Questioni sull'Ettateuco

Indice

Questioni sull'Esodo

1. ( Es 1,19-20 ) Le levatrici ingannano il Faraone

Riguardo alla menzogna delle levatrici con la quale esse ingannarono il Faraone, al fine di non uccidere gli Israeliti maschi alla loro nascita, dicendo che le donne ebree non partorivano come le egiziane, si è soliti porre il quesito se tali menzogne sono approvate dall'autorità divina, dal momento che sta scritto che Dio beneficò le levatrici.

Non si sa bene se Dio perdonava la menzogna per la sua misericordia o se la giudicava degna di premio.

In realtà una cosa era quella che facevano le levatrici conservando in vita i bambini appena nati, una cosa ben diversa era quella che facevano mentendo al Faraone; poiché nel tenere in vita quei neonati esse compivano un'opera di misericordia.

Si servivano al contrario della menzogna per la loro difesa, perché il Faraone non facesse loro del male: ciò poté tornare a loro scusa ma non a loro lode.

Io poi non credo che abbiano preso questo testo come un permesso di mentire coloro dei quali è detto: Nel loro parlare non si trovò menzogna. ( Ap 14,5 )

Poiché, se la vita di alcune persone, di gran lunga inferiore a quella vissuta nella fede e nella virtù dai santi, ha tali peccati di menzogna lo si deve al fatto che vi si lasciano trasportare dal loro carattere e al loro avanzare negli anni, soprattutto quando, invece di aspettare i beni celesti di Dio, ricercano soltanto i beni terreni.

Quanto invece a coloro che vivono in modo da essere già nei cieli, come dice l'Apostolo, ( Fil 3,20 ) non penso che, per quanto riguarda il loro modo di parlare, per palesare la verità ed evitare la falsità, debbono formarselo sull'esempio delle levatrici.

Su questo problema però si deve discutere con maggior diligenza a causa di altri esempi che si trovano nelle Scritture.

2. ( Es 2,12 ) L'azione di Mosè quando uccise un egiziano

Riguardo all'azione compiuta da Mosè quando uccise l'egiziano per difendere i propri fratelli, nell'opera Contro Fausto scritta da noi sulla vita dei Patriarchi, abbiamo già discusso a sufficienza se fosse lodevole il suo carattere, con il quale commise quel peccato, come un terreno ferace suole essere lodato, prima ancora di seminarvi semi fruttiferi, a causa di una particolare sua fertilità, con cui produce piante sia pure inutili, oppure se quel fatto sia da giustificare sotto ogni riguardo.1

Questa ipotesi però non pare ammissibile, poiché Mosè non aveva alcuna autorità legittima, non conferitagli né da Dio né ordinata dalla società umana.

Tuttavia, come dice Stefano negli Atti degli Apostoli, ( At 7,25 ) egli credeva che i suoi fratelli avrebbero capito che Dio voleva salvarli per mezzo di lui.

Questo testo sembrerebbe indicare che Dio avesse già fatto intendere a Mosè di poter osare di uccidere quell'uomo, sebbene la Scrittura in quel passo non faccia alcuna menzione di ciò.

3. ( Es 3,4 ) Il Signore chiamò Mosè dal roveto

Il Signore lo chiamò dal roveto. Il Signore lo chiamò forse per mezzo di un angelo?

Oppure l'angelo è il Signore, chiamato angelo del gran consiglio ( Is 9,6 ) che viene interpretato Cristo.

Più sopra infatti è detto: Gli apparve l'angelo del Signore in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. ( Es 3,2 )

4. ( Es 3,8 ) La terra promessa

[ Sono sceso ] per condurli verso una terra fertile e spaziosa, ove scorre latte e miele.

Questa terra ove scorre latte e miele, dobbiamo intenderla forse in un senso allegorico, poiché quella terra data al popolo d'Israele, nel senso proprio del linguaggio non era tale, oppure è un modo di dire per lodare la fertilità e la piacevolezza di quella terra?

5. ( Es 3,9 ) Il grido dei figli d'Israele

E ora, ecco, è giunto fino a me il grido dei figli di Israele, non come il grido degli abitanti di Sodoma, ( Gen 18,20 ) che simboleggia la perversità senza timore e senza vergogna

6. ( Es 3,22 ) Il servo deve ubbidire agli ordini del Signore

Per mezzo di Mosè il Signore ordinò agli Ebrei di prendere dagli Egiziani oggetti d'oro e di argento e vestiti e aggiunse: e voi li spoglierete; questo comando non può essere giudicato ingiusto, perché è un ordine di Dio, che non doveva essere giudicato ma ubbidito.

Sa lui infatti quanto è giusto l'ordine dato da lui, al servo tocca invece ubbidire ed eseguire ciò che il Signore ha comandato

7. ( Es 4,10 ) Mosè si scusa d'essere incapace di parlare

Da quanto Mosè dice al Signore: Ti prego, Signore, io non ho facilità di parola né da ieri, né da ieri l'altro, né da quando hai cominciato a parlare al tuo servo, si capisce che Mosè credeva di poter diventare per volontà di Dio tutto ad un tratto abile nel parlare, poiché dice: né da quando hai cominciato a parlare al tuo servo, come per mostrare che, se non era stato capace di parlare né il giorno prima né quello precedente, sarebbe potuto diventarlo d'un tratto dal momento che il Signore aveva cominciato a parlare con lui.

8. ( Es 4,11 ) Quello che Dio vuole è sempre giusto

Chi rende [ l'uomo ] muto o lo fa udire, lo fa vedente o cieco? Non sono forse io, il Signore Dio?

Ci sono alcuni che criticano maliziosamente Dio o la Scrittura soprattutto dell'Antico Testamento per il fatto che Dio disse di aver fatto, proprio lui, il cieco e il muto.

Che cosa dicono dunque di Cristo, nostro Signore, il quale nel Vangelo afferma chiaramente: Io sono venuto perché vedano quelli che non vedono e quelli che vedono non vedano. ( Gv 9,39 )

Ma chi, se non uno stolto, potrebbe credere che ad un uomo possa capitare qualche difetto fisico senza che Dio lo voglia?

Nessuno però pone in dubbio che Dio vuole tutto quanto con giustizia.

9. ( Es 4,12 ) Dio apre la tua bocca e la riempie

Il Signore dice a Mosè: Ma ora va' e io aprirò la tua bocca e t'insegnerò ciò che dovrai dire.

Qui appare assai bene che è opera della volontà e grazia di Dio non solo l'istruzione della bocca ma anche l'atto stesso di aprirla.

Poiché Dio non disse: " apri la tua bocca e ti istruirò ", ma gli promise tutt'e due le cose.

In un altro passo invece, proprio in un Salmo egli dice: Apri la tua bocca e io la riempirò, ( Sal 81,11 ) - dove Dio indica nell'uomo la volontà di ricevere ciò che Dio dà a chi lo desidera, cosicché l'ordine: Apri la tua bocca si riferisce al punto di partenza, alla volontà di prendere ciò che Dio dà a chi vuole, mentre si riferisce alla grazia di Dio l'espressione: e la riempirò - qui al contrario, è detto: Io aprirò la tua bocca e t'istruirò.

10. ( Es 4,14-16 ) In Dio non ci sono turbamenti

E il Signore, preso da una forte collera, disse. In che senso potrebbe prendersi il fatto che Dio si adira?

Per non essere costretti a ripeterlo in tutti i passi in cui la Scrittura dice qualcosa di simile, è necessario comprendere che Dio non lo fa per un turbamento irrazionale come lo fa un uomo.

A buon diritto però possiamo chiederci perché in questo passo Dio, a proposito del fratello di Mosè, disse incollerito che al popolo avrebbe parlato lui per Mosè [ suo fratello ].

Sembra infatti che Dio non diede l'intera autorità che aveva intenzione di dargli in quanto questi mancava di fiducia, e volle che venisse compiuto per mezzo di due persone ciò che poteva essere compiuto da una sola, qualora avesse avuto fiducia.

Ciononostante tutte le stesse espressioni, se considerate con maggiore attenzione non indicano che il Signore, nella sua collera, desse ad Aronne quel potere per vendicarsi.

Dice infatti così: Ecco, non c'è forse Aronne tuo fratello levita? Io so che sa parlare assai bene.

Da queste parole si vede che Dio lo rimproverò piuttosto del fatto che aveva paura di andare poiché pensava di non essere adatto, pur avendo il fratello, tramite il quale poteva esporre al popolo ciò che voleva.

Egli infatti aveva la voce gracile e la lingua impacciata, sebbene avesse dovuto sperare tutto da Dio.

Subito dopo Dio ripete la medesima cosa che aveva promesso poco prima e dopo essersi adirato.

