Teologia dei Padri |
Ero impacciato non dai ferri della volontà altrui, ma della ferrea volontà mia.
Il nemico deteneva il mio volere e ne aveva foggiato una catena con cui mi stringeva.
Sì, dalla volontà perversa si genera la passione, e l'obbedienza alla passione genera l'abitudine, e l'acquiescenza all'abitudine genera la necessità.
Con questa sorta di anelli collegati fra loro, per cui ho parlato di catena, mi teneva avvinto una dura schiavitù.
La volontà nuova, che aveva cominciato a sorgere in me, volontà di servirti gratuitamente e goderti, o Dio, unica felicità sicura, non era ancora capace di soverchiare la prima, indurita dall'anzianità.
Così in me due volontà, una vecchia, l'altra nuova, la prima carnale, la seconda spirituale, si scontravano e il loro dissidio lacerava la mia anima.
L'esperienza personale mi faceva comprendere le parole che avevo letto, come le brame della carne siano opposte allo spirito, e quelle dello spirito alla carne ( Gal 5,17 ).
Senza dubbio ero io nell'uno e nell'altra, ma più io in ciò che dentro di me approvavo, che in ciò che dentro di me disapprovavo.
Qui ormai non ero più io, perché subivo piuttosto contro voglia, anziché agire volontariamente.
Tuttavia l'abitudine si era agguerrita a mio danno e per mia colpa, poiché volontariamente ero giunto dove non avrei voluto …
Così il bagaglio del secolo mi opprimeva piacevolmente, come capita nei sogni.
I miei pensieri, le riflessioni su di te, assomigliavano agli sforzi di un uomo, che malgrado l'intenzione di svegliarsi viene di nuovo sopraffatto dal gorgo profondo del sopore.
E come nessuno vuole dormire sempre e tutti ragionevolmente preferiscono al sonno la veglia, eppure spesso, quando un torpore greve pervade le membra, si ritarda il momento di scuotersi il sonno di dosso e per quanto già dispiaccia, lo si assapora più volentieri, benché sia giunta l'ora di alzarsi; così io ero sì persuaso della convenienza di concedermi al tuo amore anziché cedere alla mia passione; ma se l'uno mi piaceva e vinceva, l'altra mi attraeva e avvinceva.
Non sapevo cosa rispondere a queste tue parole: Levati, tu che dormi, risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà ( Ef 5,14 ); dovunque facevi brillare ai miei occhi la verità delle tue parole, ma io, pur convinto della loro verità, non sapevo affatto cosa rispondere, se non, al più, qualche frase lenta e sonnolenta: « Fra breve », « Ecco, fra breve », « Attendi un pochino ».
Però quei « breve » e « breve » non avevano breve durata, e quell' « attendi un pochino » andava per le lunghe.
Invano mi compiacevo della tua legge secondo l'uomo interiore, perché un'altra legge nelle mie membra lottava contro la legge del mio spirito e mi traeva prigioniero sotto la legge del peccato insita nelle mie membra ( Rm 7,22-23 ).
Questa legge del peccato è la forza dell'abitudine, che trascina e trattiene l'anima anche suo malgrado in una soggezione meritata, poiché vi cade di sua volontà.
Chi avrebbe potuto liberarmi, nella mia condizione miserevole, da questo corpo mortale, se non la tua grazia per mezzo di Gesù Cristo, Signore nostro ( Rm 7,24-25 )?
Agostino, Le Confessioni, 8,5
Non v'è dubbio, fratelli, è sicuro: o tu uccidi l'iniquità o sei ucciso da essa.
Guardati però dall'uccidere l'iniquità come se fosse un qualcosa al di fuori di te.
Guarda in te stesso e vedi che cosa nel tuo intimo combatta contro di te.
Sta' poi attento che non ti vinca la tua iniquità.
Essa è la tua nemica e, se tu non la ucciderai, ti ucciderà.
É roba tua, è la tua stessa anima che si ribella contro di te; non è qualcosa di esteriore.
Per una parte tu sei unito a Dio; per l'altra parte provi piacere nel mondo: ciò che ti spinge a godere del mondo è in lotta contro lo spirito che è unito a Dio.
Sta' unito a Dio! Oh, sì, stagli unito!
Non venir meno, non lasciarti andare: è disporre di un grande aiuto …
Se non obbedisci al peccato, per quanto ti persuada, per quanto ti attiri al male, col tuo rifiuto a obbedirgli già ottieni che ciò che è in te non regni in te; e in tal modo conseguirai d'essere un giorno liberato da ciò che ora hai da tollerare.
Quando? Quando la morte sarà assorbita nella vittoria, quando questo essere corruttibile si rivestirà di incorruttibilità ( 1 Cor 15,54 ).
Agostino, Esposizioni sui Salmi, II, 64,9
É certo che colui, il quale è buono, non ha piacere per le tribolazioni che ci visitano in ogni tempo, quantunque egli le mandi.
Causa dei nostri dolori sono i nostri peccati.
Nessun uomo può accusare il Creatore; è lui che ci può accusare: noi infatti abbiamo peccato, e lo abbiamo costretto ad adirarsi, quantunque egli non lo volesse, quantunque non ne avesse nessun piacere.
La terra, la vite e l'ulivo devono venir trattati duramente.
Solo se l'ulivo viene bacchiato, ci dà i suoi frutti; solo se la vite viene potata, i suoi frutti si fanno più belli; solo se il terreno viene arato, ciò che produce è buono.
Il bronzo, l'argento e l'oro splendono, solo se vengono levigati.
L'uomo migliora tutto ciò che tratta con asprezza, mentre tutto intristisce e abbruttisce se egli cessa nel suo impegno; così noi possiamo conoscere, quando Dio tratta qualcuno con asprezza, che egli lo prende in sua cura.
