Ripartire da Cristo |
20. La vita consacrata, come ogni forma di vita cristiana, è per sua natura dinamica e quanti dallo Spirito sono chiamati ad abbracciarla hanno bisogno di rinnovarsi costantemente nella crescita verso la statura perfetta del Corpo di Cristo ( cfr. Ef 4,13 ).
Essa è nata per l'impulso creativo dello Spirito che ha mosso i fondatori e le fondatrici sulla via del Vangelo suscitando una mirabile varietà di carismi.
Essi, disponibili e docili alla sua guida, hanno seguito Cristo più da vicino, sono penetrati nella sua intimità e ne hanno condiviso appieno la missione.
La loro esperienza dello Spirito domanda non soltanto di essere custodita da quanti li hanno seguiti, ma anche di essere approfondita e sviluppata.60
Anche oggi lo Spirito Santo domanda disponibilità e docilità alla sua azione sempre nuova e creativa.
Lui solo può mantenere costante la freschezza e l'autenticità degli inizi e, nello stesso tempo, infondere il coraggio dell'intraprendenza e dell'inventiva per rispondere ai segni dei tempi.
Occorre dunque lasciarsi condurre dallo Spirito alla scoperta sempre rinnovata di Dio e della sua Parola, ad un amore ardente per lui e per l'umanità, ad una nuova comprensione del carisma donato.
Si tratta di puntare sulla spiritualità intesa nel senso più forte del termine, ossia la vita secondo lo Spirito.
La vita consacrata oggi ha bisogno soprattutto di un rilancio spirituale, che aiuti a passare nel concreto della vita il senso evangelico e spirituale della consacrazione battesimale e della sua nuova e speciale consacrazione.
« La vita spirituale dev'essere dunque al primo posto nel programma delle Famiglie di vita consacrata, in modo che ogni Istituto e ogni comunità si presentino come scuole di vera spiritualità evangelica ».61
Dobbiamo lasciare che lo Spirito apra con sovrabbondanza le sorgenti d'acqua viva che sgorgano dal Cristo.
È lo Spirito che ci fa riconoscere in Gesù di Nazareth il Signore ( cfr. 1 Cor 12,3 ), che fa udire la chiamata alla sua sequela e ci immedesima in lui: « Se qualcuno non ha lo Spirito di Cristo, non gli appartiene » ( Rm 8,9 ).
È lui che, rendendoci figli nel Figlio, testimonia la paternità di Dio, ci rende consapevoli della nostra figliolanza e ci dà l'ardire di chiamarlo « Abbà, Padre » ( Rm 8,15 ).
È lui che infonde l'amore e genera la comunione.
In definitiva la vita consacrata esige una rinnovata tensione alla santità che, nella semplicità della vita di ogni giorno, abbia di mira il radicalismo del discorso della montagna,62 dell'amore esigente, vissuto nel rapporto personale con il Signore, nella vita di comunione fraterna, nel servizio ad ogni uomo e ad ogni donna.
Tale novità interiore, interamente animata dalla forza dello Spirito e protesa verso il Padre nella ricerca del suo Regno, consentirà alle persone consacrate di ripartire da Cristo e di essere testimoni del suo amore.
La chiamata a ritrovare le proprie radici e le proprie scelte nella spiritualità apre cammini verso il futuro.
Si tratta, prima di tutto, di vivere in pienezza la teologia dei consigli evangelici a partire dal modello di vita trinitario, secondo gli insegnamenti di Vita consecrata,63 con una nuova opportunità di confrontarsi con le fonti dei propri carismi e dei propri testi costituzionali, sempre aperti a nuove e più impegnative interpretazioni.
Il senso dinamico della spiritualità offre l'occasione di approfondire, in questa stagione della Chiesa, una spiritualità più ecclesiale e comunitaria, più esigente e matura nel reciproco aiuto verso il raggiungimento della santità, più generosa nelle scelte apostoliche.
Finalmente, una spiritualità più aperta a diventare pedagogia e pastorale della santità all'interno della vita consacrata e nella sua irradiazione a favore di tutto il popolo di Dio.
È lo Spirito Santo l'anima e l'animatore della spiritualità cristiana, per questo occorre affidarsi alla sua azione che parte dall'intimo dei cuori, si manifesta nella comunione, si dilata nella missione.
È necessario quindi aderire sempre di più a Cristo, centro della vita consacrata e riprendere con vigore un cammino di conversione e di rinnovamento che, come nell'esperienza primigenia degli apostoli, prima e dopo la sua risurrezione, è stato un ripartire da Cristo.
Sì, bisogna ripartire da Cristo, perché da Lui sono partiti i primi discepoli in Galilea; da Lui, lungo la storia della Chiesa, sono partiti uomini e donne di ogni condizione e cultura che, consacrati dallo Spirito in forza della chiamata, per Lui hanno lasciato famiglia e patria e Lo hanno seguito incondizionatamente, rendendosi disponibili per l'annuncio del Regno e per fare del bene a tutti ( cfr. At 10,38 ).
La consapevolezza della propria povertà e fragilità e, insieme, della grandezza della chiamata, ha portato spesso a ripetere con l'apostolo Pietro: « Allontanati da me, Signore, perché sono un peccatore » ( Lc 5,8 ).
