Vita

IndiceA

… Consacrata

Sommario

I. Pensiero conciliare e post-conciliare.
II. Ispirazioni evangelico-apostoliche:
    1. Vocazione;
    2. Sequela di Cristo;
    3. Consigli evangelici;
    4. Comunione.
III. Tipologie:
    1. Ascetismo domestico;
    2. Monachesimo storico;
    3. Mendicanti;
    4. Gruppi diaconali;
    5. Istituti secolari.
IV. Significato antropologico ed ecclesiale della vita consacrata:
    1. Valorizzazione;
    2. Ricupero del sacro;
    3. Testimonianza e segno.

I - Pensiero conciliare e post-conciliare

Il termine consacrazione viene usato dal Vat II nel significato costante e globale di "donazione integrale di sé".

Cristo è consacrato e mandato nel mondo dal Padre ( LG 28 ).

Il popolo di Dio, per la rigenerazione e l'unione dello Spirito santo nel battesimo, viene consacrato a formare una dimora spirituale e un sacerdozio santo ( LG 10 ).

Gli "episcopi" sono consacrati: il rito sacramentale della consacrazione conferisce loro « la pienezza del sacerdozio » e la capacità di rendere il servizio di santificare, di insegnare, di guidare ( LG 21 ).

I presbiteri sono consacrati per predicare l'evangelo, pascere i fedeli e celebrare il culto ( LG 28, CD 34 ).

I laici sono dedicati a Cristo e consacrati dallo Spirito santo ( LG 34 ).

Il mondo stesso è consacrato a Dio ( LG 34 ).

Il concilio rileva l'esistenza della consacrazione anche nella vita religiosa; perciò la consacrazione non è esclusiva della vita religiosa, ma viene da questa condivisa con altri stati di vita.

Il concetto di consacrazione, oltre che con questa parola, viene espresso con altri termini.

L'insistenza su di essa nei testi dedicati alla vita religiosa è diretta ad evidenziare ripetutamente il termine della consacrazione, cioè Dio.

Sostanzialmente, la vita religiosa è donazione integrale di sé a Dio, servizio totale a lui, un modo speciale di consacrazione al Signore ( PC 1 ), « una più intima consacrazione a lui » ( AG 18 ), « una consacrazione speciale che ha le sue radici nella consacrazione battesimale e ne è un'espressione più piena » ( PC 5 ).

L'azione liturgica che garantisce tale consacrazione ( riti di iniziazione e soprattutto della promessa e della professione ) e l'intervento dell'autorità gerarchica rendono la vita religiosa uno "stato" ( LG 45 ).

Le locuzioni "vita religiosa", "stato canonico", "stato religioso" esprimono l'idea di una scelta definitiva, la realtà di un'esistenza di consacrazione a Dio ininterrotta.

Perciò i religiosi « vivono per Dio solo » ( PC 5 ), si donano « totalmente a Dio sommamente amato, così da essere a nuovo e speciale titolo destinati al servizio e all'amore di Dio » ( LG 44 ), consacrati più intimamente al suo servizio e al suo onore ( LG 44 ).

Concretamente, tale consacrazione si esplicita, secondo il concilio, in un itinerario dal mondo a Dio.

I religiosi rinunciano al mondo e vivono per Dio ( PC 5 ); lasciano ogni cosa per amore di Cristo ( PC 5; LG 44 ).

Tuttavia, « la rinuncia a beni certamente molto apprezzabili, non si oppone al vero sviluppo della persona umana » ( LG 46 ); essa apporta invece purificazione del cuore e libertà spirituale ( LG 46 ), liberazione da impedimenti che potrebbero ritardare il fervore della carità e la perfezione del culto divino ( LG 44 ).

Questo aspetto della consacrazione ( la cosiddetta fuga mundi, mai nominata con queste parole dal concilio ) non rende il religioso estraneo e inutile nella città terrena: « Anche se talora non sono direttamente presenti ai loro contemporanei, li tengono tuttavia presenti in modo più profondo nel cuore di Cristo, e con essi collaborano spiritualmente, affinché la costruzione della città terrena sia sempre fondata nel Signore e a lui diretta, né avvenga che lavorino invano quelli che la stanno costruendo » ( LG 46; GS 43 ).

Il segno visibile della consacrazione nella vita religiosa è la professione dei cosiddetti "consigli evangelici" o voti ( LG 44; PC 2/e ), tradizionalmente identificati nel celibato per il regno dei cieli o castità consacrata ( PC 12; LG 43), nella povertà ( PC 13; LG 43 ), nell'obbedienza ( PC 14; LG 43 ).

Inoltre, sono segni di consacrazione i rituali liturgici della promessa e della professione ( LG 45; SC 80 ) e l'abito religioso ( PC 17 ).

Nella cornice concettuale delimitata dal termine "consacrazione" può venire ricondotto anche il pensiero conciliare sottostante la parola vocazione.

Il concilio mira forse ad evidenziare la consacrazione dei religiosi adottando la terminologia tradizionale e, in parte, desueta, di "istituti di perfezione" e "stati di perfezione".

Tuttavia la locuzione è inserita in due soli documenti e in contesti non ideologicamente impegnativi ( SC 98; SC 101/2; LG 45 ).

Dopo il concilio, i documenti ecclesiali più importanti relativi alla vita consacrata sono l'esortazione apostolica di Paolo VI Evangelica testificatio ( 21 giugno 1971 ) e i testi liturgici rinnovati.

L'esortazione ai religiosi - che porta l'espressivo sottotitolo « il rinnovamento della vita religiosa secondo il concilio » - riesuma lo stile letterario e concettuale massimalistico delle pagine conciliari.

L'obiettivo centrale della vita consacrata è « la ricerca costante di Dio » ( Ev. test. 3 ), come si prefiggeva il monachesimo antico.

La scelta monastico-religiosa conferisce una consacrazione particolare, perché tutta la vita è dedicata
a Dio ( Ev. test. 4 ) e perché i religiosi seguono Cristo consacrandosi totalmente a lui ( Ev. test. 7 ).

La forma della vita religiosa offre la possibilità di passare dallo stato "sarchico", carnale, allo stato "pneumatico", spirituale ( Ev. test. 38 ).

Il segno della sequela di Cristo è la professione dei consigli evangelici ( Ev. test. 4 ).

Essi inducono a votare al Cristo, « proprio in vista del regno dei cieli, con generosità e senza riserve, le forze di amore, il bisogno di possedere e la libertà di regolare la propria vita, cose per l'uomo tanto preziose » ( Ev. test. 7 ).

La castità consacrata ( o castità religiosa ) libera il cuore umano, si pone come segno « maieuticamente efficace » in mezzo al mondo ( Ev. test. 14 ).

I religiosi sono « poveri secondo l'esempio di Cristo nell'uso dei beni terrestri necessari per il quotidiano sostentamento » ( Ev. test. 16 ); la povertà costituisce una risposta all'appello drammatico dei poveri ( Ev. test. 17-18 ), libera da esigenze di comodità ( Ev. test. 19 ), sfocia nella comunione dei beni ( Ev. test. 21 ), esige un impegno di lavoro ( Ev. test. 20  ).