Mentre ogni altro che ha cura di qualcosa lo fa per proprio interesse, colui che è buono educa i suoi servi perché essi diventino padroni di se stessi.
Le tue tribolazioni potrebbero così diventare per te una cronaca, un promemoria …
Perché tu hai stimato troppo poco i due Testamenti non cercando in essi la tua salvezza, perciò egli ti ha scritto tre libri severi ( ossia ha lasciato venir su di te tre grosse disgrazie ), perché tu possa studiare in essi le tue tribolazioni.
Cerchiamo dunque di impedire il futuro, pensando al passato.
Cerchiamo di imparare dalla nostra esperienza a evitare ciò che verrà.
Riflettiamo a quello che se n'è andato, per andar incontro a quello che verrà.
Perché noi abbiamo dimenticato il primo colpo, ci ha colpito un secondo; perché noi non abbiamo riflettuto neppure su questo, ce n'è caduto addosso un terzo.
Chi dunque se ne dimenticherà ancora?
Efrem Siro, Inni nisibeni
I peccati sono la causa di tutti i mali; per i peccati subentrano i dolori, per i peccati i tumulti, per i peccati le guerre, le malattie e tutti gli altri mali difficilmente rimediabili che ci sopraggiungono.
Allo stesso modo come, dunque, i migliori medici non soltanto esaminano i sintomi manifesti delle malattie, ma ne ricercano altresì la causa; così anche il Salvatore, volendo dimostrare che il peccato è la causa di tutti i mali che affliggono l'uomo, dice al paralitico: Ecco, sei risanato, non peccare più, affinché non ti accada qualcosa di peggio ( Gv 5,14 ); il medico delle anime, infatti, vedeva la paralisi dell'anima prima ancora che quella del corpo.
Il peccato, perciò, era la causa finanche della precedente infermità: causa del danno, causa della sofferenza, occasione di qualsiasi sventura.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla penitenza, 7,6
Ora la suocera di Simone stava a letto con la febbre ( Mc 1,30 ).
Dio voglia ch'egli venga ed entri nella nostra casa, e guarisca con un suo ordine la febbre dei nostri peccati.
Ciascuno di noi è febbricitante.
Quando sono colto dall'ira, ho la febbre, ogni vizio è una febbre.
Preghiamo dunque gli apostoli affinché supplichino Gesù, ed egli venga a noi e tocchi la nostra mano: se la sua mano ci tocca, subito la febbre è scacciata.
É il Signore un grande medico, un vero archiatra.
Un medico era Mosè, un medico era Isaia, medici sono tutti i santi: ma questo è il maestro di tutti i medici.
Egli sa toccare con cura le vene, sa scrutare nei segreti del male.
Non tocca le orecchie, non tocca la fronte né tocca alcun'altra parte del corpo: tocca soltanto la mano [ la mano per san Girolamo, come per sant'Ambrogio, è simbolo dell'attività, cioè delle opere ].
Quella donna infatti, aveva la febbre, perché non aveva opere di bene.
Prima viene dunque sanata nelle opere e poi viene liberata dalla febbre.
Non può liberarsi della febbre se non è guarita nelle opere.
Quando la nostra mano opera il male, è come se fossimo costretti a stare a letto; non possiamo alzarci, non possiamo camminare: è come se fossimo ammalati in ogni parte del corpo.
Girolamo, Commento al Vangelo di san Marco, 1,30
Poiché tutto è sotto il dominio divino e tutto viene guidato dal cenno di Dio, ogni male e ogni pena che quotidianamente sopportiamo sono un castigo della mano di Dio.
Ma noi stessi accendiamo, per così dire, questo castigo con i nostri peccati e ogni giorno ne siamo bruciati: proprio noi facciamo ardere il fuoco dell'ira celeste, eccitiamo gli incendi che ci ardono.
Giustamente, dunque, quando patiamo questi mali, si possono a noi applicare le parole profetiche: Andate nella fiamma che voi stessi avete accesa ( Is 50,11 ) .
É giusta dunque la sentenza sacra secondo cui il peccatore prepara a se stesso ciò che egli soffre.
Nessuna, dunque, delle nostre calamità possiamo imputare a Dio: noi siamo gli autori dei nostri mali, Dio invece è pio e misericordioso e, come sta scritto, non vuole che nessuno sia abbattuto o vada perduto.
Noi compiamo ogni crudeltà contro noi stessi, nessuno è più crudo verso di noi che noi stessi, noi anche contro la volontà di Dio ci triboliamo.
Ma qui sembra che io mi contraddica, avendo detto prima che veniamo castigati da Dio per i nostri peccati e dicendo ora che noi ci puniamo da noi stessi.
L'uno e l'altro è vero: veniamo puniti da Dio, ma noi siamo la causa della punizione.
E se noi ci attiriamo addosso la punizione, chi dubiterà mai che noi puniamo noi stessi con i nostri delitti?
Chiunque infatti dà motivo alla sua punizione, egli punisce se stesso come sta scritto: Ciascuno è avvinto dai ceppi dei suoi peccati ( Pr 5,22 ).
Se dunque i malvagi sono avvinti con i ceppi dei loro peccati, è fuori dubbio che chiunque pecca avvince se stesso.
Salviano di Marsiglia
Iddio punisce anche i giusti insieme con gli empi, come accadde a Daniele, ai tre fanciulli e a infiniti altri, e come avviene ancora oggi nel corso delle guerre.
Mentre i giusti, però, in tal modo sono sgravati dal peso dei loro peccati, gli empi no.
A motivo di ciò, prendiamoci cura di noi stessi.
Non vedete le guerre? Non udite le calamità?
Non siete ammaestrati da questi avvenimenti?
Interi popoli e città furono inghiottiti e morirono; moltissime migliaia sono ridotti schiavi presso i barbari; se la geenna non ci castiga, alla fine ci castigheranno queste disgrazie.
