Teologia dei Padri |
Dobbiamo quindi scendere dalla vanità dell'orgoglio fino all'umiltà, per elevarci di lì fino a conquistare i vertici della vera grandezza; ma questo proposito non poteva esserci ispirato in modo tanto più brillante quanto più delicato, in modo che la nostra arroganza fosse repressa non con la violenza ma con la persuasione, se il Verbo non fosse intervenuto, il Verbo per mezzo del quale il Padre si manifesta agli angeli, il quale è la sua potenza e sapienza, il quale non poteva esser veduto dalla mente dell'uomo accecata dalla cupidigia delle cose visibili, se il Verbo - ripeto - non si fosse degnato di rappresentare e mostrare la sua missione caratteristica mediante l'uomo ( da lui assunto ), affinché l'uomo avesse maggior timore d'innalzarsi col suo orgoglio di uomo, che non d'abbassarsi imitando l'esempio di Dio.
Ecco perché in tutta la terra viene predicato non già un Cristo sovrano maestoso d'un regno terreno né un Cristo ricco di beni caduchi né un Cristo aureolato dallo splendore della felicità terrena, ma Cristo crocifisso.
Egli fu fatto da principio segno agli scherni degl'individui superbi e ancora è deriso dai loro discendenti; in principio credette in lui solo un piccolo numero di persone, ora invece intere nazioni.
E perché ciò? Perché allora, quando si predicava Cristo crocifisso, per confermare e redarguire lo scherno delle folle, gli storpi camminavano, i muti riacquistavano la favella, i sordi l'udito, i ciechi la vista, i morti tornavano in vita.
In tal modo la superbia dell'uomo terreno finì per comprendere una buona volta che nulla, anche nelle cose terrene, è più potente dell'umiltà divina, affinché l'umiltà umana, quanto mai utile alla salvezza, fosse difesa dalla garanzia che ci dà l'imitazione di Dio contro gli assalti della superbia.
Agostino, Le Lettere, III, 232,6 ( ai Madauresi )
2. Gli apostoli hanno annunciato un unico e identico Dio Padre, un unico e identico Cristo Gesù, risorto dai morti.
La fede in lui predicavano a coloro che non credevano nel Figlio di Dio e li convincevano, con i detti dei profeti, che Dio, avendo promesso di mandare il Messia, ha mandato Gesù, quello che essi avevano crocifisso ma che Dio aveva risuscitato.
Quando poi Pietro, insieme con Giovanni, vide l'uomo paralitico dalla nascita seduto a chiedere l'elemosina davanti alla porta detta « la Bella », gli disse: Non ho argento né oro, ma ciò che ho te lo do: nel nome di Gesù il Cristo, nazareno, alzati e cammina!
Subito gli si rinsaldarono i piedi, gli si sciolsero i passi: camminava.
Ed entrò con loro nel tempio camminando, e saltando, e glorificando Dio ( At 3,6-8 ).
A tutta la folla poi, riunitasi intorno a loro per quel fatto incredibile, Pietro disse: Israeliti! Perché vi meravigliate di ciò, e perché ci guardate come se noi per nostra virtù lo avessimo fatto camminare?
Iddio di Abramo, Iddio di Isacco, Iddio di Giacobbe, Iddio dei nostri padri ha glorificato il suo Figlio che voi traduceste in giudizio e rinnegaste dinanzi a Pilato quando voleva dimetterlo.
Voi opprimeste un santo, un giusto, e chiedeste che vi venisse donato un omicida.
Uccideste il condottiero della vita, ma Dio lo ha risuscitato dai morti: noi ne siamo testimoni!
E per la fede nel suo nome, proprio il suo nome ha guarito costui che voi vedete e conoscete; la fede che da lui proviene ha reso a quest'uomo la salute dinanzi a voi tutti.
E ora, fratelli, so che avete commesso questo delitto per ignoranza.
Dio, il quale aveva predetto per bocca di tutti i profeti che il suo Cristo avrebbe patito, ha adempiuto le predizioni.
Fate perciò penitenza e convertitevi: vi saranno cancellati i peccati, verranno per voi giorni di ristoro al cospetto del Signore, ed egli manderà a voi colui che è stato destinato quale messia, cioè Gesù, che ora sta in cielo fino al tempo della restaurazione di tutte le cose, di cui ha parlato Dio per bocca dei suoi santi profeti.
Mosè infatti dice ai nostri padri: Il Signore Iddio vostro susciterà fra i vostri fratelli un profeta, come ha fatto di me; l'ascolterete in tutto ciò che vi dirà.
Ogni anima poi che non ascolterà quel profeta, sarà sterminata di mezzo al popolo.
E tutti quelli che parlarono dal tempo di Samuele in poi annunciarono questi giorni.
Voi siete i figli dei profeti, siete i figli dell'alleanza che Dio ha pattuito con i vostri padri dicendo ad Abramo: Nella tua stirpe saranno benedette tutte le tribù della terra.
Iddio ha risuscitato il suo Figlio e lo ha mandato a voi per primi a recarvi questa benedizione: che ciascuno si converta dalle sue iniquità ( At 3,12-26 ).
É chiaro dunque l'annuncio che Pietro con Giovanni diede a quelli, annunciando la lieta novella che la promessa fatta da Dio ai padri si è adempiuta in Gesù; non annunciarono certo un altro Dio, ma il Figlio di Dio fatto uomo e morto per noi; e condussero Israele alla gnosi, annunciando la risurrezione di Gesù dai morti e mostrando come tutto ciò che era stato predetto dai profeti circa la passione del messia, Dio lo aveva adempiuto.
Per questo, quando i capi dei sacerdoti si radunarono, Pietro disse loro con franchezza: Capi del popolo e anziani d'Israele!
Se oggi veniamo da voi condannati per una buona opera compiuta verso l'infermo che abbiamo guarito, sappiate tutti voi, e lo sappia tutto il popolo di Israele, che nel nome di Gesù Cristo nazareno, che voi avete crocifisso ma che Dio ha risuscitato dai morti, che nel nome di Gesù nazareno, dunque, costui è ora sano qui al nostro cospetto.
Gesù è la pietra che voi, edificando, avete disprezzato, e che è diventata pietra angolare.
E sotto il cielo non è stato dato agli uomini altro nome in cui possiamo trovare salvezza ( At 4,8-12 ).
Dunque, gli apostoli non mutavano Dio, ma annunciavano al popolo che il messia era Gesù, che era stato crocifisso, ma che Dio - proprio lo stesso Dio che ha mandato i profeti - ha poi risuscitato donando in lui la salvezza agli uomini.
Battuti sia per la guarigione ( « Aveva più di quarant'anni » dice la Scrittura « quell'uomo in cui era stato operato il miracolo della guarigione » ), sia per la dottrina degli apostoli e la loro esposizione delle profezie, i sacerdoti lasciarono liberi Pietro e Giovanni.
Essi tornarono dagli altri apostoli e discepoli del Signore, tornarono nella Chiesa e narrarono ciò che era avvenuto, ciò che avevano compiuto con coraggio nel nome di Gesù.
Udendo ciò, dice la Scrittura, tutti insieme alzarono la loro voce concorde a Dio e dissero: Signore, tu sei Dio!
Tu hai fatto il cielo, la terra, il mare e tutto ciò che contengono; per mezzo del tuo Spirito Santo, e per bocca di nostro padre Davide tuo servo, hai detto: Perché fremono le genti e i popoli nutrono iniqui propositi?
Si sono alzati i re della terra e i principi si sono radunati consigliandosi contro il Signore, contro il suo Cristo.
In questa città si sono realmente adunati - contro il tuo santo Figlio Gesù, da te unto - Erode e Ponzio Pilato con la gente del popolo d'Israele, per compiere in lui tutto ciò che la tua mano, la tua volontà aveva predestinato ( At 4,24-30 ).
É questa la voce di quella Chiesa da cui ogni altra Chiesa ha avuto inizio; è questa la voce della città grande, dei cittadini del nuovo patto; è questa la voce degli apostoli, la voce dei discepoli del Signore, dei giusti perfetti, resi perfetti dallo Spirito dopo l'ascensione del Signore.
Questa voce invoca Dio che ha fatto il cielo, la terra e il mare, che ha parlato per mezzo dei profeti; questa voce invoca il suo Figlio Gesù, che Dio ha unto; non ne conosce altri …
Perciò Iddio, creatore di tutto, ascoltò quella voce.
Infatti è detto: Tremò il luogo in cui erano radunati, tutti furono ripieni di Spirito Santo e annunziavano con franchezza la parola di Dio ( At 4,31 ) a tutti coloro che volevano credere.
Con grande forza, gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione di Gesù dicendo a tutti: Il Dio dei nostri padri ha risuscitato Gesù, che voi avevate preso e ucciso configgendolo al legno.
Ma Dio lo ha esaltato, con la sua destra lo ha costituito principe e salvatore, perché conduca a penitenza Israele, in remissione dei peccati.
Noi siamo testimoni di queste asserzioni e lo è anche lo Spirito Santo, che Dio ha dato a chi crede in lui ( At 5,30-32 ).
Così ogni giorno, dice la Scrittura, non cessavano di predicare e di annunciare la buona novella del Cristo Gesù, Figlio di Dio, nel tempio e a casa ( At 5,42 ).
Era questa la gnosi di salvezza, la conoscenza che rende perfetti dinanzi a Dio coloro che aspettano ansiosamente la venuta del suo Figlio.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 3, 12,1-5
Nel libro del profeta Isaia leggiamo queste parole: Una voce grida nel deserto preparate le vie del Signore! Raddrizzate i suoi sentieri ( Is 40,3 ), il Signore vuole trovare una via per entrare nei vostri cuori e camminarvi.
Preparategli quella via di cui è detto: « Raddrizzate i suoi sentieri! »
La voce grida nel deserto: « Preparate una strada ».
Questa voce giunge prima all'orecchio e, dopo, o meglio attraverso l'ascolto, la parola penetra nell'intelletto.
In questo modo Cristo fu annunciato da Giovanni ( Lc 3,3-6 ).
Vediamo, dunque, ciò che la voce annuncia della Parola.
Preparate, dice la voce, una strada al Signore.
Quale via gli prepareremo? Una strada materiale? Ma la parola di Dio può richiedere una simile via?
Non occorre piuttosto preparare al Signore una via interiore e tracciare nel nostro cuore delle strade diritte e piane?
Sì, questa è la via per cui la parola di Dio si introduce per stabilirsi nel cuore dell'uomo capace di accoglierla.
Come è grande il cuore dell'uomo! Quale grandezza ha e quale capacità, purché sia puro!
Vuoi conoscere la sua grandezza, la sua capacità? Osserva l'insieme delle cognizioni divine che può afferrare.
Lo afferma egli stesso: Dio mi concesse la vera conoscenza delle cose, sì che capissi la struttura dell'universo e la forza degli elementi, il principio, la fine e il mezzo dei tempi, l'alternarsi dei solstizi e il susseguirsi delle stagioni, il ciclo degli anni e la posizione degli astri, la natura degli animali e l'istinto delle fiere, i poteri degli spiriti e i ragionamenti degli uomini, la varietà delle piante e le proprietà delle radici ( Sap 7,17-20 ).
Come vedi, il cuore dell'uomo che conosce tante cose non è affatto piccolo.
Renditi conto che la sua grandezza non deriva dalle dimensioni, ma dalla potenza del pensiero che lo rende capace di conoscere molte verità.
Affinché tutti riconoscano quanto è grande il cuore dell'uomo, prendiamo qualche esempio dalla vita quotidiana.
Tutte le città che abbiamo visitato, le teniamo nel nostro spirito.
Le loro caratteristiche particolari, le piazze, le mura, gli edifici, rimangono nel nostro cuore.
Nella nostra memoria è ben dipinta e marcata la strada che abbiamo percorso, il mare su cui abbiamo navigato, lo conserviamo nel nostro pensiero silenzioso.
Come ho detto, non è affatto piccolo il cuore dell'uomo che può contenere tante cose.
Ora, se non è piccolo e può contenere tante cose, è possibile prepararvi una strada al Signore e tracciarvi una via diritta dove camminerà la Parola, la Sapienza di Dio.
Prepara una via al Signore con una buona coscienza, rendi piana la strada perché il Verbo di Dio possa camminare in te senza difficoltà e donarti la conoscenza dei suoi misteri e della sua venuta.
Origene, Omelia 21 su san Luca
Rallegriamoci, perché oggi è nato il Salvatore.
Nessuno può essere triste, perché oggi è il natale della vita, che toglie il frutto della morte e ci riempie con la letizia della promessa di vita eterna.
Nessuno sia escluso dal partecipare a tanto giubilo, perché a tutti è comune il motivo della gioia: il nostro Signore, distruttore della morte e del peccato, siccome non ha trovato nessuno libero da colpa, così è venuto a liberare tutti.
Esulti il santo, perché si avvicina alla palma.
Goda il peccatore, perché è invitato al perdono.
Si faccia animo il pagano, perché è chiamato alla vita.
Infatti il Figlio di Dio, nella pienezza dei tempi disposti dall'altezza inscrutabile del divino decreto, ha assunto la natura del genere umano per riconciliarlo al suo Creatore, affinché l'ideatore della morte, il diavolo, fosse vinto proprio per mezzo di quella con cui aveva vinto.
E in tale conflitto accesosi per noi si è combattuto con una legge grande e mirabile di giustizia: infatti il Signore onnipotente ha affrontato l'avversario crudelissimo non nella sua maestà, ma nella nostra umiltà: gli presenta lo stesso corpo, la stessa natura che partecipa della nostra mortalità, esente però da ogni peccato.
Questa nascita si sottrae, infatti, a ciò che si legge di tutti: Nessuno è libero da immondizia, neppure il fanciullo che ha un solo giorno di vita sulla terra ( Gb 14,4 ).
Nessuna traccia di concupiscenza carnale, infatti, passò in questa nascita singolare, nessuna traccia in essa derivò dalla legge del peccato.
Viene eletta una vergine della regale stirpe di Davide che, presto gravida del sacro frutto, concepisse prima con l'animo che col corpo la sua prole divino-umana.
E perché, non conoscendo il divino consiglio, non si spaventasse degli effetti inusitati che in essa avrebbe operato lo Spirito Santo, viene ammaestrata dalla voce dell'angelo.
Essa è certa che il suo pudore non ne avrà danno, pur divenendo tosto madre di Dio.
Come potrebbe non credere alla novità assoluta di quella concezione, dato che le viene promessa come intervento della potenza dell'Altissimo?
E la sua fede pronta viene confermata anche dall'attestazione di un miracolo già operato: la fecondità non più sperata che viene elargita ad Elisabetta: perché non si dubitasse così che colui, il quale aveva dato di concepire a una sterile, lo avrebbe dato anche a una vergine.
Il Verbo di Dio, dunque, Dio, Figlio di Dio che era all'inizio presso Dio e per mezzo di cui tutto è stato fatto e senza di cui nulla è stato fatto ( Gv 1,2-3 ), si è fatto uomo, per liberare l'uomo dalla morte eterna; e si abbassò ad accettare la nostra umiltà, senza diminuire la sua maestà, in modo che restando quello che era e assumendo quello che non era, unì in sé una vera natura di servo alla natura sua, nella quale è identico a Dio Padre.
Le unì con un legame tanto stretto, che la gloria non consumò la natura inferiore né l'assunzione diminuì la natura superiore.
Restando integra ogni proprietà di ambedue le nature e convenendo in un'unica persona, dalla maestà viene assunta l'umiltà, dalla forza l'infermità, dall'eternità la mortalità; e per cancellare il debito della nostra condizione, la natura passibile si è unita alla natura inviolabile: il Dio vero e l'uomo vero sono presenti nell'unico Signore; così, come richiedeva la nostra redenzione, l'unico e identico mediatore tra Dio e l'uomo poté morire per l'uno e risorgere per l'altro.
A buon merito dunque il parto salutare non recò corruzione all'integrità verginale: preservò il pudore e propagò la verità.
Una tale nascita si convenne a Cristo, potenza di Dio e sapienza di Dio: per essa fu simile a noi nell'umanità e tanto superiore a noi nella divinità.
Se infatti non fosse stato vero Dio, non avrebbe portato a noi rimedio; se non fosse stato uomo vero, non ci avrebbe dato l'esempio.
Per questo gli angeli, esultando, alla nascita del Signore cantano: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, mentre si annuncia sulla terra pace agli uomini di buona volontà ( Lc 2,14 ).
Vedono infatti che con le genti di tutto il mondo viene costruita la celeste Gerusalemme; e di questa ineffabile opera della divina bontà, quanto deve rallegrarsi l'umiltà degli uomini, dato che tanto gode la sublimità degli angeli?
Perciò, carissimi, rendiamo grazie a Dio Padre, per mezzo del suo Figlio nello Spirito Santo, che per la sua grande misericordia con cui ci amò ha avuto pietà di noi ed essendo noi morti al peccato, ci vivificò in Cristo ( Ef 2,5 ), affinché fossimo in lui una nuova creatura, una nuova struttura ( Ef 2,10 ).
Spogliamoci dunque del vecchio uomo con le sue azioni ( Ef 4,22; Col 3,8 ) e, partecipi della nascita di Cristo, rinunciamo alle opere della carne.
Riconosci, o cristiano, la tua dignità e, consorte ormai della divina natura, non tornare alla bassezza della tua vita antecedente, depravata.
Ricordati di quale capo e di quale corpo tu sei membro.
Rammenta che sei stato strappato dal potere delle tenebre e sei stato trasferito nella luce e nel regno di Dio.
Col sacramento del battesimo sei diventato tempio dello Spirito Santo ( 1 Cor 3,16 ): non cacciare da te con le azioni cattive un ospite tanto degno e non assoggettarti di nuovo alla schiavitù del demonio: il tuo prezzo è il sangue di Cristo.
Ti giudicherà nella verità, come ti ha redento per misericordia, egli, che con il Padre e lo Spirito Santo regna nei secoli dei secoli.
Leone Magno, Sermoni, 21
Un grande stupore si impossessa dell'uomo quando considera il miracolo che Dio scese prendendo dimora in un seno materno, che la sua somma essenza assunse un corpo umano e per nove mesi abitò nell'utero della madre senza contrarietà, e che quel seno di carne fu in grado di portare il fuoco, che la fiamma abitò nel corpo delicato senza bruciarlo.
Proprio come il roveto sull'Oreb portava Dio nella fiamma, così Maria portò Cristo nel suo seno verginale.
Attraverso l'udito, Dio entrò senza danni nel ventre materno e il Figlio di Dio poi ne uscì con purezza.
La vergine concepì Dio e la sterile ( Elisabetta ) concepì il vergine ( Giovanni ), anzi il figlio della sterilità spuntò prima del germoglio della verginità.
Un miracolo nuovo Dio ha compiuto tra gli abitanti della terra: egli che misura il cielo con la spanna, giace in una mangiatoia d'una spanna; egli che contiene il mare nel cavo della mano conobbe la propria nascita in un antro.
Il cielo è pieno della sua gloria e la mangiatoia è piena del suo splendore.
Mosè desiderò contemplare la gloria di Dio, ma non gli fu possibile vederla come aveva desiderato.
Potrebbe oggi venire a vederla, perché giace nella cuna in una grotta.
Allora nessun uomo sperava di vedere Dio e restare in vita; oggi tutti coloro che l'hanno visto sono sorti dalla seconda morte alla vita.
Mosè prefigurò il mistero, vedendo un fuoco in un roveto; i magi portarono a compimento il mistero, vedendo la luce in una cuna.
