Laico
Sommario
I - L'esperienza cristiana del laico nella vita del mondo d'oggi e della chiesaLa spiritualità del laico non è una realtà astratta. Da una parte il laico è semplicemente un cristiano, dall'altra una spiritualità si configura nella via concreta in cui Dio chiama il singolo a vivere il cristianesimo. Questa osservazione preliminare, che parrebbe addirittura mettere in discussione la stessa esistenza di una "spiritualità del laico", apre invece alla possibilità di una sua consistenza proprio perché la condizione laica ha certe sue caratteristiche concrete che la differenziano da altre, per es. da quella dello stato religioso [ v. Vita consacrata ] o del ministero ordinato [ v. Ministero pastorale ]. La spiritualità del laico pertanto si delinea nella convergenza di diverse istanze: la vocazione salvifica che gli viene da Dio, in Cristo, nella chiesa e il suo rapporto con gli altri, con la società, col mondo. Il laico è chiamato a incarnare la sua vita cristiana in quell'esistenza quotidiana che lo pone al centro delle speranze e delle tensioni della vita degli uomini e delle strutture della società. È una sequela Christi [ v. Sequela ] vissuta nella quotidianità dell'uomo, del suo lavoro, dell'impegno di trasformazione e di miglioramento della condizione di vita, che implica la dimensione sociale, culturale, politica, ecc. È continuo confronto e progressiva integrazione tra Dio che parla nella storia degli uomini, le espressioni emergenti della fede e della vita ecclesiale e le sempre nuove speranze della società. Il problema di fondo della spiritualità dei laici è come scoprire e incontrare l'assoluto di Dio in Cristo in un'interiorità che integri tutti i valori umani e ogni aspetto dell'impegno terrestre. I cristiani laici infatti sono a pieno diritto cittadini del mondo e membri della chiesa. Pertanto sono chiamati ad essere fedeli agli uomini del loro tempo e obbedienti al Cristo di sempre. Dal momento che Dio parla all'uomo anche all'interno della diversità delle culture, delle situazioni e delle esperienze umane, la fedeltà ai valori e ai dinamismi dell'umanità va sempre vissuta alla luce della fede e nella comunione ecclesiale. 1. Come cittadini del mondoI laici - osserva K. Rahner1 - sono coloro il cui essere cristiano e le cui responsabilità sono determinate dal loro inserimento per nascita nella vita e nella trama del mondo. Il laico « nasce al mondo prima di nascere al cristianesimo ». Il suo carattere originario "mondano" resta immutato e viene assunto dal battesimo in modo tale che il mondo sia il luogo dove egli deve essere cristiano. I laici, in quanto cristiani, prendono su di loro, a nuovo titolo, la responsabilità della vita degli uomini del loro tempo e delle strutture della società. Essi vivono l'esperienza dei rapidi e profondi mutamenti della vita sociale ( GS 4ss ), delle sue speranze e delle sue angosce, del suo progresso e dei suoi squilibri e dell'incidenza che tutto ciò ha sulla fede e sulla vita ecclesiale. Come cristiani, essi partecipano, nella fede, a tutte le attese degli uomini d'oggi. Parlando di queste attese nell'allocuzione di apertura della "consultazione mondiale" organizzata dal Consilium de laicis nell'ottobre del 1975, il card. Roy ne sottolineava alcuni aspetti centrali: « L'uomo alla ricerca della sua propria identità, alla ricerca della giustizia, alla ricerca di Dio. E quanto a noi, come cristiani, siamo interpellati a tutti i livelli. La nostra ascesi, la nostra spiritualità, la nostra visione del mondo, la nostra pastorale, la nostra azione apostolica, i nuovi modi di orientare, come cristiani, la secolarità verso Dio; tutto ciò presenta una somma di problemi nuovi.2 La fede dei cristiani, coinvolti nel processo evolutivo del mondo, non può fare a meno di confrontarsi soprattutto con la sfida che le viene dalle diverse forme di ateismo teorico o pratico [ v. Ateo ], da certe speranze che non lasciano spazio ai valori spirituali, dall'atmosfera di secolarismo, da quell'atteggiamento scientifico o tecnico che non crede se non a ciò che è sperimentabile e costatabile, dalla sofferenza umana e dall'ingiustizia che escludono l'esistenza di un Dio-amore, dal consumismo che rende difficile l'annuncio del Dio-mistero che non può essere oggetto di consumo come la nostra società lo intende, ecc. Queste forme di sfida alla fede, da una parte mettono in crisi i valori spirituali, dall'altra stimolano i cristiani a un rinnovamento, del loro modo di pensare ed agire e a entrare nel dramma dell'uomo per cercare, nell'apertura e nel dialogo, di aiutarlo a prendere coscienza del suo bisogno represso di assoluto, della sua attesa di un Dio che liberi e che salvi dall'abisso dell'esistenza. 2. Come membri della ChiesaI laici, soprattutto dopo il Vat II, sentono di non stare ai margini della chiesa, ma di esserne parte attiva e determinante per mediare l'assoluto di Dio e del vangelo in un mondo che si costruisce in forme sempre nuove, ma di cui bisogna smascherare certe ambiguità per evidenziare le espressioni umane più genuine che aprono l'uomo all'assoluto. Tali sono i valori dell'autenticità, della fraternità, della solidarietà umana, della giustizia, dell'amore, della comunione, della pace, ecc. Cristo ha assunto questi valori salvandoli dai loro limiti; la chiesa continua quest'opera nel tempo. La spiritualità dei laici, in quanto spiritualità ecclesiale, si costruisce alla luce di un'immagine di chiesa non statica, ma dinamica; di una chiesa cioè in cammino nell'itinerario degli uomini, che vive nel mondo e per il mondo con una missione che è insieme di evangelizzazione e di animazione di tutte le realtà temporali. Quanto il Vat II ha detto sulla fisionomia della chiesa, e in essa dei laici, nella LG e nella GS, resta ancora da approfondire nella dottrina e nella prassi perché il credente laico possa assumersi la sua responsabilità di essere chiesa nel mondo, nel rispetto della mutua autonomia della chiesa e del mondo. Non si tratta certamente di opporre una spiritualità dei laici a una spiritualità del clero. Il Vat II ha definito la chiesa, al di là di ogni clericalismo, partendo dalla sua dimensione più universale, quella di popolo di Dio. Si tratta piuttosto di ritrovare, all'interno di tale immagine globale e dinamica di chiesa, i contorni di un'identità spirituale dei laici che qualifichi il loro essere e il loro ruolo, tenendo conto dell'esperienza concreta che essi fanno nel vivere la loro fede tra le sfide e le speranze del mondo moderno. [ v. Chiesa II,2-3 ]. II - L'identità del laicoChi è il laico? Qual è il suo posto nella chiesa? Quale senso ha il suo apporto alla costruzione del mondo e alla edificazione del regno di Dio? Sono interrogativi a cui la chiesa ha risposto, in modo esplicito e ufficiale, solo col Vat II. Le formulazioni del concilio però sono state precedute da almeno un trentennio di esperienze e di studi,3 che hanno chiarito abbastanza l'immagine del laico cristiano nel contesto di una rinnovata ecclesiologia. Il laico non è più definito negativamente come colui che non è ne chierico ne monaco. La sua identità non viene rimandata a quella del clero, come faceva nel 1891 il Wetzer, che nel Kirchenlexikon, alla voce « Laico », scriveva semplicemente: Loie. Siehe Clerus ( laico: vedi clero ). Ha acquistato una sua consistenza che è affiorata progressivamente alla coscienza della chiesa, prima ancora che con lo studio, coi grandi movimenti di spiritualità e di apostolato che sono iniziati negli ultimi decenni del secolo scorso ed hanno avuto la loro grande fioritura con l'Azione cattolica nelle sue diverse espressioni. Ma per poter comprendere i valori emersi nel Vat II e quelli che continuano ad emergere nella coscienza della chiesa d'oggi bisogna riandare brevemente alla evoluzione storica del concetto di laico e della sua posizione nella comunità ecclesiale. 