Anche i rapporti di autorità-obbedienza nella vita consacrata vengono qualificati dalla fraternità ( Ev. test. 26 ).

Le tipologie sono schematizzate nel tradizionale binomio di vita contemplativa e di vita di apostolato, il quale si esprime soprattutto nell'annuncio della parola di Dio e nel servizio ( Ev. test. 8-10; Evangelii nuntiandi 69 ).

Le liturgie monastiche rinnovate sono una fonte vivida di teologia spirituale e di spunti ascetici, intrise di sapore conciliare.

Le memorie dei santi rimaste nel calendario universale sono, poco meno di metà, di religiosi.

Le letture bibliche scelte per la celebrazione nell'eucaristia e nella liturgia delle ore propongono un'interpretazione del loro essere e del loro fare alla luce della parola di Dio.

Le preghiere contengono qualche cenno ad aspetti tipici della loro consacrazione e del loro servizio.

Nello schema comune della messa in memoria di religiosi santi viene sottolineata la radicalità della sequela di Cristo povero e umile.

In quello per la memoria delle vergini si mettono in risalto i temi della vita nuova, della testimonianza, dell'emulazione, della purificazione, della beatitudine.

La varietà di letture bibliche e di preci nelle messe rituali della consacrazione delle vergini, nella prima professione, nella rinnovazione dei voti, nella professione perpetua converge nella ripetizione di preziosi spunti ascetici e spirituali, qualcuno nuovo, e di brevissime sintesi di contenuti monastici: seguire Cristo più da vicino, vita che si trasforma in dono perfetto, maturazione della grazia battesimale, perfezione evangelica, testimonianza, vita consacrata alla lode di Dio e alla edificazione del suo regno, unione intima al mistero della chiesa…

La "colletta" della messa per i religiosi domanda: « Fa' che i tuoi figli, che si sono consacrati a te abbandonando ogni cosa per seguire Cristo casto, povero ed obbediente, con piena fedeltà servano te, nostro Padre, e la comunità dei fratelli ».

E la "colletta" nella messa per le vocazioni religiose invoca: « Padre santo, che chiami tutti i tuoi figli alla carità perfetta, e inviti alcuni a seguire più da vicino le orme di Cristo tuo figlio, dona a coloro che hai scelto per essere interiormente tuoi, di mostrarsi alla chiesa e al mondo come segno visibile del tuo regno ».

Nei rituali per l'iniziazione e per gli impegni monastici - rinnovati nel postconcilio e adottati da ogni gruppo - si insiste principalmente sui temi della consacrazione, dei consigli evangelici come contenuto dei voti, della comunità.

II - Ispirazioni evangelico-apostoliche

Il Vat II riconosce alla vita religiosa un'ispirazione evangelico-apostolica ( LG 43; PC 1 ).

L'affermazione conciliare recepisce l'accentuazione che nella letteratura monastica più vigile e nuova degli anni vicini a quell'evento ecclesiale veniva espressa con ricorrente preferenza.

Tale posiziona evidenzia un dato: la vita consacrata trae le proprie motivazioni originarie dal messaggio neotestamentario.

Come prima risultanza, non inutile, si deduce che essa è una delle modalità per accogliere quel messaggio, cioè la costruzione del regno di Dio.

Le ispirazioni evangelico-apostoliche della vita religiosa non consentono un'interpretazione massimalistica di essa, privilegiandola come forma migliore e più alta di cristianesimo.

Infatti, il messaggio neotestamentario non traccia alcun progetto a parte, ne evidente, di monachesimo.

Il religioso anzitutto è un cristiano cui Dio propone la salvezza attraverso la sequela di Cristo.

Egli cammina sulla medesima strada di fede, di speranza e di carità di tutti gli altri fratelli: è una constatazione elementare ma necessaria per ricondurre le manifestazioni concrete e le elaborazioni concettuali nell'ortodossia del principio [ v. Consigli evangelici I ].

La vita religiosa possiede come idea e propone come prassi maniere tipiche di tradurre nella quotidianità delle esistenze l'unicità globale del medesimo messaggio.

Su questa osservazione poggia la spiegazione delle molteplici tipologie della vita consacrata e la varietà di spiritualità ( che alcuni considerano eccessive e pletoriche ).

Ciò si struttura come fissazione di esperienze e di mediazioni sostanzialmente evangeliche nate in origine dalla fruttificazione spontanea, di solito, di un carisma individuale ( come il carisma dei fondatori e quelli di altri maestri e padri spirituali ); la tradizione cerca di conservare con tenacia quei frutti, organizzandoli in una struttura e sistematizzandoli in una scuola.

Non sempre si sfugge al rischio degli stereotipi e del determinismo spirituale; alle volte l'emulazione costringe i gruppi religiosi a forzare la realtà per costruirsi una fisionomia che li diversifichi.

Tuttavia è vero che esistono sensibilità, tonalità, abitudini, interpretazioni differenti dei medesimi valori ai quali tutti attingono e che tutti pongono come basilari del proprio essere ed operare.

E questi sono appunto i valori evangelico-apostolici che accomunano le varie tipologie e le svariate ramificazioni della vita consacrata.

La documentazione conciliare non precisa la fonte neotestamentaria di questi valori, riconosciuti soprattutto nei cosiddetti "consigli evangelici"; essa fa richiamo genericamente alle parole ( o dottrina ) e agli esempi del Signore ( LG 43; PC 1 ) e alle raccomandazioni degli apostoli, oltre che di altri saggi della chiesa ( LG 43 ).

Sostanzialmente, le ispirazioni della vita consacrata vanno ricercate nel cristocentrismo ( la realtà del Cristo come punto magnetico dell'esistenza ) e nell'apostolicità ( orientamento dell'esistenza come quella degli apostoli ).

Esse possono venire riassunte nei seguenti titoli.

1. Vocazione

L'etimologia del termine vocazione evidenzia la presenza di qualcuno che chiama: vocazione è l'iniziativa di un altro che comunica un progetto.

Del vocabolo si è appropriata la teologia: la vocazione, perciò, è la chiamata di Dio; e, se ne è appropriata soprattutto la spiritualità sacerdotale e religiosa: correntemente la vocazione qualifica la chiamata al sacerdozio ministeriale e alla vita consacrata.

Ma si tratta di una arbitraria riduzione di ampiezza.

È indubbio che la vita religiosa presuppone una vocazione.

La spiritualità monastica e l'esperienza ascetica assicurano l'esistenza di una vocazione.

Dunque, Dio stesso propone un progetto di esistenza che il chiamato scoprirà essere la vita religiosa secondo le modalità di una certa tipologia e perfino di un determinato gruppo.

Il concilio ribadisce che il religioso è chiamato da Dio ( LG 47 ); che le varie forme sono spuntate sotto l'impulso dello Spirito santo ( PC 1 ); che la pratica dei consigli evangelici è una vocazione di Dio alla quale i religiosi hanno risposto ( PC 1; PC 5 ).