In realtà egli aveva detto: Aprirò la tua bocca e ti istruirò, ora invece dice: Aprirò la tua e la sua bocca e vi insegnerò ciò che dovete fare.

Ma poiché aggiunse: e parlerà per te al popolo, pare che Dio gli concesse l'apertura della bocca per il fatto che Mosè aveva detto di essere piuttosto impacciato di lingua.

Quanto alla gracilità della voce il Signore non volle concedere alcun rimedio a Mosè, a causa di quel difetto però aggiunse l'aiuto del fratello, affinché potesse servirsi della voce, valida per istruire il popolo.

Quando perciò il Signore dice: E tu metterai le mie parole nella bocca di lui, dimostra che il Signore avrebbe dato le parole che dovevano essere dette; poiché se il Signore avesse dato ad Aronne solo parole che avrebbe dovuto sentire come il popolo, le avrebbe dette all'orecchio.

Quanto a ciò che dice di seguito il Signore: E parlerà lui per te al popolo ed egli sarà la tua bocca, anche qui è sottinteso " al popolo ".

E quando dice: parlerà per te al popolo, indica bene che in Mosè risiede l'autorità, mentre Aronne è solo l'esecutore di ordini.

Quanto a ciò che è detto subito dopo: Tu invece sarai per lui per le relazioni con Dio, forse qui deve vedersi un gran mistero, di cui è prefigurazione Mosè come intermediario tra Mosè e Dio e Aronne come intermediario tra Mosè e il popolo.

11. ( Es 4,24-26 ) La persona che l'angelo voleva uccidere

La Scrittura poi dice: E avvenne che, lungo il viaggio, durante una sosta di ristoro, lo affrontò l'angelo e cercava di ucciderlo.

Ma Seffora, presa una piccola pietra, tagliò il prepuzio di suo figlio e cadde ai suoi piedi dicendo: " Il sangue della circoncisione di mio figlio s'è fermato ".

E l'angelo del Signore si allontanò poiché essa aveva detto: " Il sangue della circoncisione s'è fermato ".

Riguardo a questo racconto ci si chiede anzitutto chi era la persona che l'angelo voleva uccidere, se cioè fosse Mosè, poiché è detto: Lo affrontò l'angelo e cercava di ucciderlo.

Difatti a chi potremo pensare che l'angelo andò contro se non a colui che era a capo di tutta quanta la comitiva dei suoi e dal quale erano guidati tutti gli altri?

Oppure cercava forse di uccidere il bambino al quale venne in aiuto la madre con il circonciderlo?

In base a questa ipotesi si capirebbe che l'angelo volesse uccidere il bambino, poiché non era stato circonciso, e in tal modo volesse confermare il precetto della circoncisione con la severità del castigo.

Se però la cosa sia stata così, non è chiaro di chi prima è detto: cercava di ucciderlo, poiché si scopre solo da ciò che segue il nome di chi voglia indicare.

Questo è certamente un modo di parlare usato dalla Scrittura strano e inconsueto quello di dire: lo affrontò e cercava di ucciderlo, sebbene l'agiografo non abbia ancora detto prima di chi si parla.

Un simile modo di dire si trova nel Salmo: Le sue fondamenta sui monti santi; il Signore ama le porte di Sion. ( Sal 87,1-2 )

In realtà il Salmo comincia con queste parole senza aver detto nulla di quello o di quella, delle cui fondamenta voleva parlare dicendo: Le sue fondamenta sono sui monti santi.

Ma poiché seguita dicendo: il Signore ama le porte di Sion, perciò sono le fondamenta o del Signore o di Sion, ma in un senso più facile si tratta piuttosto di Sion, cosicché per fondamenta s'intendono quelle della città.

Ora, per il fatto che nel pronome eius il genere è ambiguo, questo pronome infatti [ al genitivo ] è di tutti i tre generi: maschile, femminile e neutro, mentre in greco nel femminile si dice αύτής, al maschile e al neutro αύτοϋ, ed il manoscritto greco ha αύτου, siamo costretti ad intendere quell'eius riferito non alle fondamenta di Sion, ma alle fondamenta del Signore, quelle stabilite dal Signore, del quale è detto: Il Signore edifica Gerusalemme. ( Sal 147,2 )

Il salmista tuttavia, dicendo: Le sue fondamenta sui monti santi, non aveva nominato prima né Sion né il Signore.

Così anche qui senza essere stato nominato prima il bambino è detto: Lo affrontò e cercava di ucciderlo in modo da darci la possibilità di riconoscere nel seguito di chi aveva parlato.

Tuttavia se uno volesse intendere quel pronome riferito a Mosè, non bisogna respingere tale opinione in modo reciso.

Bisognerebbe cercare piuttosto di capire, se fosse possibile, quel che si dice nel seguito, che cosa significhi, cioè, che l'angelo si fosse astenuto dall'uccidere chiunque di essi per il fatto che la donna aveva detto: Si è fermato il sangue della circoncisione del bambino.

Poiché non è detto: " si allontanò da lui " per il fatto di aver circonciso il bambino, ma per il fatto che si fermò il sangue della circoncisione; non perché il sangue era defluito, ma perché si era arrestato, indicando così, se non mi sbaglio, un grande mistero.

12. ( Es 4,20 ) Mosè mise sua moglie e i suoi figli su mezzi di trasporto

La Scrittura precedentemente dice che Mosè mise sua moglie e i suoi figli su mezzi di trasporto per andare con loro in Egitto, mentre [ in un altro passo ] dice che il suocero, Ietro, gli andò incontro con essi dopo che Mosè aveva fatto uscire il popolo dall'Egitto. ( Es 18,1-5 )

Riguardo a queste due versioni possiamo chiederci in qual modo possono essere vere ambedue.

Si deve invece pensare che dopo il proposito dell'angelo di uccidere Mosè o il bambino, Seffora fosse tornata in Egitto con i figli.

Alcuni infatti hanno pensato che l'angelo impedì che la donna accompagnasse Mosè, perché non fosse di ostacolo al marito nella missione impostagli da Dio.

13. ( Es 5,1-3 ) L'ostinazione conseguenza di un giusto castigo

Si pone il quesito come mai al popolo si dice che Dio aveva dichiarato che li avrebbe fatti uscire dall'Egitto alla volta del paese di Canaan, mentre al Faraone viene detto che volevano fare un viaggio di tre giorni in direzione del deserto per immolare al loro Dio come lo stesso Dio aveva ordinato loro.

Si deve invece credere che, sebbene Dio sapesse che cosa stava per fare, poiché conosceva già in precedenza che il Faraone non avrebbe lasciato partire il popolo, tuttavia fu detto in anticipo ciò che sarebbe anche accaduto prima se il Faraone avesse lasciato partire il popolo.

In realtà fu l'ostinazione arrogante del Faraone e dei suoi a meritare che avvenissero tutti i fatti come sono attestati in seguito dalla Scrittura.

Poiché Dio non mentisce nell'ordinare una cosa ch'egli sa che non sarà compiuta da colui al quale viene ordinata con la conseguenza di un giusto castigo.

14. ( Es 5, 22-23 ) Mosè interroga Dio e lo prega

Così dice Mosè al Signore: Perché hai fatto del male a questo popolo? E perché m'hai inviato?

Da quando sono andato dal Faraone per parlare in tuo nome, egli ha maltrattato questo popolo e tu non hai liberato il tuo popolo.

Queste non sono parole di ribellione e d'indignazione, ma d'interrogazione e di orazione, come appare chiaramente da ciò che gli risponde il Signore, poiché non lo accusò di mancare di fede ma gli rivelò che cosa aveva intenzione di fare.

15. ( Es 6,14-28 ) Genealogia di Mosè

Non c'è dubbio che racchiuda un mistero questo passo in cui la Scrittura, volendo mostrare la genealogia di Mosè, perché ormai lo richiedeva la sua attività, comincia dal primogenito di Giacobbe, cioè da Ruben e poi da lui passa a Simeone e a Levi senza andare più lontano, poiché Mosè era discendente di Levi.

Sono invece ricordati coloro che erano stati già menzionati tra quei settantacinque con i quali Israele entrò in Egitto, poiché Dio volle che la tribù sacerdotale non fosse né la prima né la seconda ma la terza, cioè quella di Levi.

16. ( Es 6,30 ) Mosè si scusa per la debolezza della voce

Mosè disse [ al Signore ]: Ecco, io ho la voce debole, e come potrà ascoltarmi il Faraone?

Sembra che Mosè si scusi per la debolezza della voce non solo di fronte a una moltitudine di persone ma anche di fronte a una sola persona.

È strano che Mosè avesse una voce tanto gracile da non poter essere udito neppure da una sola persona.