1. Nella S. ScritturaInterrogare la s. scrittura sull'identità del laico comporta cogliere in essa il significato globale di chiesa e di credenti. Infatti, per restare ai dati del NT, si ritrova più che una spiritualità propria dei "laici" l'istanza a vivere semplicemente la vita in Cristo e nello Spirito nella situazione concreta in cui ciascuno si trova. Il NT concepisce la chiesa come comunità di salvezza che ha la sua origine in Dio mediante Gesù Cristo e che viene inviata nel mondo. I membri di questa comunità, nominati kletòi ( chiamati ), hàgioi ( santi ), mathetài ( discepoli ), adelfòi ( fratelli ), sono tutti costituiti tali con un appello di Dio in Cristo che fa di loro un popolo eletto ( 1 Pt 1,10 ), separato dal mondo, ma per essere in esso segno, testimonianza di Dio e fermento di santificazione. Tutti insieme formano un'unità, un popolo, l'edificio di Dio ( 1 Pt 2,5-10; 1 Cor 3,16-17; Ef 2,19-22; Eb 10,21-25 ). In forza della chiamata di Dio e del battesimo, tutti sono consacrati per formare un regno sacerdotale, un sacerdozio santo, un tempio spirituale ( 1 Pt 2,9-10; 1 Cor 3,16-17 ) per rendere a Dio un culto spirituale, animato cioè dallo Spirito, ed « annunciare le grandezze di Dio » ( 1 Pt 2,9 ). C'è una distinzione tra tutti e qualcuno, tra il gregge e i pastori, il campo e coloro che lo coltivano, l'edificio e i suoi costruttori, ma soprattutto, all'interno dell'unico popolo, i singoli membri si differenziano a seconda dei carismi, dei ministeri, delle diverse funzioni a servizio dell'edificazione della comunità ( 1 Cor 12; Rm 12 ). In tal senso, nell'ambito della chiesa, esiste una distinzione tra laici e clero, la quale però non deve offuscare l'unità della comunità cristiana, eletta da Dio e a lui tutt'intera consacrata. Il NT - nota Congar - « non insiste sulla distinzione tra laici e sacerdoti all'interno della chiesa, ma sulla distinzione o opposizione o tensione tra una chiesa tutta quanta consacrata ed il mondo, il popolo e il non-popolo ( laòs e ou laòs: 1 Pt 1,10 ), i fratelli e il resto ( adelfòi e oi loipoi: 1 Cor 6,1 ) ».4 La ricerca biblica si è interessata a un aspetto fondamentale dell'identità dei laici e cioè della loro partecipazione al potere sacerdotale, profetico e regale di Cristo5 e a ciò che tale configurazione comporta per la loro missione nei confronti del mondo. Per l'elaborazione di una spiritualità dei laici ha particolare valore anche il concetto neotestamentario di sacrificio spirituale, quale viene enunciato soprattutto dalla 1 Pt. Ogni cristiano infatti è sacerdote insostituibile di se stesso e tutto ciò che egli è e fa, vivificato dallo Spirito, diventa materia del sacrificio spirituale offerto a Dio. C'è pertanto una corrispondenza tra sacrificio e sacerdozio, in quanto il sacerdozio è semplicemente la qualità che permette di presentarsi a Dio per ottenere la sua grazia e la sua comunione mediante l'offerta di un sacrificio a lui gradito.6 2. Nella Chiesa primitiva« L'esperienza della chiesa primitiva come "piccolo gregge", la sperimentazione della persecuzione dei cristiani e del martirio dei singoli membri, rafforza nella coscienza cristiana le caratteristiche della separazione e della appartenenza comune ».7 Sul piano della vita, la chiesa dei primi tre secoli testimonia la vivacità e il dinamismo dell'impegno cristiano dei laici, dal primo gruppo dei discepoli di Cristo all'opera degli apologisti, alla testimonianza degli asceti e delle vergini, all'esempio dei martiri.8 Notevole è stato l'impegno dei laici nel periodo apostolico in opere di assistenza e di ospitalità. Nel I e nel II sec., con la costituzione di "chiese domestiche" e col fervore apologetico, essi costituivano un legame indispensabile tra chiesa e società civile.9 In questo periodo si struttura, all'interno dell'unica comunità, la differenziazione gerarchica. Clemente Romano parla della triade sacerdoti-leviti-laici e Clemente Alessandrino di quella sacerdoti-diaconi-laici. Nella lettera di Clemente - intorno al 95 - appare per la prima volta il termine laikòs. I. De La Potterie, in uno studio di carattere etimologico e semantico,10 ben fondato su testi pagani, ebraici e cristiani, ha dimostrato che l'aggettivo laikòs si rifà al sostantivo laós ( popolo ), considerato però non come un gruppo etnico opposto ad un altro, bensì come una categoria contrapposta ad altre all'interno dello stesso popolo, cioè della massa del popolo nei confronti dei suoi capi. Pertanto col termine laico si indicava il semplice credente in contrapposizione con colui che era depositario di una carica. In questo senso anche Tertulliano dice che il termine laicus designa un cristiano che non è ne vescovo ne sacerdote ne diacono, in breve che non appartiene al clero. 3. Nel medioevoIl Congar, studiando la storia del laicato cristiano,11 distingue tre periodi, non solo cronologicamente ma soprattutto qualitativamente diversi, a seconda delle varie situazioni in cui la chiesa si è venuta a trovare nei confronti del mondo: periodo delle persecuzioni, periodo della cristianità, periodo di distinzione dal mondo, in cui la chiesa, anche se minoranza, può assumersi un ruolo più proprio. Nel primo periodo l'acuto senso escatologico, come termine di riferimento costante della vita cristiana, pone la chiesa non solo in distinzione, ma in opposizione col mondo. L'accento è posto più sulla tensione chiesa-mondo che sulla distinzione clero-fedeli. Nell'epoca di cristianità o costantiniana le cose cambiano. La chiesa, come società pubblica di diritto divino, acquista un posto privilegiato nel diritto pubblico dell'impero. Di qui alcune conseguenze che influenzano il modo di essere e di agire dei laici nella chiesa: l'impero e la chiesa si incorporano a vicenda e la tensione si sposta dal ruolo della chiesa nei confronti del mondo all'interno della chiesa stessa tra sacerdoti e monaci ( gli "uomini spirituali" ) da una parte e laici dall'altra; il clero e i monaci ricevono da Costantino immunità e privilegi, mentre la difficoltà di comprendere il latino fa sì che la cultura diventi privilegio dei principi e del clero, per cui litteratus, colui che sa il latino, equivale a chierico;12 agli uomini "spirituali", i monaci, si contrappongono i laici, i "carnali", coloro che si occupano di questo mondo; la spiritualità per eccellenza è considerata pertanto quella che si vive nel distacco dal mondo; coloro che hanno cariche ecclesiastiche si modellano su forme monastiche di vita ( per es. il celibato ) e su una propria dimensione sociologica ( per es. abiti propri, tonsura ). Il contrasto spirituale-mondano accentua quel dualismo che da al clero un ruolo attivo di guida e di formazione nei confronti dei laici e ai laici un ruolo passivo, di coloro cioè che devono ascoltare e ubbidire. In tal modo i laici vengono situati in un certo stato di inferiorità spirituale. In questo periodo non mancano però momenti di stima e di promozione dei laici e da parte degli stessi laici assunzione di responsabilità, come certe reazioni ( che purtroppo sfociano in movimenti ereticali ) contro preti corrotti, il lento formarsi della persuasione che ciò che conta non è tanto l'"ordine" o lo "stato", ma la rettitudine e la santità personale, la riforma gregoriana contro il clero simoniaco e nicolaita, che mentre accentua il contrasto tra clero e laici segna anche i confini del dominio del clero e dei laici, riconoscendo a questi ultimi la loro giusta autonomia.13 4. Dalla Riforma ai tempi moderniIl mondo moderno - continua l'analisi storica del Congar - con le grandi scoperte, con l'umanesimo e la riforma si crea una nuova coscienza di sé nei confronti della chiesa: « Una caratteristica marca profondamente il nascere di questo nuovo mondo: la presa di coscienza della consistenza, della serietà intrinseca, e perciò dell'autonomia del mondo umano e terrestre ».14 L'emancipazione della società civile da quella ecclesiastica e l'affermazione dei valori terrestri, al di fuori di ogni