Sono forse minacce codeste? Non sono forse accaduti questi avvenimenti?
Quelli hanno scontato gravi pene, ma ne sconteremo di maggiori noi che non veniamo castigati dalle loro stesse calamità.
Ciò che dico è grave e molesto, me ne rendo conto io stesso, ma produce dei vantaggi, se noi vi prestiamo attenzione.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 6,4
Non appena ci parla la retta ragione, ci spinge non solo a condannare il peccato, ma anche a condannare ciò che semplicemente non è quello che doveva essere.
Se ti chiedi qual è il debito della natura peccatrice, troverai che essa non ha rettamente operato; se ti chiedi poi verso chi essa è debitrice, troverai che lo è verso Dio.
Da lui infatti ha ricevuto il potere di agire rettamente, se lo vuole; a lui si dovrà se sarà misera, agendo perversamente, e se sarà beata, agendo con bontà.
Nessuno è al di sopra della legge promulgata dal Creatore onnipotente; non si ammette perciò che l'anima umana non soddisfi al suo debito.
Vi soddisfa infatti o facendo buon uso di ciò che ha ricevuto, o perdendo ciò di cui non volle far buon uso.
Se dunque non soddisfa al suo debito agendo con rettitudine, soddisferà soffrendo miseramente; in un modo o nell'altro soddisfa al debito fatto che si può esprimere così: « Se non restituisce facendo ciò che deve, restituirà patendo ciò che deve ».
Queste due situazioni, poi, non sono affatto distinte nel tempo, come se in un tempo, cioè, il debitore facesse ciò che deve, e in un altro patisse ciò che deve; in altre parole: come se a un certo punto la bellezza universale fosse deturpata e potesse sussistere in essa la bruttura del peccato, senza la bellezza della contemporanea riparazione.
Ciò che, a maggior manifestazione e più acre senso di miseria, viene riservato al giudizio futuro, anche ora viene punito, per quanto in modo del tutto occulto.
Come infatti colui che non veglia, dorme, così chi non fa quel che deve, patisce ora ciò che deve, perché tanto grande è la beatitudine della giustizia che nessuno può da essa allontanarsi senza cadere nella miseria.
Agostino, Il libero arbitrio
« Non condanna due volte nel medesimo giudizio ».
Una sola volta Iddio ha chiamato in giudizio per mezzo del diluvio, una sola volta ha condannato Sodoma e Gomorra, una sola volta ha decretato la sua sentenza sull'Egitto e sui seicentomila israeliti.
Non credere che castighi del genere siano destinati soltanto ai peccatori, onde far sì che, dopo la loro morte, essi divengano preda ancora di un altro tormento.
Al contrario, se taluni vengono puniti nel presente, ciò accade affinché essi non siano puniti in futuro.
Considera il povero del Vangelo: egli è oppresso dalla miseria e dalla fame; poi riposa nel seno di Abramo.
I mali egli li ha ricevuti soltanto nel corso della sua vita.
Come fai a sapere, ad esempio, se coloro i quali furono uccisi nel diluvio ricevettero i loro mali nel corso della loro vita?
E la stessa cosa a proposito di Sodoma e Gomorra: come puoi conoscere se durante la vita furono loro impartiti i mali?
Vuoi essere ammaestrato in proposito?
Ascolta allora la testimonianza dell'Antico Testamento: « Sodoma sarà restaurata come un tempo »; e ancora dubiti se il Signore sia buono nel punire i sodomiti?
Nel giorno del giudizio, al paese di Sodoma e Gomorra toccherà una sorte più tollerabile ( Mt 10,15 ), dice il Signore avendo compassione dei sodomiti. Benigno e clemente è dunque Dio.
Egli fa sorgere il suo sole sui cattivi come sui buoni e fa piovere sui giusti come sugli ingiusti ( Mt 5,45 ); e non si tratta unicamente di questo sole che contempliamo con lo sguardo, ma di quello altresì che si percepisce soltanto con gli occhi della mente.
Origene, Omelie su Ezechiele, 1,2
Nessuno può dubitare che gli aquitani e la stirpe dei Nove popoli possedevano il midollo - per così dire - di tutte le Gallie, le regioni cioè più floride e feconde: e avevano perciò non solo una terra feconda, ma anche - cosa che si suole preporre alla stessa fertilità del suolo - la gioia, il piacere, la bellezza.
Ivi infatti la regione era tanto ricca di vigneti, florida di prati, ornata di culture, ubertosa di frutti, rallegrata dalla luce, ricca di sorgenti, percorsa dai fiumi e incoronata di messi, che i padroni di quel suolo sembravano possedere non tanto una porzione del terreno di questo povero mondo, quanto invece l'immagine stessa del paradiso.
Ma cosa avvenne dopo tutto ciò? Senza dubbio avrebbero dovuto servire Dio con più zelo, essendo stati da lui arricchiti con la più larga elargizione dei suoi benefici.
Cos'è infatti più giusto e retto che, se Dio coi suoi doni sembra cercare di voler piacere a noi in modo quasi particolare, cerchiamo di piacere a lui in modo specialissimo con la pietà e la religiosità?
Tanto più che Dio non esige da noi nulla di grave, nulla di faticoso.
Infatti non ci chiama all'aratro o alla zappa, a scassare il terreno o a scavare le vigne: non esige dai suoi servi quello che noi esigiamo dai nostri.
Dice infatti: Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi consolerò.
Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, perché sono mite e umile di cuore: così troverete pace per le vostre anime.
Il mio giogo infatti è soave e il mio peso leggero ( Mt 11,28-30 ).
Non alla fatica, dunque, ci chiama il Signore, ma alla consolazione.
Cosa infatti esige da noi, cosa ci ordina di offrirgli, se non la fede, la castità, l'umiltà, la sobrietà, la misericordia e la santità?
E tutto ciò non ci affatica, ma ci adorna.
