Sequela
Sommario
I - ProblematicaLa sequela è espressione della conversione permanente a Gesù Cristo; la ricostruzione delle sue condizioni, esigenze e forme, ha impegnato e impegna coloro che si interrogano sul proprio rapporto con lui. Seguirlo o meno è decisione che struttura e qualifica in radice l'esistenza e il destino delle comunità e dei singoli1 e che va riesaminata ad ogni svolta importante della storia e della propria storia. La condizione di Gesù Cristo è unica: è Dio e uomo; è l'unico che ha compiuto in tutto la ( v. ) volontà del Padre. Egli ieri, oggi, sempre opera ed influisce nelle comunità raccolte nel suo nome. Nella sua vita agì e parlò, e le comunità primitive, attraverso un travaglio lungo ed esperienze diverse, hanno trasmesso, reinterpretato, personificato il suo messaggio nell'intento di individuarne la portata e di testimoniare la fede e la fedeltà che esso alimentava e che le univa e le raccoglieva. La narrazione della sua vita, perciò, non è univoca e va interpretata attentamente. E poiché sequela è risposta alla fedeltà di Dio in Gesù Cristo, è chiamata a portare avanti in comunione di fede e di amore l'opera che egli compie e che ispira nel suo Spirito e attua nel suo popolo, ogni generazione cristiana e ogni cristiano devono rivivere questa storia, ricostruirne i fatti per discernere la via nella quale seguirlo, superando arbitri e riduttivismi. Nel rappresentarsi questa sorgente a cui si ricollega, il "discepolo" rischia di rimanere vittima dell'insidia che porta a falsare, frantumare, "sciogliere Gesù Cristo" ( 1 Gv 4,2: trad. Volgata ), a ridurlo in schemi alternativi, polarizzanti, più che ad accoglierlo quale è, nella pienezza del suo mistero. La sequela è legame, comunione con Cristo, è camminare in, con e per lui, per la via che egli ha percorso in obbedienza al Padre. La varietà del contesto primitivo, la lontananza da esso, la mediazione della tradizione di venti secoli, la situazione contemporanea, la pluralità di vocazioni e di condizioni in cui l'uomo vive, ecc. inducono a verificare con trepidazione gli stili di codesta comunione di vita. La risposta è stile di vita, fedeltà da interpretare e costruire ogni giorno, in comunione con altri, in spirito di missione, in apertura al futuro, in sintonia con l'eterno. Per camminare non con spontaneismo arbitrario né in orientazioni devianti, ma in continuità di tradizione, in verità di opere, nella via del vangelo, per seguire e non ridursi alla condizione di eseguire è indispensabile vivere in sintonia di comunione. L'ispirazione che porta a prendere posizione, a orientarsi, a discernere con chi impegnarsi per costruire il regno, matura nel colloquio perseverante della fede [ v. Credente ], nell'obbedienza unificata nell'ascolto umile ed attento della ( v. ) parola di Dio celebrata nella liturgia; è interpretata nel ( v. ) discernimento rischioso della realtà quotidiana [ v. Segni dei tempi ], in solidarietà con gli uomini e le comunità dalla volontà retta. Questa condizione di vita rassicura i fedeli e lascia perplessi coloro che amano orientamenti precisi, cosicché l'aspetto risolutivo della decisione della sequela ne diventa la croce, il nodo mai risolto perché impone costantemente di reinterpretare cosa significa seguire Gesù Cristo. Seguire è vivere, è amare, crescere in fedeltà, impegnarsi nella costruzione del regno e solidarizzare nella giustizia e nell'amicizia. Individuare in concreto come ciò avviene è tentativo mai finito, la sua riduttività si supera solo se si vive in disponibilità permanente di ascolto dell'ispirazione fondante, nella critica delle realizzazioni per discernere se i tratti comuni si svilappano in esigenze di armonia o in un parassitismo ripetitivo. Le difficoltà non si attenuano quando, per verificare la risposta, si cerca di orientarsi sul modo come la sequela è stata realizzata nel corso della storia della chiesa. La vitalità prevalente della sequela è intima, ineffabile; si concretizza nella relazione di agape e di fede tra Gesù Cristo e i fedeli. I segni e le manifestazioni esterne sono molto legati a condizioni di tempo, di luogo, di persone e da soli non permettono di cogliere l'humus vivo e vitale dal quale scaturiscono, di distinguere ciò che dell'ispirazione permane e ciò che è caduto col tempo. Di più. Gli stili di vita non prescindono dal contesto di rappresentazioni e di convinzioni che strutturano la cultura dei vari ambienti; si sviluppano sotto l'influsso di capi carismatici che ne concretizzano le esigenze; si pensi, per es., ai movimenti evangelici che nei secoli hanno vitalizzato la comunità cristiana [ v. Uomo evangelico ]. Si ritrova una difficoltà simile a quella che rendeva timoroso il collegamento a Gesù Cristo e alle comunità primitive. Assumere gli apporti della tradizione e articolarli senza tradirne l'ispirazione, nel cammino personale, comunitario e in quello autenticato da coloro che sono chiamati a confermare il cammino comune, spesso è come tentare di quadrare il cerchio. Coloro che si impegnano nel costruire il cammino sanno che il problema non è teorico. Occorre, poi, decidersi