Questioni sull'Ettateuco |
Allora, alla quinta generazione, i figli di Israele salirono dal paese d'Egitto.
Vuole forse l'agiografo che una generazione sia calcolata della durata di un secolo e perciò dice: alla quinta generazione, perché erano passati quattrocentotrenta anni?
O per generazioni di uomini si deve intendere piuttosto quelle trascorse a partire da Giacobbe, che entrò in Egitto, fino a Mosè che ne uscì con il popolo?
Poiché troviamo scritto che il primo fu Giacobbe, il secondo fu Levi, il terzo fu Keat, il quarto fu Abramo, il quinto fu Mosè.
Il traduttore latino chiama progenie queste stirpi, che i greci chiamano γενεάς [ generazioni ] e nel Vangelo sono chiamate generazioni ( Mt 1,17 ) e sono contate secondo le discendenze dei capostipiti, non secondo il numero degli anni.
Mosè però disse: Coraggio! Resistete e vedrete la salvezza che viene dal Signore, che egli compirà oggi per voi.
Poiché come avete visto gli Egiziani oggi, mai più li vedrete così, per tutto il resto del tempo.
In qual senso sono da intendere queste parole dato che gli Israeliti videro gli Egiziani in seguito?
Forse perché quelli che li vedevano allora non li videro più in seguito, poiché morirono non solo gli Egiziani della generazione seguente ma tutti gli Israeliti, ciascuno nel giorno della loro morte?
Infatti i discendenti degli Israeliti videro i discendenti degli Egiziani.
O forse l'espressione: non li vedrete come oggi deve intendersi nel senso che non li vedrete inseguirvi come nemici e incalzarvi con un esercito così numeroso come oggi, di modo che non c'è assolutamente alcun problema e nemmeno riguardo al tempo eterno di cui parla il testo, anche se gli uni e gli altri si vedranno il giorno della risurrezione, non si vedranno certamente come oggi?
Che significa ciò che il Signore disse a Mosè: Perché gridi verso di me? dal momento che la Scrittura non riferisce alcuna parola di Mosè e non ricorda che egli stesse pregando, se non perché volle farci capire che egli fece ciò non facendo sentire la sua voce, ma gridando con il cuore.
E tu alza il tuo bastone e stendi la tua mano sopra il mare.
Questo è il bastone con cui si compiono i prodigi, e che adesso si dice che è di Mosè; prima invece si diceva che era di suo fratello quando questi agiva per mezzo di esso.
Hai steso la tua destra e la terra li ha inghiottiti. Non c'è da meravigliarsi che la Scrittura dica " la terra " invece di dire "l'acqua ".
Poiché tutta questa parte estrema o infima del mondo è chiamata col nome di " terra ", secondo quanto dice spesso la Scrittura: Dio che fece il cielo e la terra. ( Sal 146,6 )
Anche nella enumerazione che fa il Salmo; dopo aver menzionato gli esseri del cielo: Lodate - dice - il Signore, creature della terra, e continua ad esortare di dar lode al Signore anche gli esseri che vivono nelle acque. ( Sal 148,7 )
Hai mandato il tuo Spirito e il mare li ha ricoperti.
Ecco, è già la quinta volta che viene menzionato lo Spirito di Dio, includendo in questo numero anche la frase della Scrittura: Dito di Dio è ciò. ( Es 8,19 )
La prima volta è menzionato dove sta scritto: Lo Spirito di Dio si librava al di sopra delle acque; ( Gen 1,2 ) la seconda ove è detto: Il mio Spirito non rimarrà in questi uomini, poiché sono carne; ( Gen 6,3 ) la terza volta nel passo in cui il Faraone dice a Giuseppe: Poiché in te è lo Spirito di Dio; ( Gen 41,38 ) la quarta volta nel passo in cui gli incantatori degli Egiziani dicono: Dito di Dio è questo; la quinta volta in questo cantico: Hai inviato il tuo Spirito e li ha ricoperti il mare. ( Es 15,8 )
Dobbiamo ricordarci però che lo Spirito di Dio è menzionato non solo in relazione ai benefici ma anche ai castighi.
Che cos'altro infatti significa ciò che dice la Scrittura anche poco prima: Per lo Spirito della tua ira l'acqua si è divisa?
Pertanto questo Spirito di Dio contro gli Egiziani fu lo Spirito della sua ira, poiché a loro nocque la divisione delle acque per modo che, entrando nelle acque, poterono essere sepolti dalle stesse acque quando queste tornarono al loro posto.
Al contrario, per i figli d'Israele, ai quali giovò il fatto che l'acqua si divise, quello Spirito non fu lo Spirito dell'ira di Dio.
Da questi fatti ci viene indicato che, a causa delle diverse azioni ed effetti lo Spirito di Dio viene chiamato in modi diversi, pur essendo solo l'unico e il medesimo Spirito che è creduto anche come lo Spirito Santo nell'unità della Trinità.
Non credo perciò che si debba intenderne un altro, ma il medesimo Spirito di cui parla l'Apostolo nel passo ove dice: Infatti non avete ricevuto uno spirito che vi rende schiavi per vivere di nuovo nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito [ di Dio ] che vi fa diventare figli adottivi di Dio, per il quale possiamo gridare: Abba! Padre!, ( Rm 8,15 ) poiché per mezzo del medesimo Spirito di Dio, cioè del dito di Dio con il quale fu scritta la legge nelle tavole di pietra ( Es 31,18 ) fu infusa la paura in coloro i quali ancora non comprendevano la grazia, affinché per mezzo della legge venissero convinti della loro debolezza e dei loro peccati e la legge fosse per essi il pedagogo dal quale fossero condotti alla grazia, che è nella fede in Gesù Cristo. ( Gal 3,22-26 )
Di questo Spirito di adozione e di grazia, cioè di questa azione dello Spirito di Dio, per mezzo della quale si accorda la grazia e la rigenerazione per la vita eterna, è detto: Lo Spirito invece dà la vita, mentre prima è detto: La lettera dà la morte, ( 2 Cor 3,6 ) cioè la legge scritta che contiene solo precetti senza l'aiuto della grazia.
Giunsero poi a Mara, ma non poterono bere l'acqua di Mara, perché era amara.
Sì, quella località fu chiamata con il nome di " amarezza ", poiché lì non poterono bere l'acqua per il fatto che era amara - Mara infatti significa " amarezza " - in che modo giunsero a Mara se non perché la Scrittura chiamò la località nella quale giunsero con quel nome con cui già si chiamava al tempo in cui venivano riferiti, per iscritto, questi fatti?
Poiché furono scritti certamente dopo che erano accaduti.
E [ il Signore ] gli indicò un pezzo di legno ed egli lo gettò nell'acqua, e l'acqua divenne dolce.
Era forse una specie di legno che possedeva una tale virtù, oppure poteva compiere quel prodigio con qualsiasi altra specie di legno Dio il quale operava tanti prodigi?
Sembra tuttavia che l'espressione gli indicò voglia dire che esisteva già un legno di quella specie con cui si poteva fare quel miracolo; salvo che quella fosse una località dove non si trovava affatto alcun pezzo di legno, di modo che il fatto stesso che il Signore gli indicò il pezzo di legno lì, dove non ce n'era alcuno, e con quello rese dolci le acque si doveva all'aiuto divino, fatto che prefigurava la gloria e la grazia della croce. ( Sir 38,5 )
Chi anche riguardo a questa natura del legno dev'essere lodato se non Dio che l'ha creato e lo indicò?
Il Signore allora disse a Mosè: " Ecco, io farò piovere su di voi dei pani dal cielo.
Il popolo uscirà e raccoglierà ciò che è di un giorno per un giorno, per tentarli [ e vedere ] se cammineranno o no secondo la mia legge ".
Questa tentazione è una prova, non una seduzione per peccare; inoltre non è una prova con cui Dio cerchi di sapere qualcosa, ma con cui mostrare agli uomini i limiti del loro essere, perché diventino più umili e chiedano l'aiuto di Dio e riconoscano la sua grazia.
Mosè e Aronne dicono, tra l'altro, al popolo: Poiché il Signore ha ascoltato le vostre mormorazioni contro di noi.
Ma noi che cosa siamo? La vostra protesta infatti è contro Dio, non contro di noi.
Per questa loro missione, pur così alta, Mosè e Aronne non ebbero la pretesa di ritenersi uguali a Dio; dissero infatti: Che cosa siamo noi? perché il popolo sapesse di aver protestato contro Colui che aveva inviato loro e agiva per mezzo di loro.
Neppure Pietro pensa a quel modo quando dice ad Anania: Hai osato mentire allo Spirito Santo?