E non solo, ma ci adorna in questa vita presente, per poterci adornare molto di più in quella futura.
O buono, o pio, o ineffabile misericordioso Signore, che esige da noi al presente i doveri religiosi, per poter elargirci in futuro quei doni che ora ci fa meritare!
Così dunque senza dubbio avrebbero dovuto vivere gli aquitani.
Anzi, come abbiamo detto, in modo particolare, perché avevano avuto da Dio doni particolari.
Ma che avvenne dopo tutto ciò? Che ne seguì?
Che cosa, se non proprio il contrario e l'opposto?
In tutte le Gallie, infatti, come furono i primi nelle ricchezze, lo furono anche nei vizi.
Nessuno si diede a piaceri più improbi, a una vita più corrotta, a desideri più perversi.
Questo fu il loro contraccambio a Dio per i doni sacri ricevuti: quanto più egli con i suoi benefici aveva cercato di indurli a renderselo più propizio, tanto più con i loro vizi essi si affaticarono di esacerbarlo.
Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 7,2
La natura umana non riesce a rimanere all'interno dei suoi limiti, ma, desiderando di più, aspira a cose più grandi.
Il che contribuisce alla rovina del genere umano, giacché esso rifiuta di riconoscere il limite della sua natura, desiderando cose sempre più grandi e aspirando a quelle che trascendono la sua dignità.
Anche gli estimatori delle ricchezze materiali, perciò, una volta divenuti assai ricchi e potenti, quasi dimentichi della loro natura, bramano raggiungere fastigi così alti che alla fine precipitano fin nell'abisso.
Inoltre, vediamo accadere ogni giorno che gli altri, a tale vista, non si moderano, ma cercano solo per breve tempo di essere temperanti; in seguito tuttavia, dimentichi d'ogni cosa, riprendono a camminare per quella medesima strada fino a cadere nel medesimo precipizio.
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 30
Dobbiamo sapere che l'esser privi di qualsiasi vizio trascende il limite dell'uomo e si addice unicamente a Dio …
Ciò nondimeno, la riconversione dopo il peccato, è propria degli uomini probi e appartenenti a quella categoria che consegue la salvezza.
Infatti, benché la polvere dell'iniquità umili questo tabernacolo terreno, cioè la mente che tende verso l'alto o che almeno è stata certamente creata per tendere verso l'alto; l'immagine divina, tuttavia, pulirà il fango e reintegrerà in alto la carne soggiogata, dopo averla sollevata in alto con l'ausilio delle ali della ragione.
Meglio sarebbe per noi se non avessimo bisogno di una simile purificazione e se rimanesse in noi intatta e integra quella dignità verso la quale tendiamo con sollecitudine attraverso la disciplina di questa vita; meglio sarebbe stato se non fossimo caduti, gustando l'amaro sapore del peccato, dall'albero della vita.
Ma ancora meglio è se, avendo peccato, attraverso la punizione giungiamo a convertirci.
Iddio, infatti, castiga chi ama ( Pr 3,12 ) e il rimprovero è occasione di paterna benevolenza; al contrario, ogni anima che non conosca l'ammonimento rimane incurabile.
Non è cosa grave, perciò, l'essere afflitti dalle sofferenze; gravissimo è, invece, non divenire migliori, nonostante le prove.
A tal proposito un profeta, parlando a riguardo di Israele, duro e incirconciso di cuore, così diceva: Signore, tu li hai colpiti, ma non sentono dolore; li hai puniti, ma essi rifiutano di accogliere la correzione ( Ger 5,3 ); e ancora: E il popolo non si è convertito, sebbene sia stato castigato ( Is 9,13 ); in un altro passo, infine: Perché il mio popolo è sviato con ostinata apostasia ( Ger 8,5 ), a causa della quale sarà distrutto e annientato?
É terribile, o fratelli, incorrere nella mano del Dio vivente ( Eb 10,31 ).
Terribile è il volto del Signore sopra coloro che commettono il male ( Sal 34,17 ); quando egli distrugge il peccato dalle fondamenta.
Terribile è l'orecchio del Signore che, anche attraverso il sangue silenzioso, ascolta la voce di Abele ( Gen 4,10 ).
Terribili sono i piedi che corrono verso l'iniquità.
Orribile è il percorrere il mondo intero, senza riuscire a sfuggire lo sdegno di Dio ( Ger 23,24 ), né volando nel cielo né scendendo nell'inferno né fuggendo verso oriente né calandosi nelle profondità del mare.
Gregorio di Nazianzo, In occasione del flagello di una grandine, 15-16
Nessuno accusi Dio di crudeltà per il fatto ch'egli scaccia dal regno dei cieli coloro che sono caduti.
Anche fra gli uomini, infatti, chiunque abbia commesso qualcosa di illegale, viene estromesso dalla vista del re, anche se abbia trasgredito una soltanto delle leggi costituite.
Se uno, lanciando delle accuse, abbia diffamato, viene esonerato dal suo ufficio; se viene provato ch'egli abbia commesso adulterio, perde la sua reputazione: ancorché abbia compiuto per bene infinite cose, viene condannato; se ha commesso un omicidio, e ciò viene provato, anche questo è sufficiente per mandarlo in rovina.
Se dunque le leggi degli uomini vengono osservate così scrupolosamente, quanto più le leggi di Dio?
Ma egli è buono, si dice. Fino a quando pronunceremo tali stoltezze?
Ho detto « stoltezze » non perché Dio non sia buono, ma perché noi stimiamo che la sua bontà sia utile per il nostro tornaconto, quantunque abbiamo discusso infinite volte intorno a questo problema.
Ascolta, infatti, la Scrittura che dice: Non dire: La sua grande misericordia perdonerà la moltitudine dei miei peccati ( Sir 5,6 ).
Non ci viene proibito di dire che la misericordia di Dio è grande; non sia mai!