O per caso era il superbo disdegno del re che non permetteva loro di parlare da vicino.

A Mosè però viene detto: Ecco, ti ho dato come dio al Faraone, e tuo fratello Aronne sarà il tuo profeta. ( Es 7,1 )

17. ( Es 7,1 ) Cosa fu detto a Mosè quando fu inviato al popolo

Si deve osservare che quando Mosè fu inviato al popolo, non gli fu detto: " Ecco, io ti ho dato come un dio al popolo e tuo fratello sarà il tuo profeta ", ma gli fu detto: Tuo fratello parlerà per te al popolo.

Gli fu detto anche: Egli sarà la tua bocca e tu per lui, per le cose riguardanti Dio. ( Es 4 ,16 )

Non gli fu detto: " tu sarai per lui come un dio ".

Si dice invece che Mosè fu dato come un dio al Faraone e, analogamente, Aronne fu dato a Mosè come profeta, ma in relazione al Faraone.

Qui ci viene fatto capire che i Profeti di Dio dicono ciò che ascoltano da lui e che un profeta di Dio non è altro che uno il quale comunica le parole di Dio alle persone che non possono o non meritano di ascoltare [ direttamente ] Dio.

18. ( Es 7,3 ) Se l'indurimento del cuore del Faraone fu necessario

Ripetutamente Dio dice: Io indurirò il cuore del Faraone, e sembra indicare il motivo perché lo fa.

Indurirò - è detto - il cuore del Faraone e moltiplicherò i miei segni e i miei prodigi nell'Egitto, come se l'indurimento del cuore del Faraone fosse necessario perché si moltiplicassero o si completassero i segni di Dio nell'Egitto.

Dio dunque si serve in bene dei cuori cattivi per ciò che vuol mostrare ai buoni o per ciò che ha intenzione di fare ad essi.

E sebbene la propensione del cuore di chiunque scelga il male, cioè che ha il cuore rivolto al male, si produca per la colpa personale di ciascuno - colpa che trae origine dal libero arbitrio di ciascuno - tuttavia, che il cuore sia trasportato da quella sua cattiva disposizione e venga mosso al male in un senso o nell'altro, dipende da cause che agiscono sullo spirito.

L'esserci o il non esserci di queste cause non è in potere dell'uomo.

Esse tuttavia provengono dalla provvidenza, occulta ma assolutamente giusta, di Dio che dispone e governa tutto ciò che egli ha creato.

Che dunque il Faraone avesse un tale cuore da non essere mosso dalla pazienza di Dio alla pietà, ma piuttosto all'empietà, fu conseguenza di una sua colpa personale.

Il suo cuore tanto malvagio a causa della propria colpa si oppose agli ordini di Dio, proprio in questo consiste quello che è chiamato indurimento: infatti, piuttosto di arrendersi e acconsentire, s'irrigidiva e si opponeva.

Il perché accaddero quei fatti, fu opera del piano divino di salvezza, che preparava, ad un simile cuore, un castigo non solo non ingiusto, ma chiaramente giusto, mediante il quale sarebbero corretti coloro che temono Dio.

In effetti dall'attrattiva del lucro, per esempio, al fine di commettere un omicidio, vengono mossi in un modo un avaro, in un altro modo invece chi disprezza il denaro.

Il primo viene mosso a perpetrare il delitto, il secondo invece a guardarsi bene dal compierlo; tuttavia l'offerta del lucro non era in potere di nessuno di loro.

Allo stesso modo si presentano ai malvagi dei motivi di peccare che non sono in loro potere - è vero - ma forniscono loro l'occasione di mostrarsi quali sono stati resi da quei motivi a causa dei propri vizi in conseguenza della loro precedente volontà.

Bisogna tuttavia vedere bene se la frase: io indurirò si può intendere come se Dio dicesse: " farò vedere io quanto egli è indurito ".

19. ( Es 7,9 ) Perché l'intervento di Aronne

Se il Faraone vi dirà: " Dateci un segno o un prodigio ", tu dirai a tuo fratello Aronne: " Prendi il bastone e gettalo davanti al Faraone e ai suoi servi ed esso diventerà un drago ".

In questo caso non era necessario che Mosè, per parlare, si servisse di Aronne, poiché - a quanto sembra - gli era stato concesso quasi per necessità a causa della debolezza della sua voce, ma si doveva solo gettare il bastone perché diventasse un drago.

Perché dunque non lo fece personalmente Mosè, se non perché questo intervento di Aronne, tra Mosè e il Faraone, è la figura di qualcosa d'importante?

20. ( Es 7,10 ) Aronne gettò il suo bastone

Bisogna inoltre considerare anche quest'altro particolare: nell'atto di compiersi quel prodigio davanti al Faraone, la Scrittura dice: E Aronne gettò il suo bastone.

Se avesse detto solo: " gettò il bastone ", non ci sarebbe stato alcun problema; siccome però aggiunse: " il suo ", sebbene glielo avesse dato Mosè, allora questa espressione forse non è senza ragione.

Oppure si può dare il caso che quel bastone appartenesse a tutti e due, di modo che si sarebbe potuto chiamare bastone dell'uno e dell'altro con ugual verità?

21. ( Es 7,12 ) Il bastone di Aronne e il bastone dei maghi

E il bastone di Aronne divorò i loro bastoni. Se la Scrittura avesse detto: " Il drago di Aronne ingoiò i loro bastoni ", si sarebbe capito che il vero drago di Aronne avesse inghiottito non quelle apparenze irreali di bastoni prodotte dagli incantatori, ma i loro bastoni; dal momento che esso poté divorare ciò che quelli erano, non ciò che sembravano essere, ma non erano.

Poiché però la Scrittura dice: Il bastone di Aronne divorò i loro bastoni, il drago, non il bastone, poté certamente divorare i bastoni.

La Scrittura infatti chiama la cosa con il nome di ciò da cui era stata mutata, e non con il nome di ciò in cui era stata cambiata, poiché tornò alla sua natura anteriore e quindi si sarebbe dovuta chiamare ciò che era originariamente.

Che cosa si deve dire dunque dei bastoni dei maghi? Erano diventati forse anch'essi veri draghi, ma furono chiamati bastoni per la stessa ragione per cui era chiamato anche il bastone di Aronne?

O forse per un inganno sembravano essere ciò che non erano? Perché dunque in ambedue i casi la Scrittura li chiama sia bastoni che draghi, senza fare alcuna differenza quando parla riguardo il modo di questi inganni?

Tuttavia anche se, da bastoni dei maghi si mutarono in veri draghi, è difficile mostrare in qual modo non furono creatori né i maghi né gli angeli cattivi, attraverso i quali i maghi operavano quei portenti.

Perché nelle cose materiali sono presenti, sparse in tutti gli elementi del mondo, certe occulte ragioni seminali in virtù delle quali, date certe circostanze di tempo e certe cause favorevoli si sviluppano e danno origine a determinate specie, in virtù delle qualità e dei fini, che sono loro propri.

Così gli angeli, che compiono questi prodigi, non sono chiamati creatori di animali allo stesso modo che non devono chiamarsi creatori delle messi o degli alberi o di qualunque specie di vegetali che germinano sulla terra gli agricoltori, sebbene sappiano procurare ad essi alcune evidenti occasioni opportune e cause visibili, affinché nascano.

Ma ciò che fanno costoro in modo visibile lo fanno anche gli angeli in modo invisibile; al contrario l'unico creatore è il solo Dio che innestò nelle cose le loro cause e ragioni seminali.

Ho parlato brevemente di un argomento che, se dovesse essere sviluppato con esempi e mediante una lunga discussione, al fine di farlo capire più facilmente, sarebbe necessario un lungo discorso.

Ci scusiamo di non farlo, a causa della nostra fretta.

22. ( Es 7,22 ) Fu grande l'indurimento del cuore del Faraone

Lo stesso però fecero anche gli incantatori egiziani con i loro sortilegi; e il cuore del Faraone s'indurì e non li ascoltò, come aveva detto il Signore.

Da queste parole della Scrittura sembrerebbe che il cuore del Faraone s'indurì poiché gli incantatori egiziani avevano fatto lo stesso.

Il seguito [ del racconto ] però mostrerà quanto grande fu quell'indurimento anche quando gli incantatori fallirono.

23. ( Es 8,7 ) Da dove sono uscite le rane

Ma gli incantatori tra gli Egiziani fecero la stessa cosa con i loro sortilegi e fecero salire le rane sul paese dell'Egitto.

Si pone il quesito: Da dove [ fecero salire le rane ] se il prodigio era già avvenuto in tutto il paese?