Eppure il dono di Dio è stato più forte dell'inadeguatezza umana.
È Cristo stesso infatti che si è reso presente nelle comunità di quanti lungo i secoli si sono riuniti nel suo nome, le ha informate di sé e del suo Spirito, le ha orientate verso il Padre, le ha guidate lungo le strade del mondo incontro ai fratelli e alle sorelle, le ha rese strumenti del suo amore e costruttrici del Regno in comunione con tutte le altre vocazioni nella Chiesa.
Le persone consacrate possono e devono ripartire da Cristo perché lui stesso, per primo, è venuto incontro a loro e le accompagna nel cammino ( cfr. Lc 24,13-22 ).
La loro vita è la proclamazione del primato della grazia;64 senza Cristo non possono fare nulla ( cfr. Gv 15,5 ); tutto invece possono in colui che dà forza ( cfr. Fil 4,13 ).
22. Ripartire da Cristo significa proclamare che la vita consacrata è speciale sequela di Cristo, « memoria vivente del modo di esistere e di agire di Gesù come Verbo incarnato di fronte al Padre e di fronte ai fratelli ».65
Questo comporta una particolare comunione d'amore con Lui, diventato il centro della vita e la fonte continua di ogni iniziativa.
È, come ricorda l'Esortazione apostolica Vita consecrata, esperienza di condivisione, « speciale grazia di intimità »;66 è « immedesimarsi con Lui, assumendone i sentimenti e la forma di vita »;67 è una vita « afferrata da Cristo »,68 « toccata dalla mano di Cristo, raggiunta dalla sua voce, sorretta dalla sua grazia ».69
Tutta la vita di consacrazione può essere compresa solo da questo punto di partenza:
i consigli evangelici hanno senso in quanto aiutano a custodire e favorire l'amore per il Signore in piena docilità alla sua volontà;
la vita fraterna è motivata da lui che raduna attorno a sé ed è finalizzata a goderne la sua costante presenza;
la missione è il suo mandato e muove alla ricerca del suo volto nel volto di quelli a cui si è inviati per condividere con loro l'esperienza di Cristo.
Queste sono state le intenzioni dei fondatori delle differenti comunità e istituti di vita consacrata.
Questi gli ideali che hanno animato generazioni di donne e uomini consacrati.
Ripartire da Cristo significa dunque ritrovare il primo amore, la scintilla ispiratrice da cui è iniziata la sequela.
È suo il primato dell'amore.
La sequela è soltanto risposta d'amore all'amore di Dio.
Se « noi amiamo » è « perché egli ci ha amato per primo » ( 1 Gv 4,10.19 ).
Ciò significa riconoscere il suo amore personale con quella intima consapevolezza che faceva dire all'apostolo Paolo: « Cristo mi ha amato e ha dato la sua vita per me » ( Gal 2,20 ).
Soltanto la consapevolezza di essere oggetto di un amore infinito può aiutare a superare ogni difficoltà personale e dell'Istituto.
Le persone consacrate non potranno essere creative, capaci di rinnovare l'Istituto e aprire nuove vie di pastorale, se non si sentono animate da questo amore.
È questo amore che rende forti e coraggiosi, che infonde ardimento e fa tutto osare.
I voti con cui i consacrati si impegnano a vivere i consigli evangelici, conferiscono tutta la loro radicalità alla risposta d'amore.
La verginità dilata il cuore sulla misura del cuore di Cristo e rende capaci di amare come lui ha amato.
La povertà rende liberi dalla schiavitù delle cose e dei bisogni artificiali a cui spinge la società dei consumi, e fa riscoprire Cristo, l'unico tesoro per il quale valga la pena di vivere veramente.
L'obbedienza pone la vita interamente nelle sue mani perché egli la realizzi secondo il disegno di Dio e ne faccia un capolavoro.
Occorre il coraggio di una sequela generosa e gioiosa.
Il cammino che la vita consacrata è chiamata a intraprendere all'inizio del nuovo millennio è guidato dalla contemplazione di Cristo, con lo sguardo « più che mai fisso sul volto del Signore ».70
Ma dove contemplare concretamente il volto di Cristo?
Vi è una molteplicità di presenze che occorre scoprire in maniera sempre nuova.
Egli è realmente presente nella sua Parola e nei Sacramenti, in modo specialissimo nell'Eucaristia.
Vive nella sua Chiesa, si rende presente nella comunità di coloro che sono uniti nel suo nome.
È di fronte a noi in ogni persona, identificandosi in modo particolare con i piccoli, i poveri, chi soffre, chi è più bisognoso.
Viene incontro in ogni avvenimento lieto o triste, nella prova e nella gioia, nel dolore e nella malattia.
La santità è il frutto dell'incontro con Lui nelle molte presenze dove possiamo scoprire il suo volto di Figlio di Dio, un volto sofferente e, nello stesso tempo, il volto del Risorto.
Come egli si rese presente nel quotidiano della vita, così ancora oggi è nella vita quotidiana dove egli continua a mostrare il suo volto.
