Questioni sull'Ettateuco |
Si può porre il quesito in qual senso è detto: scelsero nuovi dèi come il pane d'orzo, poiché il pane d'orzo pur essendo d'infima qualità a paragone del pane di grano, tuttavia serve anch'esso a nutrire ed è un alimento vitale, mentre i nuovi dèi che - al dire dell'agiografo - si erano scelti gli Israeliti che avevano abbandonato il Dio vivente, non possono considerarsi come alimento ma piuttosto veleno dell'anima.
Forse questo paragone dev'essere inteso nel senso che è adatto ad esprimere il seguente pensiero: come il più delle volte succede che per il disgusto si rigetta ciò che si dovrebbe scegliere e si prova piacere con ciò che si dovrebbe rigettare, così per il vizio della loro volontà depravata, malata di languore e disgustata dal vero Dio, che pur era il loro Dio, gli Israeliti cercarono nei falsi dèi la sola novità disprezzando la verità.
E così preferirono un alimento mortifero come se fosse un pane d'orzo senza pensare che, a causa di quel pane, sarebbero andati in perdizione, persuasi anzi che avrebbero perfino ricevuto la vita come se fosse un alimento sano, sebbene più grossolano.
L'agiografo dunque si servì di quel paragone basandosi sulla loro opinione e sulla malattia del loro spirito anziché sulla verità.
Gli dèi nuovi infatti non possono essere paragonati ad alcuno degli alimenti che conservano la vita.
E avvenne che quando i figli d'Israele alzarono il loro grido al Signore a motivo di Madian e il Signore mandò un profeta ai figli d'Israele, e disse loro.
Perché non è detto il nome di questo profeta - cosa molto inusitata nelle Scritture - c'è un motivo occulto, ma non credo tuttavia che non ci sia alcun motivo.
Poiché, però, dopo le parole con cui rimproverò la disubbidienza del popolo, la Scrittura prosegue dicendo: E venne l'angelo del Signore e si mise a sedere sotto la quercia che era in Efra, ( Gdc 6,11 ) non è illogico ritenere che questo angelo è indicato sotto il nome di " uomo " di modo che, dopo aver pronunciato quelle parole, andò sotto la suddetta quercia e vi si pose a sedere.
È risaputo infatti che la Scrittura è solita dare agli angeli il nome di uomini ( Gen 19,10 ) sebbene non appaia né facilmente né chiaramente che un angelo sarebbe chiamato " profeta ", mentre leggiamo che è chiamato " angelo " ( Mt 11,9-10 ) chi era un profeta.
Tuttavia se sono conosciute le enunciazioni profetiche degli angeli, cioè i detti con cui essi predissero gli eventi futuri, perché un angelo non potrebbe denotarsi con il nome di " profeta "?
Ciononostante, però, come ho detto, non si presenta alla mente una prova sicura, precisa ed evidente a proposito di questo fatto.
Quando l'angelo dice a Gedeone: Il Signore sta con te, potente in forza, è un caso nominativo, non un vocativo e perciò vuol dire: Il Signore, potente in forza è con te, e non: tu, o potente.
Bisogna notare che quando l'angelo parlò a Gedeone, disse come se parlasse con l'autorità del Signore: Ecco, non sono forse io che ti ho inviato?
Chi era stato infatti a inviarlo se non chi gli aveva mandato l'angelo?
Debora, al contrario, non dice a Barac: " Non te l'ho forse ordinato io? ", ma dice: Non te lo ha forse ordinato il Signore? ( Gdc 4,6 )
Qui invece non è detto: " Ecco, non ti ha inviato il Signore? ", ma: Ecco, non sono stato forse io a mandarti?
Quando Gedeone risponde all'angelo: In me, o Signore, - cioè: " volgiti verso di me " - come potrò salvare Israele?
Ecco qui, i miei mille uomini : sono i più insignificanti in Manasse, e si capisce che egli era a capo di mille uomini, che in greco la Scrittura chiama χιλιάρχους ( " comandanti di mille uomini " ).
Oppure si tratta di qualche altra cosa?
