La città di Dio |
Davide regnò nella Gerusalemme terrena, ma come figlio della Gerusalemme celeste, molto esaltato per divina attestazione perché i suoi delitti furono cancellati dalla sua grande pietà mediante la salutare contrizione del pentimento al punto da essere fra quelli, di cui egli stesso ha detto: Beati coloro cui sono rimesse le colpe e perdonati i peccati. ( Sal 32,1 )
Dopo di lui regnò su tutto il medesimo popolo il figlio Salomone che, come è stato detto precedentemente,12 cominciò a regnare quando il padre era ancora in vita.
Egli a buoni inizi fece seguire cattivi risultati.
Lo danneggiò infatti il successo, che mette in crisi la coscienza dei sapienti, più di quanto gli giovasse la sapienza ora e per sempre degna di ricordo e allora lodata in ogni luogo.13
Si riscontra che anche egli ha profetizzato nei suoi tre libri accolti nell'autenticità canonica, cioè i Proverbi, l'Ecclesiaste, il Cantico dei cantici.
L'uso ha prevalso, per una certa conformità nell'espressione, nel far attribuire a Salomone altri due, la Sapienza e l'Ecclesiastico, tuttavia i più versati non dubitano che non siano suoi.
Tuttavia soprattutto la Chiesa occidentale fin dal principio li ha accolti come autentici.
In uno di essi, chiamato la Sapienza di Salomone, è molto apertamente preannunciata la passione di Cristo.
Vengono presentati gli empi suoi carnefici mentre dicono: Tendiamo insidie al giusto perché ci è sgradito ed è contrario alle nostre azioni, ci rimprovera le trasgressioni della legge e ci rinfaccia le mancanze contro l'educazione da noi ricevuta.
Proclama di possedere la conoscenza di Dio e si dichiara suo figlio.
È diventato per noi lo scherno dei nostri sentimenti.
Ci è insopportabile solo al vederlo, perché la sua vita è diversa da quella degli altri e coerente il suo modo di avanzare.
Siamo considerati da lui come buffoni, schiva le nostre abitudini come immondezze, proclama beata la fine dei giusti e si vanta di avere Dio come padre.
Vediamo se le sue parole sono vere, proviamo ciò che gli accadrà e vedremo quale sarà la sua fine.
Se il giusto è figlio di Dio, Egli l'assisterà e lo libererà dalle mani dei suoi avversari.
Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti per conoscere la sua deferenza e saggiare la sua rassegnazione.
Condanniamolo a una morte infame, perché, secondo le sue parole, il soccorso gli verrà.
L'hanno pensata così ma si sono sbagliati, la loro malizia li ha accecati. ( Sap 2,12-21 )
Nell'Ecclesiastico si preannuncia in questi termini la fede dei popoli pagani: Abbi pietà di noi, Signore Dio dell'universo, e infondi il tuo timore su tutti i popoli, alza la tua mano sui popoli stranieri e vedano la tua potenza.
Come ai loro occhi ti sei mostrato santo in mezzo a noi, così ai nostri occhi mostrati grande fra di loro e riconoscano, come noi abbiamo riconosciuto, che non c'è un Dio fuor di te, o Signore. ( Sir 36,1-5 )
Osserviamo che si è adempiuta in Gesù Cristo questa profezia presentata nella fattispecie dell'imprecare e del pregare.
Però questi libri non si adducono con tanta sicurezza contro i dissenzienti, perché non sono inseriti nel canone dei Giudei.
Per dimostrare che riguardano Cristo e la Chiesa contesti simili che si leggono nei tre libri attribuiti con certezza a Salomone e che i Giudei ritengono canonici è necessaria una travagliata polemica la quale, se si pone in atto al momento, ci impegna più del necessario.
Comunque nei Proverbi si legge che uomini disonesti dicono: Nascondiamo ingiustamente nella terra l'uomo giusto, divoriamolo come l'oltretomba un essere vivente ed eliminiamo dalla terra il ricordo di lui e impadroniamoci della sua ricca proprietà. ( Pr 1,12-13 )
Il passo non è tanto oscuro da non potersi applicare senza una faticosa analisi al Cristo e alla sua proprietà, la Chiesa.
