La città di Dio |
Ora trattiamo l'argomento che ci siamo proposti, relativo al corpo dei progenitori.
La morte considerata buona per i buoni è nota non solo ai pochi intellettuali o credenti ma a tutti, perché con essa avviene la separazione dell'anima dal corpo, e con tale separazione il corpo dell'essere animato, che palesemente viveva, palesemente si estingue.
Ma non sarebbe sopraggiunta ai progenitori se non come conseguenza del peccato.
Non è giusto dubitare che non sia nel riposo l'anima dei defunti che fu
Tuttavia sarebbe auspicabile per loro che continuassero a vivere col proprio corpo in piena salute16 affinché coloro, i quali ritengono felicità somma vivere senza corpo, rifiutino, con un parere contrario, questa loro opinione.
Nessuno di essi oserebbe infatti anteporre agli dèi immortali i loro saggi, sia che attendano la morte o siano già morti, cioè o già privi del corpo o in attesa di esserne privi.
Eppure in Platone il Dio supremo promette agli dèi un regalo straordinario, cioè la vita imperitura, ossia una sorte comune col proprio corpo.
E sempre Platone ritiene che le cose andranno benissimo per gli uomini se condurranno questa vita nella pietà e giustizia.
In tal caso, separati dal proprio corpo, saranno accolti sul petto degli stessi dèi, che non abbandonano mai i propri corpi, ossia dimentichi di se stessi guarderanno di nuovo la volta celeste e cominceranno a voler tornare nel corpo.17
Così verseggia con originalità Virgilio alludendo alla dottrina platonica.
Platone infatti ritiene che l'anima dei mortali non può essere per sempre nel proprio corpo, che si dissolve a causa dell'ineluttabile destino della morte, ma non persiste perennemente senza il corpo.
Suppone appunto che si avvicendino ininterrottamente i vivi ai morti e i morti ai vivi.
Sembrerebbe che i saggi differiscano dagli altri uomini perché dopo la morte sono condotti sulle stelle.
Lassù ciascuno starebbe in pace un po' più a lungo nell'astro a lui conveniente.
Da lì, di nuovo dimentico della infelice condizione di una volta e dominato dal desiderio di avere un corpo tornerebbe agli affanni e tribolazioni dei mortali.
Quelli poi che avessero condotto una vita da insipienti tornerebbero in breve ai corpi di uomini o di bestie in corrispondenza alle loro colpe.18
Dunque Platone ha attribuito a questo stato molto penoso anche le anime eminenti per saggezza, alle quali non fu assegnato un corpo con cui vivere in una perenne immortalità.
Non possono, meschine, né rimanere nel corpo né senza di esso continuare in una perenne condizione spirituale.
Ho detto nei libri precedenti19 che Porfirio ha dichiarato all'evo cristiano di arrossire di questa teoria platonica.
Perciò non solo ha escluso il corpo belluino dall'anima umana ma ha anche affermato che l'anima dei saggi si libera dai legami terreni per rimanere, rifuggendo qualsiasi corpo, perennemente felice presso il Padre.
Quindi affinché non sembrasse che era sconfitto da Cristo che promette ai beati la vita perenne, anche egli assegna all'eterna felicità le anime pure per catarsi senza alcun ritorno alle tribolazioni del passato.
Ma per contraddire Cristo, negando la risurrezione dei corpi immuni dalla morte, afferma che vivranno per sempre non solo senza il corpo di terra ma assolutamente senza corpo.20
Tuttavia non ha suggerito, con questa teoria di così vaga derivazione, per lo meno che i suoi adepti non ossequiassero con culto religioso divinità con tanto di corpo.
La teoria si spiega soltanto perché non ha ritenuto che le anime, anche se non unite al corpo, fossero migliori degli dèi.
Dunque i platonici non oseranno, come penso che non oseranno, considerare le anime umane più nobili degli dèi sommamente felici anche se assegnati a un corpo indefettibile.
Perché dunque la dottrina cristiana sembra loro un'assurdità?
Essa insegna che i progenitori furono creati in tale condizione che, se non peccavano, da nessuna morte sarebbero stati disgiunti dal corpo ma, privilegiati con l'immortalità come premio dell'adempimento della obbedienza, sarebbero vissuti nel corpo per sempre.
I beati inoltre avranno il medesimo corpo, nel quale qui in terra furono tribolati, in una forma tale che non possono avvenire corruzione o impedimento alla loro carne e dolore o afflizione alla loro felicità.
Pertanto ora l'anima dei defunti che sono beati non considera penosa la morte per cui è stata separata dal corpo, perché la loro carne, ormai priva di sensibilità, riposa nella speranza ( Sal 16,9 ) anche se ha ricevuto molti maltrattamenti.