Tu non sei stato bugiardo con gli uomini, ma con Dio. ( At 5,3-4 )
Infatti non disse: " Perché hai osato mentire a me? Non hai mentito a me ma a Dio "; se avesse detto così, sarebbe stata la stessa cosa.
E neppure disse: " Tu hai osato mentire allo Spirito Santo? Non hai mentito allo Spirito Santo, ma a Dio "; poiché, dicendo così, avrebbe affermato che lo Spirito Santo non è Dio.
Ora, al contrario, avendogli detto: Perché hai mentito allo Spirito Santo? quando Anania pensava di aver mentito agli uomini, Pietro gli dimostrò che anche lo Spirito Santo è Dio, soggiungendo: Non hai mentito agli uomini ma a Dio.
Per mezzo di Mosè Dio comanda al popolo: Verso sera mangerete e al mattino vi sazierete di pani.
Ecco, qui si parla di pane non come sinonimo d'ogni specie di alimento, poiché con questo nome si comprenderebbero anche le carni, giacché anch'esse sono alimenti.
Qui tuttavia non sono detti pani quelli che si fanno con il grano - questi siamo soliti chiamarli pani in senso proprio - ma con il nome di pani viene chiamata la manna.
Ma non è senza un motivo che Dio dice che verso sera avrebbe dato carne e al mattino avrebbe dato pane.
Infatti una cosa simile è indicata anche nel caso di Elia, quando un corvo gli portava il nutrimento. ( 1 Re 17,6 )
O forse con la carne verso sera e con il pane al mattino è indicato simbolicamente Colui che fu consegnato a morte a causa dei nostri peccati e risuscitò per la nostra giustificazione. ( Rm 4,25 )
Morto la sera a causa della debolezza umana, egli fu sepolto la sera, ( Mt 27,57ss ) ma al mattino apparve ai discepoli, ( Mc 16,9 ) lui che era risorto con il [suo proprio] potere.
E Mosè disse ad Aronne: " Prendi un vaso d'oro e mettici dentro un gomor pieno di manna e lo porrai al cospetto di Dio, perché sia conservata per i vostri discendenti ", come aveva comandato il Signore.
Può porsi il quesito dove Aronne lo ponesse al cospetto di Dio, dal momento che non c'era alcuna immagine né era stata ancora costruita l'Arca.
O forse è detto lo porrai al futuro, perché s'intendesse che si sarebbe potuto porlo al cospetto di Dio quando ci sarebbe stata l'Arca?
O piuttosto è detto: al cospetto di Dio ciò che viene compiuto dalla pietà religiosa di chi offre, qualunque sia il luogo in cui sia posto.
In qual luogo infatti non c'è Dio? Ma ciò che l'agiografo aggiunge: e Aronne pose avanti alla Testimonianza per conservarlo conferma piuttosto il primo senso.
La Scrittura infatti ha espresso in tal modo, mediante la prolessi, ciò che fu fatto dopo, quando cominciò ad esserci la tenda della Testimonianza.
I figli di Israele mangiarono la manna per quarant'anni, fino a quando giunsero alla terra abitata; mangiarono la manna fino a quando giunsero nella regione della Fenicia.
La Scrittura si è espressa mediante una prolessi, vale a dire ricordando in questo passo ciò che avvenne anche dopo, cioè che gli Israeliti nel deserto non mangiarono altro che la manna.
Poiché questo è ciò che significa l'espressione: fino alla terra abitata, cioè la terra che non è più il deserto, non perché appena giunsero alla terra abitabile cessarono di mangiare la manna, ma perché non cessarono di cibarsene prima.
Viene infatti indicato che la manna cessò, dopo che gli Israeliti ebbero passato il Giordano, ove mangiarono pani di quella terra.
Quando perciò giunsero nella terra abitata, prima di attraversare il Giordano, poterono cibarsi o soltanto della manna o di pane e manna: poiché in questo senso può intendersi il testo della Scrittura, dal momento che è detto che la manna cessò solo dopo che fu attraversato il Giordano. ( Gs 5,12; Gdt 5,15 )
Sorge però un problema difficile: perché gli Israeliti abbiano desiderato anche la carne nella scarsità del deserto, dato ch'erano usciti dall'Egitto con moltissime bestie.
Salvo che non si dica che, non essendoci nel deserto abbondanti pascoli e, per conseguenza, prevedendosi una minore fecondità di bestiame, essi abbiano risparmiato le loro bestie, per evitare che, venendo a mancare tutti gli animali, non rimanessero loro neppure quelli necessari per i sacrifici, oppure che si adduca un qualsiasi altro argomento con cui si possa risolvere questo problema.
Sembra, tuttavia, più conveniente, pensare che gli Israeliti non avevano desiderio di carni che potevano avere prendendole dagli animali minuti ma di quelle che loro mancavano, cioè quelle degli animali acquatici, poiché erano proprio quelle che non trovavano nel deserto.
Furono perciò date loro ortugometre, cioè uccelli che molti in latino hanno tradotto quaglie, ( Es 16,13 ) benché l'ortugometra sia una specie di uccelli diversa ma abbastanza simile alle quaglie.
Dio infatti sapeva che cosa desideravano e con quale specie di carne saziare il loro desiderio.
Ma poiché la Scrittura aveva detto che gli Israeliti desideravano la carne senza specificarne la specie, per questo è sorto il problema.
Mangiarono la manna fino a quando giunsero nella regione della Fenicia.
La Scrittura aveva già detto: Fin quando giunsero nella terra abitata, ma poiché non aveva precisato espressamente di quale terra parlasse, sembra che mediante la ripetizione abbia voluto specificare una terra particolare dicendo: nella terra della Fenicia.
Bisogna però pensare che quella terra era chiamata così allora, poiché ora non si chiama con questo nome.
Poiché quella che si chiama Fenicia - la regione di Tiro e Sidone - attraverso la quale non si legge che passassero gli Israeliti, è una terra diversa.
Tuttavia forse la Scrittura ha potuto chiamare col nome di Fenicia quella terra dove già si cominciava a trovarsi la pianta della palma, dopo la desolazione del deserto, perché in greco la palma è chiamata così.
All'inizio del loro viaggio, dopo essere partiti dall'Egitto, trovarono una località ove c'erano settanta palme e dodici sorgenti, ( Es 15,27 ) ma poi entrarono in un vastissimo deserto, ove non c'era nulla di simile, fino a quando arrivarono a località coltivate.
Ma l'interpretazione più probabile è credere che quella regione era chiamata così allora, poiché col passare del tempo i nomi di molte regioni e luoghi, come anche di fiumi e di città sono stati cambiati per determinati motivi.
E il Signore disse a Mosè: " Va' davanti al popolo e prendi con te alcuni degli anziani del popolo; prendi in mano anche il bastone con cui hai colpito il fiume ".
Si legge che percosse il fiume Aronne, non Mosè; ( Es 7,19 ) Mosè infatti con lo stesso bastone divise il mare, non il fiume. ( Es 14,21 )
Che vuol dire dunque: Prendi il bastone con cui hai colpito il fiume? Chiamò forse fiume il mare?
Se è così, bisogna cercare un esempio di questo genere d'espressione idiomatica.
Oppure ciò che fece Aronne fu attribuito piuttosto a Mosè, poiché Dio per mezzo di Mosè ordinava che cosa dovesse fare Aronne, e in Mosè c'era l'autorità e in Aronne il servizio, dal momento che Dio con le sue prime parole disse così a Mosè: Egli parlerà per te al popolo, tu invece sarai per lui mediatore per le relazioni con Dio? ( Es 4,16 )
Ed ecco che io starò ritto in cima alla collina con il bastone di Dio in mano; così dice Mosè a Giosuè di Nave quando gli diede ordine di combattere contro Amalec.
Ora dunque viene chiamato bastone di Dio quello che dapprima è detto bastone di Aronne, poi bastone di Mosè.
Come viene chiamato spirito di Elia quello che è lo Spirito di Dio, ( Lc 1,17 ) di cui divenne partecipe Elia, allo stesso modo poté chiamarsi anche quel bastone.
Si chiama anche giustizia di Dio quella che è la nostra giustizia, ma concessa da Dio: parlando di essa l'Apostolo accusa i Giudei dicendo che, ignorando la giustizia di Dio, vogliono stabilire la propria, ( Rm 10,3 ) cioè come se essi se la fossero procurata da loro stessi.
Contro questi individui dice: Che cosa hai che non hai ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )
E venne Aronne e tutti gli anziani d'Israele a mangiare il pane con il suocero di Mosè alla presenza di Dio, o, come dicono altri manoscritti, davanti a Dio, espressione corrispondente a quella del testo greco έναντιόν τοϋ Θεοϋ
Ci si domanda " dove " alla presenza di Dio, dal momento che non c'era ancora né il Tabernacolo né l'Arca della Testimonianza che furono costruite in seguito.