Anche il Signore Gesù in una parabola del Vangelo ha lasciato intravedere che i contadini disonesti hanno ragionato in quel senso: Questo è l'erede, su, uccidiamolo e avremo noi l'eredità. ( Mt 21,38 )
Il passo del medesimo libro, passo al quale ho precedentemente accennato quando ho parlato della sterile che ha avuto sette figli,14 di solito fu interpretato come riferito a Cristo e alla Chiesa, appena istituita, dagli esegeti i quali sanno che Cristo è la sapienza di Dio: La sapienza si è costruita la casa e ha innalzato sette colonne, ha immolato le vittime, ha versato il vino nella coppa e ha imbandito la tavola.
Ha mandato i suoi servitori per invitare con un bando dall'alto al banchetto con le parole: Chi è ignorante? Venga da me.
E ai privi d'ingegno ha detto: Venite, mangiate i miei pani e bevete il vino che ho versato per voi. ( Pr 9,1-5 )
Nel passo ravvisiamo la Sapienza di Dio, cioè il Verbo coeterno al Padre che nel grembo della Vergine si costruì come casa il corpo umano e che ad esso unì la Chiesa come membra al Capo, che sacrificò come vittime i martiri, che preparò la mensa col pane e col vino, in cui si manifesta anche il sacerdozio secondo l'ordine di Melchisedec, che ha chiamato gli ignoranti e i privi d'ingegno perché, come dice l'Apostolo, ha scelto ciò che nel mondo è debole per far arrossire i forti. ( 1 Cor 1,27 )
Ma ai deboli di tal fatta Salomone ha rivolto anche la frase che segue: Abbandonate l'ignoranza per vivere e procuratevi la prudenza per avere la vita. ( Pr 9, 6 )
Partecipare alla sua mensa è lo stesso che avere la vita.
Difatti nell'altro libro, intitolato l'Ecclesiaste, dice: Non v'è bene per l'uomo se non ciò che mangerà e berrà. ( Qo 8,15 )
Con maggiore attendibilità nel passo si ravvisa ciò che riguarda la partecipazione alla mensa che lo stesso sacerdote Mediatore della Nuova Alleanza ( Eb 10,15 ) offre secondo l'ordine di Melchisedech dal suo corpo e dal suo sangue.
Questo sacrificio sottentrò a tutti i sacrifici dell'Antica Alleanza che erano offerti come adombramento del futuro.
Perciò anche nel Salmo trentanove ravvisiamo la voce del Mediatore che parla profeticamente: Non hai gradito sacrificio e offerta, ma mi hai dato un corpo, ( Sal 40,7 ) perché in luogo di tutti i sacrifici e offerte, si offre il suo corpo e si dispensa ai partecipanti.
Che l'Ecclesiaste nel concetto del mangiare e del bere, che spesso ripete e raccomanda vivamente, non intenda il banchetto del piacere sensibile, lo dimostra la frase: È meglio andare in una casa in cui si piange che andare in una casa in cui si gozzoviglia; e poco dopo: Il cuore dei saggi nella casa in cui si piange e il cuore degli stolti nella casa in cui si fa baldoria. ( Qo 7,2.4 )
Ma penso che di questo libro si debba soprattutto richiamare ciò che riguarda le due città, una del diavolo e l'altra di Cristo e i rispettivi re, il diavolo e Cristo: Guai a te, dice, o paese che hai per re un ragazzo e i cui principi banchettano fin dal mattino.
Felice te, o paese, il cui re è figlio di persone nate libere e i cui principi mangiano a tempo dovuto nel coraggio e non nella delusione. ( Qo 10,16-17 )
Ha paragonato il diavolo a un ragazzo a causa dell'avventatezza, dell'orgoglio, della leggerezza e impudenza e altri difetti che di solito sono in gran numero in questa età e ha assimilato Cristo a un figlio di uomini nati liberi, cioè dei santi Patriarchi che appartengono alla libera città, perché da essi discende secondo la razza. ( Gal 4,22-23 )
I principi della città terrena mangiano fin dal mattino, cioè prima dell'ora propizia perché non attendono la felicità autentica, che è la vera, nella vita d'oltre tempo, in quanto ambiscono bearsi alla svelta dell'incessante vicenda del tempo.
Invece i principi della città di Cristo attendono con pazienza il tempo della felicità che non delude.
