compirà il rito espiatorio per il luogo santissimo e per la tenda della testimonianza e per l'altare e compirà il rito espiatorio per i sacerdoti e per tutta la comunità.

In che modo dunque compirà il rito di espiazione per la tenda e per l'altare se non, come abbiamo detto, dobbiamo intendere ciò nel senso seguente: " compiendo il rito espiatorio purificherà "?

56. ( Lv 17,3-4 ) Proibiti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso

C'è un testo che dice: Chiunque ucciderà un vitello, un montone o una capra nell'accampamento e chi li ucciderà fuori dell'accampamento e non li porterà alla porta della tenda della testimonianza; in questo testo si stabilisce un peccato e si minaccia chi lo commette, ma non si parla degli animali che vengono uccisi per la necessità di nutrirsi o per altre necessità, ma di quelli destinati ai sacrifici.

Il testo proibisce infatti i sacrifici privati, affinché nessuno osi essere in qualche modo sacerdote per se stesso, ma porti [ le vittime ] dove siano offerte a Dio per mezzo del sacerdote.

In questo modo non offriranno nemmeno sacrifici ai falsi idoli; poiché il testo precedentemente aveva ammonito anche di guardarsi da ciò in quella consuetudine.

Il fatto che non era lecito offrire sacrifici se non nella tenda-santuario, alla quale in seguito successe il tempio, valse di conseguenza quando anche Geroboamo, re d'Israele, osò fare erigere due vitelli, ai quali il popolo doveva sacrificare, affinché dietro l'obbligo di questa legge, coloro che erano sotto il suo regno non venissero sviati da lui mentre andavano a Gerusalemme per offrire i loro sacrifici nel tempio e per questa sua azione fu condannato dal Signore. ( 1 Re 12,28-30 )

Si pone perciò con ragione il quesito in qual modo sacrificò lecitamente Elia fuori del tempio di Dio, quando con le preghiere ottenne [ di fare scendere ] il fuoco dal cielo e confutò vittoriosamente i profeti dei demoni. ( 1 Re 18,36-39 )

Mi pare che questo fatto non si giustifichi con nessun'altra ragione che quella con cui si giustifica anche l'azione di Abramo perché volle immolare il figlio per suo ordine. ( Gen 22,3-10 )

Quando colui che stabilisce la legge ordina di fare qualcosa che è proibita nella [ sua ] legge lo stesso comando è considerato legge poiché è l'autore della legge [ che lo dà ].

Oltre al sacrificio non potrebbero mancare altre situazioni strane con cui sarebbero vinti e confutati i profeti dei boschi sacri; ma qualsiasi cosa lo Spirito di Dio, che era in Elia, abbia operato in questa circostanza, non può essere contro la legge, poiché è lui il datore della legge.

57.1. ( Lv 17,10-12 ) Il senso della proibizione di mangiare il sangue

Che significa ciò che dice l'agiografo quando parla della proibizione di mangiare il sangue: l'anima di ogni carne è il suo sangue?

Tutto questo passo lo spiega nel modo seguente: E ogni uomo o dei figli d'Israele o degli immigrati stabilitisi tra voi che mangerà qualsiasi tipo di sangue, volgerò la mia faccia a colui che mangia il sangue e lo radierò dal suo popolo.

Poiché l'anima d'ogni carne è il suo sangue.

Ed io ve l'ho concesso per fare il rito dell'espiazione per le anime vostre, poiché il suo sangue servirà di espiazione per l'anima.

Ecco perché ho detto ai figli d'Israele: " Nessuno tra di voi mangerà del sangue, neppure l'immigrato stabilitosi tra voi mangerà del sangue ".

Se dunque diciamo che il sangue è l'anima di un animale, si deve forse credere che il sangue è anche l'anima dell'uomo?

Niente affatto! Perché allora l'agiografo non dice: L'anima di ogni carne di animale è il suo sangue, ma dice: l'anima di ogni carne è il suo sangue?

Tra tutte le specie di carne è considerata senz'altro anche la carne dell'uomo.