Questa interpretazione dell'intervento di Dio è giustificata in una visione di fede.

Esso non è un intervento deterministico ed eternale.

Dio agisce nel reale e nel concreto della storia, della cultura, della geografia, della psicologia.

Perciò anche la vocazione religiosa appare come un intreccio di presenze: Dio, la persona umana, le circostanze.

Da questo punto di vista il concetto di vocazione si completa interpretandolo anche come coincidenza delle capacità individuali con un progetto di vita.

La salvezza come vocazione fondamentale si concretizza nel rintracciare la propria identità di creatura umana, e la vita consacrata ne è uno spazio e un'occasione.

Perciò questa specifica vocazione è bensì un misterioso appello di Dio, ma parimenti è la valorizzazione del realismo personale e situazionale.

Il sostrato evangelico di ciò si può condensare in un assioma: vocazione alla salvezza mediante la vita consacrata.

Infatti i vangeli narrano diverse chiamate rivolte da Gesù alle persone.

La più citata, soprattutto in prospettiva monastica, è la vocazione del giovane ricco ( Mt 19,16-22; Mc 10,17-22; Lc 18,18-23 ), che l'agiografia mette all'origine di molteplici conversioni monastiche, prima tra tutte quella di s. Antonio abate.

La letteratura più recente preferisce agganciare la vocazione religiosa alla rivelazione della possibilità di un celibato carismatico, cioè ricevuto in dono per il regno di Dio ( Mt 19,12 ).

Anche la vocazione degli apostoli, scelti dal Signore tra gli altri discepoli, ricorre per spiegare la vocazione alla vita consacrata. [ v. Vocazione ].

2. Sequela di Cristo

L'approdo esistenziale ed escatologico di ogni vocazione è la sequela di Cristo: dietro di lui nelle vicende quotidiane, dietro di lui nella risurrezione.

Il messaggio neotestamentario abbonda nel lumeggiare le sfaccettature di questo dato ( Mt 16,24; Gv 13,12-17; Col 3,1-14; 1 Cor 15,20 ).

La vita consacrata rientra in questa economia teologale.

Anzi il monachesimo cristiano si differenzia per il cristocentrismo.

Da sempre la vita religiosa è considerata la sequela di Cristo ( sequela Christi ).

In realtà, seguire Cristo, divenire suo discepolo è un progetto soteriologico rivolto a tutte le genti ( Gv 10,4.16; Mt 28,18-20 ) [ v. Sequela ].

L'accentuazione della sequela Christi monastica non deve far dimenticare questa realtà.

La vita consacrata è una sequela Christi.

Secondo il concilio, seguire Cristo è « la norma fondamentale della vita religiosa » ( PC 2/a ).

Invero, secondo la millenaria esperienza ascetica delle varie tipologie di vita consacrata, la sequela di Cristo non costituisce solamente una regola, che è un dato esteriore sopravvenuto, ma ancor più l'essenza medesima della vita religiosa, l'elemento dinamico che sulla base dell'unico discepolato di Gesù costruisce lo specifico del religioso.

Tuttavia, Cristo non fu monaco.

Seguirlo nella vita consacrata significa centrare la propria esistenza sulla esemplarità di lui.

In Cristo ci sono straordinarie e insondabili ricchezze ( Ef 3,2.8 ) e quindi ogni suo discepolo trova in lui elementi di esemplarità.

Nella vita consacrata si segue Cristo certamente accogliendo, come tutti gli altri discepoli, i valori di fondo da lui annunciati; ma soprattutto lo si segue assolutizzando alcune sue scelte, per così dire, episodiche, le quali diventano una "professione", uno stato definitivo.

Così si comprende ad es.

la scelta eremitica, perché Cristo fu per un po' di tempo nel deserto ( Mt 4,1; Mc 1,12; Lc 4,1 );

la scelta comunitaria, perché Cristo trascorse gli ultimi anni con un gruppo di discepoli ( Mc 3,13-14 );

la scelta contemplativa, perché egli si ritirava in luoghi appartati in dialogo con Dio ( Mt 14,23; Mc 1,35; Lc 5,16; Lc 6,12 );

la scelta diaconale, perché egli si pose al servizio dell'uomo ( Mt 20,28; Fil 2,7-8 );

la scelta celibataria, perché il maestro la proclamò possibile e storicamente egli stesso la adottò.

La vita consacrata prospetta queste ed altre esemplarità in forma dinamica: non si tratta di uno schema minuzioso rinchiuso in confini invalicabili, ma di un disegno globale che mutua variabili suggerimenti dalla vitalità dell'unica parola di Dio.

Perciò il concilio esorta i religiosi ad avere tra mano quotidianamente la sacra scrittura ( PC 6; DV 25 ).

L'esortazione non nasce da una spinta di interesse culturale, ma è piuttosto l'accentuazione di un'esigenza esistenziale che deve scaturire da un atteggiamento orante e contemplativo.

È opportuno non lasciar passare inavvertita la terminologia sequela Christi, tradotta letteralmente con "sequela di Cristo": il Signore viene nominato non con l'appellativo umano di Gesù, ma con quello messianico di Cristo, e ciò oggi vale come manifestazione della tonalità messianica della vita consacrata.

Il nome di Gesù non ricorre nemmeno nei testi conciliari che tracciano la caratteristica di sequela attribuita alla vita religiosa.

Oltre l'appellativo corrente di "Cristo", egli viene indicato alle volte con l'attributo pasquale di "Signore", nell'accezione pregnante introdotta nel discorso pentecostale di Pietro ( At 2,36 ); altrove è chiamato figlio di Dio ( LG 44 ), maestro ( PC 1 ), salvatore ( LG 42 ).

3. ( v. ) Consigli evangelici

L'interpretazione letterale della formula "consigli evangelici" porta a concludere che nell'evangelo esistono proposte che si possono accogliere e proposte che si possono trascurare.

Il consiglio non è vincolante, benché il vocabolo significhi anche ammaestramento, ammonizione, deliberazione; e benché l'etimologia riporti ai concetti di interpellanza, decisione, saggezza, ecc.

I "consigli evangelici" tradizionalmente sono individuati nella triade: celibato per il regno di Dio ( correntemente denominato con il vocabolo più limitativo di castità ), povertà, obbedienza.

Il Vat II identifica ripetutamente la sequela Christi con l'accoglimento dei consigli evangelici.

Secondo le espressioni massimalistiche dei contesti conciliari relativi alla vita consacrata, anche questi consigli mettono ad una sequela di Cristo più da vicino e con maggior libertà ( PC 1 ).

Le conclusioni conciliari si allineano sulle posizioni tradizionali che hanno fissato lo specifico della vita religiosa nella professione dei consigli evangelici, denominati parimenti "i tre voti" per antonomasia, il voto costituisce l'impegno di osservare i contenuti dei consigli evangelici.

Esso ripete il gesto dell'alleanza: attraverso un segno viene palesata l'intenzione di fedeltà assoluta e definitiva a Dio.

Questo segno è valorizzato dal rituale liturgico che lo congloba ed è regolamentato dai canoni ecclesiastici.