I beati infatti non desiderano il corpo perché sono nell'oblio, come vorrebbe Platone, ma piuttosto perché ricordano il bene loro promesso da colui che non inganna e che ha dato loro sicurezza sul buono stato perfino dei loro capelli. ( Lc 21,18 )
Attendono quindi con fervore e costanza la risurrezione del corpo, nel quale hanno sofferto tante pene che ormai non soffriranno più.
Se infatti non odiavano la propria carne ( Ef 5,29 ) quando col potere spirituale la dominavano, se per debolezza resisteva all'intelligenza, molto più l'amano perché anche essa diverrà spirituale.
Come infatti lo spirito sottomesso alla carne non impropriamente è considerato carnale, così la carne sottomessa allo spirito è considerata spirituale.
Certamente non sarà mutata in spirito, come alcuni pensano interpretando questa frase: È seminato un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale. ( 1 Cor 15,44 )
Sarà però sottomessa allo spirito per straordinaria e stupenda compiacenza nell'obbedire fino a raggiungere la serena aspirazione alla indissolubile immortalità con la liberazione da ogni stimolo d'inquietudine, da qualsiasi decomposizione e gravezza.
Non solo non sarà come è ora quando si trova in stato di ottima salute e nemmeno come fu nei progenitori prima del peccato.
Essi, quantunque non sarebbero morti se non avessero peccato, si nutrivano tuttavia come tutti gli uomini, perché avevano un corpo di terra, ancora animale non spirituale.
Certamente non invecchiavano in modo da essere inevitabilmente condotti a morire.
Questo privilegio con straordinario favore divino era loro accordato dall'albero della vita che era nel mezzo del paradiso terrestre assieme all'albero vietato.
Consumavano altri cibi salvo quelli dell'unico albero proibito, non perché fosse un male ma per raccomandare a loro il bene della schietta e sincera obbedienza che è una grande virtù della creatura ragionevole ordinata sotto il Creatore e Signore.
Certamente se non si toccava una cosa cattiva, ma proibita, il peccato era soltanto di disobbedienza.
Si tirava avanti dunque con altri cibi che adoperavano affinché il corpo non sperimentasse lo stento con la fame e la sete.
Si assaggiava poi qualcosa dall'albero della vita affinché la morte non sopraggiungesse improvvisa per qualche malanno o essi non morissero sfiniti dalla vecchiaia col trascorrere del tempo, come se gli altri alberi fossero di nutrimento e quello avesse un significato misterico.
Si deve intendere, cioè, che l'albero della vita era nel paradiso terrestre come in quello spirituale, ossia intelligibile, la Sapienza di Dio di cui è stato scritto: È l'albero della vita per coloro che l'accolgono. ( Pr 3,18 )
Alcuni riducono a un'allegoria ciò che narra la Scrittura sul paradiso terrestre dove vissero i primi uomini, progenitori del genere umano, e considerano valori di vita e caratterizzazioni gli alberi e le piante da frutto.
Ragionano come se queste cose non fossero visibili e materiali ma fossero dette e scritte per simboleggiare contenuti di pensiero.
Parlano, cioè, come se il paradiso terrestre non fosse destinato al corpo poiché può essere inteso quale dimora dello spirito, come se Agar e Sara non fossero due donne da cui nacquero i due figli di Abramo, uno dalla schiava, l'altro da una donna libera, giacché in esse secondo l'Apostolo sono figurati i due Testamenti, ( Gen 16,4; Gen 21,1; Gal 4,22-24 ) come se infine non fosse sgorgata acqua dalla pietra colpita da Mosè ( Es 17,6; Nm 20,21 ) poiché in essa può essere indicato simbolicamente il Cristo secondo il citato Apostolo che dice: E la pietra era il Cristo. ( 1 Cor 10,4 )
Non è certamente proibito intendere allegoricamente nel paradiso terrestre la vita degli eletti, nei suoi quattro fiumi le quattro virtù, cioè prudenza, fortezza, temperanza e giustizia, nelle piante tutte le conoscenze che servono per la vita, nei prodotti delle piante il comportamento delle persone dabbene, nell'albero della vita la sapienza che è madre di ogni bene e nell'albero della conoscenza del bene e del male l'esperienza che segue alla trasgressione del comando.
Dio ha infatti stabilito la pena per i trasgressori in vista di un bene, quindi con giustizia, ma non per il proprio bene la sperimenta l'uomo.
Questi simboli possono anche riferirsi alla Chiesa come indicazioni profetiche che precorrono il futuro.
Così nel paradiso terrestre sarebbe indicata la Chiesa stessa, come se ne parla nel Cantico dei cantici, ( Ct 4,13 ) nei quattro fiumi del paradiso i quattro Vangeli, negli alberi da frutto gli eletti, nei prodotti le loro buone opere, nell'albero della vita il Santo dei santi, cioè il Cristo, nell'albero della conoscenza del bene e del male il libero arbitrio individuale.