Questo significa: Nel coraggio e non nella delusione, perché non inganna la speranza di cui l'Apostolo ha detto: La speranza non delude ( Rm 5,5 ) e un Salmo dice: Coloro che ti attendono non saranno delusi. ( Sal 25,3 )
Infine il Cantico dei cantici è un vero e proprio diletto spirituale di pure intelligenze in occasione del connubio del Re e della Regina della città, cioè di Cristo e la Chiesa.
Ma questo diletto è avvolto di rivestimenti allegorici affinché sia desiderato con maggiore ardore, sia scoperto con gioia più grande e appaia lo Sposo, cui si dice nel Cantico: La giustizia ti ha amato , ( Ct 1, 3 ) e la Sposa che in esso ascolta: La carità nella tua tenerezza. ( Ct 7, 6 )
Passo molte cose sotto silenzio per la sollecitudine di giungere alla fine di questa opera.
A stento si ha notizia che gli altri re degli Ebrei dopo Salomone abbiano preannunciato attraverso alcune velate allegorie delle loro parole o delle loro opere qualche significato attinente a Cristo e alla Chiesa, e questo sia in Giuda che in Israele.
Così sono stati definiti gli stati di quel popolo da quando a causa della colpa di Salomone, al tempo del figlio Roboamo, che successe nel regno al padre, fu diviso per castigo di Dio. In particolare le dieci tribù che si aggiudicò Geroboamo, servo di Salomone, insediato re in Samaria, si chiamarono Israele, sebbene questo fosse il nome di tutto il popolo.
Due tribù, cioè di Giuda e di Beniamino che per riguardo a Davide, affinché il regno della sua stirpe non fosse completamente eliminato, erano rimaste soggette a Gerusalemme, ebbero il nome di Giuda perché questa era la tribù originaria di Davide.
L'altra tribù che apparteneva al medesimo regno, come ho detto, era quella di Beniamino, da cui proveniva Saul, re prima di Davide.
Insieme le due tribù, come è stato detto, si denominavano Giuda e con questo appellativo si distinguevano da Israele che era in particolare l'appellativo delle dieci tribù che avevano un proprio re.
Si aggiungeva come decimaterza la tribù di Levi perché era sacerdotale e addetta al servizio di Dio e non dei re.
Giuseppe infatti, uno dei dodici figli d'Israele, costituì non una, come gli altri una per ognuno, ma due tribù, Efraim e Manasse.
Tuttavia anche la tribù di Levi apparteneva piuttosto al regno di Gerusalemme perché vi era il tempio di Dio al quale si dedicava.
Distribuito così il popolo, primo a regnare in Gerusalemme fu Roboamo, figlio di Salomone, e in Samaria Geroboamo, re d'Israele, servo di Salomone.
E poiché Roboamo voleva vendicare con la guerra la quasi usurpazione della spartizione dello Stato, si proibì al popolo di combattere contro i fratelli perché Dio svelò, tramite un profeta, che era opera sua.
Apparve quindi che nel fatto non v'era una colpa del re d'Israele o del popolo, ma che si era adempiuto il volere di Dio che puniva. ( 1 Re 12, 20-24 )
Conosciuto questo suo volere, l'uno e l'altro Stato convissero in pace perché non era avvenuta una separazione della religione ma del regno.
Il re d'Israele Geroboamo non credette, a causa della perversa coscienza, in Dio che pure aveva riconosciuto veritiero nel promettergli e concedergli il regno.
Temeva se si recava al tempio di Dio, che era in Gerusalemme, al quale tutta la nazione doveva recarsi per offrire il sacrificio secondo la Legge divina, che il popolo si distaccasse da lui e si restituisse alla stirpe di Davide in quanto discendenza regale. ( 1 Re 12, 25-32 )
Quindi introdusse l'idolatria nel suo regno e con abominevole empietà trasse in errore il popolo di Dio vincolato con lui al culto degli idoli.
Tuttavia Dio non cessò di rimproverare del tutto mediante Profeti non solo quel re, ma anche i successori e continuatori dell'empio culto e il popolo stesso.
Vi furono infatti i grandi e insigni Profeti Elia e il discepolo Eliseo che compirono anche molti prodigi.
A Elia che lamentava: Signore, hanno ucciso i tuoi Profeti, hanno demolito i tuoi altari, io sono rimasto solo e tentano di togliermi la vita fu risposto che vi erano settemila persone che non avevano piegato il ginocchio a Baal. ( 1 Re 19, 10.18 )
Anche nel regno di Giuda che apparteneva a Gerusalemme, nei vari tempi del succedersi dei re, non mancarono Profeti, come Dio disponeva d'inviarli o a preannunciare ciò che era opportuno o a biasimare le colpe e promuovere la giustizia.