tra le contrastanti posizioni contemporanee. Su quale parametro va reinterpretata la sequela? La si coglierà nella prospettiva dei bisogni e degli orientamenti dell'umanità che avanza nella lotta per la giustizia e stenta a costruire la via della speranza e della fedeltà a Dio e all'uomo? Oppure la si vedrà nell'ambito di un progetto globale di cui sarebbe portatrice in modo autonomo la comunità cristiana? È bene assecondare coloro che ne interpretano le esigenze in chiave imitativa, pensano l'imitazione in ottica contenutista e fissano con meticolosa rigidità i comportamenti in cui si esprime? Coloro che ne privilegiano il carattere spiritualista dando l'impressione di vanificare l'incarnazione e la storia? Coloro che optano per una storicizzazione immanentista, individuale o collettiva che sia? Tutte queste e altre rappresentazioni e realizzazioni riduttive, anche se sembrano facilitare le cose, rientrano nella specie della « grazia a buon mercato che è grazia senza sequela, senza croce, senza Gesù vivente e incarnato » ( D. Bonhoener ). Il cammino dei discepoli è orientato dalla "vocazione", passa per la risposta alle provocazioni della storia, si sviluppa sul filo della corrente, non vegeta nella palude di un'età senza tempo. Per camminare devono "discernere" i segni dei tempi, coltivare nella preghiera le realizzazioni, verificare le tappe in continuità di conversione, nel confronto con l'esperienza della comunità primitiva e della comunità che la tramanda e con le aspirazioni e programmazioni delle società nelle quali sono inseriti. È la grandezza e il rischio della loro condizione. II - Riflessioni sulla nozione neotestamentariaSeguire, nei testi biblici neotestamentari2 è usato in diverse accezioni. Esprime il rapporto differenziato sorto tra Gesù Cristo e gli uomini che si unirono a lui, e si riferisce sia a coloro che, nel tempo del ministero pubblico, lo seguirono più o meno costantemente, sia a coloro che credettero in lui per la predicazione degli apostoli dopo la pentecoste e sino alla schiera innumerevole di coloro che vivono nella definitiva e piena unione con lui in Dio ( Gv 13,36b ). Gli studiosi neotestamentari hanno seguito varie piste nel tentativo di ricostruire questa vasta gamma di relazioni: o hanno sviluppato l'analisi filologica dei vocaboli ( es. Kittel ), o della "famiglia" di vocaboli ( Diz. dei concetti biblici del NT ) con i quali è descritta, o hanno analizzato le principali situazioni che ha suscitato. Altri ( es. Schuiz ) hanno cercato di descrivere lo stile di vita delle persone che, durante il ministero della vita pubblica, si accompagnarono a Gesù o per adesione spontanea ( Mt 4,20; Mt 8,1; Mt 21,9; Mc 10,32 ), o perché chiamate da lui a "vivere" insieme ( Gv 15,27 ), a seguirlo come discepoli per condividerne la missione ( Mt 9,9 par.; Mt 19,21 par.; Mt 8,22 par.; Gv 1,43; Gv 21,19ss; Mc 1,16 par.). Costoro hanno messo in rilievo la trasformazione che la sequela subì dopo la pentecoste, quando significò non più il rapporto con Gesù storico, ma quello con Cristo risorto. La pasqua, l'ascensione, la pentecoste influirono in modo determinante sulla vita degli apostoli, dei discepoli e, in genere, di tutti i seguaci. Non vedere più Gesù; non poter costatare come si comportava, quale atteggiamento assumeva nei confronti di situazioni e persone; non ascoltarne la parola e l'esortazione; il fatto, meno tangibile ma determinante, della presenza dello Spirito; l'estensione della missione dal popolo giudaico all'umanità; l'aumento del numero dei seguaci, ecc. trasformarono abitudini di vita e modo di pensare della comunità pre-pasquale: non riconoscerlo significa falsare le situazioni, radicalizzare o semplificare ad arbitrio eventi e parole. Sarebbe però ugualmente erroneo prospettare un mutamento tale da compromettere ogni continuità tra la vita trascorsa in comunione visibile con il Signore e quella delle comunità che, per la parola degli apostoli, credettero in lui. Molti aspetti della vita trascorsa in comunione con Gesù, nonostante sia difficile individuarli con esattezza, avevano valore e portata permanente. Gli apostoli e, in genere, coloro che seguirono Gesù erano il germe della nuova umanità, l'esperienza che essi vissero era destinata a tutti. Non tento neppure di ricostruire l'evoluzione del tema nelle fasi precedenti la redazione dei testi e mi limito all'analisi di alcuni tratti concernenti il rapporto di sequela così come emerge dal testo attuale dei sinottici e dei corpus giovanneo e paolino. Il vocabolario usato per descrivere queste situazioni è vario e da solo non permette di comprenderne la portata.3 Per disporre di qualche riferimento più concreto, alcuni, dal fatto che Gesù è denominato rabbi ( Gv 1,38 ), hanno pensato che i rapporti con i suoi seguaci si modellassero su quelli esistenti tra maestro e discepoli nell'ebraismo contemporaneo. Egli, come un rabbi, avrebbe incominciato col radunare intorno a sé una cerchia ristretta di allievi: i mathetai o piuttosto i talmidin, i quali lo rispettavano, lo ascoltavano e, letteralmente, lo seguivano, imparavano da lui a interpretare la legge, a risolvere i problemi, ecc. I seguaci, invece, sono per lo più indicati come mathetes ( è attestato 264 volte esclusivamente nei quattro vangeli e in Atti )4 che designa la folla di coloro che si accompagnano a Gesù in modo puro e semplice, che si aprono al suo vangelo anche se non riescono a sondare il mistero della sua persona ( Mc 3,7 par.; Mc 5,24; Mc 10,52 par.; Mc 11,9 par.; Lc ,7,9; Mt 8,10; Lc 9,11; Mt 14,13; Mt 4,25; Mt 8,1; Mt 9,27; Mt 19,2; Mt 20,29; Lc 23,27 ); i seguaci in senso largo ( Mc 2,15; Mc 10,32; Mc 15,41 par. ); i discepoli ( Mc 6,1; Mc 14,54 par.; Mt 8,23; Lc 22,39); i dodici ( Lc 6,13 ). 