Teologia dei Padri |
Impara dall'esempio delle vergini ( Mt 25,1-13 ).
Queste, infatti, non avendo più olio nei vasi e dovendo, d'altronde, entrare nella sala delle nozze assieme allo sposo, si accorsero, quand'era ormai troppo tardi, d'esser rimaste prive di ciò che era, invece, indispensabile.
Ebbene, per questo motivo la Scrittura le definisce « stolte » giacché, sciupando il tempo in cui sarebbe stato necessario servirsi dell'olio per andare in giro ad acquistarlo, si videro escluse, a causa della loro distratta imprudenza, dalla gioia del letto nuziale.
Sta' attento anche tu che, rimandando anno dopo anno, mese dopo mese, giorno dopo giorno, di procurarti l'olio per alimentare la lampada, alla fine, inaspettatamente, sentirai ormai la tua vita venir meno e non vi sarà che sofferenza e afflizione senza alcun rimedio, mentre si dispereranno medici e parenti; ti sentirai oppresso da un respiro rauco e pesante, una febbre altissima infiammerà tutto il tuo corpo, fin nelle parti più interne, mentre ti lamenterai dal più profondo del tuo petto, sentendoti assolutamente solo nel tuo dolore.
Se cercherai di sussurrare qualche parola, sarà giudicata priva di significato e non vi sarà nessuno che ti ascolti: qualsiasi cosa tenterai di dire, non sarà tenuta in alcun conto, ma giudicata, anzi, come il frutto del tuo delirio.
Chi, in quel momento, penserà a impartirti il battesimo?
Chi si preoccuperà di farti in qualche modo rinvenire, mentre sarai ormai stordito e addormentato dalla sofferenza e dalla malattia?
I tuoi parenti piangeranno, altri malediranno il tuo male; l'amico non penserà, certo, ad ammonirti, per non recare disturbo, mentre il medico, forse, ti esorterà addirittura, ingannandoti, a non disperarti sotto la spinta dell'istintivo attaccamento alla vita.
Discende la notte: non c'è nessuno ad aiutarti, nessuno ad amministrarti il battesimo.
Ecco la morte, mentre si affrettano coloro che devono portarti via.
Chi mai ti salverà? Dio, forse, che è stato così disprezzato?
Sì, egli in quel momento ti esaudirà, poiché adesso tu gli dai ascolto.
Prolungherà, forse, il tempo che ti è stato assegnato?
Lo farà, se tu hai fatto un buon uso di quello che già hai trascorso.
Nessuno ti seduca con vani discorsi ( Ef 5,6 ).
Repentinamente, infatti, ti sorprenderà la rovina ( 1 Ts 5,3 ) e la tua fine sopraggiungerà come una tempesta.
L'angelo della morte arriverà e trascinerà via violentemente la tua anima sedotta dai peccati, mentre spesso continua a rivolgersi verso di essi e geme senza più voce, giacché sarà ormai chiuso l'organo dei gemiti e dei lamenti.
Quanto ti tormenterai! E come piangerai!
Invano, tuttavia, ti pentirai delle tue scelte, vedendo da una parte la gioia dei giusti che si allietano per l'abbondanza dei doni ricevuti, e dall'altra, invece, la sofferenza dei peccatori che giacciono nelle più profonde tenebre.
Che cosa dirai, allora, nel dolore del tuo cuore!
Ahimè, non ho rifiutato di caricarmi addosso, mentre sarebbe stato così facile liberarsene, questo pesante fardello di peccati!
Non ho esitato, invece, a trascinarmi dietro tutto il peso di questi mali!
Ahimè, non ho lavato macchie e sporcizia, anzi, mi sono insudiciato di peccati!
Ora mi troverei con gli angeli e godrei delle delizie dei beni celesti.
Che scelte malvagie ho compiuto!
Per il fugace piacere prodotto dal peccato, sono condannato adesso agli eterni tormenti; per aver preferito la voluttà della carne, sono dato in preda alle fiamme.
Giusto è il giudizio di Dio: sono stato chiamato, e non ho prestato ascolto; mi è stato impartito un insegnamento, e non me ne sono preso cura alcuna; sono stato scongiurato, e ho risposto con la derisione.
Sono queste, e altre sullo stesso tono, le cose che dirai, nel compiangere te stesso, se verrai strappato da questa terra prima d'esser stato battezzato.
Abbi timore della geenna, o uomo, e fa' di tutto per renderti meritevole del regno.
Non disprezzare l'invito che ti è stato rivolto.
Non presentare giustificazioni ( Lc 14,18 ), ricorrendo a questo o a quell'altro pretesto.
Non riesco a frenare le lacrime, quando penso fra me e me al fatto che, scegliendo le opere turpi piuttosto che la sfolgorante gloria di Dio e abbracciando senza esitazione il peccato per soddisfare la tua libidine, escludi te stesso dai beni promessi sì da impedirti di contemplare i beni della Gerusalemme celeste ( Sal 128,5; Ap 21,1ss ).
Qui si trovano le infinite schiere di angeli, le moltitudini dei primogeniti, i troni degli apostoli, i seggi dei profeti, si ammirano gli scettri dei patriarchi, le corone dei martiri, si cantano le lodi dei giusti: fa' nascere in te stesso il desiderio di essere annoverato anche tu in mezzo a tutti costoro, dopo esser stato purificato e santificato dai doni del Cristo.
Basilio il Grande, Esortazione al santo battesimo, 7-8
Avete sentito, fratelli, come Pietro e Andrea al primo invito abbandonarono subito le loro reti per seguire il Redentore …
Forse qualcuno si dirà: che hanno abbandonato, in fondo, per obbedire alla chiamata del Signore questi due pescatori che non avevano quasi niente?
Dobbiamo pensare alle disposizioni del cuore piuttosto che alla loro fortuna.
Ha lasciato molto colui che non ha tenuto niente per sé; ha lasciato molto colui che ha abbandonato tutto, anche se poco possedeva.
Ciò che possediamo, infatti, lo conserviamo con passione, e quello che non abbiamo lo desideriamo ardentemente.
Sì, Pietro e Andrea hanno lasciato molto, perché hanno abbandonato anche il desiderio di possedere: hanno lasciato molto poiché, rinunciando ai loro beni, hanno rinunciato alla bramosia di averli.
Seguendo il Signore essi hanno rinunciato a tutto quello che avrebbero potuto desiderare se non lo avessero seguito.
Nessuno perciò, vedendo qualcuno abbandonare grandi beni, dica: Vorrei imitarli, ma non ho nulla da abbandonare.
Voi abbandonate molto, fratelli, quando rinunciate ai desideri terreni.
I nostri beni di quaggiù, anche se piccoli, bastano agli occhi del Signore.
É al cuore che egli guarda, non alle ricchezze.
Egli non pesa il valore venale della rinuncia, ma l'intenzione di colui che l'offre.
A considerare i beni terreni, i nostri santi Pietro e Andrea hanno ottenuto la vita eterna, che è quella degli angeli, in cambio della barca e delle reti.
Il regno di Dio non ha prezzo e tuttavia ti costa esattamente quello che possiedi …
A Pietro e Andrea l'abbandono di una barca e delle reti; alla vedova due monete d'argento ( Lc 21,2 ); a qualche altro un bicchiere d'acqua fresca ( Mt 10,42 ).
Il regno di Dio, abbiamo detto, costa ciò che possiedi …
Vedete dunque, fratelli: che cosa c'è di più facile da acquistare e che di più prezioso da possedere?
Forse però non hai nemmeno un bicchiere d'acqua fresca da offrire al bisognoso.
Ma anche in questo caso la parola di Dio ci riguarda.
Alla nascita del Redentore, infatti, gli abitatori del cielo sono apparsi nell'atto di acclamare: Gloria a Dio nel più alto dei cieli, e pace in terra agli uomini di buona volontà ( Lc 2,14 ).
Agli occhi di Dio la nostra mano non è mai priva di doni se il cuore è pieno di buona volontà.
Ecco perché il salmista dice: Sono in me, Dio mio, i sacrifici che offrirò in tua lode ( Sal 56,12: Vulg. ).
É come se dicesse apertamente: Anche se non ho nulla di esterno da offrirti, trovo ugualmente in me quello che poserò sull'altare per la tua lode; non ti nutri dei nostri doni, ti compiaci tuttavia delle offerte del cuore.
Gregorio Magno, Omelia, 5
Fino a quando stiamo su questa terra, fratelli, facciamo penitenza, poiché siamo come argilla nelle mani del vasaio ( Ger 18,1-6 ).
Allorché a un vasaio s'infrange o si deforma il vaso che sta plasmando, egli vi pone nuovamente mano, ma soltanto se non l'abbia già messo nel forno, giacché, altrimenti, non può farci più nulla.
Anche noi, fratelli, finché restiamo in questo mondo; pentiamoci con tutto il cuore dei nostri peccati, commessi nella carne, ottenendo così, finché siamo ancora in tempo, la salvezza da parte del Signore: quando avremo lasciato questo mondo, infatti, non potremo più fare penitenza e confessare i nostri peccati.
Solo se ci uniformiamo, dunque, alla volontà del Padre, fratelli, serbando pura la nostra carne e adempiendo ai comandamenti del Signore, conseguiremo la vita eterna.
Ammonisce egli, infatti, nel Vangelo: Chi è fedele nelle minime cose, è pur fedele nelle grandi; e chi è ingiusto nelle piccole cose, è ingiusto anche nelle grandi.
Se dunque voi non siete stati fedeli nelle ricchezze ingiuste, chi vi affiderà le vere? ( Lc 16,10-12; Mt 25,21 ).
Con queste parole, il Signore intende significare: « Serbate pura la vostra carne e immacolato il vostro sigillo, per conseguire la vita eterna ».
Nessuno tra voi osi affermare che questa nostra carne non sarà sottoposta al giudizio e non è destinata a risorgere!
Non siete stati, forse, salvati in questa carne?
Non avete ottenuto la vita eterna, vivendo in essa?
É doveroso, quindi, custodire la carne alla stregua d'un tempio di Dio ( 1 Cor 6,19 ).
É nella carne che siete stati chiamati: nella carne, dunque, raggiungerete Dio.
Se Cristo, nostro Signore e Salvatore, in origine soltanto spirito, si è fatto carne e solo in questo modo ci ha chiamati, anche noi sarà solo in questa nostra carne che riscuoteremo l'eterna ricompensa.
Amiamoci, allora, scambievolmente, onde poter giungere tutti al regno di Dio.
Fino a quando avremo la possibilità di esser curati, affidiamoci a Dio, nostro medico, senza tralasciare, poi, di dargli l'onorario.
É possibile, tuttavia, assolvere interamente al nostro debito?
Ciò potrà avvenire, soltanto se ci pentiremo dal più profondo del nostro cuore.
Il Signore vede ogni cosa e scruta nei nostri più riposti sentimenti; se noi, perciò, non lo lodiamo soltanto con le labbra, ma anche con il cuore, egli ci riconosce come suoi figli.
É lui che dice, infatti: Coloro che compiono la volontà del Padre mio, sono miei fratelli ( Mt 12,50; Mc 3,35; Lc 8,21 ).
Clemente di Roma, La seconda lettera ai Corinti, 8-9
Solo in questa vita Dio ha concesso agli uomini il tempo per acquistare la vita eterna, e in esso ha voluto che la penitenza sia fruttuosa.
Essa è fruttuosa quaggiù, precisamente perché qui l'uomo può spogliarsi della propria malizia e vivere bene, può mutare la propria volontà iniqua, può mutare le opere e i meriti, e compiere nel timor di Dio ciò che a Dio piace.
Quelli che non faranno ciò in questa vita, si rammaricheranno nella vita futura della loro malvagità, ma non troveranno indulgenza al cospetto di Dio: vi sarà infatti lo stimolo a pentirsi, ma non vi sarà più possibilità di mutare in bene il proprio volere.
Condanneranno la loro iniquità, ma non potranno affatto amare o desiderare la giustizia.
La loro volontà porterà per sempre in sé il supplizio della loro malvagità, ma non potrà mai accogliere anche un solo desiderio di bontà.
Precisamente come quelli che regneranno con Cristo non avranno in sé più nessuna traccia di cattiva volontà, così quelli che saranno destinati al supplizio del fuoco eterno, insieme col diavolo e i suoi angeli, non potranno mai avere un buon volere, come non avranno mai più riposo.
E come ai coeredi di Cristo verrà donata la perfezione della grazia per la gloria eterna, così ai consorti del diavolo la loro stessa malizia accumulerà pena su pena, quando destinati alle tenebre esteriori non saranno più illuminati dall'interiore luce della verità.
Fulgenzio di Ruspe, Regola della vera fede, 3,36
Com'è possibile che noi, in presenza di tali esortazioni e promesse da parte del Signore, non aspiriamo ad accostarci con tutti noi stessi a lui, a donarci a lui interamente, rinunciando, in conformità al Vangelo, ad ogni cosa e alla nostra stessa anima, amando lui soltanto e niente altro insieme a lui?
Rifletti, allora, su tutto questo e considera quanto onore ci è stato reso!
Quante direttive ci sono state impartite dal Signore, fin dal tempo dei patriarchi e dei profeti?
Quante promesse sono state formulate? E quante esortazioni?
Quanta misericordia ci ha mostrato il Signore, fin dal principio?
Alla fine, poi, discendendo egli stesso fra di noi, ci ha manifestato, attraverso la crocifissione, un'indicibile bontà, onde farci entrare, una volta convertiti, nella vita.
Noi, al contrario, non rinunciamo alla nostra volontà, all'amore per il mondo, ai pregiudizi e alle cattive abitudini.
Dal che appare chiaro quanto sia scarsa, o addirittura inesistente, la nostra fede.
Il Signore, inoltre, si mostra benevolo nei nostri confronti, per vie misteriose ci protegge e si prende cura di noi e, allorché dall'alto ci guarda, con la sua grande misericordia e generosità, mentre ci rivolgiamo a lui, non permette che noi, in conseguenza dei nostri peccati, andiamo in rovina, dopo esser divenuti preda della malizia e dell'inganno del mondo.
Io temo, invece, che si sia realizzato ciò che disse l'Apostolo, rivolgendosi a noi, che viviamo disprezzando ogni cosa e assecondando pregiudizi: Sei, forse, così sfrontato da disprezzare le ricchezze della sua bontà, della sua pazienza e della sua longanimità, senza neppure pensare che la bontà di Dio ti spinge a penitenza? ( Rm 2,4 ).
Se, infatti, a dispetto della longanimità, della bontà e della tolleranza di Dio, abbiamo continuato a commettere peccati e, con la nostra negligenza e il nostro disprezzo, ci siamo resi meritevoli di ben più severi giudizi, si adempiranno allora le parole dell'Apostolo: Ora tu, con la tua durezza e col tuo cuore impenitente, accumuli sopra di te ira per il giorno dell'ira e della manifestazione del giusto giudizio di Dio ( Rm 2,5 ).
Dio, infatti, mostra la sua inesplicabile bontà e la sua generosità inesprimibile nei rispetti dell'umano genere, unicamente allorché noi manifestiamo la volontà di reagire e ci adoperiamo allo scopo di convertirci a lui senza riserve, onde poter divenire partecipi della salvezza …
Così, dunque, anche adesso Dio, generoso e benevolo com'è, si mostra magnanimo nei confronti di ciascuno di noi, vedendoci cadere in fallo.
Egli attende senza fretta che ognuno si riscuota e smetta di cadere nel peccato, accogliendo chi si converte a lui dal peccato con grande amore e compiacimento.
Così infatti dice il Signore: Si fa festa per un solo peccatore che si penta ( Lc 15,10 ).
E ancora: La volontà del Padre mio, infatti, è che neppure uno soltanto di questi piccoli si perda ( Mt 18,14 ).
Se poi qualcuno, nell'accorgersi che Dio, in virtù della sua straordinaria bontà e generosità, non punisce i peccati uno per uno, occulti o manifesti che siano, ma rimane a guardare, in silenzio, ritardando, per così dire, la penitenza; se costui, dicevo, non nutrendo, per questo, più alcun timore della punizione divina, accumula peccati su peccati, abbandonandosi a ogni sorta di ingiurie e di scelleratezze, egli toccherà il fondo del peccato e, una volta caduto in una condizione così perversa, non sarà più in grado di risollevare il capo: in preda per sempre del male, incontrerà la distruzione e la morte …
Se invece ci sembra difficile e impossibile riuscire a liberarci dalla moltitudine di peccati che ci tiene legati ( il che, come abbiamo avvertito dianzi, rappresenta un sintomo di malizia e un ostacolo alla nostra salvezza ), richiamiamo allora alla memoria e andiamo a riguardare il modo come il Signore, allorché si trovava in questo mondo, restituì ai ciechi l'uso della vista, risanò gli storpi, guarì qualsiasi malattia, risuscitò persino i morti che erano già in decomposizione, ridiede la facoltà dell'udito ai sordi, scacciò dall'interno d'un uomo una legione di diavoli, ripristinando nell'integrità della mente costui che, sino a quel momento, aveva sofferto d'una così grande follia ( Lc 8,27ss ).
Orbene, a maggior ragione il Signore opererà la conversione di quell'anima che si rivolga a lui e ne richieda misericordia e aiuto, restituendole la gioia derivante dall'assenza delle passioni, il possesso di ogni virtù e il rinnovamento dello spirito.
Quest'anima, in tal modo, dopo esser stata ripristinata nella sanità e lucidità della mente e aver nuovamente conseguito la tranquillità dei pensieri, sarà liberata, per opera del Signore, dalla cecità, dalla sordità, dalla morte dell'infedeltà, dall'ignoranza e dalla temerarietà, per approdare alla sapienza della virtù e alla purezza del cuore.
Chi ha creato il corpo, infatti, è anche l'autore dell'anima.
Ora, come quando, allorché viveva su questa terra, assecondò generosamente, da unico e valido guaritore qual era, quanti si accostavano a lui per chiedergli aiuto e salute; così pure, a riguardo delle realtà spirituali, non sono diverse le disposizioni del Signore …
Questi infatti è il misericordioso, è colui che dona la vita e guarisce i mali senza speranza, è il redentore di quanti lo invocano e, convertitisi a lui, respingono di loro spontanea volontà, per quanto è possibile, qualsiasi attrattiva mondana.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 4,18-19.21.25
Tutti gli uomini temono la morte del corpo, e solo pochi temono quella dell'anima.
Ogni uomo cerca di evitare la morte della carne, che pure deve senza dubbio sopraggiungere: è per questo scopo che l'uomo si dà da fare.
L'uomo destinato alla morte si sforza di non morire, mentre non altrettanto si sforza di non peccare l'uomo che pure vivrà in eterno.
E quando si sforza di non morire, si affatica senza scopo: riesce al massimo a rinviare la morte, non a evitarla per sempre.
Se invece non peccherà, non si affaticherà e vivrà in eterno.
O se potessimo riuscire a convincere gli uomini, e noi stessi, ad amare la vita eterna allo stesso modo in cui si ama la vita fuggente!
Che cosa non fa l'uomo di fronte al pericolo della morte?
Si sono visti di quelli che, sotto la minaccia della spada sospesa sulla loro testa, hanno dato via tutti i loro beni fino all'ultimo, pur di salvare la vita.
Chi non donerebbe tutto quanto ha per evitare il fendente della spada?
E, probabilmente, dopo aver donato tutto è stato ugualmente colpito.
Chi, per vivere, non darebbe tutto ciò di cui oggi vive, preferendo una vita da mendicante, alla morte a breve scadenza?
Esisterà forse colui al quale viene detto: « Traversa il mare se non vuoi morire »?
E se gli dicessero: « Lavora se non vuoi morire », se ne starebbe fermo?
Dio ci ordina cosa assai meno faticosa affinché si possa vivere in eterno, ma noi trascuriamo di obbedirgli.
Dio non ti dice: rinuncia a tutto quanto hai se vuoi vivere un po' di tempo, ma oppresso dalla fatica; ti dice: dona i tuoi beni ai poveri, se vuoi vivere eternamente nella pace e nel riposo.
Coloro che amano la vita terrena, di cui del resto non possono godere quando vogliono, né per tutto il tempo che vogliono, ci accusano e ci offendono: e invece noi non ci accusiamo come dovremmo per la negligenza, per la trascuratezza, con cui consideriamo la vita eterna, che pure potremmo avere solo se lo volessimo, e che non perderemo più quando l'avremo avuta.
Invece questa morte che tanto temiamo, certamente ci colpirà, anche se ci saremo sforzati di evitarla.
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 49,2
Il mondo è simile alla notte e tutte le sue realtà sono sogni.
L'anima si sprofonda in essi e si lascia sedurre dalle apparenze.
Come il sogno di notte ci inganna, così ci inganna il mondo con le sue promesse.
Come il sogno ammalia l'anima con le sue immagini e le sue visioni, così il mondo la ammalia con le sue gioie e i suoi beni.
Il sogno inganna di notte, perché con le sue larve ti fa ricco, ti innalza al potere, ti fa ricoprire un posto importante: ti ammanta di panni splendidi, ti pervade di possanza e ti fa vedere perfino, con le sue illusioni, che gli uomini vengono a celebrarti.
Ma quando la notte se n'è passata, quando il sogno è svanito, quando ritorna la realtà effettiva, tutti questi sogni, che hai vissuto, mostrano il loro inganno.
Parimenti il mondo inganna con i suoi beni e le sue ricchezze, che svaniscono come un sogno notturno ed è come se mai fossero stati.
Quando il corpo si addormenta nella morte, allora l'anima si sveglia, ripensa ai sogni del mondo, ne rimane afflitta e abbattuta.
Presa da improvviso stupore, resta imbarazzata, sconvolta, rabbrividisce e trema, perché le si manifesta ciò che era celato.
Assomiglia all'uomo che, svegliandosi dal sogno, inutilmente si strugge d'affanno, perché il bel tempo se n'è passato.
L'afferra l'angoscia, vedendo nei suoi pensieri che le sue colpe la circondano come ombre dense; tutte le sue azioni perverse le si presentano: non sa dove fuggire, dove rifugiarsi e celarsi di fronte ai suoi delitti.
Giunge allora il Maligno e comincia a sollecitarla.
Le sollecita il chiarimento di tutti i sogni mondani.
Le sollecita il rendiconto delle ricchezze che essa ha ammucchiato e che l'hanno privata della gloria.
La pone nuda dinanzi a sé, la deride e la disprezza.
Le sollecita il rendiconto dei crudeli atti d'ingiustizia che la precipitano nell'inferno; le sollecita il rendiconto delle ruberie, che la cacciano nelle tenebre; le sollecita il rendiconto dell'odio e dell'inganno, che le fanno battere i denti; le sollecita il rendiconto dell'ira e della vendetta, che la trascinano tra le pene.
Tutte le sue colpe egli le presenta, gliele espone davanti agli occhi e gliele chiarisce, senza trascurare errore alcuno.
Sono ben dolorose le spiegazioni che il Maligno sollecita dall'anima: si è lasciata ammaliare dai sogni e i sogni ora sono il suo strazio.
Non lasciamoci ammaliare dal mondo fugace, non lasciamoci infatuare dalle sue parvenze!
Non amiamo i suoi inganni, perché se ne vanno come un sogno notturno!
Il giorno presto sparisce, le ore si affrettano e non indugiano, perché in breve tratto di tempo il mondo tende alla sua fine.
Nessun giorno permette all'altro giorno di accompagnarlo, nessun'ora attende un'altra ora per trascorrere insieme con essa.
Come l'acqua non si lascia afferrare con le dita standosene inerte, così fin dal seno materno defluisce la vita di chiunque è nato.
É pesata e misurata la vita di chi entra nel mondo e non vi è possibilità alcuna, non vi è nessuna speranza che egli possa oltrepassare i confini stabiliti.
Dio ha stabilito una misura al vivere di ogni uomo, e ogni giorno ne sottrae un pochino.
Ogni giorno toglie una particella alla tua vita, senza che te ne accorga; nessun'ora rinuncia alla sua porzione, mentre se ne corre e svanisce sulla sua strada.