Bisogna notare che Gedeone non dice all'angelo: "Ti offrirò un sacrificio ", ma gli dice: Offrirò il mio sacrificio e lo porrò alla tua presenza.
Si deve quindi pensare che egli volesse offrire il sacrificio non all'angelo, ma per mezzo dell'angelo.
Ciò lo dimostra assai chiaramente lo stesso angelo, che non accettò da lui il sacrificio come se fosse offerto a lui, ma gli disse: Prendi la carne e i pani azzimi e ponili su quella pietra e versaci sopra il brodo.
Dopo che Gedeone ebbe fatto così, l'angelo del Signore stese la punta del bastone che teneva in mano e toccò la carne e i pani azzimi e un fuoco sprigionatosi dalla pietra si accese e divorò le carni e i pani azzimi.
In tal modo lo stesso angelo eseguì la sua funzione di ministro sacro nel sacrificio offerto da Gedeone; poiché un ministro uomo, in quanto uomo, non avrebbe potuto mettere sotto l'offerta il fuoco acceso senza un miracolo, quel fuoco che accese, come angelo, in modo miracoloso.
In conseguenza Gedeone conobbe allora che quello era l'angelo del Signore, poiché la Scrittura subito dopo dice: E Gedeone vide che era l'angelo del Signore. ( Gdc 6,22 )
Prima dunque Gedeone aveva parlato con lui credendo di parlare con un uomo, che tuttavia credeva fosse un uomo di Dio, desiderando offrire il sacrificio davanti a lui, certo che sarebbe stato aiutato dalla presenza della sua santità.
Uno si può chiedere perché Gedeone osò offrire a Dio il sacrificio fuori del luogo che Dio aveva stabilito, poiché Dio aveva proibito di offrirgli sacrifici fuori della tenda-santuario, ( Dt 12,13 ) al posto della quale fu poi costruito il tempio.
Ma al tempo in cui viveva Gedeone, la tenda-santuario di Dio si trovava a Silo e perciò soltanto lì si sarebbe potuto offrire un sacrificio a norma della legge.
Si deve tuttavia pensare che da principio Gedeone aveva creduto che l'angelo fosse un profeta e lo aveva consultato come Dio circa il sacrificio che voleva offrire; se glielo avesse proibito, non l'avrebbe certamente offerto; ma, siccome approvò e acconsentì che si facesse, Gedeone nel farlo seguì l'autorità di Dio.
Poiché Dio stabilì quelle norme di legge in modo da non dare leggi a se stesso ma agli uomini.
Di conseguenza si deve pensare che tutto ciò che Dio comandò contro quelle norme fu compiuto non da trasgressori ma piuttosto da persone pie e ubbidienti, come fece Abramo nell'immolare suo figlio. ( Gen 22,2 )
Allo stesso modo anche Elia offrì un sacrificio fuori della tenda-santuario del Signore per confutare vittoriosamente i sacerdoti degli idoli; ( 1 Re 18,30-38 ) si deve credere che fece quel sacrificio per ordine del Signore il quale glielo comandò, come a un profeta qual era, con una rivelazione e un'ispirazione.
Senonché l'abitudine di offrire sacrifici fuori della tenda-santuario era divenuta tanto frequente che troviamo scritto che anche Salomone offriva sacrifici sulle alture e i suoi sacrifici non furono disapprovati. ( 1 Re 3,4-15 )
Tuttavia vengono biasimati i re che, pur avendo compiuto opere degne di lode, non distrussero le alture, ove il popolo aveva preso l'abitudine di offrire sacrifici contro la legge di Dio, mentre riceve una lode maggiore chi le aveva distrutte.
In quelle circostanze Dio, piuttosto che vietarla, tollerava l'abitudine del suo popolo di offrire sacrifici fuori della tenda-santuario senza tuttavia offrirli agli dèi stranieri ma al Signore suo Dio.
Il Signore esaudiva le preghiere di coloro che gli offrivano quei sacrifici.
D'altra parte, quanto a ciò che fece Gedeone, chi non vede un disegno profetico nell'azione dell'angelo, disegno profetico in cui sarebbe stata glorificata quella pietra?
Quel sacrificio non fu certamente offerto alla pietra, ma la Scrittura ricorda che da essa si sprigionò il fuoco, con il quale si consumasse il sacrificio.