La Scrittura non raccomanda questo, ma anzi vuole che noi lo diciamo continuamente e Paolo c'incoraggia a farlo in ogni modo.
Al contrario, intende affermare che tu non devi meravigliarti della bontà di Dio soltanto per peccare e per dire: « La sua misericordia perdonerà la moltitudine dei miei peccati ».
Per questo, infatti, parliamo tanto spesso della bontà di Dio, non affinché, confidando in essa, ci permettiamo di commettere ogni cosa ( altrimenti quella bontà diverrebbe fatale ai fini della nostra salvezza ), ma affinché, trovandoci nei peccati, non disperiamo, ma facciamo penitenza.
La bontà di Dio, infatti, ti conduce alla penitenza, non a un maggior numero di peccati.
Se invece tu diventi cattivo a causa della bontà di Dio, la farai allora odiare maggiormente dagli uomini; vediamo, infatti, come siano in molti a stigmatizzare la longanimità di Dio.
Ne sconterai perciò la pena, se non userai di questa come si conviene.
Dio è buono? Ma è anche giusto giudice.
Perdona i peccati? Ma rende anche a ciascuno secondo le sue opere.
Sorvola sulle iniquità e toglie le trasgressioni? Eppure le passa altresì in rassegna.
Non si contraddicono dunque tutte queste cose?
Nient'affatto, una volta che le abbiamo divise a seconda dei momenti: quaggiù Dio rimette le trasgressioni per mezzo del lavacro e della penitenza; lassù egli compie l'indagine delle azioni compiute, mediante il fuoco e i tormenti.
Ma potresti dire: « Se io avrò commesso pochi mali e per uno soltanto sarò cacciato dal regno, perché allora non commetto tutti i peccati? ».
É il discorso del servo ingrato, ma tuttavia rispondiamo anche a questa obiezione: Non commettere il male, se vuoi giovare a te stesso; tutti ugualmente, infatti, veniamo scacciati dal regno; nella geenna, però, non sconteremo tutti le medesime pene, ma uno maggiori, un altro più miti.
Se tu e lui, infatti, disprezzate la legge di Dio e uno commette molti peccati, mentre l'altro, invece, pochi, sarete entrambi, allo stesso modo, estromessi dal regno; se però non avrete disprezzato nella stessa misura, ma uno maggiormente e l'altro di meno, nella geenna soffrirete in modo diverso.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 4,3-4
Presso Gerusalemme il nostro Signore e Salvatore, alla vista della città, pianse e disse: Se in questo giorno anche tu avessi conosciuto il messaggio di pace; ma adesso esso si nasconde ai tuoi occhi, perché stanno per giungere su di te dei giorni in cui i nemici ti cingeranno d'assedio ( Lc 19,42-43 ) …
Noi siamo, in effetti, la « Gerusalemme » sulla quale Gesù ha pianto, noi il cui sguardo spirituale sembra essere più penetrante.
Se, dopo aver conosciuto i misteri della verità, la parola del Vangelo e l'insegnamento della Chiesa; se, dopo aver avuto la visione dei misteri di Dio, uno di noi cade nel peccato, vi sarà allora da piangere e lamentarsi.
Origene, Commento al Vangelo di san Luca, 38
Supponiamo che un uomo, oltremodo ricco e re illustre, si innamori di una donna povera che nulla possieda tranne il suo corpo, diventando il suo amante e desiderando ch'essa divenga sua sposa e conviva con lui.
La donna, a sua volta, manifesterà ogni benevolenza nei confronti di quell'uomo, contraccambiandolo nell'amore.
Ed ecco che ella, fino allora povera e bisognosa, diviene signora di tutti i beni di suo marito.
Se, però, commette qualcosa che sia contraria al decoro e al dovere e non si comporta convenientemente nella casa del suo uomo, allora essa viene scacciata in modo oltraggioso e infamante, con entrambe le mani poste sul capo ( anche nella legge di Mosè, d'altronde, si accenna a fosche tinte a riguardo della donna caparbia che non procuri nulla di buono a suo marito ).
Alla fine, perciò, quella donna è costretta a sopportare un grandissimo dolore, pensando fra sé e sé alle ricchezze perdute, alla gloria della quale è stata spogliata, dopo esser stata disprezzata per la sua stoltezza.
Ebbene, non diversamente anche l'anima che Cristo, il celeste sposo, ha desiderato in matrimonio con la sua mistica e divina unione, e che ha gustato le ricchezze celesti, deve compiacere assai diligentemente il suo sposo e servire come si conviene lo Spirito che le è stato affidato; in tal modo essa piacerà a Dio in ogni cosa, non contristerà giammai lo Spirito, amandolo e serbando verso di esso una nobile modestia, e si comporterà con rettitudine nella casa del Re celeste, facendo sì che le venga concessa la grazia in tutte le cose.
Ecco, un'anima come questa diventa padrona di tutti i beni del Signore e lo splendore della divinità raggiunge il corpo medesimo al quale essa appartiene.
Se, invece, essa cade in qualche errore, non si comporta bene nel suo servizio e non si rende grata al suo Signore, non assecondando la sua volontà né collaborando con la grazia dello Spirito che abita in lei, in tal caso, non senza oltraggio e disonore, essa verrà spogliata della sua dignità e privata della vita poiché divenuta inutile e inadatta all'unione con il Re celeste.
Alla fine, però, a causa di quell'anima, la tristezza, il dolore e il lutto invadono tutti i santi e tutti gli spiriti intelligenti: gli angeli, le potestà, gli apostoli, i profeti, i martiri piangono la sua sorte.
Allo stesso modo come, infatti, c'è gaudio in cielo, secondo quanto disse il Signore, per un solo peccatore che si pente ( Lc 15,7 ), così c'è anche molta tristezza e lutto in cielo per un'anima che abbia perduto la vita eterna.