I giorni divorano la tua vita, le ore ne abbattono l'edificio; così tu ti avvicini alla fine, perché sei un alito solo.
Come ladri, come briganti, i giorni rubano e le ore depredano, e così il filo della tua vita a poco a poco se ne passa e giunge al fine.
I giorni comandano il tuo vivere, le ore sono tuoi becchini; tra giorni e ore la tua vita svanirà dalla terra.
La vita che tu trascorri oggi, se ne va e svanisce con la fine di questo giorno, perché ogni giorno si porta via dalla tua vita ciò che gli compete e lo fa svanire con sé.
Ogni giorno seppellisce ciò che gli appartiene, ogni ora dispone di quel che è suo, e se ne vanno nel corso veloce del tempo, svaniscono e più non sono.
I giorni esigono e prendono, le ore afferrano e trascinano, così la tua vita si dissecca e si avvicina veloce alla fine.
Dio ce l'ha misurata, ponendoci sulla terra; ciascun giorno se ne prende una porzione e il flusso del vivere tuo si esaurisce.
Come se ne vanno i giorni, così la tua vita passa veloce, perché non c'è pausa e non vi è possibilità alcuna che si arresti e riposi.
Quando il sole si fermerà in cielo e la luna si arresterà nel suo percorso, allora anche la tua vita si arresterà e non si affretterà più alla sua fine.
Efrem Siro, Su « Tutto è vanità e afflizione di spirito », 3-4
É tremendo e spaventoso il passo della sacra Scrittura che, riguardo al peccatore, dice: « Il peccatore sarà portato via, perché non veda la gloria del Signore! ».
L'empio dunque sarà trascinato in un posto ove non udirà canti di lode.
Ma tutto quanto canta a Dio e annuncia ogni giorno la sua gloria; anche le creature che non hanno lingua non cessano un istante di lodarlo.
I cieli narrano la sua gloria e il firmamento l'opera delle sue mani ( Sal 19,2 ).
La terra eleva la sua lode e il mare è un annuncio delle sue meraviglie.
Non vi è nulla che non celebri la gloria di Dio suo signore; perfino il moscerino più minuto annuncia la magnificenza di Dio.
Dove giungerà dunque il peccatore, per non vedere la gloria del Signore?
In qual posto precipiterà, per essere lontano dalla lode a lui rivolta?
Se sale al cielo, esso si chiude e non l'accoglie; se vuol restare sulla terra, non gli è permesso.
Se precipita in mare, il mare lo rigetta.
Per questo, amici miei, io credo che egli debba errare fuori dal mondo in quelle tenebre esteriori che sono piene di paura e di orrore, dove non risuona inno di lode, dove non si annunzia la gloria di Dio, perché egli è molto lontano e non permette che laggiù lo si glorifichi.
Le pene e i sospiri, le tribolazioni e le angosce, il verme che rode senza cessare e il fuoco che mai si spegne chiudono la bocca del peccatore a ogni lode e celebrazione.
La sua miseria non gli permette né di vedere né di udire, il battito dei denti chiude la sua bocca a ogni lode e la sua lingua può solo ululare i suoi guai, ma non pronunciare sillaba di elogio.
Gli occhi pieni di tenebre non vedono la luce della gloria divina.
Chi ha il verme attaccato alle viscere, pensa solo al suo strazio; chi è riarso dall'inferno, vede solo il suo fuoco.
Orsù dunque, piangiamo qui, perché non ci tocchi piangere là!
Venite, diamoci qui alle lacrime e ai dolori, perché non sia allora troppo grande il nostro dolore!
Tutti i giusti e i santi sono piaciuti al Signore con il pianto e il dolore, si sono a lui riconciliati con le lacrime …
L'anima morta per il peccato ha bisogno di dolore, di gemiti, di lacrime, di pianto e di sospiri per la sua empietà, che l'ha pervertita e perduta.
É lontana da Dio; perciò gemi, piangi e sospira per lei, e la riavvicinerai a Dio.
Piangi per lei più che una madre cui la morte strappa il figlio e lo precipita nella fossa, e che grida perché il suo caro gli è strappato.
Parimenti il peccato strappa l'uomo a Dio, e la sua bontà se ne addolora, perché la sua immagine, piena di bellezza, va in rovina.
Se perdi una bestia tua, ne soffri, anche se la possedevi solo da poco tempo; la sua perdita ti affligge ugualmente.
Molto più spiace a Dio la perdita della sua immagine.
Un'anima è a lui molto più cara di tutte le altre creature; ma col peccato essa muore e tu, o peccatore, non te ne preoccupi!
Affiggiti dunque per Dio, che per te si affligge!
Per il peccato la tua anima è morta: versa lacrime ardenti e svegliala così da morte: da' a Dio questa gioia, perché egli si rallegra se tu ridesti la tua anima.
Vi è un uccello che risuscita i suoi figli: la sua covata se ne muore, egli la ridesta alla vita.
Quando gli nascono figli, egli se ne rallegra immensamente e, blandendoli troppo, li soffoca, tanto che quelli muoiono.
Ma quando se li vede morti, vede che più non si muovono e non si agitano, se ne sta tre giorni angosciato, affranto dal dolore; non prende né cibo né bevanda, ma non si allontana da essi; sta loro vicino e li custodisce.
Alla fine si squarcia il corpo e li bagna col proprio sangue, e allora, per disposizione di Dio, i corpicini morti tornano in vita.
Se dunque un uccello riesce in tal modo a svegliare dalla morte i suoi piccoli, anche tu, o peccatore, sveglia alla vita la tua anima morta!
E se Dio ha compassione del pellicano, tanto che esso rivivifica i suoi figli, quanta più compassione avrà della tua anima, ma tu non vuoi suscitarla!
Quando il pellicano, per lo struggente cordoglio, tenta di uccidersi, muove a compassione il Creatore che gli risuscita i piccoli morti.
Ma quando l'anima muore per la sua empietà e si separa da Dio, è Dio stesso che si affligge per la sua immagine che gli viene strappata.
Piangi dunque e gemi per la tua anima strappata a Dio; egli stesso è affitto per te, come una madre per il suo figlio unico!
Chi ride davanti a un morto, ne odia i genitori; ma se ne prova dolore e afflizione, mostra con le lacrime il suo amore.
E chi, nonostante che sia morto per il peccato, mostra gaiezza, odia Dio che per lui prova tristezza e afflizione.
Dio si affligge per un'anima morta; chi ne ride e scherza, aumenta l'afflizione di Dio.
Chi ride e scherza presso un defunto, aumenta l'afflizione e il dolore di coloro che stanno seppellendo il loro morto.
Parimenti aumenta le sofferenze di Dio chi si rallegra nel peccare.
Nessun padre, durante i funerali del suo figlio prediletto, soffre tanto, come Dio per l'anima uccisa dal peccato.
Rattrìstati perciò per la tua anima e mostra così amore a Dio, che sente dolore e afflizione per l'anima che ha peccato ed è defunta!
Dio si affligge per la morte dell'anima, perché è la sua immagine; chi se ne rallegra e non ne prova dolore, è in tutto simile al demonio.
Chi giunge a visitare un morto, vedendo la tristezza che regna ovunque, si sente interiormente commosso e soffre con chi soffre.
Ma quando un'anima per il peccato ha perso la vita, il dolore sale, per così dire, sino al cielo: le schiere angeliche si affliggono e Dio stesso ne ha cordoglio.
Chi pertanto si rallegra tra gli amici e non piange per la sua anima, è in verità un dannato che non sa neppure di avere un'anima.
Piangi dunque sulla tua anima, o peccatore, versa su di lei fiumi di lacrime e risvegliala così alla vita!
Ecco: ai tuoi occhi è concesso risvegliarla, al tuo cuore è dato risuscitarla.
Tu sei morto, eppure non piangi che la tua anima sia da te separata.
Piangi dunque anzitutto per la tua anima, poi potrai piangere per altri motivi!
Tu piangi per un corpo morto, perché l'anima si è da lui separata; ma per l'anima, che è morta e separata da Dio, tu non piangi!
Le lacrime che cadono sul cadavere, non possono risuscitarlo alla vita; ma se cadono sull'anima, la risvegliano e la fanno nuovamente sorgere.
Le lacrime, la tristezza e il dolore non sono per il corpo: Dio li ha creati per l'anima, perché ne possa risuscitare.
Piangi perciò con le lacrime di Dio e versa torrenti dai tuoi occhi; con queste tue lacrime e per la sua grazia l'anima morta tornerà in vita.
Ecco, il Misericordioso aspetta che tu versi lacrime dai tuoi occhi, per poter purificare e rinnovare l'anima, sua immagine stravolta.
Tu hai ucciso la tua anima: svegliala dunque ora dall'empietà!
Non è stato qualcun altro che ti ha ucciso e annientato: la tua stessa volontà ti ha ucciso e perduto.
Se qualche altro ti avesse assassinato, sarebbe egli a doverti risuscitare; ma siccome la tua stessa volontà ti ha ucciso, è lei stessa che ti deve risvegliare alla vita.
Efrem Siro, Commento a « I peccatori verranno portati via », 1-6
Un abisso è per noi questa vita mortale.
E chiunque si trova in quest'abisso grida, geme, sospira, fino a quando ne sia liberato, fino a quando gli sia dato di giungere da colui che siede su tutti gli abissi e sui cherubini, su tutti gli esseri da lui creati, non solo corporei ma anche spirituali; fino a quando la sua anima a lui pervenga, fino quando da lui sia liberata la sua immagine che è l'uomo, caduta in quest'abisso, squassata da flutti continui.
E se non sarà rinnovata e restaurata da Dio che gli diede forma quando creò l'uomo, resterà sempre nell'abisso.
L'uomo infatti può da solo cadere, ma non può da solo risuscitare; se non sarà liberato, ripeto, resterà sempre nell'abisso.
Ma quando grida dall'abisso, si innalza dal profondo e le stesse sue grida non gli permettono di restare a lungo laggiù …
Se delle colpe tieni conto, o Signore, o Signore, chi potrà sostenersi? ( Sal 130,3 ).
Ecco cosa grida dall'abisso: grida sotto la massa, sotto i flutti delle sue iniquità.
Il salmista s'è guardato attorno, ha osservato la sua vita: l'ha vista tutta ricoperta di colpe e delitti; ovunque ha riguardato, non ha trovato in sé nulla di buono; nulla di giusto e rasserenante ha potuto incontrare.
E vedendo ovunque tanti suoi peccati, tanti cumuli di suoi delitti, grida tutto spaventato: « Se delle colpe tieni conto, o Signore, o Signore, chi potrà sostenersi? »
Non ha detto: Io non potrò sostenermi; ma: Chi potrà sostenersi?
Ha visto tutta la vita umana aggravata dai suoi peccati, ha visto tutte le coscienze accusate dei suoi pensieri, ha visto che non si trova un solo cuore puro che possa far conto sulla propria giustizia.
Se dunque non si può trovare un cuore puro che faccia conto sulla propria giustizia, faccia conto ogni cuore sulla misericordia di Dio ed esclami: « Se delle colpe tieni conto, o Signore, o Signore, chi potrà sostenersi? ».
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 130,1-2
Badate che nessuno dica: « Io non ho peccato ».
Chi dice così, è cieco o miope; egli illude se stesso e non vede come Satana lo inganna nei discorsi e nelle opere, con l'udito, il tatto e il pensiero.
Chi può gloriarsi di avere il cuore immacolato e tutti i sensi puri?
Nessuno è privo di peccato, nessuno è privo di immondizia, nessuno tra gli uomini non ha errato, ad esclusione di quegli solo che per nostro amore si è fatto povero, essendo ricco.
Senza peccato è quegli solo che toglie i peccati del mondo, quegli che vuole la beatitudine di tutti gli uomini e non vuole la morte del peccatore: l'amico degli uomini, il mitissimo, il misericordioso, il buono, l'amante delle anime, l'onnipotente, il salvatore di tutti gli uomini, il padre dei sapienti e il giudice delle vedove, il Dio dei penitenti, il medico delle anime e dei corpi, la speranza di chi è privo di speranza, il porto di chi è sbattuto dalla tempesta, l'aiuto di chi non ha aiuto, la strada della vita, che chiama tutti alla penitenza e non rigetta nessuno che si converta.
In lui troviamo anche noi il nostro rifugio, perché tutti i peccatori che a lui ricorrono ottengono la salvezza dell'anima.
Anche noi, o fratelli, non dobbiamo temere della nostra salvezza.
Abbiamo peccato: perciò, convertiamoci!
Mille volte abbiamo peccato: perciò convertiamoci mille volte!
Per ogni opera buona Dio si rallegra, ma soprattutto per la penitenza dell'anima.
Su di questa egli si piega tutto, la solleva con le proprie mani, la chiama e la incoraggia dicendole: « Venite da me voi tutti che siete oppressi da qualche peso; io non rigetto colui che si rifugia in me.
Venite da me voi tutti che soffrite e siete aggravati: io vi ristorerò lassù in quella città dove tutti i miei santi riposano in grande pace! ».
Efrem Siro, La seconda venuta di Nostro Signore, 24-25
Cristo, vittima di riconciliazione, immolata sulla vetta del Golgota in sacrificio espiatorio per le colpe di Adamo, accetta il nostro sacrificio e la nostra preghiera, e usa con noi tutti misericordia!
Accogli, o Signore, nella tua misericordia, questo sacrificio che ti abbiamo offerto; placati per esso e dona a tutti i peccatori, che a te ricorrono, la remissione delle colpe e dei peccati.
Cristo, non distogliere da noi il tuo volto, non allontanarti da chi ti supplica, perché in te è il nostro rifugio!
Conducici sulla strada della vita e facci degni, nella tua bontà, dell'indulgenza per le nostre colpe e peccati.
Cristo, amico dei penitenti, che sei venuto a chiamare i peccatori, accogli noi tutti che battiamo alla porta della tua misericordia, e facci veri penitenti nelle parole e nelle opere.
Efrem Siro, Esortazione alla penitenza, 20,1
Chi riconosce i suoi peccati e di essi si accusa, è già con Dio.
Dio riprova i tuoi peccati: se anche tu fai la stessa cosa, ti unisci a Dio.
L'uomo e il peccatore, sono come due cose distinte: l'uomo è opera di Dio, il peccatore è opera dell'uomo.
Distruggi ciò che tu hai fatto, affinché Dio salvi ciò che egli ha fatto.
Devi odiare in te la tua opera, e amarvi l'opera di Dio.
E quando cominci a dispiacerti di ciò che hai fatto, allora cominciano le tue opere buone, perché riprovi le tue opere cattive.
Allora, tu operi la verità e vieni alla luce.
Che cosa significa che tu operi la verità?
Vuol dire: che non ti blandisci, non lusinghi te stesso, non ti aduli; non dici: « Sono giusto », mentre non lo sei; così cominci a operare la verità.
Ti accosti poi alla luce, affinché sia manifesto che le tue opere sono compiute secondo Dio; infatti, non potresti avere dolore del tuo peccato, se Dio non ti illuminasse e la sua verità non te lo mostrasse.
Chi, anche dopo questi ammonimenti, continua ad amare i suoi peccati, odia la luce che lo ammonisce e fugge da casa, affinché non siano palesate quelle sue opere cattive che egli ama.
Chi invece opera la verità, accusa a se stesso i propri peccati; non si risparmia, non si perdona, affinché sia Dio a perdonarlo; ciò che vuol farsi perdonare da Dio, lo riconosce egli stesso, e si accosta alla luce cui è grato, perché gli ha mostrato ciò che in sé doveva odiare.
Dice rivolto a Dio: Togli il tuo sguardo dai miei peccati ( Sal 51,11 ).
E con quale coraggio potrebbe dire così, se non aggiungesse: Perché i miei delitti io li riconosco, e il mio peccato l'ho sempre a me presente ( Sal 51,5 )?
Tieni sempre dinanzi ai tuoi occhi ciò che non vuoi sia dinanzi a Dio.
Se getti invece i tuoi peccati dietro le tue spalle, Dio te li rimetterà dinanzi agli occhi, quando il pentimento non potrà più dare alcun frutto.
Correte, fratelli miei, affinché le tenebre non vi sorprendano; vegliate sulla vostra salvezza, vegliate finché siete in tempo; non indugiate a correre al tempio di Dio, non tardate a compiere l'opera del Signore, non lasciatevi distogliere dalla preghiera continua, non lasciatevi derubare della devozione usuale.
Vegliate, finché è giorno; il giorno riluce e Cristo è il giorno.
Egli è pronto a perdonare, ma a quelli che riconoscono i loro peccati; ed è pronto a punire coloro che difendono le loro colpe, che pretendono di essere giusti, che credono di essere qualche cosa, e non sono niente.
Chi cammina nel suo amore e nella sua misericordia, una volta liberato da quei letali e gravi peccati che sono il delitto, l'omicidio, la rapina, l'adulterio, opera la verità della confessione, anche per quei peccati che vengono ritenuti piccoli, come i peccati di lingua o di pensiero o di smoderatezza nell'uso delle cose lecite, e s'accosta alla luce nelle opere buone.
Perché molti peccati piccoli, se vengono trascurati, uccidono.
Non sono piccole gocce che riempiono i fiumi?
E sono piccoli i granelli di sabbia, ma se sono molti, pesano e schiacciano.
Una piccolissima falla trascurata, che nella stiva della nave lascia entrare l'acqua a poco a poco, produce lo stesso effetto di un'ondata irrompente: continuando a entrare poco alla volta, e mai vuotata, affonda la nave.
Che cosa significa vuotare la stiva?
Significa compiere opere buone, affinché i peccati non sommergano; significa gemere, digiunare, fare elemosine, perdonare.
Il cammino di questa vita è difficile, pieno di tentazioni; non ti inorgoglire nella prosperità, non abbatterti nelle avversità.
Chi ti ha dato la felicità in questa vita, l'ha data per la tua consolazione, non per la tua corruzione.
E così chi ti castiga in questa vita, lo fa per correggerti, non per perderti.
Sopporta il padre che ti vuole istruire, se non vuoi provare il castigo del giudice.
Queste cose ve le diciamo ogni giorno, ma spesso bisogna ripeterle, perché sono cose buone e salutari.
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 12,13-14
Quando uno si accorge di varcare i limiti dell'osservanza cristiana e sente di tendere in cuor suo a ciò che lo può distogliere dal retto cammino, ricorra alla croce del Signore e crocifigga all'albero della vita le brame peccaminose della sua volontà; si rivolga a Dio col grido del profeta dicendo: Trafiggi la mia carne col tuo timore; infatti ho sempre temuto i tuoi giudizi! ( Sal 119,120 ).
Ora, che altro significa aver la carne trafitta dal chiodo del timore di Dio, se non trattenere i sensi corporei, per timore del giudizio divino, dalle lusinghe delle brame illecite?
In tal modo, colui che resiste al peccato e uccide le sue concupiscenze per non compiere ciò che è degno di morte, oserà dire con l'Apostolo: Quanto a me, non sia mai che mi glori d'altro che della croce del Signore nostro Gesù Cristo, per la quale il mondo è crocifisso per me e io per il mondo ( Gal 6,14 ).
Là dunque si ponga il cristiano, ove Cristo l'ha sollevato con sé; là diriga tutti i suoi passi, ove sa che fu salvata la natura umana.
La passione del Signore, infatti, dura sino alla fine del mondo; e come nei suoi santi lui è onorato, lui è amato; e come nei poveri lui viene nutrito, lui viene vestito; così in tutti coloro che soffrono avversità per la giustizia, è lui che patisce.
A meno non si debba ritenere che, diffusasi nel mondo la fede e diminuito il numero degli empi, siano finite tutte le persecuzioni e tutte le lotte che incrudelirono contro i martiri beati, e che furono soggetti al dovere di portare la croce solo quelli cui furono inflitti supplizi atroci per conquistare l'amore di Cristo.
Ma ben diversa è l'esperienza di chi serve Dio con fedeltà, ben diversa è la predicazione dell'Apostolo; egli asserisce: Tutti coloro che vogliono vivere piamente in Gesù Cristo soffriranno persecuzioni ( 2 Tm 3,12 ).
Questa asserzione dimostra che è troppo tiepido, troppo pigro colui che non è battuto dalla persecuzione.
In pace con questo mondo non può stare se non chi ama questo mondo, e non vi è mai società tra giustizia e iniquità, concordia tra verità e menzogna, accordo tra luce e tenebre.
E anche se i buoni cercano piamente di correggere i cattivi, e spesso per grazia misericordiosa di Dio ottengono belle conversioni, tuttavia mai non cessano contro i santi le insidie degli spiriti maligni che turbano il retto proposito di tutti i fedeli, sia con frode occulta, sia con guerra aperta.
Leone Magno, Sermoni, 70,4-5
Chiunque invoca il nome del Signore, si ritragga dall'iniquità ( 2 Tm 2,19 ).
Da questo si riconoscono i figli di Dio: dal fatto, cioè, che si tengono lontani dal male.
In qual modo, infatti, uno potrebbe dirsi figlio di Dio, se si comporta in modo ingiusto, se contraddice nei fatti il Signore e gli reca oltraggio con la sua maniera d'agire?
Denunciamo in continuazione l'iniquità, alienandoci ogni volta l'amicizia di molti.
Questa peste, infatti, ha invaso le anime di tutti alla stregua d'un tiranno.
Ciò che è ancor più grave, poi, è il fatto che ciò sia accaduto non con la costrizione o la violenza, ma con le lusinghe e gli allettamenti: le anime, per questo, mostrano addirittura riconoscenza per una simile schiavitù.
Il che è davvero grave giacché, se fossero invece costrette con la forza, senza accondiscendere di buon grado, reagirebbero a una situazione del genere.
Ma come può accadere che una cosa, pur essendo in realtà estremamente amara, appaia, al contrario, soave?
Mentre, viceversa, la giustizia, benché dolcissima, si mostri così poco allettante?
Ebbene, tutto ciò va imputato ai nostri sensi.
É come se alcuni avessero ritenuto il miele amaro e avessero invece gustato con piacere un'altra cosa nociva.
Ora, la causa di tutto questo, lungi dal ricercarsi nella natura delle cose, va ravvisata, al contrario, nella perversità delle cattive passioni.
Considera quale sia il criterio di giudizio dell'anima nostra!
Una bilancia, infatti, se ha l'ago che vacilla, non può indicare il peso con esattezza; così pure l'anima, qualora il suo ago non stia fermo e orientato in conformità alla legge di Dio, non sarà in grado di esprimere una corretta valutazione delle cose, ma sarà suscettibile di subire condizionamenti e deviazioni.
Se infatti si scrutasse accuratamente, si discernerebbe la grande crudezza del male, non soltanto in coloro che sono costretti a subirlo, ma anche, e soprattutto, in chi lo compie.
Ma parliamo anche delle cose presenti, non soltanto di quelle future.
Non avvengono forse quaggiù lotte, non si celebrano processi, non scoppiano contese e invidie, non vengono scagliate maledizioni?
Che cosa c'è di più terribile di tutto ciò?
Le guerre, forse, o gli odi o le accuse che ci si scaglia gli uni contro gli altri?
La coscienza non ci tormenta e rimorde in continuazione?
Se fosse possibile, vorrei estrarre l'anima dal corpo d'un peccatore: la vedresti certo pallida, tremante, piena di vergogna e d'angoscia accusare se stessa.
Anche se precipitiamo nell'abisso della malvagità, infatti, il giudizio della mente, tuttavia, non viene alterato, ma rimane incorrotto: nessuno osa affermare che la propria cattiveria sia buona, cercando, tutt'al più, di addurre qualche pretesto e facendo di tutto per protestarsi, a parole, innocente; di fronte alla coscienza, però, questo non potrà mai riuscirgli.
Quaggiù, infatti, i bei discorsi e la prepotenza dei prìncipi e le greggi di adulatori potranno oscurare la giustizia; nell'intimo della coscienza, però, non c'è posto per nulla di tutto questo: non vi sono adulatori né vi troveresti denaro per corrompere i giudici.