Così non solo con l'acqua, sgorgata nel deserto dalla roccia percossa con il bastone ( Nm 20,11 ) ma anche con il fuoco è simboleggiato il dono dello Spirito Santo che Cristo nostro Signore versò con grande abbondanza sopra di noi.
Così anche nel Vangelo questo è simboleggiato dall'acqua, nel passo dove lo stesso nostro Signore dice: Se uno ha sete, venga da me e berrà.
Chi crede in me, come dice la Scrittura, da lui sgorgheranno fiumi di acqua viva; e l'Evangelista soggiunge: [ Gesù ] diceva questo a proposito dello Spirito che avrebbero ricevuto coloro che avrebbero creduto in lui. ( Gv 7,37-39 )
Quel dono fu simboleggiato anche nel fuoco, nel passo in cui venendo lui sopra i discepoli adunati [ nel cenacolo ] si legge: Furono viste da essi come delle lingue di fuoco che si separavano e si posavano su ciascuno di loro, ( At 2,3 ) e lo stesso Signore dice: Io sono venuto a portare il fuoco sulla terra. ( Lc 12,49 )
E così il numero di coloro che lambirono [ l'acqua ] con la loro mano, con la loro lingua, fu di trecento uomini.
La maggior parte dei manoscritti latini non hanno con la loro mano, ma solo con la loro lingua, poiché in questo senso interpretarono la frase precedente come i cani, ma il testo greco porta tutte e due le espressioni: con la loro mano e con la loro lingua per far capire che prendevano di corsa l'acqua con la mano e se la versavano in bocca.
E questo modo assomigliava a quello dei cani quando bevono l'acqua, i quali non facevano come i buoi che bevono posando la bocca sull'acqua che bevono, ma la portano rapidamente alla bocca con la lingua, come si crede facessero anche quegli uomini, ma con la mano versando in bocca l'acqua che raccoglievano con la lingua.
Anche la traduzione fatta dall'ebraico esprime ciò più chiaramente con le seguenti parole: Il numero di coloro che lambivano l'acqua portandola con la mano alla bocca fu pertanto di trecento guerrieri.
In realtà gli uomini non sono soliti bere assorbendo l'acqua con la lingua come fanno i cani senza servirsi della mano e senza che fosse stato ordinato loro di fare così.
Ma, essendo scesi verso l'acqua, molti bevvero inginocchiandosi, cosa che risultava più facile ed esigeva una fatica minore; pochi, al contrario, poiché si erano abbassati senza piegare il ginocchio, bevvero come i cani, versandosi però con la mano l'acqua in bocca.
Il loro numero, poiché erano trecento, ci fa comprendere il segno della croce a motivo della lettera greca T, con cui è indicato questo numero.
E poiché il T è una lettera greca, da essa fu prefigurato che anche i gentili avrebbero di preferenza creduto nel Crocifisso.
L'Apostolo perciò, sotto il nome di Greci denota tutti i gentili, quando dice: Prima ai Giudei e poi ai greci, ( Rm 2,9 ) e: Giudei e Greci, ( 1 Cor 1,24 ) spesso menzionando così i circoncisi e gli incirconcisi, poiché tra le lingue dei gentili la lingua greca è talmente superiore alle altre che per mezzo di essa vengono denotati convenientemente tutti i gentili.
Si deve notare che questo numero corrisponde anche a quello dei servi di Abram, che l'aiutarono a liberare il fratello dai nemici quando ebbe da Melchisedec la benedizione che prefigurava un grande mistero.
Quel numero sorpassa di diciotto unità il numero dei soldati di Gedeone - poiché erano trecentodiciotto ( Gen 14,14-20 ) - e mi sembra che sia un simbolo anche dell'epoca in cui si sarebbe compiuto quel mistero, cioè della terza epoca che doveva essere quella sotto il regno della grazia.
Poiché la prima epoca è quella anteriore alla Legge, la seconda sotto il regno della Legge, la terza sotto il regno della grazia.
Ciascuna di queste epoche è simboleggiata dal numero sei a causa della perfezione [ di questo numero ], poiché tre per sei fa diciotto.
