Rapporti tra i Vescovi e i Religiosi |
15. Unica è la missione del popolo di Dio, la quale in certo modo costituisce il cuore di tutto il mistero ecclesiale.
Il Padre, infatti, "ha santificato" il Figlio "e lo ha mandato nel mondo" ( Gv 10,36 ), mediatore tra Dio e gli uomini ( cf. AG 3 ); e nel giorno della pentecoste "Cristo inviò da parte del Padre lo Spirito Santo, perché compisse dal di dentro la sua opera di salvezza e stimolasse la chiesa alla sua crescita" ( AG 4 ).
Così la chiesa, in tutto il decorso della sua storia, "è per sua natura missionaria" ( AG 2; cf. LG 17 ) in Cristo e in virtù dello Spirito.
Tutti, e pastori e laici e religiosi, ciascuno secondo la propria vocazione, sono chiamati ad un impegno apostolico ( cf. n. 4b ), che sgorga dalla carità del Padre; lo Spirito santo poi lo alimenta, "vivificando, come loro anima, le istituzioni ecclesiastiche ed infondendo nel cuore dei fedeli quel medesimo ardore di missione, da cui era stato spinto Gesù stesso" ( AG 4 ).
La missione dunque del popolo di Dio non può mai consistere solo in un'attività di vita esteriore, poiché l'impegno apostolico non si può ridurre in assoluto alla semplice, anche se valida, promozione umana, dal momento che ogni iniziativa pastorale e missionaria è radicalmente fondata nella partecipazione del mistero della chiesa.
La missione infatti della chiesa per sua natura altro non è se non la missione dello stesso Cristo continuata nella storia del mondo; essa pertanto consiste principalmente nella compartecipazione all'obbedienza di colui ( cf. Eb 5,8 ), che offrì se stesso al Padre per la vita del mondo.
16. La missione, che trae la sua origine dal Padre, esige, da tutti coloro che sono inviati, di esercitare la coscienza della carità nel dialogo della preghiera.
Perciò, in questi tempi di apostolico rinnovamento, come sempre in qualsiasi impegno missionario, il posto di privilegio va dato alla contemplazione di Dio, alla meditazione del suo piano di salvezza e alla riflessione sui segni dei tempi alla luce del vangelo, affinché la preghiera possa alimentarsi e crescere in qualità e frequenza.
Per tutti è indubbiamente urgente la necessità di apprezzare la preghiera e di ricorrere ad essa.
I vescovi e i loro presbiteri collaboratori ( cf. LG 25; LG 27; LG 28; LG 41 ), "perseveranti nella preghiera e nel ministero della parola" ( At 6,4 ), "dispensatori dei misteri di Dio" ( 1 Cor 4,1 ), pongano ogni loro impegno, affinché tutti quelli che sono affidati alle loro cure siano concordi nella preghiera e, ricevendo i sacramenti, crescano nella grazia e siano fedeli testimoni del Signore" ( CD 15 ).
I religiosi poi, in quanto chiamati ad essere quasi degli "specialisti della preghiera" ( Paolo VI, 28-X-1966 ), "Dio … prima di tutto cerchino ed amino, e in tutte le circostanze s'impegnino ad alimentare la vita nascosta con Cristo in Dio ( Col 3,3 ), donde scaturisce e riceve impulso l'amore del prossimo "( PC 6 ).
Per disposizione della divina Provvidenza, non pochi tra i fedeli oggi sono portati, per intimo impulso, a raccogliersi in gruppo, ad ascoltare il vangelo, a meditare in profondità e ad innalzare la loro contemplazione.
Di conseguenza, per l'efficacia stessa della missione, è indispensabile procurare che tutti, soprattutto i pastori, attendano alla preghiera, e parimenti che gl'istituti religiosi conservino intatta la loro forma di dedizione a Dio, sia promovendo il ruolo eminente, che in questo campo detengono le comunità di vita contemplativa ( cf. PC 7 e AG 18 ), sia provvedendo che i religiosi dediti all'azione apostolica alimentino la loro intima unione con Cristo e ne diano palese testimonianza ( cf. PC 8 ).
17. Diverse sono le situazioni culturali, nelle quali deve essere esplicata l'attività apostolica; per cui nell'unità di missione si avvertono delle "differenze, che … non provengono dall'intrinseca natura della stessa missione, ma solo dalle circostanze, nelle quali tale missione si esplica.