Sussiste una distinzione tra voto e consigli, tra forma e contenuto.

Su questa distinzione si dipana il dibattito sullo specifico della vita religiosa: e la professione dei voti? è la sostanza dei consigli evangelici?

L'espressione "consigli evangelici" porta in sé una contraddizione, un'antinomia: se non l'esegesi, la lettura spirituale della parola di Dio tende a sentirne la voce, ed ogni inflessione della voce è un appello vincolante, un messaggio ineludibile, il quale tuttavia non si presenta come imposizione ma come interpellanza alla coscienza individuale ed ecclesiale.

L'evangelo è un messaggio globale; in esso trovano spazio anche i dettagli e le storicizzazioni.

Non è un consiglio che lascia liberi l'appello globale della povertà ( Mt 5,3; Mt 6,24-34; Lc 4,18; Lc 6,20.24; Gv 2,1-10; Gv 5,1-6; ecc. ); non è un consiglio che lascia liberi l'appello all'obbedienza ( Mt 6,10; Mt 22,34-40; Mc 8,34-38; Lc 8,21; Lc 11,28; Rm 16,25-27; 2 Cor 9,3; Ef 5,21; ecc. ): alla povertà e all'obbedienza tutti i discepoli di Gesù sono tenuti.

È un consiglio, invece, il celibato per il regno di Dio: esso è un carisma ( 1 Cor 7,7 ), dono dello Spirito per la costruzione del regno, liberamente dato e liberamente accolto ( Mt 19,10-12 ).

Infatti, anche nel cristianesimo solo una minoranza di discepoli ( adulti ) accoglie il celibato carismatico, mentre la quasi totalità riceve il carisma del matrimonio.

Lo specifico della vita religiosa è questo celibato carismatico.

Il celibato è una costante di tutte le forme monastiche; ad esso il cristianesimo ha attribuito un'intenzione ecclesiale ed escatologica, qualificazioni essenziali nella definizione della vita religiosa.

E tuttavia l'espressione tradizionale "consigli evangelici" ha un qualche significato.

La libertà di scelta in rapporto al celibato è totale, limitata solo dalla capacità di comprendere e di accogliere, secondo la parola di Gesù.

La libertà di scelta nei settori della povertà e obbedienza evangeliche sta nei dettagli, nelle storicizzazioni, nelle modalità concrete ed organizzative di realizzare questi precetti.

Infatti nella vita consacrata il celibato è sempre sentito come una condizione indispensabile e totalizzante, tanto che il suo contrario toglie automaticamente la qualifica monastica; povertà e obbedienza, invece, sono visibilizzate in modalità pluralistiche e differenti e perfino opposte tra un gruppo e un altro, e le infedeltà ad esse non comportano l'esclusione dalla vita religiosa ma solo la pur grave responsabilità della prevaricazione.

4. Comunione

Il segno differenziante della vita consacrata è il celibato per il regno di Dio.

Ma questo carisma non si esaurisce nel giro di un'incomunicabilità individuale né di una esistenza isolata.

La comunione è un'esigenza indispensabile nel monachesimo.

Perciò, lo specifico della vita consacrata è il celibato condotto nella comunione.

I livelli della comunione sono più d'uno: comunione con Dio, comunione ecclesiale, comunione fraterna.

a. La comunione con Dio

Nella vita consacrata la comunione con Dio viene qualificata con l'espressione antica e risorta di "ricerca di Dio" ( quaerere Deum ).

Essa rievoca il desiderio biblico della ricerca del volto di Dio ( Sal 27,8 ), risponde all'esortazione evangelica di cercare il regno di Dio ( Mt 6,33; Lc 12,31 ).

Il contenuto globale di tale comunione può stare raccolto nella densa esclamazione di Paolo apostolo: « La vostra vita è ormai nascosta con Cristo in Dio » ( Col 3,3 ).

Tutte le tipologie della vita consacrata mirano a questa vita nascosta, anche se le modalità e i segni si situano in zone differenti, topografiche e psicologiche.

Il momento concreto più alto della comunione con Dio è la ( v. ) contemplazione; essa mette in grado
di aderire a lui con la totalità della propria sostanza.

La comunione con Dio è anche dialogo; il dialogo si esplicita nell'ascolto della sua parola, contenuta anzitutto nelle sacre scritture [ v. Parola di Dio ].

La comunione con Dio è anche ( v. ) preghiera: la preghiera nella vita consacrata è una condizione necessaria sia come approdo individuale in Dio, sia come orientamento comunitario.

Nella vita religiosa come esperienza storica e come esigenza spirituale non sono mai mancate la lectio divina [ v. Meditazione II,I ], ne la preghiera comune: questa trova emergenza - in proseguimento con le usanze apostoliche primitive ( At 2,42-46; At 3,1 ) - nelle celebrazioni dell'eucaristia e della liturgia delle ore, le quali tendono a divenire sempre più di frequente concelebrazioni.

b. La comunione ecclesiale

Lo spazio in cui le ispirazioni evangelico-apostoliche si possono realizzare è la comunione ecclesiale; e, a sua volta, questa ne è una conseguenza.

Il Vat II afferma che lo stato religioso fa parte della struttura della chiesa ( LG 43 ).

Questa visuale trova conferma nelle deduzioni evangeliche.

Se lo specifico della vita consacrata è un carisma, la comunione ecclesiale si esprime nel servizio, cioè nella coscienza operosa che il proprio carisma monastico è per la costruzione del regno di Dio.

Soprattutto in questo orizzonte di servizio abbondano le ispirazioni apostoliche della vita consacrata.

L'apostolato è principalmente un'esistenza condotta come quella degli apostoli, ma è anche una diaconia.

La comunione ecclesiale trova fondamento nel battesimo: la vita consacrata consiste in un arricchimento, in una costruzione sulla vocazione battesimale.

Alcuni autori massimalisti continuano a privilegiare la vita religiosa come una primizia nella chiesa, come la via migliore: sono posizioni che non trovano riscontro nel NT.

Tuttavia, l'idea centrale della vita consacrata non può scomparire dalla chiesa, anche se scompaiono certe tipologie che l'hanno storicizzata e ne sopravvengono altre.

Questa sopravvivenza, garantita dalla forza intima del carisma, è il più grande segno d'amore che la vita religiosa è incaricata di testimoniare alla chiesa,

c. La comunione fraterna

La comunione fraterna tocca la struttura medesima della vita religiosa.

Il celibato carismatico si situa soprattutto nella comunità, tanto che esso è la prima visibilizzazione dello specifico che qualifica la vita consacrata.

La comunione fraterna nella vita religiosa è uno dei modi di proseguimento della fraternità che caratterizzava le comunità ecclesiali apostoliche primitive.

La struttura religiosa che ha attirato la stragrande maggioranza di seguaci e che praticamente si è imposta è la vita in comune ( o vita comune ).

Anche la comunità monastica si forma e sussiste per l'amore di Dio diffuso nei cuori per mezzo dello Spirito santo ( Rm 5,5 ); in essa viene garantita la presenza del Signore promessa a coloro che si riuniscono nel suo nome ( Mt 18,20 ).