E come sulla terra, quando muore una persona ricca, i suoi fratelli, consanguinei, amici e familiari lo portano via intonando canti lugubri, lamentazioni e pianti, similmente, anche per quell'anima, tutti i santi piangono e si lamentano con accenti funebri.
Del resto la Scrittura stessa allude tristemente a un fatto del genere, laddove dice: É caduto il pino; piangete, o cedri ( Zc 11,2 ).
Come, infatti, Israele, fintantoché piaceva al Signore ( ancorché non assolutamente come sarebbe stato conveniente ), aveva una colonna di nubi che gli faceva ombra, una di fuoco che lo illuminava e vedeva il mare diviso davanti a sé e l'acqua limpida sgorgare dalla pietra ( Es 13,21; Gen 14,19 ), mentre invece, dopoché il suo spirito e la sua volontà si voltarono contro Dio, esso fu abbandonato ai serpenti e ai suoi nemici, condotto in miserrima prigionia e costretto a sopportare una dura schiavitù; la stessa cosa, appunto, tocca anche alle anime nostre.
Ed è proprio ciò che lo Spirito, per mezzo del profeta Ezechiele, intendeva dire a proposito di un'anima del genere, pur esprimendosi metaforicamente come se parlasse intorno a Gerusalemme.
Ti ho trovato nuda nel deserto e ti lavai con acqua dalla tua impurità e ti misi un vestito e misi un braccialetto ai tuoi polsi e una collana intorno al tuo collo e gli orecchini alle orecchie; ti elessi fra tutte le genti.
Hai mangiato fior di farina, miele e olio e alla fine ti sei dimenticata dei miei doni.
Sei corsa dietro ai tuoi amanti e hai vergognosamente fornicato ( Ez 16,6ss ).
A questo modo lo Spirito rimprovera anche l'anima che, in virtù della grazia, abbia conosciuto Dio; quell'anima che, purificata dai peccati precedenti, decorata con gli ornamenti dello Spirito Santo e divenuta partecipe del cibo divino e celeste, è stata scacciata ed è decaduta dalla vita di cui aveva goduto, essendosi comportata indecorosamente, nonostante questa sua profonda conoscenza, e non avendo conservato la giusta benevolenza e il dovuto amore nei confronti di Cristo, suo sposo celeste.
Satana, infatti, può insorgere e levarsi anche contro coloro che hanno raggiunto questi gradi; persino a danno di quanti conobbero Dio, nella grazia e nella virtù, il male insorge, tentando di travolgerli.
Occorre dunque esser agguerriti e avere prudentemente cura di noi stessi, come sta scritto, affinché operiamo con timore la nostra stessa salvezza ( Fil 2,12 ).
Chiunque tra voi, perciò, sia divenuto partecipe dello Spirito di Cristo, in nessuna cosa, né piccola né grande, abbia il suo animo distratto al punto da non prendersi cura di siffatte cose e non insulti, altresì, la grazia dello Spirito, onde non esser privato di quella vita della quale era stato reso partecipe.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 15,1-4
E prenderà un braciere pieno di carboni ( Lv 16,12 ).
Non tutti vengono purificati da quel fuoco che è preso dall'altare.
Aronne ne viene purificato, insieme con Isaia e con tutti coloro che sono simili a quelli.
Gli altri che non sono tali, però, fra i quali pongo anche me stesso, verranno purificati da un altro fuoco, cioè, come temo, da quello del quale sta scritto: Un fiume di fuoco correva davanti a lui ( Dn 7,10 ).
Questo fuoco non è quello dell'altare.
Il fuoco dell'altare è il fuoco del Signore; quello, invece, che è fuori dell'altare non è del Signore, ma è il fuoco di ciascun peccatore, intorno al quale è detto: Il loro verme non morirà e il loro fuoco non si spegnerà ( Is 66,24 ).
Questo fuoco, perciò, è di coloro che lo hanno acceso, come anche altrove sta scritto: Camminate nel vostro fuoco e nella fiamma che avete acceso per voi ( Is 50,11 ).
Origene, Omelie sul Levitico, 9,8
Non pronuncerò il nome del Signore e non parlerò più del suo nome.
Nel mio cuore si è acceso come un fuoco ardente che brucia nelle mie ossa e mi divora interamente e non riesco a sopportarlo ( Ger 20,9 ).
Avvenne che la parola di Dio bruciò il suo cuore …
Non pronuncerò il nome del Signore e non parlerò più del suo nome; e non appena Geremia ebbe confessato il peccato, quello sparì.
Volesse il cielo che anch'io, subito dopo aver peccato e aver proferito una parola peccaminosa, sentissi nel mio cuore ardere un fuoco che bruciasse nelle mie ossa al punto da non riuscire a sopportarlo …
Si tratta di un genere di fuoco che non si percepisce con i sensi, ma provoca un tal dolore a colui che ne viene toccato da essergli intollerabile …
Io temo che ci sia riservato un genere di fuoco come quello che arse nel cuore di Geremia.
Non lo abbiamo sperimentato, però; se l'avessimo sperimentato e avessimo la scelta tra due fuochi, questo e quello esterno con il quale vediamo bruciare coloro i quali vengono torturati dalle autorità, sceglieremmo il secondo piuttosto che il primo.
Quello, infatti, brucia la pelle; questo, invece, il cuore e cominciando da esso si diffonde per tutte le ossa, si ingrandisce attraverso tutte le parti del corpo e avviene che colui che arde non riesce a sostenerlo …
Il Salvatore ha acceso questo fuoco, poiché ha detto: Sono venuto a portare un fuoco in terra ( Lc 12,49 ) …
Chi è mai degno, però, di ricevere codesto fuoco nel cuore? …
Dal momento che è necessario scontare le pene, ciascuno preghi Iddio perché giunga su di lui il fuoco di Geremia, in maniera che egli non sia destinato a un altro fuoco.