E nemmeno possiamo intendere anche qui l'espressione come riferita al futuro, com'è detto della manna deposta in un recipiente d'oro.
Dobbiamo perciò intendere che fu compiuto alla presenza di Dio ciò che fu fatto in onore di Dio poiché in qual luogo non è Dio?
Mosè risponde al suocero: Poiché il popolo viene da me per cercare un giudizio proveniente da Dio; quando infatti essi hanno qualche lite tra loro e vengono da me, io giudico ciascuno e insegno loro i precetti e la legge di Dio.
Ci possiamo domandare come mai Mosè rispose così, dal momento che la legge di Dio non era stata scritta, se non perché la legge di Dio è eterna e la consultano tutti coloro che hanno uno spirito di fede per fare o comandare o proibire ciò che trovano in essa, secondo quanto essa prescrive con verità immutabile?
Si deve forse pensare che Mosè, benché Dio parlasse con lui, fosse solito consultare Dio di volta in volta per qualsiasi punto delle vertenze d'una moltitudine così grande, che lo tratteneva nell'attività di giudicare dal mattino alla sera?
Pur tuttavia se non avesse consultato il Signore che dirigeva il suo spirito e non avesse posto attenzione con sapienza alla sua legge eterna non avrebbe potuto trovare quale fosse la sentenza da pronunciare tra i litiganti.
Riguardo al fatto che Ietro dà il consiglio al genero Mosè di non logorare se stesso e il popolo con un lavoro così spossante e intollerabile, occupandosi lui solo dei giudizi, il primo quesito che sorge è perché Dio permise che venisse consigliato da uno straniero un suo servo con il quale parlava di argomenti tanto importanti e straordinari.
Con ciò la Scrittura ci avverte che non dobbiamo disprezzare nessuna persona, qualunque essa sia, che ci dia un consiglio conforme a verità.
Si deve anche vedere se Dio volle che Mosè venisse consigliato da uno straniero riguardo all'attività per la quale poteva tentarlo la superbia, poiché nella sua funzione di giudice sedeva da solo in tribunale, rivestito di un'altissima autorità, mentre tutto il popolo stava in piedi.
Questa interpretazione è suggerita dal fatto che lo stesso Ietro esortò Mosè di scegliere, per giudicare le cause del popolo, persone che odiassero la superbia. ( Es 18,21 )
Inoltre anche in questo passo si vede assai bene quanta attenzione occorre prestare a ciò che la Scrittura dice in un altro passo: Figlio, non occuparti in troppe cose. ( Sir 11,10 )
Sono poi da considerare le parole di Ietro che dà il consiglio a Mosè; egli dice così: Ora pertanto ascoltami e ti darò un consiglio, e Dio sarà con te.
A me sembra che queste parole indicano che un animo troppo intento alle occupazioni umane si svuota in qualche modo di Dio, mentre se si riempie tanto più completamente quanto più liberamente applica il suo pensiero alle realtà divine ed eterne.
Subito dopo è detto: Tu sarai per il popolo l'intermediario per le sue relazioni con Dio e riferirai a Dio le loro parole; e li informerai dei precetti di Dio e della sua legge; indicherai loro la via in cui dovranno camminare e le azioni che dovranno fare.
Questo passo dimostra che tutti questi ordini dovevano essere eseguiti con tutto il popolo.
Poiché non si dice: " Riferisci a Dio le parole di ciascuno ", ma: le loro parole, poiché prima aveva detto: Tu sarai per il popolo l'intermediario per le sue relazioni con Dio.
Dopo ciò consiglia di far comporre le loro liti, da giudici scelti naturalmente tra persone capaci, timorate di Dio, giuste, che detestino la superbia, che avrebbe dovuto stabilire su di essi alcuni come capi di mille, altri come capi di cento, di cinquanta e di dieci.
E in tal modo anche Mosè liberò da pesanti e pericolose occupazioni e non affaticò quelle persone, dal momento che mille uomini avevano un capo, sotto il quale ne avevano altri dieci, e sotto questi altri venti, e sotto di questi altri cento, di modo che a mala pena a ciascuno dei capi arrivava qualche problema che essi dovessero giudicare.
Qui si fa vedere anche l'esempio di umiltà, che Mosè, con il quale parlava Dio, non si sentì offeso né disprezzò il consiglio del suocero che pur era straniero.
Si può tuttavia porre con tutta ragione il quesito - anzi si pensa che sia più probabile - se lo stesso Ietro, benché non fosse israelita, è da annoverarsi tra gli adoratori del vero Dio e tra le persone di sentimenti religiosi come anche Giobbe, che non era neppure lui israelita.
Poiché sono ambigue le espressioni relative al sacrificio da lui fatto, se cioè fu offerto al vero Dio tra il suo popolo, quando vide il proprio genero, oppure se fu Mosè ad adorare lui; benché, anche se la Scrittura avesse voluto parlare chiaramente dell'adorazione, si tratterebbe dell'ossequio reso al suocero come suole esibirsi da parte dei Patriarchi a certi personaggi per rendergli onore.
Così sta scritto di Abramo che adorò gli Ittiti. ( Gen 23,7 )
Ma non si può sapere facilmente chi sono coloro che sono chiamati γραμματοεισαγωγούς dopo i decurioni, poiché questo titolo noi non lo usiamo per denotare alcun funzionario pubblico o maestro di scuola.
Alcuni infatti l'hanno tradotta con doctores [ insegnanti ], naturalmente nel senso d'insegnanti delle lettere, capaci d'introdurre alla conoscenza delle lettere come indica il vocabolo greco.
Qui ci viene indicato evidentemente che gli Ebrei conoscevano le lettere prima di ricevere la legge.
Non so però se mette conto indagare quando cominciarono a esserci.
Ad alcuni pare che le lettere cominciarono fin dai primordi dell'umanità e arrivarono fino a Noè e quindi fino agli antenati di Abramo e poi al popolo d'Israele, ma non so come ciò si possa provare.
Il terzo mese dall'uscita dei figli d'Israele dalla terra d'Egitto, proprio in quel giorno arrivarono al deserto del Sinai.
Essi partirono da Refidin e giunsero al deserto del Sinai e Israele si accampò lì, di fronte al monte.
Mosè allora salì sulla montagna di Dio; Dio lo chiamò dalla montagna dicendo: Ecco che cosa dirai alla casa di Giacobbe e cosa annunzierai ai figli di Israele, ecc.
Poi, dopo poco, aggiunse: Discendi e avverti il popolo e purificali oggi e domani e lavino i loro vestiti e si tengano pronti per il terzo giorno; poiché il terzo giorno il Signore discenderà sul monte Sinai alla presenza di tutto il popolo.
In questo giorno fu data la legge, scritta dal dito di Dio su tavole di pietra, come dimostra quanto è detto in seguito. ( Es 31,18 )
Questo giorno poi è il terzo giorno del terzo mese dall'uscita di Israele dall'Egitto.
Dal giorno quindi in cui celebrarono la Pasqua, cioè in cui immolarono e mangiarono l'agnello, che era il quattordicesimo del primo mese, ( Es 12,6 ) fino a questo in cui viene data la legge, si contano cinquanta giorni, vale a dire i diciassette del primo mese, i restanti a partire dal giorno quattordici e poi tutti i trenta giorni del secondo mese, che fanno quarantasette, e il terzo del terzo mese che è [ il cinquantesimo ] dalla solennità dell'immolazione dell'agnello.
Perciò come in questa "ombra del futuro ", contando a partire dal giorno della festa dell'immolazione dell'agnello, passarono cinquanta giorni fino alla promulgazione della legge scritta dal dito di Dio così, nella verità del Nuovo Testamento, a partire dalla festa dell'Agnello immacolato Gesù Cristo si contano cinquanta giorni fino a quello in cui fu dato dal cielo lo Spirito Santo. ( At 2,2-4 )
Che il dito di Dio è lo Spirito Santo l'abbiamo già detto anche più sopra, provandolo con testi del Vangelo.2
Ci chiediamo in che modo si debbano ripartire i dieci comandamenti della legge; se [ al primo gruppo ] appartengano i [ primi ] quattro fino al comandamento relativo al sabato, i quali si riferiscono a Dio stesso; [ all'altro gruppo ] appartengano invece gli altri sei, il primo dei quali è: Onora il padre e la madre, che si riferiscono all'uomo, oppure al primo gruppo appartengono i primi tre e al secondo gli altri sette.