Ma un quesito simile è il seguente: In che modo cambiarono l'acqua in sangue, se tutta l'acqua dell'Egitto era stata già cambiata in sangue?

Si deve pensare allora che non fu colpita da tali castighi la regione, ove abitavano gli Israeliti.

E così di lì gli incantatori poterono attingere l'acqua per cambiarla in sangue o far salire alcune rane solo per dimostrare il loro potere magico.

Nondimeno poterono operare quei sortilegi anche dopo che quei castighi erano stati fatti cessare.

Ma la Scrittura usò immediatamente di seguito la narrazione di fatti che poterono accadere anche dopo.

24. ( Es 8,15 ) Le cause dell'ostinazione del Faraone

E il Faraone vide che si era tornati a respirare, ma il suo cuore s'indurì e non li ascoltò, come aveva detto il Signore.

Qui si vede che, le cause dell'ostinazione del cuore del Faraone, non furono solo che i suoi incantatori compivano gli stessi prodigi [ di Mosè ], ma anche la pazienza di Dio con la quale lo perdonava.

La pazienza di Dio dipende dal cuore degli uomini; per alcuni è utile in quanto li conduce a pentirsi, per altri invece è inutile in quanto li conduce a resistere a Dio e a perseverare nel male.

Essa tuttavia non è inutile per se stessa, ma dipende dal cuore cattivo [ dell'uomo ], come abbiamo già detto.

Lo dice anche l'Apostolo: [ O forse agisci così]  perché non sai che la pazienza di Dio ti spinge a cambiare la tua mentalità?

Tu, invece, con la tua ostinazione e con il tuo rifiuto di cambiare mentalità, accumuli sul tuo capo la collera di Dio per il giorno del castigo, in cui si manifesterà la giusta sentenza di Dio che pagherà ciascuno secondo le sue azioni. ( Rm 2,4-6 )

Così anche in un altro passo, dopo aver detto: Siamo il buon profumo di Cristo ovunque, soggiunse anche: [ e lo siamo ] non solo per coloro che sono avviati alla salvezza, ma anche per coloro che vanno verso la perdizione. ( 2 Cor 2,15 )

Non disse di essere buon profumo per coloro che sono sulla via della salvezza e invece un cattivo profumo per coloro che vanno in perdizione, ma disse soltanto di essere il buon profumo.

I malvagi invece sono in verità così fatti che, anche con il buon profumo - come abbiamo spesso ripetuto - vanno in perdizione a causa della disposizione del loro cuore, la quale deve essere cambiata con la buona volontà cooperante con la grazia di Dio, affinché le possano essere di utilità i giudizi di Dio, che sono di perdizione per i cuori cattivi.

Ecco perché il Salmista, avendo cambiato in meglio il suo cuore cantava: La mia anima vivrà e ti loderà; e i tuoi giudizi mi aiuteranno. ( Sal 119,175 )

Il Salmista non dice: " i tuoi doni " o " i tuoi premi ", bensì: i tuoi giudizi.

È importante che uno con sincera confidenza possa dire: Mettimi alla prova, o Signore, e sperimentami; saggia al fuoco i miei reni e il mio cuore.

E per non dare l'impressione di attribuirsi qualcosa dalle proprie forze, immediatamente aggiunge: poiché la tua misericordia è davanti ai miei occhi e mi sono compiaciuto della tua verità. ( Sal 26,2-3 )

Ricorda la misericordia usatagli al fine di poter compiacersi della verità, poiché tutte le vie del Signore sono misericordia e verità. ( Sal 25,10 )

25. ( Es 8,19 ) Il dito di Dio agiva per mezzo di Mosè

I maghi dissero al Faraone: Dito di Dio è questo, poiché non avevano potuto far uscire le zanzare: si erano certamente resi conto che i loro tentativi di far uscire le zanzare non erano stati delusi dalle loro esecrabili arti - poiché ne conoscevano il potere - come se Mosè fosse più potente di quelle arti, ma dal dito di Dio, il quale di certo agiva per mezzo di Mosè.

Per dito di Dio s'intende poi, come dice assai chiaramente il Vangelo, lo Spirito Santo.

Di fatto, mentre un Evangelista riferisce le parole del Signore, dicendo: Se io scaccio i demoni in virtù del dito di Dio, ( Lc 11,20 ) un altro Evangelista, narrando lo stesso fatto, volle spiegare che cosa intendesse con il dito di Dio e disse: Se io scaccio i demoni in virtù dello Spirito di Dio. ( Mt 12,28 )

Perciò, sebbene i maghi, nel cui potere il Faraone riponeva una grande fiducia, confessassero che era in Mosè il dito di Dio in virtù del quale venivano vinti e i loro sortilegi venivano resi vani, il cuore del Faraone ora s'irrigidì in un'ostinazione assolutamente singolare.

È però difficile intendere e spiegare perché i maghi fallirono in questo terzo flagello, poiché i flagelli cominciarono da quando l'acqua fu cambiata in sangue.

Avrebbero infatti potuto fallire anche nel primo segno, quando il bastone fu cambiato in serpente, e nella prima " piaga " quando l'acqua fu cambiata in sangue o nella seconda relativa alle rane, se lo avesse voluto il dito di Dio, cioè lo Spirito di Dio.

Chi, anche se pazzo al massimo, potrebbe dire che il dito di Dio poté impedire i tentativi dei maghi riguardo a questo segno-prodigio ma non poté impedirli in quelli precedenti?

C'è dunque un motivo assolutamente certo perché fu loro permesso di operare quei sortilegi fino a questo momento.

Forse qui è ricordata la Trinità e, come è vero, i più grandi filosofi pagani, per quanto si apprende dai loro scritti, fecero della filosofia senza fare allusione allo Spirito, benché non omisero di parlare del Padre e del Figlio, come ricorda anche Didimo nel libro che egli scrisse sullo Spirito Santo.

26. ( Es 8,21-23 ) La regione in cui dimorava il popolo di Dio non fu travagliata da nessun flagello

Ecco, io manderò mosconi contro di te, contro i tuoi ministri, contro il tuo popolo e contro le tue case; e le case degli Egiziani saranno riempite di mosconi perché tu sappia che sono io il Signore di tutta la terra.

Io però metterò una separazione tra il mio e il tuo popolo.

Ciò che la Scrittura - per non ripeterlo in ogni caso - dice chiaramente in questo passo, dobbiamo credere che avvenne non solo in relazione ai segni-prodigi posteriori, ma anche a quelli precedenti, che cioè la regione in cui dimorava il popolo di Dio non fu travagliata da nessuno di quei flagelli.

Era però opportuno che questo particolare fosse indicato dalla Scrittura al punto dal quale cominciano i segni-prodigi simili ai quali i maghi non tentarono neppure compierne, poiché senza dubbio in tutto il regno del Faraone c'erano state le zanzare, ma non c'erano state nella regione di Gersen; ivi i maghi tentarono di compiere il medesimo portento ma non ci riuscirono.

Fino a quando dunque i maghi non fallirono, la Scrittura non dice nulla della separazione di quella regione; ma da quando cominciarono a compiersi questi prodigi ed essi non osarono più nemmeno tentare di fare qualcosa di simile.

27. ( Es 8,25 ) Verifica fra manoscritti latini e greci

Dove i manoscritti latini hanno: Andate a sacrificare al Signore vostro Dio nel paese, quelli greci hanno: Venite a sacrificare al Signore vostro Dio.

[ Il Faraone ] infatti non voleva che andassero dove essi dicevano, ma voleva che facessero il sacrificio lì nell'Egitto.

Ciò è dimostrato dalle parole di Mosè che seguono, ( Es 8, 26 ) dove si dice che il sacrificio non poteva essere compiuto per le abominazioni degli Egiziani.

28. ( Es 8,26 ) lI sacrificio degli ebrei abominevole per gli egiziani

Le parole di Mosè: Non si può fare così, perché immoleremmo al Signore nostro Dio [ un sacrificio che è ] un abominio per gli Egiziani vogliono dire: noi faremmo un sacrificio che gli Egiziani aborriscono e perciò non possiamo farlo nell'Egitto.

Questo significato lo dimostrano chiaramente le parole che Mosè soggiunge dicendo: poiché, se offriremo sotto i loro occhi un sacrificio aborrito dagli Egiziani, saremo lapidati.

Alcuni dei nostri traduttori, che non capirono queste parole, le tradussero in questo modo: Non è opportuno fare così; offriremo forse a Dio nostro Signore un sacrificio abominevole per gli Egiziani?

La Scrittura invece dice che avrebbero fatto un sacrificio abominevole per gli Egiziani.

Al contrario, in altri manoscritti latini si legge: Non è opportuno fare così, poiché non offriremo al Signore nostro Dio un sacrificio abominevole per gli Egiziani.