Origene, Omelie su Geremia, 19,8-9
Perché mai un uomo è ricco e un altro è povero?
Non lo so; e ti dico subito che l'ignoro, per insegnarti che non tutte le cose possono essere controllate e che niente è abbandonato al capriccio del caso.
D'altra parte, se si ignora la vera ragione delle cose, non si ha ugualmente il diritto di inventare una spiegazione fantastica.
É meglio infatti non conoscere piuttosto che conoscere male.
Chi riconosce di non sapere, si lascia con facilità istruire; chi invece, non conoscendo la ragione delle cose, inventa una falsa scienza, si allontana ancor più dal vero, in quanto per essere poi istruito è necessario dapprima che le sue false idee siano cancellate.
Senza fatica si può scrivere ciò che si vuole su un foglio di carta bianca; ma se il foglio è già scritto, è molto più faticoso scrivervi di nuovo, perché occorre prima cancellare quanto è stato scritto male.
É preferibile il medico che non dà alcuna ricetta a quello che prescrive rimedi dannosi.
Un architetto che costruisce malamente è peggiore di colui che non posa neppure una pietra.
Infine vale di più una terra che non produce di quella che produce spini.
Non cerchiamo quindi di conoscere tutto, rassegniamoci a ignorare qualcosa, di modo che se troviamo un maestro non gli daremo doppio lavoro.
Vi sono persone cadute in dottrine false che è pressoché impossibile correggere.
Non è lo stesso lavoro seminare in un campo pieno di vecchie radici che dobbiamo strappare, anziché in una terra che non è stata mai coltivata.
Così, quando si hanno erronee concezioni, è necessario sradicarle dalla mente, prima di poter ricevere la verità ma, se non si hanno pregiudizi, l'intelletto è ben preparato ad accogliere la verità.
Detto questo, rispondo alla vostra domanda: alcuni sono ricchi perché Dio ha donato loro queste ricchezze, oppure ha permesso che ne dispongano; altri ancora ne posseggono per un'altra sua segreta disposizione.
Questa spiegazione, come vedete, è breve e semplice.
Ma voi insistete a chiedermi: come mai Dio rende ricco quest'uomo malvagio, adultero, frequentatore di luoghi malfamati e che fa cattivo uso dei suoi beni?
Non è che Dio - vi rispondo - rende ricco quest'uomo; è che lo permette.
La differenza che esiste tra fare e permettere è assai grande, anzi immensa.
Ma perché - voi direte ancora - Dio tollera questo?
Perché non è ancora giunto il momento del giudizio, quando ciascuno riceverà ciò che merita.
Quale colpa è più odiosa di quella del ricco che non volle dare al povero Lazzaro nemmeno le briciole della sua mensa ( Lc 16,19ss )?
Ebbene, egli ha ricevuto la punizione più terribile di tutti, dato che, essendo stato crudele nella sua ricchezza, non ottenne neppure una goccia d'acqua.
Così, se due persone sono ugualmente malvagie, essendo l'una ricca e l'altra povera, non saranno ugualmente punite all'inferno, ma il ricco soffrirà molto più del povero.
Non vedete, infatti, che questo ricco malvagio è punito nell'altra vita assai più severamente, in quanto durante la sua esistenza ha ricevuto la sua parte di beni?
Ebbene, quando voi vedete un ricco malvagio godere di ogni sorta di piaceri, piangete e compatite la sua sorte, perché tutta quella ricchezza serve ad accrescere il suo castigo.
Come coloro che peccano, e non vogliono fare penitenza, accumulano tesori di collera in cielo, così coloro che in questo mondo non sono stati puniti e hanno goduto di grandi beni, saranno un giorno tanto più severamente castigati.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 75,4-5
Taluni accusano Dio del fatto ch'egli sovente indugia pazientemente e trascura molti scellerati, lussuriosi, violenti, che non scontano punizione alcuna; quando, poi, il Signore minaccia, allora essi si mostrano infastiditi e se ne lamentano.
Eppure, se quest'ultima cosa è molesta, la prima, allora, dovrebbe essere opportuna e lodevole.
O stoltezza! O cervello sciocco e da asini!
O anima folle per il peccato e il piacere, rivolta com'è verso l'iniquità!
É dall'amore per la voluttà, infatti, che vengono suscitate tutte queste opinioni, al punto che se coloro i quali affermano tali cose volessero abbracciare la virtù, sarebbero ben presto convinti dell'esistenza della geenna e non esiterebbero.
« Ma dove si troverà mai », chiederai, « questa geenna? ».
Perché te ne preoccupi? Ciò che si richiede, infatti, è che si dimostri se essa esista, non dove si trovi.
Alcuni fantasiosi affermano che si trovi nella valle di Giosafat, riferendo alla geenna ciò che è detto a riguardo di una certa guerra passata; la Scrittura, però, non lo dice.
Dove sarà allora? Fuori da tutto questo mondo, come io ritengo.
Come, infatti, le carceri e le miniere dei re sono poste lontano, così la geenna si troverà al di fuori di questo mondo.
Non domandiamo, perciò, dove sia, ma in che modo possiamo sfuggirla; e non negare la fede nelle cose future per il fatto che Dio non punisce tutti quaggiù: egli, infatti, è buono e attende pazientemente.
Perciò il Signore minaccia, ma non getta immediatamente nella geenna; dice, infatti: Non voglio la morte del peccatore ( Ez 18,32 ).
« Ma se non c'è la morte del peccatore, allora sono parole sprecate ».
Mi rendo conto che per voi nulla è più sgradito di queste parole; per me, invece, non v'è niente di più piacevole.
Volesse il cielo che pranzando e cenando e nel bagno, ovunque insomma, parlassimo dell'inferno; così facendo, infatti, non sopporteremmo contro voglia le tribolazioni di quaggiù e non ci delizieremmo delle ricchezze.