A gran voce dal roveto Dio impose a Mosè di togliersi le scarpe dai piedi; la stella invitò tacitamente i magi a giungere al luogo santo.
Mosè non poté vedere Dio come realmente è; i magi invece entrarono e videro il Figlio di Dio fatto uomo.
Il volto di Mosè splendeva perché Dio gli aveva parlato e un velo ricoprì il suo viso perché il popolo non poteva guardarlo; così nostro Signore si è circondato, nel seno materno, con il velo della carne e ne è uscito e si è mostrato: e i magi lo videro e gli offrirono i loro doni.
É grande il prodigio che si è compiuto sulla nostra terra: il Signore di tutto è disceso su di essa, Dio si è fatto uomo, l'Antico è diventato fanciullo; il Signore si è fatto uguale al servo, il figlio del re si è reso come un povero errabondo.
L'essenza eccelsa si è abbassata ed è nata nella nostra natura, e ciò che era estraneo alla sua natura lo ha assunto per il nostro bene.
Chi non contemplerà con gioia il miracolo che Dio si è abbassato assoggettandosi alla nascita?
Chi non si meraviglierà vedendo che il Signore degli angeli è stato partorito?
Credilo senza dubitarne e sii convinto che tutto in verità si è svolto proprio così!
Efrem Siro, Inno per la nascita di Cristo, 1
Piena di fede, concependo Cristo prima nell'animo che nel seno, Maria disse: Ecco l'ancella del Signore, avvenga di me secondo la tua parola ( Lc 1,38 ), avvenga, cioè, una concezione in me, vergine, senza seme umano; nasca di Spirito Santo da una donna integra colui in cui rinascerà di Spirito Santo la Chiesa integra.
Il santo che nasce dalla madre donna senza padre uomo, si chiamerà Figlio di Dio; colui infatti che è nato da Dio senza madre alcuna, fu meravigliosamente conveniente che diventasse figlio dell'uomo; nato in quella carne, uscendo piccolo dalle chiuse viscere, perché poi, risuscitato entrasse, grande, per la porta sbarrata.
Sono realtà mirabili, perché sono realtà divine; ineffabili perché inscrutabili: non basta a esprimerle la bocca dell'uomo, perché non basta a indagarle il cuore umano.
Maria credette, e ciò in cui credette in lei è avvenuto.
Crediamo anche noi, perché anche a noi possa giovare ciò che è avvenuto.
Certo, anche questa natività è mirabile; tuttavia pensa, o uomo, ciò che per te ha accettato il Dio tuo, il Creatore per la creatura.
Restando Dio in Dio, vivendo l'eterno con l'eterno, il Figlio uguale al Padre non ha sdegnato di rivestire la forma del servo per i colpevoli, per gli schiavi peccatori.
E ciò non è stato certo ricompensa di meriti umani.
Per le nostre iniquità, meritavamo piuttosto le pene; ma, se avesse osservato le nostre iniquità, chi lo avrebbe sostenuto?
Per gli empi, dunque, e per gli schiavi peccatori il Signore si è fatto uomo e si è degnato di nascere di Spirito Santo da Maria vergine.
Agostino, Predica sulla professione di fede, 215,4
Fratelli, la generazione di Cristo non può essere spiegata, può essere creduta.
Dove la lingua viene meno, la fede progredisce.
É infatti un grande progresso della fede quanto essa ritiene del suo Dio e che il discorso non può concepire.
Badate, carissimi, che non vi tocchi l'incredulità su tali argomenti: se l'uomo non può spiegare ciò che sente, Dio senza dubbio può compiere ciò che vuole.
Ed è assolutamente assurdo, fratelli, che il Dio ineffabile venga misurato dal nostro debole e fragile discorso.
É una pazzia cercare di racchiudere nelle brevi parole della nostra bocca corruttibile l'opera dell'immensa maestà divina.
Com'è possibile che l'uomo comprenda Dio, la creatura l'increato, il mortale l'eterno?
Se vuoi proprio investigare come Dio sia passato nell'uomo o come l'uomo sia passato in Dio, investiga prima, se puoi, come il mondo abbia avuto origine dal nulla, donde il cielo abbia preso il suo splendore e per quale motivo sussistano le acque liquide e la terra solida.
E anche, come l'uomo provenga dalla terra; dal maschio provenga la femmina e anche, per opera della femmina, il maschio; e ancora, ciò che crea la luce e le tenebre, ciò che origina la vita e la morte.
Se dunque non riesci a comprendere, o uomo, come e onde sussista tu stesso e le cose fatte per te, con che presunzione, con che stoltezza indaghi sul Creatore di te stesso e di tutte le cose!
Riconosciamo dunque che Dio è nato da Dio Padre ed è diventato uomo dalla Vergine.
Tutto ciò, o carissimi, è oscuro all'intelletto, mentre è manifesto alla fede.
E solo allora possiamo un pochino spiegare la sua immensa maestà, se notiamo quanto eccelso sia Dio, e come non possa esser da noi conosciuto, secondo le parole del Signore a Mosè: Ma tu non potrai vedere il mio volto ( Es 33,23 ), cioè non puoi con i tuoi occhi di carne contemplare la mia maestà come essa è.
Perciò il santo re Davide, contemplando la possanza della sua onnipotenza esclamava: Sono mirabili le tue opere, o Signore, e la mia anima le conosce assai ( Sal 139,14 ).
Sapeva davvero quell'anima profetica che le opere di Dio superano ogni meditazione della mente umana e perciò il santo patriarca, chiuso tra le angustie dei sensi mortali, ammirava ciò che non poteva investigare.
Chi mai tra gli uomini, dunque, oserà discutere o indagare ciò che il profeta solamente ammirava?
« Sono mirabili le tue opere » diceva « e la mia anima le conosce assai »: proprio il fatto che Dio è incomprensibile l'anima sua lo riconosceva, mentre la sua carne non lo poteva percepire.
Chiunque, perciò, preferisce discutere le opere di Dio piuttosto che crederle, non si fa condurre dalla luce dell'anima, ma dall'errore; e perciò, fratelli, non discutiamo come Dio sia nato da Dio, ma crediamolo; non impugniamo il parto verginale, ma ammiriamolo; professando così che l'Unigenito di Dio è uomo, manterremo intatta la verità propostaci dalla fede celestiale.
Massimo di Torino, Predica sulla generazione del Signore, 1
Il Verbo di Dio si è manifestato nella carne una volta per sempre.
Ma, in chi lo desidera, egli vuole continuamente rinascere secondo lo spirito, perché ama gli uomini.
Così, ridiventa bambino e si forma in loro con il progredire delle virtù.
Il Verbo si manifesta nella misura in cui sa di poter essere ricevuto da chi lo accoglie: non limita la manifestazione della sua grandezza per gelosia, ma misura l'intensità del suo dono secondo il desiderio di chi brama vederlo.
Il Verbo di Dio si manifesta sempre, secondo le disposizioni di chi lo riceve: tuttavia, data l'immensità del mistero, egli rimane ugualmente invisibile per tutti.
Per questo motivo l'apostolo, penetrata con acutezza la potenza del mistero, dice: Gesù Cristo è lo stesso, ieri, oggi e nei secoli ( Eb 13,8 ): egli dimostrava così di avere ben compreso la perenne novità del mistero e intuiva che l'intelligenza non potrà mai possederlo come una cosa invecchiata.
Il Cristo Dio nasce nel tempo e si fa uomo assumendo una carne umana dotata di anima intelligente: nasce nel tempo, lui che fa uscire dal nulla tutto ciò che esiste …
Ed ecco che un giorno brilla dall'Oriente una stella e conduce i magi al luogo dell'incarnazione del Verbo.
Una realtà creata indicava così misticamente colui che è al di là di ogni percezione sensibile, colui che supera la parola della legge e dei profeti, colui che guida le genti alla fulgida luce della conoscenza.
Infatti, la parola della legge e dei profeti conduce alla conoscenza del Verbo incarnato, come una stella che, piamente compresa, guida i chiamati dalla potenza della grazia, cioè gli eletti secondo il disegno di Dio ( Rm 8,28 ) …
Così, Dio si fa totalmente uomo e, assumendola, non rifiuta nulla di ciò che è proprio alla natura umana, tranne il peccato, che, d'altra parte, non è sua parte essenziale …
Dio fa di se stesso il rimedio della natura umana e la riporta - per la divinità che depone in lei - all'intensità della grazia che le era stata data fin dal principio.
Il serpente immise il veleno della sua malvagità nell'albero della conoscenza e determinò in tal modo la rovina del genere umano, che ne avrebbe gustato i frutti; allo stesso modo quando il Maligno volle divorare la carne del Signore, per la potenza della divinità che era in lei a sua volta trovò la propria rovina.
Immenso mistero dell'incarnazione di Dio! Eterno mistero! …
Come può il Verbo essere sostanzialmente nella carne come persona e, nello stesso tempo - sempre come persona e sostanzialmente - essere tutto nel Padre?
Come può il Verbo essere a un tempo veramente Dio per natura e farsi, per natura, veramente uomo?
E tutto questo senza rifiutare assolutamente né la natura divina, secondo la quale è Dio, né la nostra, secondo la quale si è fatto uomo?
Soltanto la fede può abbracciare questi misteri, la fede che è il fondamento di tutto ciò che supera quello che possiamo comprendere e che possiamo dire.
Massimo il Confessore, Capitoli teologici, 1,8-13
Ascolta l'acclamazione di Isaia: Ci è nato un fanciullo, ci è stato donato un figlio! ( Is 9,6 ).
Impara dal profeta stesso come ciò sia potuto accadere.
Secondo, forse, la legge di natura? Nient'affatto, risponde il profeta: non obbedisce infatti alle leggi di natura colui che della natura è Signore.
In che modo allora, rispondi, ci è stato donato questo figlio?
Ecco, replica il profeta, una vergine concepirà e partorirà un figlio cui sarà posto il nome di Emmanuele ( Is 7,14 ), che significa « Dio con noi » ( Mt 1,23 ).
O evento mirabile: una vergine diventa madre, rimanendo vergine!
Considera il nuovo ordine della natura.
Per quanto riguarda le altre donne, finché una rimane vergine, non può certo diventare madre: una volta divenuta tale, infatti, non possiede più la verginità.
In questo caso, invece, entrambe le qualità vanno attribuite alla medesima persona: allo stesso tempo, infatti, ella è madre e vergine.
La verginità non le ha impedito di partorire, così come, d'altra parte, il parto non l'ha privata della verginità.
Conveniva, infatti, che colui che faceva il suo ingresso nella vita umana per la salvezza degli uomini integri e incorrotti, prendesse origine da un'integrità assoluta e dedita a lui senza riserve; ora, gli uomini chiamano abitualmente « incorrotta » una donna che non abbia avuto alcuna unione carnale.
A me pare che il grande Mosè abbia conosciuto anzitempo questo avvenimento, attraverso la luce nella quale gli apparve Dio, allorché, mentre il roveto ardeva di fuoco, le sue spine, tuttavia, non si consumavano … ( Es 3,1-3 ).
Allora, infatti, nel fuoco e nel roveto veniva prefigurato ciò che, al momento opportuno, divenne chiaramente manifesto nel mistero della Vergine.
Allo stesso modo, infatti, come il roveto, benché arso dal fuoco, non si consumò; parimenti la Vergine, pur generando la luce, non si corruppe.
Gregorio di Nissa, Orazione sulla nascita di Cristo
Tutti i giorni, tutti i tempi, carissimi, all'animo dei fedeli che meditano le realtà divine si presenta la nascita del nostro Signore e Salvatore dalla Vergine madre; così per l'anima che si dedica alla lode del suo Creatore, sia tra i gemiti supplici, sia nell'esultanza della lode, sia nell'offerta del sacrificio, nulla si presenta più spesso e con più fede allo sguardo spirituale, che la nascita umana di Dio, Figlio di Dio, generato dal Padre, come lui eterno.
Ma nessun giorno più di quest'oggi ci fa ricordare questa nascita degna di adorazione in cielo e sulla terra, e, mentre anche fra le cose create irradia la luce del sole rinnovata, si presenta ai nostri sensi lo splendore mirabile di questo mistero.
Non solo alla memoria, ma quasi allo stesso nostro cospetto ritorna il colloquio dell'angelo Gabriele con Maria stupefatta e la concezione di Spirito Santo tanto mirabilmente promessa e creduta.
Oggi, infatti, il Creatore del mondo è uscito dall'utero della Vergine e colui che ha fondato ogni natura si è fatto figlio di colei che aveva creato.
Oggi il Verbo di Dio appare vestito di carne e colui che mai fu visibile agli occhi umani cominciò a poter essere toccato anche con le mani.
Oggi, per le voci degli angeli i pastori conobbero il Salvatore nato nella sostanza della nostra carne e della nostra anima; e i responsabili del gregge del Signore oggi hanno appreso il modo di predicare il vangelo, e perciò anche noi con le schiere celesti diciamo: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà! ( Lc 2,14 ).
Per quanto, dunque, lo stato infantile che la maestà del Figlio di Dio non si è sdegnata di assumere abbia poi raggiunto, col succedersi degli anni, l'età adulta e, dopo il trionfo della passione e della risurrezione, si siano succedute tutte le azioni che l'umiltà di Cristo ha accettato per noi, tuttavia l'odierna festività della nascita di Gesù da Maria vergine ne rinnova i sacri inizi; e mentre adoriamo la natività del nostro Salvatore dimostriamo insieme di celebrare il nostro inizio.
La generazione di Cristo infatti è l'origine del popolo cristiano, e la nascita del capo è la nascita del corpo.
Abbia in esso ognuno degli eletti il suo posto e tutti i figli della Chiesa siano pur distinti dalla successione dei tempi; ciò nondimeno tutti i fedeli nel loro complesso, sorti al fonte battesimale, con lui sono stati generati in questo Natale, come sono stati crocifissi con Cristo nella passione, nella risurrezione risuscitati e nell'ascensione collocati alla destra del Padre.
Qualsiasi uomo che in qualsivoglia parte del mondo, viene rigenerato in Cristo, diventa, con la nuova nascita, un uomo nuovo, e viene interrotta la vecchia successione originale; non deriva più dunque dalla generazione carnale del padre, ma dal germe del Salvatore che si è fatto figlio dell'uomo perché noi potessimo essere figli di Dio.
Se infatti egli non fosse a noi disceso con tanta umiltà, nessuno sarebbe pervenuto a lui con i propri meriti.
Leone Magno, Sermoni, 26,1-2
La nascita di Cristo non deriva da una necessità, ma dalla potenza di Dio …
É il sacramento del suo amore, che ridona la salvezza agli uomini.
Colui che ha fatto nascere l'uomo da una terra vergine, ha fatto nascere, con la propria nascita, un uomo da un corpo inviolato.
La mano che aveva preso della terra per plasmarci, ha voluto assumere essa stessa la carne per rinnovarci.
Il Creatore nella creatura e Dio nella carne: è un onore per la creatura senza essere un disonore per il Creatore.
Perché, uomo, hai poco valore ai tuoi occhi, mentre sei prezioso agli occhi di Dio?
Perché ricerchi da quale materia sei stato tratto e non il senso della tua esistenza?
Questa grande dimora che è il mondo visibile non è stata forse costruita per te?
Per te la luce scaccia le tenebre che ti circondano, limita la notte e misura il giorno.
Per te il cielo si illumina al diverso chiarore del sole, della luna e delle stelle.
Per te la terra è cosparsa di fiori, di foreste e di frutti.
Per te fu creata così bella la stupefacente varietà degli esseri viventi nell'aria, nel campi e nell'acqua …
Ma il Signore vuole aumentare ancora la tua gloria.
Imprime in te la sua immagine, perché questa immagine visibile renda manifesta sulla terra la presenza del Creatore invisibile; ti ha dato il suo posto in questo mondo terrestre perché il grande regno di questo mondo non sia privo di un rappresentante del Signore …
E ciò che Dio ha creato in te con la sua potenza, ha avuto la bontà di assumerlo in sé.
Ha voluto manifestarsi realmente nell'uomo, nel quale, fino a quel momento, era apparso soltanto in immagine.
Ha concesso all'uomo di essere in realtà quello che prima era soltanto per somiglianza …
Per questo, Cristo ha assunto in sé infanzia e ha accettato di essere nutrito; si è inserito nel tempo per instaurare la sola età perfetta, l'età che rimane e che lui stesso aveva fatto.
Porta l'uomo perché l'uomo non possa più cadere; colui che egli aveva creato terrestre, ora lo fa divenire celeste.
A colui che era vivificato da un'anima umana, dona la vita dello Spirito di Dio; lo trasporta interamente in Dio al punto che non resta più nulla in lui di tutto ciò che era peccato, morte, pena, dolore, di tutto ciò che era puramente terreno, in virtù dei meriti di nostro Signore Gesù Cristo che essendo Dio, vive e regna con il Padre nell'unità dello Spirito Santo, ora e sempre per tutti i secoli dei secoli.
Pietro Crisologo, Sermoni, 148
Cristo è nato: rendetegli gloria! Cristo è disceso dai cieli: andategli incontro!
Cristo è qui sulla terra: siatene fieri! Cantate al Signore da ogni angolo della terra! ( Sal 96,1 ).
Per esprimere, anzi, due concetti in una sola volta: Si allietino i cieli ed esulti la terra ( Sal 96,11 ), nel nome di colui che sta nei cieli, cioè, e poi per il fatto che sia disceso sulla terra.
Cristo si è incarnato: tremate ed esultate; il timore è per il peccato, la gioia per la speranza.
Cristo è nato dalla Vergine! Donne, conservate la verginità, se volete esser madri di Cristo.
Chi osa rifiutare adorazione e lode a colui che è principio e fine? …
Oggi celebriamo la nostra festa: la venuta di Dio fra gli uomini, che ci consentirà di raggiungere Dio o, per dir meglio, di ritornare a lui, dopo aver deposto l'uomo vecchio ed esserci rivestiti del nuovo.
Allo stesso modo come, nell'Adamo vecchio, siamo morti, così, nel Cristo, vivremo: nati, crocifissi, sepolti e risorti con lui.
Una bella trasformazione, infatti, deve aver luogo dentro di me, in seguito alla quale, come dai piaceri sono scaturite le sofferenze, così queste ultime divengano fonte di gioia.
Ove infatti ha abbondato il peccato, sovrabbonderà anche la grazia ( Rm 5,20 ) e, se il godimento è stato motivo di condanna, quanto più la passione di Cristo ha recato giustificazione?
Non manifestiamo, perciò, la nostra esultanza come si suol fare nelle pubbliche festività, ma in maniera conforme a Dio; non con criteri umani, ma in modo soprannaturale!
Non celebriamo le cose che sono nostre, bensì quelle di colui che è nostro o, per meglio dire, quelle del Signore; non rallegriamoci per ciò che provoca l'infermità, ma per quanto restituisce la salute; non festeggiamo ciò che riguarda la creazione, ma la rigenerazione!
E come sarà possibile far questo! Basterà non cingere di corone le porte delle case, non formar cori, non decorare le vie, non rallegrare gli occhi, non addolcire l'udito con il canto, non spargere effeminati profumi, non soddisfare smodatamente la gola, non abbandonarsi al piacere del tatto, evitando cioè di intraprendere le vie che conducono al vizio e di aprire le porte al peccato.