condizionamento religioso, fa sì che la chiesa si trovi di fronte a un mondo pienamente "mondo". A questo confronto la chiesa reagisce cercando di ricostruire quadri che rimpiazzino le vecchie strutture della cristianità con organizzazioni cattoliche che poi sfoceranno nei grandi movimenti di Azione cattolica con nuove esperienze pastorali e con un'approfondita vita di fede e di apostolato. In tal modo la tensione si riporta di nuovo tra la chiesa tutt'intera e il mondo e i laici prendono nuova consapevolezza di avere un ruolo importante all'interno della chiesa e nei confronti della società. Si sviluppa così tutta una spiritualità con forte dinamismo evangelico e missionario e slancio di servizio nei confronti dei fratelli in ogni campo dell'attività umana. Gradatamente i laici assumono una presenza attiva nelle nuove strutture sociali e politiche, in particolare in Italia in seguito alla "questione romana".15 III - Spiritualità e missione del laico nel Vat IIPer una spiritualità dei laici, quale è affiorata nella chiesa dei nostri tempi, connessa agli aspetti dogmatici e pastorali, il Vat II ha segnato nello stesso tempo un punto di arrivo e un punto di partenza. Un punto di arrivo di tutta l'elaborazione teologica, che partendo dalle nuove esperienze del senso ecclesiale fatte dagli stessi laici è sfociata nelle formulazioni dottrinali e negli orientamenti operativi del Vat II. Un punto di partenza, perché il Vat II ha stimolato una più approfondita riflessione teologica, che non si è limitata a commentare i testi conciliari, ma ha proseguito il cammino cercando di colmare lacune e precisare meglio i contorni della fisionomia del laico nella chiesa e del suo impegno nei confronti del mondo. I documenti base del concilio sui laici sono, a livello dogmatico, il c. IV della LG; a livello di missione apostolica specifica, il decreto AA; a livello di incontro e di confronto col mondo, la costituzione pastorale GS. 1. Il principio della totalità della ChiesaPer delineare i contorni della spiritualità del laico e della sua missione è importante stabilire il punto di partenza o, se si vuole, il contesto in cui si colloca. Tale punto di partenza è la chiesa intesa nella sua globalità, quale « popolo di Dio », così come ha particolarmente insistito la LG ( c. II ). I laici non sono ai margini di una chiesa concepita in una visione quasi esclusivamente gerarchica. Sono chiesa e della chiesa portano tutta la vitalità e la responsabilità apostolica in forza di una missione ricevuta inizialmente col battesimo. Ormai sono molto lontani i tempi in cui, nel medioevo, Graziano parlava di duo genera christianorum, da una parte i chierici e i monaci, dall'altra i laici che « sono autorizzati a sposarsi, a coltivare la terra, a dirimere le liti attraverso un giudizio, a difendere la propria causa, a depositare le offerte sull'altare, a pagare le decime… ».16 È anche lontana una certa mentalità, durata fino agli inizi del nostro secolo, secondo cui ai laici non spettava nessuna funzione attiva nella chiesa, stando alla quale mons. Talbot poteva scrivere a Manning: « Qual è l'ambito dei laici? Cacciare, sparare, divertirsi…! Ciò è di loro competenza; quanto a immischiarsi negli affari della chiesa non ne hanno il minimo diritto ».17 Oggi è scontato che la spiritualità dei laici ha una sua consistenza nel quadro della spiritualità di tutti i cristiani che formano l'unico « popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo » ( LG 4 ). Non è più considerata una riduzione della spiritualità del clero, che a sua volta era ritenuta una riduzione di quella dei monaci. I laici cristiani sono costituiti tali in forza di una chiamata di Dio in Cristo, nella chiesa, per cui sono « stirpe eletta, sacerdozio regale, nazione santa, popolo acquisito per annunziare le grandezze di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce ammirabile» ( 1 Pt 2,9 ). I caratteri specifici della loro spiritualità non li separano dal resto della chiesa, ma qualificano ciò che di comune essi hanno con l'intero corpo ecclesiale. La chiesa infatti forma un'unità compatta, una comunione di salvezza, un mistero ovvero « sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano » ( LG 1 ) e pertanto la diversità dei membri si caratterizza solo sulla base di ciò che è comune e torna a vantaggio dell'unità ( LG 30 ). Lo stesso fatto che la 'LG tratta del popolo di Dio ( c. II ) prima della gerarchia ( c. III ) e dei laici ( c. IV ) sottolinea che la differenziazione degli uffici e dei carismi si innesta nell'unità della chiesa: « uno è il popolo eletto di Dio» ( LG 32 ); c'è una « azione comune a tutti i fedeli nell'edificare il Corpo di Cristo » ( LG 32 ); i laici sono « radunati nel popolo di Dio e costituiti nell'unico Corpo di Cristo sotto un solo Capo » ( LG 33 ) e il loro compito è « la missione propria di tutto il popolo cristiano » ( LG 31 ). Il concetto centrale e unificante dell'ecclesiologia del Vat II, sulla cui base si può costruire una laicologia, è quello di popolo di Dio ( LG c. II ), un popolo costituito dall'agire salvifico di Dio in un itinerario storico volto al compimento escatologico. La caratteristica pellegrinante di questo popolo non significa però evasione dal concreto storico, temporale, sociale, politico. Il "luogo" della chiesa è il terrestre così come si evolve nel tempo. Il carattere "mondano" inerisce all'intero popolo di Dio. Tutta la chiesa - i laici in modo specifico - è chiamata a una missione di servizio del mondo, di fermento, di testimonianza, di segno, di promozione umana. Il rapporto chiesa-mondo è stato considerato in modo nuovo dal Vat II nella GS. « Nella visione della chiesa come popolo di Dio - nota il Congar -, certo, i principi costitutivi di questa chiesa non vengono dal mondo, ma questa chiesa è nel mondo, essa partecipa al suo movimento ( tale la chiesa della GS ): i fedeli più che "inviati" nel mondo, si trovano in esso e ne fanno parte. Viene loro richiesto unicamente di essere cristiani in tutto ciò che sono ».18 2. Definizione di "Laico"I diversi tentativi dei teologi di dare una definizione esatta del laico19 non hanno avuto molto successo, anche se ne hanno precisato alcuni caratteri fondamentali. Il Vat II, pur avendo cercato laboriosamente di definire il laico,20 non si è impegnato in una stretta definizione teologica. Ha preferito piuttosto una descrizione tipologica, fenomenologica o "ad hoc". Questa descrizione tiene conto della globalità della chiesa, come è notato nel paragrafo introduttivo del c. IV della LG ( LG 30 ): « Sebbene quanto fu detto del popolo di Dio sia ugualmene diretto ai laici, ai religiosi e al clero, ai laici tuttavia… appartengono in particolare alcune cose… ». La descrizione tipologica conciliare ( LG 31 ) abbraccia tre elementi fondamentali: 1) I laici si distinguono dai chierici e dai religiosi. Questo aspetto che sembra ricalcare la definizione negativa del codice di diritto canonico, in realtà, nel contesto conciliare, si situa in una prospettiva positiva. I laici sono popolo di Dio e in quanto tali, pur non avendo compiti clericali o non essendo chiamati a cercare la perfezione cristiana lasciando i compiti mondani, sono anch'essi soggetto di compiti attivi all'interno della chiesa e devono cercare la perfezione evangelica, propria di tutti i cristiani, vivendo all'interno delle realtà terrestri. 