L'aggiunta della particella negativa dà alla frase il senso contrario, dato che Mosè dice: Non è opportuno fare così, poiché faremmo a Dio nostro Signore un sacrificio abominevole per gli Egiziani, e per questo dicevano di volere andare nel deserto, ove gli Egiziani non potessero vedere ciò che essi abominavano.

In ciò deve tuttavia vedersi un senso allegorico, come abbiamo già detto a proposito dei pastori ch'erano aborriti dagli Egiziani ( Gen 46,34 ) e per questo motivo gli Israeliti ricevettero una regione separata quando andarono in Egitto.

Così pure sono aborriti dagli Egiziani i sacrifici degli Israeliti allo stesso modo che è aborrita dagli iniqui la condotta dei giusti.

29. ( Es 8,28 ) L'origine dei peccati è nella volontà dell'uomo

Dopo che le cavallette erano state portate via [ dal vento], la Scrittura dice così del Faraone: Ma anche questa volta il Faraone indurì il suo cuore e non volle lasciar partire il popolo.

Di certo la Scrittura non dice ora " il cuore del Faraone s'indurì ", ma: il Faraone indurì il suo cuore.

Così la Scrittura dice a proposito di tutte le piaghe.

Poiché l'origine dei peccati è nella volontà dell'uomo: il cuore delle persone però è mosso dalle occasioni talora in un senso, tal'altra invece in un altro, spesso da occasioni simili, a seconda delle proprie disposizioni morali, che derivano dalla volontà.

30. ( Es 9,7 ) Perché l'ostinazione del faraone

Ma vedendo il Faraone che del bestiame dei figli d'Israele non era morto alcun capo, il cuore del Faraone s'indurì.

In qual modo poté avvenire questa ostinazione del cuore del Faraone per cause da cui era da aspettarsi un effetto contrario?

Se infatti fosse morto anche il bestiame degli Israeliti, allora poteva sembrare un giusto motivo che il suo cuore si ostinasse a disprezzare Dio, come se anche i suoi maghi avessero fatto morire il bestiame degli Israeliti.

Ora, al contrario, ciò che avrebbe dovuto spingerlo a temere o a credere, vedendo che nessun capo di bestiame degli Ebrei era morto, fu la causa della sua ostinazione; vale a dire: la sua ostinazione arrivò perfino a questo punto.

31. ( Es 9,8-9 ) L'ordine di spandere verso il cielo la fuliggine

Che cosa significa ciò che Dio dice ad Aronne e a Mosè: Prendete per voi a piene mani della fuliggine di fornace, e Mosè la spanda verso il cielo al cospetto del Faraone e dei suoi ministri e diventi polvere in tutto il paese d'Egitto?

I segni-prodigi precedenti erano compiuti, infatti, per mezzo del bastone, che stendeva sull'acqua o con cui batteva il suolo Aronne e non Mosè; ora invece, dopo i due segni-prodigi dei mosconi e della morte del bestiame, nei quali né Aronne né Mosè avevano fatto nulla con le mani, viene detto che Mosè spanda verso il cielo fuliggine di forno, e viene dato ad entrambi l'ordine di prenderla, ma l'ordine di spanderla, non verso il suolo ma verso il cielo, viene dato solo a Mosè, come se Aronne - ch'era stato dato a Mosè per il popolo - dovesse battere il suolo oppure stendere la mano verso la terra o verso l'acqua, mentre, al contrario a Mosè - del quale era stato detto: Tu sarai per lui per le relazioni con Dio ( Es 4,16 ) - viene ordinato di spandere la fuliggine verso il cielo.

Che cosa simboleggiano i due segni-prodigi precedenti, in cui né Mosè né Aronne eseguono nulla con le mani?

Che significa questa differenza? Senza dubbio qualcosa d'importante.

32. ( Es 9,16 ) Parole della Scrittura citate da Paolo

E proprio per questo sei stato mantenuto in vita, perché io mostri in te la mia forza, e il mio nome sia annunciato su tutta la terra.

Queste parole della sacra Scrittura le citò anche l'Apostolo quando si trovò a trattare del medesimo passo estremamente difficile.

Ivi infatti dice anche: Dio, volendo, avrebbe potuto mostrare la sua collera e manifestare la sua potenza, e invece ha tollerato con molta pazienza coloro che provocavano la sua collera - perdonando per l'appunto coloro che ab aeterno sapeva sarebbero stati cattivi, e che sono detti: maturi per la perdizione - e per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso coloro, che sono chiamati " vasi " della sua misericordia. ( Rm 9,22-23 )

Per conseguenza così risuona nei Salmi la voce di coloro che sono oggetto della misericordia: O mio Dio!

La sua misericodia mi preverrà. Il mio Dio si è manifestato nei miei nemici. ( Sal 5,11-12 )

Dio sa fare dunque buon uso dei cattivi, nei quali tuttavia non crea per la cattiveria l'umana natura, ma li sopporta pazientemente fino a quando sa che è conveniente; e non senza uno scopo, ma servendosi di essi per ammonire o per provare i buoni.

Ecco infatti che giova senz'altro a coloro che sono oggetto della misericordia che fosse annunziato su tutta la terra il nome di Dio.

Il Faraone quindi fu conservato in vita per la loro utilità, come attesta la Scrittura e come mostra il risultato.

33. ( Es 9,19 ) Anche quando è adirato, Dio mitiga il castigo

Perché Iddio, quando minacciò di far cadere una grandine assai violenta, ordinò al Faraone di radunare in fretta il proprio bestiame e tutto ciò che aveva nei campi, perché non perisse?

In realtà questo avvertimento pare ispirato piuttosto dalla misericordia che dalla collera.

Ma ciò non pone alcun problema, dal momento che, anche quando è adirato, Dio mitiga il castigo.

Ciò che giustamente crea difficoltà è sapere per quale bestiame adesso egli ha riguardo, se tutti i capi del bestiame erano morti per il flagello precedente, durante il quale la Scrittura dice che Dio fece distinzione tra il bestiame degli Ebrei e quello degli Egiziani, in modo che non morì alcuna bestia degli Ebrei e al contrario morirono tutte le bestie degli Egiziani. ( Es 9,6 )

O forse il problema si risolve tenendo presente che Dio aveva predetto che sarebbero morte le bestie che si trovassero nella campagna ( Es 9,3 ) e perciò si deve pensare che queste morirono tutte, ma si salvarono quelle che erano nelle stalle e che poterono anche essere radunate e trattenute nelle stalle dagli Egiziani che temevano fosse vero quanto Mosè aveva predetto che il Signore avrebbe compiuto.

D'altra parte, tra queste bestie potevano trovarsi di nuovo nei campi quelle che adesso [ il Signore ] avverte di radunare nelle stalle perché non periscano sotto la grandine.

Ciò risulta soprattutto per quanto la Scrittura dice di seguito: Le persone del seguito del Faraone che temerono la parola del Signore radunarono il proprio bestiame nelle loro stalle.

Ma chi non prestò attenzione alla parola del Signore lasciò nella campagna il proprio bestiame. ( Es 9,20-21 )

Ciò dunque poté succedere allorché Dio minacciò anche la morte, sebbene la Scrittura non lo abbia [ espressamente ] detto.

34. ( Es 9,22 ) A Mosè è ordinato di stendere di nuovo la mano

E il Signore disse a Mosè: " Stendi la tua mano verso il cielo e cadrà la grandine in tutto il paese d'Egitto ".

Ecco che a Mosè è ordinato di stendere di nuovo la mano non verso la terra ma verso il cielo, come prima a proposito della fuliggine.

35. ( Es 9, 27.30 ) È facile temere il castigo, ma ciò non è temere Iddio

Allorché il Faraone, atterrito dai tuoni, ch'erano molto forti durante la grandinata, chiedeva a Mosè di pregare per lui, confessando l'iniquità sua e del suo popolo, Mosè gli disse: Ma io so che tu e quelli del tuo seguito ancora non temete Dio.

Che specie di timore cercava Mosè, per il quale quel timore non era ancora il timore del Signore?

È infatti facile temere il castigo, ma ciò non è temere Iddio, vale a dire con il timore proveniente dallo spirito di fede ricordato da Giacobbe quando dice: Se non fosse stato con me il Dio di mio padre, il Dio di Abramo e il Terrore di Isacco, tu ora mi avresti rimandato a mani vuote. ( Gen 31,42 )

36. ( Es 10,1 ) In che senso Dio ha indurito il cuore del Faraone

Il Signore disse a Mosè: " Va' dal Faraone, poiché sono stato io a indurire il cuore di lui e dei suoi ministri, affinché piombino, l'uno dopo l'altro, su di loro questi miei segni ".