Queste condizioni dipendono sia dalla chiesa, sia dai popoli, dai gruppi o dagli uomini, a cui la missione è indirizzata" ( AG 6 ).
Ora queste differenze, reali certo, anche se contingenti, incidono sensibilmente non solo sull'esercizio del ministero pastorale dei vescovi e dei presbiteri, ma anche sullo stile particolare di vita e sui compiti dei religiosi, esigendo non facili adattamenti, soprattutto da parte di quegli istituti dediti all'azione apostolica, che operano a raggio internazionale.
Riguardo pertanto alle relazioni tra i vescovi e i religiosi, oltre le diversità di funzioni (cf. AA 2 ) e di carismi ( cf. LG 2 ), vanno considerate accuratamente anche le concrete differenze sussistenti nell'ambito delle nazioni.
18. Dall'esigenza d'inserimento del mistero della chiesa nell'ambiente proprio di ciascuna regione sorge il problema del reciproco influsso tra i valori di universalità e quelli di particolarità nel popolo di Dio.
Il concilio Vaticano II ha trattato non solo della chiesa universale, ma anche delle chiese particolari e locali, che ha presentato come uno degli aspetti rinnovatori della vita ecclesiale ( cf. LG 13; LG 23; Lg 26; CD 3; CD 11; CD 15; AC 22; PC 20 ).
Può avere così il suo significato positivo un certo processo di decentramento, che porta sicuramente delle conseguenze anche sui rapporti scambievoli tra i vescovi e i religiosi ( cf. EN 61-64 ).
Ogni chiesa particolare si arricchisce di validi elementi umani, che sono propri del genio e della natura di ciascuna nazione.
Tuttavia, siffatti elementi non vanno considerati come indizi di divisione, di particolarismo e di nazionalismo, ma come espressione di varietà nella medesima unità e di pienezza di quell'incarnazione, che arricchisce l'intero corpo di Cristo ( cf. UR 14-17 ).
Infatti la chiesa universale non è una somma di chiese particolari nè una federazione di esse ( cf. EN 62 ), ma è la presenza totale e cresciuta dell'unico sacramento universale di salvezza ( cf. EN 54 ).
Ma questa multiforme unità comporta varie concrete esigenze nell'adempimento dei doveri da parte dei vescovi e dei religiosi:
a) I vescovi e i loro collaboratori presbiteri sono i primi a dover rispondere sia del retto discernimento dei valori culturali del luogo nella vita della loro chiesa, sia della chiara prospettiva di universalità loro derivante dal ruolo missionario di successori degli apostoli, che furono inviati al mondo intero ( cf. CD 6; LG 20; LG 23; LG 24; AG 5; AG 38 ).
b) I religiosi, poi, anche se appartengono ad un istituto di diritto pontificio, devono sentirsi veramente partecipi della "famiglia diocesana" ( cf. CD 34 ) e assumersi l'impegno del necessario adattamento; e opportunamente favoriscano anche le vocazioni locali sia per il clero diocesano sia per la vita consacrata; inoltre quanto ai candidati delle loro congregazioni, li formino in modo che realmente vivano secondo la genuina cultura locale, ma nello stesso tempo siano attentamente vigili, affinché nessuno mai aberri sia dall'impulso missionario inerente alla stessa vocazione religiosa sia dall'unità e dall'indole propria di ciascun istituto.
19. Emerge, dunque, soprattutto nei riguardi dei vescovi e dei religiosi, un chiaro dovere missionario, connaturato nel loro stesso ministero e nel loro carisma.
Tale dovere diviene ogni giorno più impegnativo, mentre le odierne condizioni culturali vanno evolvendosi nel contrassegno di due principali note, ossia del materialismo, che invade le masse popolari anche in regioni cristiane per tradizione, e dell'incremento delle comunicazioni internazionali, per cui tutti i popoli, anche non cristiani, possono facilmente collegarsi gli uni con gli altri.
Inoltre, i profondi rivolgimenti delle situazioni, la crescita dei valori umani e le molteplici necessità del mondo contemporaneo ( cf. GS 43-44 ) con sempre maggiore istanza premono, affinché da una parte si abbiano a rinnovare molte attività pastorali di tradizione, dall'altra si cerchino anche nuovi moduli di presenza apostolica.