Poiché coloro i quali dicono che il primo gruppo è formato dai primi quattro comandamenti, dividono in due l'espressione che comincia così: Non avrai altri dèi all'infuori di me, in modo che sia un altro comandamento quel che segue: Non ti fabbricherai [ alcun ] idolo ecc., con il quale si proibisce il culto degli idoli.
Costoro sostengono però che sia un solo comandamento che inizia così: Non desiderare la moglie del tuo prossimo; non desiderare la casa del tuo prossimo e tutto il resto fino alla fine.
Al contrario, quelli che affermano che un gruppo è formato dai primi tre comandamenti e l'altro dai sette seguenti, sostengono che costituisce un solo comandamento tutto ciò che viene prescritto sul culto di latrìa da riservare all'unico Dio, perché all'infuori di lui non venga adorato come Dio nessun'altra cosa; ma l'ultimo comandamento lo dividono in due, in modo che uno sia: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, e l'altro: Non desiderare la casa del tuo prossimo.
Tuttavia che i comandamenti siano dieci non lo mettono in dubbio né gli uni né gli altri, poiché lo afferma la Scrittura.
71.2. Tuttavia a me sembra più conveniente pensare il primo gruppo formato dai primi tre comandamenti e il secondo dagli altri sette, poiché a coloro che li considerano più attentamente pare che i primi tre relativi a Dio fanno intuire anche la Trinità.
In realtà l'espressione: Non avrai altri dèi all'infuori di me viene spiegata più chiaramente quando viene proibito di adorare gli idoli.
Ora, il desiderare la moglie altrui e i desiderare la casa altrui sono tanto differenti per quanto riguarda il peccato che al comandamento: Non desiderare la casa del tuo prossimo sono aggiunte altre cose [ come la casa ] poiché la Scrittura dice: né il suo campo, né il suo schiavo, né la sua schiava, né il suo bue, né il suo asino, né alcuna delle sue bestie, né alcun'altra cosa appartenente al tuo prossimo.
Sembra infatti che la Scrittura faccia una distinzione tra il desiderare la moglie altrui e il desiderare alcun'altra cosa di altri, dal momento che l'una e l'altra proibizione inizia così: Non desiderare la moglie del tuo prossimo; Non desiderare la casa del tuo prossimo, e a questa proibizione aggiunse tutte le altre.
Invece dopo aver detto: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, l'agiografo a questa proibizione non ne aggiunse altre dicendo: né la sua casa, né il suo campo, né il suo schiavo ecc., mentre è assolutamente chiaro che alle cose proibite in quel comandamento se ne sono aggiunte altre che sembrano essere comprese in un unico precetto, ma che sono distinte da quello in cui è nominata la moglie.
Quanto al precetto ove è detto: Non avrai altri dèi ad eccezione di me, sembra che un'esposizione più precisa di questa proibizione si abbia nelle cose che sono aggiunte.
A che cosa infatti si riferisce [ l'aggiunta ]: Non fabbricarti [ nessun ] idolo e non farti [ alcuna ] immagine di ciò che è in cielo, sulla terra o nelle acque sotto terra.
Non adorare né render culto a siffatte cose, se non al comandamento che dice: Non avrai altri dèi all'infuori di me?
71.3. Inoltre però si pone il quesito in che cosa differisca il comandamento: Non rubare da quello con cui poco dopo si comanda di non desiderare le cose altrui.
Certamente non tutti coloro che desiderano le cose del prossimo commettono un furto; ma se chiunque ruba desidera una cosa del suo prossimo, anche ciò che si riferisce al furto poteva essere incluso nel precetto generale nel quale è proibito desiderare le cose del prossimo.
Si pone parimenti anche il quesito in che cosa differisca il comandamento: Non commettere adulterio da quello dichiarato poco dopo: Non desiderare la moglie del tuo prossimo.
Poiché nel precetto: Non commettere adulterio poteva essere compreso anche quell'altro, salvo che nei due precetti di non commettere adulterio e di non rubare sono biasimate le azioni e in questi altri due, al contrario, è proibito il desiderio; queste cose sono tanto differenti tra loro che talvolta commette adulterio chi non desidera la moglie del prossimo allorché si unisce con lei per un motivo diverso; talora invece la desidera ma non si unisce con lei per paura del castigo.
E forse con ciò la legge ha voluto mostrare che tutte e due le cose sono peccati.
71.4. Parimenti si è soliti porsi il quesito se nella parola moechia [ adulterio ] è compresa anche la fornicazione.
Moechia infatti è una parola greca, che la Scrittura usa come latina.
Tuttavia in greco si chiamano moechi solo gli adùlteri.
Questo comandamento però è stato stabilito naturalmente non solo per gli individui di sesso maschile ma anche per le donne.
In effetti, poiché è detto: Non desiderare la moglie del tuo prossimo, la donna non deve pensare che qui non ci sia alcun precetto per lei e le sia lecito desiderare il marito della sua vicina.
Se dunque in questo passo da ciò che è detto all'uomo si capisce che riguarda anche la donna, sebbene non sia detto espressamente, quanto a più forte ragione ciò che è detto: Non commettere adulterio obbliga ambo i sessi, come [ i comandamenti ]: non uccidere, non rubare e così altri precetti che, senza indicare un solo sesso, in genere sono proclamati ugualmente per le persone dell'uno e dell'altro sesso?
Quando tuttavia viene indicato chiaramente un solo genere, viene denotato naturalmente quello più nobile, cioè il maschile, affinché per mezzo di questo anche la donna comprenda che cosa le sia comandato.
Perciò se una donna è adultera perché ha relazioni sessuali con uno che non è suo marito, anche se quello non è ammogliato, è certamente adultero anche un uomo ammogliato che ha relazioni sessuali con una donna che non è la propria moglie, anche se quella non è maritata.
Si pone però con ragione il quesito di sapere se sono colpevoli della trasgressione di questo precetto uno non ammogliato o una donna non maritata che abbiano relazioni sessuali tra di loro.
Se infatti non sono colpevoli, nel decalogo non è proibita la fornicazione ma solo la moechia, cioè l'adulterio, sebbene si comprenda che ogni moechia è anche fornicazione, come si esprimono le Scritture, poiché il Signore nel Vangelo dice: Chiunque ripudia la propria moglie, salvo il caso di fornicazione la mette in condizione di diventare adultera. ( Mt 5,32 )
Qui di certo si chiama fornicazione la relazione sessuale tra una donna maritata con uno che non è suo marito, azione chiamata moechia, cioè adulterio.
Ogni moechia quindi nelle Scritture viene chiamata anche fornicazione.
Ma che ogni fornicazione possa dirsi anche moechia, per ora non mi viene in mente alcuna citazione di tale sinonimo nelle medesime Scritture.
Ordunque, se non ogni fornicazione può essere chiamata moechia, non so in quale passo del decalogo può trovarsi che è proibita la fornicazione che commettono gli uomini non ammogliati con donne non maritate.
Ma se si chiama propriamente furto ogni appropriazione illecita di una cosa altrui - poiché non permette la rapina colui che proibisce il furto, ma ha certamente voluto che s'intendesse la parte per il tutto quanto a qualsiasi cosa del prossimo si ruba illecitamente - è evidente che anche con il nome di moechia deve intendersi che è proibita ogni relazione sessuale illecita e l'uso non legittimo di quelle membra.
71.5. Riguardo al comandamento: Non uccidere, non si deve pensare che si agisce contro questo precetto quando è la legge ad uccidere o è Dio a comandare di uccidere qualcuno.
Poiché quell'azione la fa colui che la comanda, dal momento che non è lecito rifiutarsi di compiere quel servizio.
71.6. Anche a proposito del comandamento: Non testimoniare il falso contro il tuo prossimo suole porsi il quesito per sapere se è proibita ogni specie di menzogna, salvo che questo precetto non sia diretto contro coloro i quali dicono che si deve mentire quando la menzogna giova a qualcuno e non danneggia la persona alla quale si mentisce.
Poiché una menzogna di tale genere non è contro il tuo prossimo; questo pare il motivo per cui la Scrittura aggiunse questa precisazione, mentre avrebbe potuto dire brevemente: Non testimoniare il falso, così come disse: Non uccidere, non commettere adulterio, non rubare.
Ma di qui sorge un grave problema e da chi ha fretta - come me - non può spiegarsi convenientemente come deve intendersi l'espressione: Tu manderai in rovina tutti coloro che diranno menzogna; ( Sal 5,7 ) e: Non dire alcuna menzogna, ( Sir 7,14 ) e tutte le altre frasi di tal genere.
E tutto il popolo vedeva la voce e i lampi e la voce della tromba e il monte fumante.