Occorre uno sguardo di fede per riconoscerlo, dato dalla consuetudine con la Parola di Dio, dalla vita sacramentale, dalla preghiera e soprattutto dall'esercizio della carità perché soltanto l'amore consente di conoscere appieno il Mistero.
Possiamo richiamare alcuni luoghi privilegiati in cui si può contemplare il volto di Cristo, per un rinnovato impegno nella vita dello Spirito.
Sono questi i percorsi di una spiritualità vissuta, impegno prioritario in questo tempo, occasione di rileggere nella vita e nell'esperienza quotidiana le ricchezze spirituali del proprio carisma in un contatto rinnovato con le stesse fonti che hanno fatto sorgere, dall'esperienza dello Spirito dei fondatori e delle fondatrici, la scintilla della vita nuova e delle opere nuove, le specifiche riletture del Vangelo che si trovano in ogni carisma.
Vivere la spiritualità significa innanzitutto ripartire dalla persona di Cristo, vero Dio e vero uomo, presente nella sua Parola, « prima sorgente di ogni spiritualità », come ricorda Giovanni Paolo II ai consacrati.71
La santità non è concepibile se non a partire da un rinnovato ascolto della Parola di Dio.
« In particolare - leggiamo nella Novo millennio ineunte - è necessario che l'ascolto della Parola diventi un incontro vitale … che fa cogliere nel testo biblico la parola viva che interpella, orienta, plasma l'esistenza ».72
È lì infatti che il Maestro si rivela, educa il cuore e la mente.
È lì che si matura la visione di fede, imparando a guardare la realtà e gli avvenimenti con lo sguardo stesso di Dio, fino ad avere « il pensiero di Cristo » ( 1 Cor 2,16 ).
È stato lo Spirito Santo ad illuminare di luce nuova la Parola di Dio ai fondatori e alle fondatrici.
Da essa è sgorgato ogni carisma e di essa ogni Regola vuole essere espressione.
In continuità con i fondatori e le fondatrici anche oggi i loro discepoli sono chiamati ad accogliere e custodire nel cuore la Parola di Dio perché continui ad essere lampada per i loro passi e luce sul loro cammino ( cfr. Sal 119,105 ).
Lo Spirito Santo potrà allora condurli alla verità tutta intera ( cfr. Gv 16,13 ).
La Parola di Dio è l'alimento per la vita, per la preghiera e per il cammino quotidiano, il principio di unificazione della comunità nell'unità di pensiero, l'ispirazione per il costante rinnovamento e per la creatività apostolica.
Il Concilio Vaticano II aveva già indicato nel ritorno al Vangelo il primo grande principio del rinnovamento.73
Come in tutta la Chiesa, anche all'interno delle comunità e dei gruppi dei consacrati e delle consacrate, in questi anni si è sviluppato un contatto più vivo e immediato con la Parola di Dio.
È una strada da continuare a percorrere con sempre nuova intensità.
« È necessario - ha detto il Papa - che non vi stanchiate di sostare in meditazione sulla Sacra Scrittura e, soprattutto, sui santi Vangeli, perché si imprimano in voi i tratti del Verbo Incarnato ».74
La vita fraterna in comune favorisce anche la riscoperta della dimensione ecclesiale della Parola: accoglierla, meditarla, viverla insieme, comunicare le esperienze che da essa fioriscono e così inoltrarsi in un'autentica spiritualità di comunione.
In questo contesto conviene ricordare la necessità di un costante riferimento alla Regola, perché nella Regola e nelle Costituzioni « è racchiuso un itinerario di sequela, qualificato da uno specifico carisma autenticato dalla Chiesa ».75
Questo itinerario di sequela traduce la particolare interpretazione del Vangelo data dai fondatori e dalle fondatrici, docili all'impulso dello Spirito, ed aiuta i membri dell'Istituto a vivere concretamente secondo la Parola di Dio.
Nutriti della Parola, resi uomini e donne nuovi, liberi, evangelici, i consacrati potranno essere autentici servi della Parola nell'impegno dell'evangelizzazione.
È così che adempiono una priorità per la Chiesa all'inizio del nuovo millennio: « Occorre riaccendere in noi lo slancio delle origini, lasciandoci pervadere dall'ardore della predicazione apostolica seguita alla Pentecoste ».76
La preghiera e la contemplazione sono il luogo di accoglienza della Parola di Dio e, nello stesso tempo, esse scaturiscono dall'ascolto della Parola.
Senza una vita interiore di amore che attira a sé il Verbo, il Padre, lo Spirito ( cfr. Gv 14,23 ) non può esserci sguardo di fede; di conseguenza la propria vita perde gradatamente senso, il volto dei fratelli si fa opaco ed è impossibile scoprirvi il volto di Cristo, gli avvenimenti della storia rimangono ambigui quando non privi di speranza, la missione apostolica e caritativa decade in attività dispersiva.
Ogni vocazione alla vita consacrata è nata nella contemplazione, da momenti di intensa comunione e da un profondo rapporto di amicizia con Cristo, dalla bellezza e dalla luce che si è vista splendere sul suo volto.
Da lì è maturato il desiderio di stare sempre con il Signore - « È bello per noi stare qui » ( Mt 17,4 ) - e di seguirlo.