2) I laici sono membri del popolo di Dio. Questo elemento ha un carattere positivo e teologico: « I fedeli cioè che, dopo essere stati incorporati a Cristo col battesimo e costituiti popolo di Dio e, nella loro misura, resi partecipi dell'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, per la loro parte compiono, nella chiesa e nel mondo, la missione propria di tutto il popolo cristiano » ( LG 31 ). Un duplice livello quindi qualifica i laici: uno comune a tutto il popolo di Dio e uno proprio. Al primo, che è proprietà di tutti i battezzati, essi sono come gli altri e cioè « costituiti popolo di Dio » e impegnati nella « missione propria di tutto il popolo cristiano ». Al secondo essi si caratterizzano per una speciale ( « nella loro misura » ) partecipazione all'ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo e per un modo proprio ( « per la loro parte » ) di svolgere la missione cristiana nella chiesa e nel mondo. La differenza specifica viene essenzialmente dal rapporto che i laici hanno col mondo e con le realtà terrestri. Da ciò il terzo elemento: 3) I laici sono chiamati a santificare gli aspetti secolari della vita. Ciò che rende un fedele ( elemento generico di tutti i cristiani ) laico è il rapporto che egli ha col mondo all'interno del mondo, cioè la sua secolarità. 3. La secolarità del laicoLa LG pertanto individua nella secolarità la differenza specifica, ciò che caratterizza la vocazione è la missione dei laici: « L'indole secolare è propria e peculiare dei laici » ( LG 31 ). La loro vocazione è « cercare il regno di Dio trattando le cose temporali e ordinandole secondo Dio » ( LG 31 ); « a loro quindi particolarmente spetta di illuminare e ordinare tutte le cose temporali, alle quali sono strettamente legati, in modo che sempre siano fatte secondo Cristo, e crescano e siano di lode al creatore e redentore » ( LG 31 ). Con ciò il concilio non ha inteso descrivere i laici sul filo del dualismo sacro-profano, ma piuttosto evidenziare l'aspetto di incarnazione insieme a quello soteriologico-escatologico. Infatti non si possono descrivere i laici senza tener conto, come punto di partenza, della situazione esistenziale in cui essi si trovano e che è costituita dalle coordinate normali della vita familiare, sociale, culturale, politica, ecc. In questa situazione essi vivono il loro essere cristiano ed ecclesiale. Il battesimo che li fa cristiani, conferendo loro una partecipazione reale agli uffici di Cristo, non solo non li esonera dai loro compiti terrestri, ma glieli fa assumere con motivazione nuova derivante dalla vita soprannaturale e dalla missione cristiana di cui essi vengono investiti. Così, mediante i laici, la secolarità viene integrata nella vita ecclesiale nell'unità del progetto salvifico di Cristo. Le realtà temporali hanno la loro autonomia che i laici devono rispettare; ma essi sono chiamati ad animarle dall'interno con lo spirito del vangelo, attuando così il loro compito specifico, quello cioè della « instaurazione cristiana dell'ordine temporale » che viene loro fondamentalmente dalla istanza battesimale. Pertanto il loro essere-nel-mondo e agire-nel-mondo caratterizzano, in ultima analisi, la personalità e il tipo di presenza ecclesiale che i laici sono chiamati a vivere. 4. Inviato da CristoLa spiritualità del laico si fonda sostanzialmente sull'evento con cui Cristo lo fa suo, lo anima col suo Spirito, lo apre alla fede, alla speranza e alla carità e lo invia nel mondo come presenza della chiesa nelle realtà degli uomini. L'esistenza e la missione del laico è retta dall'unità bipolare del battesimo e della secolarità. Il battesimo consacra una situazione secolare. Col suo carattere di consacrazione al Padre, al Figlio e allo Spirito santo il battesimo fa dell'uomo un cristiano, un unto del Signore, perché possa vivere pienamente nella chiesa di Cristo e portare Cristo e la chiesa nel cuore della realtà umana e temporale. Il Vat II ha trattato ampiamente della partecipazione dei laici, mediante il battesimo, a Cristo stesso e al suo triplice ufficio sacerdotale, profetico, regale. a. Il sacerdozio comune dei fedeli è partecipazione a Cristo sommo sacerdote ( LG 10; LG 34 ) che si attua in una successione organica: Cristo è il sacerdote; tutta la chiesa è sacerdotale; ogni battezzato è sacerdote; alcuni battezzati sono ordinati sacerdoti ministri. La partecipazione al sacerdozio di Cristo da un carattere particolare alla spiritualità dei laici e cioè quello di vivere tutti gli aspetti della loro esistenza come « culto spirituale »,21 mediante il quale tutta la loro vita, il lavoro, la preghiera, la lotta per la giustizia, ecc, diventano « offerta spirituale » gradita a Dio mediante Gesù Cristo ( 1 Pt 2,5 ). Questo culto spirituale raggiunge il suo culmine quando i laici uniscono l'offerta della propria vita a quella di Cristo, attraverso il ministero dei sacerdoti ordinati, nell'eucaristia. Altro aspetto del sacerdozio comune dei fedeli è l'opera di mediazione tra Cristo salvatore, gli uomini e il mondo, in particolare con la proclamazione delle opere meravigliose di Dio che chiama dalle tenebre alla sua luce ( 1 Pt 2,9 ). b. La partecipazione al potere profetico di Cristo fa dei laici dei testimoni, annunciatori della Parola in mezzo al mondo « perché la forza del vangelo risplenda nella vita quotidiana, familiare e sociale » ( LG 35; AA 6; AA 11 ). Tutti nella chiesa sono evangelizzatori; la secolarità, che qualifica i laici, caratterizza anche l'evangelizzazione, in quanto questa « acquista una certa nota specifica e una particolare efficacia dal fatto che viene compiuta nelle comuni condizioni del secolo » ( LG 35 ). c. La partecipazione all'ufficio regale di Cristo è anzitutto dono della libertà spirituale e della vittoria sul proprio egoismo. Cristo libera la libertà umana, in modo da potere ascoltare la sua voce, rispondere ai suoi inviti, obbedire alla sua missione perché Cristo sia tutto in tutti. La LG vede la partecipazione alla regalità di Cristo soprattutto come capacità di cooperare con Cristo che vuole sottomettere a sé tutte le cose create perché siano « liberate dalla schiavitù della corruzione per partecipare alla gloriosa libertà dei figli di Dio » ( LG 36 ). Ciò suppone un impegno spirituale che spinga a portare la salvezza là dove ce n'è effettivamente bisogno, che unisca cioè salvezza e liberazione e che questo sia vissuto come un servizio al mondo, al suo progresso, alla sua redenzione dal male e dall'ingiustizia, illuminando invece gli autentici valori umani con la luce di Cristo e del suo vangelo. Implica anche un grande rispetto per l'autonomia della sfera temporale a cui dare un umile apporto perché raggiunga quella dimensione piena e integrale che corrisponde al progetto di Dio creatore. 5. Animato dallo SpiritoCome ogni altro membro della chiesa, il laico fa l'esperienza dello Spirito santo, incessantemente inviato dal Padre e dal Figlio a tutti i credenti. Lo Spirito opera in lui configurandolo sempre più a Cristo e dandogli il coraggio di annunziarlo al mondo. Nell'economia attuale della salvezza, lo Spirito santo, come afferma P. Evdokimov,22 è il fatto interiore: « Il giorno della Pentecoste egli discende nel mondo "in Persona", ipostaticamente, e diviene operante al di dentro della natura umana, si pone come fatto interiore della natura umana. Egli agisce dunque all'interno di noi, ci muove, ci rende dinamici, e santificandoci ci trasmette qualcosa della sua propria natura. Senza confusione, lo Spirito si identifica con noi, si fa il co-soggetto della nostra vita in Cristo, più intimo a noi che noi stessi ». Ricevuto inizialmente nel battesimo e nella cresima, lo Spirito è accolto in una continua apertura alla sua grazia e alle sue mozioni, abilita il laico a costruire il regno e a rendere la società sempre più umana: « Con la sua risurrezione costituito Signore, egli, il Cristo cui è stato dato ogni potere in cielo e in terra, tuttora opera nel cuore degli uomini con la virtù del suo Spirito, non solo suscitando il desiderio del mondo futuro, ma per ciò stesso anche ispirando, purificando e fortificando quei generosi propositi con i quali la famiglia degli uomini cerca di rendere più umana la propria vita e di sottomettere a questo fine tutta la terra » ( GS 38 ). Per adempiere ai loro compiti di cristiani nel mondo, i laici ricevono dallo Spirito santo quei doni particolari che il NT chiama carismi e che sono « straordinari o anche più semplici e più comuni, siccome sono soprattutto adatti e utili alle necessità della chiesa » ( LG 12 ). Questi doni fanno sperimentare ai laici di appartenere al grande popolo carismatico, in cui la varietà dei carismi deriva da un unico Spirito e porta ad una unica missione, anche se differenziata nei diversi aspetti complementari. In tal modo, lo Spirito santo « rende oggi sempre più consapevoli i laici della loro responsabilità » ( AA 1 ) chiamandoli a un apostolato che è « partecipazione alla stessa salvifica missione della chiesa » ( LG 33 ). « Ognuno ha il proprio dono », dice s. Paolo ( 1 Cor 7,7 ), e nella chiesa la diversità dei carismi nell'unità ( 1 Cor 12 ) da a ciascuno la possibilità di impegnare il meglio di sé nel servizio dei fratelli. I laici pertanto, proprio perché animati dallo Spirito santo e dotati di carismi, non devono attendere altro mandato per svolgere la loro missione cristiana nella chiesa e nel mondo, ma solo badare che i loro doni spirituali si inseriscano nel contesto dei carismi e dei ministeri della comunità e nella carità ecclesiale e pertanto accogliere il ( v. ) discernimento definitivo dei carismi che spetta ai vescovi ( LG 12 ). 