Non dovremo rammollirci con abiti vistosi ed eleganti, quanto più appariscenti tanto più inutili, né con lo splendore delle gemme o dell'oro né con l'artificio dei cosmetici, che nascondono la bellezza naturale e profanano l'immagine.
Non indulgeremo a crapule e ubriachezze ( Rm 13,13 ), cui si accompagnano, lo so bene, lussuria e impudicizia: le cattive opinioni, infatti, dipendono dai cattivi maestri o, piuttosto, i cattivi raccolti dalle cattive seminagioni.
Non ci fabbricheremo morbidi letti, per dare al ventre una confortevole dimora.
Non ci cureremo del profumo dei vini né dei manicaretti dei cuochi né della raffinatezza degli unguenti.
Né la terra né il mare dovranno recarci in dono il prezioso sterco ( a tale stregua, infatti, sono solito ritenere il lusso ) né dovremo nutrire l'ambizione di fare a gara l'un con l'altro nell'intemperanza.
Ritengo una dimostrazione d'intemperanza, infatti, possedere tutto ciò che è superfluo e al di là del necessario, mentre altri, impastati della stessa argilla e dotati della nostra medesima natura, soffrono la fame e si dibattono nella miseria.
Lasciamo tutto ciò ai pagani, al loro lusso e alle loro feste; essi, infatti, ritengono che gli dèi si compiacciano del profumo degli animali arrostiti, praticando, di conseguenza, il culto divino con il loro ventre: dei loro perfidi demoni essi ne sono perversi inventori, sacerdoti, cultori.
Da parte nostra invece, che adoriamo il Verbo, se proprio una gioia debba esservi, rallegriamoci nel Verbo, nella legge divina, nelle narrazioni, in tutto ciò, insomma, donde tragga motivo questa nostra festa: solo così, infatti, la gioia sarà adatta e conveniente a colui che ci ha convocato.
Gregorio di Nazianzo, La nascita di Cristo, 1,4-6
Cristo Signore è in eterno senza inizio presso il Padre; eppure tu puoi chiedere oggi: che è? É il Natale.
Di chi? Del Signore. Ma è nato il Signore? Sì.
Il Verbo che era in principio, Dio presso Dio, è dunque nato? Sì.
Se egli non avesse avuto una generazione umana, noi non saremmo mai pervenuti alla rigenerazione divina.
Egli è nato perché noi rinascessimo. Cristo è nato: nessuno esiti a rinascere.
É stato generato, ma non per essere rigenerato.
Chi ha necessità infatti di essere rigenerato, se non colui la cui generazione è dannata?
Così si è diffusa nei nostri cuori la sua misericordia.
Sua madre lo portò nel seno: e noi portiamolo nel cuore.
La Vergine si è fatta gravida all'incarnazione del figlio: e i nostri cuori siano gravidi della fede di Cristo.
La Vergine partorì il Salvatore: la nostra anima partorisca la salvezza, partoriamo la lode.
Non restiamo sterili: le anime nostre siano feconde per Dio.
Agostino, Discorsi, 189,3 ( Sulla nascita del Signore )
La nostra fede non consiste nel lasciarci convincere da parole vane, o trasportare dagli impulsi del sentimento, o affascinare da discorsi persuasivi: essa è l'assenso dato alle parole pronunciate per mezzo della potenza divina.
Queste parole, Dio le ha consegnate al Verbo, e il Verbo ha parlato per convertire l'uomo dalla sua disobbedienza, non già costringendolo con la violenza a una fede servile, ma lasciandolo pienamente libero di rispondere alla sua chiamata.
Questo Verbo il Padre l'ha mandato nella pienezza del tempo.
Non voleva più che egli parlasse attraverso i profeti, o si lasciasse oscuramente intuire nell'annuncio che di lui veniva fatto: gli disse di manifestarsi a viso scoperto perché il mondo, vedendolo, fosse portato al timore di Dio …
Sappiamo che il Verbo ha assunto un corpo incarnandosi in una vergine e ha portato il vecchio uomo realizzando in sé la nuova creazione …
Sappiamo che egli è veramente uomo, costituito della nostra stessa natura: se non fosse così, invano avrebbe ordinato di imitarlo come maestro.
E infatti, se quest'uomo avesse una natura diversa dalla mia, come potrebbe ordinarmi di essere simile a lui, mentre io sono così debole?
Dove sarebbero la sua bontà e la sua giustizia? così, per non essere considerato diverso da noi, egli ha sopportato la fatica, ha voluto soffrire la fame e la sete, si è abbandonato al sonno, non si è sottratto al dolore e ha obbedito alla morte manifestando infine la sua risurrezione.
In tutto questo egli ha offerto come primizie la propria umanità, perché tu, quando soffri, non ti perda di coraggio, ma, riconoscendoti uomo, aspetti anche tu quello che il Padre ha dato a lui …
Quando conoscerai Dio come egli è, avrai un corpo immortale e incorruttibile come l'anima e giungerai al regno dei cieli.
Poiché durante la tua vita sulla terra hai riconosciuto il re celeste, Dio ti farà suo amico ed erede insieme con Cristo: così non sarai più schiavo dei desideri, delle passioni e delle malattie.
Infatti sei diventato Dio.
I dolori che hai sofferto in quanto uomo, Dio te li ha dati perché sei un uomo; ma tutto quello che è proprio di Dio, lui ha promesso di concedertelo perché tu sei stato divinizzato, reso immortale.
« Conosci te stesso » significa dunque: riconosci Dio che ti ha fatto.
É giusto che colui che è chiamato da Dio lo riconosca e sia da lui riconosciuto …
Cristo infatti è Dio sopra ogni cosa ( Rm 9,5 ), e ha ordinato che il peccato degli uomini sia lavato, per creare di nuovo il vecchio uomo, che fin dall'inizio, anticipando la realtà, aveva chiamato sua immagine, e per mostrare così la sua tenerezza per te.
Se tu obbedisci ai suoi santi comandamenti e se, con la tua bontà, imiti colui che solo è buono, diventerai simile a lui e partecipe della sua grandezza.
Dio non è un mendicante, e ha fatto dio anche te per la sua gloria.
Ippolito di Roma, Confutazione di tutte le eresie, 10,33-34
L'uomo dapprima, a motivo dei numerosi peccati sbocciati dalla radice del male, ricevette, a seconda delle diverse cause e circostanze, molteplici castighi: con la parola, con la legge, attraverso i profeti, per mezzo di benefici, con minacce, calamità, inondazioni, incendi, con guerre, vittorie, sconfitte, con segni dal cielo, dallo spazio, dalla terra, dal mare, con repentini sconvolgimenti di uomini, di città, di popoli.
Tutto, sempre, al solo scopo di sconfiggere il male.
Nondimeno l'uomo avvertì il bisogno di un rimedio ben più efficace, dal momento che i suoi mali si facevano sempre più terribili: reciproci assassinii, adulteri, falsi giuramenti, sodomie e, ciò che rappresenta il principio e il culmine di tutti i mali, il culto degli idoli e l'adorazione rivolta non più al Creatore, ma alle creature.
Gli uomini, così, richiesero un aiuto più efficace per questi mali; e l'ottennero.
Questo, peraltro, fu rappresentato dallo stesso Figlio di Dio, l'eterno, l'invisibile, l'incomprensibile, l'incorporeo, principio da principio, luce da luce, fonte di vita e di immortalità, immagine dell'originaria bellezza, impronta inalterabile e somigliantissima, termine e ragione del Padre.
Egli, dunque, si accosta alla propria immagine e, a beneficio della carne, si riveste di carne; nell'interesse della mia anima, si unisce con l'anima intellettiva, allo scopo di purificare il simile con il simile.
Condivide ogni aspetto della condizione umana, ad eccezione del peccato; concepito dalla Vergine, preservata da qualsiasi contaminazione, per opera dello Spirito, nell'anima e nel corpo ( pur nella considerazione verso l'atto generativo, infatti, occorreva soprattutto salvaguardare la verginità ); Dio e, insieme, uomo, unità scaturita da due dimensioni fra loro antitetiche, carne e Spirito; l'uno per divinizzare, l'altra per esser divinizzata.
Che straordinaria mescolanza! Che unione meravigliosa!
Colui che è, si sottopone alla legge del divenire; l'increato viene creato; colui che nessuno spazio vale a contenere, nell'assumere l'anima intellettiva, si trova ad esser compreso fra la divinità e lo spessore della carne.
Colui che è in grado di donare la ricchezza subisce la povertà: si sottopone, infatti, alla miseria della mia carne, per consentirmi di conseguire la ricchezza della sua divinità.
Colui che è pieno, si svuota di tutto, privandosi della propria gloria perché io divenga partecipe della sua pienezza.
Che ricchezza di bontà! Di quale evento misterioso sono fatto oggetto!
Ho ricevuto la divina immagine e non l'ho custodita; egli allora diviene partecipe della mia carne per recare la salvezza anche all'immagine, l'immortalità anche alla carne.
Si unisce così una seconda volta a noi, in una maniera molto più straordinaria della precedente: mentre prima, infatti, aveva comunicato a noi le sue qualità più eccelse, ora invece diviene egli stesso partecipe della nostra miseria.
Il che, agli occhi di chi sappia intendere, appare più divino e sublime di ciò che già conoscevamo.
Che cosa affermano, invece, riguardo a questi argomenti, i calunniatori e i pungenti inquisitori della divinità, denigratori di tutto ciò che è degno di lode, torbidi e grossolani, creature ingrate, simulacri del Maligno, per i quali Cristo è morto inutilmente?
Contesti, dunque, a Dio i suoi benefici, come se costituissero una colpa?
Forse perché si è fatto piccolo e povero per il tuo bene?
Perché, come un buon pastore che dona la vita per le sue pecore ( Gv 10,11 ), è venuto alla ricerca della pecorella smarrita, attraverso i monti e i colli sui quali tu compivi i sacrifici, e, dopo averla trovata mentre vagava senza meta, se l'è posta su quelle spalle ( Lc 15,4 ) che sosterranno poi anche il legno della croce, riconducendola così alla vita eterna, assieme a tutte le altre che non si sono mai allontanate dal gregge?
Accusi, forse, Dio perché egli ha acceso la lucerna, cioè il suo corpo, e ha spazzato la casa, purificando, vale a dire, il mondo dal peccato, e ha ritrovato la dracma, cioè la regale immagine deturpata dai vizi e dalle passioni, convocando, alla fine, gli angeli suoi amici, che aveva chiamato a collaborare al suo piano di salvezza, e rendendoli partecipi della gioia? …
Per questo accusi Dio? Poiché lo ritieni un essere dappoco, per il fatto che si cinge d'un panno e lava i piedi dei discepoli, mostrando, così, come l'umiltà sia la miglior strada per raggiungere i più alti vertici?
O, forse, perché egli abbassa la propria anima sino a terra, allo scopo di esaltare chi si umilia nella consapevolezza del peccato?
Oppure rimproveri a Dio il fatto che egli frequenti i pubblicani, mangiando presso di loro e convertendoli in discepoli, per guadagnarli a sé?
Ma a quale scopo tutto ciò? Per la salvezza dei peccatori; a meno che qualcuno non voglia contestare anche al medico il fatto che egli si avvicini alle malattie e sopporti il cattivo odore, per guarire gli infermi.
Gregorio di Nazianzo, La nascita di Cristo, 13-15
L'Incarnazione del Verbo riguarda sia il passato che l'avvenire; le epoche più remote non furono private di questo mistero di salvezza.
Gli apostoli hanno predicato ciò che i profeti avevano annunciato.
Ciò che uomini di ogni tempo hanno creduto non si è realizzato troppo tardi.
La sapienza e la bontà di Dio hanno invece differito l'opera della salvezza per renderci più capaci di rispondere al suo invito.
Perché ciò che molti segni, parole e riti avevano predetto in figura, non poteva essere messo in dubbio nei giorni del Vangelo.
La nascita del Salvatore che sorpassa tutti i miracoli e le capacità dell'intelligenza umana ha suscitato in noi una fede più salda perché numerose predizioni antiche l'avevano preceduta.
Dio non ha dunque pensato alle necessità degli uomini con la nuova decisione di una misericordia tardiva.
Ma dalla creazione del mondo ha stabilito per tutti un'unica sorgente di salvezza.
Infatti la grazia di Dio, per cui tutti i santi sono sempre stati giustificati, è aumentata e non iniziata con la nascita del Salvatore.
Questo mistero d'immenso amore che ora riempie il mondo era già molto accentuato nelle sue prefigurazioni.
Chi l'ha accolto in promessa, l'ha ottenuto allo stesso modo di chi l'ha ricevuto quando si è realizzato.
Carissimi, è dunque con una misericordia evidente che le immense ricchezze della bontà divina sono state profuse in noi.
Chiamati all'eternità non siamo sostenuti soltanto dagli esempi del passato, ma la stessa verità ci è apparsa visibile e incarnata.
Così dobbiamo celebrare la nascita del Signore con una gioia ardente e soprannaturale.
Ognuno lo farà con tutto il fervore possibile.
Ricorderà di qual corpo è membro e a quale capo è unito.
Eviterà con ogni cura di essere una pietra non squadrata, che non si incorpora all'edificio sacro.
Considerate, carissimi, e alla luce dello Spirito Santo sappiate riconoscere chi è colui che ci ha accolti in sé e che abbiamo ricevuto in noi.
Perché come il Signore Gesù nascendo è divenuto nostra carne, così noi rinascendo siamo diventati suo corpo.
Siamo diventati membra di Cristo e tempio dello Spirito Santo; per questo l'Apostolo dice: Glorificate dunque Dio nel vostro corpo ( 1 Cor 6,20 ) …
Egli stesso ci aiuterà e ci guiderà al compimento delle sue promesse.
Leone Magno, Sermone 3,4-5
Non ha nessun valore dichiarare uomo vero e perfetto il figlio della beata Vergine Maria, Cristo nostro Signore, se non si crede che sia stato uomo nel modo che ci descrive il Vangelo.
Dice infatti Matteo: Genealogia di Gesù Cristo, figlio di Davide, figlio di Abramo ( Mt 1,1 ) e, a partire dall'origine dell'umanità, tratteggia la linea delle generazioni fino a Giuseppe, a cui era sposata la madre del Signore.
Luca invece percorre a ritroso la medesima strada e risale fino al capo del genere umano, mostrando così che il primo e l'ultimo Adamo sono della stessa natura.
Per insegnare agli uomini la verità e per renderli giusti, l'onnipotenza del Figlio di Dio aveva già voluto manifestarsi ai patriarchi e ai profeti, e proprio sotto l'aspetto di un uomo: un uomo che si era fatto protagonista di una lotta ( Gen 32,23ss ), o si era trattenuto in una conversazione amichevole, accettando l'ospitalità fino a prendere il cibo che gli veniva offerto.
Ma tutte queste immagini erano soltanto figure, annunci profetici di colui che si sarebbe incarnato nella stirpe dei padri che lo avevano preceduto.
Nessuna figura dunque poteva compiere in sé il sacramento della nostra redenzione preparato da tutta l'eternità, perché lo Spirito Santo non era ancora disceso sulla Vergine, e la potenza dell'Altissimo non l'aveva ancora coperta della sua ombra.
Allora soltanto la Sapienza si sarebbe costruita una casa, e in quel grembo inviolato il Verbo si sarebbe fatto carne; la natura di Dio si sarebbe unita a una natura di schiavo in una sola persona; il creatore del tempo sarebbe nato nel tempo, e colui per mezzo del quale tutte le cose sono state fatte, sarebbe stato generato come ogni altra creatura.
Se infatti questo uomo nuovo, venuto in una carne simile a quella del peccato, non avesse assunto la forma del vecchio uomo; se colui che ha la stessa sostanza del Padre non avesse condiviso quella della madre, unendo a sé la nostra natura in tutto tranne che nel peccato, l'umanità intera sarebbe rimasta prigioniera sotto il dominio del diavolo.
Infine non avremmo potuto partecipare al trionfo della sua vittoria, se con essa non fosse stata congiunta la nostra natura.
Da questa meravigliosa partecipazione è venuta a noi la luce del sacramento della nuova nascita, in cui - grazie allo Spirito per opera del quale Cristo fu concepito e venne al mondo - anche noi, che siamo stati generati per concupiscenza di carne, nasciamo di nuovo spiritualmente dall'alto.
Per questo l'evangelista definisce i credenti: Quelli che sono nati, non da sangue, né da volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma da Dio ( Gv 1,13 ).
Ma chi si rifiuta di credere nel mistero che è l'essenza stessa della nostra salvezza non può partecipare a questa grazia ineffabile, non può essere ammesso tra i figli adottivi di Dio.
Leone Magno, Lettere, 31,2-3
Oh, mi fosse possibile vedere quella mangiatoia in cui un giorno giacque il Signore!
Ora noi cristiani, per onorarlo, abbiamo tolto la mangiatoia di creta sostituendola con una d'argento.
Ma per me quella che è stata tolta è più preziosa.
Al mondo pagano si addice l'oro e l'argento; la fede cristiana preferisce quella mangiatoia di creta.
Colui che in essa è nato, disdegna l'oro e l'argento.
Io non disprezzo coloro che, per onorarlo, hanno collocato qui la mangiatoia d'argento, come non disprezzo coloro che hanno approntato vasi d'oro per il tempio.
Ma io ammiro il Signore che, quantunque creatore del mondo, non nacque tra l'oro e l'argento, ma sulla creta.
Girolamo, Predica sul Natale del Signore
Riconosciamo, o carissimi, nei magi che adorano Cristo la primizia della nostra vocazione e della nostra fede, e con animo esultante celebriamo l'inizio della beata speranza.
Da quel punto noi abbiamo cominciato a entrare nell'eterna eredità; da quel punto ci si sono aperti gli arcani della Scrittura che parla di Cristo e la verità, non riconosciuta dai ciechi giudei, ha diffuso la sua luce fra tutte le genti.
Sia onorato dunque da noi quel giorno sacratissimo in cui apparve l'autore della nostra salvezza; e colui che i magi venerarono infante nella cuna, noi adoriamolo onnipotente in cielo.
E come essi dai loro forzieri presentarono al Signore i mistici doni, così noi dai nostri cuori presentiamo ciò che è degno di Dio.
Quantunque egli infatti sia l'elargitore di tutti i beni, cerca tuttavia anche il frutto della nostra buona volontà: il regno dei cieli non è infatti per chi dorme, ma per chi fatica e veglia nella legge del Signore.
Così, se non renderemo inutili i suoi doni, meriteremo, per ciò che ci ha dato, di ottenere ciò che ci ha promesso.
Onde esortiamo la vostra carità che vi asteniate da ogni opera cattiva e vi dedichiate alla giustizia e alla castità.
I figli della luce devono infatti rigettare le opere delle tenebre ( Rm 13,12 ).
Perciò fuggite l'odio, rigettate la menzogna, distruggete la superbia con l'umiltà, rifiutate l'avarizia, amate la generosità: è ben giusto che le membra si addicano al loro capo.
In tal modo saremo degni di partecipare alla beatitudine promessaci.
Leone Magno Sermoni, 32,4
Il miracolo con il quale nostro Signore Gesù Cristo cambiò l'acqua in vino ( Gv 2,6-10 ), non ha niente di stupefacente per coloro che sanno che fu Dio a farlo.
Infatti, chi in quel giorno, durante le nozze, produsse del vino in quelle sei anfore che aveva fatto riempire di acqua, è quello stesso che ogni anno fa ciò nelle viti.