1. Tradizione sinottica« Il tema di sequela, l'evento che lo alimenta e la terminologia che lo esprime sono solidamente radicati sia nella tradizione dei detti sia in quella dei fatti di Gesù. Il materiale narrativo e dottrinale ( a volte di genere misto ) si condensa intorno a questi blocchi: storie di vocazioni; episodi relativi all'istituzione e missione dei dodici ( rispettivamente dei discepoli ); l'ultima cena; episodi e notazioni della storia della passione; annuncio pasquale del risorto che "precede" i suoi in Galilea; alcuni sommari; l'esorcista che "non segue"; detti sulla sequela; condizione e forma del seguire Gesù; la "vera famiglia" di Gesù; il cosiddetto "invito del Salvatore" ( Mt 11,28 par.; Lc 10,21s ); cenni ripetuti alle istruzioni rivolte da Gesù ai discepoli e alla loro incomprensione. L'elenco non è esaustivo, ma la raccolta fatta mostra da sola il peso del tema ».5 Alcune caratteristiche della chiamata alla sequela si riferiscono direttamente al gruppo di discepoli e agli apostoli, altre hanno rilevanza generale. Così per es. Gesù chiama per associare gli uomini alla sua vita, al compimento della missione che è venuto a realizzare.6 Si tratta, però, non di una partecipazione indiscriminata. Gesù chiama con autorità, come Dio chiamava i ( v. ) profeti nell'AT ( Mc 1,16ss par.; Mt 8,22 ), alcuni uomini del suo popolo e li prepara con cura a partecipare alla sua opera, a collaborare con lui nel servizio del regno ( Mc 1,15 ); fissa le loro condizioni della vita ( Mc 1,17 par.: Mc 2,14 par.; Lc 9,59-62 ), li vuole con sé ( Mc 3,14 ), esige prontezza nel seguirlo ( Lc 14,27 par.; Mc 8,34 par. ). Una parte dei discepoli, i dodici, sono scelti per rappresentare simbolicamente le dodici tribù d'Israele e per esprimere l'esigenza messianica di Gesù Cristo riguardo a tutto Israele. In genere chiede ai seguaci un'obbedienza che va fino alla rottura dei legami familiari e professionali che intralciano la comunione di vita stabile con lui e trattengono dal seguirlo nei suoi spostamenti, dal restare al suo servizio e collaborare con lui nell'istaurazione del regno ( Lc 17,31ss par.; Lc 9,62 ).7 Per prendere parte alla sua missione il chiamato deve essere pronto a condividerne la vita, il destino e la sofferenza: « Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua » ( Mc 8,34 par. ). La croce è sinonimo di disponibilità, di abnegazione e cioè di libertà nei confronti di se stessi, delle sicurezze umane. Fedeltà indiscussa ( Lc 12,8 ), seguire il suo esempio, fare come ha fatto lui ( Mt 10,24-25a ) sono condizioni per diventare collaboratore, per trasmettere la chiamata di Dio a Israele ( Mt 4,17 con Mt 10,7 ), per annunziare il messaggio della venuta del regno e compiere i segni e i prodigi che la confermano ( Mc 3,14s ). Tra Gesù e i suoi seguaci c'è grande comunanza di vita. Le medesime nozioni sono utilizzate per descrivere l'azione messianica di Gesù e la posizione dei suoi inviati che resteranno sottoposti agli stessi pericoli corsi dal maestro ( Mc 10,32 ) e parteciperanno alla sua stessa vita. 2. Corpus GiovanneoSeguire si riferisce alla comunione intima con il risorto e il glorificato ( Gv 12,26ss ). I discepoli non sono più in relazione col Gesù terreno; hanno piena comunione con lui nella fede nella parola ( Gv 8,21 ) e nello Spirito ( Gv 14,15-17 ). Seguire comincia a significare aver fede, credere in Gesù Cristo ( in Gv 12,44 akolouthéo è sostituito da pistéuo; cf anche Gv 8,12; Gv 10,4; Gv 5,47; Gv 12,46 )8 e compito dei discepoli non è conservare o riprodurre una particolare dottrina di Gesù, ma esserne, con la vita, testimoni. Anche a livello di vocabolario c'è unità stretta tra l'invio di Gesù da parte del Padre e l'invio dei discepoli da parte di Gesù ( Gv 20,21). La sequela nasce dalla fede, e cioè dall'accogliere il dono del Padre ( Gv 6,37 ) che attira gli uomini al Figlio ( Gv 6,44 ), affinché trovino in lui la salvezza. I credenti sono nati dalla verità ( Gv 18,37 ), da Dio ( Gv 8,47 ) e devono seguirne l'esigenza in tutte le fasi del suo sviluppo ( Gv 6,67-70 ). Dio si manifesta in Gesù Cristo e questa manifestazione mette l'umanità, immersa nelle tenebre e nell'ostilità, di fronte alla scelta decisiva di accettare o rifiutare la proposta di salvezza. Gesù Cristo è la parola di Dio che esige decisione, scelta. « Chi mi segue non cammina nelle tenebre, avrà la luce della vita » ( Gv 8,12 ). « Io sono la luce, sono venuto nel mondo affinché chi crede