Ogni vocazione deve costantemente maturare in questa intimità con Cristo.
« Il vostro primo impegno, pertanto - ricorda Giovanni Paolo II alle persone consacrate -, non può non essere nella linea della contemplazione.
Ogni realtà di vita consacrata nasce e ogni giorno si rigenera nell'incessante contemplazione del volto di Cristo ».77
I monaci e le monache, così come gli eremiti con diversa modalità, dedicano più spazio alla lode corale di Dio come alla prolungata preghiera silenziosa.
I membri degli istituti secolari, così come le vergini consacrate nel mondo, offrono a Dio le gioie e le sofferenze, le aspirazioni e le suppliche di tutti gli uomini e contemplano il volto di Cristo che riconoscono nel volto dei fratelli, negli eventi della storia, nell'apostolato e nel lavoro quotidiano.
Le religiose e i religiosi dediti all'insegnamento, ai malati, ai poveri incontrano lì il volto del Signore.
Per i missionari e i membri delle Società di vita apostolica l'annuncio del Vangelo è vissuto, sull'esempio dell'apostolo Paolo, come autentico culto ( cfr. Rm 1,6 ).
Tutta la Chiesa gode e beneficia della pluralità delle forme di preghiera e della varietà del modo di contemplare l'unico volto di Cristo.
Nello stesso tempo si nota che, ormai da molti anni, la preghiera liturgica delle Ore e la celebrazione dell'Eucaristia hanno acquistato un posto centrale nella vita di ogni tipo di comunità e di fraternità, ridandole vigore biblico ed ecclesiale.
Esse favoriscono anche la mutua edificazione e possono diventare una testimonianza per essere, anche davanti a Dio e con lui, « una casa ed una scuola di comunione ».78
Una autentica vita spirituale richiede che tutti, pur nelle diverse vocazioni, dedichino regolarmente, ogni giorno, momenti appropriati per andare in profondità nel colloquio silenzioso con Colui dal quale sanno di essere amati, per condividere con lui il proprio vissuto e ricevere luce per continuare il cammino quotidiano.
È un esercizio al quale si domanda di essere fedeli, perché siamo insidiati costantemente dalla alienazione e dalla dissipazione provenienti dalla società odierna, specialmente dai mezzi di comunicazione.
A volte la fedeltà alla preghiera personale e liturgica richiederà un autentico sforzo per non lasciarsi fagocitare dall'attivismo vorticoso.
Non si porta frutto altrimenti: « Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me » ( Gv 15,4 ).
Dare un posto prioritario alla spiritualità vuol dire ripartire dalla ritrovata centralità della celebrazione eucaristica, luogo privilegiato per l'incontro con il Signore.
Lì egli si rende nuovamente presente in mezzo ai suoi discepoli, spiega le Scritture, scalda il cuore e illumina la mente, apre gli occhi e si fa riconoscere ( cfr. Lc 24,13-35 ).
L'invito di Giovanni Paolo II rivolto ai consacrati, è particolarmente vibrante: « Incontratelo, carissimi, e contemplatelo in modo tutto speciale nell'Eucaristia, celebrata e adorata ogni giorno, come fonte e culmine dell'esistenza e dell'azione apostolica ».79
Nell'Esortazione apostolica Vita consecrata esortava a partecipare quotidianamente al Sacramento dell'Eucaristia e alla sua adorazione assidua e prolungata.80
L'Eucaristia, memoriale del sacrificio del Signore, cuore della vita della Chiesa e di ogni comunità, plasma dal di dentro l'oblazione rinnovata della propria esistenza, il progetto di vita comunitaria, la missione apostolica.
Tutti abbiamo bisogno del viatico quotidiano dell'incontro con il Signore per inserire la quotidianità nel tempo di Dio che la celebrazione del memoriale della Pasqua del Signore rende presente.
Qui si può attuare in pienezza l'intimità con Cristo, la immedesimazione con Lui, la totale conformazione a Lui a cui i consacrati sono chiamati per vocazione.81
Nell'Eucaristia infatti il Signore Gesù ci associa a sé nella propria offerta pasquale al Padre: offriamo e siamo offerti.
La stessa consacrazione religiosa assume una struttura eucaristica: è totale oblazione di sé strettamente associata al sacrificio eucaristico.
Qui si concentrano tutte le forme di preghiera, viene proclamata ed accolta la Parola di Dio, si è interpellati sul rapporto con Dio, con i fratelli, con tutti gli uomini: è il sacramento della filiazione, della fraternità e della missione.
Sacramento dell'unità con Cristo, l'Eucaristia è contemporaneamente sacramento dell'unità ecclesiale e dell'unità della comunità dei consacrati.
In definitiva essa appare « fonte della spiritualità del singolo e dell'Istituto ».82
Perché produca con pienezza gli attesi frutti di comunione e di rinnovamento non possono mancare le condizioni essenziali, soprattutto il perdono e l'impegno dell'amore reciproco.
Secondo l'insegnamento del Signore prima di presentare l'offerta all'altare occorre la piena riconciliazione fraterna ( cfr. Mt 5,23 ).