Così dice la Scrittura: Sono stato io a indurire il cuore del Faraone, affinché l'uno dopo l'altro piombino su di essi questi miei segni, come se Dio avesse bisogno della cattiveria di qualcuno.

La frase, al contrario, deve interpretarsi come se la Scrittura dicesse: " Io ho usato pazienza con lui e con quelli del suo seguito, in modo da non toglierli di mezzo, affinché piombino, uno dopo l'altro su di loro questi miei segni ".

Poiché l'animo diventava più ostinato per la pazienza di Dio, invece di dire: " ho usato pazienza con lui ", la Scrittura dice: Ho indurito il suo cuore.

37. ( Es 10,19-20 ) I cuori cattivi si ostinano approfittando malamente della pazienza di Dio

E in tutto il paese d'Egitto non fu lasciata una sola cavalletta. Ma il Signore indurì il cuore del Faraone.

La Scrittura ricorda come un beneficio accordato certamente da Dio quello d'aver fatto sparire le locuste e poi dice che il Signore indurì il cuore del Faraone; ciò comunque egli fece per un suo favore e per la sua pazienza, con cui avveniva quella ostinazione mentre Dio perdonava il Faraone, come tutti i cuori cattivi degli uomini si ostinano approfittando malamente della pazienza di Dio.

38. ( Es 10, 21.12 ) Il flagello delle tenebre

Per la terza volta viene detto a Mosè: Stendi la tua mano verso il cielo, perché venisse anche il flagello delle tenebre.

Al fratello Aronne invece non fu detto mai di stendere la mano verso il cielo.

Nell'ordine dato a Mosè: Stendi la tua mano sul paese d'Egitto affinché salgano sul paese le cavallette, credo fosse indicato pure che possa fare meno chi ha maggior potere, ma che non può senz'altro fare cose maggiori colui al quale sono concessi poteri minori.

39. ( Es 11,2 ) Gli Israeliti, spogliando gli Egiziani, obbedirono a Dio

Iddio disse a Mosè: Parla dunque in segreto alle orecchie del popolo e ogni uomo al suo vicino e ogni donna alla sua vicina chieda oggetti d'argento e d'oro e vestiti.

Da questo passo nessuno deve pensare di prendere esempio per spogliare il prossimo in questa maniera; poiché a dare quell'ordine fu Dio, il quale sapeva che cosa ciascuno avrebbe dovuto sopportare.

Gli Israeliti inoltre non commisero un furto, ma prestarono un servizio a Dio che lo aveva comandato.

La stessa cosa avviene quando un giustiziere uccide un individuo la cui morte è stata ordinata dal giudice; certamente, però, se lo farà di sua propria volontà sarà un omicida anche se ucciderà uno che egli sa che sarebbe dovuto essere ucciso per ordine del giudice.

Si presenta a questo punto un problema: se gli Ebrei abitavano in disparte nel paese di Gessen, ove non accadevano neanche le " piaghe " dalle quali era afflitto il regno del Faraone, in che modo ciascun Israelita può chiedere al suo vicino o alla sua vicina oggetti d'oro e d'argento e vestiti, soprattutto per il fatto che, appena viene dato quest'ordine per mezzo di Mosè, sta scritto così: E la donna chiederà alla sua vicina e sua compagna di tenda e compagna di cella - concellaria o concellanea, se così può dirsi - o sua coinquilina. ( Es 3,22 )

Per conseguenza si deve pensare che anche nel paese di Gessen abitavano non solo gli Ebrei ma che in quella regione abitavano con loro anche alcuni Egiziani, ai quali poterono arrivare anche quei benefici divini grazie agli Ebrei di modo che li amavano anche gli stessi Egiziani che abitavano insieme a loro e facilmente concedevano ciò che quelli chiedevano, ma ciononostante Dio non giudicò che essi fossero stati estranei ai torti e ai maltrattamenti sopportati dal popolo di Dio, in modo da non essere colpiti neppure da questa perdita essi che non erano stati colpiti da quei flagelli per il fatto che Dio aveva risparmiato quella regione.

40. ( Es 11,9 ) Dio fece servire a fin di bene la malvagità del cuore del Faraone

Il Signore poi disse a Mosè: " Il Faraone non vi ascolterà perché io moltiplichi i miei segni e i miei prodigi nel paese d'Egitto ", come se avesse avuto bisogno della disubbidienza del Faraone per moltiplicare i suoi segni e prodigi che era utile compiere per ispirare timore al popolo di Dio e, mediante il fatto stesso di separarlo [ dagli Egiziani ], educarlo allo spirito di fede e di amore verso Dio.

Questo però non fu merito del Faraone che abusò della pazienza di Dio, ma opera di Dio che fece servire a fin di bene la malvagità del cuore del Faraone.

41. ( Es 12, 10.46 ) Nulla dell'agnello doveva rimanere

Quel che ne resterà lo brucerete interamente nel fuoco il mattino seguente.

Possiamo chiederci come poteva rimanere qualcosa dal momento che il popolo era stato avvertito che, se una casa non avesse avuto tante persone sufficienti per consumare l'agnello, si dovevano prendere i vicini di casa. ( Es 12,4 )

Ma poiché è detto: Non gli spezzerete alcun osso, si capisce che certamente ne sarebbero rimaste le ossa, che dovevano essere bruciate interamente nel fuoco.

42. ( Es 12,5 ) Come doveva essere l'agnello

Sarà per voi un agnello senza difetto, maschio, di un anno.

Questo modo di esprimersi può sorprendere chi non sa per qual bisogno la frase è stata tradotta così, come se l'agnello potesse essere non maschio.

[ Invece di agnus ] si sarebbe dovuto tradurre con ovis [ = pecora ] poiché il greco ha πρόβατον, ma πρόβατον nella lingua greca è di genere neutro con il quale si sarebbero potuti concordare gli altri termini che seguono, come se l'agiografo avesse detto: sarà per voi pecus perfectum [ un animale minuto, senza macchia ], [ maschio ], anniculum [ di un anno ].

In latino si poteva dire masculum pecus [ un capo di bestiame maschio ] come si dice Mascula tura [ grani d'incenso della migliore qualità ] di genere neutro; invece non potrebbe aversi ovis masculus [ una pecora maschio ] poiché ovis [ la pecora ] è di genere femminile.

Analogamente sarebbe più illogico se si dicesse ovis mascula [ una pecora maschia ].

Se, al contrario, si fosse tradotto il termine greco con pecus [ capo di bestiame ] si sarebbe inteso anche un altro animale e non si sarebbe conservato il mistero, poiché la Scrittura, parlando della pecora, subito dopo dice: lo prenderete tra le pecore e i capri.

In questo passo si pensa con ragione che è prefigurato Cristo.

Che bisogno c'era, infatti, che fosse dato quel precetto di prendere una pecora o un agnello tra gli agnelli e tra i capretti, se non fosse prefigurato Colui, la carne del quale era discendente non solo dei giusti ma anche dei peccatori?

Senonché i Giudei credono doversi interpretare che si potesse prendere anche un capretto per celebrare la Pasqua.

A loro parere la Scrittura dice che si poteva prendere tra gli agnelli e i capretti, come se dicesse che bisognasse prendere un agnello tra gli agnelli o un capretto tra i capretti qualora non si trovasse un agnello.

È tuttavia evidente che cosa era prefigurato da quel precetto dopo che quei fatti si furono realizzati nel Cristo.

43. ( Es 12,14 ) In qual senso la Scrittura suole chiamare eterna una cosa

La seguente frase: E celebrerete questo giorno per tutte le generazioni - prescrizione di un rito sacro - come giorno eterno [ o eternale ], che in greco si dice αίώνιον, non si deve intendere come se, tra i giorni di quaggiù ce ne potesse essere alcuno eterno, ma è eterno ciò che è significato da questo giorno.

Allo stesso modo quando diciamo che è eterno Dio, noi non diciamo che sono eterne le due sillabe di Deus, ma ciò che significano.

Senonché bisogna esaminare attentamente in qual senso la Scrittura suole chiamare eterna una cosa, se per caso abbia detto così solennemente eterno il giorno che gli Israeliti avrebbero dovuto ritenere illecito abbandonare o cambiare a proprio talento.

Poiché una cosa è ciò che si comanda di fare in una determinata circostanza - come fu comandato che l'arca girasse attorno alle mura di Gerico ( Gs 6,4 ) - un'altra cosa è comandare di osservare una pratica senza che sia prefissato il limite di tempo fino al quale si deve osservare quell'obbligo solennemente ogni giorno o mese oppure ogni anno, o a determinati intervalli di molti o solo di alcuni anni.