Ecco perché anche quella donna era stata malata diciotto anni e il Salvatore, vistala incurvata, la fece tornare dritta e la liberò dal legame con cui la teneva legata il diavolo, come indica il Vangelo. ( Lc 13,11-13 )
Poiché il fatto che furono messi alla prova quegli uomini per mezzo dei quali Gedeone riportasse la vittoria e perciò l'agiografo dice che rassomigliavano ai cani nell'atto di bere, indica che il Signore ha scelto le cose che [ per il mondo ] non hanno nobiltà né valore, ( 1 Cor 1,28 ) poiché il cane è ritenuto un animale spregevole; e perciò nel Vangelo si dice: Non sta bene togliere il pane dei figli e darlo ai cani; ( Mt 15,16 ) e Davide, per mostrarsi un uomo da poco e spregevole, chiamò se stesso un cane parlando con Saul. ( 1 Sam 24,15 )
Che significa ciò che è detto di Gedeone: Discese lui e il suo servo Fara verso la parte dei cinquanta che erano nell'accampamento?
Alcuni manoscritti latini hanno: Nel punto dell'accampamento in cui stavano cinquanta sentinelle; altri invece: Nella cinquantesima divisione dell'accampamento.
Ciò si spiega per il fatto che l'espressione oscura ha fatto nascere molte differenti traduzioni.
Si trattava però o della parte dell'accampamento sorvegliata da cinquanta sentinelle oppure, se si deve supporre che dei picchetti di cinquanta sentinelle erano di guardia intorno a tutto l'accampamento, quegli uomini scesero nel lato dove stavano quei cinquanta soldati.
Il fatto di quel soldato che raccontò al suo vicino il sogno - ascoltato da Gedeone - perché fosse rassicurato riguardo alla futura vittoria.
Disse di aver visto una tavola di pane d'orzo nell'accampamento cozzare contro la tenda di Madian e travolgerla.
Io penso che questo fatto si debba intendere come quello dei cani, ( Gdc 7,5-6 ) poiché mediante le cose spregevoli del mondo - simboleggiate dalla tavola di pani d'orzo - il Salvatore avrebbe fatto arrossire di vergogna i superbi. ( 1 Cor 1,27-28 )
Il grido che Gedeone ordinò fosse innalzato dai suoi trecento soldati: La spada per il Signore e per Gedeone - Gedeone nel testo è dativo - significa che la spada avrebbe compiuto ciò che sarebbe stato gradito a Dio e a Gedeone.
Si è soliti chiedersi che cosa sia l'efud o l'efod.
Se esso è un indumento sacerdotale, come dicono molti, o meglio un soprabito, detto in greco έπένδυμα oppure έπωμίς - che in latino può tradursi piuttosto come " pallio " - allora a ragione si resta imbarazzati di fronte al problema di sapere in che modo Gedeone lo fece con una così grande quantità d'oro.
Poiché il testo della Scrittura dice così: E avvenne che il peso degli anelli d'oro che Gedeone aveva richiesto fu di millesettecento sicli d'oro, oltre ai braccialetti, alle collane e alle vesti di porpora indossate dai re madianiti, oltre ai collari che ornavano il collo dei loro cammelli.
E Gedeone ne fece un efud e lo eresse a Ofra e tutto Israele fornicò lì dietro a quello e divenne uno scandalo per Gedeone e per la sua casa.
In qual modo poté essere confezionato un vestito con tanto oro?
Ora, anche la madre di Samuele confezionò per suo figlio, come leggiamo [ nella Scrittura ] un " efud bar ", che alcuni hanno tradotto con " efud di lino ", quando lo offrì al Signore per farlo allevare nel tempio; ( 1 Sam 2,18 ) in questo caso appare con maggiore evidenza che quello era una specie di indumento.
Oppure è detto: lo eresse nella propria città, affinché da questo particolare comprendessimo che era stato fatto d'oro?
Poiché la Scrittura non dice " lo collocò ", ma lo eresse perché era tanto solido e resistente da poter essere eretto, cioè stare diritto su una base.