Suole porsi il quesito in che modo il popolo vedeva la voce dal momento che la voce sembri riferirsi non alla vista ma piuttosto all'udito.
Ma, come or ora ho detto videatur a proposito di tutto ciò che ho esposto, così videre [ vedere ] suole essere usato nel senso generale, riferito non solo al corpo ma anche all'animo.
Un'altra espressione simile è anche questa: Avendo Giacobbe visto che c'era grano in Egitto, ( Gen 42,1 ) dal quale evidentemente era lontano.
Sennonché alcuni pensano che vedere la voce non significa altro che intendere [ la voce ] che è la vista della mente.
Ma poiché qui l'agiografo doveva dire in breve che il popolo vedeva la voce e i lampi e la voce della tromba e il monte che emetteva fumo, sarebbe sorto un problema ancora più grave, quello di sapere in che modo il popolo udiva i lampi e il monte che mandava fumo.
Salvo che non si dica che non si sarebbe dovuto dire tanto brevemente, ma perché fosse espresso tutto avrebbe dovuto dire: " Udiva la voce e vedeva i lampi e udiva il suono della tromba e vedeva il monte che mandava fumo ".
Poiché erano due specie di voce: quella proveniente dalle nubi, come i tuoni, e quella della tromba, se pur è vero che chiama " voce " il tuono prodotto dalle nubi.
Per questo motivo la Scrittura, volendo comprendere tutte le sensazioni in conciso, preferì riferire al senso generale della vista ciò che nel racconto conveniva piuttosto al senso dell'udito, anziché sottintendere il verbo "udire" per le cose che si riferiscono al senso della vista, poiché noi siamo soliti parlare in questo modo.
In effetti noi siamo soliti dire: "Guarda che cosa suona "! ma non siamo soliti dire: " Ascolta che cosa risplende "!
Parla tu a noi, ma non ci parli Dio, perché non abbiamo a morirne.
Spesso e con solidi argomenti s'insegna che all'Antico Testamento appartiene piuttosto il timore, come al Nuovo l'amore, sebbene anche nell'Antico sia nascosto il Nuovo e nel Nuovo sia manifesto l'Antico.
Non si vede chiaramente però in qual modo a quel popolo venga concesso di " vedere " la voce di Dio, né " vedere " è da intendersi nel senso di " comprendere ", dal momento che hanno paura di morire se Dio parla ad essi.
E Mosè disse loro: " Non abbiate timore, poiché Dio è venuto a voi al fine di mettervi alla prova, perché il suo timore sia in voi e così non pecchiate ".
In tal modo essi dovevano essere allontanati dal peccare, precisamente col timore di soffrire pene fisiche, poiché ancora non potevano amare la giustizia.
Inoltre la tentazione con la quale Dio li metteva alla prova consisteva nel rendere manifesto ciò che essi erano, non allo scopo di farsi conoscere da Dio, al quale non era ignoto quello che essi erano, ma perché si conoscessero tra loro e divenissero noti a se stessi.
Tuttavia a proposito di queste manifestazioni di terrore si mostra chiaramente la differenza dell'Antico Testamento [ rispetto al Nuovo ] come assai esplicitamente è dichiarato anche nella Lettera agli Ebrei. ( Eb 12,24-28 )
Mosè invece entrò nella nube oscura ov'era presente Dio, cioè dove erano più evidenti i segni con i quali si poteva vedere Dio.
In che modo infatti stava nella nube oscura Colui il quale non è compreso dai cieli dei cieli?
Se non che vi stava come sta dappertutto Colui che non sta in nessun luogo.
Non vi farete dèi d'argento né dèi d'oro farete per voi stessi.
Viene ripetuto ciò che è stato inculcato nel primo comandamento; negli dèi d'oro e d'argento è compresa ogni specie d'immagini sacre, [ idoli ] come dice anche il Salmo: Gli idoli dei pagani sono d'argento e d'oro. ( Sal 115,4; Sal 135,15 )
Quanto alle ordinanze relative agli schiavi ebrei che siano affrancati, se sono schiavi da sei anni, perché gli schiavi cristiani non pretendano questo dai loro padroni, l'autorità dell'Apostolo ordina agli schiavi di essere sottomessi ai loro padroni per non far bestemmiare il nome di Dio e il suo insegnamento. ( Ef 6,5; 1 Tm 6,1 )
Da qui risulta infatti assai chiaramente che quel precetto fu dato per indicare un mistero, poiché Dio ordinò anche di forare con la lesina presso la porta l'orecchio dello schiavo che avesse rifiutato la libertà. ( Es 21,6 )
Se uno vende la propria figlia come domestica, essa non andrà via [ libera ] come le schiave.
Se non riuscirà gradita al suo padrone, che non le aveva dato il proprio nome, la ricompenserà.
Egli però non è padrone di venderla a gente straniera, poiché usò disprezzo a suo riguardo.
Se poi le darà il nome del proprio figlio, la tratterà secondo la norma relativa alle figlie.
Se invece ne prenderà per lui un'altra, non le sottrarrà con frode ciò che le è necessario né i suoi indumenti né la sua conversazione.
Se però non farà per lei queste tre cose, essa se ne andrà [ affrancata ] gratuitamente.
Termini e modi di dire inconsueti hanno reso questo passo assai oscuro e per conseguenza i nostri traduttori quasi quasi non hanno trovato il modo di spiegarlo.
Anche nella versione greca è molto oscuro ciò che qui è detto.
Ciononostante cercherò di spiegare - come potrò - che cosa mi sembra voglia significare.
78.2. Se poi uno - è detto - venderà la propria figlia come domestica - cioè perché sia una domestica, che i Greci chiamano όικέτην - non andrà via [ libera ] come le serve, si deve intendere in questo senso: " non andrà via libera come vanno via affrancate le serve ebree dopo sei anni ".
Poiché si deve credere data anche per la donna ebrea la legge che si osserva riguardo ai maschi.
Perché dunque questa donna non andrà via affrancata, se non perché si capisce che è stata umiliata durante quel periodo di servitù, per il fatto che il suo padrone ha avuto relazioni sessuali con lei?
Naturalmente questo motivo appare comunque chiaro nel seguito del testo.
Il testo infatti in seguito dice: Se non riuscirà gradita al suo padrone, che non le aveva dato il proprio nome, - cioè non l'aveva fatta sua moglie - la ricompenserà, cosa che equivale a ciò che è detto prima: non se ne andrà affrancata come le altre serve.
Poiché è giusto che riceva qualcosa in cambio d'essere stata umiliata non essendosi egli unito a lei nel rapporto sessuale facendola sua moglie, cioè non essendosela sposata.
L'espressione: la ricompenserà, alcuni traduttori l'hanno resa con l'espressione: la riscatterà, che se fosse stata detta in greco sarebbe stata scritta άπολυτρώσεται, come sta scritta l'espressione: ed egli riscatterà Israele, ( Sal 130,8 ) poiché qui in greco si trova scritto άπολυτρώσεται.
In questo passo invece si legge άπολυτρώσει con cui s'intende che essa riceve qualcosa di più di quanto si dà per lei al fine d'essere riscattata.
A chi infatti il suo padrone darà qualcosa per riscattare colei che egli possiede come domestica?
Egli però non è padrone di venderla a gente straniera, poiché usò disprezzo riguardo a lei significa: non perché usò disprezzo per essa è perciò padrone di venderla, cioè eserciterà il suo dominio su di lei fino al punto di venderla lecitamente, anche a gente straniera.
Inoltre l'espressione: usò disprezzo nei suoi riguardi, equivale a " la disprezzò " e questo termine equivale a " la umiliò " giacendo con lei senza farla sua moglie.
In greco però è detto: ήθέτησεν, che corrisponde alla nostra forma verbale sprevit [ disprezzò ], parola che la Scrittura usa in Geremia: Come una donna disprezza colui con il quale ha relazioni sessuali. ( Ger 3,20 )
78.3. Il testo poi seguita dicendo: Se poi l'accorderà al proprio figlio, la tratterà secondo la norma stabilita per le figlie.
Qui comincia già ad apparire chiaro il senso della frase che la Scrittura enuncia poco prima: che egli a sé l'aveva accordata.
Poiché cos'altro vuol dire: se poi l'accorderà al proprio figlio, se non: " l'unirà a suo figlio come moglie " dal momento che è detto: la tratterà secondo la norma relativa alle figlie, cioè: " dandola così in sposa come una figlia, consegnandole cioè la dote "; poi si aggiunge: se prenderà per lui un'altra donna - cioè non la destinerà come moglie per suo figlio, ma per lui ne prenderà un'altra - non le sottrarrà con frode ciò di cui essa abbisogna né i suoi vestiti né la sua conversazione; in forza della stessa legge le darà ciò che le spetta poiché non continuò ad essere moglie di suo figlio come gliel'avrebbe dato se non l'avesse accordata a sé e non l'avesse umiliata avendo con lei relazioni sessuali.