L'uomo appunto, dopo avere oltraggiato la volontà divina, anche di se stesso non può servirsi se non a proprio danno, così apprende la differenza fra il perseguire un bene universale e il dilettarsi di un bene individuale.
Compiacendosi di se stesso in sé si chiude, perciò colmo di timore e di angoscia, se è consapevole del proprio male, dice le parole del Salmo: L'anima mia rientrando in sé ha provato il tormento ( Sal 42,7 ) e ravveduto prosegue: Riprenderò vigore tornando a te. ( Sal 59,10 )
Queste figure e altre si possono convenientemente usare nell'interpretare simbolicamente il paradiso terrestre.
Nessuno lo proibisce, purché si ammetta che la verità di quel racconto è garantita dalla fedele narrazione dei fatti.
Il corpo degli eletti, come sarà nella risurrezione, non avrà bisogno di un albero per non morire di malattia o di decrepitezza, né di altri alimenti fisici con cui evitare il fastidio della fame e della sete.
I beati saranno insigniti dell'onore certo e assolutamente inviolabile della immortalità.
Hanno perciò la possibilità non il bisogno di nutrirsi se lo vogliono.
Lo hanno fatto anche gli angeli manifestandosi in maniera da essere visti e toccati, non perché ne avevano bisogno ma perché potevano e volevano uniformarsi agli uomini nell'esercizio umanizzato del loro ministero.
Non è da supporre infatti che essi abbiano mangiato in apparenza, quando gli uomini li accolsero come ospiti.21
A loro sembrò che mangiassero per bisogno perché ignoravano che fossero angeli.
Perciò dice l'angelo nel Libro di Tobia: Mi vedevate mangiare, ma mi vedevate con la vostra vista; ( Tb 12,19 ) pensavate, cioè, che io consumassi il cibo per il bisogno di rifocillare il corpo, come fate voi.
Ma se degli angeli si può proporre una ipotesi più attendibile, la fede cristiana non ha alcun dubbio sul Salvatore perché anche dopo la risurrezione, quindi in una carne spirituale ma reale, consumò cibo e bevanda assieme ai discepoli. ( Lc 24,43; Gv 21,9ss )
Ai corpi risorti dunque non sarà tolto il potere ma il bisogno di mangiare e bere.
Saranno anche spirituali non perché cessano di essere corpo, ma perché continueranno ad esistere nello spirito che dà loro la vita. ( 1 Cor 15,44-49 )
Come i corpi, i quali hanno l'anima che è vita e non ancora lo spirito che dà vita, sono detti corpi animali, non anime ma corpi, così quelli sono considerati corpi spirituali.
Non si deve però credere che diverranno spirito, rimarranno corpi che avranno l'essenza della carne, ma non subiranno alcuna gravezza e corruzione perché lo spirito dà loro la vita.
Non sarà più uomo terreno ma celeste, non perché non sarà più il medesimo corpo tratto dalla terra ma perché per divina generosità diviene tale da essere ammesso ad abitare in cielo non con la perdita dell'essenza ma con la trasformazione delle prerogative.
Il primo uomo terreno, perché tratto dalla terra, divenne anima che è vita, non spirito che dà la vita, ( 1 Cor 15,47 ) dote che gli era riservata dopo l'adempimento dell'obbedienza.
Perciò non v'è dubbio che il suo corpo fosse animale non spirituale, perché aveva bisogno di cibo e bevanda per non essere estenuato dalla fame e dalla sete e non era dotato di immortalità incondizionata e definitiva, ma era difeso dalla ineluttabilità della morte ed era mantenuto nel fiore della giovinezza mediante il legno della vita.
Tuttavia non sarebbe morto se non fosse incorso con la trasgressione nella sentenza di Dio che lo aveva preavvertito e minacciato e se, allontanato dall'albero della vita, non fosse destinato a morire di vecchiaia nel tempo, sebbene anche fuori del paradiso terrestre non gli fosse negato il cibo.
E per lo meno era una vita che, se non peccava, l'uomo poteva avere perenne nel paradiso, sebbene in un corpo animale fino a che non divenisse spirituale come rimunerazione dell'obbedienza.
Nelle parole dette da Dio: Nel giorno in cui mangerete dell'albero certamente morirete, ( Gen 2,17 ) si allude evidentemente a questa morte visibile, con cui avviene la separazione dell'anima dal corpo.
Tuttavia non deve sembrare assurdo che i progenitori non siano stati separati dal corpo proprio in quel giorno in cui hanno consumato il cibo proibito apportatore di morte.
Da quel giorno certamente la natura fu pervertita e depravata e con l'allontanamento dall'albero della vita avvenne in essi anche la giusta soggezione del corpo alla morte.