Ciò che i servi avevano versato nelle anfore, fu cambiato in vino per opera di Dio, come per opera del medesimo Dio si cambia in vino ciò che cade dalle nubi.
Se non ci meravigliamo di questo, è perché accade ogni anno: per la continuità ha perso la meravigliosità.
Pur tuttavia, esso meriterebbe maggior considerazione di ciò che accadde dentro le anfore d'acqua.
Chi può, infatti, considerare le opere del Signore, con le quali regge e governa il mondo tutto intero, e non esser preso da grande stupore e come schiacciato da tanti prodigi?
La potenza di un grano solo di un qualsiasi seme è così grande, da far quasi paura a chi vi ponga attenzione.
Ma siccome gli uomini, occupati in altre cose, hanno perduto la considerazione delle opere di Dio, mediante la quale dare ogni giorno gloria al Creatore, Dio si è come riservato di compiere cose inusitate, per indurre gli uomini dormienti, attraverso cose mirabili, ad adorarlo.
Se un morto è risuscitato, gli uomini restano stupefatti; ogni giorno nascono tanti, e nessuno se ne stupisce.
Eppure, se consideriamo attentamente, è più gran miracolo che cominci ad essere chi non era, piuttosto che riprenda la vita chi già era.
Ed è il medesimo Dio, Padre del nostro Signore Gesù Cristo, che per mezzo del Verbo suo fa tutte queste cose, e lui che le ha fatte, le governa.
I primi miracoli li ha fatti per mezzo del Verbo suo, che è presso di lui e Dio egli stesso; i secondi, per mezzo dello stesso Verbo suo incarnato e fatto uomo per noi.
Come ammiriamo le cose fatte per mezzo di Gesù uomo, ammiriamo anche quelle fatte per mezzo di Gesù Dio.
Per mezzo di lui furono fatti il cielo e la terra, il mare e tutta la magnificenza del cielo, l'opulenza della terra, la fecondità del mare.
Tutte queste cose che si distendono dinanzi agli occhi, sono state fatte per mezzo di Gesù Dio.
Noi le vediamo queste cose, e se in noi c'è il suo Spirito, così ci piaceranno da farci lodare l'artefice, e non ce lo faranno dimenticare, distratti da queste sue opere, quasi volgendo le spalle a lui che le fece, per fissare gli occhi nelle cose fatte.
Queste cose le vediamo, si stendono dinanzi agli occhi: che dire allora di ciò che non vediamo, come sono gli angeli, le virtù, le potestà, le dominazioni, ogni abitante di quella dimora sopraceleste, inaccessibile ai nostri occhi?
Benché spesso gli angeli, quando è stato necessario, si siano manifestati agli uomini.
E forse non è Dio che, ancora per mezzo del suo Verbo, cioè del suo Figlio unigenito nostro Signore Gesù Cristo, ha fatto tutte queste cose?
La stessa anima umana, che nessuno vede, e tanta meraviglia desta, a chi ben consideri, per via delle opere che esprime attraverso la carne, da chi è stata fatta se non da Dio?
E per mezzo di chi è stata fatta, se non per mezzo del Figlio di Dio?
Non parliamo ancora dell'anima dell'uomo: guardate l'anima di un qualsiasi animale; come regge il suo corpo!
Rende attivi tutti i sensi, gli occhi per vedere, le orecchie per udire, le narici per fiutare, il gusto per discernere i sapori, le membra stesse, infine, per compiere le loro funzioni.
É il corpo, o non è piuttosto l'anima, colei cioè che abita nel corpo, che fa queste cose?
Certo, essa è invisibile, e sono le sue opere che destano l'ammirazione.
Accostiamoci adesso alla considerazione anche dell'anima umana, cui Dio dette l'intelligenza per conoscere il suo Creatore, per discernere e distinguere il bene dal male, cioè il giusto dall'ingiusto: che cosa non compie essa per mezzo del corpo!
Considerate l'universo mondo, ordinato nella società umana: quali governi, quale differenza di gerarchia nei poteri, quale diversità di stati, di leggi, di costumi, di arti!
Tutto questo è l'anima che lo dirige, e questa potenza dell'anima non si vede.
Appena è separata dal corpo, lascia un cadavere; quando gli è unita, è come se ne impedisse la putrefazione, quasi lo imbalsamasse.
Ogni carne, difatti, è corruttibile e si dissolve nella putrefazione, a meno che l'anima, come un qualche balsamo, non la preservi.
Ma ciò che veniamo dicendo è comune all'anima dell'uomo come all'anima dell'animale; sono più da ammirarsi le cose che ho detto prima, quelle che sono proprie dello spirito e della ragione, dove l'uomo che fu fatto a immagine del suo Creatore, secondo questa immagine è rinnovato.
Quale sarà la potenza dell'anima, quando anche questo nostro corpo avrà rivestito l'incorruttibilità, e ciò che è mortale avrà rivestito l'immortalità? ( 1 Cor 15,53 ).
Se tanto può per mezzo di una carne corruttibile, che cosa non potrà per mezzo di un corpo spirituale, dopo la risurrezione dei morti?
E tuttavia quest'anima, come già ho detto, di natura e sostanza ammirabili, spirituale e intelligibile com'è, è stata fatta anch'essa per mezzo di Gesù Dio, poiché egli è il Verbo di Dio, e le cose tutte furono fatte per mezzo di lui, e senza di lui nulla fu fatto ( Gv 1,3 ).
Ora, di fronte a cose tanto grandi fatte per opera di Gesù Dio, perché ci meravigliamo se l'acqua è cambiata in vino per opera di Gesù uomo?
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 8,1-3
I miracoli che fece nostro Signore Gesù Cristo, sono opere divine che insegnano alla mente umana a elevarsi al di sopra delle cose visibili per comprendere ciò che è Dio.
Siccome Dio è una natura che non è visibile agli occhi del corpo, e siccome i miracoli, con i quali egli regge e governa tutto il mondo e ogni creatura dell'universo, sembrano aver perduto valore perché ininterrottamente si ripetono - tanto che nessuno pensa più di apprezzare la pur stupefacente e mirabile potenza divina che si manifesta anche in un chicco di grano - nella sua misericordia egli si riservò alcune cose da compiere al momento opportuno e al di fuori del normale corso degli avvenimenti naturali, in modo da suscitare stupore alla vista di tali fatti, non maggiori, ma insoliti rispetto a quei quotidiani avvenimenti che non destano più impressione.
É certamente un maggiore miracolo il governare tutto il mondo, che saziare cinquemila uomini con cinque pani; e, tuttavia, nessuno se ne stupisce, mentre gli uomini si meravigliano di fronte al miracolo dei pani, non perché si tratta di una cosa maggiore dell'altra, ma perché è rara.
Chi, infatti, nutre tutto il mondo, se non colui che da pochi chicchi crea le messi?
E il Signore agì proprio come agisce Dio.
Con la sua potenza divina moltiplica pochi chicchi facendone nascere le messi, e con la stessa potenza moltiplicò nelle sue mani i cinque pani.
Vi era potenza infatti nelle mani di Cristo, e quei cinque pani erano come semi di grano che non furono gettati in terra nei solchi, ma furono moltiplicati da colui che aveva creato la terra.
Questo fatto colpisce i nostri sensi e ci obbliga a elevare la mente; questo prodigio, compiuto sotto i nostri occhi, ci spinge a sforzare l'intelletto, in modo da ammirare, attraverso le opere visibili, Dio invisibile, e in modo da desiderare, dopo esserci innalzati alla fede ed esserci per mezzo di essa purificati, di riuscire a vedere Dio, la cui natura invisibile abbiamo conosciuto attraverso le opere visibili.
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 24,1
Non dobbiamo meravigliarci se Dio compie un miracolo: sorprendente sarebbe se fosse un uomo a farlo.
Deve essere quindi per noi oggetto di gioia più che di stupore il fatto che il Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo si è fatto uomo, più di quanto non lo sia il fatto che Dio ha compiuto tra noi opere divine.
L'essersi fatto uomo per noi ha giovato alla nostra salvezza assai più dei miracoli che egli ha compiuto tra noi; e l'aver sanato i mali dell'anima è più importante che l'aver sanato le malattie del corpo destinato a morire.
Ma, poiché l'anima non conosceva colui dal quale doveva essere guarita, e aveva nel corpo occhi per vedere le cose sensibili e materiali, mentre non aveva ancora sani gli occhi del cuore per riconoscere Dio nascosto, il Signore compì opere che potevano essere vedute, per sanare quegli altri occhi che non erano capaci di vederlo.
Egli entrò in un luogo ove giaceva una grande moltitudine di ammalati, ciechi, zoppi, paralitici; e siccome era il medico e delle anime e dei corpi, ed era venuto per guarire le anime di tutti coloro che avrebbero creduto in lui, scelse tra quei malati, per guarirlo, uno solo, come segno dell'unità.
Se noi consideriamo chi era colui che operava, e lo facciamo con attenzione superficiale e secondo i soliti criteri umani di intendere e di conoscere, non troveremo qui né un grande miracolo - se pensiamo alla potenza di lui - né un atto di grande bontà - se pensiamo alla sua benignità.
Erano tanti, gli ammalati, e uno solo fu guarito: eppure il Signore, con una sola parola, avrebbe potuto sanarli tutti.
Cosa dobbiamo concludere? Dobbiamo concludere che a quella potenza e a quella bontà interessavano più gli insegnamenti che le anime potevano trarre per la vita eterna da ciò che veniva compiuto, che non quanto poteva esser fatto per la salute di quei corpi ammalati.
La salute dei corpi, quella vera che attendiamo dal Signore, si realizzerà alla fine dei secoli, nella risurrezione dei morti: allora, ciò che vivrà non morrà più, ciò che sarà guarito non si ammalerà più, chi sarà stato saziato non avrà più né fame né sete, ciò che allora sarà rinnovellato non conoscerà più vecchiaia.
Se consideriamo adesso i fatti operati dal Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo, vediamo che gli occhi dei ciechi, aperti miracolosamente, furono rinchiusi dalla morte, e le membra dei paralitici, sciolte dal miracolo, furono di nuovo immobilizzate dalla morte: tutto ciò che temporalmente fu sanato nel corpo mortale, alla fine fu disfatto; ma l'anima che credette, passò alla vita eterna.
Con questo infermo il Signore ha voluto dare un grande segno all'anima che avrebbe creduto, per la cui remissione dei peccati era venuto, e per sanare le cui debolezze egli si era umiliato.
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 17,1
Rese ai ciechi gli occhi che la morte avrebbe poi ancora chiusi; risuscitò Lazzaro, che sarebbe dovuto ancora morire.
E tutto ciò che fece per la salute del corpo, non lo fece perché fosse eterna; quantunque alla fine donerà anche ai corpi la salute eterna.
Ma ciò che gli uomini non vedevano non lo credevano; con queste azioni terrene, che gli uomini vedevano, costruiva la fede in ciò che essi non vedevano …
Il Signore dunque fece tutto ciò per invitare gli uomini alla fede.
E questa fede ora è fervida nella Chiesa, diffusa in tutto il mondo.
E ora si compiono guarigioni maggiori, in vista delle quali egli non disdegnò, allora, di mostrare quelle, minori.
Come infatti l'anima è migliore del corpo, così la salute dell'anima è migliore della salute del corpo.
Oggi il corpo cieco non apre gli occhi per miracolo del Signore, ma il cuore cieco apre gli occhi alla parola del Signore.
Oggi il cadavere mortale non risorge, ma risorge l'anima che giaceva morta nel cadavere vivente.
Oggi le orecchie corporee e sorde non si aprono alla voce, ma quanti hanno chiuse le orecchie del cuore, che poi spalancano alla parola di Dio, tanto che credono coloro che non credevano e vivono bene quelli che vivevano male, e obbediscono coloro che disobbedivano.
E noi diciamo: « Adesso crede », e ce ne meravigliamo, quando udiamo dire ciò di coloro che conoscevamo duri e impenetrabili.
Ma perché tanto ti stupisci che uno creda, che sia innocente, che serva a Dio, se non perché constati che ora vede colui che sapevi cieco, che ora vive colui che sapevi morto, che ora ode colui che sapevi sordo?
Agostino, Discorsi, 88,1.3
Di molti re e condottieri, le cui vestigia tuttora permangono, le imprese sono relegate nel più completo oblio.
Benché abbiano fondato città, costruito mura, riscosso vittorie e trionfi in guerra e ridotto in sudditanza molti popoli, essi non sono più noti né di fama né di nome, a dispetto anche delle statue che eressero e delle leggi che promulgarono.
Che, al contrario, una prostituta abbia versato profumo nella casa di un lebbroso ( Mt 26,6-13; Mc 14,3-9; Gv 11,2; Gv 12,3-7 ), alla presenza di dieci uomini, tutti lo raccontano per il mondo intero e, ancora dopo tanto tempo, il ricordo dell'episodio non si è attenuato.
Persiani, indi, sciti, traci, sarmati, mauritani, quanti dimorano nelle isole britanniche continuano a parlare di ciò che fece una prostituta in Giudea, fra le pareti di una casa.
La grande bontà del Signore accetta che una prostituta baci i suoi piedi, li unga di profumo e li asciughi con i capelli; la lascia fare e rimprovera quanti la riprendono.
Quella donna, infatti, grazie all'amore così profondo che dimostrava, non era meritevole di alcun biasimo.
E considera, infatti, di che animo sublime e misericordioso si mostrassero in seguito i discepoli.
Per qual motivo, poi, il Signore non si limitò semplicemente a dire: « Ha compiuto un'opera buona »; ma se ne uscì, prima di tutto, con queste parole: « Perché molestate questa donna? ».
Si comportò a quel modo acciocché i discepoli imparassero che ai deboli non si possono richiedere, sin dal primo momento, le cose più sublimi.
Il Signore, pertanto, non prende unicamente in considerazione il fatto in sé e per sé, bensì in rapporto alla persona della donna.
Se si attenesse alla legge, infatti, non ne parlerebbe affatto; se lo fa, invece, è perché tu intenda che il Signore ha parlato in difesa di quella donna affinché i discepoli non frustrassero la sua fede che stava germogliando, ma, al contrario, la favorissero.
Egli si esprime a quel modo, dunque, per farci comprendere che il bene, qualunque esso sia e da qualsiasi persona provenga, ancorché non assolutamente perfetto, va favorito e sostenuto e incrementato, senza che da parte nostra si pretenda, fin dal principio, la totale realizzazione della perfezione …
Questa volta, infatti, le circostanze non richiedevano che l'azione di quella donna fosse resa ancor migliore, ma semplicemente che venisse accettata.
Supponiamo, infatti, che qualcuno avesse chiesto al Signore, senza che la donna l'avesse ancora compiuta, di poter assolvere a quell'opera; ebbene, in questo caso, il Signore avrebbe risposto che non si doveva agire a quel modo.
Ora però, dal momento ch'ella l'aveva già compiuta, egli si limitò a considerare quest'unica cosa, affinché la donna non fosse angustiata dal rimprovero dei discepoli, ma anzi divenisse, con il suo aiuto, più zelante e progredisse in modo sempre più degno.
Dopo che il profumo fu versato, infatti, non fu certo opportuno il rimprovero dei discepoli …
Il Signore si comporta così per non spegnere il fervore della donna e tutto ciò che dice è per farle coraggio.
Inoltre, giacché egli aveva detto: Lo ha fatto per la mia sepoltura ( Mt 26,12; Mc 14,8 ), osserva come, poi, affinché la donna non rimanesse sconcertata udendo parlare di sepoltura e di morte, il Signore la conforti dicendo: Nel mondo intero si parlerà di ciò che costei ha fatto ( Mt 26,13; Mc 14,9 ).
Ciò rappresentava una consolazione per i discepoli e una lode e un sollievo per la donna.
« Tutti in avvenire la loderanno », disse il Signore, preannunciando così, con il riferimento alla sepoltura, la propria passione: nessuno, in tal modo, avrebbe rimproverato quella donna.
Io stesso, infatti, sono ben lontano dal condannarla, come se avesse compiuto del male, o dal rimproverarla, come se si fosse macchiata d'un delitto; non permetterò, al contrario, che la sua azione rimanga nascosta, ma voglio che il mondo conosca ciò che è accaduto nel segreto di una casa.
É stato il frutto, infatti, d'una mente pia, di una fede ardente e di un cuore contrito.
Perché mai, allora, il Signore non ha promesso nulla di spirituale alla donna, ma unicamente un ricordo perpetuo?
Proprio perché, in virtù dell'uno, ella fosse indotta a sperare anche nell'altro.
Se, infatti, ha compiuto un'opera buona, ne riceverà certamente adeguata ricompensa.
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 80,2
« Io completo nella mia carne ciò che manca alla passione di Cristo per il suo corpo che è la Chiesa » ( Col 1,24 )
Stiamo per prender parte alla Pasqua: per il momento questo avverrà ancora in figura, anche se in modo più manifesto che nella legge antica.
Potremmo dire infatti che allora la Pasqua era un simbolo oscuro di ciò che tuttavia resta ancora simbolo.
Ma fra poco vi parteciperemo in modo più perfetto e più puro, quando il Verbo berrà con noi la nuova Pasqua nel regno del Padre ( Mt 26,29 ).
Egli, facendosi nostro maestro, ci svelerà allora quello che attualmente ci mostra solo in parte e che resta sempre nuovo, anche se lo conosciamo già.
E quale sarà questa bevanda che gusteremo?
Sta a noi impararlo: lui ce lo insegna, comunicando ai discepoli la sua dottrina; e la dottrina è nutrimento anche per colui che la dispensa.
Partecipiamo dunque anche noi a questa festa rituale: secondo il Vangelo però, non secondo la lettera; in modo perfetto, non incompleto; per l'eternità, non per il tempo.
Scegliamo come nostra capitale non la Gerusalemme di quaggiù, ma la città che è nei cieli; non la città che ora è calpestata dagli eserciti, ma quella che è glorificata dagli angeli.
Non immoliamo a Dio giovani tori o agnelli che mettono corna e unghie, vittime prive di vita e di intelligenza, ma offriamogli un sacrificio di lode sull'altare del cielo insieme con i cori angelici.
Apriamo il primo velo, avviciniamoci al secondo e fissiamo lo sguardo verso il Santo dei santi.
Dirò di più: immoliamo a Dio noi stessi; anzi, offriamoci a lui ogni giorno e in ogni nostra azione.
Accettiamo tutto per amore del Verbo; imitiamo con i nostri patimenti la sua passione.
Rendiamo gloria al suo sangue con il nostro sangue.
Saliamo coraggiosamente sulla croce: dolci sono quei chiodi, anche se fanno molto male.
Meglio soffrire con Cristo e per Cristo che vivere con altri nei piaceri.
Se sei Simone il Cireneo, prendi la croce e segui Cristo.
Se sei stato crocifisso come un ladro, fa' come il buon ladrone e riconosci Dio.
Se per causa tua e del tuo peccato Cristo fu trattato come un fuorilegge, tu, per amor suo, obbedisci alla legge.
Appeso tu pure alla croce, adora colui che vi è stato inchiodato per te.
Sappi trarre profitto dalla tua stessa iniquità, acquistati con la morte la salvezza.
Entra in paradiso con Gesù, per comprendere quali beni hai perso con la caduta.
Contempla le bellezze di quel luogo e lascia pure che il ladrone ribelle, morendo nella sua bestemmia, ne resti escluso.
Se sei Giuseppe d'Arimatea, richiedi il corpo di Cristo a chi lo ha fatto crocifiggere e sia tua così la vittima che ha espiato il peccato del mondo.