6. Presente nel mondo come ChiesaNei laici vive il mistero salvifico della chiesa, « popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo » ( LG 4 ). Dalla chiesa attingono la santità appunto perché sono inseriti nella « chiesa santa, comunità di fede, di speranza e di carità, quale organismo visibile, attraverso il quale si diffonde su tutti la verità e la grazia » ( LG 8 ). Essendo chiesa, i laici partecipano direttamente alla missione di salvezza. Se la chiesa tutt'intera « è in Cristo come un sacramento o segno e strumento dell'intima unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano » ( LG 1 ), anche i laici sono chiamati ad essere segno e strumento di salvezza per i fratelli. La loro è una testimonianza ecclesiale perché espressione della chiesa. Salvati da Cristo nella chiesa, i laici sono a loro volta portatori di salvezza: « Il Signore infatti desidera dilatare il suo regno anche per mezzo dei fedeli laici… » ( LG 36 ); « grava quindi su tutti i laici il glorioso peso di lavorare perché il divino disegno di salvezza raggiunga ogni giorno più tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutta la terra » ( LG 33 ). La consacrazione è ordinata alla missione. Il battesimo e la cresima consacrano e inviano. Il laico, come cristiano, è un inviato, un apostolo. L'apostolato scaturisce dalla stessa esistenza cristiana ricevuta nei sacramenti e vissuta nella fede, nella carità, nella speranza, nell'esercizio dei doni dello Spirito. E poiché l'esistenza cristiana è esistenza ecclesiale, « l'apostolato dei laici è partecipazione alla stessa salvifica missione della chiesa » ( LG 33 ). L'apostolato non nasce da iniziativa personale, ma da una missione che si riceve dalla chiesa, la quale a sua volta la riceve da Cristo. L'ambito della missione della chiesa è molto vasto: « Con la diffusione del regno di Cristo su tutta la terra a gloria di Dio Padre, rendere partecipi tutti gli uomini della salvezza operata dalla redenzione e per mezzo di essi ordinare effettivamente il mondo intero a Cristo » ( AA 2 ). Inteso in senso così ampio, l'apostolato viene partecipato anche dai laici in tutta la sua interezza, ma con particolari accentuazioni che derivano dalla loro condizione di vita: « In realtà essi esercitano l'apostolato evangelizzando e santificando gli uomini, e animando e perfezionando con lo spirito evangelico l'ordine temporale… » ( AA 2 ). Pertanto non solo l'evangelizzazione e la santificazione, ma anche la « instaurazione di tutto l'ordine temporale » ( AA 5 ) fa parte dell'opera redentrice di Cristo, attualizzata dalla chiesa e promossa dai laici come loro compito specifico. I laici, come si diceva sopra, sono a pieno diritto membri della chiesa e cittadini del mondo; vivono la missione santificatrice della chiesa e portano la responsabilità di costruire un mondo più umano. Questi due aspetti del loro apostolato, lungi dal creare dualismi e scissioni, li riportano all'unica fede in Cristo e all'unica missione della chiesa, in cui c'è « diversità di ministero, ma unità di missione » ( AA 2 ). La dimensione orizzontale della vita spirituale va continuamente integrata a quella verticale. Il rapporto di fede con Dio, in Cristo, nello Spirito porta a riconoscere Dio non solo in se stesso, ma nella sovranità che egli ha sulla creazione e sulle attività libere dell'uomo. Bisogna però ammettere che a più di dieci anni dalla fine del Vat II resta ancora molto da approfondire circa la presenza dei cristiani nel mondo e il modo con cui essi devono rendere viva ed operante la missione della chiesa nell'odierno contesto sociale. La chiesa si trova infatti in una società in rapida trasformazione che le richiede una continua presa di coscienza di nuove realtà a cui portare il suo contributo. « A dieci anni dopo il concilio - si diceva alla consultazione mondiale del Consiglio dei laici nel 1975 - resta da chiarire che cos'è il dialogo chiesa-mondo e la loro mutua autonomia, ponendosi al livello del credente ordinario e delle comunità cristiane che operano nel mondo. La chiarificazione teologica e clericale non basta più ».23 Chiesa e mondo non sono una accanto all'altra, ma si compenetrano intimamente e, di conseguenza, la testimonianza cristiana e l'instaurazione dell'ordine temporale non sono due compiti separati, ma si integrano nell'impegno concreto dell'uomo. Solo in questo contesto unitario è utile distinguere il compito che i laici hanno di evangelizzare, di animare cristianamente le realtà temporali, di promuovere i valori umani. a. L'evangelizzazione - come ha sottolineato Paolo VI - « è la grazia e la vocazione propria della chiesa, la sua identità più profonda ».24 Essa nasce da Cristo e dagli apostoli, passa alla chiesa, la quale evangelizza se stessa e coloro a cui è mandata e invia gli evangelizzatori.25 I laici sono chiamati ad esercitare il loro ruolo profetico annunciando Cristo e il suo messaggio con la testimonianza della vita, le opere, la parola ( AA 6 ). Ma per il fatto che essi vivono in mezzo al mondo « devono esercitare con ciò stesso una forma singolare di evangelizzazione »,26 portando cioè la potenza rinnovatrice dello Spirito al di dentro degli eventi e di tutte le realtà terrene. b. L'animazione cristiana delle realtà temporali è compito specifico dei laici. Essi danno un'anima cristiana ed evangelica a tutti i valori mondani sottoposti alla distorsione del peccato. Il loro compito « primario e immediato » è pertanto « la messa in atto di tutte le possibilità cristiane ed evangeliche nascoste, ma già presenti ed operanti nelle realtà del mondo »27 e cioè della politica, della vita sociale ed economica, della cultura, dei mezzi di comunicazione sociale, del lavoro, della famiglia, dell'amore, ecc. c. La promozione umana è un altro aspetto complementare della missione della chiesa di cui i laici sono responsabili a un titolo più proprio. La chiesa si interessa all'uomo, al suo sviluppo integrale a ogni livello, individuale e sociale. Promuovere l'uomo e i suoi valori significa liberarlo da ogni forma di schiavitù e di condizionamento sociologico, economico, culturale. Ma l'opera dei cristiani non si limita qui. Essi portano un contributo originale ai progetti umani di promozione. Presentano una visione dell'uomo e della storia coerente con la fede, che libera gli uomini dal di dentro e si rendono così artefici generosi e instancabili del bene integrale dei fratelli. La fede, nel rispetto dell'autonomia delle realtà terrestri, sa riconoscere quanto di positivo, di valido e di nobile c'è nei progetti di promozione umana. Riconosce che tutti gli sforzi che si compiono per promuovere e liberare l'uomo hanno anche un valore per il regno di Dio. Lo sforzo dei cristiani, in unione con tutti gli uomini di