L'unità comunitaria manifesta la venuta di Cristo ( Gv 13,35; Gv 17,21 ).

L'anima della comunione è la carità, la quale costituisce il compimento della legge ( Rm 13,10 ) e il vincolo della perfezione ( Col 3,14 ).

La vita in comune è unità nel medesimo Spirito; essa ha come nutrimento unitario gli insegnamenti dell'evangelo e le celebrazioni liturgiche.

Queste ispirazioni si esprimono in multiformi soluzioni strutturali e organizzative, suggerite dalle situazioni storiche e dalle tradizioni [ v. Comunità di vita ].

III - Tipologie

La vita consacrata intesa come vita religiosa costituisce una realizzazione molto caratteristica del cristianesimo.

Essa è una forma di monachesimo.

Il monachesimo, come esistenza condotta secondo canoni soprattutto ascetici e mistici ben definiti, si presenta come fenomeno inizialmente tipico delle religioni orientali ( ad es. il buddhismo, lo zen ); nell'ebraismo si congloba nelle comunità degli esseni ( II sec. a. C. - I sec. d. C. ).

La vita religiosa organizzata principia nel cristianesimo con l'affermarsi del monachesimo.

Sono numerosi gli studiosi che collegano in un unico disegno teologale il fenomeno del monachesimo universale e che riscontrano derivazioni e analogie della vita monastica cristiana con certe ispirazioni centrali di altri monachesimi.

Ma la novità cristiana nel monachesimo è il cristocentrismo.

La vita consacrata nel cristianesimo si può schematizzare in cinque tipologie che corrispondono ad altrettanti periodi storici, almeno per le date di origine.

1. Ascetismo domestico

La prima realizzazione storica della vita religiosa nel cristianesimo si riscontra nel fuggevole cenno di At 21,8-9.

L'anno 58 a Cesarea esiste la piccola comunità domestica delle quattro sorelle, figlie dell'evangelista Filippo, dotate dei carismi della verginità e della profezia.

Il cenno lascia intendere che quell'esistenza era già strutturata sui cardini fondamentali della vita religiosa: dimensione comunitaria, celibato per il regno di Dio, funzione profetica.

Tale ascetismo trascorre nella casa paterna, è domestico.

Questa soluzione spontanea sottintende un modo di inserimento e di presenza dinamica.

L'ascetismo domestico prosegue anche oltre l'età apostolica.

Soprattutto la forma celibataria continua come scelta operata nella chiesa, vissuta nei primi tempi al di fuori di ogni struttura organizzata.

I continentes e le virgines che optavano per la forma celibataria non si ritiravano dal consorzio sociale: la città secolare era lo spazio in cui si consolidava il loro impegno, accentuato appunto nel segno visibile dell'abdicazione al proprio diritto ad una scelta coniugale.

La letteratura cristiana post-biblica esalta questa forma di ascetismo privilegiando lo stato celibatario, in particolare la verginità femminile.

S. Ignazio di Antiochia ( + 115 ) esorta al celibato stabile con queste parole: « Se qualcuno può serbarsi in castità in onore della carne del Signore, senza cadere in superbia, vi rimanga » ( A Policarpo ).

I padri dei sec. III-V, amplificano l'elogio per questo tipo di esistenza, alla quale dedicano numerosi trattati e operosa attenzione.

La maggioranza di questi asceti sono donne e quindi verso di loro si rivolge l'interesse spirituale di quegli scrittori.

Alle vergini impegnate nell'ascetismo domestico si suggerisce - come fa s. Atanasio ( 295-373 ) - un ritmo quasi monastico: silenzio, meditazione sulle sante scritture, preghiera sui salmi, lavoro in vista di una austera autosufficienza.

L'ascetismo domestico è un'impostazione pre-monastica della vita religiosa; lungo i secoli subisce un'attenuazione a vantaggio della forma comunitaria organizzata, ma non scompare mai più.

2. Monachesimo storico

La prima tipologia della vita consacrata che si organizza è il monachesimo storico.

I contenuti ascetici fondamentali trovano supporto in una struttura organizzata.

L'organizzazione si polarizza intorno a tre capisaldi: l'esistenza di un fondatore, l'adozione di una regola, la solitudine ( donde il termine "monaco" ).

Le forme iniziali del monachesimo storico compaiono in Oriente sul finire del séc. III e si sviluppano pienamente dopo la pace religiosa sancita da Costantino nel 313.

Il personaggio che ha iniziato questo tipo di vita è l'egiziano s. Antonio ( ca. 250-365 ), riconosciuto come il "padre dei monaci", cioè il loro fondatore.

Egli dapprima si ritira, dietro una ispirazione evangelica ( Mt 19,21 ), in ascetismo domestico, poi si stabilisce nel ( v. ) deserto.

Molti seguaci ne imitano l'esempio, costituendo numerosi gruppi che egli continuò a dirigere pur non abbandonando la forma dell'anacoretismo ( solitudine individuale o eremitismo ).

Il primo legislatore monastico è s. Pacomio ( ca. 290-346 ).

La regola da lui redatta ha esercitato uno straordinario influsso sia sul movimento monastico contemporaneo, sia sulle regole compilate successivamente ( le sono debitrici la regola di s. Basilio di Cesarea [ 330-379 ], la regala Viglili [ intorno al 420 ], le regole dei vescovi di Arles s. Cesario [ 470-542 ] e s. Aureliano [ + 555 ]; la stessa regola benedettina accoglie numerosi motivi pacomiani ).

Nucleo centrale della strutturazione monastica di s. Pacomio è il cenobitismo, cioè l'esistenza della comunità ritirata in luogo solitario ( quasi una solitudine, un eremitismo comunitario ).

Le caratteristiche strutturali del monachesimo orientale si possono condensare in una sostanziale parità fra i monaci ( che non intacca l'ascendente personale dei saggi e dei maestri ), nella prevalente dimensione laica ( limitata presenza di sacerdoti nel monastero ), nell'indipendenza dei singoli cenobi che mantenevano libera comunione con altri, nell'esistenza della clausura, nella prevalenza, della contemplazione e del lavoro manuale.

In Occidente il monachesimo è tributario all'azione di s. Benedetto da Norcia ( ca. 480-547 ).

Egli non ne è il fondatore, bensì l'organizzatore.

Decisiva per il riordinamento e la diffusione del monachesimo a livello europeo fu la sua regola, composta gradualmente in seguito al variare delle esperienze monastiche e al presentarsi di problemi nuovi, ai quali si cerca di dare la soluzione più nuova.

Obiettivo principale della sancta regala è la costituzione nel monastero di una schola divini servitii ( palestra di servizio al Signore ).

La regola benedettina rimase l'unico testo legislativa determinante per il monachesimo occidentale e per tutto il movimento ascetico, maschile e femminile, fino al sorgere degli ordini mendicanti.