Nell'intimo di noi, infatti, da Dio stesso è stato posto il criterio di discernimento; ora, provenendo da una fonte del genere, esso non potrà mai degradarsi a tal punto.
Talora anche sogni inquieti e torbide fantasie e peccati che tornano di frequente alla memoria recano turbamento alla nostra tranquillità.
Se uno, ad esempio, ha tolto ingiustamente la casa a un altro, non soltanto quest'ultimo, che ha subìto l'iniquità, si lamenta, ma anche l'autore del misfatto, qualora creda nel giudizio futuro.
Chi attende questo, infatti, vive in una grande angoscia e trepidazione.
Se poi non crede nella vita eterna, ciò non gli impedisce di arrossire e di vergognarsi.
D'altronde non esiste uomo, né greco, né giudeo, né eretico che non tema il giudizio da parte di Dio.
Anche se non ragiona approfonditamente riguardo alle cose future, è tuttavia in apprensione per quelle presenti, nel timore, cioè, che il Signore possa multarlo nel denaro o punirlo attraverso i figli o la servitù o la sua stessa vita: Dio, infatti, ha compiuto sovente di queste cose.
Giacché, infatti, non tutti sono in grado di convertirsi attraverso la fede nella risurrezione, già su questa terra vengono offerti molti segni premonitori del giusto giudizio di Dio: l'avaro, ad esempio, non ha avuto figli, un altro è caduto durante la guerra, un altro ancora è rimasto mutilato nel corpo o ha perduto un figlio.
Queste persone, rimuginando nell'animo tutto ciò, vivono costantemente nel terrore.
Non vi rendete conto di quante sofferenze patiscano gl'iniqui?
Credete, forse, che non sia dolorosa la loro pena? …
Allorché però sopraggiunge un'infermità, il malato, anche se più empio di qualsiasi altro, non può non soffermarsi a rimuginare nell'animo quelle cose, costretto com'è all'immobilità.
Finché ci troviamo su questa terra, infatti, l'anima, attratta dai piaceri, si mostra riluttante nei confronti di ogni considerazione che possa recarle tristezza; una volta uscita dal corpo, però, trovandosi ormai alle soglie del giudizio, essa diviene allora preda di un grave timore.
I malviventi, infatti, finché stanno rinchiusi nel carcere, non avvertono alcun timore; nel momento in cui vengono condotti in tribunale, però, allora sì che la paura li sconvolge!
Il timore della morte, infatti, alla stregua d'un fuoco che divora ogni cosa, costringe l'anima a riflettere e a preoccuparsi del destino futuro: non v'è allora più posto per la passione del denaro, per l'avarizia, per l'amore delle cose materiali.
Una volta spazzate via, come nuvole, tutte queste cattive inclinazioni, il criterio di discernimento diventa ormai libero e incontaminato, mentre il dolore che ne segue scioglie ogni durezza.
Nulla è così contrario al pensare saggiamente, infatti, come una vita godereccia; le tribolazioni, viceversa, gli sono congeniali.
Considera un po' come si sentirà allora l'avaro: Un'ora di tristezza, sta scritto, fa dimenticare il piacere, per quanto grande ( Sir 11,27 ).
Che cosa proverà, ripensando a coloro che ha derubato dei beni, che ha danneggiato ingiustamente, delle cui ricchezze si è accaparrato?
Di che animo sarà, nel vedere che gli altri godono i frutti della sua sete di guadagno mentre egli presto dovrà soffrire?
Quando si è afflitti da una malattia, vengono sempre alla mente pensieri del genere: spesso l'anima, infatti, in preda alla depressione, trema d'angoscia.
Quanta amarezza si prova in queste circostanze!
Non è possibile sottrarvisi, ogni volta che si è ammalati.
E come si soffre, poi, nel vedere che altri vengono puniti e abbandonano questa vita!
E tutto questo già si prova nel corso di quest'esistenza terrena.
Nessuno può descrivere, quindi, ciò che proveremo nella vita futura: che supplizio, che pene, che tormenti!
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera a Timoteo, 5
La definizione piena e perfetta di penitenza comporta che noi non accettiamo mai più i peccati di cui facciamo penitenza o di cui la coscienza ci rimorde.
É poi indizio che abbiamo raggiunto l'indulgenza e la soddisfazione se siamo riusciti a cacciare dal nostro cuore ogni legame interiore verso di essi.
Sappia ognuno, infatti, che non è ancora sciolto dai suoi peccati se, pur applicandosi al pianto e alla soddisfazione per essi gli si presenta agli occhi l'immagine delle colpe compiute o di altre simili, e non dirò il diletto, ma solamente il ricordo di quelli infesta l'intimo della sua mente.
Perciò, chi si è tutto dedicato alla soddisfazione sappia che sarà assolto dai suoi delitti e avrà ottenuto perdono dalle colpe passate quando sentirà che il suo cuore è perfettamente libero dall'attrattiva di quei vizi e dalla loro stessa immaginazione.
Nella nostra coscienza stessa, dunque, vi è quasi un giudice esattissimo della nostra penitenza e del perdono ottenuto: sentenzia l'assoluzione dei nostri reati prima del giorno del giudizio, a noi, viventi ancora in questa carne, e ci annuncia la grazia della remissione e della perfetta soddisfazione.
E per esprimere con più efficacia ciò che è stato detto: allora solo dobbiamo ritenere che il contagio dei nostri vizi passati è finalmente svanito, quando dal nostro cuore saranno state scacciate le brame delle presenti voluttà, insieme con le nostre passioni …
Oltre alla grande, universale grazia del battesimo e oltre al dono preziosissimo del martirio che cancella le colpe con l'abluzione del sangue, molti sono ancora i frutti di penitenza per i quali si perviene all'espiazione dei peccati.
La salvezza eterna infatti non viene solo promessa alla penitenza propriamente detta, di cui dice il beato apostolo Pietro: Fate penitenza, convertitevi: così i vostri peccati saranno cancellati! ( At 3,19 ), e Giovanni Battista, anzi lo stesso Salvatore: Fate penitenza perché il regno dei cieli è vicino! ( Mt 4,17 ); ma anche l'amore atterra un cumulo di peccati: La carità infatti copre la moltitudine dei peccati ( 1 Pt 4,8 ).
Parimenti, anche l'elemosina porge rimedio alle nostre ferite, perché come l'acqua spegne il fuoco, così l'elemosina estingue il peccato ( Sir 3,29 ).
Così le lacrime sparse ottengono l'astersione dei peccati; infatti: Vado bagnando tutte le notti il mio letto, irrigo di lacrime il mio giaciglio ( Sal 6,7 ); e subito poi si aggiunge, per mostrare che esse non furono sparse inutilmente: Allontanatevi da me, voi tutti malfattori, perché il Signore ha udito il grido del mio pianto ( Sal 6,9 ).
Anche con la confessione delle colpe ne viene concessa la purificazione; dice infatti la Scrittura: Ho detto: Proclamerò contro di me la mia ingiustizia al Signore; e tu hai perdonato l'empietà del mio peccato ( Sal 32,5 ), e ancora: Esponi tu per primo le tue iniquità, per esserne giustificato ( Is 43,26 ).
Così anche con l'afflizione del cuore e del corpo si ottiene la remissione dei delitti commessi; dice infatti: Vedi la mia bassezza e la mia sofferenza, e perdona tutti i miei peccati ( Sal 25,18 ); ma soprattutto con il mutamento della propria condotta.
Togliete dai miei occhi la cattiveria dei vostri pensieri.
Smettete di agire perversamente, imparate a fare il bene, cercate la giustizia, aiutate l'oppresso, fate giustizia all'orfano, difendete la vedova, e poi venite ed esponete a me i vostri lamenti, dice il Signore.
Anche se i vostri peccati fossero rossi come lo scarlatto, biancheggeranno come la neve; se fossero del colore della porpora, diventeranno bianchi come candida lana ( Is 1,16-17 ).
Talvolta si impetra indulgenza per i propri delitti anche per l'intercessione dei santi.
Infatti: Chi sa che suo fratello commette un peccato che non conduce a morte, preghi, e Dio darà la vita a chi ha commesso un peccato che non conduce a morte ( 1 Gv 5,16 ); e ancora: Se qualcuno di voi è infermo, faccia venire gli anziani della Chiesa; essi pregheranno su di lui ungendolo con olio nel nome del Signore, e la preghiera della fede salverà l'infermo; e il Signore lo allevierà, e se fosse in peccato gli sarà perdonato ( Gc 5,14-15 ).
Vi è anche il caso in cui si purga la macchia dei peccati per merito della fede e della misericordia, secondo il detto: Per la misericordia e la fede vengono cancellati i peccati ( Pr 15,27 ); spesso poi anche per la conversione e la salvezza di coloro che sono salvati dalla nostra predicazione e dai nostri ammonimenti: Infatti chi farà convertire un peccatore dall'errore della sua via, salva l'anima di quello dalla morte e copre una moltitudine di peccati ( Gc 5,20 ).
Infine otteniamo indulgenza per le nostre scelleratezze con la nostra indulgenza e magnanimità: Se infatti perdonerete agli uomini i loro peccati, anche a voi il Padre vostro celeste perdonerà i vostri delitti ( Mt 6,14 ).
Vedete dunque quante sono le vie di accesso alla misericordia che la clemenza del nostro Salvatore ci ha aperto: perciò nessuno che desidera la salvezza si lasci fiaccare dalla disperazione, vedendo con quanti mezzi è invitato alla vita.
Se ti lamenti che per la debolezza della tua carne non puoi cancellare i tuoi peccati con la sofferenza del digiuno, riscattali con la larghezza nelle elemosine.
E se non hai cosa dare ai poveri ( per quanto la necessità o la povertà non escluda nessuno da questa santa opera, dato che le due sole monetine di bronzo di quella vedova furono più stimate delle larghe offerte dei ricchi e per quanto il Signore prometta la ricompensa anche per un bicchiere di acqua fresca ), anche senza di ciò, li puoi cancellare cambiando la tua vita.
Inoltre, se non ti senti di raggiungere la perfezione della virtù estinguendo tutti i vizi, dèdicati con pia sollecitudine all'utilità e alla salvezza altrui.
Ma se obietti di non sentirti idoneo a questo ministero, puoi coprire i tuoi peccati con l'intimo amore.
E se anche a questo l'ignavia del tuo spirito ti rende debole, in umiltà e fervore implora almeno con l'orazione e l'intercessione dei santi il rimedio alle tue ferite.
Chi è che non possa dire in tono supplichevole: Ho palesato a te il mio peccato e non ho nascosto la mia ingiustizia?
E per questa confessione si merita di soggiungere con confidenza: E tu hai perdonato l'empietà del mio cuore ( Sal 33,5 ).
Se poi la vergogna ti impedisce, ti fa arrossire di rivelarli davanti agli uomini, non cessare di confessarli con suppliche continue a colui cui non sono celati, dicendo: Conosco la mia iniquità e il mio peccato mi sta sempre dinanzi; contro te solo ho peccato e ho agito male al tuo cospetto ( Sal 51,5 ).
Egli è solito perdonare le colpe anche senza la vergogna della pubblicità.
Ma oltre a questi mezzi di salvezza facili e sicuri la divina degnazione ce n'ha concesso un altro più facile, rimettendo al nostro arbitrio il nostro rimedio, perché al nostro sentimento stesso è dato acquistare l'indulgenza delle nostre colpe, quando diciamo a lui: Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori ( Mt 6,12 ).
Chiunque perciò desidera pervenire all'indulgenza per le sue colpe, curi di dedicarsi a questi mezzi; la pervicacia di un cuore indurito non allontani da lui, dalla sua salvezza, la fonte di tanta bontà; infatti anche se faremo tutto ciò, nulla sarà sufficiente ad espiare le nostre colpe, se non sarà la bontà e la clemenza del Signore a cancellarle.
Giovanni Cassiano, Conferenze, 20,5.8
La potestà nemica viene vinta nel nome di colui che assunse l'umanità e la portò senza peccato, tanto che in lui, quale sacerdote e insieme sacrificio, si attuò la remissione dei peccati; cioè nel Mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo ( 1 Tm 2,5 ), per opera del quale ebbe luogo la purificazione delle colpe e la nostra riconciliazione con Dio.
Solo infatti dai peccati gli uomini vengono separati da Dio; e da essi in questa vita ci si purifica non per le nostre forze, ma solo per divina misericordia: per sua indulgenza, non per nostra potenza.
Infatti la stessa forza, quantunque essa sia, che può esser detta nostra, ci è concessa dalla sua bontà.
Molto ci attribuiremmo in questa carne se fino alla sua deposizione non vivessimo nel suo perdono.
A questo motivo, a opera del Mediatore ci è stata elargita la grazia che, macchiati per la carne del peccato, siamo purificati dalla somiglianza della carne di peccato.
Per questa grazia di Dio, per la quale egli palesa in noi la sua grande misericordia, veniamo guidati in questa vita con la fede e dopo questa vita veniamo condotti alla perfezione più piena con la contemplazione della verità immutabile.
Agostino, La città di Dio, 10,22
Nell'ordine della professione di fede, dopo l'articolo sulla Chiesa segue quello sulla remissione dei peccati.
Per questa sussiste la Chiesa sulla terra; per questa non va perduto ciò che era perduto ed è stato ritrovato ( Lc 15,24 ).
Oltre al dono del battesimo, elargito contro il peccato originale, perché venga tolto con la rigenerazione ciò che si è contratto con la generazione, battesimo che toglie anche i peccati attuali che trova, quanto cioè si è commesso con la mente, la bocca e le opere; ma, oltre questa grande indulgenza, da cui ha inizio la rinnovazione dell'uomo, in cui si rimette ogni reato congenito o aggiunto in seguito, anche il rimanente tempo di vita di chi ha l'uso della ragione, per quanto ricco di fecondità, non può trascorrere senza remissione dei peccati.
Infatti i figli di Dio finché vivono da mortali combattono con la morte.
E per quanto sia vero ciò che di loro è detto: Coloro che vengono guidati dallo Spirito di Dio, essi sono figli di Dio ( Rm 8,14 ), essi vengono stimolati dallo Spirito di Dio e avanzano verso Dio come suoi figli in modo però che nel loro spirito, soprattutto per il peso del corpo corruttibile, talvolta, come figli degli uomini, cedono a se stessi, ai propri moti umani, e perciò peccano.
Ma in ciò, quello che importa è la gravità: ogni crimine è certamente peccato, ma non per questo ogni peccato è anche crimine.
Di conseguenza possiamo asserire che la vita dei santi, fino a quando trascorre quaggiù nella vita mortale, risulta priva di crimini; ma come dice il grande apostolo Giovanni: se diciamo di non avere peccato, inganniamo noi stessi, e la verità non è in noi ( 1 Gv 1,8 ).
Ma anche riguardo agli stessi crimini, per quanto grandi, chi fa una penitenza proporzionata al peccato non deve disperare che vengano rimessi, dalla misericordia di Dio, nella santa Chiesa.
Nella penitenza, poi, qualora si tratti di un reato che separa anche dal corpo di Cristo, non si deve prendere in considerazione tanto il tempo, quanto la profondità del dolore.
Dio infatti non disprezza il cuore contrito e umiliato ( Sal 51,19 ).
Però, dato che comunemente il dolore di un cuore è occulto agli altri uomini né si manifesta loro, per sé, con parole o con altri segni - mentre è palese a colui a cui il salmista dice: Il mio gemito non è a te nascosto ( Sal 38,10 ) - ben giustamente nella Chiesa vi sono delle persone costituite a presiedere ai riti penitenziali, perché così si soddisfi anche alla Chiesa, in cui vengono rimessi i peccati; fuori di essa, infatti, non vengono rimessi.
Propriamente essa ha ricevuto come pegno lo Spirito Santo, senza di cui nessun peccato è rimesso; chi invece ne ottiene la remissione consegue la vita eterna.
É principalmente in vista del futuro giudizio, in effetti, che viene concessa la remissione dei peccati.
In questa vita, invece, è sempre valido il detto: É grave il giogo sui figli di Adamo, dal giorno che escono dal seno della loro madre fino al giorno in cui sono sepolti nella madre di tutti ( Sir 40,1 ), tanto che vediamo perfino i bambini tormentati dal dolore di mali diversi, anche dopo la rigenerazione del battesimo; e questo perché noi comprendiamo che quanto viene operato dai sacramenti di salvezza si riferisce più alla speranza dei beni venturi che alla conservazione o al raggiungimento dei beni presenti.
Inoltre, molte colpe quaggiù appaiono semplicemente perdonate, non riscattate da nessun supplizio: ma la loro pena è riservata al futuro.
A buon motivo infatti chiamiamo precisamente « giorno del giudizio » quello in cui verrà il giudice dei vivi e dei morti.
Viceversa, quaggiù vengono punite alcune colpe, che se sono rimesse, certamente più non ci nuoceranno nella vita futura.
Riguardo infine ad alcune pene temporali inflitte ai peccatori in questa vita, per evitare che siano riservate alla fine per coloro cui vengono rimessi i peccati, dice l'Apostolo: Se infatti ci giudicassimo noi stessi, non saremmo giudicati dal Signore; ma quando siamo giudicati dal Signore, siamo castigati, per non venir dannati con questo mondo ( 1 Cor 11,31-32 ).
Agostino, Manualetto, 17,64-66
Il peccatore non è assolutamente da preferire a chi non ha commesso peccato.
Nondimeno, accade che un peccatore il quale abbia preso coscienza della propria colpa e, in conseguenza di questo fatto, intraprenda il cammino verso la conversione umiliandosi a cagione dei propri peccati, sia preferito a colui che si considera meno colpevole del primo e che, lungi dal ritenersi un peccatore, si esalta d'orgoglio a motivo di certe qualità superiori ch'egli presume di possedere.
Tale, appunto, è l'insegnamento, per chi voglia leggere con lealtà il Vangelo, che si ricava dalla parabola sul pubblicano che dice: Abbi pietà di quel peccatore ch'io sono ( Lc 18,13 ); mentre il fariseo si era glorificato, da quel perverso che era, dicendo: Ti ringrazio di non essere come gli altri uomini: voraci, iniqui, adulteri; e neppure come questo pubblicano ( Lc 18,11 ).
Gesù, infatti, a proposito dei due personaggi, conclude la parabola con queste parole: A differenza del fariseo, il pubblicano se ne tornò a casa sua giustificato; chiunque infatti si esalterà, sarà umiliato, mentre chi si umilierà, sarà esaltato ( Lc 18,14 ).
Origene, Contro Celso, 3,64
Vi dico che in cielo vi sarà più gioia per un peccatore che fa penitenza, che non per novantanove giusti che non hanno bisogno di penitenza ( Lc 15,7 ).
Dobbiamo considerare, fratelli miei, perché il Signore proclami che in cielo vi è più gioia per i peccatori convertiti che per i giusti sempre rimasti tali.
Non è forse ciò che noi stessi vediamo e sperimentiamo ogni giorno?
Per lo più coloro che sanno di non essere oppressi dai peccati, restano certo sulla via della giustizia, non commettono nulla di illecito, ma non aspirano con ansia alla patria celeste e si danno senza ritegno a usare le cose lecite, ricordando di non aver commesso nulla di illecito.
E per lo più rimangono pigri nell'esercizio del bene, perché sono troppo sicuri di non aver mai commesso il male.
Al contrario, spesso coloro che ricordano di aver commesso qualcosa di grave, incitati dal loro stesso dolore ardono per amore di Dio, si esercitano in grandi virtù, bramano le asprezze della santa battaglia, abbandonano tutto ciò che è mondano, fuggono gli onori, si allietano dei disprezzi, ardono di desiderio anelando alla patria celeste.
Ricordando di essersi allontanati da Dio, cercano di compensare i danni precedenti con i guadagni seguenti.
Dunque, è più grande in cielo la gioia per un peccatore convertito, che per un giusto sempre rimasto tale, perché anche il generale in battaglia ama di più il soldato che, tornato dopo la fuga, attacca con coraggio il nemico, piuttosto di quello che mai non ha voltato la schiena, ma mai ha agito da valoroso.
Così l'agricoltore ama più la terra che, liberata dalle spine, produce messi ubertose, di quella che mai fu ricoperta di spine, ma mai fu veramente fertile.
Dobbiamo però sapere, a questo riguardo, che vi sono non pochi giusti la cui vita offre al cielo tanta gioia, che non è possibile anteporle nessuna penitenza di peccatori.
Molti infatti non sono consci in sé di male alcuno, e tuttavia si esercitano con tanto ardore nella mortificazione, come se fossero oppressi da tutti i peccati.
Rinunciano a tutto ciò che è lecito, innalzano il loro spirito nel disprezzo del mondo, non ritengono che alcunché sia loro permesso, si staccano anche dai beni loro concessi, disprezzano le realtà visibili, si infiammano per quelle invisibili, godono tra i lamenti, si umiliano in tutto; non meno di quanto gli altri piangono i loro peccati di opere, essi deplorano i loro peccati di pensiero.
Come dovrei dunque chiamare se non giusti e insieme penitenti costoro, che si umiliano nella penitenza per un peccato di pensiero e perseverano sempre giusti nelle loro opere?
Se ne può dedurre quanta gioia rechi a Dio il giusto che piange le sue debolezze umilmente, se dà tanta gioia al cielo l'ingiusto o il peccatore che ha commesso il male e lo condanna con la sua penitenza.
Gregorio Magno, Predica per la III domenica dopo Pentecoste, 34,4-5
Tremo sempre e rabbrividisco quando penso ai miei peccati nascosti, quando soppeso le mie opere.
Questo pauroso ricordo delle mie colpe e del giorno del giudizio infonde spavento nelle mie viscere, riempie di angoscia i miei pensieri.
Ma è strano come io sappia tutto ciò, come io riconosca chiaramente quel che mi può giovare, e mi abbandoni tuttavia a tanto male.
Io so quanto amaramente tutto mi sarà retribuito, e ciò nonostante faccio il male; conosco le opere buone e compio opere cattive.
Leggo i libri spirituali scritti dallo Spirito Santo, che annunciano bensì il giudizio e il castigo, ma anche lo splendore delle nozze e il regno dei cieli.
Leggo, ma non pratico; insegno, ma non imparo.
Sono ben versato nei libri sacri e nella loro lettura, ma sono ben lontano dal mio dovere.
Leggo agli altri la Bibbia, ma nulla entra nel mio orecchio.
Ammonisco ed esorto gli ignoranti, ma ciò che mi giova non lo attuo.
Spesso apro il libro, leggo e gemo; poi lo chiudo e ho già dimenticato tutto ciò che contiene.
Quando la Scrittura è lontana dai miei occhi, anche i suoi insegnamenti sono lontani dalla mia mente.
Che voglio da questo mondo, in cui sono entrato una volta sola, e da questo corpo pieno di mali, che mi sollecita alle brame perverse?
Le sacre Scritture mi spaventano con il giudizio e la retribuzione; le brame perverse invece mi spingono a compiere le opere della carne …
Perciò in te, o Signore, io cerco il mio rifugio da questo mondo perverso e da questo corpo pieno di mali, causa di ogni peccato.
Per questo io ti grido, come già Paolo apostolo: Quando sarò liberato da questo corpo di morte? ( Rm 7,24 ).
Mentre il mio intimo si strugge in queste dolorose riflessioni, sopraggiunge in me un altro stimolo che allontana dal mio cuore la tristezza.
Misteriosamente sorge nel mio senso un pensiero consolante, che mi consiglia al bene e mi porge la mano alla speranza.
Vedo in spirito la penitenza che mi sta davanti, incoraggiante, e mi sussurra nelle orecchie una promessa consolatrice; rincuorandomi mi dice: « Se tu qual peccatore ti affliggi che il pentimento sia inutile, di che cosa mai ti affliggi, o peccatore? ».
« Proprio perché il rincrescimento e le lacrime mi ardono e torturano senza guadagno alcuno, io, guardando l'immensità dei miei peccati, mi sento precipitare nella disperazione ».
« Ascolta, o peccatore, - mi sussurra di nuovo la penitenza nell'orecchio - voglio impartirti un insegnamento salutare, voglio darti un consiglio vivificante!