Noi ci siamo nati con questa soggezione.
L'Apostolo non dice: "Il corpo morirà a causa del peccato", ma: Il corpo è morto a causa del peccato, ma lo spirito è vita a causa della giustizia.
E ha soggiunto: Se lo Spirito di chi ha fatto risorgere il Cristo dalla morte abita in voi, chi ha fatto risorgere il Cristo dalla morte darà vita ai vostri corpi mortali per la mediazione del suo Spirito che abita in voi. ( Rm 8,10-11 )
Allora il corpo che ora è congiunto all'anima che vive sarà congiunto allo spirito che dà la vita.
Tuttavia l'Apostolo lo considera morto perché già vincolato alla necessità del morire.
Allora era congiunto all'anima che vive quantunque non ancora allo spirito che dà la vita.
Non poteva però esser ragionevolmente considerato morto, perché la sua soggezione alla morte era possibile soltanto con l'azione peccaminosa.
Dio, col dire: Adamo, dove sei? ( Gen 3,9 ) indicò la morte dell'anima che avvenne perché egli l'aveva abbandonato; e col dire: Sei terra e tornerai nella terra ( Gen 3,19 ) indicò la morte del corpo che gli sopraggiunge quando essa lo abbandona.
Si deve ammettere che Dio non ha fatto allusioni alla seconda morte perché volle che rimanesse occulta a favore dell'economia del Nuovo Testamento, in cui la seconda morte è indicata con molta evidenza. ( Ap 20,6; Ap 21,8 )
Doveva essere segnalato che la prima morte, comune a tutti, deriva dal peccato che in un solo individuo è divenuto comune a tutti.
La seconda morte invece non è comune a tutti a motivo di coloro che, come dice l'Apostolo, secondo un disegno provvidenziale sono stati chiamati perché antecedentemente Dio li ha conosciuti e preordinati ad essere conformi al ritratto di suo Figlio, affinché egli sia il primogenito tra molti fratelli. ( Rm 8,28-29 )
La grazia di Dio nel Mediatore li ha preservati dalla seconda morte.
Del primo uomo posto nel divenire in un corpo animale l'Apostolo parla come segue.
Volendo infatti distinguere il corpo animale dallo spirituale che si avrà nella risurrezione, dice: Si semina soggetto al morire, risorgerà immune da morte, si semina nell'obbrobrio, risorgerà nell'onore, si semina nella debolezza, risorgerà nel vigore, si semina il corpo animale, risorgerà il corpo spirituale.
Per provarlo dice: Se v'è il corpo animale, vi è anche lo spirituale.
E per mostrare che cos'è il corpo animale soggiunge: Così anche è stato scritto: Il primo uomo divenne anima che vive.
Con questa espressione ha voluto chiarire la proprietà del corpo animale.
Ma la Scrittura, riguardo al primo uomo chiamato Adamo, quando la sua anima fu creata con l'alito di Dio, non ha detto: L'uomo fu posto nel divenire in un corpo animale, ma: L'uomo divenne anima che vive.
Dunque con la frase: Il primo uomo divenne anima che vive l'Apostolo volle che s'intendesse il corpo animale dell'uomo.
Ha indicato poi come si debba intendere il corpo spirituale soggiungendo: L'ultimo Adamo divenne spirito che dà la vita, ( 1 Cor 15,42-45; Gen 2,7 ) perché senza dubbio indicò il Cristo risorto dalla morte in una condizione che gli fosse impossibile morire ancora. ( Rm 6,9 )
Prosegue col dire: Ma non è prima ciò che è spirituale ma ciò che è animale, poi lo spirituale. ( 1 Cor 15,46 )
Con queste parole molto più esplicitamente ha dichiarato di avere alluso al corpo animale col dire: Il primo uomo divenne anima che vive, e allo spirituale col dire: L'ultimo Adamo come spirito che dà la vita.
Prima infatti si ha il corpo animale nello stato in cui lo ebbe il primo Adamo, quantunque non destinato a morire se non peccava.
Anche noi abbiamo un simile corpo però col cambiamento per depravazione del suo essere, in quanto in Adamo, dopo il suo peccato, si verificò una condizione da cui subì la soggezione a morire.
Anche il Cristo nella prima esistenza si è degnato di averlo in quello stato, e non per destino ineluttabile ma per libera scelta.
Poi il corpo spirituale, nello stato in cui si è avuto in Cristo in quanto nostro capo, ( Ef 4,15 ) si avrà nei suoi seguaci nella finale risurrezione dei morti.
Di seguito l'Apostolo aggiunge una differenza molto evidente fra i due uomini con le parole: Il primo uomo tratto dalla terra è della terra, il secondo uomo è dal cielo.