in me non resti nelle tenebre » ( Gv 12,46 ). Seguire, perciò, è abbandonare il dominio delle tenebre e entrare nel mondo di Dio. In Gv 10,16s, Gesù, buon pastore, è opposto al mercenario e al brigante, seguire lui significa uscire dal mondo ostile a Dio, morire al peccato e incamminarsi nella via di Dio. Lo stato di discepolo, la comunione di intenti e di vita con il maestro, inizia quasi sempre in seguito ad una testimonianza resa a Gesù da qualcuno che già lo ha conosciuto. Giovanni Battista proclama: « Ecco l'Agnello di Dio » ( Gv 1,36 ); Andrea, uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e avevano seguito Gesù ( Gv 1,40 ), annunzia a Pietro: « Abbiamo trovato il Messia » ( Gv 1,41 ); Filippo proclama a Natanaele: « Abbiamo trovato colui del quale hanno scritto Mosè nella legge e nei profeti, Gesù figlio di Giuseppe di Nazaret » ( Gv 1,45 ). Sulla testimonianza della samaritana « molti samaritani credettero in lui » ( Gv 4,39 ) e successivamente riconoscono di credere per aver essi stessi udito e saputo che « egli è veramente il salvatore del mondo » ( Gv 4,42 ). Il discepolo è chiamato a condividere il destino del Signore ( Gv 12,26; Gv 21,19-22 ) e quindi a partecipare alla sua gloria ( Gv 12,26; Gv 13,36ss ). Il ritorno di Gesù al Padre ha valore salvifico, apre il cammino attraverso il quale i credenti, i discepoli, seguiranno il loro Signore nella gloria ove egli prepara loro una dimora perché essi siano ove egli è ( Gv 14,1-4 ), per contemplare con lui la gloria del Padre ( Gv 17,24 ). La "sequela" ha origine nella chiamata del Padre e tende alla vita con il Padre, all'essere "onorati" da lui ( Gv 12,26b ).9 Questa mèta è promessa a tutti ( Gv 12,26 ) e in particolare a Pietro ( Gv 13,36-38; Gv 21,19-22 ). Passaggio obbligato per arrivarvi è la morte; il grano che non muore resta solo, quello che muore porta molto frutto ( Gv 12,24 ); chi ama la vita la perde; chi odia la vita in questo mondo la conserva nella vita eterna ( Gv 12,25; Lc 17,33; Mt 10,39; Mc 8,35 ): e ancora: « Se qualcuno mi serve, mi segua, ove sarò io sarà anche il mio servitore. Se qualcuno mi serve, mio Padre l'onorerà » ( Gv 12,26)10. L'aspetto più nuovo della sequela nel messaggio giovanneo è che ivi essa è più che una chiamata ( Gv 8,12), è una promessa ( Gv 13,36 ), è l'evento escatologico della partecipazione con Gesù alla vita di Dio presso il Padre. Gesù promette la partecipazione della sua gloria oltre la morte. La sequela non concerne semplicemente un numero limitato di collaboratori, bensì tutti coloro che nella fede hanno ricevuto l'amore come dono di grazia. Seguire Gesù è dono di Dio, è grazia; è possibilità che Dio dà, concede all'uomo di vivere in comunione di fede e di amore con Gesù Cristo durante la vita e di partecipare con lui alla glorificazione che ha ricevuto dal Padre nella risurrezione e nell'ascensione. 3. Corpus paolinoLa tematica della sequela è sviluppata nella prospettiva della presenza "in Cristo" e dell'imitazione. L'in Cristo si riscontra più di 160 volte e, oltre i casi in cui esprime l'orientamento del Padre che in Cristo sceglie e predestina i suoi eletti ( Ef 1,4-5; Ef 2,16; 2 Cor 5,18-19 ), comunica la sua carità ( Rm 8,38s; Rm 5,8-10 ), la sua luce ( Ef 5,8-14 ), la sua forza ( Ef 6,10 ), indica anche che il Padre gradisce chi è unito a Cristo, passa per lui, viene da lui. Il cristiano non ha che un solo problema: l'amore a Cristo, l'essere in lui; attraverso Cristo raggiunge il Padre in cui è salvezza ( 1 Cor 1,30; 1 Cor 6,11 ), innestato in Cristo ottiene il perdono dei peccati ( Col 1,14 ) e acquista la giustificazione ( Rm 8,1; Rm 6,11 ). Nell'unione con Gesù Cristo resta unito anche con i fratelli, diventa membro di una comunità nuova, il corpo di Cristo, che si costruisce nella carità ( Ef 4,16 ). Principio di unità e di vita è lo Spirito santo che riempie il corpo glorioso di Cristo e in lui si comunica alle membra che in esso vengono inserite attraverso il battesimo ( 1 Cor 12,3 ). La fede operante in amore è segno di riconoscimento della partecipazione a codesta vita.11 L'altra categoria paolina per la sequela è l'imitazione. Anche se sembra che la persona da imitare a volte sia Paolo altre volte Cristo ( Rm 15,3.7; 2 Cor 5,14; 2 Cor 8,9; 2 Cor 10,1; Fil 2,5ss; Ef 5,2.25 ), di fatto la situazione è diversa. Anche quando propone se stesso come modello ( 1 Cor 4,16; 1 Cor 11,1; Fil 3,17; 2 Ts 3,7.9 ), non vincola l'esigenza dell'imitazione alla sua persona ma a colui che egli stesso imita; chiede di indirizzare la vita secondo le prescrizioni che egli dà, di tendere alla meta verso cui egli è incamminato, seguendo il cammino che egli stesso percorre. Essere, vivere in Cristo, deve costituire aspirazione unica, esclusiva, del battezzato. Cristo non è oggetto da imitare, è il soggetto attivo che deve ispirare la condotta del credente. Nell'unione a lui la persona costruisce e realizza la propria identità e perciò l'adesione a lui non si pone tanto sulla linea delle cose da fare, quanto della realizzazione del "noi": il momento operativo è successivo a quello conformante. Cristo è il