Ascoltami: ti mostrerò come tu possa piangere nel modo retto, affinché il tuo dolore ti sia utile e le tue lacrime ti giovino.
Non cadere nello scoraggiamento, non abbandonarti alla disperazione, non perder l'animo contemplando i tuoi debiti e non dimenticare i tuoi vantaggi.
Il Signore è buono e misericordioso, egli brama di vederti alla sua porta e si rallegra se tu ti converti, riabbracciandoti con gioia.
La tua colpa, tanto grande, non può essere neppur paragonata alla goccia più piccola della sua misericordia; egli ti purifica con la sua grazia dai peccati che ti dominano.
Il mare dei tuoi peccati non può soffocare l'alito più tenue della sua misericordia, anzi, neppure l'ingiustizia di tutto il mondo può superare il mare della sua grazia.
« Anche se tu incedi oppresso dalla colpa e dai peccati, cessa ora le tue cattive azioni, avvicinati alla sua porta, ed egli ti accoglierà.
Non pensare di aver commesso troppi delitti, tanto da non esser più riammesso se ritorni; questo pensiero ti tratterrebbe dal fare penitenza.
Non guardare la quantità immensa dei tuoi peccati nascosti, perché tu non finisca per trascurare ciò che ti serve alla vita eterna.
Il tuo Signore, infatti, può renderti puro da ogni colpa, può lavarti da ogni macchia.
Anche se la sozzura delle colpe fosse tanto penetrata in te come il colore nella lana, egli ti renderà bianco come la neve, secondo quanto sta scritto nel Profeta ( Is 1,18 ).
O peccatore, abbandona i tuoi misfatti, pentiti di ciò che hai perpetrato ed egli, nella sua misericordia, ti riaccoglierà.
Tralascia le tue macchie e vieni da lui, ed egli ti riaccoglierà ».
« Sì, - mi dice la penitenza - io lo garantisco.
Fa' solo ciò che dico, o peccatore impuro, e il Signore buono ti accoglierà, ti riabbraccerà, come faccio io.
O peccatore, se tu piangi e ti rammarichi per i tuoi delitti e poi ricorri fiducioso a lui, egli perdona le tue colpe e riversa su di te la pienezza della sua misericordia; egli infatti desidera e brama la tua conversione e si allieta vedendoti alla sua porta, perché egli per i peccatori e i cattivi ha sopportato la morte e l'ignominia.
« É davvero così, come ti dico, o peccatore: amara e dolorosa è la pena che il delinquente si aspetta.
I colpevoli saranno puniti nel fuoco orrendo, come dice la Scrittura ( Mc 9,47 ), quando vi sarà il giudizio.
Ma sappi anche questo, o peccatore - mi soggiunge la penitenza - che non è in mio potere aiutare in un qualsiasi modo i colpevoli nell'aldilà.
Chi non mi ascolta qui e non cerca rifugio sotto le mie ali, io non potrò più aiutarlo là, nell'altro mondo.
Allora non mi sarà più concesso intercedere per il peccatore che quaggiù non si sarà affrettato a me per nascondersi sotto le mie ali.
Ecco dunque il mio consiglio o peccatore, per la tua salvezza: vieni da me finché sei in questo mondo, e per opera mia tu vivrai!
Io supplico per te la sua grazia e il suo perdono e li muovo con le mie lacrime a far sì che la giustizia si volga in indulgenza.
Mi presento alla grazia per scongiurarla, per supplicarla con le lacrime agli occhi, che usi misericordia per le tue colpe.
Confido in essa: la grazia ascolterà la mia intercessione per te e si prodigherà, a pro tuo, a raddolcire la giustizia.
Sì, o peccatore, la grazia stessa ti prenderà, invisibile, per mano e si presenterà supplice alla giustizia, indirizzandole queste parole: O giustizia, tremenda più di ogni altra cosa: riguarda questo peccatore!
Certo, ha peccato e si è macchiato, ma ora si è fatto penitente.
Guardalo come trema, teme e si vergogna delle sue colpe passate, e con quali gemiti ti supplica di indulgergli.
Guarda i suoi sospiri e le sue lacrime, il suo pentimento e il suo intimo dolore, e rimettigli tutti i trascorsi, perché mai più ad essi ritornerà.
Osserva come per la tristezza del suo cuore sta quasi per cader nella disperazione!
Se non lo si incoraggia, va perduto.
Porgigli dunque la mano e fagli udire la parola del perdono, affinché si rialzi subito nella speranza di esser nuovamente accolto, quando tornerà al Signore misericordioso! ».
A tutti coloro che come me sono peccatori, ho detto tutto ciò, per suscitare in loro speranza, consolazione e pentimento.
Sia lodato il Misericordiosissimo, il Benignissimo, che si rallegra quando ci convertiamo e ci riaccoglie lieto, con amore, senza esitazione.
Sia lodato il Ricco di grazia, le cui porte stanno spalancate per i buoni e per i cattivi, che non chiude l'accesso alla grazia ai cattivi che si convertono.
Sia lodato, perché dà a tutti la possibilità di raggiungere il regno: ai giusti con le loro virtù, ai peccatori con la penitenza.
Sia lodato, perché per i peccatori ha abbandonato se stesso alla morte e all'ignominia, e ha accettato l'orrenda crocifissione per poter donare loro la vita.
Sia lodato, perché per sua grazia ci ha creati, e poi è venuto a liberarci con la croce.
Verrà di nuovo nel grande giorno della sua parusia per svegliare noi tutti.
E rendici degni, o benigno, per la tua grazia, che in quel giorno del giudizio risplenda a noi la tua misericordia, e ci sia concesso, o Dio, di lodarti, con i tuoi santi per tutta l'eternità!
Efrem Siro, Commento a « Guai a noi, che abbiamo peccato! », 9-13
Soltanto Dio può rimettere i peccati.
Principi e re, benché concedano la grazia e mandino assolti adulteri e assassini, si limitano a sottrarli al castigo su questa terra, ma non possono, tuttavia, purificare e cancellare il loro peccato.
Anche se abbiano elevato costoro, dopo averli graziati, alle supreme cariche dello stato, rivestendoli con la porpora e imponendo loro un diadema ( e i re lo hanno fatto ), non li hanno liberati, a dispetto di tutto ciò, dai loro peccati: soltanto Dio, infatti, ha la facoltà di compiere quest'opera.
Essa ha luogo in seguito al lavacro di rigenerazione: in quell'occasione, infatti, la grazia tocca l'anima stessa, sradicando, in questo modo, il peccato fin dalle sue più intime radici.
Mentre, dunque, l'anima di colui che viene assolto dal re, continua ad apparire immonda; quella del battezzato, invece, si mostra più fulgida dei raggi del sole e tale e quale fu generata fin dal principio; direi, anzi, di gran lunga migliore persino in confronto a quella: essa subisce, infatti, l'azione dello Spirito che la infiamma da ogni parte e ne accresce la santità.
Allo stesso modo come fondendo l'oro o l'argento, lo rendi pulito e nuovo; non diversamente anche lo Spirito Santo, fondendo l'anima, in occasione del battesimo, come dentro una fornace e consumandone i peccati, ottiene ch'essa risplenda più dell'oro puro.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 40,2
I pagani sono soliti dire con ironia contro di noi che siamo degli illusi, ritenendo che si possano mondare con le parole i crimini commessi con le opere.
« É dunque possibile - dicono - che chi commise un omicidio non sia omicida? e che chi perpetrò un adulterio possa venire considerato non adultero?
Perché dunque chi è colpevole di simili delitti vi sembra che all'improvviso diventi santo? ».
A questa obiezione è meglio rispondere con la fede che con la ragione.
Infatti, è il re di tutto che ci ha promesso ciò; è il Signore del cielo e della terra che ci garantisce ciò.
Non vuoi che io creda che chi mi ha fatto uomo dalla terra mi faccia innocente da colpevole?
E chi mi ha dato la vista quando ero cieco, mi ha dato l'udito quando ero sordo, mi ha concesso di camminare quando ero zoppo, non possa fare che io ricuperi l'innocenza perduta?
E, per venire all'attestazione della natura stessa: uccidere un uomo, non sempre è delitto: è criminoso uccidere per malvagità, non secondo le leggi.
Che mi condanna in ciò, non è l'azione, la quale a volte può essere retta, ma l'animo, che agisce perversamente.
Se dunque si muta in me l'animo perverso, nel quale risiede l'origine del vizio, perché ti sembra che io non possa diventare innocente, pur essendo prima delinquente?
Se infatti consta che il delitto consiste non nell'azione, ma nella volontà, come la cattiva volontà - ad opera del demonio perverso - mi ha reso reo di peccato e di morte, così la volontà, mutatasi in buona - ad opera di Dio buono - mi rende all'innocenza e alla vita.
E ciò vale per tutti gli altri delitti.
In questo modo la nostra fede non risulta opposta alla ragione naturale, perché la remissione dei peccati non riguarda le azioni, che una volta compiute non possono mutarsi, ma l'animo, che certamente può mutarsi da cattivo in buono.
Rufino di Aquileia, Commento al simbolo apostolico, 40
Senza che l'uomo lo noti, gli sta incessantemente al fianco un annotatore invisibile dei suoi discorsi e delle sue azioni, che appunta per il giorno del giudizio.
Chi potrà soddisfare le esigenze severe della giustizia, dato che chiederà conto di ogni battito degli occhi, dato che ogni sguardo non passa inosservato?
E tuttavia, venite e incoraggiatevi: per quanto il conto della giustizia sia così severo, quando l'uomo fa penitenza una sola sua lacrima cancella tutto l'elenco delle sue colpe.
Ma venite, vedete quest'altro e stupite: anche se dalla misericordia la grazia trabocca come un mare, a colui che non si converte nessuno potrà far giungere la grazia nel giorno del giudizio.
Efrem Siro, Esortazione alla penitenza, 11,5
Buone sono le lacrime che lavano la colpa.
Piangono coloro che Gesù guarda.
Pietro ha negato una prima volta e non ha pianto, perché il Signore non lo aveva guardato.
Ha negato una seconda volta, e di nuovo non ha pianto, perché ancora il Signore non aveva rivolto il suo sguardo verso di lui.
Nega una terza volta: Gesù lo guarda, ed egli pianse amaramente ( Lc 22,61-62 ).
Guardaci, Signore Gesù, affinché noi sappiamo piangere i nostri peccati.
Tutto questo ci indica che anche le cadute dei santi ci sono utili: la negazione di Pietro non mi ha fatto danno; al contrario, io ho guadagnato dal suo pentimento, ho imparato a stare in guardia contro i discorsi dei perfidi.
Pietro in mezzo ai giudei ha rinnegato; Salomone, ingannato dalle sue compagnie pagane, è caduto in errore.
Pietro ha pianto, dunque, e molto amaramente; ha pianto per poter cancellare la sua colpa nelle lacrime.
Anche tu, se vuoi meritare il perdono, cancella le tue colpe con le lacrime: in quel momento Cristo ti guarda.
Se incappi in qualche colpa, egli, testimone presente di tutta la tua vita segreta, ti guarda per ricordarti l'errore e spingerti a confessarlo.
Ambrogio, Commento al Vangelo di san Luca, 10,89
Il nostro pentimento è profumo per il Salvatore.
Osserva quanto è grande la misericordia del Signore.
I nostri peccati mandano un cattivo odore, sono putredine: tuttavia, se ci pentiamo dei nostri peccati, se piangiamo, i nostri puzzolenti peccati diventano il profumo del Signore.
Preghiamo dunque il Signore affinché ci prenda per la mano.
E subito - continua Marco - la febbre la lasciò ( Mc 1,31 ).
Non appena la prende per la mano, la febbre se ne va.
State attenti al seguito. Dunque, subito la febbre la lasciò.
Abbi speranza, peccatore, qualora tu sia sorto dal tuo letto.
Anche il santo Davide si era corrotto, giaceva in letto con Betsabea, moglie di Uria il Ceteo, e ardeva nella febbre dell'adulterio.
Ma il Signore lo guarì dopo che egli ebbe detto: Abbi pietà di me, Dio, nella tua grande misericordia ( Sal 51,3 ), e ancora: Ho peccato contro te solo, e ho fatto il male al tuo cospetto ( Sal 51,6 ); Liberami dal sangue, Dio, mio Dio ( Sal 51,16 ).
Egli infatti aveva versato il sangue di Uria, perché aveva ordinato di farlo morire.
Liberami dal sangue, Dio, mio Dio, rinnova nelle mie viscere lo spirito retto ( Sal 51,12 ).
Osserva cosa disse Davide: « rinnova ».
Cioè: poiché ho commesso una volta adulterio, e sono colpevole di omicidio, lo Spirito Santo è invecchiato in me.
Che dice ancora Davide? Mi laverai e io sarò più bianco della neve ( Sal 51,9 ).
Poiché mi hai lavato con le mie lacrime, le mie lacrime e la mia penitenza hanno agito per me come il battesimo.
Potete constatare da qui quanto sia efficace la penitenza.
Egli si pentì e pianse: perciò fu purificato.
Che cosa dice subito dopo? Insegnerò agli iniqui la tua via, e gli empi si convertiranno a te ( Sal 51,15 ).
Il penitente è diventato maestro.
Perché ho detto tutto questo? Perché qui sta scritto: E subito la febbre la lasciò ed ella si mise a servirli ( Mc 1,31 ).
Non si accontenta di essere stata liberata dalla febbre, ma subito si mette al servizio di Cristo.
« E si mise a servirli ».
Li serviva con i piedi, li serviva con le mani, correva di qua e di là, e venerava colui dal quale era stata guarita.
Serviamo anche noi Gesù.
Egli accoglie volentieri il nostro servizio, anche se abbiamo le mani sporche: infatti egli si degna di guardare ciò che si è degnato di guarire.
Sia a lui gloria nei secoli dei secoli. Amen.
Girolamo, Commento al Vangelo di san Marco, II, 1,31
Se avete recato offesa a un uomo, voi pregate i suoi amici, i suoi parenti e i suoi servitori di intervenire, spendete il vostro denaro e impiegate giorni e giorni nel tentativo di accostarvi a quella persona e di presentarle le vostre scuse.
Anche se, poi, l'offeso respingesse una, due, cento volte le giustificazioni da voi addotte, certo non vi arrendereste, ma, al contrario, rinnovereste continuamente, con un'insistenza ancor più pressante, le vostre suppliche.
Allorché, invece, l'offesa l'abbiamo recata a Dio, non ce ne preoccupiamo affatto e continuiamo a spendere il nostro tempo fra banchetti e gozzoviglie, senza modificare assolutamente le nostre abitudini.
É in questo modo, forse, che suscitiamo nel Signore una benevola disposizione nei nostri confronti?
O non otteniamo soltanto, forse, il risultato di irritarlo ancor di più?
Non v'è alcun dubbio che l'insensibilità che manifestiamo, dopo averlo oltraggiato, provoca il suo sdegno e la sua ira molto più del peccato stesso.
Dovremmo, allora, nasconderci sotto terra, non guardare più il sole e non osar neppure di respirare, noi che, avendo un così buon maestro, abbiamo avuto l'ardire di irritarlo, senza pentirci, per di più, dell'offesa che gli abbiamo recato.
La bontà di Dio è talmente grande che, anche quando si adira contro di noi, non ci odia né ci allontana, ma cerca, attraverso le sue minacce, di ricondurci presso di sé.
Se Dio, infatti, dopo esser stato da voi offeso, continuasse ad esser ben disposto nei vostri confronti, voi, forse, provereste verso di lui un disprezzo ancor maggiore.
Perché ciò non si verifichi, egli rivolge altrove il suo sguardo per qualche tempo, onde poter avervi, in seguito, sempre accanto a sé.
Confidiamo, perciò, nella misericordia di Dio e non esitiamo a manifestare un sincero dolore, prima che sopraggiunga il giorno in cui il nostro pentimento non sarà più in grado di recarci alcun giovamento.
Adesso, infatti, tutto è ancora nelle nostre mani; in quel giorno, invece, la sentenza dipenderà unicamente dal giudice.
Presentiamoci a lui confessando i nostri peccati ( Sal 95,2 ), leggiamo nel salmo; piangiamo e sospiriamo davanti a lui.
Se riusciremo a pregare il giudice di concederci il perdono dei nostri peccati, prima che egli abbia pronunciato la sua sentenza, non avremo più bisogno, in seguito, della sua intercessione.
Se, al contrario, non ci preoccupiamo di far questo, egli ci giudicherà, in quel giorno, di fronte a tutti gli uomini e, allora, non ci rimarrà più alcuna speranza nel suo perdono.
Chi, infatti, non avrà sciolto i propri peccati, non riuscirà, presentandosi al giudizio, a sottrarsi alla punizione: allo stesso modo come, su questa terra, i malviventi escono dal carcere per esser condotti incatenati davanti al giudice, non diversamente le anime, uscendo da questo mondo, dovranno comparire al cospetto di quel terribile tribunale, strette dalle pesanti catene dei loro peccati.
In verità, questa vita non è per niente diversa da un carcere.
E come, entrando in una prigione, noi vediamo da ogni parte persone cariche di catene, così, anche ora, se volgiamo l'immaginazione dalle apparenze esteriori per penetrare nella vita delle singole persone e nell'anima di ciascuno, le vedremo cariche di catene ben più pesanti del ferro …
Perciò noi dobbiamo scongiurare il Redentore delle nostre anime, affinché spezzi i nostri vincoli e allontani da noi un così crudele carceriere, cosicché, liberati dal peso di queste ferree catene, renda il nostro spirito più leggero dell'ala, per poterci innalzare fino a lui …
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 14,4
Chiunque si converta con tutto il proprio cuore a Dio, le porte gli si spalancheranno dinanzi e il Padre accoglierà a braccia aperte il figlio animato dal pentimento sincero.
La vera penitenza, poi, consiste nel non macchiarsi più delle medesime colpe, sradicando, anzi, profondamente dall'anima quei peccati a causa dei quali ciascuno ha condannato se stesso a morte.
Dopoché ti sarai liberato da tutto ciò, Dio dimorerà nuovamente in te.
É scritto, infatti, che nei cieli vi sarà una gioia grande e incomparabile per il Padre e per gli angeli, quando anche uno soltanto dei peccatori si convertirà e farà penitenza ( Lc 15,7 ).
Perciò si legge ancora: Io voglio l'amore più che il sacrificio.
Non voglio la morte del peccatore, ma il suo pentimento.
Se i vostri peccati sono come lo scarlatto, diventeranno bianchi come la neve; se sono neri come la fuliggine, purificandoli, li renderò bianchi come la neve ( Os 6,6; Mt 9,13; Ez 18,23; Is 1,18; Lc 5,21 ).
Solo Dio, infatti, ha la potestà di rimettere i peccati e di non contestare le colpe, dal momento che egli stesso ci ingiunge di rimettere ogni giorno i debiti ai nostri fratelli ( Mt 6,14 ).
Giacché se persino noi, cattivi come siamo, sappiamo dare qualcosa di buono, quanto più il Padre delle misericordie e di ogni consolazione, pietoso e buono e paziente com'è, si rivolgerà magnanimamente verso coloro che si convertiranno a lui ( Lc 11,13 )?
Convèrtiti davvero dai tuoi peccati, non indulgere più ad essi e non voltarti a guardare ciò che lasci alle tue spalle.
Iddio, perciò, concede il perdono alle colpe commesse nel passato; per quanto riguarda quelle future, ciascuno dovrà adoprarsi per non più cadere in fallo.
In ciò, appunto, consiste il pentirsi, il nutrire dolore per i peccati commessi, il chiedere insistentemente al Padre che ne distrugga persino il ricordo.
Questi è il solo fra tutti, infatti, che, in virtù della sua misericordia, possa cancellare ciò che è stato commesso e far sparire, con la rugiada dello spirito, le colpe dell'esistenza già vissuta.
« Vi giudicherò - ci viene ammonito - in base a come vi avrò sorpreso nell'istante supremo » e ogni giorno potrebbe avvenire per tutti la resa dei conti.
Nessuna sorpresa, dunque, allorché constatiamo come nessun beneficio rechino i sacrifici della vita trascorsa a colui che, pur essendosi comportato con rettitudine sino a quel momento, nell'istante estremo non abbia resistito ai vizi e alla malizia, arrendendosi proprio all'epilogo del dramma.
Al contrario, anche chi ha vissuto nel male e nella corruzione, una volta che si sia pentito, abbia scontato la penitenza e formulato vigorosamente il proposito di emendarsi, costui potrà anche riscattare quell'esistenza che per tanto tempo ha dissipato.
Occorre tuttavia, com'è naturale, una scrupolosissima diligenza, così come si impone una dieta più accurata e una maggiore cautela per corpi che sono reduci da una lunga malattia.
Se sei un ladro, vuoi farla finita con la tua scelleratezza? Smetti di rubare.
Chi è adultero, non si lasci più bruciare dal fuoco del piacere.
Chi fornica, viva d'ora innanzi castamente.
Chi va in giro a rapinare, restituisca quanto ha tolto e vi aggiunga anche del proprio.
Il falso testimone impari a dire la verità.
Tu che sei spergiuro, astieniti dal giurare e liberati anche degli altri vizi, dell'ira, della cupidigia, della tristezza, del timore, in maniera che la morte non ti sorprenda senza che ti sia ancora riconciliato, sin che eri in tempo, con il tuo nemico.
É davvero impossibile spogliarsi in breve tempo e contemporaneamente di quelle inclinazioni negative che si siano ormai accresciute e consolidate in maniera consistente; si può spuntarla, nondimeno, allorché intervenga la potenza divina, e le preghiere degli uomini e la solidarietà dei fratelli, senza che tutto ciò sia disgiunto da una penitenza sincera e da un'assidua meditazione.
Clemente Alessandrino, C'è salvezza per il ricco?, 39,2-40,6
Vidi il pastore nella pianura, ed egli mi chiese: « Che cosa stai cercando? ».
Io gli risposi: « Mi trovo qui, o signore, per chiederti di ordinare all'angelo
punitore di andarsene dalla mia casa, giacché mi affligge molto! ».
« É indispensabile che tu soffra: così ha comandato l'angelo glorioso, che vuole metterti alla prova ».
« Ma che cosa ho fatto di male, signore », protestai, « da dover esser consegnato nelle mani di quest'angelo? ».
« Ascolta », rispose il pastore.
« I tuoi peccati, certo, sono molti; essi, tuttavia, non sono tanto gravi da farti meritare di essere consegnato a quest'angelo.
I tuoi familiari, invece, hanno compiuto gravi iniquità, al punto che l'angelo glorioso ne è rimasto talmente amareggiato, da ordinare di far soffrire te per un po' di tempo, affinché anch'essi facciano penitenza e si purifichino d'ogni terrena passione.
Quando, perciò, si saranno pentiti ed emendati, l'angelo del castigo, allora, si allontanerà da te ».
« Signore », replicai, « ma se loro hanno compiuto azioni tali da suscitare lo sdegno dell'angelo glorioso, io che colpa ne ho? ».
« Non potrebbero essere tribolati in altro modo », rispose, « se tu, che sei il capo della famiglia, non vieni a tua volta tribolato.
Se tu sei afflitto, lo saranno, necessariamente, anche loro; se tu, al contrario, stai bene, essi non potranno soffrire un vero tormento ».
« Ma ecco, signore, essi hanno già fatto penitenza di tutto cuore ».
« Lo so anch'io che hanno fatto penitenza di tutto cuore; credi tu, però, che ai penitenti i loro peccati vengano rimessi all'istante? No di certo!
Colui che fa penitenza deve tormentarsi l'anima e umiliarsi profondamente in ogni sua azione, sopportando ogni sorta di angustie.
Quando poi avrà subito le sofferenze che gli sopraggiungono, il Creatore e Ordinatore di tutte le cose avrà allora compassione di lui e lo risanerà.
Ciò accadrà con assoluta sicurezza, qualora il Signore veda che il cuore del penitente si è ormai purificato da ogni cattiva azione.
É ad ogni modo opportuno, sia per te che per la tua famiglia, passare attraverso la sofferenza.