Qual è quello della terra, così gli altri della terra; quale quello del cielo, così gli altri del cielo.
E come abbiamo assunto la somiglianza di quello della terra, così assumiamo la somiglianza di quello che è dal cielo. ( 1 Cor 15,47-49 )
L'Apostolo ha così tratteggiato questa realtà che ora si avvera in noi mediante il sacramento della rigenerazione.
In un altro passo dice infatti: Voi che siete stati battezzati in Cristo avete assunto il Cristo. ( Gal 3,27 )
E questo si realizzerà quando anche in noi ciò che era animale con la nascita diventerà spirituale con la risurrezione.
Uso le sue parole sul medesimo concetto: Nella speranza siamo stati salvati. ( Rm 8,24 )
Abbiamo assunto la somiglianza dell'uomo della terra col trasmettersi della insubordinazione e della morte che ci ha apportato la generazione, ma assumeremo la somiglianza dell'uomo del cielo con la grazia del perdono e della vita eterna che ci accorda la rigenerazione.
Essa avviene soltanto nel Mediatore di Dio e degli uomini, l'uomo Cristo Gesù. ( 1 Tm 2,5 )
L'Apostolo vuol farci intendere che egli è l'uomo del cielo, perché è venuto dal cielo per rivestirsi del corpo della mortalità della terra e rivestirlo della immortalità del cielo.
Considera celesti anche gli altri uomini, perché divengono mediante la grazia sue membra in modo che con esse sia un solo Cristo, capo e corpo. ( Rm 12,5; 1 Cor 12,27; Ef 5,30 )
Nella medesima lettera esprime il concetto con maggiore evidenza: Da un uomo la morte e da un uomo la risurrezione dei morti.
Come infatti in Adamo tutti muoiono, così in Cristo tutti avranno la vita. ( 1 Cor 15,21-22 )
Questo si verificherà senz'altro nel corpo spirituale che esisterà nello spirito che dà la vita.
Certo non tutti quelli che muoiono in Adamo saranno membra del Cristo, che anzi molti di più saranno eternamente nel tormento della seconda morte.
È stato detto: tutti e: tutti perché, come soltanto in Adamo si muore nel corpo animale, così soltanto in Cristo si ha la vita nel corpo spirituale.
Perciò non si deve pensare che nella risurrezione avremo il corpo simile a quello che l'uomo ebbe prima del peccato e che le parole: Come l'uomo della terra così quelli della terra devono intendersi in riferimento a ciò che è avvenuto come conseguenza del peccato.
Non si deve intendere, cioè, che prima di peccare avesse avuto il corpo spirituale mutato in animale per colpa del peccato.
Per interpretare così non si fa attenzione alle parole del grande Dottore che dice: Se v'è un corpo animale, v'è anche quello spirituale; è anche scritto così: Il primo uomo Adamo divenne anima che vive. ( 1 Cor 15,44-45 )
Questo modo di essere, essendo originario dell'uomo, non è avvenuto dopo il peccato.
Riferendosi ad esso san Paolo ha scelto questa testimonianza della Scrittura per spiegare il corpo animale.
Alcuni con scarso senso critico interpretano le parole: Dio infuse sul suo viso l'alito della vita e l'uomo divenne anima che vive ( Gen 2,7 ) non nel senso che l'anima fu infusa in quel momento nel primo uomo, ma che l'anima già esistente fu data alla vita dallo Spirito Santo.
Li convince il fatto che Gesù dopo la sua risurrezione alitò sui suoi discepoli mentre diceva loro: Ricevete lo Spirito Santo. ( Gv 20,22 )
Costoro ritengono che questo avvenimento sia simile a quello che avvenne al principio, come se l'Evangelista avesse dovuto aggiungere: "e furono nel divenire come anime viventi".
Se fossero state dette queste parole, avremmo dovuto intendere che lo Spirito di Dio è in qualche maniera vita delle anime e che senza di lui le anime intelligenti si devono considerare prive di vita, sebbene emerga che i corpi hanno vita con la loro presenza.
Ma non avvenne così quando l'uomo fu creato.
Lo attestano chiaramente le parole della Genesi che suonano così: E Dio formò in uomo la polvere dal suolo.
Alcuni, pensando d'interpretare più chiaramente la frase, hanno letto: E Dio modellò l'uomo dal fango della terra, perché in precedenza era stato detto: Una sorgente scaturiva dal suolo e ne inondava tutta la superficie. ( Gen 2,7 )
Può sembrare che con queste parole si debba intendere il fango che è rappreso di acqua e di terra.
Infatti immediatamente dopo queste parole il testo continua: E Dio formò in uomo la polvere dal suolo.
Così hanno i codici greci dai quali questo brano è stato tradotto nella lingua latina.