soggetto in, con e per cui il credente pensa ama opera. Di più. Paolo, quando accenna a Cristo, sembra si riferisca, più che ai tratti concreti della sua vita terrena, all'autorità del risorto presente ora nella sua parola, nello Spirito santo e nell'autorità apostolica.12 La visibilizzazione delle esigenze della sequela va concretizzata nel rapporto che la comunità credente ha con gli apostoli e con i loro successori nel governo. L'adesione a Cristo è conversione della persona nelle sue dimensioni fondamentali e cioè nella sua condizione di concittadino nel popolo di Dio e nella famiglia umana, di riconciliato in Cristo che nello Spirito riconosce il Padre e concorre nel tempo allo sviluppo della creazione, condivide con gli uomini la responsabilità nel mondo e nella storia. III - « Nuova creazione » ( Gal 6,15 )1. Indole storico-salvifica della sequelaLa sequela è "chiamata" vissuta; "iniziativa" assecondata; è avanzare nella vita « tenendo fisso lo sguardo su Gesù, autore e perfezionatore della fede » ( Eb 12,2 ). Penetrarne la portata per l'uomo d'oggi significa riproporsi il problema di Gesù Cristo, della sua opera, della sua missione. Non si può parlare di sequela se non in rapporto a lui. Seguire è imitare13 e imitare è più che ammirare: è calcare le orme di colui che ci ispira; penetrare la vita e la missione di Gesù per conoscere chi è colui a cui il Padre attira; colui che ci chiama, ci interpella, ci precede nella casa del Padre, opera non per sostituirsi a noi ma per renderci operanti in sé. La sequela non è la via alla perfezione, è la stessa perfezione, è l'identificazione della persona in Cristo che è salvezza per ogni credente ( Rm 1,16 ). L'identificazione in lui unifica ma non massifica; struttura ma non è fissista; coinvolge ma non deresponsabilizza; ci pone nell'eterno e non vanifica il tempo. Nella sequela esiste un solo problema: Gesù nell'umanità e l'umanità in Gesù. È il problema sul quale l'uomo, ogni uomo, quando diventa cosciente di sé, è chiamato a prendere posizione. La sua soluzione è connessa alla rappresentazione che l'uomo si fa del rapporto tra Gesù della storia e Cristo della fede, tra cristologia e gesuologia e questa, a sua volta, è collegata, come origine e dipendenza, alla concezione che l'uomo ha di sé e del suo rapporto con Dio. Gesù Cristo è la convergenza dei due aspetti del perenne problema che inquieta l'uomo: la penetrazione del mistero di sé e di quello di Dio. Nella conversione di sequela a lui comincia a balenare una soluzione, per la pace del cuore più che per l'inquietudine dell'intelligenza. La conversione coinvolge gli uomini nell'opera che Gesù realizza nella storia e li porta a volersi "situati" nella via che egli percorre, ad affidarsi a lui, a essere in lui e con lui, a vivere come ha vissuto lui a realizzare ciò che egli chiede. La sequela inoperosa è contraddittoria. La riflessione su di essa induce ad assumere gli interrogativi di fondo sull'armonia tra fedeltà a Dio e solidarietà con l'uomo, la presenza nella chiesa e di questa nella società, la conduzione della vita familiare e personale. Ancor oggi il Padre attira gli uomini a Cristo ( Gv 6,44 ), li associa alla sua vita e missione, ed egli chiama gli uomini, svela ad essi il disegno del Padre, li rende partecipi dell'opera che svolge e li responsabilizza, con le loro doti e capacità, nella trasformazione della storia. Questo cammino è crescita nella croce di Gesù Cristo, "impressa" nell'uomo nel battesimo. È insieme segno "della nuova condizione" della persona e "della carità e della vittoria" di Cristo che protegge l'uomo, abita mediante la fede in lui, lo sostiene "nel conoscerlo e nel seguirlo", lo conduce ad "ascoltare la voce del Signore", "a vedere lo splendore del volto di Dio", "a rispondere alla parola che interpella", ad "addossarsi il suo giogo soave".14 La sequela è sviluppo dell'incorporazione in Cristo, vita nella sua agape, nella sua croce. Gli aspetti spirituali della sequela sono strettamente articolati con la realtà storico-salvifica nella quale l'uomo è immesso nella croce, risurrezione e dono dello Spirito, quando è sancita definitivamente l'alleanza nuova tra Dio e uomo, quando è stipulato il patto "nuovo ed eterno" nel quale l'uomo è "sacerdote, re e profeta", è messo in condizione di unire in sé, in vincolo saldo, l'amore totale per Dio e l'amore personalizzante per sé e per il "prossimo" ( Mt 19,18s par. ). Seguire è "essere in Cristo", diventare convertiti alla condizione di alleato, al "riconoscimento" di Dio, alla responsabilità di giustizia e amicizia per l'uomo. Seguire, più radicalmente che serie di atteggiamenti e di comportamenti da assumere e atti da eseguire, è modo di essere, di vivere, di esistere; è "essere in", comunione di vita e di pensiero con Gesù Cristo vivo nelle comunità che credono in lui. La sequela è vissuta più intensamente di quanto sia pensata. Sul piano del pensiero è omogenea alla rappresentazione che l'uomo si fa di Gesù Cristo, della sua presenza tra noi; della trasformazione che opera nell'uomo, della dimensione escatologica della sua missione. Gesù, però, non