Ma perché, poi, mi dilungo tanto a parlare?
Tu devi soffrire, così come ha decretato l'angelo del Signore che ti ha affidato a me.
Devi, inoltre, mostrarti riconoscente verso il Signore per averti stimato degno di conoscere in anticipo le tribolazioni: in tal modo, infatti, dal momento che le hai previste, le puoi sopportare con maggior vigore ».
« Signore, resta con me », lo scongiurai allora, « e sarò in grado di sopportare qualsiasi tribolazione! ».
« Sì, io resterò con te », mi rispose: « anzi », soggiunse, « pregherò l'angelo del castigo perché ti punisca con maggior dolcezza.
Per poco tempo ancora, però, sarai tormentato, per esser poi nuovamente ristabilito nella tua casa.
Soltanto, persevera nell'umiltà e sii costante nel servizio di Dio, con tutta purezza di cuore, tu, i tuoi figli e tutti i tuoi cari; cammina nei precetti che ti impartisco, affinché la tua conversione possa esser valida e pura.
Così facendo, se tu e la tua famiglia vi manterrete fedeli a questi precetti, ogni male si allontanerà da te ».
Erma, Il Pastore, Allegoria, 7
Perché non ci rechiamo ogni giorno in chiesa a far penitenza?
Se sei un peccatore, infatti, entra in chiesa a denunciare i tuoi peccati; se sei giusto, invece, entraci ugualmente, per non allontanarti dalla giustizia.
In entrambi i casi, infatti, la chiesa è il porto ideale.
Sei un peccatore? Ebbene, non mostrarti riluttante, ma entra a manifestare il tuo pentimento.
Hai peccato? Confessa allora a Dio: « Ho peccato! ».
É forse un'impresa gravosa questa? Occorre fare molta strada? Bisogna faticare?
Che cosa ci vuole a dire: « Ho peccato »?
Anche se tu non riconoscessi di essere un peccatore, non ci sarebbe, forse, il diavolo pronto ad accusarti?
Previenilo, allora, e strappagli dalle mani il suo potere!
L'autorità del demonio, infatti, è tutta lì: nell'accusare.
Perché non lo previeni, allora, e confessi il peccato, espiando così la tua colpa, dal momento che sai bene che un tale inquisitore, che non può certo restare zitto, incombe su di te?
Hai peccato? Entra in chiesa e confessa a Dio: « Ho peccato! ».
Solo questo ti ordino, nient'altro.
Dice infatti la Scrittura: Confessa tu per primo le tue colpe, per esser giustificato ( Is 43,26 ).
Denuncia il peccato, se vuoi che ti sia perdonato.
Non c'è da faticare nel far questo, non occorrono giri di parole né si deve spendere del denaro: nulla di tutto ciò.
Basta riconoscere in buona fede i propri peccati e dire: « Ho peccato ».
Giovanni Crisostomo, Omelia sulla penitenza, 2,1
« Quando tu consegni alla lavanderia un abito nuovo, intatto, pretendi naturalmente che ti venga restituito nel medesimo stato.
Se il lavandaio, invece, te lo riconsegna lacerato, lo accetti così, senza reclamare in alcun modo?
Non dimostri, al contrario, il tuo sdegno, facendo valere le tue ragioni: « Ti ho consegnato un abito perfettamente intatto; per quale motivo me l'hai lacerato e reso inservibile?
Guarda un po' che strappo gli hai prodotto! Non potrò più indossarlo! ».
Tutto questo, e anche di peggio, tu diresti al lavandaio che ti strappasse un vestito.
Ora, se tu ti rammarichi per il tuo abito e protesti qualora non ti venga restituito intatto, che cosa ritieni che farà a te il Signore, che ti ha affidato uno spirito integro, nel caso che tu l'abbia reso talmente inutile, che il suo padrone non possa più servirsene?
Se tu lo corrompi, infatti, lo spirito che ti è stato affidato non può più essere utilizzato.
Non sarebbe dunque giusto, stando così le cose, che il padrone dello spirito, a motivo di questa tua colpa, ti punisse con la morte? ».
« Certamente », riconobbi io, « saranno puniti con la morte tutti coloro che si saranno comportati a questo modo … ».
« … Fate, perciò, una penitenza che vi sia realmente di vantaggio ».
Erma, Il Pastore, Allegoria, 9
La condizione della nostra fragile natura non ammette che qualcuno sia senza macchia.
Perciò l'ultimo nostro rimedio è rifugiarci nella penitenza, che ha un posto non piccolo fra le virtù, essendo miglioramento di noi stessi: così, se cadiamo o per le parole o per le opere, subito ci ravvediamo, confessiamo di aver peccato e chiediamo perdono a Dio, il quale, nella sua misericordia, non lo nega se non a chi persevera nell'errore.
É grande l'aiuto della penitenza, è grande la sua consolazione.
Essa è la guarigione delle ferite del peccato, la speranza, il porto di salvezza: chi la nega, toglie a se stesso la vita della sua vita, perché nessuno può essere tanto giusto che la penitenza non gli sia talvolta necessaria.
Ma noi, anche se non abbiamo peccato, dobbiamo tuttavia aprire la nostra anima a Dio e scongiurarlo ugualmente per le nostre colpe, ringraziandolo anche nelle avversità.
Porgiamo sempre a Dio questo ossequio; l'umiltà infatti è grata, è cara a lui: egli che accetta il peccatore convertito più volentieri del giusto superbo, quanto più accetterà il giusto che confessa i propri torti e lo renderà sublime nei regni dei cieli, a misura della sua umiltà!
Questo deve presentare a Dio chi veramente lo venera: queste sono le vittime, questo è il sacrificio placatore; ecco dunque il vero culto: quando l'uomo offre all'altare di Dio i pegni del suo spirito.
La sua somma maestà si allieta di chi così lo venera; lo accoglie come figlio e gli elargisce il dono dell'immortalità.
Lattanzio, Epitome delle Divine Istituzioni, 67
« Il pentimento », disse il Pastore, « è una grande saggezza! Il peccatore, infatti, comincia a rendersi conto del male compiuto dinanzi a Dio.
Nell'intimo del suo cuore nasce il rimorso per le azioni cattive; egli allora si ravvede, smette di compiere il male e si dedica, anzi, ad ogni sorta di opere buone, umiliandosi e torturando la propria anima al pensiero delle colpe commesse.
Il pentimento perciò, come vedi, è una dimostrazione di notevole saggezza ».
« É appunto per questo, signore », esclamai, « che io voglio sapere da te ogni cosa! Anzitutto, cioè, il motivo per cui sono peccatore, ma altresì le opere che io debba compiere per ottenere la vita e, inoltre, la ragione per la quale i miei peccati sono così vari e numerosi ».
« La vita l'otterrai », mi rispose, « se ti manterrai fedele ai miei comandamenti e vivrai in essi.
Chiunque li ascolterà e li metterà in pratica, d'altronde, vivrà in Dio ».
« Vorrei interrogarti ancora, signore ».
« Di' pure ».
« Da alcuni maestri ho sentito dire che non esiste alcun'altra conversione all'infuori di quella del momento in cui discendemmo nell'acqua battesimale, ricevendo così il perdono dei peccati passati ».
« Hai udito bene: è proprio così! Colui che ha ricevuto la remissione dei peccati non deve più peccare, ma perseverare nella purezza.
Dal momento, però, che tu desideri conoscere con precisione ogni cosa, voglio chiarirti meglio tutto questo argomento.
Facendo questo, tuttavia, non voglio offrire un pretesto per peccare a coloro che sono divenuti credenti appena adesso, o che lo diverranno in avvenire, giacché a costoro è concesso unicamente il perdono dei peccati passati, ma non sarà loro possibile una seconda conversione dal male.
Per coloro, dunque, che sono stati chiamati alla fede in passato, e non negli ultimi giorni, il Signore ha stabilito una penitenza, dal momento che egli, conoscendo i cuori e prevedendo ogni cosa, ha compreso la debolezza umana e l'astuzia del demonio, con le sue sordide macchinazioni ai danni degli uomini.
Così il Signore, misericordioso com'è, ha avuto compassione della sua creatura, stabilendo in tal modo questa penitenza di cui io sono incaricato.
Pertanto ti ripeto che se, dopo la grave e solenne chiamata alla fede, qualcuno, in seguito alla tentazione da parte del demonio, ha peccato, costui ha ancora la possibilità di una penitenza; se poi, nonostante questo, continuerà ancora a peccare, anche se allora volesse convertirsi e fare nuovamente penitenza, tutto questo, ormai, sarebbe inutile per lui; difficilmente infatti potrebbe riottenere la vita ».
« Mi sento rinascere », esclamai, « ascoltando le tue parole, mentre tratti con tanta precisione su questo argomento! Sono certo, adesso, che, se non tornerò ai miei peccati, sarò salvo! ».
« Non soltanto tu sarai salvo », replicò il Pastore, « ma lo saranno anche tutti coloro che si comporteranno come te! ».
Erma, Il Pastore, Precetto, 4,2-3
Solo la virtù della moderazione ha propagato ovunque la Chiesa, frutto del sangue di Cristo; è una virtù che imita i doni celesti: intenta alla redenzione di tutti gli uomini, prosegue questo fine salutare con tanta discrezione, che il cuore degli uomini può sostenerlo, la mente non fuggirlo e l'animo non temerlo.
Chi cerca di emendare i vizi della debolezza umana deve in un certo senso sostenere sulle proprie spalle tale debolezza, non rigettarla.
Si legge infatti che quel pastore, nel Vangelo, portò sulle sue spalle la pecorella smarrita e stanca, non la cacciò da sé.
E Salomone dice: Non essere troppo giusto ( Qo 7,16 ): la giustizia deve essere temperata dalla moderazione.
Come si potrebbe infatti affidare alle tue cure qualcuno che ti sia di fastidio, che si ritenga oggetto di disprezzo dal suo medico, e non di cura attenta?
Per questo il Signore Gesù Cristo ebbe pietà di noi: per chiamarci a sé, e non spaventarci, venne mite, venne umile.
Inoltre disse: Venite da me voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò sollievo ( Mt 11,28 ).
Il Signore Gesù Cristo, dunque, dà sollievo; non emargina, non rigetta.
Per questo motivo, i discepoli da lui eletti devono giustamente essere interpreti della volontà del Signore, raccogliere e non respingere il popolo di Dio.
É chiaro perciò che non si devono ritenere discepoli di Cristo coloro che ritengono necessario seguire principi di durezza e superbia, non di mitezza e umiltà, tanto da negare agli altri la misericordia del Signore che pur essi cercano.
Tali sono i novaziani, che pure chiamano se stessi « i puri ».
Ma cosa vi è di più superbo, dato che la Scrittura dice: Nessuno è mondo dal peccato, neppure il fanciullo di un solo giorno ( Gb 14,4 ); e Davide esclama: Mondami dal mio peccato ( Sal 51,4 )?
Sono essi dunque più santi di Davide, dalla cui famiglia Cristo elesse di nascere nel mistero dell'incarnazione, la cui stirpe è la reggia celeste che accolse il redentore del mondo nel seno verginale?
E che vi è di più crudo che indire penitenza senza remissione?
Negando il perdono, tolgono certamente ogni incentivo alla penitenza.
Nessuno può infatti dedicarvisi, se non ne spera indulgenza.
Ma essi ( i novaziani ) sostengono che non si deve restituire la comunione ecclesiale ai fratelli caduti.
Se si accontentassero di negare il perdono solo al delitto di sacrilegio, per quanto ciò sia duro, sarebbero in sintonia con le loro asserzioni e si potrebbero ritener contraddetti solo dalle parole divine: il Signore infatti non escluse nessun delitto e condonò tutti i peccati …
Essi sostengono di portar così rispetto al Signore, al quale solo riconoscono il potere di rimettere i peccati.
Ma, al contrario, non gli si potrebbe fare maggior ingiuria che voler opporsi al suo comando e rifiutare il dono da lui elargito.
Nel suo vangelo il Signore Gesù Cristo ha detto: Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi, e a chi non li rimetterete, non saranno rimessi ( Gv 20,22-23 ), chi è dunque che più lo onora: chi osserva il suo comando o chi gli resiste?
La Chiesa gli è obbediente in due modi: sia sciogliendo il peccato, sia legandolo.
Questa eresia in un caso è crudele, nell'altro disobbediente: vuole legare ciò che non può sciogliere, non vuole sciogliere ciò che ha legato.
E in ciò condanna se stessa con propria sentenza.
Il Signore infatti volle che vi fosse il doppio potere: di sciogliere e di legare, e lo affidò ad eguale condizione.
Dunque chi non ha il potere di sciogliere, non lo ha neppure di legare, come per volere del Signore, chi ha il potere di legare lo ha anche di sciogliere.
L'asserzione di costoro condanna se stessa: nega infatti di avere il potere di sciogliere; deve negare anche di aver quello di legare.
Come può essergli lecito l'uno e non essergli lecito l'altro?
A chi invece è stato donato l'uno e l'altro potere, è manifesto che o gli è lecito l'uno e l'altro o non gli è lecito né l'uno né l'altro.
Alla Chiesa è affidato l'uno e l'altro, all'eresia né l'uno né l'altro.
É un diritto affidato ai soli sacerdoti: giustamente dunque la Chiesa lo rivendica a se stessa, che ha sacerdoti veri; l'eresia non se lo può arrogare, non avendo sacerdoti di Dio.
Anzi, è essa stessa che si condanna a non rivendicare tale diritto, perché non avendo sacerdoti non può arrogarsi un diritto sacerdotale.
Con questa umile professione ci distanziamo dalla loro impudente contestazione.
Considera poi in particolare che chi ha ricevuto lo Spirito Santo, ha ricevuto anche il potere di sciogliere i peccati o di non scioglierli.
Sta scritto infatti: Ricevete lo Spirito Santo: a chi rimetterete i peccati, saranno rimessi; a chi non li rimetterete, non saranno rimessi ( Gv 20,23 ).
Dunque, chi non può sciogliere il peccato non ha lo Spirito Santo.
É dono suo l'ufficio sacerdotale; è diritto suo sciogliere o non sciogliere i delitti: come si arrogano dunque il suo dono, se non credono nel suo diritto e nel suo potere?
Come potrebbero essere più insolenti?
Lo Spirito di Dio è più pronto alla misericordia che alla severità: essi non vogliono ciò che lui dice di volere; fanno ciò che non vuole: è proprio della giustizia punire, della misericordia invece perdonare.
Ambrogio, La penitenza, 1,1-2
Solo fino al battesimo, o Cristo Signore, spetterebbe ai tuoi servi ascoltare e parlare della disciplina penitenziale.
Solo fino a questo punto possono peccare gli « audienti » [ precatecumeni ]; poi nulla più sappiano della penitenza, nulla di essa chiedano.
A malincuore faccio cenno alla seconda, o meglio all'ultima speranza: non sembri che, trattando dell'ultimo aiuto di conversione, io mostri esservi ulteriore libertà di peccare.
Non sia mai che qualcuno la interpreti così, come se gli fosse concesso di prevaricare perché gli è dato di pentirsene; in tal modo la sovrabbondanza della clemenza celeste alimenterebbe le brame dell'umana temerità.
Nessuno sia più cattivo perché Dio è più buono, peccando tutte le volte che egli perdona.
Del resto, la possibilità di scamparla avrà fine, mentre non avrà fine la possibilità di peccare.
L'abbiamo scampata una volta: solo fino a questo punto, e non più, viviamo in tanto pericolo, anche se ci sembra che potremo scamparla un'altra volta.
Per lo più coloro che si salvano dal naufragio dicono addio alla nave e al mare, e ricordando tanto pericolo celebrano quel dono di Dio, cioè la loro salvezza.
Lodo tanto timore, approvo tale viltà: non vogliono essere ancora di peso alla divina misericordia, temono di sembrar calpestare il beneficio ottenuto …
Dio ha posto nell'atrio la seconda penitenza per aprire a chi bussa: ma una volta sola, perché è la seconda volta.
Poi non oltre, perché un'altra volta ancora è inutile.
Non basterebbe dunque anche una volta sola?
Hai già ottenuto ciò che non meritavi e hai perso ciò che ti era stato concesso.
Se l'indulgenza del Signore concede che ti sia restituito ciò che hai perso, sii riconoscente per questo beneficio duplicato, ma che non sarà più iterato: è più restituire che dare, perché è più doloroso perdere che non aver ricevuto affatto.
Tuttavia, non si deve tramortire o uccidere di disperazione l'animo se si avesse bisogno della seconda penitenza: rincresca peccare per la seconda volta, ma non rincresca per la seconda volta fare penitenza: rincresca mettersi nuovamente in pericolo, non cercar per la seconda volta la liberazione.
Nessuno si vergogni: per guarire due volte bisogna prender due volte la medicina; ti mostrerai grato al Signore se non ricuserai ciò che egli ti offre: lo hai offeso, ma puoi ancora riconciliarti.
Hai a che fare con Uno che accetta la tua riparazione, e la accetta volentieri.
Se dubiti di ciò, ricorda quello che lo Spirito dice alle Chiese: accusa gli efesini di aver abbandonato l'amore, riprende gli abitanti di Tiatira per i loro stupri e l'uso di carni immolate agli idoli; imputa agli abitanti di Sardi che le loro opere non sono perfette; rimprovera gli abitanti di Pergamo d'insegnare dottrine perverse; quelli di Laodicea di confidar troppo nelle loro ricchezze.
Eppure esorta tutti alla penitenza, anzi, ad essa li ammonisce.
Ma non ammonirebbe chi non si pente, se a chi si pente le colpe non fossero perdonate.
É lui, è lui che preferisce la misericordia ai sacrifici ( Mt 9,13 ).
Si allietano i cieli, e gli angeli lassù presenti, per la penitenza dell'uomo.
Orsù, peccatore: sta' di buon animo! Vedi dove ci si allieta per il tuo ritorno.
Che ci vogliono dimostrare gli argomenti delle parabole del Signore?
La donna che, persa la moneta, la cerca, la ritrova e invita le amiche a rallegrarsi, non è esempio del peccatore ravveduto?
Si è smarrita una sola pecorella del pastore, ma egli non ha premura maggiore per il gregge intero: ricerca quella sola, gli preme più di tutte le altre, e finalmente la trova, la porta sulle sue spalle, perché si era molto stancata vagolando.
E non posso tralasciare di ricordare quel padre tenerissimo che richiama il figlio prodigo e con tanto cuore lo riaccoglie, ravveduto nella miseria: uccide il vitello ingrassato e manifesta la sua gioia con un banchetto.
E perché no? Aveva trovato il figlio perduto; lo sentiva più caro, perché lo aveva riguadagnato.
Chi dobbiamo intendere che sia quel padre?
Dio, naturalmente: nessuno è tanto padre, nessuno è tanto affettuoso.
Egli dunque riaccoglierà te, figlio suo, anche se ti sarai allontanato dopo esser già stato accolto, anche se tornerai nudo, solo per il fatto del tuo ritorno: e si allieterà più di questo ritorno che della regolatezza dell'altro figlio; ma solo se ti pentirai di cuore, se metterai a confronto la tua fame con la buona situazione degli operai di tuo padre, se abbandonerai il gregge di porci immondi, se ritornerai da lui per quanto offeso, dicendo: Ho peccato, padre, e non sono più degno di essere chiamato tuo figlio ( Lc 15,14-15 ).
La confessione allevia il delitto, quanto la dissimulazione lo aumenta.
La confessione infatti manifesta disposizione alla riparazione, la dissimulazione invece all'ostinazione.
Quanto più scabrosa e delicata è la penitenza seconda, e unica, tanto più laborioso è darne prova: non si esprime solo nella coscienza, ma si compie anche con un'azione esterna.
Quest'azione, espressa e indicata per lo più con parola greca, è la « esomologèsi » ( penitenza pubblica ), per la quale confessiamo al Signore la nostra colpa.
Non come se egli non la conoscesse, ma perché la confessione dispone alla riparazione; da essa nasce la penitenza e la penitenza ci riconcilia a Dio.
Dunque la penitenza pubblica è una disciplina che impone all'uomo di prosternarsi e umiliarsi, che gli prescrive un genere di vita atto ad ottenere misericordia: prescrive l'abito e il vitto, di giacere nel cilicio tra la cenere, di trascurare la pulizia del corpo, di immergere lo spirito nell'afflizione, di mutarlo col triste ricordo della colpa.
E poi di assumere cibo e bevanda semplici, non per soddisfare il ventre, ma per sostenersi in vita; e per lo più alimentare le preci col digiuno, gemere, piangere, gridare giorno e notte al Signore Dio tuo, prosternarsi dinanzi ai presbiteri, abbracciare le ginocchia degli uomini cari a Dio, supplicare tutti i fratelli di unire le loro preghiere alle proprie.
In tutto questo consiste la penitenza pubblica, per dar prova di conversione, per onorare il Signore col timore del pericolo, e perché il peccatore, condannando la propria colpa, plachi l'indignazione di Dio e non dirò renda inutili, ma estingua i supplizi eterni con una afflizione temporale.
Quanto più essa abbassa l'uomo, tanto più lo eleva; quanto più lo rende squallido, tanto più lo monda; quando lo accusa, quando lo condanna, lo assolve.
E credimi, meno tu avrai risparmiato te stesso, tanto più ti risparmierà Dio.
Tuttavia i più sfuggono o differiscono di giorno in giorno quest'opera santa, questa pubblica accusa di se stessi.
Più presi dal pudore che dal pensiero della loro salvezza, presuppongo; come coloro che contraggono un malanno nelle parti pudende e non vogliono lasciarsi visitare dai medici e così se ne muoiono per il loro pudore.
Soddisfare al Signore offeso, riabbracciare la salvezza di cui si è fatto getto, è certo duro per il proprio decoro …
Ma esporre questo a repentaglio, sarebbe forse veramente grave se ciò avvenisse tra risate e insulti, dove uno si innalza per la rovina altrui, ove si calpesta l'uomo prostrato.
Ma tra fratelli e conservi, fra cui tutto è in comune: la speranza, il timore, la gioia, il dolore, la sofferenza ( perché è comune lo Spirito proveniente dal Signore comune e dal Padre ), perché li consideri diversi da te?
Perché fuggi come derisori coloro che pur hanno preso parte alla tua caduta?
Un corpo non può rallegrarsi per il tormento di un suo membro: di necessità tutto soffre e collabora a sanarlo.
Nell'uno e nell'altro vi è la Chiesa, e la Chiesa è Cristo; perciò quando ti prosterni alle ginocchia dei fratelli, tu tocchi Cristo, tu supplichi Cristo.
Ed è giusto che essi piangano su di te: è Cristo che soffre, è Cristo che supplica il Padre.
E si ottiene sempre facilmente ciò che il Figlio chiede.
L'occultamento della colpa sembra promettere un grande sollievo al tuo senso di decoro.
Ma se sottrarremo qualcosa alla conoscenza degli uomini, l'avremo perciò nascosta a Dio?
Si mettono dunque sullo stesso piano la stima degli uomini e la scienza di Dio?
O è forse meglio nascondersi e venir condannati, piuttosto che venir assolti pubblicamente?
« Ma è un male grosso dover giungere alla penitenza pubblica! ».
Il male fa precipitare nella miseria, ma se si tratta della penitenza, non è più miseria: diventa salvezza.
É ben misero chi deve farsi tagliare, cauterizzare, tormentare con qualche polvere caustica; tuttavia i medicamenti dolorosi giustificano la loro atrocità con il bene della salute, rendono accettabile la pena presente con l'utilità futura.
Ma oltre alla vergogna, che pur è ritenuta il peggio, si temono anche le asprezze per il corpo: si deve starsene sporchi, cenciosi, senza distrazioni, nell'aspro cilicio, tra la cenere orrenda, deboli per lo stomaco vuoto.
Ma è forse decente supplicare il perdono dei nostri delitti vestiti di scarlatto o porpora?
Forza, dunque! Pettina con cura i capelli, usa la polvere dentifricia, mettiti a posto le unghie con la forbicina di ferro o di bronzo; e inoltre c'è bisogno di un pallore falso, di un rosso artificiale sulle labbra o sulle guance.