Se sei Nicodemo, il fedele delle ore notturne, ungilo con aromi per la sepoltura.
Se sei l'una o l'altra Maria, o Salome, o Giovanna, piangi su di lui, levandoti di buon mattino.
Cerca di vedere per primo la pietra sollevata, d'incontrare forse gli angeli o la persona stessa di Gesù.
Gregorio Nazianzeno, Omelia 45 ( sulla santa Pasqua ), 23-24
Ti chiederai come fu possibile che Gesù, quando si trasfigurò alla presenza dei discepoli che aveva condotto con sé su di un alto monte, sia apparso loro nella forma divina che possedeva fin da principio, mentre a quelli che erano rimasti ai piedi del monte si sia mostrato in forma di schiavo …
Ma ascolta le mie parole, meditandole nel tuo spirito.
Il testo non dice semplicemente « si trasfigurò », ma Matteo e Marco aggiungono entrambi una precisazione necessaria: « si trasfigurò davanti a loro ».
In base a tale aggiunta, dovrai dire che era veramente possibile che Gesù si trasfigurasse davanti ad alcuni, senza trasfigurarsi, nello stesso tempo, davanti agli altri.
Se vuoi anche tu contemplare la trasfigurazione di Gesù quale essa avvenne davanti ai discepoli che erano saliti con lui, in disparte, sull'alto del monte, considera il Gesù dei vangeli.
Egli viene intuito in maniera più semplice e, per così dire, conosciuto secondo la carne, da coloro che non salgono l'alto monte della sapienza mediante le opere e i discorsi elevati.
Egli però non viene più conosciuto secondo la carne ma, predicato come Dio in tutti i Vangeli, egli viene come tale riconosciuto nella sua forma divina, da coloro che salgono con lui sulla montagna, secondo la contemplazione interiore che ne hanno …
Gesù non trasfigura soltanto se stesso davanti a questi discepoli, e non aggiunge alla trasfigurazione della sua persona soltanto lo splendore del suo volto rifulgente come il sole; anche i suoi abiti appaiono risplendenti come la luce …
Gli abiti di Gesù sono le sue parole e gli scritti del Vangelo, di cui è come rivestito.
Io penso infatti che anche tutto quello che gli apostoli hanno riferito di lui è veste di Gesù, che diventa luminosa per coloro che salgono con lui sulla montagna …
Se dunque ti capita d'incontrare qualcuno che non solo espone con sottigliezza la dottrina della divinità di Gesù, ma sa anche farla trasparire da ogni parola del Vangelo, non esitare ad affermare che per lui le vesti di Gesù sono diventate splendenti come la luce.
Origene, Commento al vangelo di san Matteo, 12,37-38
Gesù prese con sé in disparte Pietro, Giacomo e Giovanni, suo fratello ( Mt 17,1 ) e, asceso con essi un alto monte, mostrò loro lo splendore della sua gloria: infatti, sebbene avessero riconosciuto in lui la maestà di Dio, ignoravano ancora la potenza di quel corpo in cui era celata la divinità.
Ad alcuni discepoli presenti aveva promesso a questo proposito - in termini chiari e precisi - che non sarebbero morti prima d'aver visto il Figlio dell'uomo venire nel suo regno, cioè nello splendore regale che spettava, in maniera tutta particolare, alla natura umana che aveva assunta e che volle rendere visibile a questi tre uomini.
Non era infatti possibile che dei mortali, ancora rivestiti di carne, potessero in alcun modo vedere e contemplare quell'ineffabile e inaccessibile visione della divinità, che è riservata nella vita eterna ai puri di cuore.
In presenza di testimoni scelti, il Signore manifesta dunque la sua gloria, e quel corpo che gli è comune col resto degli uomini, lo illumina di tale fulgore, che il suo volto si fa splendente come il sole e le sue vesti divengono candide come la neve.
Scopo principale di questa trasfigurazione era di cancellare dal cuore dei discepoli lo scandalo della croce, così che l'umiliazione della passione volontaria di Cristo non turbasse la fede di coloro ai quali era stata rivelata la grandezza della sua dignità nascosta.
Ma con uguale provvidenza veniva fondata la speranza della santa Chiesa: infatti l'intero corpo di Cristo diventava consapevole della trasformazione che gli era riservata e le membra potevano ripromettersi, la partecipazione a quella gloria, che avevano vista risplendere nel capo …
Pietro, colmo della gioia della visione, desiderava dimorare con Gesù lì, nei luogo ove era allietato dalla manifestazione della sua gloria; per questo esclamò: Signore, è bene per noi stare qui: se vuoi, facciamo qui tre tende: una per te, una per Mosè e una per Elia ( Mt 17,4 ).
Ma, a questo suggerimento, il Signore non diede risposta, per mostrare all'apostolo che il suo desiderio non era cattivo, ma disordinato.
Dato che il mondo non poteva essere salvato se non con la morte di Cristo, l'esempio del Signore indirizzava la fede dei credenti proprio a questo: senza che ci fosse lecito dubitare della beatitudine promessa, noi dovevamo tuttavia comprendere che, fra le tentazioni di questa vita, la pazienza è da chiedersi prima della gloria, perché la felicità del regno non può precedere il tempo della sofferenza.
Ed ecco, mentre ancora parlava, una nube luminosa li ricoprì con la sua ombra e, dalia nube, una voce diceva: Questi è il mio Figlio diletto, nel quale mi sono compiaciuto: ascoltatelo ( Mt 17,5 ) …
« Ascoltatelo »: lui che apre la via del cielo e, per mezzo del supplizio della croce, prepara per voi dei gradini che ascendono al regno.
Perché temete di essere redenti? Perché, feriti come siete, avete paura di essere guariti? …
Deponete la paura carnale e armatevi della costanza della fede: è infatti indegno che temiate, nella passione del Signore, quello che, per sua grazia, non temereste nemmeno nel momento della morte.
Queste cose, dilettissimi, non sono state dette solo per utilità di quelli che le ascoltarono con le proprie orecchie: in quei tre apostoli tutta intera la Chiesa imparò ciò che i loro occhi videro e le loro orecchie ascoltarono.
Si rinfranchi quindi la fede di tutti secondo l'insegnamento del santo Vangelo e nessuno arrossisca della croce di Cristo per la quale il mondo è stato redento.
Leone Magno Sermoni, 51,2-3.5-8
Questo nostro tempo di miseria e di lacrime viene simboleggiato dai quaranta giorni prima della Pasqua; il tempo che seguirà, di letizia, di pace, di felicità, di vita eterna, di regno senza fine, che ancora non è, è simboleggiato invece da questi cinquanta giorni in cui noi eleviamo lodi a Dio.
Ci vengono cioè presentati due tempi: uno prima della risurrezione del Signore, l'altro dopo la risurrezione del Signore; uno è il tempo in cui siamo, l'altro è il tempo in cui speriamo di essere un giorno.
Il presente tempo di pianto, simboleggiato dai giorni di quaresima, lo simboleggiamo e in esso siamo; ma il tempo di gioia, di pace e di regno, simboleggiato da questi giorni di Pentecoste, lo esprimiamo con l'alleluia, ma non possediamo ancora le lodi.
Ma ora sospiriamo l'alleluia. Che significa l'alleluia? « Lodate Dio ».
Ma non possediamo ancora le lodi, si ripetono nella Chiesa le lodi di Dio dopo la risurrezione, perché la nostra lode sarà eterna dopo la nostra risurrezione.
La passione del Signore simboleggia il nostro tempo, questo in cui piangiamo.
I flagelli, le catene, gli obbrobri, gli sputi, la corona di spine, il vino misto al fiele, l'aceto sulla spugna; gli insulti, gli obbrobri, e infine la stessa croce, le sacre membra pendenti dal legno, cosa ci simboleggiano se non il tempo in cui viviamo, tempo di tristezza, tempo di morte, tempo di tentazione!
Perciò un tempo fetido; ma sia fetore di letame nel campo, non in casa.
Si piangono i peccati, non le brame inappagate.
É un tempo fetido: ma se ne usiamo bene, un tempo fedele.
Che cosa è più fetente di un campo coperto di letame?
Era bello il campo prima che il carro di letame lo ricoprisse: è stato reso fetido perché diventasse ubertoso.
Dunque il fetore è simbolo di questo tempo: ma per noi tale fetore sia tempo di fertilità.
Agostino, Discorsi 254,4-5
La Passione di nostro Signore e Salvatore Gesù Cristo è una testimonianza di gloria e un insegnamento di pazienza e di rassegnazione.
Che cosa non può aspettarsi dalla grazia divina il cuore dei credenti, per i quali il Figlio unico e coeterno del Padre non solo si è accontentato di nascere uomo fra gli uomini, ma ha anche voluto morire per mano degli uomini da lui stesso creati?
Grandi sono le promesse del Signore.
Ma ciò che ha compiuto per noi e il cui ricordo rinnoviamo continuamente, è assai più grande ancora.
Donde erano e chi erano quegli empi per i quali Cristo è morto?
Ha loro offerto la sua morte: chi mai potrebbe dubitare che darà ai giusti la sua vita?
Perché la debolezza umana esita a credere che verrà un giorno in cui gli uomini vivranno con Dio?
Ciò che è già avvenuto è di gran lunga più incredibile: Dio è morto per gli uomini.
Chi è Cristo, se non ciò che la sacra Scrittura dice: In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e il Verbo era Dio ( Gv 1,1 )?
Questo Verbo di Dio si è fatto carne e abitò tra noi ( Gv 1,14 ).
Egli non avrebbe avuto in sé alcunché di mortale, se non avesse preso da noi una carne mortale.
Così l'immortale poté morire; così egli volle donare la sua vita ai mortali.
In seguito farà partecipare della sua vita coloro la cui condizione ha in un primo tempo condivisa.
Alla nostra sola essenza di uomini non apparteneva la possibilità di vivere, come alla sua non apparteneva quella di morire.
Fece dunque con noi questo scambio mirabile: prese da noi ciò per cui è morto, mentre noi prendiamo da lui ciò per cui vivremo …
Non solo non dobbiamo provare vergogna per la morte di Dio nostro Signore, ma dobbiamo ricavarne la più grande fiducia e la più grande fierezza.
Nel ricevere da noi la morte che ha trovato in noi, ci ha fedelmente promesso di darci la vita in lui, quella vita che non potevamo avere da noi stessi.
E se colui che è senza peccato ci ha amati al punto da subire per noi, peccatori, ciò che avremmo meritato per il nostro peccato, come potrà non darci ciò che è giustizia, lui che ci giustifica e ci discolpa?
Come non darà ai giusti la loro ricompensa, lui che è fedele alle sue promesse e che ha subìto la pena dei colpevoli?
Riconosciamo senza timori, fratelli miei, e proclamiamo che Cristo è stato crocifisso per noi.
Diciamolo senza timore e con gioia, senza vergogna e con fierezza.
L'apostolo Paolo l'ha visto, lui che ne ha fatto un titolo di gloria.
Dopo aver rammentato le grandi e numerose grazie ricevute da Cristo, non dice che si vanta di queste meraviglie bensì afferma: Quanto a me, non sia mai che mi giovi d'altro se non della croce del Signore nostro Gesù Cristo ( Gal 6,14 ).
Agostino, Discorso 218/C ( sulla passione del Signore )
Il Messia era in croce.
La meraviglia afferrò il creato, il mondo si scosse, gli angeli cessarono nella loro lode a Dio.
Cessarono gli angeli e un grande stupore si impossessò delle loro file.
Se ne stavano mute tremando le schiere celesti, le loro voci erano legate, e nessuno osava emettere un solo suono.
Lento si muoveva il loro volo, essendo essi caduti in una tristezza tacita.
Erano oppressi dallo stupore e non riuscivano ad esprimere una sola parola; si meravigliavano per il crocifisso e i loro canti di lode erano sconvolti.
Poi se ne tornarono al cielo, e il re rimase solo, abbandonato.
Nessuna legione scese, per aiutarlo, dalla casa del nostro Padre, e nessuna schiera dei suoi celesti abitatori lo circondò.
I cherubini non gli fecero scorta al Golgota e i serafini non innalzarono nessun « santo », perché egli era stato innalzato sulla croce.
In quel tempo nessuno professò la sua fede nel re crocifisso, al di fuori di colui che, nei suoi grandi dolori, a lui si rivolse.
Nessun'altra voce rivolse a lui una preghiera: né dal profondo né dall'alto giunse un suono al suo orecchio; solo il ladrone diresse alta la sua voce verso l'alto della croce e divenne quasi la bocca del mondo superiore e del mondo inferiore con le parole della sua professione.
Egli solo combatté contro l'errore e non vi fu nessun'altra voce che si unì in suo aiuto.
Con energia e fermezza non badò allo scandalo che soffriva: prese il partito della fede con la sua alta professione.
Dall'alto della croce egli elevò la sua voce a Gesù e meravigliò i celesti per il coraggio di cui diede prova.
Nessun'altra bocca innalzò la lode di Dio e tutte le gole furono mute per la professione di fede.
Tra gli spettatori dominava ovunque l'angoscia e il dubbio e fra i rinnegati vi era solo scherno e insulto.
Anche negli apostoli la fede si era indebolita, perché lo spirito della tristezza aveva riempito il loro cuore di terrore.
In quell'ora, quando perfino i suoi più fedeli erano provati dal dubbio, si innalzò il ladrone e con franchezza professò la sua fede nel Figlio.
Tommaso era fuggito, Pietro aveva rinnegato e perfino quel discepolo che il Signore aveva amato se ne stava lontano.
Nel momento del dolore Giovanni si comportava come un estraneo: se ne stava in disparte, intimidito per ciò che accadeva al Figlio che pendeva in croce.
Tuttavia non era fuggito, non perché fosse più coraggioso dei suoi compagni, ma per l'amore al Crocifisso che egli ben conosceva.
Da quel sommo sacerdote stesso il suo amore era stato rinforzato; egli voleva vedere se avrebbe incusso terrore o sarebbe stato condannato.
Se ne stava perciò discosto, osservando come veniva insultato; ma una parola di fede egli non riusciva a innalzarla, perché era tutto intimorito.
Nella cena aveva giaciuto sul suo petto, ma alla crocifissione egli non ebbe l'ardire di avvicinarglisi.
In quell'ora terribile, quando perfino Giovanni era intimorito, il ladrone innalzò un'alta professione di fede.
Anche Maria non era in grado di professare in lui la sua fede; quasi estranea lo osservava, oppressa dall'angoscia.
Si sentiva trafitta da una spada, avendolo essa partorito; proprio come le aveva annunciato il vecchio Simeone.
L'angoscia per il Figlio amato aveva sconvolto l'animo della madre, ed essa non era più in grado di avvicinarglisi, perché lui era stato innalzato.
Se ne stava schiacciata dall'angoscia, dirigendo il suo sguardo sul Figlio tanto vituperato, ma non osava avvicinarglisi per timore dei lupi che lo circondavano.
E mentre la stessa madre del re, colpita a morte dalla spada del dolore, restava inattiva, il ladrone si affrettò a rivolgere a lui una breve preghiera.
Mentre Maria era impietrita piangendo sul Figlio, il ladrone rivolse a lui la sua voce supplicandolo ardentemente.
Non gli fece solo un cenno, non gli sussurrò solo a bassa voce.
Non si lasciò impressionare vedendolo fitto in croce, spoglio e nudo; non si meravigliò per le sue tante ferite.
Il suo cuore non si lasciò intimorire, pur vedendo la schiera dei carnefici.
La sua fede non era ancora perfetta, ma non era neppure contagiata dal dubbio.
Il clamore del popolo inferocito non gli fece impressione, non si lasciò distogliere dal fanatismo degli infedeli, non ascoltò le grida di vituperio dei bestemmiatori e non lo turbarono le parole di obbrobrio dei calunniatori.
Di tutto ciò non ebbe cura ma si dispose tutto, con franchezza, a professare la sua fede.
Piegò il suo capo e con fede innalzò la sua voce gridando a Gesù: « Signore, ricordati di me quando giungerai nel tuo regno e nella tua gloria, che ora è celata! ».
O uomo, com'è salda dunque la tua fede! Questo tuo agire è stupendo, se lo si considera a fondo.
Chi ti ha rivelato qualcosa del regno di Gesù? Chi ti ha annunciato la sua potenza?
Ecco: sei testimone del suo obbrobrio, insieme al Figlio tu sei crocIfisso, eppure tu credi che nella sua gloria egli possa ricordarsi di te?
Come mai sei giunto al punto che la tua voce annunzia il suo avvento?
Chi ti ha insegnato che egli apparirà sulla terra col suo regno?
E dove hai visto la sua gloria che tu annunci?
Chi ha ammaestrato te, un ladrone, sulla sua venuta, che tu ti rivolgi a lui con tanta fiducia, come a un re?
Dov'è la sua potenza? Su chi domina e quando verrà?
Dove sono gli strumenti del suo potere, dov'è il suo popolo, dov'è la sua terra?
Dove sono le migliaia delle sue schiere che lo circondano, dove sono le folle del suo popolo che lo seguono?
Dov'è la truppa che lo precede e lo serve?
Su quale carro viaggia egli, quando avanza in corteo festoso?
Ecco: tu vedi un uomo, affisso, inchiodato alla croce, spoglio e nudo, disteso e sfinito, percosso e crocifisso; come mai sei giunto al punto di cercare dietro tutto ciò un regno?
Sei veramente convinto che egli può garantirti ciò di cui lo preghi, egli, che è privo di ogni mezzo? …
Chi ti ha detto qualcosa della ricchezza di Gesù, della quale tu vuoi impossessarti?
Chi ti ha istruito sul suo regno, per il quale lo preghi?
Chi ti ha manifestato che è un re, dato che lo sai?
E che voce ti ha spinto alla professione di fede, mentre egli è affisso in croce?
Lo contempli lacerato dai dolori più acerbi: dove vedi tu il re straziato a morte dai suoi sudditi?
Di questi pensieri e di questi dubbi che si accavalcavano non se ne preoccupò il ladrone.
Senza lasciarsi prendere dallo scandalo, si rivolse piangendo al Crocifisso, quantunque da tutte le parti la tempesta dell'infedeltà lo avvolgesse e le risa di scherno salissero alle sue orecchie da tutte le labbra.
Per quanto le bestemmie rumoreggiassero intorno a lui come le onde del mare e il popolo si mostrasse mutato in un torrente travolgente di peccato.
Quantunque ciascuno che passasse per via scuotesse il capo e se ne andasse oltre, insultandolo, e tutti quelli che per caso giungevano là se ne passassero elevando risa di scherno.
Quantunque i rabbini continuassero a parlare e i sacerdoti diffondessero menzogne.
Quantunque Anna lo avesse con leggerezza insultato e maledetto e anche Caifa si fosse reso la lingua stessa dell'oltraggio.
Quantunque le voci di dubbio si imponessero, nonostante tutto ciò il ladrone elevò il suo grido e fece risuonare alta la sua professione di fede.
Quantunque il canto fanatico dei bestemmiatori lo minacciasse, egli, con sincerità, elevò il suo inno coraggioso tra il frastuono.
Quantunque il clamore avesse dovuto intimorirlo e scoraggiarlo, gridò egli tuttavia al Messia: « Ricordati di me, o Signore, quando giungerai nel tuo regno ».
Si voltò allora il Signore e vide che la sua schiera non era con lui e che i suoi eletti, nell'ora del dolore, gli avevano voltato le spalle: dovette constatare che lo aveva abbandonato perfino il capo dei suoi, Simone, da lui scelto; e anche Giovanni, che stava lontano come un estraneo.