Anche in esso, sebbene molto meno che in Israele, vi furono re che offesero gravemente il Signore con i culti idolatrici e furono colpiti, assieme al popolo che loro si somigliava, di castighi appropriati.
Tuttavia sono ricordate le non scarse benemerenze di re virtuosi, mentre siamo informati che in Israele tutti i re, chi più chi meno, furono disonesti.
L'uno e l'altro Stato dunque, a seconda di come ordinava o permetteva la divina provvidenza, erano rinfrancati da avvenimenti favorevoli e depressi dalle sventure e in tal modo erano danneggiati non solo da guerre con lo straniero ma anche da guerre civili.
Così, poiché esistevano determinate cause, si manifestavano la bontà o l'ira del Signore finché, crescendo il suo sdegno, tutta la popolazione non solo fu sgominata nel proprio territorio dai Caldei, che l'avevano debellata, ma anche in gran parte trasferita nelle regioni dell'Assiria, prima lo Stato denominato d'Israele in dieci tribù, ( 2 Re 17 ) poi quello di Giuda dopo la distruzione di Gerusalemme e la demolizione del suo magnifico tempio.
In quelle regioni il popolo per settanta anni subì l'inazione dei prigionieri di guerra. ( 2 Re 25 )
Dopo quegli anni rimandato in patria, ricostruì il tempio che era stato demolito ( Esd 3,7 - 4,22 ) e, sebbene molti di essi vivessero in terre straniere, la nazione non ebbe in seguito due Stati e due re nei singoli Stati, ma vi era un solo loro capo in Gerusalemme e tutti da ogni parte, dovunque e da dove fosse consentito, in tempi stabiliti si recavano al tempio di Dio che era nella città.
Ma anche allora, non mancarono nemici da altri popoli e conquistatori.
Cristo li trovò già tributari dei Romani.
In tutto il periodo da quando ritornarono da Babilonia, dopo Malachia, Aggeo e Zaccaria, che profetarono in quel tempo, ed Esdra, i Giudei non ebbero più Profeti fino alla venuta del Salvatore se non un secondo Zaccaria, padre di Giovanni ( Lc 1,67 ) e la moglie Elisabetta , ( Lc 1,24 ) quando era vicina la nascita di Cristo e, dopo la sua nascita, il vecchio Simeone ( Lc 2,27 ) e la vedova assai anziana Anna ( Lc 2,36 ) e ultimo lo stesso Giovanni. ( Mc 1,4; Lc 3,2; Mt 3,1 )
Egli giovane non predisse che sarebbe venuto il Cristo, ma con profetica conoscenza ( Gv 1,29-35 ) lo mostrò ormai giovane ma sconosciuto.
Perciò il Signore stesso ha detto: La Legge e i Profeti fino a Giovanni. ( Mt 11,13 )
Dal Vangelo ci sono note le parole profetiche di questi cinque e si legge in esso che prima di Giovanni anche la Vergine Madre ( Lc 1,46-55 ) del Signore si espresse profeticamente.
I Giudei non convertiti non accettano la profezia di questi ultimi, l'hanno accettata però i moltissimi di loro che hanno creduto al Vangelo.
Allora realmente Israele è stato diviso in due parti con quella divisione che fu preannunciata dal profeta Samuele al re Saul come definitiva. ( 1 Sam 15, 28 )
Anche i Giudei non convertiti hanno accolto per ultimi nell'autenticità dell'ispirazione divina Malachia, Aggeo, Zaccaria ed Esdra.
Anche i loro scritti sono come quelli di altri che, sebbene assai pochi in un numero tanto grande di Profeti, hanno lasciato scritti che meritano l'autenticità del canone. Ritengo che alcune delle loro predizioni, riguardanti Cristo e la sua Chiesa, si devono esaminare in questa opera.
Però più opportunamente si farà, con l'aiuto del Signore, nel libro seguente per non gravare ulteriormente questo già abbastanza esteso.
Indice |
12 | Vedi sopra 8,3 |
13 | Sallustio, Catil. 11 |
14 | Vedi sopra 4,4 |