In tale situazione urge la necessità di una certa solerzia apostolica nell'escogitare nuove ingegnose e coraggiose esperienze ecclesiali, sotto l'impulso dello Spirito Santo, che è, per sua stessa natura, creatore.
E in modo speciale con la natura carismatica della vita religiosa egregiamente si accorda una feconda alacrità d'inventiva e d'intraprendenza ( cf. n. 12 ).
Infatti lo stesso sommo pontefice Paolo VI questo ha giustamente affermato: "grazie alla loro stessa consacrazione religiosa, essi [ i religiosi ] sono soprattutto liberi e possono spontaneamente lasciar tutto e recarsi ad annunziare il vangelo sino ai confini del mondo.
Essi sono alacri nell'operare; e il loro apostolato spesso eccelle per la genialità dei progetti e delle iniziative, che destano ammirazione in chiunque li osservi" ( EN 69 ).
20. La chiesa non è stata istituita al fine di essere una "organizzazione di attività", ma piuttosto quale "corpo vivo di Cristo per dar testimonianza".
Essa, tuttavia, necessariamente svolge un lavoro concreto di progettazione e di coordinamento dei molteplici uffici e servizi, affinché insieme convergano in un'azione pastorale unitaria, nella quale si stabiliscono quali siano le scelte da seguire e quali gl'impegni apostolici da preporre agli altri ( cf. CD 11; CD 30; CD 35; AC 22; AC 29 ).
Oggi infatti bisogna con insistenza provvedere ad avviare, ai vari livelli della vita ecclesiale, un conveniente sistema di ricerca e di realizzazione, affinché si possa esplicare la missione evangelizzatrice nel modo più consentaneo alle diverse situazioni.
Per tale auspicabile coordinazione tre sono i centri operativi principali: la santa sede, la diocesi ( cf. CD 11 ) e, nell'ambito suo proprio, la conferenza episcopale ( cf. CD 38 ).
Accanto poi a questi centri si costituiscono anche altri organi di collaborazione in conformità delle esigenze ecclesiali e regionali.
21. Nell'ambito della vita religiosa vengono istituiti dalla santa sede, sia a livello locale che a livello universale, i consigli dei superiori maggiori e generali ( cf. PC 23; REU 73,5 ); i quali ovviamente differiscono per natura e autorità dalle conferenze episcopali.
Intatti, il loro scopo primario è la promozione della vita religiosa inserita nella compagine della missione ecclesiale; e la loro attività consiste nell'offrire servizi comuni, iniziative di fraternità, proposte di collaborazione, rispettando naturalmente l'indole propria di ciascun istituto.
Ciò senza dubbio contribuirà ad offrire validi aiuti al coordinamento pastorale, specialmente se in determinati periodi si farà anche una conveniente revisione degli statuti operativi e se innanzi tutto si cureranno le mutue relazioni tra le conferenze episcopali e i consigli dei superiori maggiori secondo le direttive, che verranno date dalla santa sede.
22. Il sommo pontefice, in vista dell'utilità della stessa chiesa ( cf. LG 45; CD 35 ), a non poche famiglie religiose concede l'esenzione, affinché gl'istituti possano più adeguatamente esprimere la propria identità e dedicarsi al bene comune con particolare generosità e a raggio più vasto ( cf. n. 8 ).
L'esenzione, in verità, non adduce per sè alcun ostacolo nè al coordinamento pastorale nè agli scambievoli e buoni rapporti tra i membri del popolo di Dio.
Essa infatti "riguarda principalmente l'ordine interno degli istituti, perché in essi tutte le cose siano meglio tra loro unite; ordinate e concorrano all'incremento e al perfezionamento della vita religiosa; e possa, inoltre, disporre di essi il sommo pontefice per il bene della chiesa universale, ed altra competente autorità per il bene delle chiese della propria giurisdizione" ( CD 35; cf. ES I,25-40; EN 69 ).
Pertanto gl'istituti religiosi esenti, fedeli alla "particolare loro fisionomia e alla propria loro funzione" ( PC 2b ), devono innanzi tutto coltivare una speciale adesione al romano pontefice ai vescovi, rendendo effettivamente e con animo volenteroso, disponibile la propria libertà e alacrità apostolica in conformità dell'obbedienza religiosa; similmente con piena coscienza e zelo s'impegneranno a incarnare e manifestare nella famiglia diocesana anche la specifica testimonianza e la genuina missione del loro istituto; infine stimoleranno sempre quella sensibilità e intraprendenza di apostolato, che sono caratteristiche della loro consacrazione.