Le caratteristiche fondamentali del monachesimo benedettino sono il cenobitismo, la preghiera strutturata secondo ritmate suddivisioni della giornata, il senso patriarcale dell'autorità ( "semel abbas, semper abbas" ), l'intensità del lavoro soprattutto manuale, l'apprezzamento per la cultura.

3. Mendicanti

Il movimento mendicante affonda le radici nelle istanze di riforma ecclesiale sentite già nell'epoca gregoriana ( fine sec. XI ).

Esso affiora e prende consistenza nell'Europa mediterranea a partire dal sec. XIII [ v. Uomo evangelico ].

È il periodo in cui il monachesimo storico rinasce dalla decadenza producendo un'abbondante fioritura di realizzazioni sul terreno del rinnovamento ( Cluny, Camaldoli, Vallombrosa, Chartreuse, Citeaux, ecc. ); il periodo in cui agiscono svariati movimenti laicali di riforma ( Pàtari, Albigesi, Valdesi, Umiliati, ecc. ).

La denominazione di mendicanti individua verbalmente uno dei modi più tipici di praticare la povertà, cioè la mendicità ( o questua ).

Il vocabolo in seguito è venuto a qualificare globalmente i gruppi iniziali e quelli aggregati più tardi, indipendentemente dal riferimento ad una rigida fedeltà al principio della povertà radicale ( basilare alle origini ) e alla pratica della questua.

Oggi il vocabolo più qualificante è frati.

I gruppi mendicanti rimasti dentro la chiesa e sopravvissuti attraverso varie vicende storiche fanno capo al laico penitente s. Francesco d'Assisi ( 1181/82-1226 ), i cosiddetti minores.

Per loro egli detta una propria regola, tra le prime ( insieme a quella di s. Alberto di Gerusalemme data, tra il 1206 e il 1214, agli eremiti del monte Carmelo ) che si diversifica da quella benedettina.

Oggi gli ordini mendicanti registrati ufficialmente sono 17.

Il movimento mendicante si inserisce nella prospettiva penitenziale diffusa al tempo delle loro origini, focalizzandone l'esigenza di conversione evangelica che resta l'obiettivo essenziale di questa tipologia.

L'impostazione globale dei mendicanti mutua i propri modelli dallo stile evangelico- apostolico: si ispira, cioè, ad alcuni discorsi del Signore ( come Mc 1,14-15; Mt 5,1-7.27; Mt 10,5-42; Lc 10,1-20 ) e alle situazioni delle prime comunità ecclesiali apostoliche, in particolare quella pentecostale di Gerusalemme ( At 2,42-47; At 4,32-35; ecc. ).

I mendicanti si impegnano a realizzare la fraternità ( donde la denominazione di frati ), la povertà evangelica, l'itineranza, la preghiera in assidua comunione tra loro e con il popolo, il servizio ai fratelli principalmente nella chiesa locale.

La loro testimonianza non viene resa nella solitudine eremitica ne cenobitica, ma nel mondo e direttamente tra gli uomini: i gruppi mendicanti, infatti, sorgono e si fissano generalmente presso le città comunali o dentro di esse, anche se non mancano scelte anacoretiche individuali e provvisorie.

Le ispirazioni centrali dei mendicanti si trovano ad essere condivise dai frati, dalle monache ( le moniales contemporanee ai primi nuclei dei frati ), dalle suore ( i gruppi aggregati ai mendicanti e di fondazione recente, iniziata verso la metà del sec. scorso ), cioè da persone che si raccolgono in comunità, nonché da individui eterogenei, laici ( anche sposati ) o religiosi ( istituti secolari ).

4. Gruppi diaconali

Intorno agli anni del concilio di Trento ( 1545-1563 ) si profila una nuova tipologia della vita consacrata, caratterizzata principalmente dalla finalità diaconale.

Qualche anno avanti il concilio s. Ignazio di Loyola ( 1491-1556 ) dà origine alla compagnia di Gesù ( 1540 ), il primo gruppo significativo che si diversifica dai modelli monastico e mendicante; le ispirazioni centrali del gruppo influiscono in modo sovente determinante sulla struttura di altre congregazioni coeve e successive e sulla spiritualità medesima del cristianesimo occidentale.

I gruppi inquadrati in questa cornice ( sono attualmente una novantina quelli maschili e circa duemila quelli femminili ) si qualificano per le motivazioni operative assai precise e si possono unificare per l'intenzione prevalente del servizio, cioè per la diacoma ( donde la denominazione di gruppi diaconali ).

La loro azione si presenta con carattere di supplenza e di gregariato, e il loro interesse apostolico si muove alla ricerca di risposte nuove alle esigenze socio-religiose.

Attività specifiche dei vari raggruppamenti sono la predicazione, la catechesi agli eretici, l'educazione della gioventù, l'insegnamento popolare, l'apertura di scuole gratuite o semigratuite per i poveri, l'organizzazione dell'assistenza sanitaria e sociale, le missioni, la gestione dei mezzi di comunicazione sociale con finalità apostoliche, ecc.

Sovente le finalità diaconali sono identiche, assunte separatamente per ragioni cronologiche ( date di fondazione del gruppo ), politiche ( rarità o difficoltà di mobilità oltre i confini dei numerosi Stati dei secoli scorsi ), ecclesiali ( dipendenza dai vescovi diocesani ).

Una traccia della matrice tridentina visibile in questi movimenti è il tenore rigido dell'autorità all'interno del gruppo, che favorisce una struttura centralizzata e che introduce l'instaurazione di un rapporto personale da superiore a suddito.

Anche l'idea di comunità si diluisce, a volte sino alla sola adozione di una labile convivenza.

5. ( v. ) Istituti secolari

L'ascetismo domestico rifiorisce rigoglioso nella tipologia degli istituti secolari.

Essa si afferma come acquisizione ecclesiale recente, approvata da Pio XII nella costituzione Provida mater ecclesia ( 2 febbraio 1947 ) e nel "motu proprio" Primo feliciter ( 12 marzo 1948 ), nonché dall'istruzione Cum sanctissimus ( 19 marzo 1948 ) della congregazione romana per i religiosi.

L'idea che sta alla base degli istituti secolari si può riconoscere in realizzazioni ecclesiali precedenti, come l'iniziativa di s. Angela Merici ( 1474-1540 ), originale per allora, la quale imposta la sua esistenza sulla linea dell'ascetismo domestico; come lei, numerose donne si impegnano sulla medesima traccia e la seguono nell'azione sociale che essa intraprende ( educazione delle fanciulle popolane ); in seguito il gruppo diventa l'istituzione delle Orsoline, regolarmente approvata.

È tuttora in corso il dibattito sulla collocazione degli istituti secolari nell'area della vita religiosa.

Il Vat II, pur dichiarandoli estranei alla struttura della vita religiosa ( PC 11 ), si riferisce ad essi nei medesimi contesti nei quali traccia fisionomia e attività dei religiosi ( oltre PC 11, anche PC 23; inoltre, AG 40 e forse CD 33 ).

Le espressioni conciliari riservate agli istituti secolari più qualificanti in senso teologico sono: professione dei consigli evangelici, consacrazione, donazione totale a Dio, ispirazione dello Spirito santo, locuzioni usate con abbondanza e specificamente per definire lo stato religioso.