Oppure, forse perché c'è qualcosa di vitale nel sangue, dato che soprattutto per mezzo di questo stesso c'è vita nella carne dal momento che mediante tutte le vene si diffonde in tutte le parti del corpo, per questo viene chiamata anima la vita stessa del corpo, non la vita che abbandona il corpo, ma quella che termina con la morte?

Con questa espressione diciamo che questa vita è temporale, non è eterna, è mortale, non immortale, poiché è immortale la natura dell'anima, che fu portata via dagli angeli nel seno di Abramo, ( Lc 16,22 ) e alla quale è detto: Oggi sarai con me in paradiso, ( Lc 23,43 ) e che soffriva terribili tormenti nell'inferno. ( Lc 16,23 )

Così secondo questo significato per il quale è chiamata anima anche la vita temporale, l'apostolo Paolo disse: Non ritengo la mia vita meritevole di nulla, ( At 20,24 ) frase con la quale voleva mostrare d'essere pronto anche a morire per il Vangelo, poiché secondo il significato per cui si chiama " anima " quella che va via dal corpo, egli considerava più preziosa quella la quale acquistava un sì gran merito.

Ci sono anche altre espressioni idiomatiche di tal genere.

E così questa nostra vita temporale è mantenuta nel corpo soprattutto dal sangue.

Ma che significa l'espressione: Perciò vi ho concesso di porlo sull'altare in espiazione per le vostre anime: come se l'anima facesse l'espiazione per l'anima?

Può forse il sangue espiare per il sangue, come se noi fossimo preoccupati per il nostro sangue, quando cerchiamo espiazione per la nostra anima? Ciò è una cosa illogica.

57.2. È però ancora più assurdo pensare che il sangue di un animale possa fare l'espiazione per l'anima dell'uomo, la quale non può morire: quando la Scrittura nella Lettera agli Ebrei afferma chiaramente che il sangue delle vittime non serviva a nulla per fare l'espiazione a Dio per i peccati degli uomini, ma prefigurava qualcosa che avrebbe arrecato vantaggio.

La Lettera infatti afferma: È impossibile che il sangue dei tori e dei capri cancelli i peccati. ( Eb 10,4 )

Ne consegue perciò che, poiché per l'anima nostra fa l'espiazione quel Mediatore che era prefigurato da tutti quei sacrifici che allora si offrivano per i peccati, si chiama anima ciò che simboleggia l'anima.

57.3. La cosa, che è simbolo, suole infatti denotarsi con il nome di quella simboleggiata; in questo modo la Scrittura dice: Le sette spighe sono sette anni - non dice: simboleggiano sette anni - e le sette vacche sono sette anni, ( Gen 41,46 ) e molte altre espressioni del genere.

A questo proposito la Scrittura dice: quella roccia era Cristo; ( 1 Cor 10,4 ) non è detto: " la roccia rappresentava Cristo ", ma [ è detto così ] come se fosse ciò che evidentemente non era quanto alla sua natura, ma quanto al simbolo.

Così anche il sangue, poiché a causa d'una certa costituzione fisica vitale, rappresenta l'anima, nei riti sacri è chiamato "anima ".

Se però uno crede che l'anima di un animale è il sangue, non ci si deve occupare di tale questione, ma si deve evitare assolutamente di ritenere che il sangue sia l'anima dell'uomo, quella che dà la vita alla carne umana ed è razionale; questo errore dev'essere rigettato.

Vanno anche ricercate le espressioni in cui con il contenente viene indicato il contenuto, cosicché, dato che l'anima è contenuta nel corpo per mezzo del sangue - tant'è vero che, se il sangue viene sparso, essa esce dal corpo - per mezzo di questo stesso venga meglio indicata l'anima, e in tal modo il sangue acquisti il nome di essa.

Così viene chiamato " chiesa " il luogo ove si raduna la Chiesa; Chiesa infatti sono le persone, della quale è detto: Per far comparire davanti a lui la Chiesa splendente di gloria. ( Ef 5,27 )

Tuttavia che si chiami con questo nome la casa delle preghiere lo attesta il medesimo Apostolo nel passo ove dice: Per mangiare e per bere non avete forse la vostra casa?