Che cosa potresti mai citarmi di grave: povertà, malattie, prigionie, mutilazioni del corpo?
Ma tutte queste cose sono assolutamente ridicole, se vengono paragonate a quel supplizio.
Persino se parli di coloro che soffrono la fame, finanche se rammenti quelli che sono ciechi dalla nascita e vanno mendicando il cibo: questi mali, a confronto di quelli dell'inferno, non sono nulla.
Consideriamo, dunque, spesso tali parole; il ricordo della geenna, infatti, consente di non cadervi.
Non ascolti Paolo che dice: Coloro che soffrono l'eterno supplizio lontano dal volto del Signore ( 2 Ts 1,9 )?
Non senti chi mai fu Nerone, che Paolo chiama il mistero dell'anticristo?
Afferma infatti l'Apostolo: Il mistero dell'iniquità è già all'opera ( 2 Ts 2,7 ).
E allora? Forse che nulla patisce Nerone? Nulla l'anticristo? Nulla il diavolo?
Così dunque avverrà sempre sia per l'anticristo che per il diavolo: essi, infatti, non desistono dalla loro malizia, poiché non vengono frenati.
« Va bene », dirai, « è chiaro in che cosa consista la punizione e la geenna; però soltanto i non credenti vi cadono ».
E perché mai, ti domando? « Perché i fedeli », dici, « hanno conosciuto il loro Signore ».
E con questo? Se la loro vita è stata impura, pagheranno per questo pene ben più gravi dei non credenti: Infatti chiunque ha peccato senza la legge, perirà senza la legge; e chiunque ha peccato nella legge, sarà giudicato secondo la legge ( Rm 2,12 ) …
Non ingannatevi, o diletti.
Se, infatti, non vi fosse la geenna in qual modo gli apostoli giudicheranno le dodici tribù di Israele?
Per qual motivo Paolo direbbe: Non sapete che giudicheremo gli angeli?
Quanto più le cose del mondo ( 1 Cor 6,3 )?
Come Cristo avrebbe potuto dire: I niniviti sorgeranno nel giudizio e condanneranno questa generazione ( Mt 12,41 )?
E: Nel giorno del giudizio Sodoma sarà trattata con maggior demenza ( Mt 11,24 )?
Perché, dunque, scherzi e ti trastulli? Perché inganni te stesso e illudi la tua anima, o uomo?
Per quale motivo combatti contro la bontà di Dio?
Egli, infatti, ha preparato e minacciato la geenna, non perché noi vi cadessimo, ma affinché, grazie alla paura di essa, divenissimo migliori.
Chi toglie di mezzo questo discorso, perciò, senza saperlo non fa altro che spingere se medesimo in essa.
Non fermare le mani di coloro che faticano per la virtù e non accrescere l'incoscienza di coloro che dormono.
Se essi sono stati persuasi da molti che la geenna non esiste, quando mai si distoglieranno dalla loro malizia?
Dove mai apparirà la giustizia? E non mi riferisco ai peccatori e ai giusti, ma ai peccatori vari.
Per quale motivo quel tale fu punito quaggiù, mentre l'altro che ha commesso le medesime cose, anzi più gravi, non ha ricevuto punizione veruna?
Se non esistesse la geenna, infatti, non potresti rispondere assolutamente nulla a chi ti facesse un'obiezione come questa.
Perciò vi prego affinché, astenendovi da queste ridicole parole, chiudiate la bocca a coloro che ci contraddicono in cose del genere.
Vi sarà, infatti, un accurato esame delle più piccole cose, tanto per quanto concerne i peccati che le buone azioni.
Dovremo rendere, perciò, ragione degli sguardi impuri, della parola oziosa e ridicola, della crapula, dell'ira e dell'ubriachezza; viceversa, riceveremo la mercede per le opere buone: per un bicchiere d'acqua fresca, per una parola buona e per una sola lacrima.
Assicura, infatti, la Scrittura: Poni il segno in faccia ai gementi e a coloro che piangono ( Ez 9,4 ).
Come, dunque, osi affermare che colui che passa in rassegna con tanta cura le nostre azioni, abbia minacciato invano la caduta nella geenna?
Te ne scongiuro, non mandare in perdizione te stesso e coloro che credono in te con una speranza così vana.
Se non credi alle nostre parole, infatti, esamina i giudei, i greci, tutti gli eretici, e tutti ti risponderanno a una voce che vi sarà il giudizio e la retribuzione.
Non bastano gli uomini? Interroga gli stessi demoni e li udrai gridare: Perché sei venuto qui prima del tempo a tormentarci? ( Mt 8,29 ).
Grazie alla comune testimonianza di tutti costoro, perciò, persuadi la tua mente a non vaneggiare affinché non impari per sua esperienza che la geenna esiste, ravvedendoti, invece, potrai sfuggire a quei tormenti e conseguire i beni futuri.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera ai Romani, 31,4-5
Quando vediamo che un malvagio diventa ricco, non scoraggiamoci.
Quando vediamo che un uomo buono è tribolato, non inquietiamoci, poiché le corone sono di là e di là sono pure i castighi.
Del resto, non è possibile che un cattivo sia cattivo in tutto e per tutto, e può ben darsi che anche lui abbia qualche opera buona; né è possibile che chi è buono, lo sia in tutto e per tutto, ma può ben avere anche lui qualche peccato.
Quando dunque una persona malvagia si trova in una condizione di prosperità, sappi che ciò accade a tutto suo danno, in maniera che, ricevuta quaggiù la ricompensa per quel poco di bene che aveva compiuto, venga poi punito nel modo più grave: questa è la giustificazione del bene ch'egli riceve adesso.
Beato, invece, colui che quaggiù è castigato, affinché, espiati tutti i suoi peccati, se ne parta di qui approvato, purificato e senza colpa.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli ebrei, 5,4
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