Per di più, frequenta i bagni più allegri, ritirati in posti ameni, o in campagna o al mare; aumenta le spese: prepara un banchetto enorme a base di selvaggina, di vino puro e ben invecchiato.
E se qualcuno ti interroga perché tanto lusso: « Ho peccato contro Dio » rispondi « e corro il rischio di perdermi in eterno. Così mi umilio, mi macero e tormento, per riconciliarmi a Dio che ho offeso con le mie colpe! ».
Ma se perfino quelli che desiderano ottenere qualche magistratura non hanno né vergogna né riguardo per qualsiasi fatica dell'animo e del corpo; e non solo fatiche, ma neppure di assoggettarsi a ogni umiliazione pur di dar corpo ai loro voti!
Come affettano modestia nel vestire!
Come si recano solleciti in ogni atrio per il saluto della sera e del mattino.
Si inchinano incontrando qualsiasi persona rispettabile, non partecipano a banchetti, non prendono parte a convivi, si privano di ogni libertà e svago.
E tutto ciò per la gioia passeggera di un solo anno.
E noi esiteremo a tollerare, pur mettendo in pericolo la nostra eternità, ciò a cui spinge il desiderio dei fasci e delle verghe, segno del potere?
Ed eviteremo di offrire al Signore offeso la sofferenza di limitarci nel vitto e nel culto della persona, come fanno invece i pagani, senza aver offeso nessuno?
Sono quelli di cui la Scrittura ricorda: Guai a coloro che legano i loro delitti quasi con una lunga fune ( Is 5,18 ).
Se hai qualcosa di contrario alla penitenza pubblica, considera in cuore tuo la geenna che quella estingue: immaginati prima la grandezza della pena, e non dubiterai di abbracciarne il rimedio …
Se sai dunque che oltre al primo rimedio salvifico contro la geenna, cioè la sacra abluzione del Signore, vi è un altro mezzo, la pubblica penitenza, perché pianti in asso la tua salvezza?
Perché non ti decidi di abbracciare ciò che, lo sai, ti fa guarire?
Tertulliano, La penitenza, 7-12
La copiosa misericordia di Dio soccorre l'umana proclività a cadere, tanto che la speranza della vita eterna viene ristorata non solo per mezzo della grazia battesimale, ma anche con la medicina penitenziale: coloro che avessero violato i doni della rinascita spirituale, condannando se stessi con propria sentenza, possono giungere così al perdono delle colpe.
Ma questi aiuti offerti dalla divina bontà sono ordinati in modo che l'indulgenza di Dio non si può ottenere se non tramite le suppliche dei sacerdoti.
Il mediatore tra Dio e gli uomini, l'uomo Gesù Cristo, ha infatti assegnato ai capi ecclesiastici il potere di imporre a chi confessa le proprie colpe un'azione penitenziale e di riammetterli, purificati da soddisfazione salutare, attraverso la porta della riconciliazione alla comunione dei sacri misteri.
In quest'opera, naturalmente, interviene senza posa lo stesso Salvatore, che non manca mai nelle azioni da lui imposte ai suoi ministri, avendogli egli detto: Ecco: io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo ( Mt 28,20 ).
Se per il nostro servizio, dunque, nel retto ordine si ottiene qualche grato successo, non esitiamo ad ammettere che è dono dello Spirito Santo.
Ma se qualcuno di quelli per cui supplichiamo il Signore, per un ostacolo qualsiasi, non può raggiungere sulla terra questo dono di indulgenza e prima di arrivare ai rimedi stabiliti cessa, per suo umano destino, dalla vita di quaggiù, ciò che non ha ricevuto finché viveva nel corpo, non potrà conseguirlo uscito dalla carne.
E non c'è bisogno che noi indaghiamo i meriti e le azioni di chi così muore, perché il nostro Signore, i cui giudizi sono incomprensibili, avrà riservato alla propria giustizia ciò che il ministero sacerdotale non ha potuto compiere.
In tal modo, egli vuole che si tema il suo potere e che tale terrore giovi a tutti, che tutti paventino ciò che è accaduto ad alcuni cristiani tiepidi e negligenti.
É assai utile e necessario dunque che la colpa dei peccati venga rimessa dalla supplica dei sacerdoti prima dell'ultimo giorno.
Ma a quelli che nel bisogno, nel pericolo urgente, supplicano la protezione della penitenza e la riconciliazione immediata, non si deve rifiutare la soddisfazione penitenziale e neppure negare la riconciliazione; non possiamo infatti porre limiti alla misericordia di Dio né prescrivere tempi a colui davanti al quale la vera conversione ottiene senza indugio perdono, perché lo Spirito di Dio dice per bocca del profeta: Quando ti ravvederai e gemerai, allora sarai salvato ( Is 30,15 ); e altrove: Riconosci per primo le tue iniquità, perché così tu sia giustificato ( Is 43,26 ).
E ancora: Perché presso il Signore c'è misericordia, e redenzione copiosa presso di lui ( Sal 130,7 ).
Non dobbiamo perciò essere difficili dispensando i doni di Dio, né trascurare le lacrime e i gemiti di chi accusa se stesso, tanto più che riteniamo frutto della divina ispirazione l'intimo pentimento, dicendo l'Apostolo: Forse il Signore concederà loro il pentimento, così che si ravvedano dai lacci del diavolo che li tiene prigionieri a suo piacere ( 2 Tm 2,25-26 ).
É necessario perciò che ogni cristiano giudichi a fondo la sua coscienza per non differire di giorno in giorno la conversione a Dio, e che non fissi per la fine della sua vita il tempo della riparazione.
Invero, data la fragilità e l'ignoranza umana, è rischioso riservare quella all'incertezza di poche ore, e pur potendo ottenere indulgenza con una soddisfazione piena, eleggere un tempo tanto angusto, in cui a stento è possibile o che il penitente si confessi o che il sacerdote lo riconcili.
Ma, come ho detto, si deve soccorrere anche ai bisogni di costoro, non negando loro l'azione penitenziale e la grazia della comunione ecclesiale, se la domandano, anche dopo aver persa la voce, con altre chiare espressioni del loro animo.
Ma se per la violenza della malattia si saranno aggravati tanto da non poter più esprimere alla presenza del sacerdote ciò che poco prima chiedevano, dovranno giovare loro le testimonianze dei fedeli circostanti, per far loro ottenere il beneficio della penitenza e insieme della riconciliazione.
Leone Magno, Lettere, 109,2-5 ( al vescovo Teodoro di Forum Iulii [ Fréjus ] in Gallia )
Voglio che il peccatore speri il perdono, lo supplichi con lacrime, lo supplichi con gemiti, lo supplichi col pianto di tutto il popolo; voglio che scongiuri di essere perdonato e quando la riammissione alla comunione sarà stata dilazionata per la seconda e la terza volta, ritenga di aver pregato con troppo poca perseveranza: aumenti il pianto, ritorni più triste di prima, stringa i piedi altrui con le braccia, li baci, li righi di lacrime e non li lasci liberi: di lui dirà il Signore Gesù: Sono rimessi i suoi peccati perché ha amato molto ( Lc 7,47 ).
Ho conosciuto alcuni che durante la penitenza hanno rigato il volto di lacrime, hanno impresso dei solchi nelle guance per il pianto continuo, hanno disteso a terra il loro corpo perché fosse calpestato da tutti; per il continuo digiuno, per le privazioni, spirava dal loro volto l'immagine della morte.
Ambrogio, La penitenza, 1,16
A chi rimetterete i peccati saranno rimessi, e a chi non li rimetterete non saranno rimessi ( Gv 20,23 ).
É bello osservare a quale vetta di gloria siano qui innalzati questi discepoli, chiamati all'esercizio di tanta umiltà.
Ecco: non solo vengono resi sicuri e liberi di se stessi, ma ricevono anche il potere di perdonare i debiti altrui: hanno in sorte la potestà del giudice supremo, tanto da agire al posto stesso di Dio, rimettendo ad alcuni i peccati e ad altri non rimettendoli.
Così conveniva che Dio elevasse coloro che avevano acconsentito ad essere tanto umiliati per lui; ecco: coloro che temono il rigido giudizio di Dio, sono fatti giudici delle anime; condannano o liberano gli altri, quelli che tenevano di essere loro stessi condannati.
Ora sono certo i vescovi che tengono nella Chiesa il loro posto: ricevono in eredità il potere di legare e sciogliere coloro che salgono a questo grado di autorità.
É grande il loro onore, ma è grande anche il peso di questo onore.
É duro, infatti, per chi non sa mantenere il controllo della propria vita, essere fatto giudice della vita altrui …
Considerando ciò, è facile osservare che noi dobbiamo assolvere con la nostra autorità pastorale coloro che, lo sappiamo, il nostro Creatore risveglia con la grazia vivificante.
Questa vivificazione, ancor prima che nelle opere di giusta riparazione, la si riconosce nella stessa confessione del peccato …
Ciò sia detto, in breve, circa l'assoluzione sacramentale, affinché i pastori della Chiesa abbiano grande cura nello sciogliere o nel legare.
Ma sia che il pastore agisca giustamente, sia che agisca ingiustamente, il gregge deve sempre temere la sentenza del pastore.
Gregorio Magno, Predica per la domenica in albis
« I vostri fianchi siano cinti e le vostre lampade ardenti! » ( Lc 12,33 )
I fianchi dei fedeli sono cinti quando si comprimono le brame perverse, quando si reprimono i pensieri iniqui, quando l'animo resiste alla libidine, quando si rinnega l'erotismo, quando si calpesta la lussuria, quando si disprezza l'avarizia e la rapacità, quando si evita il danno al prossimo, quando si vince la superbia, quando si sconfigge l'invidia.
Le lampade dei fedeli sono ardenti, invece, quando essi osservano la regola della fede, quando perseverano con longanimità nel seno della madre Chiesa, quando disprezzano i beni terreni e desiderano quelli celesti, quando custodiscono con sollecitudine la pace, quando si amano vicendevolmente di puro amore, quando si prevengono nel dimostrarsi stima a vicenda, quando progrediscono nella mitezza di cuore nell'umiltà, quando compiono con gioia e allegrezza opere di misericordia, quando nelle loro buone azioni cercano di piacere non agli uomini, ma a Dio.
Ogni cristiano dunque abbia cinti i fianchi fuggendo la libidine,
abbia ardente la lampada custodendo la castità; abbia cinti i fianchi non rubando né rapinando,
abbia ardente la lampada elargendo con misericordia del suo;
abbia cinti i fianchi non opprimendo i deboli,
abbia ardente la lampada dando il suo aiuto per la giusta difesa di chi è oppresso da una falsa giustizia;
abbia cinti i fianchi non togliendo il cibo a chi non lo ha, abbia ardente la lampada offrendolo invece a chi ha fame;
abbia cinti i fianchi non spogliando chi è vestito, abbia ardente la lampada vestendo chi è nudo;
abbia cinti i fianchi non invadendo la casa altrui, abbia ardente la lampada accogliendo volentieri i pellegrini di Cristo;
abbia cinti i fianchi fuggendo la vanagloria, abbia ardente la lampada custodendo l'umiltà;
abbia cinti i fianchi allontanando da sé l'invidia e il livore,
abbia ardente la lampada mostrando a tutti amore puro;
abbia cinti i fianchi non offrendo le sue membra come armi inique per il peccato, abbia ardente la lampada offrendo le sue membra come armi di giustizia a Dio ( Rm 6,13 ).
É questa, o fratelli, la vera, la santa dottrina della fede cattolica.
Questa è la misura di frumento con cui mantenere la famiglia del Signore e Salvatore.
Questa, per quanto il Signore ce ne concede, distribuiamo a voi, supplicando costantemente il Signore che si degni di mantenerci nel suo timore con l'aiuto della sua grazia.
Ci liberi dal dominio delle brame perverse, doni a tutti di progredire e perseverare nell'amore.
Cinga egli i nostri fianchi, accenda egli le nostre lampade e le custodisca ardenti: non si raffreddi cioè in noi la carità e non ci domini nessuna forma di iniquità; ma il Signore, il Redentore nostro elargisca a tutti questa grazia, infonda a tutti il dono della santa illuminazione e della virtù.
Ci conceda di comprendere rettamente ciò che da lui udiamo e di compierlo come si conviene, cioè di predicare a voi con parole adatte e persuasive ciò che dovete fare.
E doni a voi pure di comprendere profondamente e attuare nelle opere ciò che da lui udite per la bocca dei suoi servi.
La divina misericordia, dunque, operi in tutti noi questo: renda fedeli e prudenti noi, che volle suoi dispensatori; renda obbedienti e umili voi: così la misura di grano del Signore che vi somministriamo sia anche per noi, insieme con voi, di utilità e di salvezza.
Fulgenzio di Ruspe, Prediche, 1,11-13
Rendiamo grazie a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo, perché ci ha fatti degni di ricevere da lui un po' di gioia in mezzo a tutte le nostre pene.
Infatti ha messo pace nel nostro cuore affranto, accrescendo la nostra umiltà e fortificando la nostra fede.
Allora preghiamolo a gran voce e con lacrime, perché ci conceda misericordia e perdono.
Chiediamogli di non mettersi a fare i conti con noi e di non prendere in esame i nostri peccati, ma piuttosto di rinnovarci, purificando le cattive tendenze dell'anima e del corpo.
Ci renda degni di dire: Hai strappato la mia veste di sacco, mi hai rivestito di gioia ( Sal 30,12 ).
Chiediamogli di farci tornare agli inizi della nostra vocazione, cioè all'attesa di quelle promesse fatte da Dio al nostro padre Pacomio, di cui ci siamo impegnati a osservare i precetti.
Ci conceda di camminare realmente nell'adempimento della legge, così che formando tutti un cuore solo, noi condividiamo gli uni le pene degli altri, praticando la carità fraterna, la misericordia e l'umiltà, secondo la parola dell'apostolo Pietro ( 1 Pt 3,8 ).
Seguendo unanimi la stessa voce, noi potremo mettere in pratica le sue parole in tutte le nostre azioni con fede convinta.
Dobbiamo sapere che, ascoltando, noi ci facciamo servi per Gesù, riguardo al quale abbiamo sentito nei Vangeli la voce del Padre che dichiarava: Questo è il mio Figlio diletto in cui ho riposto la mia compiacenza: ascoltatelo ( Mt 17,5 ).
Carissimi, noi sappiamo bene di aver fatto tali promesse in presenza del Signore Dio nostro, che ne domanderà conto a ciascuno di noi, al grande secondo la sua posizione elevata, al piccolo secondo la sua posizione modesta.
Perciò non dobbiamo essere trascurati, né dimenticare la nostra salvezza, ma anzi rinnovarci in colui che ci dà la forza, Cristo Gesù.
Scambiamoci a vicenda l'affetto del nostro cuore e, portando la croce di Cristo, seguiamolo in verità, nello spirito della promessa che abbiamo fatto a lui, volontariamente e senza nessuna costrizione …
Quel che Dio cerca in noi sono i frutti dello Spirito Santo, e occorre non essere negligenti in questo, perché è il punto su cui saremo esaminati.
Dunque cerchiamo di stimolarci a vicenda per poter portare tutto il nostro frutto nelle cose che piacciono a Dio.
Sappiamo che Dio si occupa di noi; lavoriamo per quel che è necessario al corpo e sforziamoci di diventare un tempio santo per Dio.
Allora, fratelli miei, fate tutto il possibile perché nessuno di voi sia escluso, nel giorno in cui si manifesterà la gloria del Signore, dall'assicurazione piena di gioia: Ancora un po', infatti, e colui che deve venire giungerà veramente e non tarderà; il mio giusto vive di fede ( Eb 10,37-38 ).
Non deve accadere che, per la nostra viltà o per il sopraggiungere di qualche tempesta, siamo infedeli all'impegno che abbiamo liberamente abbracciato nella Comunità santa.
Teodoro di Tabenna, Catechesi, 3
Gli orafi esperti, dopo aver fuso l'oro una prima volta, si accertano di quanta bellezza il metallo abbia acquistato, una volta liberato, grazie al fuoco, da qualsiasi scoria.
Successivamente, dopo aver proceduto a una seconda fusione, essi controllano se la bellezza ottenuta dal metallo in seguito alla prima sia stata ripulita a dovere.
Compiono, poi, quest'opera ripetutamente, riconoscendo ogni volta, con scrupolosi controlli, la bellezza sempre maggiore che il metallo va assumendo.
Ora, il lavoro compiuto dagli orafi si potrebbe paragonare con quello di colui che, rendendo con le sue cure l'anima pura e luminosa come in seguito a una fusione, fornisce il rimedio per l'oro che si sia annerito …
Egli esclama, infatti: Quanto sei bella, amica mia, quanto sei bella; i tuoi occhi sono simili a quelli d'una colomba ( Ct 1,15 ).
Disdegnando la pratica del male, ti sei avvicinata a me; accostandoti alla bellezza inaccessibile, sei divenuta bella anche tu, riflettendo la mia immagine come in uno specchio.
Gregorio di Nissa, Commento al Cantico dei cantici, 4
Vadano, fuggano pure lontano da te gli inquieti e gli iniqui.
Tu li vedi, ne distingui le ombre fra le cose.
Così l'insieme risulta bello anche con la loro presenza, con la loro deformità.
Che male poterono farti? Dove poterono deturpare il tuo regno, se è giusto e intatto dall'alto dei cieli fino ai lembi estremi della terra?
Dove fuggirono allontanandosi dal tuo volto? In quale luogo non li puoi trovare?
Fuggirono per non vedere la tua vista posata su di loro e urtare, accecati, contro di te, che non abbandoni nulla di ciò che hai creato; per non urtare contro di te, e ricevere l'equo castigo della loro iniquità.
Si sottrassero alla tua mitezza per urtare nella tua giustizia e cadere nella tua severità.
Evidentemente ignorano che tu sei dovunque e nessun luogo ti racchiude, che tu solo sei vicino anche a chi si pone lontano da te.
Dunque si volgano indietro a cercarti: tu non abbandoni le tue creature come esse abbandonano il loro Creatore.
Se si volgono indietro da sé a cercarti, eccoti già lì nel loro cuore, nel cuore di chiunque ti riconosce e si getta ai tuoi piedi, piangendo sulle tue ginocchia dopo il suo aspro cammino.
Tu prontamente ne tergi le lacrime, e più singhiozzano allora e si confortano al pianto, perché sei tu Signore, e non un uomo qualunque, carne e sangue ma tu, Signore, il loro Creatore, che le rincuori e le consoli.
Agostino, Le Confessioni, 5,2
Mi sentivo totalmente attratto dal desiderio di comprendere le cose immateriali.
La contemplazione delle idee platoniche dava ali al mio pensiero.
Ritenevo di essere diventato in poco tempo un saggio e, nella mia sufficienza, speravo di vedere Dio subito, perché tale è infatti l'obiettivo della filosofia di Platone.
In questo stato d'animo, presi un giorno la risoluzione di saziarmi di solitudine lontano dal consorzio umano, e partii per una località situata in prossimità del mare.
Mi stavo avvicinando a questo luogo in cui contavo di trovarmi solo, quando un vegliardo dall'aspetto venerabile e dall'incedere dolce ma al tempo stesso solenne, si mise a seguirmi a poca distanza.
Mi girai verso di lui e mi fermai per rendermi conto chi in realtà egli fosse e che cosa mai volesse.
« Mi conosci? » egli mi disse. Io risposi di no …
« Sono preoccupato per i miei familiari. Essi mi hanno lasciato per andare all'estero, e vengo a vedere se per caso non stiano per rifarsi vivi da un momento all'altro, da qualche parte. E tu, che ti ha condotto qui? ».
« A me piace - risposi - andarmene in giro in questo modo, perché così posso, senza impedimento alcuno, dialogare con me stesso; e questi luoghi sono assai adatti alla meditazione filosofica ».
« É dunque il ragionamento - riprese il vegliardo - e non tanto l'azione e la verità che ti attirano? E pensi di più alla speculazione che non all'azione? ».
Gli replicai: « É possibile realizzare un bene più grande di quello di dimostrare che la ragione governa ogni cosa?
Se noi la abbracciamo e ci lasciamo trasportare da essa, riusciamo a renderci conto del genere di vita degli altri, dei loro errori, accorgendoci che non fanno nulla di sensato e di gradito a Dio … ».
« Allora la filosofia dà la felicità? » chiese il vegliardo.
« Certamente - risposi - ed essa sola … ».
« Come è dunque - disse allora - che i filosofi possono farsi un'idea esatta di Dio o parlare di lui con qualche verità, quando non lo conoscono, non avendolo mai visto né mai udito? ».
« Ma, padre, - risposi - la divinità non è visibile ai nostri occhi come lo sono gli altri esseri viventi; essa è accessibile unicamente alla sola intelligenza, come dice Platone; e io ne condivido l'idea …
A quale maestro si potrebbe dunque ricorrere, e dove trovare l'aiuto, se neppure i filosofi non possedessero la verità? ».
« Vi sono stati, molto tempo fa - continuò il vegliardo - degli uomini più antichi di tutti questi filosofi, degli uomini beati, giusti e amici di Dio.
Essi parlavano ispirati dallo Spirito di Dio e predicevano un futuro che ora si è avverato.
Essi vengono chiamati: i profeti.
Essi soli hanno visto la verità e l'hanno annunciata agli uomini …
Hanno glorificato Iddio Padre, creatore dell'universo, e hanno annunciato colui che Dio ha inviato sulla terra: Cristo, suo Figlio …
E tu, prima di ogni altra cosa, prega perché le porte della luce ti siano aperte, in quanto nessuno può vedere né capire, se Dio o il Figlio suo non gliene danno la capacità ».
Dopo avermi detto tutte queste cose e molte altre ancora, di cui non è il momento ora di parlare, il vecchio se ne andò, raccomandandomi di far sì che il mio spirito vi riflettesse.
Non l'ho mai più rivisto. Ma, improvvisamente, un fuoco si accese nella mia anima.
Fui preso d'amore per i profeti, per quegli uomini che sono amici di Cristo.
Riflettendo sulle parole del vegliardo, riconobbi che quella era la sola filosofia sicura e vantaggiosa.
Giustino, Dialogo con Trifone, 2-4.7-8
Giacobbe, figlio di un padre straricco, se ne va in Mesopotamia solo e nudo, col suo bastone.
Stanco del viaggio si sdraia a terra, e lui, che era stato educato tanto delicatamente da sua madre Rebecca, per guanciale si mette un sasso sotto il capo.
É Lì che vide una scala che arrivava dalla terra al cielo, con degli angeli che ne salivano e ne discendevano, e su, in alto, il Signore che vi stava appoggiato per dare una mano a chi era stanco: la sua sola vista stimolava chi saliva a non darsi tregua.
Per questo quella località ha avuto il nome di Betel, vale a dire: casa di Dio; ogni giorno è un continuo salire e scendere, perché anche ai santi succede di far capitomboli se sono negligenti, mentre i peccatori possono ritornare al livello di prima se lavano col pianto le proprie colpe.
Se te lo dico, questo, non è per farti prendere paura da quelli che scendono, ma perché quelli che salgono ti siano di stimolo.
Mai si deve prendere esempio dai cattivi; anche nelle contingenze umane l'incitamento alla virtù viene dalla parte migliore.
Girolamo, Le Lettere, IV, 118,7 ( a Giuliano )
Gesù vide un uomo chiamato Matteo seduto al banco della gabella e gli disse: « Seguimi » ( Mt 9,9 ).
Lo vide non tanto con gli occhi del corpo, quanto con lo sguardo interiore del suo amore …
Vide il pubblicano, lo predilesse, lo prescelse e gli disse: « Seguimi »; ossia imitami.
Chiedendogli di seguirlo, lo invitava meno a camminare dietro di lui che a vivere come lui; poiché Chi dice di stare in Gesù Cristo deve anche vivere come è vissuto lui ( 1 Gv 2,6 ) …
Matteo si alzò e lo seguì.