Il termine conversatio della frase: non le sottrarrà con frode la sua conversazione, il greco l'esprime con όμιλία, cioè colloquio, parola con cui la Scrittura chiama eufemisticalmente l'amplesso sessuale.
Che vuol dire poi: " Non le sottrarrà con frode l'amplesso sessuale ", se non: "Per l'amplesso sessuale le darà una ricompensa "?
Infatti nel libro di Daniele gli anziani che stavano rendendo una falsa testimonianza contro Susanna dissero: S'è accostato a lei un giovane, che stava nascosto, e s'è unito a lei nell'abbraccio sessuale. ( Dn 13,37 )
E Daniele interrogandoli a proposito dello stesso caso, chiese: Sotto quale albero li avete visti parlare insieme? ( Dn 13,58 ) come quelli avevano detto: si è unito a lei nell'abbraccio sessuale.
Accusando poi l'altro e convincendolo del peccato, Daniele disse: Razza di Canaan e non di Giuda, la bellezza ti ha sedotto e la passione ha pervertito il tuo cuore!
Così facevate con le Israelite, ma esse per paura acconsentivano a voi. ( Dn 13,56-57 )
Il testo greco dice così: ώμίλουσαν ύμϊν, che tradotto letteralmente potrebbe dirsi: "parlavano con voi ", la quale espressione significa l'amplesso sessuale.
Poco prima, quando il latino dice: Sotto quale albero li hai sorpresi, il greco ha: Li hai sorpresi mentre conversavano tra loro?
Anche in quel passo viene indicato il concubito.
78.4. Quanto dunque a ciò che la Scrittura aggiunge a proposito dell'argomento qui trattato e dice: Se egli non farà per lei queste tre cose, essa se ne andrà [ libera ] gratuitamente, va inteso nel senso seguente: se non la umiliò con il concubito né la unì in matrimonio con il figlio proprio né un'altra donna sposata dal proprio figlio la scaccerà, se ne andrà [ libera ] gratuitamente, le basterà di non continuare a essere tenuta come schiava; poiché se ne andrà libera senza ricevere nulla come uno schiavo ebreo.
Poiché non è lecito al suo padrone maritarla a un uomo non ebreo, dal momento che non gli è permesso di consegnarla a gente straniera.
Se però la mariterà con uno schiavo ebreo, s'intende naturalmente che se ne andrà libera gratuitamente con lui senza essere separata dal marito.
Se uno colpirà una persona e questa morirà, sia messo a morte; chi però la uccide non volendo, ma è stato Dio a consegnarla nelle sue mani, ti darò un luogo in cui possa fuggire.
Qui si pone il quesito per sapere in che senso è stato detto: Se però la uccide senza volerlo, ma è stato Dio a consegnarla nelle sue mani, come se, anche volendolo, avesse potuto ucciderla qualora Dio non l'avesse posta nelle sue mani.
Si comprende quindi che ad uccidere è solo Dio quando una persona è uccisa da qualcuno involontariamente, e perciò, poiché Dio soltanto fece quell'azione, è stato detto: ma fu Dio a consegnarla nelle sue mani.
Quando, al contrario, uno uccide per sua volontà, non è solo lui ad uccidere, ma anche Dio che ha consegnato [ la vittima ] nelle sue mani.
C'è però questa differenza, che in quel caso a farlo fu soltanto Dio, in quest'altro caso invece lo fanno tanto Dio che l'uomo, a causa della volontà di chi fa l'azione, ma l'uomo non lo fa alla stessa maniera di Dio.
Dio infatti lo fa soltanto con giustizia, l'uomo invece lo fa divenendo meritevole del castigo, non perché uccise una persona che Dio non voleva che fosse uccisa ma perché la uccise per la propria malvagità.
Poiché non rese un servizio a Dio che glielo avesse ordinato, ma perché cedette alla sua malvagia passione.
Riguardo quindi ad un unico e identico fatto, viene lodato Dio per la sua occulta equità come viene castigato l'uomo per la propria iniquità.
Infatti non perché Dio non risparmiò il proprio Figlio, ma lo consegnò per tutti noi, ( Rm 8,32 ) viene scusato Giuda, il quale consegnò il medesimo Cristo affinché fosse mandato alla morte. ( Mt 26,48 )
Se due uomini litigheranno e colpiranno una donna incinta e il suo bambino uscirà ancora non formato, l'uomo sarà punito con un'ammenda; darà quanto imporrà il marito della donna con una istanza.
A me pare che di questi precetti si parli piuttosto per indicare un loro significato allegorico, e non tanto perché la Scrittura sia particolarmente interessata a fatti di tal genere.
Poiché se essa avesse voluto indicare che una donna gravida, la quale fosse stata colpita, si trovasse nella condizione di dover abortire, non parlerebbe di due uomini litiganti, poiché il fatto potrebbe essere commesso da uno solo qualora litigasse con la stessa donna o anche senza litigare, ma commise quel fatto volendo procurare un danno alla discendenza di un'altra persona.
Al contrario, per il fatto che non pensa che un feto ancora non formato non ha nulla a che fare con l'omicidio, di certo non ritiene neppure che sia una persona un feto siffatto portato nel grembo materno.
Qui suole trattarsi la questione dell'anima, se cioè il feto non formato si possa credere anche non fornito di anima e perciò non sia omicidio per il fatto che non si può dire che resti senz'anima un essere che ancora non aveva l'anima.
L'agiografo infatti prosegue dicendo: Se invece era un embrione formato, darà vita per vita.
Che cos'altro significa questa espressione, se non: " morirà anche lui "?
Poiché la legge, data quest'occasione, prescrive d'ora in poi la stessa norma anche negli altri casi: Occhio per occhio, dente per dente, mano per mano, piede per piede, bruciatura per bruciatura, ferita per ferita, livido per livido, cioè in base alla giustizia del taglione.
Questa legge fu stabilita per mostrare quale specie di pena si debba infliggere.
Poiché, se non si sapesse attraverso la legge quale specie di pena si debba applicare, come potrebbe sapere che cosa ci rimette il perdono per poter dire: Rimetti a noi i nostri debiti, come anche noi li rimettiamo ai nostri debitori? ( Mt 6,12 )
Dalla legge quindi vengono indicati chiaramente i debitori perché quando si perdona sia chiaro che cosa si perdona.
In effetti non rimetteremmo i debiti, se non sapessimo dalla legge, che ce lo indica, che cosa ci è dovuto.
Se dunque quell'embrione era stato informe, ma in certo qual modo animato senz'essere ancora formato - poiché il difficile problema dell'anima non deve essere risolto in fretta con la temerità di un'opinione non sottoposta ad un attento esame - la legge non volle che fosse considerato un omicidio, poiché non può ancora chiamarsi anima viva quella che è in un corpo ancora privo di sensi, se è così in un corpo ancora non formato e perciò non ancora dotato di sensi.
Non è però facile capire che cosa voglia dire l'espressione: e darà mediante un'istanza, ciò che il marito della donna aveva stabilito che gli fosse dato se essa avesse partorito un feto informe.
Il termine del testo greco può infatti essere inteso in più sensi ed è stato tradotto mediante un'istanza in modo meno improprio che se fosse stato tradotto diversamente.
Forse [ è detto ] presenterà un'istanza per dare, cioè per dare soddisfazione a Dio in quel modo anche se il marito o la donna non lo chiedessero.
Se un bue ferirà con le corna un uomo o una donna causandone la morte, il bue verrà lapidato a sassate, ma non se ne mangerà la carne; il padrone del bue però sarà ritenuto innocente.
È dovere della giustizia che sia ucciso un animale dannoso agli uomini.
E ciò che qui si dice del bue deve intendersi, come la parte per il tutto, di qualunque animale, di cui si serve l'uomo ma che è pericoloso.
Se però si deve uccidere, perché a sassate? Se un animale dev'essere eliminato, che importanza ha il genere di morte con cui venga ucciso?
Poi in quanto a ciò che il testo aggiunge di non mangiare la carne del bue, che relazione ha con il resto se non che tutte queste norme indicano qualcosa cui la Scrittura dà solitamente una particolare importanza?
Se però il bue di uno avrà colpito il bue del suo prossimo causandone la morte, essi venderanno il bue vivo e ne divideranno il prezzo e si spartiranno anche il bue morto.
Questa norma deve forse osservarsi solo riguardo ad un bue e non nel caso simile per qualsiasi altra bestia?