Non importa se l'agiografo ha voluto dire: formò o: modellò che in greco è έπλασεν, che tuttavia in termini propri corrisponde a modellò.
Però coloro che hanno preferito formò si preoccuparono di evitare un doppio senso, perché nella lingua latina l'uso ha fatto sì che il modellare si dica di coloro che attraverso la finzione danno forma a un oggetto.
Questo dunque è l'uomo formato dalla polvere del suolo, o meglio dal fango giacché era una polvere acquosa.
L'Apostolo insegna che questo uomo, lo ripeto per parlare più esplicitamente, divenne un corpo animale, quando, pur essendo polvere dal suolo, come dice la Scrittura, ricevette l'anima.
Questo uomo, dice appunto, divenne anima che vive, ( 1 Cor 15,45 ) cioè questa polvere modellata in uomo divenne come anima che vive.
Ma l'anima l'aveva già, dicono, altrimenti non sarebbe stato denominato uomo perché l'uomo non è soltanto corpo o soltanto anima, ma è composto di anima e di corpo.
Ma certo che l'anima non è tutto l'uomo ma la sua parte migliore; e neanche il corpo è tutto l'uomo intero, ma la sua parte inferiore.
L'una e l'altro uniti hanno l'appellativo di uomo, che, pur presi separatamente, non perdono, anche se parliamo dell'una o dell'altro.
Per una determinata regola del modo di parlare di ogni giorno non è vietato dire: "Quell'uomo è morto ed ora è nella pace o fra i tormenti", sebbene il concetto si può attribuire soltanto all'anima.
Così: "Quell'uomo è sepolto in questo o in quel luogo", anche se questo si può intendere soltanto del corpo.
Obietteranno forse che la Scrittura abitualmente non si esprime in questi termini?
Anzi essa ce lo conferma in modo tale che, anche quando le due parti sono unite e l'uomo è in vita, designa l'una e l'altra con l'appellativo di uomo.
Denomina, cioè, l'anima uomo interiore e il corpo uomo esteriore come se fossero due uomini, ( 2 Cor 4,16 ) sebbene l'una e l'altro insieme sono un solo uomo.
Però si deve capire in quale senso si parla dell'uomo a somiglianza di Dio e dell'uomo che è terra e tornerà alla terra.
Il primo concetto è espresso in relazione all'anima ragionevole nella forma in cui Dio la infuse nell'uomo, ossia nel corpo dell'uomo, soffiando o, per dire più convenientemente, alitando; il secondo concetto è in relazione al corpo nella forma dell'uomo che Dio modellò dalla polvere, al quale fu data l'anima affinché divenisse corpo animale, cioè uomo come anima che vive.
Perciò col gesto che il Signore fece quando alitò dicendo: Ricevete lo Spirito Santo ( Gv 20,22 ) volle farci intendere che lo Spirito Santo non è soltanto del Padre ma che è anche Spirito dello stesso Unigenito.
Il medesimo Spirito è del Padre e del Figlio e con lui è la Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo, non creatura ma Creatore.
Quell'alitare visibile che usciva dalla bocca non era la naturale essenza dello Spirito Santo.
Era piuttosto una indicazione per farci intendere, come ho detto,22 che lo Spirito Santo è comune al Padre e al Figlio perché non è uno per ciascuno ma uno per entrambi.
Lo Spirito Santo nella sacra Scrittura in greco viene sempre indicato con la parola πνεΰμα.
Anche Gesù lo ha chiamato così quando, raffigurandolo con l'alitare visibile della sua bocca, lo comunicò ai discepoli.
A me personalmente non è mai occorso d'incontrare una diversa denominazione in tutti i passi della Scrittura.
Nel testo: E Dio modellò in uomo la polvere dal suolo e soffiò ( o alitò ) sul suo viso lo spirito di vita, ( Gen 2,7 ) il traduttore greco non usa πνεΰμα con cui abitualmente si indica Spirito Santo, ma πνοήν, nome che denota piuttosto la creatura che il Creatore.
Perciò anche alcuni latini, per rendere la differenza, hanno preferito tradurre la parola greca non spirito ma soffio.
Il termine in greco è usato anche in quel passo di Isaia in cui Dio dice: Io ho prodotto ogni soffio.23
Senza dubbio allude all'anima.
I nostri scrittori hanno tradotto il termine greco πνοή, ora soffio, ora alito, ora respiro o respirazione, anche quando è riferito a Dio.