Nulla di strano che il pubblicano, al primo imperioso invito del Signore, abbia abbandonato la sua avidità di beni terreni e che, trascurando i valori temporali, abbia aderito a Colui ch'egli vedeva libero da ogni ricchezza.
Ciò avvenne perché il Signore, che lo chiamava dall'esterno con la sua parola, lo commoveva nei recessi più intimi della sua anima, spandendovi la luce della grazia spirituale perché lo seguisse …
E mentre Gesù era a tavola in casa, ecco che molti pubblicani e peccatori vennero a mettersi a tavola con lui e con i suoi discepoli ( Mt 9,10 ).
La conversione d'un solo pubblicano spalancò la via della penitenza e del perdono a molti pubblicani e peccatori …
Fu davvero un fausto presagio: colui ch'era predestinato a essere in seguito apostolo e dottore tra i pagani, trascina dietro a sé, con la sua conversione, i peccatori nel sentiero di salvezza; e questo ministero della buona novella ch'egli avrebbe dovuto assumere solo dopo aver progredito nella virtù, lo intraprende sin dai primi momenti della sua fede …
Cerchiamo di comprendere più profondamente l'avvenimento riferito.
Matteo non ha offerto al Signore solo un ristoro corporale nella sua dimora terrena, ma gli ha preparato un convito nel suo cuore con la sua fede e il suo amore, come ne dà testimonianza Colui che ha detto: Ecco ch'io sto alla porta e busso: se uno sente la mia voce e mi apre, io entrerò da lui e cenerò con lui e lui con me ( Ap 3,20 ).
Sì, il Signore sta alla porta e bussa allorché rende il nostro cuore intento alla sua volontà, sia mediante la voce di chi insegna, sia con un'ispirazione interiore.
Noi schiudiamo la porta all'invito della sua voce allorché diamo il nostro libero consenso ai suoi avvertimenti interiori o esteriori e quando mettiamo in atto ciò che abbiamo capito di dover fare.
Ed egli entra per ristorarsi, lui con noi e noi con lui, perché egli dimora nel cuore degli eletti, con la grazia del suo amore, per nutrirli incessantemente con la luce della sua presenza, affinché essi elevino progressivamente le loro aspirazioni e perché egli stesso si ristori con il loro zelo per il cielo, come fosse il cibo più delizioso.
Beda il Venerabile, Omelia sui vangeli, 1,21
Il regno delle tenebre, cioè il principe della malizia, dopo aver reso l'uomo suo prigioniero sin dal principio, circondò e rivestì l'anima, alla stregua d'un uomo, con il potere delle tenebre: E lo faranno re, e lo rivestiranno d'abiti regali, ed egli, da capo a piedi, indosserà le vesti del re ( Est 6,8 ).
Così il principe malvagio rivestì l'anima e tutta la sua sostanza con il peccato; tutta la corruppe e la trasse prigioniera sotto il proprio dominio, senza lasciare libera nessuna sua facoltà, né i pensieri né la mente né il corpo, ma, al contrario, ricoprendola con il manto purpureo delle tenebre.
Allo stesso modo come, infatti, per quanto concerne il corpo, non soffrono certo una sola parte o un solo membro alla volta, bensì l'intero organismo, nella sua globalità, è costretto ad avvertire la sensazione dolorosa; ebbene, non diversamente l'anima subisce nel suo insieme gli assalti della malizia e del peccato.
Il Maligno, dunque, ha rivestito l'anima intera, facoltà e dimensione più insigne dell'uomo, con la propria malizia, cioè con il peccato: il corpo, così, è divenuto schiavo della passione e della corruzione.
Allorché l'Apostolo, infatti, raccomanda: Spogliatevi dell'uomo vecchio ( Ef 4,22 ), intende riferirsi all'uomo integrale, con occhi, capo, orecchio, mani e piedi.
Il malvagio, infatti, ha contaminato e distrutto tutto l'uomo, anima e corpo, rivestendo di peccato l'uomo vecchio, corrotto, impuro e nemico di Dio, non più sottomesso alla sua legge.
Così l'uomo, da quel momento, non fa più uso della facoltà della vista a sua discrezione, ma unicamente per vedere il male, che rappresenta l'oggetto anche del suo udito, mentre i suoi piedi si affrettano a compiere scelleratezze e le mani conducono a termine iniquità e il cuore, da parte sua, coltiva malvagi pensieri.
Scongiuriamo, per ciò, anche noi Dio, perché ci spogli dell'uomo vecchio, dal momento che egli soltanto è in grado di liberarci dal peccato: più forti di noi, infatti, sono coloro che ci hanno fatti prigionieri e ci tengono rinchiusi nel loro regno.
Iddio, però, promise che ci avrebbe riscattato da una tale schiavitù.
Come quando, infatti, mentre il sole splende e spira il vento, ciascuno dei due conserva la propria natura e il proprio corpo anche se nessuno è in grado di distinguere il vento dal sole, fino al momento in cui soltanto Dio abbia placato il vento, perché non spiri più allo stesso modo, benché il peccato sia mescolato con l'anima, ciascuno dei due, tuttavia, conserva integra la propria natura.
É impossibile, allora, sottrarre l'anima al peccato, a meno che Dio stesso non intervenga a calmare e a far cessare questo vento del male, che ha sede nell'anima e nel corpo.
Ovvero, per fare un altro esempio, supponiamo che uno, vedendo volare un uccello, desideri anch'egli di volare; privo di ali com'è, però, non ne è capace.
Ebbene, anche l'uomo, benché senta il desiderio di essere puro, irreprensibile e incorrotto, di non coltivare in sé alcuna malizia, non è tuttavia in grado di mantenersi sempre fedele a Dio.
L'uomo aspira a librarsi nello spazio divino e a godere della libertà dello Spirito Santo; sennonché, senza le ali, non può farlo.
Preghiamo, allora, Dio, perché ci doni le ali della colomba dello Spirito Santo con cui volare a lui e trovarvi pace; preghiamolo, altresì, perché plachi e allontani dalla nostra anima e dal nostro corpo quel vento malvagio, cioè il peccato stesso, che vi dimora.
Lui solo, infatti, può farlo: Ecco l'agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo ( Gv 1,29 ).
Egli soltanto manifesta agli uomini che credono in lui questa misericordia ( giacché si tratta della redenzione dal peccato ), facendo dono di quest'ineffabile salvezza a quanti lo attendono, lo ricercano instancabilmente e ripongono in lui ogni speranza.
Come quando, durante una notte tenebrosa e oscura, un vento, soffiando impetuosamente, agita e scuote e sconvolge tutte le piante e i frutti; così anche l'uomo, una volta assoggettato al potere delle tenebre, cioè del demonio, viene circondato dall'oscurità della notte, mentre il funesto vento del peccato, spirando attraverso l'intera sua natura, cioè l'anima, i pensieri e la mente, lo scuote e lo sconvolge.
Tutte le membra del corpo, alla fine, vengono messe sossopra, senza che alcuna parte dell'anima o del corpo rimanga immune e libera dal peccato che risiede in noi.
Allorché, poi, sopraggiunge la luce del giorno, il vento divino dello Spirito Santo, spirando e ritemprando le anime che vivono nel giorno della luce divina, penetra attraverso tutta la natura dell'anima, i suoi pensieri e l'intera sua sostanza e ricrea tutte le membra del corpo con una divina e inesprimibile pace.
Così, infatti, si è espresso l'Apostolo: Noi non siamo figli della notte né delle tenebre; tutti voi, infatti, siete figli della luce e figli del giorno ( 1 Ts 5,5 ).
E allo stesso modo come, nel corso d'una vita sbagliata, l'uomo vecchio si è spogliato dell'uomo integro e perfetto, per indossare l'abito del regno delle tenebre, il vestito dell'empietà, della miscredenza, della temerarietà, della vanagloria, della superbia, dell'avarizia e della concupiscenza, e altri simili ornamenti del regno delle tenebre, cenciosi, immondi e contaminati; così al contrario, tutti coloro che si sono svestiti dell'uomo vecchio e terrestre e sono stati spogliati da Gesù degli abiti del regno delle tenebre, si sono rivestiti dell'uomo nuovo e celeste, Gesù Cristo, per essere interamente puri e offrire una testimonianza soprannaturale.
Il Signore, poi, ha ricoperto costoro con i panni del regno dell'arcana luce, con gli abiti della fede, della speranza, dell'amore, della gioia, della pace, della bontà, dell'umanità e con tutti gli altri ornamenti, divini e viventi, di luce, di vita, di pace inesprimibile.
E ciò affinché, come Dio è amore e gioia e pace e misericordia e bontà, simile a lui diventi anche l'uomo, per l'opera della grazia.
Allo stesso modo come, poi, il regno delle tenebre e il peccato rimangono nascosti nell'anima sino al giorno della risurrezione, allorché anche il corpo peccaminoso sarà ricoperto dalle tenebre che ora avvolgono l'anima; non diversamente, anche il regno della luce e la celeste immagine, Gesù Cristo, in modo misterioso illumina adesso l'anima e governa gli spiriti dei santi.
Nascosto agli occhi degli uomini, Cristo viene contemplato dai soli occhi dell'anima, fino al giorno della risurrezione; in quel giorno, invece, anche il corpo sarà ricoperto e glorificato dalla luce del Signore, presente adesso nell'anima dell'uomo, affinché il corpo stesso regni assieme a quell'anima che, dopo aver conseguito ora il regno di Cristo, gode della pace e della luce che promanano da Dio.
Sia gloria, dunque, alla pietà e alla misericordia del Signore; egli, infatti, ha compassione dei suoi servi, li illumina e li libera dal regno delle tenebre, per far loro dono della sua luce e del suo regno.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 2,1-5
I semi che vengono gettati dagli agricoltori non durano in eterno, ma si richiede che sia loro prestata grande cura e attenzione; se, poi, i contadini non ricoprono con la terra arata la semenza che hanno gettato, essa rimarrà alla mercé degli uccelli che la coglieranno.
Così anche noi, se non manifestiamo una premura costante nei confronti di ciò che è stato seminato in noi, sarà tutto inutile.
Ecco il diavolo, infatti, a saccheggiare la semenza, e la nostra incuria a mandarla in rovina, mentre il sole la brucia, la pioggia la sommerge e le spine la soffocano.
Non basta, perciò, seminare e andarsene; occorre invece, per produrre frutti, darsi un gran da fare a scacciar via gli uccelli, a strappare le spine, a riempire con molta terra i punti pietrosi, a rimuovere ed eliminare, insomma, tutto ciò che possa essere d'ostacolo.
Ora però, mentre per quanto concerne la terra tutto dipende dal contadino ( essa, infatti, priva di vita com'è, è soltanto suscettibile di esser lavorata ), in questa terra spirituale, invece, le cose non stanno affatto in questo modo: non tutto infatti dipende dai dottori e dai maestri, ma, se non la responsabilità più grossa, certamente una buona metà spetta anche ai discepoli.
É nostro compito, pertanto, gettare la semenza; tocca poi a voi mettere in pratica quanto vi viene detto e tenerlo sempre ben presente nella memoria, mostrandone i frutti con le vostre opere e strappando via le spine fin dalle loro radici …
Queste spine, poi, sono aspre e tenaci e nascono spontaneamente.
Per poterle sradicare, dobbiamo renderci conto del modo come spuntino …
Allorché però i contadini vogliono strapparle, non usano certo il coltello.
In che modo lo fanno, allora? Si servono del fuoco, in modo da liberare completamente la terra della loro nociva presenza.
Non basta infatti strapparle in superficie, finché sotto terra rimane la radice; né è sufficiente, d'altronde, cavare fuori la radice, giacché ne rimarrebbe sempre una parte nella terra, come avviene con la peste che, una volta insinuatasi nel corpo, lascia le sue tracce.
Il fuoco invece, bruciando le spine, ne estrae, grazie al suo calore, tutto il succo da sotto terra, come un veleno.
Allo stesso modo come, infatti, ponendo una ventosa, questa risucchia ogni infezione; non diversamente, anche il fuoco brucia e distrugge ogni effetto nocivo procurato dalle spine, purificando così la terra stessa …
Anche per noi esiste un fuoco che può strappar via ogni peccato dalla nostra anima: il fuoco dello Spirito.
Se ricorreremo ad esso, potremo liberarci non soltanto delle spine, ma anche di tutto ciò che queste procurano.
Finché continueranno a rimanere piantate nell'anima nostra, infatti, renderanno inutile ogni sforzo.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla seconda lettera ai Tessalonicesi, 3,3
Il Pastore mi mostrò molti alberi senza foglie che mi sembravano quasi secchi e apparivano tutti eguali.
Poi, mi chiese: « Vedi tutti questi alberi? ».
« Li vedo, signore », risposi.
« Sono tutti uguali, e tutti quanti secchi ».
« Questi alberi che tu vedi », mi disse allora, « non sono altro che gli abitanti di questo mondo ».
« Per quale motivo allora, signore », domandai, « sono tutti uguali e quasi secchi? ».
« Perché in questo mondo non si può distinguere chi è giusto da chi è peccatore: sono tutti uguali.
Il mondo terreno è un inverno per i giusti: vivono fianco a fianco con i peccatori e non si rivelano.
Quand'è inverno, infatti, gli alberi, perdute le foglie, si somigliano tutti, senza che si possa distinguere quali siano i secchi e quali, invece, quelli ancor vegeti.
Ebbene, non diversamente accade anche in questo mondo: non è dato di discernere chi è giusto e chi è peccatore. Tutti sono uguali ».
Mi fece vedere molti alberi ancora, verdeggianti alcuni, secchi altri.
Poi mi domandò: « Vedi questi alberi? ».
« Li vedo, signore. Taluni sono vegeti, alcuni altri secchi ».
« Gli alberi vegeti », disse allora il Pastore, « rappresentano i giusti che avranno dimora nel mondo futuro.
Il mondo futuro, infatti, è l'estate dei giusti e l'inverno dei peccatori.
Il giorno in cui sfolgorerà la misericordia del Signore, allora sì che si vedrà chi ha servito Dio.
Tutti si manifesteranno.
Allo stesso modo come, in occasione dell'estate, si vedono i frutti di ogni albero e se ne sperimenta la qualità, così pure si distingueranno, in quel giorno, i frutti dei giusti, mentre apparirà chiaramente chi, in quel mondo futuro, sarà fiorente.
I pagani e i peccatori, invece, che non sono altro che gli alberi secchi che tu vedi, dimostreranno chiaramente di esser secchi e di non produrre frutti nel mondo futuro: verranno arsi alla stregua di inutile legna, rendendo così manifesta l'iniquità delle opere da essi compiute in questa vita.
I peccatori saranno bruciati per aver peccato, senza essersene pentiti; i pagani, invece, per non aver conosciuto il loro Creatore.
Tu, per quanto ti riguarda, cerca di produrre tanto frutto, sì che tutti, in quell'estate che verrà, se ne possano accorgere.
Solo se distogli te stesso dalle troppe faccende non commetterai peccato, giacché chi si dedica a molte attività cade in molte colpe e, distratto dalle preoccupazioni, non serve il Signore.
In che modo riuscirà costui a pregare e ad ottenere qualcosa dal Signore, se non lo serve?
Colui che lo serve, ottiene quanto chiede; chi non lo serve, invece, non si vedrà mai esaudito.
Chi si dedica, per contro, a un'unica attività, potrà facilmente servire il Signore, dal momento che la sua mente non si disperderà ed egli potrà concentrarsi nel servizio divino con l'animo puro.
Se anche tu ti comporterai a questo modo, sarai in grado di produrre copiosi frutti in vista del mondo futuro: chiunque agirà così, peraltro, porterà frutto ».
Erma, Il Pastore, Allegoria, 3-4
Pentiamoci con tutto il nostro cuore, perché nessuno di noi si perda.
Se dobbiamo assolvere al precetto di sottrarre i pagani ai loro idoli, catechizzandoli nella fede, quanto più dobbiamo aver a cuore che non si perda un'anima che già conosce Dio!
Aiutiamoci, perciò, scambievolmente, nell'intento di sospingere i deboli verso il bene: in questo modo, emendandoci e ravvedendoci, riusciremo tutti a conseguire la salvezza.
Non mostriamoci, poi, attenti e scrupolosi soltanto nel momento in cui i presbiteri ci stanno istruendo: anche dopo aver fatto ritorno nelle nostre case, serbiamo memoria dei comandamenti del Signore, senza lasciarci condizionare dalle passioni mondane.
Cerchiamo, invece, di ritrovarci spesso tutti assieme: in tal modo, uniti tutti in grazia dei medesimi sentimenti, potremo anche restare uniti per la vita.
Il Signore ha dichiarato: Vengo a riunire tutti i popoli, tutte le tribù e tutte le lingue ( Is 66,18 ).
Quest'espressione preannuncia il giorno della sua apparizione, allorché egli tornerà a riscattare tutti noi, ciascuno conformemente alle sue opere.
Quel giorno anche coloro che non sono stati fedeli, contempleranno la sua gloria, la sua potenza; quando sarà conferito a Gesù il dominio dell'universo ( Mc 14,62; Gv 5,22; 1 Cor 15,25; Fil 2,11; Ap 19,11-16 ), in preda a un amaro stupore, costoro diranno: « Miseri noi! Sei proprio tu, e non abbiamo voluto riconoscerlo!
Non abbiamo creduto, non abbiamo prestato fede ai presbiteri che ci recavano l'annuncio della salvezza! ».
Perciò: il loro verme non morirà e il loro fuoco non si estinguerà: saranno di spettacolo ad ogni carne ( Is 66,24 ).
Quest'espressione, a sua volta, prefigura il giorno del giudizio, allorché tutti gli uomini vedranno i nostri fratelli che, disgraziatamente, hanno agito in modo empio, disobbedendo ai comandamenti di Gesù Cristo.
Tutti i giusti, invece, tutti coloro che avranno compiuto opere buone e avranno sopportato le sofferenze e odiato i piaceri dell'anima, quando vedranno gli erranti e i rinnegatori, con le parole e con i fatti, di Gesù Cristo puniti col terribile castigo del fuoco eterno, essi renderanno gloria al loro Dio, dicendo: « Si realizza la speranza di chi ha servito Dio con tutto il suo cuore! ».
Facciamo di tutto, allora, per essere annoverati anche noi nel numero dei fedeli che avranno reso a Dio il loro servigio e che, in quel giorno, gli manifesteranno la loro riconoscenza; non fra gli empi, invece, destinati a subire la condanna.
Clemente di Roma, La seconda lettera ai Corinti, 17-18
Voi sapete, fratelli, che il nostro pellegrinaggio in questa carne, su questo mondo, è breve e dura pochi giorni; la promessa di Cristo, invece, è grande, meravigliosa, come grande e meraviglioso è il riposo nella vita eterna.
Che cos'altro dovremo compiere, allora, per conseguire questi beni, se non perseverare a vivere nella santità e nella giustizia, tenendo ben presente che tutti i valori riconosciuti tali da parte di questo mondo sono estranei a noi cristiani?
Poiché è quando desideriamo possedere tali beni che disertiamo la via della giustizia.
Ammonisce, infatti, il Signore: Nessuno può servire due padroni ( Mt 6,24; Lc 16,13 ).
Se noi, pertanto, avremo la pretesa di servire sia Dio che Mammona, ne riceveremo un grave danno: Che cosa giova, infatti, guadagnare tutto il mondo, se poi si perde la propria anima? ( Mt 16,26; Mc 8,36; Lc 9,25 ).
Questo mondo e l'altro sono due nemici: l'uno induce all'adulterio, alla corruzione, all'avidità di ricchezze, all'inganno; l'altro, al contrario, impone la rinuncia a tutti questi vizi.
Non possiamo pertanto essere contemporaneamente amici di tutti e due.
L'unica strada per noi possibile consiste nel rinunciare a questo mondo e nel servire quell'altro, detestando i beni terreni, meschini e fugaci e corruttibili, e amando i beni celesti, che sono incorruttibili.
Sarà unicamente compiendo la volontà di Cristo, infatti, che troveremo il riposo eterno; qualora invece ci mostreremo disobbedienti ai suoi comandamenti, non vi sarà nulla che sarà in grado di liberarci dall'eterno castigo.
Clemente di Roma, La seconda lettera ai Corinti, 5-6
Come il corpo non può darsi da solo la vita, ma la riceve dall'esterno, cioè dalla terra, ed è impossibile per esso continuare a vivere senza il concorso di tutto quanto esiste al di fuori; così anche l'anima, nell'ora presente, se non viene rigenerata e nutrita spiritualmente nella terra dai viventi, progredendo verso il Signore e rivestendosi con gli arcani abiti della bellezza celeste, ottenuti dalla divinità, non è in grado, con le uniche proprie risorse e privata di quel nutrimento, di vivere nella pienezza della gioia a della pace.
La natura divina, infatti, possiede anche il pane della vita, che dice: Io sono il pane della vita ( Gv 6,35 ), e l'acqua viva ( Gv 4,10 ), e il vino che rallegra il cuore dell'uomo ( Sal 104,15 ), e l'olio della letizia ( Sal 46,8 ), e le svariate forme assunte dal cibo del celeste Spirito, e le eteree vesti di luce, ricevute da Dio.
In tutte queste cose si realizza l'eterna vita dell'anima.
Guai al corpo che si sia affidato unicamente alla propria natura, poiché vedrà la corruzione e la morte!
E guai anche all'anima, se ripone fiducia nelle sole sue risorse, senza partecipare dello Spirito divino, poiché perirà e non sarà ritenuta degna della vita eterna e divina!
Come, infatti, accade ai malati, i quali, non potendo il loro corpo ingerire più alcun cibo, disperano di sopravvivere, mentre tutti i loro amici sinceri li piangono, assieme ai parenti e ai familiari; allo stesso modo, Dio e gli angeli santi compiangono le anime che non si alimentano del celeste cibo dello Spirito e non vivono irreprensibilmente.
Tutte queste, ribadisco ancora, non sono vuote parole, bensì fatti inerenti alla vita spirituale, fatti concreti, sperimentati dall'anima degna e fedele.
Se dunque sei divenuto trono di Dio e si è insediato in te l'auriga celeste, mentre la tua anima si è interamente trasformata in occhio spirituale ed è diventata tutta luce; se ti sei, altresì, nutrito del celeste cibo dello Spirito e hai bevuto l'acqua della vita, indossando poi le vesti dell'arcana luce; se infine il tuo uomo interiore è giunto a credere fermamente in tutto questo, per averlo sperimentato, ecco che tu stai davvero vivendo la vita eterna, mentre la tua anima, da quel momento, riposa nella pace del Signore: da lui, infatti, hai ottenuto e ricevuto tutto questo, nella verità, perché tu viva la vita vera.
Se invece non sei persuaso di alcuna di queste cose, allora piangi, rattristati e gemi, dal momento che non sei divenuto ancora partecipe delle ricchezze eterne e spirituali e non hai ancora ricevuto la vita vera.
Preoccupati, perciò, della tua povertà, supplicando il Signore notte e giorno, giacché sei vittima della grave miseria del peccato.
Volesse il cielo che qualcuno si desse almeno pensiero per la propria povertà e non vivessimo, invece, come fossimo soddisfatti e al sicuro!
Chi avverte un'ansia del genere, infatti, prega e implora incessantemente il Signore per ottenere presto la redenzione e le ricchezze celesti, come il Signore stesso disse, a proposito del giudice ingiusto e della vedova: Quanto più Dio renderà giustizia a coloro che gridano a lui notte e giorno?
In verità vi dico, che egli lo farà senza esitare ( Lc 18,7 ).
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 1,11-12
« Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro » ( Lc 6,36 )
Se volete imitare Dio, a immagine del quale siete stati creati, conformatevi al vostro modello.
Voi cristiani, voi che portate un nome che significa amore, imitate la carità di Cristo.
Osservate la ricchezza del suo amore per gli uomini.
Sul punto di manifestarsi a loro nella sua umanità, ha mandato Giovanni per invitarli alla penitenza e condurli al pentimento e, ancora prima di lui, ha inviato tutti i profeti che hanno insegnato la conversione.