Non si può celebrare il sacramento dell'unità rimanendo indifferenti gli uni agli altri.
Si deve, peraltro, tenere presente che queste condizioni essenziali sono anche frutto e segno di un'Eucaristia ben celebrata.
Perché è soprattutto nella comunione con Gesù eucaristia che noi attingiamo la capacità di amare e di perdonare.
Inoltre ogni celebrazione deve diventare l'occasione per rinnovare l'impegno di dare la vita gli uni per gli altri nell'accoglienza e nel servizio.
Allora per la celebrazione eucaristica varrà veramente, in modo eminente, la promessa di Cristo: « Là dove sono due o tre radunati nel mio nome, io sono in mezzo a loro » ( Mt 18,20 ), e attorno ad essa la comunità si rinnoverà ogni giorno.
A queste condizioni la comunità dei consacrati che vive il mistero pasquale, rinnovato ogni giorno nell'Eucaristia, diventa testimone di comunione e segno profetico di fraternità per la società divisa e ferita.
Dall'Eucaristia nasce, infatti, quella spiritualità di comunione così necessaria per stabilire il dialogo della carità di cui il mondo oggi ha bisogno.83
Vivere la spiritualità in un continuo ripartire da Cristo significa iniziare sempre dal momento più alto del suo amore - e l'Eucaristia ne custodisce il mistero -, quando sulla croce egli dona la vita nella massima oblatività.
Quelli che sono stati chiamati a vivere i consigli evangelici mediante la professione non possono fare a meno di vivere intensamente la contemplazione del volto del Crocifisso.84
È il libro in cui imparano cos'è l'amore e come vanno amati Dio e l'umanità, la fonte di tutti i carismi, la sintesi di tutte le vocazioni.85
La consacrazione, sacrificio totale e olocausto perfetto, è il modo suggerito loro dallo Spirito per rivivere il mistero di Cristo crocifisso, venuto nel mondo per dare la sua vita in riscatto per molti ( cfr. Mt 20,28; Mc 10,45 ), e per rispondere al suo infinito amore.
La storia della vita consacrata ha espresso questa configurazione a Cristo in molte forme ascetiche che « hanno costituito e tuttora costituiscono un potente aiuto per un autentico cammino di santità.
L'ascesi … è veramente indispensabile alla persona consacrata per restare fedele alla propria vocazione e seguire Gesù sulla via della Croce ».86
Oggi le persone consacrate, pur custodendo l'esperienza dei secoli, sono chiamate a trovare forme che siano consone a questo nostro tempo.
In primo luogo quelle che accompagnano la fatica del lavoro apostolico e assicurano la generosità del servizio.
Oggi la croce da prendere su di sé ogni giorno ( cfr. Lc 9,23 ) può acquistare anche valenze collettive, come l'invecchiamento dell'Istituto, l'inadeguatezza strutturale, l'incertezza del futuro.
Davanti alle tante situazioni di dolore personali, comunitarie, sociali, dal cuore delle singole persone o da quello di intere comunità può riecheggiare il grido di Gesù in croce: « Perché mi hai abbandonato? » ( cfr. Mc 15,34 ).
In quel grido rivolto al Padre, Gesù fa capire che la sua solidarietà con l'umanità si è fatta così radicale da penetrare, condividere e assumere ogni negativo, fino alla morte, frutto del peccato.
« Per riportare all'uomo il volto del Padre, Gesù ha dovuto non soltanto assumere il volto dell'uomo, ma caricarsi persino del "volto" del peccato ».87
Ripartire da Cristo significa riconoscere che il peccato è ancora radicalmente presente nel cuore e nella vita di tutti, e scoprire nel volto sofferente di Cristo quell'offerta che ha riconciliato l'umanità con Dio.
Lungo la storia della Chiesa le persone consacrate hanno saputo contemplare il volto dolente del Signore anche fuori di loro.
Lo hanno riconosciuto nei malati, nei carcerati, nei poveri, nei peccatori.
La loro lotta è stata sopratutto contro il peccato e le sue funeste conseguenze; l'annuncio di Gesù: « Convertitevi e credete al Vangelo » ( Mc 1,15 ) ha mosso i loro passi sulle vie degli uomini e ha dato speranza di novità di vita dove regnava scoraggiamento e morte.
Il loro servizio ha portato tanti uomini e donne a fare esperienza dell'abbraccio misericordioso di Dio Padre nel sacramento della Penitenza.
Anche oggi c'è bisogno di riproporre con forza questo ministero della riconciliazione ( cfr. 2 Cor 5,18 ) affidato da Gesù Cristo alla sua Chiesa.
È il mysterium pietatis88 del quale i consacrati e le consacrate sono chiamati a fare frequente esperienza nel Sacramento della Penitenza.
Nuovi volti si mostrano oggi, nei quali riconoscere, amare e servire il volto di Cristo lì dove si è fatto presente: sono le nuove povertà materiali, morali e spirituali che la società contemporanea produce.
Il grido di Gesù in croce rivela come egli abbia assunto su di sé tutto questo male, per redimerlo.
La vocazione delle persone consacrate continua ad essere quella di Gesù e, come lui, assumono su di sé il dolore e il peccato del mondo consumandoli nell' amore.