La dimensione religiosa degli istituti secolari si trova anzitutto nell'accoglimento del celibato per il regno di Dio, carisma che qualifica un cristiano sostanzialmente come monaco ( ossia religioso ).

L'impostazione monastica riconduce il celibato a un contesto comunitario: gli istituti secolari rientrano in tale configurazione, ma propongono una forma nuova: la loro comunità si configura principalmente come comunione, cioè come comunità a dimensione psicologica prima ancora e più ancora che a dimensione topografica o fisica, che tuttavia non viene esclusa.

La terminologia delle loro regole e molti aspetti dell'organizzazione evidenziano sia il sottofondo religioso sia la dimensione comunitaria.

Gli istituti secolari assumono impegni propri dei laici ( quali la permanenza in una famiglia, l'inserimento in svariati modi di impegno sociale - non escluso quello politico -, la prestazione di un servizio ecclesiale in settori specifici e deliberatamente ristretti, ecc. ), che portano innanzi con lo stile ascetico dei religiosi.

Tale è la secolarità che dà il nome a questi gruppi.

IV - Significato antropologico ed ecclesiale della vita consacrata

Non è difficile ne gratuito dichiarare che il significato antropologico ed ecclesiale della vita consacrata è positivo, e che il bilancio della sua storia e della sua spiritualità registra valori in ascesa.

E non è inutile ricordare che a fianco di questi valori si sono verificate prevaricazioni, non-sensi, demolizioni, abusi.

In tale dialettica sono però vincenti la tesi positiva e il valore.

La vita religiosa rientra in un progetto teologale.

Perciò le prospettive per il futuro, interpretate con la cifra della fede e della speranza, sono per la vita.

Indubbiamente potranno variare le mediazioni, le modalità, le strutture, ecc, ma proseguiranno le ispirazioni centrali.

Nella vita secondo lo Spirito il domani di solito è purificatore dell'oggi.

Tra i significati antropologici ed ecclesiali positivi della vita consacrata i principali sono i seguenti.

1. Valorizzazione

La vita religiosa valorizza la persona umana e il suo mondo.

La spiritualità monastica non ha mai smesso di insistere sulla necessità della rinuncia.

La vita consacrata è una conversione, cioè un itinerario pasquale di morte e di risurrezione.

Essa è contemporaneamente un dono e una scelta.

Dono di Dio ( LG 43 ), sequela di Cristo, non può portare all'annientamento.

Scelta nella fede, non può gettare nell'inutilità.

Come Cristo, il religioso non rinuncia, ma sceglie: l'esito visibile appare identico, ma l'intenzione e gli obiettivi sono differenti.

Scegliere non significa disprezzare e ignorare i valori non raccolti.

Nella vita consacrata vengono apprezzati tutti i valori e si elevano cantici di lode al Signore per essi.

Seguire Cristo ha come ricompensa il centuplo e la vita eterna ( Mt 19,29 ); seguire Cristo comporta prendere la propria croce ( Mt 16,24; Mc 8,34 ), ma il peso di essa è leggero ( Mt 11,28-30 ).

La fatica della fedeltà non è il peso di un corpo di morte ( Rm 7,24 ), ma il travaglio della rinascita e della crescita ( Rm 8,22 ) per giungere a quella liberazione che è l'uomo completo sul metro della statura di Cristo ( Ef 4,13 ).

Nella vita consacrata la persona umana dovrebbe trovare la propria realizzazione.

L'uomo e la donna che entrano nella vita religiosa dovrebbero trovarvi lo spazio e gli strumenti per giungere alla propria identificazione.

Infatti l'autentica funzione delle forme di vita consacrata è questa: la struttura a servizio della persona.

Un motivo di ( v. ) crisi di questo tipo di vita cristiana è l'assolutizzazione errata del principio « la persona a servizio della struttura ».

La lunga e laboriosa azione di aggiornamento e di rinnovamento avviata dal Vat II è una testimonianza della capacità di valorizzazione insita nell'idea della vita consacrata.

E anche questa azione è un servizio antropologico ed ecclesiale perché si presta solerte attenzione alla persona e si contribuisce alla riforma ecclesiale, ripetendo gli appuntamenti storici migliori, quando la vita religiosa si sapeva rinnovare dall'interno e poteva contribuire al miglioramento della chiesa.

2. Ricupero del sacro

La crisi di fronte al sacro esplosa nel sec. XX ha costretto alla riflessione anche tutte le componenti ecclesiali.

Ad uscire dalla crisi non giovano le mode teologiche, i complessi di inferiorità e di colpa, i timori e le visioni apocalittiche.

La vita religiosa può contribuire al ricupero del sacro.

La letteratura monastica massimalista ha concorso all'avvento della crisi che ha coinvolto anche la vita consacrata.

Si può risalire la china attraverso l'analisi delle cause che hanno portato alla perdita di credibilità e alla sordità di fronte alle proposte e al linguaggio adoperato dai religiosi.

Il senso del sacro è indispensabile non solo ad una chiesa e ad una religione ma anche ad una società.

Il sacro attinge la fede, non si limita alla religione che ne è una mediazione culturale storica.

In tutte le religioni, primitive e culturalizzate, è presente il sacro.

Si tratta di una realtà complessa e profonda, dalla quale traggono origine spiegazioni del visibile e dell'invisibile e tipologie di comportamento.

La vita religiosa viene tuttora qualificata con l'espressione di vita consacrata: cioè da un aggettivo coinvolto nella crisi.

Non è una soluzione efficace della crisi il forse auspicabile abbandono di espressioni logorate.

La vita religiosa avrebbe la capacità di dimostrare l'inesistenza della contrapposizione conflittuale tra sacro e profano.

Sacro e profano sono in dialettica, ma la loro sostanza non è separabile nel concreto dei fenomeni; sacro e profano sono soprattutto uno stato d'animo, un modo di interpretare la realtà.

La motivazione penitenziale della vita religiosa dovrebbe portare al superamento della conflittualità tra sacro e profano.

Il significato di valorizzazione caratteristico della vita consacrata restituisce alla persona umana il suo realismo, accettandone i valori e i limiti.

L'inserimento dei religiosi nel ( v. ) mondo può rendere credibile e apprezzabile ancora il loro genere di esistenza sull'interessante terreno esistenziale.

La fuga mundi di un'ascetica assolutizzante e unilaterale ha forzato la bontà dei contenuti di quello strumento.

L'evangelico « essere nel mondo ma non del mondo » ( Gv 17,11.16 ) non esige che ci si tolga dal mondo, ma che si venga custoditi dal maligno ( Gv 17,15 ).

La genuina fuga mundi non è un cammino topografico o una collocazione claustrale, ma una scelta interiore di valorizzazione e di priorità.

Assiomaticamente, fuga mundi è sequela Christi.

L'inserimento nel mondo, oggi quasi rivendicato da una parte dei religiosi e reclamato dai contemporanei, non porta a mimetizzarsi e a rinunciare alla propria identità: ciò sarebbe tradimento contro se stessi e inganno ai fratelli.