Hanno invece tradotto il termine πνεΰμα sempre con spirito, tanto se si tratta dell'uomo di cui dice l'Apostolo: Chi degli uomini conosce i segreti dell'uomo se non lo spirito dell'uomo che è in lui? ( 1 Cor 2,11 ) altrettanto di una bestia come nel libro di Salomone: Chi sa se lo spirito dell'uomo sale in alto verso il cielo e lo spirito della bestia scende in basso verso la terra? ( Qo 3,21 ) altrettanto dello spirito dall'ambiente naturale che si chiama anche vento; difatti si usa il termine in un Salmo che dice: Fuoco e grandine, neve e ghiaccio, spirito di tempesta; ( Sal 148,8 ) così dello Spirito non creato ma Creatore, di cui dice il Signore nel Vangelo: Ricevete lo Spirito Santo e lo comunica con l'alito della sua bocca; così quando dice: Andate, battezzate tutti i popoli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo, ( Mt 28,19 ) dove nella forma più chiara ed evidente è indicata la Trinità; e ancora dove si legge: Dio è Spirito ( Gv 4,24 ) e in molti altri passi della sacra Scrittura.
In tutti questi passi, nella versione dei greci non leggiamo πνοήν ma πνεΰμα e in quella latina non soffio ma spirito.
Perciò se il traduttore greco nel testo: Alitò, o più esattamente, soffiò sul suo volto lo spirito di vita, non avesse usato πνοήν, come vi si legge, ma πνεΰμα, non ne conseguiva che dovessimo intendere lo Spirito creatore che nella Trinità con precisione si denomina Spirito Santo.
È chiaro infatti che il termine πνεΰμα come è stato già detto, si applica abitualmente non solo al Creatore ma anche alla creatura.
Ma, obiettano, avendo detto: spirito, non avrebbe aggiunto: di vita se non voleva indicare lo Spirito Santo.
Così avendo detto: L'uomo divenne anima, non avrebbe aggiunto: che vive ( Gen 2,7 ) se non per significare la vita dell'anima che le viene partecipata dall'alto col dono dello Spirito di Dio.
Poiché l'anima vive, dicono, in una sua singolare dimensione, non c'era alcun bisogno di aggiungere: che vive se non per indicare quella vita che le viene data mediante lo Spirito Santo.
Ma questa obiezione, si risponde, non è altro che litigare con diligenza a favore di una ipotesi umana e interpretare con negligenza la sacra Scrittura.
Non era un grande sforzo non allontanarsi di molto da quella frase e leggere nel medesimo libro, un tantino più in alto, quando si parla della creazione degli animali terrestri: La terra produca l'anima che vive. ( Gen 1,24 )
Così non costava grande fatica, dopo alcune pagine ma sempre nel medesimo libro, quando esso informava che tutti gli esseri viventi sulla terra erano morti nel diluvio, fare attenzione alle parole: E tutti gli esseri che hanno lo spirito di vita ed ogni uomo che era sulla terra ferma morì. ( Gen 7,22 )
Dunque rileviamo che l'anima vivente e lo spirito di vita, nella terminologia abituale della sacra Scrittura, si hanno anche nelle bestie e che il testo greco, anche nel passo in cui si legge: Tutti gli esseri che hanno lo spirito della vita non ha usato pneu`ma ma pnohvn.
Ci domandiamo allora: che bisogno c'era di aggiungere: vivente, giacché l'anima che non vive è un assurdo?
Ovvero che bisogno c'era di aggiungere: di vita, giacché aveva premesso: spirito?
Ma comprendiamo che la Scrittura, secondo un proprio criterio, ha usato le frasi: Anima che vive e: Spirito di vita, quando parla degli animali, cioè corpi animati, per evidenziare che in essi mediante l'anima funziona anche la facoltà sensibile capace di percezione.
Per quanto riguarda la creazione dell'uomo non dimentichiamo in quali termini si sia espressa abitualmente la Scrittura.
Certamente ha parlato secondo un suo criterio con cui fa intendere che l'uomo, anche dopo avere ricevuto l'anima intelligente, non derivante dalla animazione di acqua e terra, come quella degli altri corpi animati, ma creata dall'alito di Dio, ha una costituzione tale da vivere, come gli altri animali in un corpo animato che è reso tale dall'anima che in esso vive.
Degli esseri animati la Scrittura ha detto: La terra produca l'anima che vive e di essi ha egualmente detto che hanno in sé l'alito della vita.
Anche nel testo greco non è usato pneu`ma ma pnohvn per indicare con tale appellativo, certamente non lo Spirito Santo ma la loro anima.
Se si intende, obiettano ancora, che il soffio è uscito dalla bocca di Dio e si ammette che è l'anima, per coerenza dobbiamo consentire anche che è della medesima natura ed eguale alla Sapienza che dice: Io sono uscita dalla bocca dell'Altissimo. ( Sir 24,5 )
La Sapienza, si ribatte, non ha detto che è stata alitata ma che è uscita dalla sua bocca.