Perciò anche la norma relativa al bue deve intendersi nel senso che riguarda la parte per il tutto, ma non può applicarsi al caso della carne d'una bestia uccisa che non si mangia.
Che specie di prescrizione è quella che per un solo vitello ucciso se ne debbano dare cinque, mentre invece quattro capi di bestiame minuto per un agnello, se non si pensa che abbia un significato allegorico?
Se un ladro verrà sorpreso nell'atto di aprire una breccia [ in un muro ] e morirà per essere stato colpito, all'uccisore non è imputabile l'omicidio, ma se su di lui s'era levato il sole, sarà colpevole e morirà.
S'intende che non ha nulla a che fare con l'omicidio se un ladro viene ucciso di notte, ma si considera omicidio l'uccisione di un ladro di giorno; ciò infatti vuol dire l'espressione: se su di lui s'era levato il sole.
Poiché si poteva vedere chiaramente che quel tale era venuto per rubare e non per uccidere e perciò non avrebbe dovuto essere ucciso.
Anche nelle antiche leggi pagane - delle quali tuttavia questa è più antica - si trova che il ladro che ruba di notte può essere ucciso impunemente in qualsiasi modo, ma quello che rubò di giorno, se si difendesse con un'arma; poiché allora è più di un ladro.3
Che vuol dire: Chi sarà convinto [ di colpa ] da Dio, restituirà il doppio, se non che talora Dio vuole svelare lo spergiuro con un determinato segnale?
Non maledirai gli dèi. Si pone il problema di sapere di quali dèi si parli: se dei capi che giudicano il popolo, come è detto di Mosè che fu dato per dio al Faraone, ( Es 7,1 ) sicché ciò che segue sarebbe detto a mo' di spiegazione come per dimostrare di quali dèi si parli quando si dice: Non maledirai - o come dice il greco: non dirai male - il capo del tuo popolo.
O forse l'espressione si deve intendere secondo quanto dice l'Apostolo: poiché, sebbene vi siano dei cosiddetti " dèi " sia in cielo che sulla terra, come [ in realtà ] vi sono molti " dèi " e molti " signori "? ( 1 Cor 8,5 )
Con l'aggiunta dell'inciso: come [ in realtà ] ve ne sono, volle che s'intendessero come dèi quelli che sono chiamati tali anche meritamente; ma naturalmente intendendo che ciò che in greco si dice λατρεία e in latino si traduce servitus [ = servizio, culto di Dio ] e che si sa avere attinenza con la religione è dovuta solo all'unico vero Dio, il quale è il nostro Dio; quelli invece che sono chiamati dèi, anche se vi sono di quelli che meritano questo nome, è proibito maledirli, ma non è comandato di venerarli con sacrifici o con alcun atto di culto latreutico.
Non starai con la maggioranza nel fare il male.
Nessuno quindi si difenda dicendo che lo fece insieme alla maggioranza o pensi perciò che non sia peccato.
E non avrai pietà del povero nel giudizio. Se non ci fosse l'aggiunta: in un giudizio, sarebbe sorto un grosso problema.
Ma anche se il senso di questo precetto non fosse stato precisato da quell'aggiunta, si sarebbe dovuto sottintendere; prima infatti era stato detto: Non ti aggiungerai al gran numero in modo da sviare il giudizio, ( Es 23,2 ) e perciò la frase: Non avrai pietà del povero si sarebbe potuta intendere nel giudizio.
Ma poiché questo particolare è aggiunto, non c'è alcun problema che ciò è stato comandato; per conseguenza quando giudichiamo e vediamo che la giustizia è in favore del ricco contro il povero, non deve sembrarci di agire bene se, spinti dalla misericordia, saremo favorevoli al povero contro la giustizia.
Buona è dunque la misericordia ma non deve essere contro il giudizio.
La Scrittura chiama, ovviamente, giudizio quello che è giusto.
Perché poi non si pensi che a causa di questo precetto Dio proibisca la misericordia, molto opportunamente la Scrittura subito dopo continua dicendo: Se poi incontrerai il bue del tuo nemico o il suo asino dispersi, li ricondurrai e restituirai a lui, ( Es 23,4 ) perché tu sappia che non ti è proibito di esercitare la misericordia.
Esercitala anche verso i tuoi nemici, quando essendo libero dal giudicare ne avrai la possibilità,4 poiché quando riconduci il bue disperso del tuo nemico e glielo rendi tu non siedi [ in tribunale ] come giudice tra altre persone.
Durante sei anni seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto, ma il settimo anno non la coltiverai e la farai riposare e mangeranno i poveri del tuo popolo; il restante lo mangeranno le bestie selvatiche.
Così tratterai la tua vigna e il tuo oliveto.
Ci possiamo porre il quesito per sapere che cosa potrebbero raccogliere i poveri se nel settimo anno si lasciasse incolta la terra e se non viene neppure seminata - poiché non si riferisce né alla vigna né all'oliveto ciò che è detto prima: mangeranno i poveri del tuo popolo - poiché non possono prendere nulla da una terra non seminata dove non possono nascere le messi.
In seguito si dice che si deve fare lo stesso della vigna e dell'oliveto e perciò quello che si dice s'intende dei campi che sono adatti a [ produrre ] i cereali.
Oppure il comandamento: Durante sei anni di seguito seminerai la tua terra e ne raccoglierai il prodotto deve intendersi nel senso che seminerai e raccoglierai durante sei anni ma nel settimo non raccoglierai, sottintendendo seminerai la terra, quantunque ciò non sia espresso esplicitamente; per conseguenza il seminare e il raccogliere riguardano i sei anni, mentre è riferito al settimo lasciare ai poveri quanto sarà stato seminato?
Che cosa altrimenti potrebbero raccogliere per sé i poveri quando ciò che resta è abbandonato alle bestie selvatiche, a quelle naturalmente che possono nutrirsi dei prodotti della terra come i cinghiali, i cervi e qualsiasi altro animale di tal sorta?
Ciò tuttavia non sarebbe detto se non per indicare qualche simbolismo.
Infatti se Paolo riferendosi a prescrizioni date agli uomini dice: Dio non ha cura dei buoi ( 1 Cor 9,9 ) - affermazione da intendersi non nel senso che egli non nutra gli animali che non seminano né raccolgono e non mettono il raccolto nei granai, ( Mt 6,26 ) ma nel senso che i suoi precetti non hanno per oggetto di esortare l'uomo ad avere cura del proprio bue - quanto meno si preoccupa di dare prescrizioni riguardo alle bestie selvatiche in che modo gli uomini debbono aver cura di esse dal momento che egli le nutre con i beni della natura sotto ogni riguardo abbondante di prodotti, e che nutre anche per altri sei anni quando si raccolgono i prodotti che vengono seminati.
Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.
Non so se possa trovarsi per questa prescrizione un senso da prendersi alla lettera.
Se infatti intenderemo la proibizione di far cuocere un capretto nel latte di sua madre per indicare qualche significato speciale, [ l'ipotesi è infondata perché ] non si usa affatto di farlo cuocere in tal modo; se invece s'intende durante l'allattamento, chi dei Giudei si attenne mai all'osservanza di non far cuocere un capretto se non dopo lo svezzamento?
Che vuol dire inoltre: nel latte di sua madre, come se, pur intendendolo in questo senso, si fosse potuto far cuocere senza trasgredire questo precetto, se alla sua nascita fosse morta la madre e fosse stato allattato da un'altra capra, dal momento che nessuno dubita che questo precetto fu dato certamente per indicare un significato particolare?
Ma anche le cose che comunemente possono essere praticate e osservate non vengono prescritte senza un motivo, poiché hanno un significato speciale, però non esiste o non appare chiara la possibilità di osservare alla lettera un tale precetto.
Io tuttavia accetto come valida l'interpretazione che quel precetto sia una profezia riguardante Cristo, con la quale fu predetto che egli non sarebbe stato ucciso da bambino quando Erode cercava di ucciderlo, ma non lo trovò. ( Mt 2,13-15 )
In tal modo l'espressione: farai cuocere si riferisce al fuoco della passione, cioè alla tribolazione.
Ecco perché la Scrittura dice: La fornace mette alla prova gli oggetti del vasaio e gli uomini [ sono messi alla prova ] dall'avversità della tribolazione. ( Sir 27,6 )
Poiché dunque Cristo non soffrì la passione da piccolo, quando Erode lo cercava per farlo uccidere e sembrava che incombesse su di lui un siffatto pericolo, fu fatta la predizione con queste parole: Non farai cuocere un capretto nel latte di sua madre.