va confuso con nessuna rappresentazione che gli uomini si fanno di lui. Seguire Cristo non significa codificare i concetti espressi su di lui e sulla sua missione e aderire ad essi, parlarne, difenderli, elaborarli, trascurando il rapporto vivo e vitale con lui a cui si riferiscono. La comprensione di Cristo che salva e non paralizza è intelligenza di amore, si sviluppa nella partecipazione alla sua vita, matura all'interno di essa. Coloro che camminano con lui e lo amano, ascoltano la sua voce, crescono nel mistero della sua vita e di ogni vita, che diventa autentica nella partecipazione alla vita di Dio, nella comunione con il Padre e con lo Spirito. Tutto ciò deve diventare credibile nell'esperienza di ogni giorno e perciò ha riflesso nella sfera del "fare", dell'agire, del comportamento, ma concerne soprattutto la misteriosa condizione di « nuova creatura » ( 2 Cor 5,17 ). Il dono che Cristo offre in nome del Padre, già ora, anche se non in modo perfetto ( 1 Gv 3,2 ), è vivere nella vita nella quale è risorto. Egli è venuto per compiere la volontà del Padre ( Mt 26,42; Lc 22,42; Gv 4,34; Gv 5,30; Gv 6,38 ) e fa tutto ciò che il Padre gli chiede e perciò, all'origine della chiamata che egli rivolge, c'è l'amore del Padre che invita e ammette gli uomini alla partecipazione della vita della Trinità. Il sì, la risposta dell'uomo matura nella conversione che fa nascere alla condizione di figli di adozione, di eredi, di concittadini dei santi, di domestici della città di Dio ( Ef 2,19 ). Ordinariamente si indugia nell'analisi delle esigenze e dei frutti della sequela e si trascura la sorgente dalla quale essi scaturiscono e nella quale traggono vitalità. Sul piano cosciente la sequela mette in moto il processo dell'autocomprensione che l'uomo matura di sé nel rapporto con Dio. Il "seguace" è qualcuno che si sorprende trasformato nell'agape e si lascia condurre, portare, da quella misteriosa "trazione" che fonda la libertà, orienta le scelte, sostiene nelle realizzazioni, rende disattenti ai calcoli, sprigiona fedeltà e inventiva, costruisce il "noi" della comunione nei rapporti comunitari. Il fedele cresce nell'intimità con Cristo, accoglie in lui l'agape del Padre che, per la via dell' ( v. ) umiltà e della ( v. ) croce, porta a diventare sorgente di comunione. La via nella quale Gesù porta coloro che lo seguono è l'« amore fino alla fine » ( Gv 13,1 ) per il Padre e per gli uomini; l'eucaristia, il dono di sé. Quando all'origine c'è altro, i rapporti sono di gregario, suddito, ammiratore, esecutore, non di discepolo. Nella "sequela" non esistono rapporti astratti, anonimi, ripetitivi. Il "pastore" conosce le "pecore" una per una, le chiama per nome, e esse ascoltano la "sua" voce, il suo comando ( Gv 10,1ss ). Chi "cammina con", chi "segue", prima o poi si sente spinto a personalizzare il rapporto per rispondere agli interrogativi che lo concernono: « Tu chi dici che io sono? »; « Quello che dici di me, lo dici da te o altri te l'hanno detto sul mio conto? » ( Gv 18,34 ), e soprattutto: « Mi ami tu? » ( Gv 21,15 ). La sequela, in quanto legame con la persona di Cristo, pone il discepolo sotto la legge di Cristo, cioè sotto la legge della croce che è la legge dell'agape. Per questa sua connessione all'agape, fa diventare persona in comunione. Nell'amore l'uomo si accoglie, comincia a conoscere se stesso, il proprio nome, le proprie possibilità nell'ambito della comunità in cui è inserito. E in quest'osmosi cresce anche la conoscenza del mistero di Cristo. Le formule e i concetti con cui lo pensa, lentamente si aprono all'indefinibile, all' "ineffabile", all'esperienza del rapporto che cresce quanto più si intensifica in sintonia di vita, di opere, di affidamento, di ispirazione. Nella sua sorgente, nella realtà in cui si innesta, nella meta cui tende, è vita di agape, di comunione. Le sue visibilizzazioni tendono a diventare omogenee alla sorgente e alla mèta e perciò sono di comunione: scaturiscono da koinonia, costruiscono koinonia, tendono alla koinonia, intesa non come fusione indistinta e confusa di individui, ma come tendenza al "noi" della vita in Dio condivisa tra gli uomini. 2. La via dei discepoliSeguire Gesù Cristo significa staccarsi dall'anti-Cristo, discernere e abbattere gli idoli che impediscono di solidarizzare con lui. Queste scelte si esprimono e si visibilizzano a livello ecclesiale e socio-politico e sono tutt'altro che superficiali o aleatorie. Il loro discernimento mette in discussione la vita delle comunità cristiane, specie nei periodi di più intenso dinamismo socio-culturale. Le espressioni, le rappresentazioni, gli stili di presenza si costruiscono in continuità e in,novità, in identità e mutazione, con elementi comuni e varianti personali. La sequela non è mai statica, ripetitiva, fissa; è dinamica, creativa, responsabilizzante. 