Dovette rendersi conto infine che uno di loro l'aveva tradito e venduto per denaro, che un altro lo aveva bestemmiato e che tutti i rimanenti se l'erano svignata, ed erano fuggiti.
Egli allora cominciò a gridare: I miei amici e i miei compagni si sono innalzati contro di me nel mio dolore e persino i miei parenti, come è successo che mi stanno lontano? ( Sal 38,12 ).
« Dimmi, o uomo, chi ti ha rivelato il mio regno?
Dove hai visto ciò di cui mi preghi nell'ora del dolore? ecco: gli stessi annunziatori della fede sono fuggiti, e tu, un ladrone, come mai annunci il mio regno?
Chi ti ha istruito su quella gloria nella quale io un giorno verrò; chi ti ha convinto che io sono re? »
Rispose allora il ladrone al Crocifisso, alla sua domanda: « Sì, tu sei un re: non rigettare perciò la mia preghiera!
Nell'aula del tribunale l'ho sentito chiaro e forte da te stesso, quando fosti interrogato dal giudice.
Quando ti chiese se tu fossi un re; tu rispondesti: " Il mio regno non è di questo mondo, cioè terreno ".
E Pilato soggiunse: " Tu dunque, tu sei un re, poiché lo dichiari! ".
Queste parole m'hanno rivelato la tua regalità.
Che tu sia dunque un re l'ho saputo da te stesso; queste tue parole hanno acceso in me una luce che ora arde possente; e brucia in me la fede e l'amore per te, o re!
E anche della tua gloria, per la quale io ti supplico, tu stesso mi hai messo al corrente: da te, infatti, ho udito che verrai un giorno nella gloria.
Quando il sommo sacerdote si strappò le vesti, allora io indossai l'abito della fede, rifugiandomi in te.
Tu possiedi una gloria misteriosa nell'alto, e in quella apparirai.
In un altro mondo tu sei re in tutta maestà; in quel tuo regno vi sono schiere che ti obbediscono, eserciti pronti a compiere la tua volontà.
Ecco: la natura è muta e sconvolta perché ti stanno uccidendo, e i morti parlano nelle tombe della tua bontà.
Il sole è scomparso, la luna è fuggita da queste tenebre; il terremoto che ha scosso la terra, le rocce che si sono spezzate, i sepolti che vivono, le ossa che si muovono, i morti che risorgono: tutto testimonia la tua regalità, tutto testimonia che tu sei Dio ».
Allora si manifestò la grazia del Misericordiosissimo ed elargì al ladrone la corona: aveva superato infatti ogni scandalo; a sé lo legò, il Misericordiosissimo nel suo amore, e legò se stesso con un giuramento, affinché quegli non dubitasse del premio che era ancor lontano.
« In verità, o uomo, - gli disse - credi e sii convinto che sarai con me nel giardino del paradiso, che è pieno d'ogni felicità! ».
Anche di me, o Gesù, che sono la voce della tua lode, anche di me ricordati, o Signore, nel tuo regno, affinché lassù io canti la tua gloria!
Giacomo di Batna, Carme sul buon ladrone
Oggi il Signore Gesù è sulla croce e noi facciamo festa: impariamo così che la croce è festa e solennità dello spirito.
Un tempo la croce era nome di condanna, ora è diventata oggetto di venerazione; un tempo era simbolo di morte, oggi è principio di salvezza.
La croce è diventata per noi la causa di innumerevoli benefici: eravamo divenuti nemici e ci ha riconciliati con Dio; eravamo separati e lontani da lui, e ci ha riavvicinati con il dono della sua amicizia.
Essa è per noi la distruzione dell'odio, la sicurezza della pace, il tesoro che supera ogni bene.
Grazie alla croce non andiamo più errando nel deserto, perché conosciamo il vero cammino; non restiamo più fuori della casa del re, perché ne abbiamo trovato la porta; non temiamo più le frecce infuocate del demonio, perché abbiamo scoperto una sorgente d'acqua.
Per mezzo suo non siamo più nella solitudine, perché abbiamo ritrovato lo sposo; non abbiamo più paura del lupo, perché abbiamo ormai il buon pastore.
Egli stesso infatti ci dice: Io sono il buon pastore ( Gv 10,11 ).
Grazie alla croce non ci spaventa più l'iniquità dei potenti, perché sediamo a fianco del re.
Ecco perché facciamo festa celebrando la memoria della croce.
Anche san Paolo invita ad essere nella gioia a motivo di essa: Celebriamo questa gesta non con il vecchio lievito … ma con azzimi di sincerità e di verità ( 1 Cor 5,8 ).
E, spiegandone la ragione, continua: Cristo infatti, nostra Pasqua, è stato immolato per noi ( 1 Cor 6,7 ).
Capite perché Paolo ci esorta a celebrare la croce?
Perché su di essa è stato immolato Cristo.
Dove c'è il sacrificio, là si trova la remissione dei peccati, la riconciliazione con il Signore, la festa e la gioia.
« Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato » per noi.
Immolato, ma dove? Su un patibolo elevato da terra.
L'altare di questo sacrificio è nuovo, perché nuovo e straordinario è il sacrificio stesso.
Uno solo è infatti vittima e sacerdote: vittima secondo la carne, sacerdote secondo lo spirito …
Questo sacrificio è stato offerto fuori dalle mura della città per indicare che si tratta di un sacrificio universale, perché l'offerta è stata fatta per tutta la terra.
Si tratta di un sacrificio di espiazione generale, e non particolare come quello dei giudei.
Infatti ai giudei Dio aveva ordinato di celebrare il culto non in tutta la terra, ma di offrire sacrifici e preghiere in un solo luogo: la terra era infatti contaminata per il fumo, l'odore e tutte le altre impurità dei sacrifici pagani.
Ma per noi, dopo che Cristo è venuto a purificare tutto l'universo, ogni luogo è diventato un luogo di preghiera.
Per questo Paolo ci esorta audacemente a pregare dappertutto senza timore: Voglio che gli uomini preghino in ogni luogo, levando al cielo mani pure ( 1 Tm 2,8 ).
Capite ora fino a che punto è stato purificato l'universo?
Dappertutto infatti possiamo levare al cielo mani pure, perché tutta la terra è diventata santa, più santa ancora dell'interno del tempio.
Là si offrivano animali privi di ragione, qui si sacrificano vittime spirituali.
E quanto più grande è il sacrificio, tanto più abbondante è la grazia che santifica.
Per questo la croce è per noi una festa.
Giovanni Crisostomo, Omelia 1 ( sulla croce e sul ladrone )
Cristo condusse in paradiso il ladrone, nonostante il peso delle sue colpe senza numero e d'ogni sorta ( Lc 23,39-43 ) …
E non soltanto ve lo condusse, ma ciò fece ancor prima che a chiunque altro e agli stessi apostoli.
Nessuno dei posteri, così, avrebbe potuto disperare, da parte sua, di entrare nel regno e, vedendo il ladrone compiere il suo ingresso nel regio palazzo, a dispetto dei suoi infiniti peccati, nessuno avrebbe smarrito ogni speranza della propria salvezza.
Ma vediamo un po' se, per caso, il ladrone abbia sofferto travagli e compiuto buone azioni e prodotto frutti.
Nulla del genere è dato d'affermare: la verità è che, con una semplice parola e con la sola manifestazione della propria fede, egli saltò in paradiso prima degli apostoli, perché tu comprenda che non furono i suoi meriti a ottenergli tanto, ma fu la bontà di Dio a compiere ogni cosa. Che cosa disse, infatti, il ladrone?
Che cosa fece? Digiunò, forse? Pianse? Si addolorò? Fece per lungo tempo penitenza?
Nulla di tutto questo: fu sulla croce stessa, invece, che, dopo la sentenza di condanna, ottenne la salvezza.
E guarda un po' che tempestività: dalla croce al cielo, dal supplizio alla salvezza!
Ma quali sono, dunque, queste parole pronunciate dal ladrone?
Quale efficacia racchiudono, insomma, per consentirgli, istantaneamente e senza bisogno d'altro, di conseguire un risultato così straordinario?
Ricordati di me, disse, quando avrai fatto ritorno nel tuo regno ( Lc 23,42 ).
Ebbene, che cosa significano queste parole?
L'uomo si limitò a chiedere che qualcosa di buono gli venisse concesso, senza peraltro dimostrare, con i fatti, alcuno zelo; colui che conosceva il suo cuore, però, non guardò alle semplici parole, ma allo slancio interiore che le aveva ispirate.
Infatti coloro che erano stati istruiti dai testi dei profeti, che avevano visto i segni ed erano stati testimoni dei miracoli, dicevano del Cristo: Ha un demonio addosso e sobilla la folla ( Mt 11,18 ); il ladrone, invece, pur non avendo ascoltato i profeti né assistito a prodigi e benché lo avesse visto inchiodato a una croce, non guardò alla condizione infamante cui era sottoposto né fece caso all'ignominia della quale era divenuto oggetto, ma, al contrario, avendo presente la sola dimensione divina, disse: « Ricordati di me, quando avrai fatto ritorno nel tuo regno ».
É straordinario e incredibile!
Vedi la croce, e ti viene in mente il regno?
Che cosa hai visto mai, che possa esserne degno?
Un uomo crocifisso, schiaffeggiato, deriso, accusato, coperto di sputi, flagellato: tutto questo, forse, è degno del regno?
Vedi, allora, come il ladrone guardò con gli occhi della fede, senza lasciarsi ingannare dalle apparenze?
Ed è per questo che Dio non si limitò a considerare le semplici parole, ma, allo stesso modo come quello che aveva guardato alla divinità, così il Signore, leggendo nel cuore del ladrone, disse: Oggi sarai con me in paradiso ( Lc 23,43 ).
Giovanni Crisostomo, Omelie sul Genesi, 7
Il mistero della Pasqua è nuovo e antico, senza tempo e nel tempo, corruttibile e incorruttibile, mortale e immortale.
Antico secondo la legge, ma nuovo secondo la Parola; nel tempo secondo la figura, eterno secondo la grazia.
Corruttibile per l'uccisione dell'agnello, incorruttibile per la vita del Signore; mortale per la sepoltura nella terra, immortale per la risurrezione dai morti.
Antica è la legge, ma nuova è la Parola; nel tempo è la figura, eterna è la grazia.
Corruttibile è l'agnello, incorruttibile è il Signore: immolato come agnello, risorto come Dio.
Perché come una pecora è stato condotto al macello ( Is 53,7 ); ma non era una pecora; come un agnello senza voce ( At 8,32 ), ma non era un agnello.
Il simbolo è passato e la realtà si è svelata.
Al posto di un agnello è venuto Dio, al posto di una pecora un uomo: e in quest'uomo, Cristo che contiene tutto in sé.
E dunque, il sacrificio dell'agnello e la celebrazione della Pasqua e la lettera della Legge sono contenute nel Cristo Gesù, attraverso il quale sono accadute tutte le cose, nella Legge antica e più ancora nella Parola nuova …
Infatti la salvezza del Signore e la verità sono state prefigurate nel popolo di Israele e le affermazioni del Vangelo preannunciate dalla Legge.
Il popolo di Israele era dunque l'abbozzo di un disegno e la Legge la lettera di una parabola.
Il Vangelo invece è spiegazione e pienezza della Legge, e la Chiesa il luogo che contiene la verità.
L'immagine era dunque preziosa prima della realizzazione, e la parabola mirabile prima dell'interpretazione.
In altre parole: il popolo d'Israele aveva un valore prima che la Chiesa sorgesse, e la legge era mirabile prima che il Vangelo diffondesse la sua luce.
Ma quando sorse la Chiesa e fu annunziato il Vangelo, l'immagine divenne vana, perché trasmise la sua forza alla realtà; la Legge ebbe compimento, perché trasmise la sua forza al Vangelo …
Il Signore si era rivestito dell'uomo.
Aveva sofferto per chi soffriva, era stato legato per chi era tenuto prigioniero, condannato per chi era colpevole, sepolto per chi era nella tomba.
E ora è risorto dai morti e ha gridato a gran voce: « Chi potrà citarmi in giudizio? Si faccia pure avanti!
Sono io che ho scelto il condannato, io che ho ridato al morto la vita, io che ho risuscitato il sepolto.
Chi mi può contraddire? Io - dice - sono il Cristo; io sono colui che ha distrutto la morte, trionfato sul nemico, calpestato l'inferno; io ho incatenato il potente e sollevato l'uomo verso l'alto dei cieli.
Io - dice - sono il Cristo. Venite dunque voi tutte, famiglie degli uomini impastate di peccato, e ricevete il perdono dei peccati.
Perché sono io il vostro perdono, io la Pasqua della salvezza, io l'agnello immolato per voi.
Sono io il vostro riscatto, la vostra vita, la vostra risurrezione.
Io la vostra luce, la vostra salvezza, il vostro re.
Io vi conduco nell'alto dei cieli, io vi mostrerò il Padre immortale, io vi farò risorgere con la mia destra ».
Melitone di Sardi, Sulla Pasqua, 2-6.39-40.100-103
Chi venera veramente la passione del Signore, contempli con gli occhi del cuore Gesù crocifisso, in modo da riconoscere che la carne di lui è la sua propria carne.
Trema al supplizio del Redentore la realtà terrena, si spezzano le pietre dei cuori infedeli e gli uomini oppressi nel sepolcro della mortalità, vi balzano fuori al frantumarsi delle barriere.
E anche ora appaiono nella città santa, cioè nella Chiesa di Dio, come simbolo della futura risurrezione; e avvenga ora nei cuori ciò che avverrà allora nei corpi.
A nessuno, per quanto infermo, viene negata la vittoria della croce, e non vi è nessuno che non sia sorretto dalla preghiera di Cristo.
Se giovò a molti che incrudelivano contro di lui, quanto più aiuterà coloro che a lui si convertono?
Ci è stata tolta l'ignoranza, ci è stata alleviata la difficoltà e la spada di fuoco che impediva l'accesso alla regione della vita è stata spenta dal sacro sangue di Cristo.
Alla vera luce si è ritirata l'oscurità della notte antica.
Il popolo cristiano viene invitato alle ricchezze del paradiso e a tutti i rigenerati è stato aperto l'accesso alla patria perduta, se nessuno però fa sì che a lui venga chiusa la via che la fede del ladrone poté aprire.
Celebrando dunque il mistero ineffabile della festa pasquale, riconosciamo, ammaestrati dallo Spirito di Dio, colui che ci invita a partecipare alla sua gloria, e quale speranza egli ci abbia dischiuso.
E non lasciamoci occupare con tanta ansia, con tanta superbia, dalle opere della vita presente, da non sforzarci di conformarci con tutto l'affetto del cuore al nostro Redentore, seguendone gli esempi.
Nulla infatti egli fece o sopportò che non fosse per la nostra salvezza, affinché la virtù che era nel capo fosse presente anche nel corpo.
Leone Magno, Sermoni, 66,3-4
Quando scende la notte, in cui si consegnerà nelle mani degli accusatori, Gesù distribuisce il suo corpo agli apostoli, dà loro il suo sangue e comanda di ripetere questo gesto in memoria della sua passione.
Ha raccomandato ai discepoli di non temere la morte - non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo ( Mt 10,28 ) - e ora come può proprio lui temere la morte e chiedere che si allontani da lui il calice? …
Padre, se vuoi allontanare da me questo calice ( Mt 26,39 ).
Gesù pronuncia queste parole a causa della debolezza che ha fatto propria.
L'ha presa realmente su di sé, non in modo fittizio.
Si è fatto piccolo e ha assunto realmente la debolezza, per cui non può fare a meno di tremare e di turbarsi.
Avendo assunto la carne e rivestito la debolezza, sente lo stimolo della fame, la stanchezza dopo il lavoro, il bisogno di dormire, perciò quando giunge il momento della morte deve compiere tutto quello che ha preso dalla carne.
In realtà l'angoscia della morte lo assale, per manifestare la sua natura il figlio d'Adamo su cui la morte regnò ( Rm 5,14 ) secondo la parola dell'Apostolo.
Dice anche ai suoi discepoli: « Vegliate e pregate, per non cadere in tentazione. Lo spirito è pronto, ma la carne è debole ( Mt 26,41 ).
Quando la paura vi prende, non è lo spirito che teme dentro di voi, ma la debolezza della carne.
Sappiate che anch'io ho temuto la morte per provarvi con questo timore la realtà della carne che avevo assunto » …
Sì, Gesù ha avuto paura, come ha avuto fame e sete, come si è stancato e ha dormito.
Ha avuto paura perché uomini, nel mondo, non potessero dire: « Ha pagato i nostri debiti senza sofferenza e senza pena »; lo ha fatto anche per impegnare i suoi discepoli ad affidare a Dio la vita e la morte.
Se colui che era sapiente della sapienza stessa di Dio ha chiesto ciò che era bene, tanto più bisogna che coloro che non sanno abbandonino le loro volontà a colui che sa tutto.
Per confortare con la sua passione i discepoli, Gesù è entrato nei loro sentimenti.
Ha preso su di sé la loro paura per mostrare, con la somiglianza della sua anima, che non bisogna vantarsi riguardo alla morte prima di averla subita.
Se colui che non teme nulla, infatti, ha avuto paura e ha domandato di essere liberato pur sapendo che ciò era impossibile, quanto più conviene che gli altri perseverino nella preghiera prima della tentazione per esserne liberati quando si presenterà.
Nell'ora della tentazione i nostri spiriti sono sospinti qua e là e i nostri pensieri divagano.
Per questo Gesù è rimasto in preghiera, per insegnarci che ne abbiamo bisogno di fronte agli inganni e ai tranelli del demonio, per raccogliere con questa preghiera incessante i nostri pensieri dispersi.
Per dare coraggio a coloro che temono la morte, non ha nascosto il proprio timore, perché essi sappiano che questa paura non li conduce al peccato, dal momento che non si fermano in essa.
« Non sia fatta la mia, ma la tua volontà ( Lc 22,42 ) - dice Gesù - che io muoia per dare la vita a una moltitudine ».
Efrem Siro Commento sul Diatessaron, 20,3-4.6-7
Il paradiso era chiuso da migliaia d'anni: oggi la croce ce lo ha aperto.
In questo giorno infatti e in quest'ora Dio vi ha fatto entrare il ladrone, compiendo così due cose meravigliose: ha aperto il paradiso e vi ha introdotto un ladro
Oggi Dio ci ha restituito la nostra patria d'origine, oggi ci ha ricondotti alla città del Padre e ha offerto in dono a tutta l'umanità la sua stessa dimora.
Dice infatti: Oggi tu sarai con me in paradiso ( Lc 23,43 ).
Ma che cosa dici, Signore? Sei lì appeso in croce, confitto con chiodi, e prometti il paradiso?
Sì - mi rispondi - perché tu conosca qual è la mia potenza perfino sulla croce.
Lo spettacolo era molto triste.
E perché non ti arrestassi all'aspetto esteriore della croce, ma giungessi invece a conoscere la potenza del crocifisso, Gesù compie sulla croce questo miracolo che, più di ogni altro, mette in evidenza tutta la sua forza.
Si dimostra infatti capace di cambiare l'animo malvagio del ladrone, non già risuscitando i morti o rimproverando il mare e i venti, non mettendo in fuga i demoni, ma proprio stando lì crocifisso, inchiodato, oltraggiato, sputacchiato, fatto oggetto di scherno e di riso, perché tu potessi vedere i due aspetti della sua potenza.