buona volontà, per costruire una società più giusta, più umana, più attenta a ridare ai poveri e agli emarginati il posto e la dignità che loro spetta, è un lavoro evangelico. I cristiani, pur dovendo porre al primo posto la loro fede in Dio in tutte le sue dimensioni, non si santificano solo con atti esplicitamente religiosi, ma anche quando, immersi nelle strutture della società, fanno opera di giustizia. « Si tratta di un servizio cristiano - sottolinea il Congar28 - attraverso le vie, sulle orme e ad imitazione del Servo che ha offerto se stesso ». Perciò un simile impegno per la giustizia può scaturire solo da una profonda vita teologale e dalla comprensione del ruolo che la ( v. ) croce ha nella storia della salvezza degli uomini e del mondo. In tal modo i laici possono far affiorare Cristo alla coscienza di coloro nei quali promuovono i valori umani più autentici. Un campo in cui i laici sono particolarmente chiamati ad evangelizzare è quello della ( v. ) famiglia ( AA 11 ). Essi hanno il carisma o "dono" del matrimonio, che si concretizza nella grazia del sacramento, nell'esercizio dell'amore coniugale e dell'amore verso i figli. I genitori sono infatti i primi evangelizzatori dei figli: « la famiglia, come la chiesa, deve essere uno spazio in cui il vangelo è trasmesso e da cui il vangelo si irradia ».29 [ v. Mondo, VI-VIII ]. IV - Unità ecclesiale e diversità di ministeriUna chiesa missionaria, a servizio dell'uomo e alla ricerca di un continuo dialogo con la società che si afferma in progetti sempre nuovi richiede una comunione profonda tra tutti i membri che la compongono perché si possa presentare al mondo come segno di unità di tutto il genere umano. Alla chiesa è sempre offerta la grazia della preghiera di Gesù: « Come tu, Padre, sei in me ed io in tè, siano anch'essi in noi una cosa sola, perché il mondo creda che tu mi hai mandato » ( Gv 17,21 ). Questa koinonìa, offerta da Cristo e continuamente attualizzata e ricercata nella chiesa, porta ad evidenziare alcuni aspetti che hanno attinenza con là spiritualità dei laici. 1. Ministeri diversificati Secondo l'immagine offerta dalla LG, la chiesa è tutt'intera « ministeriale », in quanto è un unico popolo sacerdotale, inviato nel mondo per un servizio salvifico. Da un'immagine di chiesa prevalentemente clericale si è passati ad un'altra in cui il binomio gerarchia-laicato viene sostituito dal trinomio Cristo-fedeli-ministri "ordinati" per un ufficio di presidenza e di santificazione. I carismi e i ministeri sono distribuiti dallo Spirito come egli vuole per la crescita della comunità: « A ciascuno è data una manifestazione dello Spirito per l'utilità comune » ( 1 Cor 12,7 ). Tra i carismi e i ministeri ha un posto privilegiato il ministero "apostolico", quello cioè degli apostoli, inviati con potenza da Cristo stesso e resi "fondamento" del popolo della nuova alleanza ( 1 Cor 3,6-11; Ef 2,20 ). Essi rappresentano Cristo-capo di fronte alla comunità. « In quanto capo - scrive il Congar30 - Cristo ha un duplice rapporto con la chiesa suo corpo: un rapporto di autorità che va fino all'identificazione mistica: noi siamo tutti membri di Cristo, siamo il Cristo ( 1 Cor 12,12; At 9,4 ); e un rapporto di superiorità e di autorità, espresso dai testi come 1 Cor 11,3.7 ». Nella chiesa, mentre tutti devono sottomettersi a Cristo nella persona dei suoi ministri ordinati, questi devono riconoscere e integrare nella carità ecclesiale i diversi doni e ministeri di tutto il popolo di Dio. Nella chiesa tutt'intera "ministeriale" esistono infatti varie forme di ministero in base alla partecipazione delle funzioni attualizzatrici del sacerdozio profetico, cultuale e regale di Cristo, mediante i sacramenti del battesimo, della cresima e dell'ordine, ma anche in forza dei molteplici doni dello Spirito. Con il sacramento dell'ordine vescovi, presbiteri e diaconi acquistano un posto unico nella chiesa, in quanto ne garantiscono l'apostolicità e la cattolicità o comunione universale e sono segno efficace della presenza del Risorto e del suo Spirito nella comunità. Ma vi sono anche ministeri "laicali", alcuni occasionali, altri più stabili e aventi un rapporto più stretto con la sacra gerarchia, quali per es. i "ministeri" del lettorato e dell'accolitato, come ministeri permanenti, regolati dal "motu proprio" Ministeria quaedam del 1972. Questo stesso documento però prevede l'istituzione di altri ministeri che si rivelino più utili alla comunità ecclesiale per una pastorale organica. Nell'esortazione apostolica Evangelii nuntiandi dell'8 dicembre 1975 Paolo VI riprende l'istanza di ministeri diversificati, a seconda dei bisogni della chiesa e della vocazione dei singoli fedeli. « I laici - dice tra l'altro - possono anche sentirsi chiamati o essere chiamati a collaborare con i loro pastori nel servizio della comunità ecclesiale, per la crescita e la vitalità della medesima, esercitando ministeri diversissimi, secondo la grazia e i carismi che il Signore vorrà loro dispensare » ( 73 ). Ne per ogni genere di servizio ecclesiale è necessaria una "ordinazione". Accanto ai ministeri ordinati ci sono quelli non ordinati che sono suscitati dallo Spirito a seconda dei tempi e delle circostanze. « La chiesa - afferma Paolo VI - riconosce il ruolo di ministeri non ordinati, ma adatti ad assicurare speciali servizi della chiesa stessa » ( 73 ). Il papa si rifà all'esperienza della chiesa primitiva per affermare che « tali ministeri, nuovi in apparenza ma molto legati ad esperienze vissute dalla chiesa nel corso della sua esistenza - per es. quelli di catechista, di animatori della preghiera e del canto, di cristiani dedicati al servizio della parola di Dio o all'assistenza dei fratelli bisognosi, quelli infine dei capi di piccole comunità, dei responsabili di movimenti apostolici, o di altri responsabili - sono preziosi per la "plantatio", la vita e la crescita della chiesa e per una capacità di irradiazione intorno a se stessa e verso coloro che sono lontani » ( 73 ). 2. Collaborazione tra clero e laiciIl Vat II, con l'immagine così poco clericale di una chiesa in cui si afferma anzitutto la comunanza di vita e di dignità nell'ordine dell'esistenza cristiana ( ricordiamo la famosa espressione di s. Agostino: « per voi sono vescovo, con voi sono cristiano »! ), ha aperto nuovi orizzonti sui rapporti tra clero e laici, che ancora devono produrre tutti i loro frutti. Nella chiesa tutti sono corresponsabili dell'unica missione salvifica. Da una parte i laici « hanno diritto di ricevere abbondantemente dai sacri pastori i beni spirituali della chiesa, soprattutto gli aiuti della parola di Dio e dei sacramenti » ( LG 37 ). Dall'altra, i pastori devono promuovere la dignità e le responsabilità dei laici, dando loro la giusta libertà e riconoscendo i loro carismi. I laici, « secondo la scienza, competenza e prestigio di cui godono, hanno la facoltà, anzi talvolta anche il dovere di far conoscere il loro parere su cose concernenti il bene della chiesa» ( LG 37 ). La stessa obbedienza verso i pastori, « prontamente abbracciata », non va disgiunta da un atto di amore verso di loro, che si apra in preghiera a Dio per le loro responsabilità. In questo quadro viene posto in primo piano l'unità del popolo di Dio, il primato di Cristo presente attivamente mediante il suo Spirito in tutti i fedeli, la preferenza del sacramentale e del carismatico sul giuridico, la reciproca ordinazione delle due forme di partecipazione al sacerdozio di Cristo, quello dei ministri ordinati e quello comune dei fedeli ( LG 10 ). Le applicazioni di tali principi nella vita della comunità ecclesiale sono molteplici. L'espressione culminante viene raggiunta nella preghiera della chiesa, cioè nella liturgia, che manifesta la genuina natura della chiesa « che ha la caratteristica di essere nello stesso tempo umana e divina, visibile ma dotata di realtà invisibili, fervente nell'azione e dedita alla