Noi quando respiriamo, abbiamo la possibilità di trarre l'alito non dalla nostra essenza, da cui siamo uomini, ma dall'aria che ci avvolge e che inaliamo e restituiamo inspirando ed espirando.
Dio invece ha la possibilità di emettere un alito non dalla sua essenza né da una creatura come sostrato ma dal nulla e con assoluta proprietà di linguaggio è stato detto che egli lo ha inspirato e soffiato infondendolo nel corpo umano, producendo così egli immateriale, non diveniente, increato un essere immateriale ma diveniente perché creato.
Tuttavia affinché costoro che vogliono parlare dei testi scritturistici, senza prestare attenzione al loro modo di esprimersi, sappiano che dalla bocca di Dio non esce soltanto ciò che è di una eguale e medesima natura, ascoltino o leggano ciò che è stato detto in una frase attribuita a Dio: Perché sei tiepido, né caldo né freddo, comincerò a rigettarti dalla mia bocca. ( Ap 3,16 )
Non v'è ragione dunque per contestare il brano molto chiaro dell'Apostolo in cui distingue il corpo animale da quello spirituale, cioè quello in cui ora siamo da quello in cui saremo.
Egli dice: Si semina un corpo animale, risorgerà un corpo spirituale; se v'è il corpo animale, v'è anche quello spirituale; infatti è stato scritto: Il primo uomo Adamo fu nel divenire come anima che vive, l'ultimo Adamo come spirito che dà la vita.
Ma non è prima il corpo spirituale, ma quello animale, poi lo spirituale.
Il primo uomo tratto dalla terra è di terra.
Il secondo uomo è dal cielo.
Come quello di terra così quelli di terra e come quello celeste così i celesti.
E come abbiamo assunto la somiglianza di quello di terra, assumiamo la somiglianza di quello che è dal cielo. ( 1 Cor 15,44-49 )
Abbiamo vagliato in precedenza queste parole dell'Apostolo.24
Quindi il corpo animale in cui, come dice l'Apostolo, il primo uomo Adamo fu nel divenire non aveva una costituzione tale da rendergli impossibile il morire, ma non sarebbe morto se non avesse peccato.
Infatti l'essere, che è spirituale e immortale per lo Spirito datore di vita, non può assolutamente morire, come non muore l'anima che è stata creata immortale.
Essa, sebbene può essere considerata morta a causa del peccato, perché priva di una sua vita particolare, cioè dello Spirito di Dio, mediante il quale poteva anche vivere nella saggezza e felicità, tuttavia non cessa di avere una sua propria vita, per quanto miserabile, perché è stata creata immortale.
Anche gli angeli ribelli, sebbene peccando siano in un certo senso morti, perché hanno abbandonato il fonte della vita che è Dio, in cui dissetandosi potevano vivere nella sapienza e felicità, tuttavia non potevano subire una morte tale da desistere dalla vita del pensiero perché sono stati creati immortali.
Perciò dopo il giudizio finale precipiteranno nella seconda morte senza essere privi della vita, poiché neanche della sensibilità saranno privi quando subiranno i tormenti.
Ma gli uomini, resi partecipi della grazia di Dio e concittadini degli angeli santi che hanno perseverato nella beatitudine, assumeranno corpi spirituali in modo da non peccare più e non morire.
Saranno quindi dotati di una immortalità la quale, come quella degli angeli, non può essere sottratta dal peccato, sebbene rimanga la natura della carne, però senza la soggezione alla morte e al condizionamento nello spazio.
Rimane un problema che deve necessariamente esser proposto e avere una soluzione con l'aiuto del Signore Dio della verità; e cioè se la soggezione alla passione delle parti ribelli del corpo è sorta dal peccato di ribellione nei progenitori, quando la grazia divina li aveva abbandonati; volsero allora gli occhi alla propria nudità, cioè la osservarono con maggiore attenzione e poiché uno stimolo voluttuoso si opponeva al dettame della volontà coprirono le parti che suscitano pudore; infine come avrebbero generato i figli se, senza la caduta, fossero rimasti come erano stati creati.
Ma questo libro si deve chiudere e un problema così importante non si può esaurire in una trattazione ristretta e perciò si rimanda al libro seguente per una discussione più diffusa.
Indice |
16 | Agostino,
De Gen. ad litt. 12, 35, 68; Retract. 1, 14, 2 |
17 | Virgilio, Aen. 6, 750-751; Platone, Fedro, 248ab |
18 | Platone, Fedro, 248-249 |
19 | Vedi sopra 10,30 |
20 | Vedi appresso 22,27 |
21 |
Gen 18,9; Tb 11,20; Agostino, Ep. 102, 6 |
22 | Vedi sopra 13,24,1 |
23 | Is 57,16 (sec.
LXX); Agostino, De Gen. ad litt. 7, 3, 5 |
24 | Vedi sopra 13,23 |