Inserimento è rispetto dei valori e delle fisionomie, partecipazione alle gioie e alle speranze, alle tristezze e alle angosce degli uomini di oggi, dei poveri soprattutto e di quanti soffrono ( GS 1 ), per presenziare da protagonisti alla costruzione della città terrestre sulle fondamenta del Signore ( LG 46 ).

In tal modo la vita consacrata ricupererebbe non tanto il concetto, quanto il concreto valore del sacro che non è separazione ma purificazione.

3. Testimonianza e segno

La vita consacrata ha un valido significato di testimonianza e di segno.

I contenuti e la qualità della testimonianza dei religiosi si deducono da quanto sintetizzato sin qui: testimonianza a Cristo, testimonianza ecclesiale, testimonianza fraterna.

Il valore di segno consiste nel ruolo profetico della vita religiosa.

Alcuni filoni entro cui sembra si canalizzi e si possa canalizzare il profetismo della vita consacrata che hanno un valore - apprezzamento e contestazione - per i contemporanei, sono i seguenti.

a. Il gratuito.

La vita consacrata poggia su un carisma, il celibato nella comunità.

Ogni carisma è gratuito, è un dono.

La vita religiosa costituisce lo spazio per la valorizzazione dei carismi individuali e di ogni altro dono personale.

Davanti a ideologie teoricamente o praticamente materialistiche e dentro una civiltà soggiogata dal fascino dell'avere e del fare, la vita consacrata può situarsi come un luogo dove primeggia l'essere.

La vita religiosa non è un ministero, anche se dentro si esercitano ministeri ( come il sacerdozio ): essa è originariamente una vocazione ad essere, non ad avere né a fare; e l'essere è un dono gratuito.

b. Il relativo

Alla valorizzazione dell'essere corrisponde la relativizzazione di altri valori.

Poiché l'idea della vita consacrata non punta sulle rinunce ma sulle scelte, il peso di questi valori di fronte ad essa resta immutato: ma ogni valore terrestre viene interpretato come relativo.

Essi sono transeunti e contingenti, si pongono non come assoluti ma come mediazioni.

Valori personali come la libertà, la cultura, la sessualità; valori sociali come le ideologie politiche e gli impegni civili; valori umani come le tradizioni e le prospettive; valori religiosi come le credenze, i culti, i miti, i poteri, le strutture stesse della vita concreta, interpellano sì il religioso e ne richiedono l'operosità e la partecipazione soprattutto in circostanze di emergenza, ma egli li legge e li addita tutti appunto come relativi.

c. L'ecologico

Il significato ecologico della vita religiosa consiste nella realizzazione e nelle proposte per la garanzia e la purificazione dell'habitat umano globale.

L'assolutizzazione dei valori e la mistificazione dei non-valori turba l'equilibrio della città terrestre.

La vita consacrata, attingendo alla sua tradizione e ascoltando i segni dei tempi, ha capacità di inserire in tale equilibrio elementi di depurazione.

Alcune critiche a privilegi e benessere dei religiosi possono trovare giustificazione, purché non siano un alibi.

Certe realizzazioni della vita consacrata come la dimensione comunitaria, la comunione dei beni, la correzione fraterna, il silenzio, la creatività artistica, il rispetto dell'ambiente, la vicinanza con la natura, ecc. sono una contestazione e una proposta ecologica.

Questo è il corrispettivo dell'inserimento: un invito alla società a impostare i ritmi dell'esistenza ed a gerarchizzare i valori secondo le ispirazioni centrali della vita consacrata, una chiamata ad avvicinarvisi.

d. L'escatologico

[ v. Escatologia ]. La testimonianza escatologica che la vita consacrata rende all'umanità e alla chiesa si colloca nella prospettiva del divenire.

Essa tiene desta la persuasione che l'uomo non ha qui stabile dimora ma è alla ricerca di quella futura ( Eb 13,14 ).

Il divenire non è il provvisorio assoluto, ma l'itinerario inarrestabile della conversione; è passare accanto e attraverso le realtà contemporanee cercando di risvegliarne il dinamismo costruttivo.

La soluzione architettonica di quest'idea è il chiostro antico: luogo di un infinito e libero camminare.

Questo cammino verso il futuro ha come obiettivo la costruzione del regno di Dio nella storia e come termine il raggiungimento di esso nell'escatologia.

Il carisma della vita consacrata è un contributo a questa costruzione e una via per la prefigurazione e il raggiungimento delle realtà ultime, l'éschaton.

… attiva e contemplazione Escatologia V

… comunitaria

  Comunità
  Corpo
Esperienza biblica corale Esperienza sp. Bib. I,8e
… ecclesiale Itinerario IV,1c
… come fraternità Fraternità III

… consacrata

  Consigli
  Monaco
  Religiosi
  Secolarizzazione
… a Dio nel mondo Apostolato VII,2
… a Maria Maria III,2
Nozione Vita I
… del monaco Antinomie VI
  Ascesi III,2
… del laico Istituti II
  Senso I
… e fraternità Fraternità II,2
… e amicizie particolari Amicizia IX
  Amicizia XI
Crisi Crisi IV

… cristiana

  Esperienza cr.
  Sequela
Unificata Apostolato VII,2
  Apostolato VII,4
  Contemplazione III
  Pscicologia V
  Speranza III
  Spiritualità III,3
  Spiritualità IV
… e missione Celebrazione II
… e culto verso Maria Maria IV
Come via a Dio Itinerario II,1
… in Cristo Gesù II
  Mistero IV
  Uomo sp. VI
… nella Parola Consigli I
… e conversione Conversione II
Vissuta esemplarmente Itinerario IV,1c
  Modelli I,2
… mistica Mistica II,2
  Mistica VI
… polifonica Modelli I,2
Luogo di libertà Libertà IV,2

… interiore

  Uomo sp.
  Virtù
… e azione Apostolato VII,3
.. ed esperienza cristiana Esperienza cr. III,3
.. ed esercizi di pietà Esercizi pt. I,2
… e demonio Diavolo VII,5

… umana

  Storia
  Uomo
  Tempo
Suo significato Anziano II
  Ateo II
  Esperienza sp. Bib. I,6e
  Maestro I,2
  Sofferente II
  Spiritualità III
Culto verso la … Celebrazione I
Nella sofferenza Sofferente I
Pubblica e donna Femminismo I,2

S. G. B. de La Salle

Metodo di orazione

… di Gesù in noi e di noi in Gesù 34 - 62c - 102 - 169
Spirito di … 34
… in Dio 62d
… di Dio in noi 101 - 102
… dello Spirito Santo in noi 62a.c.d - 63a
Gesù fonte di … abbondante 81 - 102
… interiore 169a
Rapporto tra la mia … e quella di Gesù 193h
… eterna 201a - 235a - 249 - 304b
… in Gesù e per mezzo di Gesù 232e
La parola di Gesù è la … dell'anima 308c
La parola di Dio è spirito e verità 315d.e