41.2. Poiché dunque Gedeone aveva compiuto questa azione proibita, tutto Israele fornicò dietro a quello, cioè seguendolo contro la legge di Dio.
A questo punto non senza ragione possiamo chiederci in che senso la Scrittura chiama " fornicazione " ciò che faceva il popolo nel seguire e nel venerare quell'oggetto, dal momento che non era un idolo, cioè la statua di alcun dio falso e straniero, ma l'efod, cioè una delle cose sacre della tenda-santuario, che faceva parte dei paramenti sacerdotali.
La spiegazione di ciò sta naturalmente nel fatto che fuori della tenda-santuario di Dio, ove erano le cose che Dio aveva ordinato che fossero fatte lì, non era lecito fare alcunché di simile fuori di lì.
Ecco perché il testo della Scrittura continua dicendo: [ l'efod ] divenne così uno scandalo per Gedeone e per la sua casa, cioè avvenne che si allontanò da Dio ch'era stato offeso da lui, e in un certo senso era una specie di idolo poiché, come un qualunque oggetto fatto dalle mani dell'uomo, veniva venerato invece di Dio fuori della tenda-santuario di Dio, mentre le stesse cose che era stato comandato di fare nella tenda-santuario dovevano riferirsi al culto di Dio anziché considerarne qualcuna come Dio e venerarla come un'immagine di Dio.
41.3. Senonché, per efod o " efud ", a causa della figura retorica che indica la parte per il tutto, si potrebbero intendere tutti gli oggetti che Gedeone stabilì nella sua città simili a quelli esistenti nella tenda-santuario di Dio per il culto di Dio; e proprio per questo, poiché l'efod è il distintivo della dignità sacerdotale spesso ricordato dalla Scrittura, ( Es 28,2 ) si deduce che il peccato di Gedeone sarebbe consistito nell'aver costruito, al di fuori della tenda-santuario di Dio, un edificio somigliante ove fosse adorato Dio, non nell'aver costruito un efod d'oro massiccio perché venisse adorato, ma nell'aver formato, con l'oro stesso proveniente dal bottino di guerra, gli oggetti destinati all'ornamento e gli arredi del santuario, cose tutte che sarebbero denotate dall'efod in quanto - come ho detto - esso era l'indumento per eccellenza del paramento sacerdotale.
In effetti era stato anche comandato che lo stesso efod, se si tratta dell'omerale del paramento sacerdotale, fosse confezionato non già di solo oro, ma anche con qualche lamina d'oro; poiché era stato ordinato da Dio che fosse confezionato con oro, lana viola, rossa e scarlatta e con bisso. ( Es 39,2 )
Ma poiché i Settanta traduttori, dopo aver ricordato tutto ciò che Gedeone aveva preso dal bottino, esposero ciò così da concludere: e Gedeone lo ridusse in un efod, sembra che si siano espressi in modo da far pensare che l'efod fu confezionato con tutto ciò che era stato ricordato, potendosi intendere che anche in quel caso si tratta della figura retorica con cui si indica la parte per il tutto : in tal modo l'espressione: lo ridussero in un efod si potrebbe prendere nel senso " ne fece un efod ", oppure: " formò con esso un efod " senza usarlo completamente per l'efod, ma impiegando solo quanto ne era sufficiente.
Orbene, nella traduzione fatta dall'ebraico così leggiamo: e Gedeone ne fece un efod.
La parola efud che sta scritta nei Settanta si dice che nel testo ebraico si chiama efod.
Non tutti i sacerdoti però usavano una siffatta mantellina, fatta d'oro, di lana violacea, di porpora, di scarlatto e di bisso, ma solo il sommo pontefice.
Di conseguenza non era assolutamente come questo quello che abbiamo ricordato, confezionato dalla madre per Samuele, poiché quando fu offerto per essere allevato [ nel santuario ] non era il sommo sacerdote ma era appunto un ragazzo.
Pertanto, come abbiamo detto, si chiama efud bar o meglio - come affermano coloro che sanno l'ebraico - efud bat, e significa " efod di lino ".
Io però credo che Gedeone fece confezionare quella che era la veste e l'ornamento principale del sommo sacerdote, con il quale s'indicavano anche tutti gli altri lavori per il santuario che aveva fatto erigere nella sua città fuori del santuario di Dio.