I vescovi sapranno certamente riconoscere e apprezzeranno grandemente il contributo specifico, col quale verranno in aiuto delle chiese particolari quei religiosi, nella cui esenzione essi trovano in certo modo anche un'espressione di quella pastorale sollecitudine, che strettamente li unisce al romano pontefice per l'universale solerte cura verso tutti i popoli ( cf. n. 8 ).
Questa rinnovata coscienza dell'esenzione, se davvero è condivisa in accordo con i vari collaboratori dell'impegno pastorale, potrà non poco giovare all'incremento dell'inventiva apostolica e dello zelo missionario in ogni chiesa particolare.
23. Quanto sopra è stato considerato circa la missione ecclesiale suggerisce le seguenti opportune note direttive:
a) innanzi tutto la stessa natura dell'azione apostolica esige che i vescovi conferiscano il posto di privilegio al raccoglimento interiore e alla vita di preghiera ( cf. LG 26; LG 27; LG 41 ); inoltre richiede che i religiosi, conformemente all'indole propria, si rinnovino in profondità e attendano assiduamente alla preghiera.
b) Con speciale cura sono da promuovere "le varie iniziative atte a stabilire la vita contemplativa" ( AG 18 ), giacché questa detiene un posto assai distinto nella missione della chiesa, "per quanto sia urgente la necessità dell'apostolato attivo" ( PC 7 ).
La vocazione di tutti, infatti, alla perfezione della carità ( cf. LG 40 ) in modo radicale è resa luminosa, particolarmente oggi mentre si va aggravando il pericolo del materialismo, dagli istituti totalmente rivolti alla contemplazione, nei quali più apertamente appare che, come dice s. Bernardo, "il motivo di amare Dio è Dio; la misura è di amarlo senza misura" ( De diligendo Deo, c. 1: PL 182, 584 ).
c) L'attività del popolo di Dio nel mondo è per sua natura universale e missionaria sia per l'indole stessa della chiesa ( cf. LG 17 ), sia per il mandato di Cristo, che conferì all'apostolato "una universalità senza frontiere" ( EN 49 ).
Sarà perciò necessario che i vescovi e i superiori curino questa dimensione della coscienza apostolica e promuovano concrete iniziative per ravvivarla.
d) La chiesa particolare costituisce lo spazio storico, nel quale una vocazione si esprime nella realtà ed effettua il suo impegno apostolico; lì infatti, dentro i confini di una determinata cultura, si annunzia e viene accolto il vangelo ( cf. EN 19; EN 20; EN 29; EN 32; EN 35; EN 40; EN 62; EN 63 ).
É necessario, pertanto, che nel lavoro di formazione si abbia debitamente presente anche questa realtà di grande importanza nel rinnovamento pastorale.
e) L'influsso reciproco tra i due poli, cioè tra la viva compartecipazione di una cultura particolare e la prospettiva di universalità, deve trovare il suo fondamento in un'inalterabile stima e perseverante custodia di quei valori di unità, ai quali in nessun modo è dato di rinunziare, sia che si tratti dell'unità della chiesa cattolica - per tutti i fedeli -, sia che si tratti della unità di ciascun istituto religioso - per tutti i suoi membri -.
Quella comunità locale, che si distacchi da questa unità, incorrerà in un duplice pericolo: "da una parte il pericolo proprio della segregazione, che inaridisce …;, dall'altra il pericolo di perdere la propria libertà, quando, staccata dal capo …, isolata, diviene soggetta in molti modi alle forze di coloro, che tentano di asservirla e di sfruttarla" ( EN 64 ).
f) In questi nostri tempi in modo particolare si esige dai religiosi quella stessa genuinità carismatica, vivace e ingegnosa nelle sue inventive, che spiccatamente eccelle nei fondatori, affinché meglio e con zelo s'impegnino nel lavoro apostolico della chiesa tra coloro, che oggi costituiscono di fatto la maggioranza dell'umanità e sono i prediletti del Signore: i piccoli e i poveri ( cf. Mt 18,1-6; Lc 6,20 ).
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