contemplazione, presente nel mondo e tuttavia pellegrina » ( SC 2 ). La liturgia è manifestazione dell'unità della famiglia cristiana che celebra il ricordo del Signore. A questa unità che viene da Cristo stesso ciascuno concorre col proprio ministero e con i propri carismi e attinge il coraggio della testimonianza cristiana e dell'impegno a tutti i livelli. Esiste un legame stretto tra liturgia, spiritualità e promozione umana, come è stato evidenziato nel convegno ecclesiale italiano sul tema "evangelizzazione e promozione umana".31 La liturgia ha "potenzialità promozionali" che impegnano clero e laici, secondo le rispettive prerogative, ad assumere l'esistenza concreta dell'uomo, le sue aspirazioni, le sue ansie, i suoi drammi mediante una preghiera ora di intercessione, ora di lode, che spinge a diventare costruttori di pace e operatori di giustizia, come Cristo ha fatto. La parola di Dio interpella e lancia una sfida di fronte agli appelli degli uomini in cerca di una identità più umana. « La liturgia - afferma M. Magrassi - abbraccia tutte le dimensioni storiche della salvezza: passato, presente e futuro. Le "meraviglie" del passato e le prospettive aperte sul futuro di Dio alimentano la speranza e stimolano l'impegno nella storia d'oggi ».32 Se ciò non si verifica bisogna chiedersi cosa manca alle nostre liturgie perché siano davvero promozionali. È qui che si richiede un'aperta e fiduciosa collaborazione tra clero e laici per integrare non soltanto i ministeri, ma l'esperienza della vita concreta in modo da stabilire un circolo tra preghiera ed esistenza. Così la liturgia potrebbe uscire da quel clima asettico e irreale o dall'apatia e dalla passività con cui viene talvolta subita dai fedeli e ritrovare il suo aggancio con la vita, il suo clima di festa che faccia integrare nello slancio vitale l'aspetto contemplativo-laudativo con quello operativo. Altre applicazioni dei principi che stabiliscono la collaborazione tra clero e laici sono il reciproco aiuto per una maturazione dottrinale, biblica, teologica, attualizzata nel tempo; le strutture ecclesiali di partecipazione per una pastorale viva e incisiva, quali i consigli pastorali a livello nazionale, diocesano, parrocchiale; gli organismi di consultazione; l'amministrazione dei beni ecclesiastici; le nomine dei vescovi e dei parroci, ecc. Lo spirito che deve reggere il rapporto clero-laici all'interno della chiesa è uno spirito di fraternità, di reciproca stima e fiducia, di collaborazione e di aiuto.33 In particolare deve portare a un dialogo continuo, indispensabile per ricercare e perseguire il bene comune della chiesa. Il dialogo della chiesa cattolica con le altre confessioni cristiane [ v. Ecumenismo spirituale ], con altre religioni e perfino con gli atei [ v. Ateo ] deve avere il suo retroterra nella chiesa stessa, con un dialogo cioè all'interno della chiesa.34 Di questo aveva parlato Paolo VI nella sua prima enciclica Ecclesiam suam ( 1964 ), augurandosi che anche nella chiesa il « domestico dialogo » fosse « intenso e familiare…, sensibile a tutte le verità, a tutte le virtù, a tutte le realtà del nostro patrimonio dottrinale e spirituale…, sincero e commosso nella sua genuina spiritualità…, pronto, a raccogliere le voci molteplici del mondo contemporaneo…, capace di rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti » ( 116 ). Il dialogo è necessario perché la chiesa sia e si manifesti come un'autentica comunità e non come semplice aggregato di persone. Il dialogo è indispensabile poi in periodi di cambiamento, quando la chiesa di fronte alle sfide e agli appelli del mondo deve ricomprendere se stessa e il suo ruolo nella società. Le molte voci, nell'ascolto della parola perenne di Dio, portano a una convergenza reale e operativa. A condizione però che il dialogo sia sincero e non fittizio, rispettoso dei compiti e delle prerogative di ciascuno nella chiesa, ma aperto ad ogni arricchimento. A tal proposito, il III congresso mondiale per l'apostolato dei laici, tenutosi a Roma nel 1967, si interrogava sulla natura del dialogo: « Il dialogo - si disse - non è solo l'educata costatazione dell'esistenza di punti di vista diversi, ne una valvola di sicurezza per permettere all'autorità di assicurarsi in anticipo il consenso alle decisioni che ha già stabilito di prendere, ma piuttosto un mezzo positivo, dinamico, creativo, essenziale al benessere della chiesa in una situazione di mutamento… Il dialogo è la precondizione della soluzione dei problemi. Senza dialogo, non solo i problemi non avranno soluzione, ma si inaspriranno ».35 Per l'edificazione della chiesa si comprende quanto valore abbia il dialogo tra i pastori e i semplici fedeli: « I pastori sono padri che esercitano con carità l'autorità ricevuta da Dio, come coloro che servono ( Lc 22,26-27 ); essi sono il segno dell'unità ecclesiale e hanno il compito di riunire attorno a loro il gregge affinché tutti vivano e agiscano nella carità… Gli altri membri del popolo di Dio contribuiscono, da parte loro, all'esercizio del ministero dei pastori… Le decisioni dei pastori, nei differenti livelli, devono avere lo scopo di confermare l'unità nella verità e orientare le forze in vista dei compiti comuni ( in particolare, in vista della missione nel mondo ) ».36 3. Associazioni di laiciIl Vat II, riportando l' ( v. ) apostolato alla vita e alla missione del cristiano come tale, ha messo giustamente al primo posto l'apostolato individuale. L'apostolato individuale è infatti « la prima forma e la condizione di ogni altro apostolato dei laici, anche di quello associato, ed insostituibile », è « sempre e dovunque proficuo, ma in certe circostanze l'unico adatto e possibile » ( AA 16 ). Esso fa parte integrante della vita spirituale dei laici; è l'irradiazione della salvezza, in essi operata da Cristo e portata ai fratelli. Ma il Vat II non ha per nulla sottovalutato l'apostolato associato. Ritrovarsi con gli altri per una comunione effettiva di vita cristiana e per cercare nuove possibilità di irradiazione dello spirito del vangelo, è una necessità della comunità ecclesiale. Tale apostolato risponde alla fondamentale esigenza umana di associazione ed è un segno della comunione e dell'unità della chiesa: « I fedeli… ricordino che l'uomo è per natura sua sociale e che piacque a Dio di riunire i credenti in Cristo per farne il popolo di Dio ( 1 Pt 2,5-10 ) e un unico corpo ( 1 Cor 12,12 ). Quindi l'apostolato associato corrisponde felicemente alle esigenze umane e cristiane dei fedeli e al tempo stesso si mostra come segno della comunione e dell'unità della chiesa… » ( AA 18 ). In un tempo di socializzazione come il nostro, in cui gli uomini si organizzano per promuovere progetti di miglioramento dell'uomo e della società, acquista valore particolare l'associazione di cristiani che vogliono essere presenti in modo attivo e consapevole nelle realtà collettive della nostra società. La loro testimonianza di fede diventa così più credibile e il rapporto tra fede e progetto umano più incisivo. I movimenti dei laici cristiani sono non soltanto un sostegno per la fede dei singoli, ma un segno collettivo del vangelo. E quanto più largo è il loro raggio tanto maggiore incidenza possono avere nella trasformazione del mondo. La chiesa favorisce ed appoggia l'azione dei cristiani, in coerenza con la loro fede, a tutti i livelli nazionali e internazionali.37 La chiesa da particolare importanza all'Azione cattolica, che con la sua scelta religiosa opera come fermento evangelico di tutta la società. I vescovi francesi, sottolineando il valore attuale dell'Azione cattolica, dicevano: « La vita e l'avvenire degli uomini si decidono in seno alle realtà collettive. I cristiani devono esservi presenti e la loro testimonianza evangelica assume un valore nuovo se è collettiva: è per gli uomini un segno rivelatore di Cristo salvatore »38 |
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Istituti | |