Disprezzate forse la Chiesa di Dio? ( 1 Cor 11,22 )

L'usanza del parlare quotidiano è invalsa a far sì che si dice: " andare in chiesa ", o " rifugiarsi nella chiesa " solo di uno che sia andato o si sia rifugiato in quel luogo e nelle sue pareti in cui è contenuta la comunità della Chiesa.

Sta scritto anche: e versa sangue chi sottrae la mercede dell'operaio. ( Sir 34,22 )

Qui è detto sangue la mercede, poiché con la mercede viene sostentata la vita, che viene denotata con la parola sangue.

57.4. Però, mentre il Signore dice: Se non mangerete la mia carne e berrete il mio sangue non avrete in voi la vita, ( Gv 6,54 ) che cosa significa il fatto che al popolo viene proibito con tanta insistenza di nutrirsi del sangue dei sacrifici che sono offerti per i peccati, se da quei sacrifici era prefigurato l'unico sacrificio mediante il quale si effettua la vera remissione dei peccati; tuttavia non solo a nessuno viene proibito di assumere come alimento il sangue di questo sacrificio ma anzi sono esortati a berlo tutti coloro che desiderano avere la vita?

Si deve quindi ricercare che cosa significa il fatto che all'uomo è proibito dalla legge di nutrirsi del sangue e gli viene comandato di versarlo per Dio.

Sulla natura dell'anima, perché sia denotata con il termine "sangue ", abbiamo già detto quanto per ora ci pare che basti.

58. ( Lv 18,7-8 ) In che consiste l'indecenza del padre e della madre

Non scoprirai la nudità di tuo padre né quella di tua madre [ poiché ] è la loro vergogna.

È proibito il rapporto sessuale con la madre; in questo consiste l'indecenza del padre e della madre.

Più avanti infatti è proibito il rapporto anche con la matrigna, ove è detto: Non scoprirai la nudità della moglie di tuo padre, poiché è la vergogna di tuo padre.

In questo passo è spiegato come nella madre c'è la vergogna d'ambedue, cioè del padre e della madre, nella matrigna invece c'è solo la vergogna del padre.

59. ( Lv 18, 9.11 ) Non è lecito scoprire la nudità di una sorella

Non scoprirai la nudità di tua sorella, figlia di tuo padre o di tua madre, nata in casa o fuori casa; non scoprirai la nudità di lei.

Per colei che è nata in casa s'intende quella nata dal padre; per quella nata fuori casa s'intende quella nata dalla madre nel caso che l'avesse avuta da un precedente marito e fosse venuta con lei in casa quando sposò il padre del figliastro: è questi che la Scrittura ammonisce di non scoprire la nudità della propria sorellastra.

In questo passo sembra che non fosse stato proibito e quasi passato sotto silenzio il rapporto sessuale con la sorella nata da entrambi i genitori, poiché non è detto: " non scoprirai l'indecenza di tua sorella, figlia di tuo padre e di tua madre ", ma di tuo padre o di tua madre.

Chi però non vede che a maggior ragione è proibito quell'altro rapporto sessuale?

Se infatti non è lecito scoprire la nudità di una sorella figlia di uno qualunque dei due genitori, quanto meno è lecita una tale azione con la figlia di entrambi i genitori?

Ma perché, dopo aver riferito la proibizione del concubito anche con le proprie nipoti sia da parte del figlio che della figlia, il testo continua e dice: Non scoprirai la nudità della figlia della moglie di tuo padre?

Poiché, se la Scrittura, arrivata a questo punto, non avesse aggiunto altre parole, comprenderemmo che fosse proibito il rapporto sessuale con la figlia della matrigna, messa al mondo da questa con il precedente marito e non sarebbe la sorella - per parte del padre e della madre - di colui al quale è fatta la proibizione; siccome però aggiunge: è una tua sorella, figlia del medesimo tuo padre, non scoprirai la sua nudità, è chiaro che questa proibizione è fatta relativamente alla sorella in quanto era figlia del padre e della matrigna, di cui si era parlato già in precedenza.

Ha voluto forse l'agiografo ripetere con maggior chiarezza detta proibizione, poiché prima non era molto chiara?

Così infatti fa spesso la Scrittura.

Indice

6 Sal 65,6;
Sal 68,20;
Quest. 2,98;
Quest 6,23