Ha sconvolto infatti tutta la creazione, ha squarciato le rocce e attratto a sé l'anima del ladrone, più insensibile delle rocce stesse.
Facendogli dono della sua stima, gli ha detto: « Oggi tu sarai con me in paradiso ».
É vero, ci sono dei cherubini a custodia del paradiso, ma egli è padrone anche dei cherubini.
E se là è posta a difesa una spada infuocata e roteante, egli ha potere sul fuoco e sulla geenna, sulla vita e sulla morte.
Nessun re potrebbe certo tollerare che un ladro o qualcuno dei suoi servi facesse con lui il suo ingresso in città, seduto al suo fianco.
Ma Cristo ha fatto proprio questo: entrando nella sua patria santa, vi ha introdotto con sé il ladrone.
Facendo così non ha disonorato il paradiso con la presenza di un ladro, né lo ha profanato: piuttosto gli ha reso onore, perché è una gloria per il paradiso avere un Signore, che è capace di rendere degno della beatitudine del cielo perfino un ladro.
Così pure quando Cristo introduce pubblicani e meretrici nel regno dei cieli, non lo fa per disonorare questo luogo, ma anzi per la sua gloria, dimostrando così che il Signore del regno dei cieli è abbastanza potente da rendere le meretrici e i pubblicani tanto degni di stima da apparire meritevoli di quell'onore e di quel dono.
Un medico viene tanto più ammirato quanto più lo si vede capace di liberare dal male persone affette da malattie incurabili, rendendo loro la salute.
Allo stesso modo è giusto ammirare Cristo quando guarisce le gravi ferite di pubblicani e meretrici, riportandoli a un tale stato di salute spirituale da farli apparire degni del cielo.
Giovanni Crisostomo, Omelia 1 ( sulla croce e sul ladrone )
Non vi è nessun uomo, per quanto santo, che non sia debitore a Dio, e di molto, perciò qualsiasi cosa egli offra al suo Signore, non dona, ma restituisce.
Anzitutto, per parlare dei benefici in generale: chiunque tu sia, tra i santi o tra i ricchi, per benevolenza e dono di Dio anzitutto sei nato, sei stato allevato ed educato; e fornito del necessario alla vita, anzi riempito del non necessario, perché il Signore ha elargito a tuo uso ciò che la misura comune non richiede e ha esteso i suoi doni addirittura al di là della tua speranza, anzi - fatto sommo e rarissimo - i suoi doni hanno vinto persino i tuoi desideri.
Aggiungo, a tutto ciò, che il Signore dopo averti generato per sua bontà ti ha poi salvato con la sua passione: per te, o uomo, o terra e fango, anzi esiguo mucchietto di terra e fango, il Signore di tutte le cose è sceso sulla terra, è venuto dalla carne nella carne, umiliandosi fino alla vergogna della nascita umana, alla miseria dei pannolini, alla viltà del presepio; ha tollerato le miserie di questa vita indegna di lui: il bere, il mangiare, il sonno e le veglie tormentose, le basse necessità di questa vita mortale, l'increscioso soggiorno tra gli uomini che lo circondavano: gente ignara di essere immersa nel brago del peccato, malvagia e priva di ogni coscienza, esaltata per il fetore delle sue turpi azioni e perciò incapace di ammaestramenti divini, insofferente del sacro fulgore, perché gli occhi ottenebrati dai peccati restavano abbacinati dallo splendore divino.
E non solo questo. A ciò aggiungi le proterve contestazioni del popolo superbo, aggiungi gli insulti, aggiungi le maledizioni, la persecuzione empia, la falsa testimonianza, la condanna a morte, la derisione del popolo, gli sputi, i flagelli, e poi la pena più cruda e le umiliazioni più acerbe della pena: la corona di spine, l'aceto, il fiele, e che il Signore di tutto fu condannato dagli uomini, e che la salvezza del genere umano fu appesa al patibolo, e che Dio morì sottostando alla legge terrena!
Stando così le cose, per quanto tu sia santo, o creda di essere santo, dimmi per favore: è possibile estinguere questo debito solo, ammesso che non ce ne siano altri?
Qualsiasi cosa l'uomo faccia per Iddio, non può assolutamente ripagare quello che Dio ha sofferto per l'uomo: anche se la passione e i dolori fossero identici, tuttavia è necessariamente enorme la differenza di chi soffre.
Ma forse dirai che quanto viene qui riferito è un debito comune a tutti gli uomini e che tutto il genere umano senza distinzione ha contratto un tale obbligo.
É vero. Ma forse il debito di uno è minore, se anche un altro è in debito!
E se vi sono cento che hanno fissato una cambiale di cento sesterzi ciascuno, è forse più leggero il debito di uno, se tutti hanno contratta una pari obbligazione?
Ciascuno dice l'Apostolo porterà il suo peso ( Gal 6,5 ), e ciascuno dovrà rendere conto di se stesso.
Il peso di uno, dunque, non allevia il peso dell'altro né il reo viene assolto se è in società con molti.
Non è minore la condanna tetra di uno, se risulta che il condannato aveva molti complici.
Così quello che ho detto sopra, per quanto sia un debito a tutti comune, non c'è dubbio che sia anche un debito di ciascuno in particolare: è di tutti, ed è peculiare di ciascuno; raggiunge ciascuno ugualmente e nulla gli viene tolto per la somma di tutti.
E come Cristo è morto per tutti, così è morto per ciascuno; ha donato se stesso per tutti e per ciascuno; si è offerto tutto per tutti e tutto per ciascuno.
Perciò, di quanto il Salvatore ha fatto per noi nella sua passione, gliene sono pienamente debitori tutti e gliene sono pienamente debitori i singoli; anzi, quasi più i singoli che tutti insieme, perché ogni singolo ha ricevuto tanto quanto hanno ricevuto tutti insieme.
Salviano di Marsiglia, Alla Chiesa, 2,1-2
La tristezza si addice a questi giorni, poiché l'Eccelso fu vituperato dagli infami crocifissori.
Quantunque egli sia il vostro Signore e non sia triste, perché è il consolatore di tutte le tristezze, si addice bene a voi esser tristi, per la scelleratezza del crocifissore.
Anche il nostro Signore pianse su Lazzaro, quantunque sapesse che sarebbe risorto; con quelle sue lacrime volle manifestare il suo amore, come con la risurrezione di lui volle mostrare la sua onnipotenza.
Così mostrate anche voi in questi giorni la vostra tristezza, perché in questi giorni il dolore della dipartita è più forte, più profondo, e deve manifestarsi più del consueto.
Maria, sua madre, fu addolorata, e con lei le sue compagne; gli apostoli si nascosero in casa fino a quando il Figlio unigenito risorse.
Allora si rallegrò sua madre per la risurrezione e i discepoli per il suo saluto; come prima la tristezza li aveva oppressi, così la risurrezione li consolò.
In tal modo, chiunque in questi giorni partecipa ai dolori che celebriamo, si rallegrerà un giorno con Cristo nella corte del cielo, quando egli raccoglierà i suoi santi.
Isacco di Antiochia, Carme sul digiuno, 1,392-420
Cristo è morto ed è tornato alla vita per essere il Signore sia dei vivi che dei morti ( Rm 14,9 ).
E tuttavia egli non è Dio dei morti, ma dei vivi ( Lc 20,38 ).
Perciò i morti che hanno come Signore colui che è il vivente non sono certo morti, ma vivi; e sono talmente pervasi dalla vita che vivono senza più temere la morte.
Così come il Cristo risuscitato dai morti non muore più ( Rm 6,9 ), allo stesso modo anch'essi, risuscitati e liberati dalla corruzione, non vedranno più la morte.
Diverranno partecipi della risurrezione di Cristo, così come egli è stato partecipe della loro morte.
Il Cristo infatti è sceso in terra per questo solo motivo: per abbattere le porte di bronzo e spezzare i catenacci di ferro ( Sal 107,16 ) che erano chiusi da sempre, per strappare la nostra vita alla corruzione e attirarci a sé, chiamandoci dalla schiavitù alla libertà.
Se questo mistero di salvezza non appare ancora compiuto - infatti gli uomini muoiono ancora e i loro corpi si dissolvono - questo non deve essere un ostacolo per la fede.
Abbiamo infatti già ricevuto il pegno di tutti i beni promessi in colui che costituisce le primizie della nostra razza: grazie a lui siamo saliti al sommo dei cieli, dove sediamo accanto a Cristo, che ci ha portati con sé nel suo regno, come Paolo dice: Ci ha risuscitati e fatti sedere nei cieli, in Cristo Gesù ( Ef 2,6 ).
Arriveremo alla consumazione finale quando verrà il tempo stabilito dal Padre: allora usciremo dall'infanzia e giungeremo allo stato dell'uomo perfetto ( Ef 4,13 ) … quando Dio sarà tutto in tutti ( 1 Cor 15,28 ).
Vedi da dove ci ha presi e tirati fuori?
Certamente continuerà ad attirarci a sé.
Infatti la morte di Cristo è divenuta vita per i morti …
E l'apostolo, pienamente cosciente di quello che dice, annuncia che questo avverrà per tutto il genere umano per mezzo di Cristo, che trasfigurerà il nostro umile corpo per conformarlo al suo corpo glorioso ( Fil 3,21 ) …
In questo stesso corpo Cristo verrà come giudice dei vivi e dei morti, come gli angeli hanno detto ai discepoli, che, stupefatti per la sua ascesa al cielo, tenevano lo sguardo fisso su di lui: Perché ve ne state lì a guardare il cielo?
Questo Gesù che vi è stato tolto per il cielo, un giorno verrà nello stesso modo in cui l'avete visto ascendere ( At 1,11 ).
Sì, il Signore tornerà, come gli angeli hanno annunciato, con il corpo risorto con il quale ora siede presso il Padre.
E poiché in questo modo ha portato al Padre le primizie della nostra umanità, il Cristo ricondurrà a lui tutto l'universo.
É ciò che ha promesso quando ha detto: Quando sarò innalzato da terra, attirerò tutti a me ( Gv 12,32 ).
Anastasio di Antiochia, Discorso sulla risurrezione di Cristo, 6-9
Oggi un grande silenzio avvolge la terra.
Un grande silenzio e una grande calma.
Un grande silenzio, perché il Re dorme.
La terra ha rabbrividito e si è ammutolita, perché Dio si è addormentato nella carne, e l'inferno ha tremato.
Dio si è addormentato per un istante, e ha svegliato coloro che erano negl'inferi …
Va alla ricerca dell'uomo come della pecorella smarrita.
Vuole assolutamente visitare quelli che giacciono nelle tenebre e nell'ombra di morte ( Lc 1,79 ).
Va a liberare dalla loro prigione e dalle loro pene Adamo ed Eva, lui che è al tempo stesso Dio e figlio di Eva …
Prende per mano l'uomo e gli dice « Svegliati, o tu che dormi, sorgi fra i morti e Cristo t'illuminerà ( Ef 5,14 ).
Io sono il tuo Dio, per te sono divenuto figlio tuo, e ho il potere di dire a te e ai tuoi discendenti incatenati: uscite.
A coloro che si trovano nelle tenebre, io dico: ecco la luce; e a coloro che sono coricati: alzatevi.
A te dico: Svegliati, o tu che dormi, dal momento che non ti ho creato per farti restare incatenato.
Sorgi tra i morti, perché io sono la vita dei morti.
Sorgi, opera delle mie mani; alzati o mia immagine, tu che sei stato creato a mia somiglianza.
Sorgi, partiamocene da qui, perché tu sei in me e io in te; noi formiamo un unico volto indivisibile.
« Per te, io che sono Dio, sono divenuto tuo figlio.
Per te, io, tuo Signore, ho preso la tua forma di servo.
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono disceso sulla terra, e perfino al di sotto della terra.
Per te, o uomo, sono diventato come un uomo sfinito, che troverà scampo soltanto fra i morti ( Sal 88,5-6: LXX ).
Per te che sei uscito da un giardino, sono stato consegnato ai giudei in un giardino e crocifisso in un giardino.
Guarda sul mio viso gli sputi che ho ricevuto per restituire a te il tuo primo alito.
Osserva sulle mie guance gli schiaffi che ho ricevuto per creare di nuovo le tue sembianze a mia immagine.
Guarda sul mio dorso i colpi di frusta con cui sono stato colpito per liberare il tuo corpo dal peso dei tuoi peccati.
Osserva le mie mani inchiodate alla croce per te che tendesti la mano verso l'albero.
« Alzati, andiamocene da qui. Il nemico ti ha fatto uscire dal paradiso terrestre; io sto per introdurti non più in quei paradiso, ma in cielo.
Un tempo ti vietai l'accesso all'albero della vita; ma io stesso sono la vita, e ora a te mi unisco ».
Epifanio di Salamina ( attribuito a ), Omelie per il sabato santo ( passim )
25. - Giorno della risurrezione
É la Pasqua del Signore, è la Pasqua, sì, la Pasqua, diciamolo ancora a gloria della Trinità.
É per noi la festa delle feste, la solennità delle solennità.
Come il sole supera le stelle col suo splendore, così essa supera tutte le altre feste, e non solo quelle degli uomini, che sono puramente terrene, ma anche quelle che sono di Cristo stesso e che si celebrano in suo onore …
Ieri l'Agnello veniva immolato e gli stipiti delle porte aspersi di sangue.
Mentre l'Egitto piangeva i suoi primogeniti, noi, protetti da quel sangue prezioso, sfuggivamo all'angelo sterminatore, a cui quel segno incuteva timore e rispetto.
Oggi abbiamo definitivamente lasciato l'Egitto, la tirannia del faraone crudele e l'oppressione dei sorveglianti; siamo stati liberati dal lavoro dell'argilla e dei mattoni.
Nessuno può impedirci di celebrare, a gloria del Signore nostro Dio, la festa dell'Esodo, e di celebrarla non con il vecchio lievito della malizia e della malvagità, ma con gli azzimi della sincerità e della verità ( 1 Cor 5,8 ), perché ormai non portiamo più niente con noi dell'empio lievito dell'Egitto.
Giorno della risurrezione: un fausto inizio!
Accendiamo la nostra luce in questo giorno di festa.
Abbracciamoci l'un l'altro.
Rivolgiamoci, o fratelli, anche a coloro che ci odiano, non soltanto a chi, per amore, abbia compiuto o sofferto qualcosa per noi.
Rimettiamo tutto alla risurrezione e perdoniamoci l'un l'altro …
Ieri ero crocifisso con Cristo, oggi sono glorificato assieme a lui; ieri morivo con lui, oggi veniamo entrambi vivificati; ieri ero seppellito insieme con Cristo, oggi io e lui risorgiamo.
Rechiamo, dunque, offerte a colui che ha patito ed è risorto per noi.
Voi pensate, forse, che io intenda dire oro o argento o tessuti o pietre lucenti e preziose: materia corruttibile, insomma, che proviene dalla terra e sulla terra è destinata a rimanere, in proprietà, per lo più, di gente malvagia e schiava del mondo e del suo principe.
Io dico, invece, che dobbiamo offrire a Dio tutti noi stessi: questa è l'offerta a lui più gradita e conveniente.
Restituiamo all'immagine [ l'impronta divina presente nell'uomo ] quanto le si addice, riconosciamo la dignità che ci è ascritta, rendiamo onore all'archetipo, adoperiamoci a intendere l'importanza del mistero e a capire nel nome di chi Cristo è morto.
Cerchiamo di essere come Cristo, giacché anche Cristo è divenuto come noi; di diventare dèi per mezzo di lui, dal momento che lui stesso, per il nostro tramite, è diventato uomo.
Prese il peggio su di sé, per farci dono del meglio: si fece povero perché noi, grazie alla sua povertà, divenissimo ricchi ( 2 Cor 8,9 ); assunse l'aspetto d'un servo ( Fil 2,7 ), perché ottenessimo la libertà; discese in basso, perché noi fossimo elevati in alto; subì la tentazione, perché noi riuscissimo a vincerla; si lasciò disprezzare, per donare a noi la gloria; morì, per recarci la salvezza; salì al cielo, per attirare a sé coloro che giacciono a terra, dopo esser caduti a causa del peccato.
Ciascuno, dunque, doni tutto, offra in sacrificio tutto a colui che diede in cambio se stesso per la nostra redenzione ( Mt 20,28 ).
Il dono più grande che potremo fare, d'altronde, sarà proprio quello di donare tutti noi stessi, dopo aver compreso il significato di un tale mistero ed esserci resi conto del fatto che egli ha compiuto ogni cosa per noi.
Gregorio di Nazianzo, Sulla santa Pasqua, 1,4-5
Ecco giunto il regno della vita e sconvolto il potere della morte.
É apparsa un'altra nascita, così come un'altra vita, un altro modo di esistere, una trasformazione della nostra stessa natura.
Questa nascita non è né da voler dell'uomo, né da voler della carne, ma da Dio ( Gv 1,13 ).
Come è avvenuto ciò? Cercherò di dimostrartelo nel modo più chiaro possibile.
Questo nuovo germe di vita è custodito nel seno della fede;
è portato alla luce dalla nuova nascita del battesimo;
la sua nutrice è la Chiesa, che lo allatta con il suo insegnamento;
il suo alimento, il pane del cielo; la sua maturità, una condotta perfetta;
il suo matrimonio, la sua unione con la Sapienza; i suoi figli, la speranza; la sua casa, il regno;
la sua eredità e le sue ricchezze, le delizie del paradiso;
la sua fine non è la morte, bensì la vita eterna nella felicità preparata per i santi …
Questo è il giorno che il Signore fece ( Sal 118,24 ).
Giorno del tutto diverso da quelli dell'inizio, poiché in questo giorno Dio crea cieli nuovi e una terra nuova, come dice il profeta ( Is 65,17 ).
Che cieli? Il firmamento della fede in Cristo.
Quale terra? Il cuore buono, come dice il Signore, la terra che beve la pioggia che su di essa cade, la terra in cui crescono messi abbondanti.
In questa creazione, il sole è la vita pura; gli astri sono le virtù; l'aria, una condotta limpida; il mare, la ricca profondità della sapienza e della conoscenza; l'erba e le foglie, la buona dottrina e gli insegnamenti divini di cui si nutre il gregge dei pascoli, cioè il popolo di Dio; gli alberi che producono frutti, la pratica dei comandamenti.
In questo giorno viene creato l'uomo autentico, colui che è fatto ad immagine e somiglianza di Dio.
Non è tutto un mondo che inaugura per te « questo giorno che il Signore fece »?
Parlandone, il profeta Zaccaria dice che sarà un giorno senza avvicendamento di luce e di tenebre ( Zc 14,7 ).
E non abbiamo ancora parlato del più grande privilegio di questo giorno di grazia: esso ha distrutto le angosce della morte, e dato alla luce il primogenito tra i morti … colui che ha detto: « Vado al Padre mio e al Padre vostro, Dio mio e Dio vostro » ( Gv 20,17 ).
Che buona e splendida novella! Colui che per noi si è fatto come noi affinché, diventato uno dei nostri, divenissimo suoi fratelli, porta la sua propria umanità verso il Padre vero, onde trascinare con sé tutti quelli che appartengono alla sua razza.
Gregorio di Nissa, Omelia 1, per la risurrezione di Cristo
Esulta, Gerusalemme e rallegratevi voi tutti che amate Gesù: è risorto, infatti.
Gioite, voi che dianzi eravate tutti in lutto ( Is 66,10 ) …: chi, infatti, fu in questa città disonorato, è stato nuovamente richiamato in vita.