3. Battezzati nella ChiesaNel suo aspetto più specifico di vita di fede, la sequela si sviluppa nella comunità vivificata dallo Spirito. La comunità cristiana è la famiglia, il popolo di Dio; coloro che ne fanno parte ne sono responsabili, debbono costruirla bella, senza macchia, riformarne la struttura perché sia omogenea e fedele a Gesù Cristo e allo Spirito, assecondarne e condividerne la missione. Il "seguace" è responsabile nella chiesa e della chiesa, promuove la comunione reciproca dei suoi membri, ne realizza, per parte sua, la missione. Pensare la chiesa, volerla, viverla come Gesù Cristo la vuole, andare ove Gesù Cristo va e la guida, sono momenti costitutivi della sequela. Come le altre realtà dell'era ultima, anche la chiesa è già ma non è ancora, in pienezza, chiesa di Gesù Cristo. Lo Spirito ve la conduce attraverso le scelte e le realizzazioni dei fedeli che lo accolgono e vivono di lui. Non si può seguire Gesù Cristo senza riscoprire questa responsabilità attiva nella chiesa, senza condividere, e perciò cercare di portare a soluzione, i problemi che oggi la inquietano e che concernono la sua identità, l'identità della sua missione e il modo di promuovere nei cristiani una consapevolezza più degna della propria responsabilità. Il seguace di Cristo, ad ogni svolta della sua storia, si ripropone il problema dell'identità della sua vocazione. Deve assumere gli interrogativi che emergono sull'indole e sulla missione storica della comunità in cui vive. Essa è la nuova Gerusalemme e deve situarsi nell'umanità e nei confronti delle sue realizzazioni. Che tipo di presenza dovrà sviluppare il seguace per essere testimone di colui che illumina ogni uomo in questo mondo e tutti vuol condurre alla pienezza della propria condizione umana? La chiesa e i cristiani nello Stato sono ospiti? stranieri residenti abituali? naturalizzati? sudditi rispettosi e ossequienti? cittadini che, come gli altri e con gli altri, promuovono e condividono il bene di tutti? La trasformazione dell'assetto sociale e politico dei popoli ha messo in crisi il modello di rapporto tra chiesa e umanità sul quale, nei secoli scorsi, era stata vissuta la presenza della comunità cristiana nella società. È necessario, perciò, ripensare con fedeltà e coraggio questo problema nell'ottica di una diversa comprensione del piano della salvezza, del rapporto creazione, storia, salvezza dell'uomo, della famiglia e della società. La ricerca di nuova presenza solidale e promozionale provoca reazioni, resistenze, lotte, difese, attacchi ed è compromessa dagli eccessi che caratterizzano i periodi di transizione. La sequela, anche in questo caso, è fedeltà a colui che fa nuove tutte le cose ( Ap 21,5 ), induce a stare nella realtà e non a far finta che la realtà sia diversa ne a pretendere di restare fedeli tenendo in sala di rianimazione stili di altri tempi. La via della sequela è la croce e cioè la via della vita e dell'amore che trionfa nella e della morte, che vince la paura, ogni paura, quella del futuro, della precarietà, del non potere, e rende perseveranti nella ricerca di diverse condizioni di esistenza. 4. Concittadini nella societàLa sequela di Cristo riconcilia con la creazione e con la storia, impegna nella realizzazione della giustizia e sostiene nelle rotture radicali attraverso le quali essa si sviluppa. La creazione non è ancora terminata e compete agli uomini completarla, assumere la responsabilità di creatività in un mondo che il nuovo Adamo ricapitola sino alla fine del tempo. Il seguace resta inserito responsabilmente nel processo di evoluzione scientifica e tecnica della realtà; nella ristrutturazione dei rapporti socio-politici; nella solidarietà con le forze umane impegnate nella trasformazione delle strutture sociali. L'amore di chi segue Gesù Cristo è amore per un mondo da costruire e ricostruire, ispira una presenza viva e trasformante che va vissuta in concreto, con scelte e orientamenti precisi che investono tutte le dimensioni della vita, personali e comunitarie. Solo quando ciascuno svolge il proprio compito nella prospettiva del progetto per tutti e avendo di mira il bene comune, si provvede al bene di tutti e di ciascuno. La sequela si sviluppa nel tempo e nello spazio, in rapporto con gli uomini, nell'impegno per risolvere i conflitti storici. Non è problema teoretico e non lo si risolve in astratto; si esprime e si traduce in opzioni che investono il quotidiano e impongono di programmare il futuro. |
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… di Cristo | Apostolato I |
Celibato III,3 | |
Consigli I,5 | |
Consigli II | |
Ecologia II,3 | |
Famiglia I | |
Gesù III | |
Laico I | |
Vita II,2 | |
… e imitazione | Contemplazione III,2 |
Ebraica I | |
Eroismo I | |
Esperienza cr. II | |
Gesù III,2b | |
Modelli II,2 | |
… nella croce | Croce II |
Esperienza sp. Bib. II,1b | |
Esperienza sp. Bib. II,2 | |
… e missione | Apostolato II |
Nella comunità religiosa | Comunità IV,3 |
In Buddha | Buddhismo I |
S. G. B. de La Salle |
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Chi si è consacrato a Dio deve amare la mortificazione e la povertà | MD 59,1 |
San Giovanni evangelista | MF 88,2 |
Sant'Antonio abate | MF 97,2 |
Santa Maria Maddalena | MF 144,1-2 |
San Giacomo il Maggiore | MF 145,1 |