Se « la vita spirituale deve essere al primo posto nel programma delle Famiglie di vita consacrata »89 essa dovrà essere innanzi tutto una spiritualità di comunione, come si addice al momento presente: « Fare della Chiesa la casa e la scuola della comunione: ecco la grande sfida che ci sta davanti nel millennio che inizia, se vogliamo essere fedeli al disegno di Dio e rispondere anche alle attese profonde del mondo ».90
In questo cammino di tutta la Chiesa si attende il decisivo contributo della vita consacrata per la sua specifica vocazione alla vita di comunione nell'amore.
« Alle persone consacrate - si legge in Vita consecrata - si chiede di essere davvero esperte di comunione e di praticarne la spiritualità, come testimoni ed artefici di quel progetto di comunione che sta al vertice della storia dell'uomo secondo Dio ».91
Si ricorda inoltre che un compito nell'oggi delle comunità di vita consacrata è quello « di far crescere la spiritualità della comunione, prima di tutto al proprio interno e poi nella stessa comunità ecclesiale, ed oltre i suoi confini, aprendo o riaprendo costantemente i dialogo della carità, soprattutto dove il mondo di oggi è lacerato da odio etnico o da follie omicide ».92
Un compito che richiede persone spirituali forgiate interiormente dal Dio della comunione amorevole e misericordiosa, e comunità mature dove la spiritualità di comunione è legge di vita.
29. Ma che cos'è la spiritualità della comunione?
Con parole incisive, capaci di rinnovare rapporti e programmi, Giovanni Paolo II insegna: « Spiritualità della comunione significa innanzi tutto sguardo del cuore portato sul mistero della Trinità che abita in noi e la cui luce va colta anche sul volto dei fratelli che ci stanno accanto ».
E ancora: « Spiritualità della comunione significa capacità di sentire il fratello di fede nell'unità profonda del Corpo mistico, dunque, come "uno che mi appartiene" … ».
Da questo principio derivano con logica stringente alcune conseguenze del modo di sentire e di agire:
condividere le gioie e le sofferenze dei fratelli;
intuire i loro desideri e prendersi cura dei loro bisogni;
offrire loro una vera e profonda amicizia.
Spiritualità della comunione è pure capacità di vedere innanzi tutto ciò che di positivo c'è nell'altro, per accoglierlo e valorizzarlo come dono di Dio; è saper fare spazio al fratello portando insieme gli uni i pesi degli altri.
Senza questo cammino spirituale, a poco servirebbero gli strumenti esteriori della comunione.93
La spiritualità di comunione si prospetta come clima spirituale della Chiesa all'inizio del terzo millennio, compito attivo ed esemplare della vita consacrata a tutti i livelli.
È la strada maestra di un futuro di vita e di testimonianza.
La santità e la missione passano per la comunità, perché Cristo si fa presente in essa e attraverso di essa.
Il fratello e la sorella diventano sacramento di Cristo e dell'incontro con Dio, la possibilità concreta e, più ancora, la necessità insopprimibile per poter vivere il comandamento dell'amore reciproco e quindi la comunione trinitaria.
In questi anni le comunità e i vari tipi di fraternità dei consacrati vengono sempre più intesi come luogo di comunione, dove le relazioni appaiono meno formali e dove l'accoglienza e la mutua comprensione sono facilitati.
Si riscopre anche il valore divino ed umano dello stare insieme gratuitamente, come discepoli e discepole attorno a Cristo Maestro, in amicizia, condividendo anche i momenti di distensione e di svago.
Si nota inoltre una comunione più intensa tra le diverse comunità all'interno degli Istituti.
Le comunità multiculturali e internazionali, chiamate a « testimoniare il senso della comunione tra i popoli, le razze, le culture »,94 da più parti sono già una realtà positiva, dove si sperimentano mutua conoscenza, rispetto, stima, arricchimento.
Si rivelano luoghi di addestramento all'integrazione e all'inculturazione, e insieme una testimonianza dell'universalità del messaggio cristiano.
L'Esortazione Vita consecrata presentando questa forma di vita come segno di comunione nella Chiesa, ha evidenziato tutta la ricchezza e le esigenze richieste dalla vita fraterna.
Precedentemente il nostro Dicastero aveva promulgato il documento Congregavit nos in unum Christi amor, sulla vita fraterna in comunità.
A questi documenti ogni comunità dovrà periodicamente tornare per confrontare il proprio cammino di fede e di progresso nella fraternità.
La comunione che i consacrati e le consacrate sono chiamati a vivere va ben oltre la propria famiglia religiosa o il proprio Istituto.
Aprendosi alla comunione con gli altri Istituti e le altre forme di consacrazione, possono dilatare la comunione, riscoprire le comuni radici evangeliche e insieme cogliere con maggiore chiarezza la bellezza della propria identità nella varietà carismatica, come tralci dell'unica vite.
Dovrebbero gareggiare nella stima vicendevole ( cfr. Rm 12,10 ) per raggiungere il carisma migliore, la carità ( cfr. 1 Cor 12,31 ).