Come dunque aveva recato una certa tristezza l'annuncio della croce, così ora la buona novella della risurrezione sia fonte di esultanza per i presenti.
Si muti in gioia il dolore, il pianto in letizia ( Sal 30,12 ); la nostra bocca si riempia di gaudio e di tripudio ( Sal 71,8 ), secondo l'invito di colui che, dopo la sua risurrezione, disse: Esultate ( Mt 28,9 ).
Io so quanto hanno sofferto nei giorni scorsi coloro che amano il Cristo, allorché le mie prediche terminavano con la morte e la sepoltura …
Il morto, però, è risorto: libero fra i morti ( Sal 88,6 ) e liberatore dei morti.
Colui che aveva tollerato l'oltraggio di venir cinto d'una corona di spine, si fregiò, risorgendo, con il diadema della propria vittoria sulla morte.
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, 14,1
Anche se abbiamo conosciuto Cristo secondo la carne, dice san Paolo, ora non lo conosciamo più così ( 2 Cor 5,16 ).
La risurrezione del Signore non ha distrutto la sua carne, l'ha trasformata.
Dandole maggior forza, non ne ha distrutto la sostanza.
La qualità è cambiata, la natura non è scomparsa.
É stato possibile crocifiggere questo corpo: ora è divenuto impassibile; è stato possibile ucciderlo: ora è divenuto immortale; è stato possibile assassinarlo: ora è divenuto incorruttibile.
A ragione l'Apostolo afferma di non conoscere la carne di Cristo nello stato in cui si era mostrata, perché in lei nulla è più soggetto alla sofferenza o alla debolezza.
Essa è essenzialmente la stessa, ma è diversa riguardo alla gloria.
Perché meravigliarsi se l'Apostolo si esprime così nei confronti del corpo di Gesù Cristo, quando, parlando di tutti i cristiani che vivono secondo lo spirito, dice: Non conosce più nessuno secondo la carne? ( 2 Cor 5,16 ).
Così egli ci insegna che la nostra risurrezione è cominciata in Gesù Cristo.
In lui, che è morto per tutti, ci ha preceduto il modello di ogni nostra speranza.
Per noi, non c'è dubbio o esitazione, non siamo sospesi a una incerta attesa: le promesse hanno cominciato ad attuarsi e noi vediamo già, con gli occhi della fede, i beni futuri.
L'elevazione della nostra natura ci rallegra; possediamo già l'oggetto della nostra fede …
Il popolo di Dio divenga dunque consapevole di essere in Cristo una nuova creatura, e comprenda per mezzo di chi ha assunto questo nuovo essere e da chi è stato accolto.
L'uomo rinnovato non ritorni all'instabilità del suo vecchio stato.
Se ha messo mano all'aratro ( Lc 9,62 ), non cessi dal suo sforzo; vegli sul grano che ha seminato e non volga lo sguardo a ciò che ha abbandonato.
Nessuno ricada in ciò da cui si era sollevato; se a causa della sua debolezza umana giace ancora in qualche malattia, prenda la ferma risoluzione di guarire e di risollevarsi.
Questa è la via della salvezza e questo è il modo per imitare la risurrezione iniziata in Gesù Cristo.
Inoltre, poiché le occasioni di passi falsi e di cadute non mancano sul pendio scosceso di questa vita, allontaniamo i nostri passi dalle sabbie mobili per calpestare la terra ferma, come sta scritto: Il Signore fa sicuri i passi dell'uomo e segue con amore il suo cammino.
Se cade, non rimane a terra, perché il Signore lo tiene per mano ( Sal 37,23-24 ).
Fratelli miei, queste riflessioni non valgano soltanto nella festa di Pasqua, ma servano per la santificazione di tutta la vita.
Gli esercizi di questi giorni devono tendere a trasformare in abitudine le pratiche che per breve tempo hanno rallegrato il cuore dei fedeli, conservare tutta la loro portata e cancellare con un pronto pentimento ogni colpa che potrebbe sorprenderci.
Dato che una malattia vecchia richiede cure lunghe e difficili, dobbiamo applicare i rimedi con tanta maggiore premura quanto più le ferite sono recenti.
Così, rialzandoci sempre sani e salvi da tutte le nostre cadute, meriteremo di giungere a quella incorruttibile risurrezione della carne che sarà glorificata in Cristo che vive e regna con il Padre e lo Spirito Santo nei secoli dei secoli.
Amen.
Leone Magno, Sermone 1 (sulla risurrezione), 4,6
Affinché i divini misteri della sacra festa pasquale vengano da noi degnamente celebrati, dobbiamo dedicarci con particolare fervore alle due virtù in cui si incarnano tutti gli insegnamenti della legge: ogni fedele diventi un sacrificio e un tempio di Dio.
La fede non cessi di sperare ciò di cui è convinta né l'amore trascuri di rendersi grato a colui che è fedele.
L'uno e l'altro è dovere di chi ama, l'uno e l'altro è dovere di chi crede.
La parola di Dio dice: Siate santi, perché io sono santo! ( Lv 11,44 ), e il Signore soggiunge: Siate misericordiosi, come anche il nostro Padre è misericordioso ( Lc 6,36 ).
Odi dunque, o anima fedele, e, riconoscendo la tua gloria nella gloria di colui che opera in te, sii tutta fervente nella festa pasquale.
É tuo dovere esser pronta a soffrire insieme con colui che per tutti ha sofferto, perché la pia vita dei santi non è mai priva della croce, sia quando configge con i chiodi della continenza le brame della carne, sia quando uccide con la virtù dello Spirito Santo, che in lei abita, i desideri del corpo.
É difficile che qualcuno non abbia in sé qualcosa da uccidere.
Si deve estinguere l'ira, mortificare la superbia, distruggere la lussuria, estirpare fino in fondo la radice dell'avarizia: è possibile estirpare il germe di tutti i mali se si riesce a strapparne il fomite.
Si deve sempre esercitare l'animo e usare del corpo con questa diligenza: che la natura inferiore renda al suo governatore il debito servizio; ma ora soprattutto dobbiamo moderare la carne con i freni della continenza, e amputare da noi tutto quello che ostacola i desideri più alti.
Quando con congrui riti purificatori l'anima e il corpo si preparano a celebrare la pasqua del Signore, si conserva una consuetudine che gioverà in ogni tempo.
Si temperi il severo dominio sui sudditi, cessi il castigo delle colpe; i rei gioiscano per il giungere dei giorni in cui, sotto il governo di principi santi e pii, si mitiga l'asprezza dei pubblici castighi.
Si abolisca l'odio, si cancelli l'invidia, si moltiplichino i sentimenti di pace e benevolenza; e chi si macchiò di malizia, procuri di purificarsi con la bontà.
Leone Magno, Sermoni, 45,2.4
La natura umana è stata assunta dal Figlio di Dio con una unione così perfetta, che non soltanto in quest'uomo che è il primogenito di ogni creatura ( Col 1,15 ), ma anche in tutti i suoi santi, Cristo è uno e identico.
E come il capo non può essere separato dalle membra, così le membra non possono venire divise dal capo …
Tutto quello che il Figlio di Dio ha fatto e insegnato per operare la riconciliazione del mondo, lo conosciamo dalla storia degli avvenimenti passati, e lo sperimentiamo anche nella potenza delle presenti azioni sacre.
Nato da una madre vergine per opera dello Spirito Santo, egli feconda la sua Chiesa immacolata effondendo su di lei quello stesso Spirito, perché possa venire alla luce, mediante il parto del battesimo, l'immensa moltitudine dei figli di Dio.
Di essi la Scrittura dice che non da sangue, né la volontà di carne, né da volontà d'uomo, ma da Dio sono nati ( Gv 1,13 ).
In Cristo è benedetta, nell'adozione di tutto il mondo, la discendenza di Abramo e il patriarca diviene padre di popoli, ora che gli nascono figli, non dalla carne, ma dalla sua fede nella promessa.
É Cristo che senza eccettuare nessuna razza, forma un unico gregge santo di tutte le nazioni che sono sotto il cielo.
Ogni giorno adempie così ciò che aveva promesso: Ho altre pecore che non sono di questo ovile, anche quelle devo condurre, e ascolteranno la mia voce e ci sarà un solo gregge e un solo pastore ( Gv 10,16 ).
Sebbene abbia detto soltanto a Pietro: Pasci le mie pecore ( Gv 21,17 ), tuttavia l'opera apostolica di tutti i pastori è sorretta unicamente dal Signore; egli nutre con la gioia dei suoi freschi pascoli coloro che si accostano a lui, che è la pietra.
Per questo ci sono tante pecore che, fortificate dalla sovrabbondanza del suo amore, non esitano a morire per il loro pastore, come il buon Pastore si è degnato di dare la vita per le sue pecore.
Insieme a lui soffre non solo la gloriosa fortezza dei martiri, ma anche la fede di coloro che rinascono nel travaglio della rigenerazione.
Quando infatti si rinuncia al diavolo e si crede in Dio, quando il vecchio uomo passa a novità di vita, quando si depone l'immagine dell'uomo terreno per rivestire l'immagine celeste, si compie una specie di morte e una specie di risurrezione.
Ricevuto da Cristo e ricevendo Cristo, il cristiano dopo il battesimo non è più quello di prima: il suo corpo diventa carne del crocifisso …
Per questo la Pasqua del Signore è celebrata secondo la legge « con gli azzimi della purezza e della verità » ( 1 Cor 5,8 ): infatti, rigettato il fermento dell'antica malizia, la nuova creatura si inebria e si nutre del Signore stesso.
La partecipazione al corpo e al sangue di Cristo non è ordinata ad altro che a trasformarci in ciò che prendiamo come cibo, rendendoci così portatori integrali, nel nostro spirito e nella nostra carne, di colui nel quale e col quale siamo morti, sepolti e risuscitati.
Leone Magno, Sermoni, 12,6-7
Il mistero della nostra salvezza, o carissimi, che il Creatore dell'universo stimò degno del prezzo del suo sangue, si è adempiuto tutto, dal giorno della sua nascita terrena sino alla fine della sua passione, in un'atmosfera di umiltà.
E per quanto nella sua natura di servo siano rifulsi anche i segni della sua divinità, l'attività propria di quel tempo fu tutta volta a dimostrare la verità della natura umana da lui assunta.
Ma dopo la passione, spezzati i vincoli della morte che aveva dimostrato il suo potere raggiungendo quaggiù anche colui che non conosceva peccato, la debolezza si tramutò in forza, la mortalità in eternità, il disprezzo in gloria.
Di tutto ciò il Signore Gesù Cristo diede molte prove manifeste e lo proclamò alla vista di molti, fino a quando trasportò anche in cielo il trionfo della vittoria da lui riportata sulla morte.
Come dunque nella solennità pasquale fu per noi causa di letizia la risurrezione del Signore, così la sua ascensione al cielo è il motivo del gaudio odierno per noi che la ricordiamo e che veneriamo solennemente quel giorno, in cui, in Cristo, l'umiltà della nostra natura fu elevata sopra tutte le schiere celesti, sopra tutti gli ordini degli angeli, al di là di ogni altezza delle potestà, ad assidersi alla destra di Dio Padre.
Su questo ordine delle azioni divine noi siamo fondati, noi siamo edificati: in tal modo splende più fulgida la grazia di Dio quando, pur lungi dalla vista degli occhi cui giustamente sembrava allora indurre rispetto, la fede non diffida, la speranza non vacilla, la carità non si intiepidisce.
In ciò consiste il rigore degli animi grandi, in ciò consiste la luce delle anime veramente fedeli: credere senza esitazione ciò che non si percepisce con la vista del corpo, e porre il desiderio lassù, ove non si può elevare lo sguardo.
Come potrebbe nascere nei nostri cuori una simile religiosità, e come potrebbe ognuno venir giustificato per la fede, se la nostra salvezza consiste solamente in ciò che soggiace agli sguardi?
Perciò a colui che mostrava di dubitare della risurrezione di Cristo, se non avesse potuto esaminare con la vista e con il tatto nella sua carne i segni della passione, il Signore disse: Perché mi hai visto, hai creduto: beati coloro che non hanno visto e hanno creduto ( Gv 20,29 ).
Perché di questa beatitudine, carissimi, anche noi fossimo capaci, compiuto tutto ciò che esigeva la predicazione del vangelo e del Nuovo Testamento, il Signore nostro Gesù Cristo, quaranta giorni dopo la risurrezione, si innalzò al cielo al cospetto dei suoi discepoli, pose termine alla sua presenza corporea, per restare alla destra del Padre fino a quando si compiranno i tempi divinamente stabiliti perché si moltiplichino quaggiù i figli della Chiesa, e tornare a giudicare i vivi e i morti in quella carne nella quale salì lassù.
Ciò dunque che nel nostro Redentore era palese divenne mistero; e affinché la fede fosse più alta e più forte, alla vista succedette la dottrina, alla cui autorità si assoggettano i cuori dei fedeli illuminati dai raggi superni.
Questa fede, accresciuta dall'ascensione del Signore e rafforzata dal dono dello Spirito Santo, non temette le catene, il carcere, l'esilio, la fame, il fuoco; e neppure le zanne delle fiere né i supplizi raffinati dei crudeli persecutori.
Per questa fede, su tutta la terra, non solo uomini, ma anche donne, non solo giovinetti, ma anche tenere fanciulle, combatterono fino all'effusione del sangue.
Questa fede cacciò i demoni, allontanò le malattie, risuscitò i morti.
Per questo anche i santi apostoli, che pur ammaestrati da tante prediche confermate da tanti miracoli furono atterriti dall'atrocità della passione del Signore e non senza molto esitare accolsero la verità della sua risurrezione, progredirono tanto alla sua ascensione, che tutto quanto prima incuteva loro timore si tramutò per loro in gioia.
Innalzarono infatti tutto lo sguardo dell'animo nella divinità di colui che siede alla destra del Padre e l'oggetto della vista corporea non li attardò a tendere tutta la forza della loro mente in colui che scendendo quaggiù non si era allontanato dal Padre e salendo lassù non si era staccato dai discepoli.
Proprio allora dunque, o carissimi, il figlio dell'uomo, il Figlio di Dio si palesò con più sacro splendore, quando fece ritorno nella gloria della maestà del Padre e in modo ineffabile cominciò ad essere più vicino a noi come Dio, quando come uomo si allontanò da noi.
Proprio allora con una visione più interiore la fede cominciò a riconoscere meglio che la natura del Figlio è uguale al Padre; cominciò a non aver più bisogno di toccare la sostanza corporea di Cristo, per la quale egli è minore del Padre, perché, pur persistendo la natura del corpo glorificato, la fede dei credenti è chiamata là, ove si tocca l'Unigenito uguale al Padre non con mano carnale, ma con intelletto spirituale.
Per questo, dopo la sua risurrezione, il Signore disse a Maria Maddalena - che personificava la Chiesa - quando si avvicinava per toccarlo: Non mi toccare: non sono ancora asceso, infatti, al Padre mio ( Gv 20,17 ), cioè: non voglio che tu venga da me col corpo né che mi riconosca con i sensi carnali; ti riservo qualcosa di più alto, ti preparo qualcosa di più grande.
Quando salirò da mio Padre, mi toccherai con più perfezione e più verità, perché allora apprenderai ciò che non tocchi, crederai ciò che non vedi.
Quando poi i discepoli, intenti e stupiti, ebbero seguito con gli occhi il Signore asceso ai cieli, due angeli rifulgenti di mirabile candore nelle vesti stettero davanti a loro e dissero: Uomini di Galilea, a che state guardando in cielo?
Questo Gesù che è stato assunto di mezzo a voi al cielo, verrà così, come lo avete visto andare al cielo ( At 1,11 ).
Queste parole erano un ammaestramento per tutti i figli della Chiesa, perché credano che Gesù Cristo verrà un giorno visibilmente con quella carne con cui è asceso lassù …
Esultiamo dunque, carissimi, di letizia spirituale e, godendo nel degno ringraziamento a Dio, eleviamo gli occhi dell'anima a quell'altezza in cui si trova Cristo.
Le brame terrene non deprimano gli animi chiamati lassù; le realtà mortali non riempiano i cuori eletti ai beni eterni; le voluttà fallaci non attardino le menti entrate ormai nella via della verità.
Tutte queste realtà temporali trascorrano per i fedeli in modo che essi sappiano di essere pellegrini in questa valle terrena; e se in essa qualcosa sembra allettare, non la si abbracci peccaminosamente, ma si passi oltre con fortezza.
Leone Magno, Sermoni, 74,1-5
Oggi il Signore nostro Gesù Cristo sale ai cielo; salga con lui il nostro cuore.
Ascoltiamo quanto ci viene detto dall'apostolo: Se siete risorti col Cristo, cercate i beni di lassù, dove si trova il Cristo, seduto alla destra del Padre, pensate ai beni di lassù, non a quelli terreni ( Col 3,1-2 ).
Come infatti egli è salito, senza allontanarsi da noi, così anche noi siamo già lassù con lui, anche se nel nostro corpo non è ancora avvenuto quel che ci viene promesso.
Egli è già innalzato al di sopra dei cieli; soffre tuttavia sulla terra tutte le pene che proviamo noi, sue membra.
Volle affermare questo fatto quando dall'alto gridò: Saulo, Saulo, perché mi perseguiti? ( At 9,4 ).
E ancora: Ebbi fame e mi deste da mangiare ( Mt 25,35 ).
Perché anche noi su questa terra non operiamo in modo che, mediante la fede, la speranza e la carità che ci uniscono a lui, possiamo fin d'ora riposare con lui in cielo?
Lui, che è lassù, è pure con noi; e noi che viviamo qui siamo nello stesso tempo con lui.
Dio può questo per la divinità, la potenza e l'amore; anche noi possiamo farlo sebbene non mediante la divinità come lui, ma certamente per mezzo dell'amore, in lui.
Egli non ha lasciato il cielo quando dal cielo è sceso tra noi e non si è allontanato da noi quando è risalito in cielo.
Il suo essere lassù, contemporaneo al suo stare con noi, è attestato proprio da lui, quando dice: Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo ( Gv 3,13 ).
Non ha detto: « il Figlio dell'uomo che sarà in cielo », ma: « Il Figlio dell'uomo che è in cielo ».
E questa presenza tra noi, pur dimorando nel cielo, egli ce l'ha promessa prima dell'Ascensione: Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo ( Mt 28,20 ).
Nessuno è asceso al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell'uomo, che è in cielo ( Gv 3,13 ).
Sembrerebbe che ciò riguardasse solo lui, senza riferimento a nessun altro di noi, ma in realtà ciò è stato detto per il fatto che siamo uno, perché lui è il nostro capo e noi siamo il suo corpo.
Questo dunque concerne solo lui, perché anche noi siamo lui dato che lui è Figlio dell'uomo a causa nostra, e noi a motivo di lui siamo figli di Dio.
Perciò l'Apostolo dice: Come il corpo è uno, ma possiede molte membra, però tutte le membra del corpo, pur essendo molte, formano un solo corpo, così anche il Cristo ( 1 Cor 12,12 ) …
Il Cristo è costituito dunque di molte membra, ma un unico corpo.
Lui solo discese dal cielo per misericordia e vi ascese lui solo, ma ci ha associati a sé, mediante la grazia.
Giustamente il Cristo solo è disceso e poi risalito, non perché la dignità del capo si confonda col corpo, ma perché il corpo tutto intero è unito al capo.
Agostino, Discorsi, 98,1-2
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