Perciò o è stato chiamato " eterno " ciò che non avrebbero dovuto osare di omettere di celebrare di propria volontà, oppure, come ho detto, non si deve pensare come eterni i segni delle cose ma le realtà eterne prefigurate da essi.

44. ( Es 12,30 ) Perché non ci fu alcuna casa senza un primogenito

E si alzò un urlo assai forte nel paese d'Egitto, poiché non c'era casa in cui non vi fosse un morto.

Non poteva esserci forse una casa che non avesse un primogenito?

Dato dunque che morivano solo i primogeniti, come mai non ce n'era alcuna che non avesse un morto?

Era stato forse predisposto dalla prescienza di Dio anche questo, cioè che in tutte le case degli Egiziani, nessuna eccettuata, si trovassero dei primogeniti?

Naturalmente non si deve credere che da questo flagello furono immuni gli Egiziani che abitavano nella regione di Gessen poiché era un flagello che colpiva le persone e gli animali, non la terra.

Mi spiego: colpiti arcanamente dall'angelo morivano i primogeniti delle persone e degli animali: non si trattava di qualche sventura che si formava sulla terra o nel cielo, come le rane o le cavallette o le tenebre, da cui venissero tormentati gli abitanti.

Infatti, poiché il paese di Gessen era stato risparmiato da siffatti flagelli, senza dubbio ne derivava un beneficio agli Egiziani che dimoravano nella medesima regione insieme agli Ebrei; da questo flagello, al contrario, furono colpiti tutti i loro primogeniti.

45. ( Es 12,35-36 ) Si racconta di nuovo quanto accadde

I figli d'Israele fecero poi come aveva ordinato loro Mosè e chiesero agli Egiziani oggetti d'oro, oggetti d'argento e vestiti.

E il Signore concesse grazia al suo popolo davanti agli Egiziani che glieli diedero; e così spogliarono gli Egiziani.

Ciò era già accaduto prima della morte dei primogeniti egiziani, ma ora è ripetuto con la ricapitolazione, poiché fu raccontato quanto accadde.

Ora, come avrebbero potuto gli Egiziani dare ai figli d'Israele quegli oggetti in quel lutto tanto sconsolato?

Salvo che uno dicesse anche che da quel flagello non furono colpiti gli Egiziani che abitavano nel paese di Gessen insieme con gli Ebrei.

46. ( Es 12,22 ) Di quale sangue furono spalmate la porta e gli stipiti

Che significa ciò che dice [ la Scrittura ]: Prendete poi un mazzo d'issopo e, intingendolo nel sangue che è presso la porta, spalmatelo sopra la soglia e sopra l'uno e l'altro stipite?

Infatti possiamo chiederci di quale sangue presso la porta si parla, dato che si pensa voglia senza dubbio trattarsi del sangue dell'agnello con l'immolazione del quale si celebra la Pasqua.

È forse quest'ordine - anche se la Scrittura non ne parla - una conseguenza logica della prescrizione che l'agnello fosse ucciso presso la porta; oppure - cosa più probabile - è detto: con il sangue che è presso la porta, in quanto chi lo avrebbe spalmato sulla soglia e sugli stipiti ponesse presso la porta il recipiente in cui aveva raccolto il sangue per averlo vicino quando vi avrebbe intinto l'issopo?

47.1. ( Es 12, 37.40 ) Quanti furono gli Ebrei usciti dall'Egitto

I figli d'Israele si misero in marcia da Ramses verso Sukkôt, all'incirca seicentomila adulti a piedi senza contare l'equipaggiamento o i beni, se in questo modo può tradursi ciò che il greco chiama άποσκευήν.

Con questa parola la Scrittura denota non solo le cose trasportabili, ma anche gli esseri che le trasportano, come leggiamo nel passo in cui Giuda dice a suo padre: Lascia che il ragazzo venga con me, noi ci alzeremo e partiremo, affinché sopravviviamo e non periamo noi e tu e le nostre sostanze. ( Gen 43,8 )

In quel passo infatti il testo greco ha άποσκευήν, che il traduttore latino ha reso con substantia [ ciò che si possiede ] e altri anche latini traducono talora con censum [ beni ], come sopra noi abbiamo voluto tradurre instructum [ equipaggiamento ]  purché, con questa parola, s'intendano anche gli uomini, le bestie da tiro o tutte le specie di bestiame minuto; non so però se con quel termine si potrebbero intendere anche le mogli.

Tuttavia poiché la Scrittura ricorda seicentomila uomini a piedi e aggiunge: senza contare l'equipaggiamento e i beni o le sostanze o un'altra parola con cui si traduce meglio άποσκευήν, è evidente che mediante questa parola sono indicati anche gli uomini schiavi, le donne e le persone che non fossero in grado di fare il soldato, e, per conseguenza, dobbiamo credere che i seicentomila uomini a piedi fossero solo coloro che erano in grado di portare le armi in un esercito.

47.2. Si suole porre il quesito se gli Ebrei potessero arrivare ad un numero tanto grande di persone durante gli anni che rimasero in Egitto e che si possono computare secondo la sacra Scrittura.

Anzitutto non è un piccolo problema sapere quanti furono quegli anni [ della permanenza degli Ebrei in Egitto ].

Poiché dopo che era stato fatto il sacrificio di una vitella di tre anni, d'una capra, di un montone, di una tortora e di un piccione,( Gen 15,9 )  prima che fosse ancora nato non solo Isacco ma neppure Ismaele, Dio dice ad Abramo: Devi sapere con sicurezza che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro, saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni. ( Gen 15,13 )

Se dunque prendessimo i quattrocento anni nel senso del tempo della schiavitù degli Ebrei sotto gli Egiziani, non fu un breve spazio di tempo in cui il popolo avrebbe potuto moltiplicarsi.

La Scrittura però attesta in modo assai evidente che quegli anni non furono tanti.

47.3. Alcuni infatti pensano che bisogna contare quattrocentotrenta anni da quando Giacobbe entrò in Egitto fino a quando il popolo fu liberato poiché nell'Esodo è scritto: Il soggiorno dei figli di Israele, che fecero essi e i loro padri nel paese d'Egitto e nel paese di Canaan, fu di quattrocentotrenta anni. ( Es 12,40 )

Quegli autori sostengono che gli anni della loro schiavitù furono quattrocento poiché nella Genesi sta scritto: Devi sapere bene che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro, saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni.

Ma poiché gli anni della schiavitù si contano a partire dalla morte di Giuseppe - giacché durante la sua vita non solo non furono schiavi in quel paese ma godettero d'una grande autorità - non si vede in che modo si possano calcolare quattrocentotrenta anni [ di permanenza ] in Egitto.

Giacobbe infatti entrò in Egitto quando suo figlio aveva già trentanove anni, poiché Giuseppe quando si presentò al cospetto del Faraone e cominciò a governare sotto di lui ( Gen 41,46 ) aveva trent'anni; passati poi i sette anni dell'abbondanza Giacobbe con gli altri suoi figli venne in Egitto nel secondo anno della carestia. ( Gen 45,6 )

Giuseppe quindi aveva allora trentanove anni e morì all'età di centodieci anni. ( Gen 50, 22.25 )

Dopo l'arrivo di suo padre in Egitto egli visse dunque settantun anni.

Se sottraiamo questi settantun anni ai quattrocentotrenta, rimarranno gli anni della schiavitù, cioè non quattrocento anni ma trecentocinquantanove anni dopo la morte di Giuseppe.

Se invece penseremo di dover contare gli anni da quando Giuseppe cominciò a governare l'Egitto sotto il Faraone, in modo da riconoscere che in un certo modo Israele entrò in Egitto quando suo figlio fu elevato a una dignità tanto grande, ( Gen 46,11 ) anche in questo caso saranno trecentocinquanta gli anni; questi anni secondo Ticonio si possono intendere come quattrocento, prendendo la parte per il tutto, cioè la parte - cinquanta anni - per il tutto - cento anni - e prova che la Scrittura è solita servirsi di questa figura retorica.

Se però ammettiamo che Israele entrò in Egitto quando Giuseppe, dopo essere stato venduto, cominciò a vivere lì - cosa che si può affermare con maggiore probabilità - dovremo sottrarre ancora tredici anni e così avremo trecentotrentasette anni invece di quattrocento.

Ma siccome la Scrittura, ricordando che Keat, figlio di Levi, nonno di Mosè, entrò in Egitto con il suo avo Giacobbe, ( Es 6,18 ) dice d'altra parte che egli visse centotrenta anni, ( Es 6,20 ) e che suo figlio Ambram, padre di Giuseppe, visse centotrentasette anni, e che Mosè invece aveva ottanta anni quando liberò il popolo dall'Egitto ( Es 7,7 ) - anche se Keat avesse generato il padre di Mosè nell'anno in cui morì e lo stesso Ambram avesse generato Mosè nell'ultimo anno della propria vita - sommati insieme 130 - 137 - 80 anni fanno 347 anni e non 430.