A causa di questo peccato l'efod divenne per lui e per la sua famiglia uno scandalo e in tal modo - come in seguito narra la Scrittura - andò in rovina una sì grande moltitudine di figli. ( Gdc 9,5 )
Sorge ora un quesito non trascurabile, di sapere cioè in qual modo la regione ebbe pace per quarant'anni al tempo di Gedeone, quando dopo la vittoria con la quale liberò gli Ebrei, con l'oro del bottino fece l'idolo e tutta Israele si prostituì dietro ad esso e divenne per lui e per la sua famiglia motivo di scandalo.
In qual modo dunque, dopo un sì grave peccato, commesso da Gedeone e dal popolo, la regione ebbe pace quarant'anni dal momento che la Scrittura è solita mostrare che, quando il popolo si prostituiva allontanandosi dal Signore Dio, esso non conquistava la pace ma anzi la perdeva, veniva assoggettato ai nemici anziché venire difeso dagli attacchi violenti dei nemici?
Ma si deve pensare che la Scrittura, come è sua abitudine, dice con la prolessi, cioè con l'anticipazione, che Gedeone, trasgredendo la legge di Dio, con l'oro sottratto ai nemici sconfitti e umiliati, fece l'efod, poiché volle dire in un unico passo donde proveniva quell'oro e che cosa si fece con esso.
Ma in seguito, alla fine dei giorni di Gedeone fu commesso questo peccato, allorché vennero come conseguenza anche i mali di cui parla la Scrittura, dopo aver ricordato per quanti anni al tempo di Gedeone ebbe pace il paese, anni che essa ricorda per ricapitolazione, cioè riprendendo l'ordine logico del racconto che prima aveva invertito parlando dello scandalo nato più tardi.
E avvenne che, dopo la morte di Gedeone, i figli di Israele si allontanarono [ da Dio ] e si prostituirono seguendo i baalim e stabilirono per loro come alleanza Baalberit perché fosse il loro Dio.
Si deve credere che non solo i Baal ma anche Baalberit sono degli idoli.
Pertanto dopo la morte di Gedeone il popolo commise una trasgressione e una fornicazione più grave di quella commessa quando egli era in vita a causa dell'efod, poiché anche se quell'oggetto era stato formato illecitamente, ciononostante faceva parte degli oggetti sacri della tenda-santuario mentre questa fornicazione di seguire gli idoli non può essere giustificata neppure con la falsa religione paterna.
Perciò anche se quell'efod non fu formato alla fine del tempo di Gedeone ma prima, Dio lo tollerò con tanta pazienza, che la pace continuò a regnare nel paese poiché sebbene fosse stato fatto ciò che Dio aveva proibito, tuttavia [ il popolo con lui ] non si era molto allontanato da lui che aveva ordinato di fare un simile oggetto nel suo santuario e in suo onore.
Ora invece Dio non volle lasciare senza castigo peccati più gravi e la fornicazione chiarissima del popolo dietro gli idoli.
Non è affatto chiaro il senso del passo in cui il ramno, cioè una specie di rovo, nell'apologo è fatto comparire a dire a tutti gli alberi che vanno a pregare di regnare su di loro: Se davvero avete l'intenzione che io regni su di voi, venite, confidate nella mia protezione; ma se non [ volete ], esca fuori dal ramno un fuoco e divori i cedri del Libano, ma è reso chiaro introducendo una virgola.
Poiché non deve leggersi così: e se non uscisse il fuoco dal ramno, ma dopo queste parole si deve porre una virgola, così: E se non, e poi far seguire: esca il fuoco dal ramno, cioè: " Ma se non confidate nella sua protezione ", oppure: " E se davvero non mi ungete per regnare su di voi, esca il fuoco dal ramno e divori i cedri del Libano ".
Sono infatti parole di chi minaccia che cosa potrebbe fare, se rifiutassero che regnasse sopra di essi.
Ma siccome non dice: " il fuoco del ramno divorerà i cedri del Libano ", ma dice: esca il fuoco e divori, il senso è più oscuro che nel caso fosse sottintesa la sola punteggiatura.