Profano | |
Professione | |
Spirito laicale | Antinomie V |
Chiesa I,2 | |
Spiritualità laicale | Chiesa II |
Esercizi sp. I,2 | |
Famiglia III | |
Modelli I | |
Gesù laicizzato | Gesù I,2 |
Missione apostolica | Apostolato V |
Ascesi III,2 | |
Mondo VIII | |
… e clero | Celebrazione II |
… e vocazione battesimale | Vocazione I |
… e direttore spirituale | Padre VIII,3 |
… ed escatologia | Escatologia VI |
1 | K. Rahner, L'apostolato in Saggi sulla chiesa, Roma, Edizioni Paoline 1969,213-265 |
2 | Consultation mondiale de l'année sainte 1975 organisée par le Conseil des Idics, numero speciale di Ldics aujourd'hui, 21/22 1976, 19 |
3 | Ricordiamo la celebre opera di Y. Congar, Per una teologia del laicato, Brescia. Morcelliana 1966 |
4 | Y. Congar, Vocabolario e storia del laicato in I laici e la missione della chiesa, Milano, Ancora 1963, 8 |
5 | E. De Smedt, Il sacerdozio dei fedeli in La chiesa del Vat II, Firenze, Vallecchi 1965, 453-464; S. Cipriani, I fondamenti biblici della triplice dignità dei laici in Tahor 20 (1966) voi. 39, 20-31; G. De Rosa, Il sacerdozio comune dei fedeli nel Nuovo Testamento in CC IV, 1972, 350-357 |
6 | Y. Congar, Note sul nostro sacerdozio in Sacerdozio e laicato, Brescia, Morcelliana 1966, 98 |
7 | E. Niermann, Laico in Sacramentum mundi, IV, 656: sullo sviluppo storico della spiritualità dei laici, vedi Y. Congar, Làic et laicat in DSp, LIX-LX, 79-103 |
8 | B. D'Arenzano, L'apostolato dei laici nelle prime comunità cristiane in SC 89 (1971) 101-124; 267-289; il Congar, riferendosi ai primi tempi della chiesa, dice: « La spiritualità dei laici consiste nel partecipare attivamente al mistero e alla vita della chiesa, grazie al ministero dei vescovi e dei sacerdoti. Come? Intervenendo, al loro posto di laici, come parte subordinata ma attiva, nelle decisioni: elezioni o approvazione dei ministeri, concili, costumi, ecc; esercitando i loro doni o carismi propri, ciò che supponeva anzitutto un senso e un rispetto delle iniziative dello Spirito » (l. c. in DSp 81) |
9 | M. Sordi, L'attività dei laici nei primi secoli dell'antichità cristiana in Tabor 20 (1966) voi. 39,32-38 |
10 | I. De La Potterie, L'origine et le sens primitif du mot "loie" in NRT 90 (1958) 840-853 |
11 | Y. Congar, Laico in Dizionario teologico, Broscia, Queriniana 1967, II; Id., Vocabolario e storia del laicato (nota 4) |
12 | Y. Congar, Clercs et Idics au poini de vue de la culture au moyenàge: "laicus" = "sans lettres" in Studia mediaevalia et mariologica P. Carolo Balie… dicala. Roma 1971, 309-332; lo stesso autore nella voce citata del DSp riporta un testo di Gilbert de Lemerick (verso il 1110-1139): « L'immagine della chiesa si esprime tutta nella piramide perché è larga alla base, dove riceve i carnali e i coniugati; stretta invece in alto, dove propone la via stretta ai religiosi e agli ordinati » (c. 84) |
13 | I laici nella "Societas christiana" dei sec. XI e XII. Atti della terza settimana internazionale di studio, Mendola 21-27 agosto 1965, Milano, Vita e Pensiero 1968 |
14 | In Dizionario Teologico, II, 128. Il Congar delinea cinque momenti del periodo che va dal 16" al 18" sec.: 1. Tutti sono consacrati e chiamati alla santità; 2. Spiritualità dello stato di vita e della conformità alla santa volontà di Dio, animata dall'amore; 3. Valorizzazione positiva del matrimonio; 4. Orazione e ascesi come ideale esigente; 5. Militanza apostolica dei laici (in DSp, 1. c.) |
15 | V. Bachelet, Il laicato cattolico dal Vat I al Vat II in Italia in I laici nella chiesa. Quaderni speciali di Iniziativa, n. 2, 1963, 101-115 |
16 | Y. Congar, Per una teologia del laicato, 29 |
17 | Il Congar, nell'o. c., raccoglie questo e altri testi a p. 332 |
18 | Y. Congar, I laici in La teologia dopo il Vat II. Apporti dottrinali e prospettive per il futuro in una interpretazione ecumenica, a cura di J. M. Miller, Broscia. Morcelliana 1967, 311 |
19 | Y. Congar, Per una teologia del laicato, 19-44; K. Rahner, L'apostolato dei laici, o. c. |
20 | E. Schillebeeckx, Definizione del laico cristiano in La chiesa del Vat II, 959-977; « Il concilio voleva dare non una definizione di laico… ma soltanto una determinazione concettuale per un ambito limitato o piuttosto una regola di linguaggio… »: H. Heimeri, Concetti di laico nella costituzione sulla chiesa del Vat II in Con 1966/3, 177. Sulle incertezze di ordine terminologico e concettuale della nozione di laico nel Vat II e sulle nuove acquisizioni vedi G. Bentivegna, La nozione di "laico" nei documenti del Vat II: incertezze e acquisizioni in RasT S (1967) 335-342 |
21 | P. van Bergèn, La vie quotidienne vécue comme culte et sacrifico spirituel in Sainteté et Vie dans le siede (« Laicat et Sainteté » II), Roma, Herder 1965, 81-107 |
22 | P. Evdokimov, Lo Spirito santo nella tradizione ortodossa, Roma, Edizioni Paoline 1971, 124-125 |
23 | O. c. (nota 2), 118 |
24 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 14 |
25 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 15 |
26 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 70 |
27 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 70 |
28 | Y. Congar, Ldic et Idicat in DSp 106; il card. Poma diceva nel discorso introduttivo al convegno ecclesiale su « Evangelizzazione e promozione umana » tenutosi a Roma dal 30 ott. al 4 nov. 1976: « Noi sappiamo che il vangelo ci spinge a essere come "samaritani" per il mondo, "agendo per la giustizia". Ma questo nostro interessarci per l'uomo fa parte di un disegno e di un impegno assai più vasto e complesso, che chiamiamo "salvezza integrale", cioè l'accesso dell'uomo a tutti i beni messianici » (Il regno documenti, 21 [1976] 488); vedi anche C. Greco e P. Vanzan, Evangelizzazione e promozione umana: bilancio e prospet. live in RasT 17 (1976) 543-592 |
29 | Paolo VI, Evangelii Nuntiandi 71 |
30 | Y. Congar, Ministeri e comunione ecclesiale, Bologna, Dehoniane, 1973, 33; A. Marranzini, Ministero "della" chiesa e ministeri "nella" chiesa in CC 1976, I, 544-554 |
31 | M. Magrassi, Liturgia, spiritualità e promozione umana in Il regno documenti 21 (1976) 513-516 |
32 | Ivi, 515 |
33 | F. Klostermann, L'apostolato dei laici nella chiesa in La chiesa per gli altri, Roma-Brescia, Herder-Morcelliana 1970, 129-138 |
34 | Dialogue a l'intérieur de l'Eglise. Numero speciale di Ldics aujourd'hui, 9/10, 1971 |
35 | Les laics dans le renouveau de l'Eglise. Actes du Troisième Congrès Mondial pour l'Apostatai des laics. Roma, 11-18 ott. 1967, III, 73; mons. F. Franceschi, nel citato convegno ecclesiale di Roma, diceva a proposito del rapporto tra i progetti di promozione umana: « Meglio è precisato il rapporto in termini di dialogo, inteso non come "astuzia" o "sterile gioco ambiguo" ma, secondo l'etimo, metodo di confronto e di ricerca in vista di una verità più grande e di un reciproco arricchimento » ( Il regno documenti, 1. c., 491) |
36 | Dialogue…, 87-88 |
37 | Per promuovere l'apostolato dei laici in tutte le sue forme, a livello internazionale, Paolo VI istituì nel 1967 il Consilium de laicis; il 10 dicembre 1976, Paolo VI con un motu proprio ha ristrutturato il Consilium de laicis in Pontificio Consiglio per i laici, vero e proprio dicastero della curia romana, che acquista così « una nuova, definitiva e più elevata struttura ». Le funzioni di questo Pontificio Consiglio sono; incitare i laici perché prendano parte alla vita ed alla missione della chiesa come singoli e come associazioni; valutare, dirigere e promuovere le iniziative che riguardano l'apostolato dei laici nei vari settori della vita sociale; trattare le questioni che riguardano le organizzazioni dei laici, le associazioni cattoliche che promuovono l'apostolato e la vita ed attività spirituale dei laici, le pie associazioni, i terz'ordini, l'attiva partecipazione dei laici in campo catechistico, liturgico, sacramentale, educativo… |
38 | La Documentation catholique, 16 nov. 1975, 964 |