Se poi uno dicesse che Keat, figlio di Levi, nacque l'ultimo anno della vita di Giuseppe, a quella somma possono aggiungersi ben settanta anni, poiché Giuseppe visse in Egitto settantuno anni dopo che era entrato suo padre.

Per conseguenza anche così i settanta anni della vita di Giuseppe a partire dall'entrata di Giacobbe in Egitto fino alla nascita di Keat, se si affermasse che nacque allora, e i 130 anni dello stesso Keat e i 137 di suo figlio Ambram, padre di Mosè, e gli 80 dello stesso Mosè fanno 417 anni, non 430.

47.4. Per queste ragioni il computo, seguito da Eusebio nella sua Storia cronologica si basa senza dubbio su una verità evidente.

In effetti egli conta quattrocentotrenta anni a partire dalla promessa fattagli da Dio quando chiamò Abramo perché uscisse dalla sua terra e andasse nel paese di Canaan, poiché anche l'Apostolo, nel lodare ed esaltare la fede di Abramo a proposito di quella promessa con la quale egli crede che fu profetizzato Cristo, cioè con la quale Dio promise ad Abramo che per mezzo di lui sarebbero state benedette tutte le stirpi della terra, ( Gen 18,22 ) Ecco, dice, che cosa voglio dire: la legge, emanata quattrocentotrent'anni dopo, non può infirmare un testamento convalidato da Dio, così da rendere vana la promessa. ( Gal 3,17 )

L'Apostolo dunque dice che la legge fu data dopo quattrocentotrenta anni a partire dalla promessa fatta ad Abramo quando fu chiamato e per la quale ebbe fede in Dio, e non dal tempo in cui Giacobbe entrò in Egitto.

Inoltre anche la Scrittura dell'Esodo indica assai chiaramente questa circostanza, poiché non dice: Il soggiorno dei figli d'Israele in un paese straniero, cioè nel paese d'Egitto fu di quattrocentotrenta anni, ma dice chiaramente: il tempo che vissero da stranieri nel paese d'Egitto e nel paese di Canaan essi e i loro padri.

È quindi evidente che si deve calcolare anche il tempo dei patriarchi Abramo, Isacco e Giacobbe, da quando Abramo cominciò a stabilirsi come straniero nel paese di Canaan, a partire cioè dalla promessa [ fatta ad Abramo ] per la quale l'Apostolo loda la sua fede, fino al tempo in cui Israele entrò in Egitto.

Poiché per tutto quel tempo i Patriarchi abitarono come forestieri nel paese di Canaan e in seguito i discendenti d'Israele in Egitto.

In tal modo fu completata la somma di quattrocentotrenta anni dalla promessa [ fatta ad Abramo ] fino all'uscita di Israele dall'Egitto, quando fu emanata la legge sul monte Sinai, la quale non infirma il testamento così da rendere vana la promessa. ( Gal 3,22 )

47.5. Abramo dunque, come dice la Scrittura, partì [ dalla sua terra ] alla volta del paese di Canaan all'età di settantacinque anni ( Gen 21,5 ) e generò Isacco all'età di cent'anni. ( Gen 35,28 )

A partire dalla promessa fino alla nascita di Isacco sono perciò venticinque anni.

A questi si aggiungono tutti gli anni della vita di Isacco, cioè centottanta anni ( Gen 35,25 ) e sono duecentocinque.

Giacobbe allora aveva centoventi anni; poiché quando suo padre aveva sessant'anni gli nacquero i due gemelli, cioè lui ed Esaù. ( Gen 25,26 )

Giacobbe entrò in Egitto dieci anni dopo, quando aveva centotrenta anni, ( Gen 47,9 ) Giuseppe ne aveva invece trentanove.

A partire perciò dalla promessa fino all'ingresso di Giacobbe in Egitto sono duecentoquindici anni Giuseppe, d'altra parte, dopo il trentanovesimo anno di età in cui il padre lo ritrovò in Egitto, visse settantun'anni, poiché egli visse, in totale, centodieci anni. ( Gen 50,22 )

Per conseguenza, con l'aggiunta di settantun'anni ai [ suddetti ] duecentoquindici sono duecentottantasei anni.

Restano centoquarantaquattro o centoquarantacinque anni, nei quali si crede che il popolo d'Israele fu schiavo in Egitto dopo la morte di Giuseppe.

Possiamo chiederci quanto poterono moltiplicarsi gli Israeliti durante quegli anni; se consideriamo la fecondità umana favorita da Dio che volle si moltiplicassero assai, costatiamo che non c'è da stupirsi per il fatto che il popolo uscì dall'Egitto in seicentomila uomini a piedi senza contare tutto il restante equipaggiamento in cui erano compresi anche gli schiavi, le donne e quanti non avevano l'età adatta per combattere.

47.6. Per conseguenza ciò che disse Dio ad Abramo: Devi sapere bene che i tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra che non è la loro; saranno ridotti in schiavitù e maltrattati per quattrocento anni, ( Gen 15,13 ) non deve essere inteso come se il popolo di Dio fosse rimasto in quella durissima schiavitù per quattrocento anni, ma poiché sta scritto: Attraverso Isacco da te prenderà nome una discendenza, ( Gen 21,12 ) a partire dall'anno della nascita di Isacco fino all'anno dell'uscita dall'Egitto sono calcolati quattrocentocinque anni.

Se ai quattrocentotrenta anni se ne tolgono venticinque, che sono quelli che corrono dalla promessa [ fatta da Dio ad Abramo ] alla nascita di Isacco, non v'è nulla di strano se la Scrittura - la quale suole contare i periodi di tempo in modo da non calcolare le spezzature che sono un po' al di sopra o al disotto della somma del numero intero - volle indicare i quattrocentocinque anni con la somma tonda di quattrocento.

Per conseguenza l'espressione: Li ridurranno in schiavitù e li maltratteranno non deve riferirsi ai quattrocento anni, come se gli Egiziani li avessero tenuti in schiavitù per tanti anni, ma quegli anni devono essere riferiti all'altra frase: I tuoi discendenti saranno come stranieri in una terra non propria, poiché quei discendenti erano come stranieri sia nel paese di Canaan che in Egitto, prima di prendere come eredità la terra promessa da Dio.

Ciò avvenne dopo che gli Israeliti furono liberati dalla cattività egiziana; qui perciò si deve riconoscere un iperbato e l'ordine delle parole dev'essere: Devi sapere che i tuoi discendenti saranno stranieri per quattrocento anni in una terra non loro, mentre si deve prendere come interposto quello che segue: E li ridurranno in schiavitù e li maltratteranno, sicché questa frase interposta non ha relazione con i quattrocento anni; fu infatti solo nell'ultima parte di questa somma di anni, vale a dire dopo la morte di Giuseppe, che il popolo di Dio sopportò una dura schiavitù.

48. ( Es 13,9 ) A proposito della Pasqua

Che significa ciò che è detto a proposito delle prescrizioni [ rituali ] della Pasqua: Ciò sarà per te un segno della tua mano?

Significa forse " al di sopra delle tue opere " cioè quel che devi anteporre alle tue opere?

A causa dell'uccisione dell'agnello la Pasqua appartiene alla fede in Cristo e al suo sangue con il quale siamo stati redenti.

Ora questa fede si deve anteporre alle opere sì da essere in un certo modo sulla mano contro coloro che si vantano delle opere della legge.

Di questo argomento parla e tratta più di una volta l'Apostolo, il quale sostiene che la fede è anteposta alle opere buone in modo che siano queste a dipendere e a essere prevenute da essa, non che sembri sia questa ad essere retribuita per le opere buone. ( Gal 3; Eb 11 )

La fede infatti ha relazione con la grazia: Se è per grazia, non è a causa delle opere; altrimenti la grazia non sarebbe più grazia. ( Rm 11,6 )

49. ( Es 13,18 ) Nostra collaborazione all'aiuto di Dio

Quando il Faraone lasciò partire il popolo, Dio non li guidò per la strada che conduce alla terra dei Filistei, poiché era più breve, Dio infatti disse: Per paura che il popolo non si penta vedendo la guerra e torni in Egitto.

Qui appare chiaro che si deve fare tutto ciò che dopo attenta considerazione e con buone ragioni si può compiere per evitare le avversità anche quando è del tutto evidente che Dio presta il suo aiuto.

Indice

1 C. Faustum 22, 70