L'incontro e la solidarietà tra gli Istituti di vita consacrata vanno quindi favoriti, consapevoli che la comunione è « strettamente legata alla capacità della comunità cristiana di fare spazio a tutti i doni dello Spirito.
L'unità della Chiesa non è uniformità, ma integrazione organica delle legittime diversità.
È la realtà di molte membra congiunte in un corpo solo, l'unico Corpo di Cristo ( cfr. 1 Cor 12,12 ) ».95
Può essere l'inizio di una ricerca solidale di vie comuni per il servizio della Chiesa.
Fattori esterni, come il doversi adeguare alle nuove esigenze degli Stati, e cause interne agli Istituti, come la diminuzione dei membri, già orientano a coordinare gli sforzi nel campo della formazione, della gestione dei beni, dell'educazione, dell'evangelizzazione.
Anche in tale situazione possiamo cogliere l'invito dello Spirito ad una comunione sempre più intensa.
In questo lavoro vanno sostenute le Conferenze dei Superiori e delle Superiore maggiori e le Conferenze degli Istituti secolari, a tutti i livelli.
Non si può più affrontare il futuro in dispersione.
È il bisogno di essere Chiesa, di vivere insieme l'avventura dello Spirito e della sequela di Cristo, di comunicare le esperienze del Vangelo, imparando ad amare la comunità e la famiglia religiosa dell'altro come la propria.
Le gioie e i dolori, le preoccupazioni e i successi possono essere condivisi e sono di tutti.
Anche nei confronti delle nuove forme di vita evangelica si domanda dialogo e comunione.
Queste nuove associazioni di vita evangelica, ricorda Vita consecrata, « non sono alternative alle precedenti istituzioni, le quali continuano ad occupare il posto insigne che la tradizione ha loro assegnato. ( … )
Gli antichi Istituti, tra cui molti passati attraverso il vaglio di prove durissime, sostenute con fortezza lungo i secoli, possono arricchirsi entrando in dialogo e scambiando i doni con le fondazioni che vengono alla luce in questo nostro tempo ».96
Infine dall'incontro e dalla comunione con i carismi dei movimenti ecclesiali può scaturire un reciproco arricchimento.
I movimenti spesso possono offrire l'esempio di freschezza evangelica e carismatica, così come l'impulso generoso e creativo all'evangelizzazione.
Da parte loro i movimenti, così come le nuove forme di vita evangelica, possono imparare molto dalla testimonianza gioiosa, fedele e carismatica della vita consacrata, che custodisce un ricchissimo patrimonio spirituale, molteplici tesori di sapienza e di esperienza ed una grande varietà di forme di apostolato e di impegno missionario.
Il nostro Dicastero ha già offerto criteri e orientamenti tuttora validi per l'inserimento di religiosi e religiose nei movimenti ecclesiali.97
Quello che qui vorremmo piuttosto sottolineare è il rapporto di conoscenza e di collaborazione, di stimolo e di condivisione che potrebbe instaurarsi non solo tra le singole persone quanto tra Istituti, movimenti ecclesiali e nuove forme di vita consacrata, in vista di una crescita nella vita dello Spirito e dell'adempimento dell'unica missione della Chiesa.
Si tratta di carismi nati dall'impulso dello stesso Spirito, ordinati alla pienezza della vita evangelica nel mondo, chiamati a realizzare insieme lo stesso disegno di Dio per la salvezza dell'umanità.
La spiritualità di comunione si attua precisamente anche in questo ampio dialogo della fraternità evangelica fra tutte le componenti del Popolo di Dio.98
La comunione sperimentata tra i consacrati porta ad una apertura più grande ancora, quella nei confronti di tutti gli altri membri della Chiesa.
Il comandamento di amarsi l'un l'altro, sperimentato all'interno della comunità, domanda di essere trasferito dal piano personale a quello tra differenti realtà ecclesiali.
Soltanto in una ecclesiologia integrale, dove le diverse vocazioni sono colte all'interno dell'unico Popolo di convocati, la vocazione alla vita consacrata può ritrovare la sua specifica identità di segno e di testimonianza.
Oggi si riscopre sempre più il fatto che i carismi dei fondatori e delle fondatrici, essendo stati suscitati dallo Spirito per il bene di tutti, devono essere di nuovo ricollocati al centro stesso della Chiesa, aperti alla comunione e alla partecipazione di tutti i membri del popolo di Dio.
In questa linea possiamo costatare che si sta instaurando un nuovo tipo di comunione e di collaborazione all'interno delle diverse vocazioni e stati di vita, soprattutto tra i consacrati e i laici.99
Gli Istituti monastici e contemplativi possono offrire ai laici una relazione prevalentemente spirituale e i necessari spazi di silenzio e di preghiera.
Gli Istituti impegnati sul versante dell'apostolato possono coinvolgerli in forme di collaborazione pastorale.
I membri degli Istituti secolari, laici o chierici, entrano in rapporto con gli altri fedeli nelle forme ordinarie della vita quotidiana.100
La novità di questi anni è soprattutto la domanda da parte di alcuni laici di partecipare agli ideali carismatici degli Istituti.
Ne sono nate iniziative interessanti e nuove forme istituzionali di associazione agli Istituti.