1 | Per una rassegna critico-bibliografica degli studi sul tema cf L. Di Pinto, "Seguire Gesù" secondo i Vangeli Sinottici, Studio di Teologia in Fondamenti biblici della Teologia Morale (XXII sett. Biblica), Brescia 1973, 187-251 |
2 | Nell'AT seguire è usato in una vasta gamma di accezioni. Il fanciullo segue il padre; il soldato il capo; un gregario il proprio leader; il giovane il maestro; la donna l'uomo, ecc. Nella sua accezione teologica si riscontra prevalentemente nel Dt, negli scritti deuteronomici, in Ger, e si riferisce in particolare al seguire Dio, camminare dietro di lui e implica un atteggiamento che contrasta la sequela degli idoli e dei falsi dèi. Il tema è collegato a quello del cammino nel deserto e della guerra santa e trova una trasposizione cultuale nelle processioni dell'arca; All'epoca di Samuele assume una colorazione religiosa, jahvista. Jahve è il re d'Israele, il suo capo in battaglia. Il suo popolo lo deve seguire e cioè obbedirgli, camminare sulle strade che egli ha prescritto. Per questa tematica cf F. J. Heifmeyer, Die nachfolge Gottes im AT, Bonn 1968 (Bon. Bibl. Beitr. 29) |
3 | « Il gruppo di voci che fa capo ad akolouthéo denota la risposta attiva dell'uomo alla chiamata di Gesù, il nuovo indirizzo che l'uomo da alla sua esistenza. Sinonimo è il termine opiso, almeno dove è usato in riferimento alla sequela di Gesù; mathetes è colui che ha udito la chiamata di Gesù e si è unito a lui; miméomai si differenzia in quanto sottolinea piuttosto il seguire una determinata condotta » (Aa. Vv., Seguire, discepolo in Dizionario dei concetti biblici del NT, Bologna, Dehoniane 1976, 1717) |
4 | I vangeli hanno derivato il termine dal giudaismo ellenistico; ma, collegandolo strettamente a Gesù, gli hanno conferito un'impronta del tutto nuova, nonostante molte somiglianze con la figura del talfnid rabbinico. L'ampiezza di uso di mathetes si può misurare dall'applicazione che il termine trova nel designare indistintamente gruppi non legati a Gesù: i discepoli di Giovanni Battista ( Mt 11,2 par.; Mc 2,18 par.; Mc 6,29; Lc 5,33; Lc 11,1; Gv 1,35-37 ), i discepoli di Mosè ( Gv 9,28 ), i discepoli dei farisei ( Mt 22,16; Mc 2,18 ) (Aa. Vv., Seguire, discepolo in o. e. alla nota 3, 1723) |
5 | L. Di Pinto, o. c., 211s con note |
6 | « Per comprendere la sequela di Gesù è importante il fatto che la chiamata includa sempre una vocazione al servizio. Secondo Mc 1,17 e Lc 5,10 i discepoli sono definiti pescatori di uomini, espressione popolare che indica come i discepoli devono interessare tutti gli uomini al regno dei cieli, annunciando il vangelo e operando nel nome di Gesù ( Mt 16,15ss ). Si parla della missione dei dodici ( Mc 6,7-13 par.; in Lc c'è anche una missione dei 72: Lc 10,1-12 ) che vanno ad annunziare a due a due il regno di Dio, portando pace e operando guarigioni. Dunque, già il Gesù terreno ha inviato dei discepoli » (Aa. Vv., Seguire, discepolo in o. c. alla nota 3, 1725) |
7 | Gli esegeti hanno messo in rilievo alcune caratteristiche della sequela in Lc. Questi accorda maggior peso all'attività missionaria ( Lc 9,57-62 ), da più rilievo alla presenza della donna tra i seguaci di Gesù ( Lc 7,37; Lc 8,3; Lc 10,38.42; nel c. 23, in meno di 30 versetti, nomina 3 volte le donne); radicalizza richieste, è il solo a menzionare esplicitamente la "moglie" tra le persone che il discepolo non deve amare più del maestro ( Lc 4,25; Lc 18,29 ); accentua l'ideale della povertà |
8 | Anche gli Atti mettono in rilievo la distinzione tra gli apostoli (
At 1,2-26;
At 2,37;
At 4,36;
At 5,29;
At 8,1.14;
At 9,27;
At 11,1 ) o i dodici (
At 6,2 ) che godono di un'autorità particolare nella comunità primitiva (
At 1,22 ) e i discepoli che hanno creduto dopo pentecoste e che, per la prima volta ad Antiochia, furono denominati cristiani (
At 11,26 ). Il legame al Gesù storico non è considerato elemento integrante della condizione di discepolo e con questo termine si designa un discepolo isolato ( At 9,10.26; At 16,1; At 21,16 ); delle comunità ( At 11,26; At 14,22s; At 14,27s ); dei gruppi, all'interno della giovane chiesa, sia di pagano-cristiani ( At 15,10 ), sia di giudeo-cristiani ( At 19,9 ), sia ancora di battezzati. In senso generale ( At 20,30 ) il termine è sinonimo di colui che crede in Gesù Cristo |
9 | « Comme la seconde partie de 12,26, méme dans sa structure externe, est parallèle a la première partie qui mentionne la "marche a la suite" de Jesus, il faut ans doute traduire celle-ci: "il me suivra", l'interpretant ainsi comme une promesse et non comme un appel » (A. Schuiz, Suivre et imiter Christ d'après le NT, Parigi 1966, 89) |
10 | Gv 12,26 è parallelo a Mc 8,34;
Lc 14,27. Si notino alcune varianti. Nella premessa Gv parla di servire ( Gv 12,26a ), Mc di seguire; mentre per Gv la sequela è la condizione, in Mc va insieme a rinnegare-se-stesso/portare-la-croce |
11 | F. Neirynck, La dottrina di Paolo su "Cristo in noi" "noi in Cristo" in Con 1969/10, 165-178 |
12 | W. Michaelis, Miméomai in GLNT VII, col. 275ss |
13 | « Quid sequi nisi imitar! », S. Aug., De Sancì. Virg. 27, CSEL, 41, 263 |
14 | Il rito della signatio crucis nell'Orda dell'Iniziazione cristiana degli adulti, nn. 83ss |