Risulta infatti una minaccia più forte e, in un certo qual modo, più energica ed efficace, se uno dicesse: " se non vuoi fare ciò che voglio io, la mia collera infierisca contro di te ", cioè " si scateni all'istante, perché la trattengo? ", che se dicesse " si scatenerà " minacciando una vendetta avvenire con il modo futuro.
Dio poi inviò uno spirito maligno tra Abimelek e i signori di Sichem.
Non è facile precisare se la parola inviò indichi un comando o un permesso di Dio.
La parola usata qui è " lasciò andare " [ emisit ], il testo greco ha έξαπέστειλεν [ mandò fuori, inviò ] che si trova anche nei Salmi ove si legge: Invia la tua luce. ( Sal 43,3 )
Sennonché in alcuni passi i nostri traduttori, anche ove nel testo greco c'è έξαπέστειλεν, hanno tradotto: misit " inviò " e non emisit " lasciò andare ".
Può anche intendersi nel senso che Dio inviò uno spirito maligno come se avesse inviato lo spirito che desiderava andare tra quelle persone, cioè come se avesse dato allo spirito maligno la facoltà di turbare la loro pace.
Non si è considerato infatti illogico che sia anche inviato dal Signore lo spirito maligno per il giusto dovere di dare un castigo, tanto che alcuni hanno tradotto il verbo perfino con immisit [ fece entrare ].
Il messaggio inviato da Zabul, comandante della città di Sichem, ai messaggeri di Abimelek contiene anche le seguenti parole: " E ora lèvati di nottetempo tu e il popolo che sta con te e tendi un'imboscata in campagna.
E avverrà che la mattina, al sorgere del sole ti affretterai e farai irruzione nella città ".
Alcuni manoscritti hanno la parola latina maturabis [ ti affretterai ], altri invece manicabis [ ti alzerai di buon mattino ], il greco usa un termine che non si potrebbe esprimere con una sola parola, e cioè diluculo surge [ àlzati sul far del giorno ].
E forse, a questo proposito, potrebbe essere stato usato il verbo maturabis [ ti affretterai ] per esprimere il tempo del mattino, sebbene si sia soliti usare questo termine anche per qualunque altro tempo, quando occorre affrettare l'esecuzione di qualche faccenda.
Quanto però a manicabis non mi risulta che sia un verbo latino.
Mi stupisce il fatto che, avendo l'agiografo detto: appena sorge il sole, aggiunga: ti leverai sul far del giorno [ diluculo ], poiché l'alba, che in greco si dice όρθρος, indica il tempo antecedente al sorgere del sole, come ormai si dice assai comunemente, quando comincia ad albeggiare.
Pertanto il termine mane [ di mattina ] usato dal narratore dev'essere inteso nello stesso senso di diluculum [ l'alba ].
L'agiografo poi aggiunge: appena si leva il sole, per dire che l'ordine doveva essere compiuto non dopo la levata del sole ma quando fosse apparso il chiarore del sole al suo levarsi.
Poiché l'alba non comincia ad apparire nel suo chiarore se non da quando la luce del sole tornando verso di essa abbia raggiunto la zona del cielo che vediamo ad Oriente.
Di qui deriva il fatto che anche nel Vangelo, raccontando il medesimo fatto, un Evangelista lo dice avvenuto sul far del giorno, quando era ancora buio, ( Gv 20,1 ) un altro Evangelista dice invece che avvenne al levar del sole, ( Mc 16,2 ) poiché la stessa luce dell'alba, per quanto fioca fosse,derivava naturalmente dal sole al suo sorgere, cioè si avvicinava al suo levarsi e diffondeva il suo splendore con l'approssimarsi della sua presenza.
Questa luce che alcuni ignoranti della dottrina cristiana non credono che sia quella del sole, ma quella creata al principio prima che Dio il quarto giorno creasse il sole.
E dopo Abimelek sorse, per salvare Israele, Tola, figlio di Fua, figlio del padre di suo fratello, uomo [ della tribù ] di Issacar.