Stiamo assistendo ad un autentico rifiorire di antiche istituzioni, quali gli Ordini secolari o Terz'Ordini, ed alla nascita di nuove associazioni laicali e movimenti attorno alle Famiglie religiose e agli Istituti secolari.
Se, a volte anche nel recente passato, la collaborazione è avvenuta in termini di supplenza per la carenza delle persone consacrate necessarie allo svolgimento delle attività, ora essa nasce dall'esigenza di condividere le responsabilità non soltanto nella gestione delle opere dell'Istituto, ma soprattutto nell'aspirazione a vivere aspetti e momenti specifici della spiritualità e della missione dell'Istituto.
Si domanda quindi un'adeguata formazione dei consacrati come dei laici ad una reciproca ed arricchente collaborazione.
Se in altri tempi sono stati soprattutto i religiosi e le religiose a creare, nutrire spiritualmente e dirigere forme aggregative di laici, oggi, grazie ad una sempre maggiore formazione del laicato, ci può essere un aiuto reciproco che favorisce la comprensione della specificità e della bellezza di ciascun stato di vita.
La comunione e la reciprocità nella Chiesa non sono mai a senso unico.
In questo nuovo clima di comunione ecclesiale i sacerdoti, i religiosi e i laici, lungi dall'ignorarsi vicendevolmente o dall'organizzarsi soltanto in vista di attività comuni, possono ritrovare il giusto rapporto di comunione e una rinnovata esperienza di fraternità evangelica e di vicendevole emulazione carismatica, in una complementarietà sempre rispettosa della diversità.
Una simile dinamica ecclesiale sarà tutta a vantaggio dello stesso rinnovamento e dell'identità della vita consacrata.
Quando la comprensione del carisma si approfondisce, si scoprono sempre nuove possibilità di attuazione.
In questo rapporto di comunione ecclesiale con tutte le vocazioni e gli stati di vita, un aspetto del tutto particolare è quello dell'unità con i Pastori.
Invano si pretenderebbe di coltivare una spiritualità di comunione senza un rapporto effettivo ed affettivo con i Pastori, prima di tutto con il Papa, centro dell'unità della Chiesa, e con il suo Magistero.
È la concreta applicazione del sentire con la Chiesa, proprio di tutti i fedeli,101 che brilla specialmente nei fondatori e nelle fondatrici della vita consacrata, e che diventa impegno carismatico per tutti gli Istituti.
Non si può contemplare il volto di Cristo senza vederlo risplendere in quello della sua Chiesa.
Amare Cristo è amare la Chiesa nelle sue persone e nelle istituzioni.
Oggi più che mai, davanti a ricorrenti spinte centrifughe che mettono in dubbio principi fondamentali della fede e della morale cattolica, le persone consacrate e le loro istituzioni sono chiamate a dare prova di unità senza incrinature attorno al Magistero della Chiesa, facendosi portavoce convinti e gioiosi davanti a tutti.
È opportuno sottolineare quanto già il Papa affermava nell'Esortazione Vita consecrata: « Un aspetto qualificante di questa comunione ecclesiale è l'adesione di mente e di cuore al magistero ( del Papa e ) dei Vescovi, che va vissuta con lealtà e testimoniata con chiarezza davanti al Popolo di Dio da parte di tutte le persone consacrate, particolarmente da quelle impegnate nella ricerca teologica e nell'insegnamento, nelle pubblicazioni, nella catechesi, nei mezzi di comunicazione sociale ».102
Nello stesso tempo si riconosce che molti teologi sono religiosi e molti istituti di ricerca sono retti da Istituti di vita consacrata.
Essi portano lodevolmente questa responsabilità nel mondo della cultura.
La Chiesa guarda con fiduciosa attenzione il loro impegno intellettuale davanti alle delicate problematiche di frontiera che oggi il Magistero deve fronteggiare.103
I documenti ecclesiali degli ultimi decenni hanno costantemente ripreso il dettato conciliare che invitava i Pastori a valorizzare i carismi specifici nella pastorale d'insieme.
Nello stesso tempo incoraggiano le persone consacrate a far conoscere e ad offrire con chiarezza e fiducia le proprie proposte di presenza e di lavoro in conformità alla specifica vocazione.
Questo vale, in qualche modo, anche nel rapporto con il clero diocesano.
La maggior parte dei religiosi e religiose collaborano quotidianamente con i sacerdoti nella pastorale.
È quindi indispensabile avviare tutte le iniziative possibili per una sempre maggiore conoscenza e stima reciproche.
Soltanto in armonia con la spiritualità di comunione e con la pedagogia tracciata nella Novo millennio ineunte, potrà essere riconosciuto il dono che lo Spirito Santo fa alla Chiesa mediante i carismi della vita consacrata.
Vale anche, in modo specifico per la vita consacrata, quella coessenzialità, nella vita della Chiesa, tra l'elemento carismatico e quello gerarchico che Giovanni Paolo II ha più volte menzionato rivolgendosi ai nuovi movimenti ecclesiali.104
L'amore e il servizio nella Chiesa domandano di essere sempre vissuti nella reciprocità di una carità vicendevole.
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