Quando poi, poco tempo dopo, si è presentato Cristo stesso, ha gridato con la propria voce facendosi avanti in persona: Venite a me tutti voi che siete affaticati e oppressi e io vi consolerò ( Mt 11,28 ).
E quelli che hanno accolto l'invito, come li ha ricevuti?
Ha concesso loro, senza difficoltà, il perdono dei peccati e immediatamente li ha liberati dalle loro afflizioni.
Il Verbo li ha resi santi, lo Spirito ha impresso su di loro il suo sigillo.
L'uomo vecchio è stato sepolto ed è nata la nuova creatura, rigenerata per grazia.
Di conseguenza l'uomo, che era estraneo, è diventato un intimo, da straniero è diventato figlio; prima escluso, ora è stato introdotto nel mistero, e da empio che era è diventato santo.
Se qualcuno, dopo aver ricevuto in dono ricchezze così grandi ed eccezionali, offendesse il suo generoso benefattore noi saremmo senz'altro per lui giudici duri e inflessibili.
Lo metteremmo subito a morte, senza permettergli di difendere la sua causa, e lo priveremmo non solo di questa vita, ma anche dell'altra.
Ma ben diverso è il giudizio del Signore, la cui misericordia è senza limiti.
Egli non vuole la morte del peccatore, ma attende la sua conversione.
Per questo non vengono puniti quelli che per una volta hanno disprezzato la grazia: la misericordia infatti si aggiunge alla misericordia, e il perdono si unisce all'oblio.
Le lacrime versate hanno l'efficacia di un bagno purificatore e i gemiti del pentimento riportano la grazia che per breve tempo era stata perduta …
Voi dunque che siete duri e incapaci di dolcezza imitate la bontà del nostro creatore.
Non siate, per i vostri compagni di schiavitù, dei giudici rigorosi e crudeli, nell'attesa che giunga colui che svelerà i segreti del cuori e che, con la sua potenza, darà a ciascuno il posto che gli spetta nella vita futura.
Non pronunciate giudizi severi, per non essere giudicati con severità e per non essere trafitti, come da denti acuti, dalle parole.
Mi sembra infatti che le parole dei Vangelo: Non giudicate, per non essere giudicati ( Mt 7,1 ) vogliano appunto metterci in guardia da questo peccato.
Con ciò non si vuole escludere la facoltà di valutare le cose con intelligenza e rettitudine: il Vangelo chiama « giudizio » una condanna troppo severa.
Nei tuoi giudizi, dunque, adopera, per quanto è possibile, un peso leggero, se non vuoi che anche le tue azioni facciano scendere il piatto della condanna quando la nostra vita sarà pesata dal giudizio di Dio, come su una bilancia …
Non rifiutare allora, di usare misericordia, per non essere escluso dal perdono quando anche tu ne avrai bisogno.
Asterio d'Amasea, Omelia 13 ( sulla conversione )
Quanto più è ammirevole il coraggio del ferito che dopo il grave colpo ricevuto, ha trovato la forza di rialzarsi, mettendosi sulla prima linea del combattimento e abbattendo chi l'aveva colpito.
Quanto grande sia lo sforzo che ciò comporta, ben lo sanno soprattutto quanti sono caduti in gravi peccati.
Colui che procede lungo la retta via non ha particolarmente bisogno di possedere un'anima forte e coraggiosa per proseguire nel cammino già intrapreso, avendo infatti come compagna la speranza che lo unge per il combattimento, lo rincuora, lo ritempra e gli procura sempre nuove energie.
Forza e ardimento d'animo sono invece indispensabili, onde poter riprendere la corsa, a chi, dopo aver riscosso infinite volte corone, trofei, e vittorie, subisce una gravissima sconfitta.
Allo scopo di spiegarmi con maggior chiarezza, ricorrerò a un altro paragone, efficace al pari del precedente.
Pensate a un marinaio che abbia percorso tutti i mari del mondo e che, dopo esser scampato a tempeste d'ogni genere, a paurosi scogli, alla violenza delle onde, finisca col naufragare proprio all'imboccatura del porto, con tutto il suo carico, rimanendo spoglio d'ogni cosa e riuscendo a stento a salvarsi lui stesso dal terribile naufragio.
Ebbene, quale opinione avrà costui, da quel momento, a riguardo del mare, della navigazione e di tutte le attività relative a questa?
Pensate, forse, che quell'uomo, a meno che non possegga un animo straordinariamente coraggioso, vorrà ancora vedere una costa, un'imbarcazione o un porto?
Non lo credo assolutamente; ritengo, piuttosto, che egli vivrà da allora nascostamente, scambierà il giorno per la notte, rinuncerà a qualsiasi avventura, preferendo andare in giro a mendicare, anziché esporsi ancora una volta ai rischi della navigazione.
Non si comportò così Davide.
Dopo esser scampato a quel terribile naufragio, a prezzo di tanti sforzi e sudori, non rimase nascosto, ma, calata di nuovo la nave in mare, spiegò le vele, impugnò il timone e affrontò le stesse fatiche, raccogliendo ricchezze ancor più preziose di quelle ottenute precedentemente.
Se è degno di ammirazione, dunque, colui che rimane sempre in piedi ovvero, se cade, non giace completamente e per sempre disteso a terra, quali lodi non merita, allora, colui che si rialza e compie nobili azioni?
Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 26,7
Abbiamo udito che si nega la penitenza ai moribondi e non si soddisfa il desiderio di coloro che, al momento della morte, desiderano essere aiutati da questo rimedio per la loro anima.
Inorridiamo, lo confesso, che si possa trovare qualcuno tanto empio, da disperare della pietà di Dio: come se egli non potesse soccorrere in ogni tempo colui che a lui si rivolge e non potesse liberare l'uomo che vacilla sotto il peso dei peccati, peso di cui desidera sbarazzarsi.
Che altro è questo, vi prego, se non aggiungere un'altra morte al moribondo e uccidere crudelmente la sua anima, impedendole di essere assolta?
Eppure Dio, che è prontissimo a soccorrere, invitandoci alla penitenza promette così: Al peccatore, in qualsiasi giorno si converta, i suoi peccati non verranno più imputati ( Ez 33,15 ), e ancora: Non voglio la morte del peccatore, ma solamente che si converta e viva ( Ez 18,23 ).
Toglie dunque all'uomo la salvezza chi al momento della morte gli nega la penitenza per i suoi trascorsi.
Ha disperato della clemenza di Dio colui che non ritiene che, per salvare un moribondo, possa bastare un solo istante.
Il ladrone pendente in croce alla destra di Cristo avrebbe perso il premio, se non gli fosse bastata la penitenza di un'ora sola.
Nella sua pena si pentì, e con una sola parola di confessione meritò, per promessa di Dio, la dimora nel paradiso.
La conversione a Dio di coloro che sono in extremis si deve considerare dall'intensità, non dal tempo dedicato alla penitenza; il profeta asserisce infatti: Quando pentito gemerai, allora sarai salvo.
Dato dunque che il Signore scruta i cuori, in nessun tempo si deve negare la penitenza a chi la chiede, perché egli si obbliga davanti a quel giudice al quale - egli ben lo sa - è palese tutto ciò che è occulto.
Celestino I, Lettera ai vescovi delle province di Vienne e Narbonne
L'Apostolo ammoniva: Colui che crede di star bene in piedi, dunque, faccia attenzione a non cadere ( 1 Cor 10,12 ).
Per quanto ci riguarda, invece, noi non siamo in grado di affermare neppure questo, dal momento che la maggior parte di noi è caduta in terra e giace riversa.
A chi mai, infatti, potrei dire una cosa del genere?
A colui che ruba ogni giorno? Ma costui si trova disteso in terra, dopo una caduta clamorosa.
Potrei dirlo al fornicatore? Anche lui, però, è caduto.
All'ubriacone, forse? In nessun modo, giacché egli pure giace riverso, benché non se ne renda conto.
Non è il momento, perciò, di fare un discorso di quel genere; occorre, piuttosto, riaffermare il timore del profeta, allorché, rivolgendosi ai giudei, diceva: Colui che giace, forse, non si rialzerà ( Sal 41,9 )?
Tutti, infatti, sono caduti e si rifiutano di rialzarsi.
La nostra raccomandazione, perciò, non è tanto di non cadere, quanto piuttosto che coloro che giacciono in terra trovino la forza di risollevarsi.
Risorgiamo, allora, una buona volta, fratelli!
Risorgiamo e restiamo saldamente in piedi!
Fino a quando rimarremo in queste condizioni?
Fino a quando ci comporteremo come degli ubriachi, sedotti dalla nostra sfrenata passione per i beni di questo mondo?
A questo punto, però, sorge opportuno un interrogativo: a chi mai io sto qui a parlare e a predicare, se poi tutti sono diventati sordi alle parole che raccomandano la virtù e si sono riempiti, per questo, d'ogni sorta di mali?
Se potessimo contemplare le anime nella loro nuda verità, ci troveremmo di fronte, qui in chiesa, allo stesso spettacolo che offrono gli eserciti dopo la battaglia: vedremmo alcuni che sono morti, altri feriti.
Vi prego e vi scongiuro, allora: diamoci l'un l'altro una mano e cerchiamo di rialzarci.
Io stesso, infatti, faccio parte dei feriti e ho anch'io bisogno di essere guarito.
Ma non scoraggiatevi per questo: le ferite, infatti, benché gravi, non sono certo incurabili.
Tale è il nostro medico; basta che ci accorgiamo di esser feriti e anche se abbiamo toccato il fondo della malvagità, egli ci apre, tuttavia, molte vie di salvezza.
Se, infatti, calmerai al più presto la tua collera, ti verranno perdonate le tue colpe, giacché, se perdonate agli uomini i loro torti, il Padre celeste perdonerà anche a voi ( Mt 6,14 ).
Se ti mostrerai generoso, ti rimetterà i peccati: Riscatta, disse infatti, le tue iniquità con l'elemosina ( Dn 4,24 ).
Se pregherai con perseveranza, otterrai, similmente, la remissione delle tue colpe.
Lo dimostrò anche la vedova che, con le sue assidue preghiere, riuscì a indurre il severo giudice alla misericordia ( Lc 18,2-8 ).
Se riconoscerai i tuoi peccati, ne riceverai consolazione: Confessa per primo le tue colpe, infatti, se vuoi essere giustificato ( Is 43,26 ).
Se proverai amarezza per i torti commessi, anche questa sarà per te una medicina efficacissima: Per le colpe del mio popolo, dice infatti il Signore, io mi sono per breve tempo adirato, nascondendomi a lui; pieno di sdegno, poi, l'ho colpito mentre, ribelle, seguiva le vie del suo cuore.
Ho visto la sua condotta, ma lo guarirò; gli darò riparo e abbondanti consolazioni ( Is 57,17-18 ).
Se saprai sopportare con coraggio i mali che ti incorreranno, ti libererai di tutti i tuoi peccati.
Ed è proprio questo ciò che Abramo, infatti, diceva al ricco: Lazzaro, dopo aver subito la sua parte di infelicità, adesso è qui a ricever consolazione ( Lc 16,25 ).
Se ti mostrerai misericordioso nei confronti della vedova, le tue colpe saranno emendate.
Sta, infatti, scritto: Assistete l'orfano, proteggete la vedova.
Venite, dunque, discutiamo insieme, dice il Signore.
Se i vostri peccati sono come lo scarlatto, diventeranno bianchi come neve; se sono rossi come la porpora, diverranno come la lana ( Is 1,17-18 ).
Non si distingueranno più, infatti, neppure le cicatrici delle ferite.
Anche se, dunque, avremo toccato il fondo della sventura e ci troveremo nelle medesime condizioni di colui che, dopo aver dissipato l'eredità paterna, si riduceva a mangiare ghiande ( Lc 15,11-32 ), troveremo completa salvezza nel pentimento.
Se anche avremo un debito di diecimila talenti, gettiamoci a terra ( Mt 18,23ss ) e cancelliamo anche soltanto il ricordo del male commesso: tutto, allora, ci sarà rimesso.
Anche se ci saremo allontanati dalla retta via, come la pecorella si allontanò dall'ovile ( Mt 18,12-14; Lc 15,4-7 ), egli, se soltanto lo vogliamo, o diletti, ci ricondurrà sul giusto sentiero.
Buono è, infatti, il Signore Iddio.
Anche a lui, perciò, basta unicamente questo: che il debitore dei diecimila talenti gli si getti ai piedi, che lo scialacquatore delle sostanze paterne ritorni e che la pecorella smarrita voglia esser ricondotta all'ovile.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 23,4-5
Solo allora vi è tranquillità placida e certa, solo allora vi è sicurezza solida e incrollabile, quando uno, uscito dalle tempeste di questo mondo irrequieto, getta l'ancora nel porto di salvezza.
Quando da questa terra innalza gli occhi al cielo, al dono ricevuto dal Signore, e tenendosi vicino a Dio nel suo spirito, si gloria che giace lontano dalla sua coscienza tutto ciò che nella vita umana degli altri appare grande e sublime.
Non può più ricercare nulla di questo mondo, anzi neppure desiderarlo chi è più grande del mondo.
Quale difesa stabile e incrollabile, quale presidio di beni celesti immortali, sciogliersi dai lacci del mondo, purificarsi dalla sozzura terrena alla luce dell'eterna immortalità!
Se notiamo quanto abbia infierito su di noi la subdola corruzione del nemico crudele, siamo maggiormente spinti ad amare ciò che saremo un giorno, quando ci è dato di conoscere e condannare ciò che eravamo in passato.
E non c'è bisogno di molto denaro, di impegno particolare o di lavoro per raggiungere, a grandi sforzi, la dignità e il potere sommo per gli uomini: è dono gratuito di Dio, è facile.
Come spontaneamente il sole diffonde i suoi raggi, il giorno porta la luce, la sorgente zampilla d'acqua, la pioggia irrora la terra, così lo Spirito celeste si effonde in noi.
Quando l'anima, contemplando il cielo, conosce il suo creatore, comincia ad essere ciò che crede di essere: più eccelsa del sole, più sublime di ogni potere terreno.
Tu dunque, che ti sei arruolato nella celeste milizia dell'esercito spirituale, custodiscine la disciplina rigida e incensurabile con le virtù religiose.
Applicati senza cessare all'orazione o alla lettura delle Scritture.
Parla solo con Dio e solo Dio sia con te.
Egli ti istruisca con i suoi precetti, egli ti guidi.
Quegli che da lui è arricchito, nessuno renderà più povero.
Non vi può essere bisogno alcuno quando il cuore è pieno di nutrimento celeste.
Ti sembreranno sordidi i soffitti ornati d'oro, le abitazioni rivestite di marmi preziosi, sapendo che te stesso devi curare e adornare, che tu sei la dimora splendida in cui il Signore siede come in un tempio e in cui abita ormai lo Spirito Santo.
Affreschiamo questa casa con i colori dell'innocenza, e illuminiamola con la luce della giustizia.
Non andrà mai in rovina sotto il peso degli anni, non si imbruttirà mai per lo sbiadirsi dei colori o dell'oro alle pareti.
É caduco ogni decoro esteriore, né offre fiducia di stabile possesso ciò che non è possesso sicuro.
Questa dimora resterà sempre bella, curata, dignitosa e splendida: non può essere abbattuta o distrutta, può solo trasformarsi in meglio quando il corpo risusciterà.
Cipriano di Cartagine, A Donato, 14-15
Tu che sei ricco di misericordia e di grazia, tu che lavi tutti i peccatori dalle loro macchie, mondami con il tuo issopo purificante e abbi pietà di me!
Nella tua misericordia, siimi benigno, come un giorno al pubblicano e alla peccatrice!
Cristo, tu che rimetti ai peccatori le loro colpe e accogli tutti i penitenti, o redentore del genere umano, redimi anche me nella tua misericordia!
Perfino il giusto si salva a fatica e con difficoltà: che farò dunque io peccatore!
Io non ho sopportato il peso del giorno e la vampa del sole, ma appartengo alla schiera di coloro che solo all'undicesima ora si misero al lavoro.
Salvami e abbi pietà di me! I miei peccati mi hanno prostrato al suolo, mi hanno precipitato dall'altezza su cui stavo.
Io ho gettato me stesso nella perdizione come in una fossa.
Chi potrebbe ora ridonarmi la mia splendida beltà se non tu, o Creatore sapientissimo, che all'inizio mi hai creato a tua immagine e somiglianza?
Mi sono reso volontariamente schiavo del peccato: nella tua misericordia, liberami, o Signore, e abbi pietà di me!
I miei pensieri mi turbano e mi atterriscono: dubito della mia vita, perché la mia colpa è più grande del mare e le macchie del mio peccato sono più numerose delle sue onde.
Ma poi odo ciò che la tua grazia dice ai peccatori: Chiamatemi e vi ascolterò; battete e vi aprirò!
Per questo io grido a te come quella peccatrice, ti supplico come il pubblicano, e come il figlio che aveva consumato tutti i suoi beni ti dico: « Ho peccato contro il cielo e contro te! ».
O mio Signore, non vi è servo che non sia colpevole, e non vi è padrone buono che non perdoni.
O mio redentore, sii indulgente nella tua misericordia anche con me, e anche se con i miei peccati ti ho mosso all'ira, abbi pietà di me!
Quando penso ai miei peccati e alle azioni cattive che ho commesso, temo di fronte alla giustizia che scruta le mie macchie e le mie ferite.
Non oso guardare il cielo, perché le mie colpe s'innalzano fino ad esso, e la terra grida sotto di me, perché i miei trascorsi sono più numerosi dei suoi abitanti.
Guai a me quando appariranno davanti a Dio i giusti e i pii, quando lo splendore delle loro buone opere rifulgerà come il sole!
Cosa farò io in quell'ora, o Signore, giacché le mie opere sono tenebre?
Guai a me quando si presenteranno i sacerdoti per offrire a te i talenti ricevuti, mentre io, o Signore, ho sepolto in terra il mio: che risposta darò allora?
Non sia allora straziato dal fuoco, perché tu mi hai nutrito con il tuo corpo e il tuo sangue.
Non sia allora cacciato nell'inferno, perché tu mi hai rivestito con la tua veste battesimale.
Irrorami con la rugiada della tua grazia e cancella la mia colpa con la tua misericordia, o Signore che sei al di sopra di tutto. Sia lode a te!
Rabbula di Edessa, Inni liturgici, 1-3
O Dio increato e immutabile, creatore di tutte le cose, tu che sei alto al di sopra del cielo e ne trascendi i limiti, noi tutti, creature visibili e creature invisibili, siamo rinchiusi in te!
Tu domini sopra tutto e il tuo comando guida ogni creatura.
Tu getti nella povertà e innalzi alla ricchezza, tu percuoti e risani.
Tu sei il consolatore di quelli che il demonio ha gettato nel pericolo, tu risani chi si è ammalato nei peccati.
Tu accogli le preghiere e ascolti le suppliche.
Tendi il tuo orecchio a me, o Signore, e ascolta il tuo servo.
Riguarda, o Signore, il mio abbattimento e sollevami nella tua bontà.
Non rimproverarmi nella tua ira, non correggermi nel tuo sdegno!
Tu sei il Signore della misericordia: abbi perciò misericordia anche di me peccatore, che ti prego e ti supplico con molti sospiri e lacrime.
Sono stato gravemente ferito dai peccati, sono pieno di angoscia per la mia ingiustizia.
Soffro duramente per i miei trascorsi e sono pieno di pensieri impuri per la mia malvagità; sono macchiato di immondezza spirituale e il mio corpo è ricoperto e insozzato dal fango del peccato.
Rosso in volto sto davanti a te, pieno di vergogna ai tuoi occhi.
O Dio mite e misericordioso! Tu vieni detto paziente con i peccatori; anzi, tu stesso hai detto: Se il peccatore si converte, non penserò più alla sua ingiustizia, a ciò che ha commesso ( Ez 18,21-22 ).
Ed ecco, sono venuto e mi prostro innanzi a te: il tuo schiavo colpevole osa supplicare la tua misericordia.
Non pensare ai tanti miei peccati e non sdegnarti per la mia ingiustizia, sia che abbia peccato liberamente o no, sia che io mi sia macchiato di pensieri, parole o opere sconvenienti, sia infine che lo abbia fatto per ignoranza, pigrizia o dimenticanza.
Tu, o Signore, sei abituato ad usare misericordia e bontà, e a rimettere molti peccati.
Tu hai mondato l'uomo impuro, hai liberato il ladrone, hai giustificato il pubblicano che ti si sono presentati coperti di peccati.
Tu, infatti, sei Dio misericordioso e hai compassione dei peccatori che gridano a te con fede.
Abbi perciò pietà anche di me, gran peccatore, o Signore, e difendimi dal veleno del nemico!
Dissipa, o Signore, le tenebre che mi offuscano lo sguardo, apri le mie orecchie, assordite dall'ascolto di cose indegne; libera la mia lingua, ferita dai discorsi cattivi, purifica il mio cuore dai pensieri impuri!
A te, o Signore buono, io sospiro; te, o mio padre misericordioso, io desidero.
Abbi compassione di me peccatore e accoglimi come il figlio perduto!
Sazia la mia fame con il tuo amore e la mia sete col torrente traboccante della tua grazia.
Ho sempre viva in me questa brama: avvicinarmi a te; è continuo in me questo sospiro: contemplarti per sempre.
Continuamente sospiro la tua grazia, incessantemente ho bisogno della tua misericordia.
Non giudicarmi con i dannati, non associarmi con coloro che odi.
Accoglimi invece con coloro che fanno la tua volontà e salvami con coloro che eseguiscono i tuoi ordini.
Ma se tu esaminassi senza indulgenza i miei trascorsi, vana sarebbe per me la speranza della risurrezione: il fuoco dell'inferno sarebbe la mia eredità.
Se tu giudicassi la mia colpa e i miei pensieri indecenti, io sarei fortunato se non fossi neppure uscito dal seno di mia madre.
Ascolta invece la mia preghiera e il mio pianto, non escludermi dalla tua misericordia, perché bramo la tua misericordia e ho bisogno della tua pietà.
Continuamente infatti ho macchiato il mio corpo e incessantemente ho imbruttito la mia anima, e non solo con una condotta cattiva, ma anche con pensieri peccaminosi.
Lavami dunque ora dai miei peccati e purificami dalle brutture e dal fango! Io ti prego, io grido a te: adempi le brame del mio cuore, accoglimi nel coro degli angeli e nella schiera dei giusti, che si rallegrano incessantemente contemplando il tuo volto bramato!
Certo, io non ti prego con la libertà di colui che ha compiuto opere buone, ma chiedendoti scusa, come chi è aggravato dalle colpe: sono un gran peccatore, eppure oso supplicarti.
E lo oso come fossi puro, quantunque io non abbia purità; ma è dalla tua purezza che otterrò di venir purificato dalla mia sozzura, perché immensa è la massa dei peccati che ho su di me e il cumulo dei miei trascorsi mi opprime sempre e mi soffoca.
Sempre mi inceppa il cuore, mi trafigge e corrode il corpo e le ossa.
Perciò io oso gridare continuamente a te, pregarti e scongiurarti: tu sei il mio Padre e Signore, il mio Creatore e Fattore.
A chi mai mi rivolgerò, a chi chiederò aiuto?
Contro di te ho peccato: lo riconosco davanti a te; ma ti supplico, non escludermi dalla tua misericordia, non cacciarmi dal tuo volto!
Io ti prego, o mio benefico e misericordioso Signore e Creatore, non svergognarmi con l'eterno obbrobrio e non condannarmi in quel gran giorno!
Non ascoltare le accuse rivolte contro di me a quel tribunale di tutto il mondo!
Non retribuirmi, con rigore, con le pene che merito e non punirmi col terribile inferno!
No, salvami dal forno ardente, dal flusso del fiume di fuoco!
Fammi dimorare fra i cori dei santi, fra le abitazioni dei giusti, che fanno la tua volontà, partecipando alla vita eterna e alla gioia dei beni inenarrabili, in Cristo Gesù, nostro Signore!
Giovanni Mandakuni armeno, Preghiere, 1-8
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