Il redattore chiama figlio del padre di suo fratello il figlio di suo zio paterno, quando si sarebbe detto in modo più ordinato, più ordinario e più chiaro: " figlio del fratello di suo padre ", poiché era figlio di suo zio paterno, come si trova più chiaramente espresso nella traduzione fatta dall'ebraico.
Di conseguenza l'espressione patris fratris non è declinazione di quella che al nominativo suona pater fratris [ padre del fratello ], ma di quella che suona patris frater [ fratello del padre ] che vuol dire " zio paterno ".
Poiché, sia che si dica " il padre del fratello ", con " padre " al nominativo, sia che si dica " fratello del padre " con " padre " al genitivo, l'espressione fa sempre patris fratris [ figlio del fratello del padre ].
Ora però si presenta un altro interrogativo: in che modo era un uomo di Issacar, cioè della tribù di Issacar, dal momento che Abimelek aveva avuto per padre Gedeone, che era della tribù di Manasse?
In che modo dunque Fua e Gedeone erano fratelli, di guisa che Fua poté essere zio paterno di Abimelek e il figlio di questi Tola, secondo questo racconto, successe allo stesso Abimelek?
Gedeone e Fua poterono quindi avere una stessa madre sebbene fossero nati da padri diversi e sarebbero stati fratelli in quanto figli della stessa madre ma non dello stesso padre.
Infatti le donne d'una tribù erano solite maritarsi con uomini di un'altra tribù.
Ecco perché Saul, pur essendo della tribù di Beniamino, diede sua figlia a Davide, della tribù di Giuda; ( 1 Sam 18,27 ) così anche il sacerdote Ioiade, naturalmente uomo della tribù di Levi, sposò la figlia del re Iora, uomo della tribù di Giuda. ( 2 Cr 22,11 )
Ecco perché nel Vangelo leggiamo che Elisabetta e Maria erano parenti, ( Lc 1,36 ) sebbene Elisabetta fosse discendente da Aronne.
Da qui si comprende che una donna della tribù di Levi e discendente da Aronne si maritò con un uomo della tribù di Giuda, di modo che tra tutte e due risultò la parentela e così la carne del Signore trasse origine non solo dalla stirpe regale ma anche da quella sacerdotale.
Tra le altre cose, che Iefte per mezzo di messaggeri manda a dire al re dei figli di Ammon, dice anche questo: Non erediterai forse tutto ciò che il tuo dio Camos ti ha fatto ereditare e noi non erediteremo forse tutto ciò che ci ha fatto ereditare il Signore Dio nostro da parte vostra?
Alcuni traduttori latini hanno pensato di dover tradurre questo passo dicendo: Non possederai forse tutto ciò che ti ha dato in eredità il tuo dio Camos?
Da queste parole può sembrare che Iefte confermi che questo dio, chiamato Camos, avesse potuto dare qualcosa in eredità ai suoi adoratori.
Alcuni altri, invece, hanno tradotto così: Non possederai forse tutto ciò che possedette il tuo dio Camos?
E ciò viene a dire come se avesse potuto possedere qualcosa.
Oppure l'espressione vuol dire che i popoli sono posti sotto il potere degli angeli, come è detto nel cantico di Mosè, servo di Dio? ( Dt 32,8 ) si chiamava forse Camos l'angelo sotto il potere del quale stavano i figli di Ammon?
Chi oserebbe affermarlo, dal momento che si potrebbe pensare che la frase esprime l'opinione di quel re, poiché credeva che il proprio dio possedeva ciò o lo aveva dato a lui in possesso?
Questo senso appare più evidente nelle seguenti parole del testo greco: Non erediterai forse tutto ciò che ereditò per te il tuo dio Camos?
In tal modo con la parola per te [ tibi ] usata qui s'intende come se fosse detto: " come sembra a te ".
Ereditò infatti per te che pensi così, non che il tuo dio avesse potuto ereditare qualcosa.
Infine nella frase che segue: e tutto ciò che ereditò il Signore, nostro Dio, l'agiografo non dice: " ereditò per noi ", come se dicesse: " come sembra a noi ", ma ereditò davvero da parte vostra, poiché lo sottrasse loro e lo diede a questi: Ciò - dice - noi erediteremo.
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