Forse non è illogico neppure ciò che sostengono altri, vale a dire che dal profeta fu ordinato che i buoni Israeliti non si unissero ai cattivi Giudei per opera dei quali Cristo soffrì la passione come un agnello [ fatto cuocere ] nel latte di sua madre, cioè nel tempo in cui fu concepito.
Si dice infatti che le poppe delle donne si gonfiano di latte a partire dal concepimento e che Cristo fu concepito e soffrì la passione in quel mese, lo mostra non solo la celebrazione della Pasqua ma anche il giorno del suo natale assai noto alle Chiese.
Colui infatti che nacque dopo nove mesi, all'incirca il venticinque dicembre fu concepito evidentemente all'incirca il venticinque di marzo, che fu anche il tempo della sua passione nel latte di sua Madre, cioè nel tempo del latte di sua Madre.
Ecco, io mando il mio angelo davanti a te, affinché ti custodisca lungo il cammino e ti faccia entrare nel paese che io ti ho preparato.
Bada a te stesso e ascoltalo, e non disubbidirgli, poiché egli non si ritirerà davanti a te, giacché il mio nome è su di lui.
S'intende che ciò è detto certamente di colui il quale fu cambiato il nome affinché si chiamasse Gesù, poiché fu lui a introdurre il popolo nella terra promessa.
Tu servirai il Signore Dio tuo, e io benedirò il tuo pane, il tuo vino e la tua acqua, e allontanerò la malattia da voi.
Non ci sarà alcuno che non generi né alcuna sterile nel tuo paese. Io colmerò il numero dei tuoi giorni.
Manderò davanti a te la paura e riempirò di confusione tutti i popoli presso i quali tu entrerai, ecc.
Sebbene queste promesse possano essere intese anche in senso spirituale, quando tuttavia sono formulate secondo la felicità umana temporale, sono proprie dell'Antico Testamento.
Quantunque in esso si trovino precetti riguardanti i buoni costumi, eccettuati quelli che hanno un significato simbolico basato sull'allegoria, ciononostante sono promesse carnali e terrene.
Ecco perché nel Salmo settantadue l'uomo di Dio dice che per poco i suoi piedi non s'inciampavano e non vacillavano quando si struggeva d'invidia vedendo la felicità dei peccatori. ( Sal 73,2 )
Egli infatti vedeva che gli empi abbondavano di quei beni che egli, secondo l'Antico Testamento, aspettava dal Signore che serviva per questa ricompensa.
E poiché a causa di questa sua costatazione aveva cominciato a dubitare che Dio si curi delle questioni umane, dice che mutò parere, poiché non aveva osato respingere l'autorità dei santi e si mise a riflettere per capire e dice: Questa è una cosa troppo difficile per me, finché non entrerò nel santuario di Dio e comprenderò la loro fine. ( Sal 73,16-17 )
Ivi infatti saranno dati i premi propri del Nuovo Testamento, premi che non saranno per gli empi, e allora ci saranno pene per gli empi, che nessuno dei giusti proverà.
Invierò vespe davanti a te e che scacceranno gli Amorrei, gli Evei, i Cananei e gli Ittiti davanti a te.
Si pone il problema di capire in che senso prendere queste vespe.
Poiché si tratta di una promessa non solo fatta da Dio ma anche adempiuta, come dice il libro della Sapienza quando afferma: Come avanguardia del suo esercito [ Dio ] mandò le vespe. ( Sap 12,8 )
Noi però non leggiamo [ nella Scrittura ] che ciò avvenne né al tempo di Mosè né di Giosuè, figlio di Nave, né durante i Giudici né sotto i Re.
Per conseguenza queste vespe sono da intendere forse come le spine della paura, che turbavano quei popoli spingendoli a ritirarsi davanti agli Israeliti.
Quando, come qui, è Dio che parla, se nelle sue parole si esprime in senso figurato qualcosa che non si sia compiuto in senso letterale, ciò non è contrario all'autenticità della storia attraverso la quale si riconosce la verità della narrazione.
Così pure non perde la sua autenticità il racconto degli Evangelisti se riferiscono qualcosa detto da Cristo in senso figurato.
Se servirai i loro dèi, ti saranno d'inciampo. Qui il testo greco porta δουλεύσης, non λατρεύσης.
Per conseguenza s'intende che anche la δουλεία è dovuta a Dio in quanto è il Signore, la λατρία al contrario è dovuta solo a Dio in quanto è Dio.
E a Mosè [ il Signore ] disse: " Sali sul monte dal Signore tu e Aronne, Nadab, Abiud e settanta anziani d'Israele; e stando lontano si prostreranno davanti al Signore.
Si avvicinerà al Signore soltanto Mosè, ma essi non si avvicineranno, e il popolo non salirà con loro ".
Mosè poi andò dal popolo e gli espose tutte le parole di Dio e le sue giustificazioni.
Tutto il popolo ad una sola voce rispose dicendo: " Noi metteremo in pratica e ascolteremo tutte le parole che il Signore ha detto ".
Fino a questo passo della Scrittura per giustificazioni si devono intendere i precetti dati al popolo perché fossero osservati.
Quest'espressione però la si vede usata per la prima volta - per lo meno nella Scrittura - a proposito dello schiavo ebreo, di cui è detto di forargli l'orecchio presso lo stipite della porta. ( Es 21,6 )
In tutte queste " giustificazioni " deve considerarsi ciò che può volgere a vantaggio di una vita ben regolata e alla conservazione dei buoni costumi.
In molte di esse infatti ci sono dei misteri che hanno un senso simbolico piuttosto che contenere un insegnamento per la nostra vita.
I traduttori latini chiamano saggiamente " giustificazioni " ( Es 21,1 ) quella che i greci chiamano.
Si deve notare che il popolo risponde la seconda volta: Tutte le parole dette dal Signore noi le metteremo in pratica e le ascolteremo, sebbene l'ordine logico sembri esigere che si dicesse: le ascolteremo e le metteremo in pratica.
Sarebbe dunque strano che qui non ci fosse qualche senso occulto.
Poiché se ascolteremo sta per " intenderemo ", ci si deve impegnare a ubbidire alle parole di Dio mettendole in pratica, perché ci conduca lui stesso a comprendere le cose che si fanno per suo comando grazie alla fede che non le fa disprezzare ma le fa compiere.
Bisogna vedere però se quel popolo assomiglia a quel figlio che al padre, che gli aveva dato un ordine, rispose: Andrò nella vigna, ma poi non ci andò. ( Mt 21,30 )
Al contrario i pagani, che avevano nutrito un immenso disprezzo per il Signore, in seguito, giustificati per l'obbedienza di uno solo, raggiunsero la giustizia che non cercavano. ( Rm 9,30 )
Si deve notare che Mosè costruì un altare ai piedi della montagna e dodici pietre per le dodici tribù d'Israele.
S'intende che l'altare eretto con dodici pietre simboleggiava che il popolo stesso era l'altare di Dio, come è il tempio di Dio. ( 2 Cor 6,16 )
E immolarono a Dio sacrifici di salvezza.
La Scrittura non dice: " sacrifici salvatori ", ma: sacrifici di salvezza, come ha il testo greco, cioè σωτηρίου.
Ecco perché nel Salmo è detto: Prenderò il calice della salvezza, ( Sal 116,4 ) non è detto: " il calice salvatore ".
A questo proposito occorre vedere se è prefigurato colui del quale Simeone disse: Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza. ( Lc 2,30 )
L'importanza di lui è sottolineata anche dal Salmo, in cui si legge: Annunziate di giorno in giorno la sua salvezza. ( Sal 96,2 )
Se infatti porremo maggiore attenzione, che cos'altro significa l'espressione: il giorno dal giorno se non luce da luce, cioè Dio da Dio, che è il Figlio unigenito?
Mosè poi prese la metà del sangue e la versò in diversi catini, l'altra metà la spruzzò sull'altare.
E prendendo il libro dell'alleanza lo lesse alle orecchie del popolo.
È da notare che la Scrittura qui dice chiaramente che questo è il primo sacrificio offerto da Mosè da quando il popolo fu condotto fuori dall'Egitto.
Prima infatti la Scrittura aveva detto - sebbene con una certa ambiguità - che era stato Ietro, suocero di Mosè, a offrire un sacrificio a Dio. ( Es 18,12 )
Si deve inoltre porre attenzione al fatto che allo spargere il sangue delle vittime viene letto il libro dell'alleanza, nel quale dobbiamo pensare che si trovavano scritte quelle giustificazioni; infatti è manifesto che per quanto riguarda il decalogo della legge fu scritto su tavole di pietra solo dopo.
Indice |
2 | q. 2, 25 |
3 | Cicerone, Pro Milone 9; Pro Tullio 50 |
4 | C. adv. Legis et Proph. 1, 17, 35 |