Teologia dei Padri

Indice

L'amore di Dio

1. - Nell'amore di Dio si compendia ogni altro amore

Non c'è bisogno di una legge perché ciascuno ami se stesso e il proprio corpo; cioè, quello che noi siamo e quello che è sotto di noi, pur appartenendo a noi, lo amiamo per un'inconcussa legge naturale, promulgata anche per gli animali - anche gli animali infatti amano se stessi e il proprio corpo -.

Erano perciò necessari solo i precetti riguardanti chi è sopra noi ( Dio ) e chi è vicino a noi ( il prossimo ), perciò: Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente, e amerai il prossimo tuo come te stesso.

Da questi due precetti dipende tutta la legge e i profeti ( Mt 22,37 ).

Lo scopo del precetto è dunque l'amore, e precisamente duplice: di Dio e del prossimo.

Che se pensi a te nella tua integrità, cioè anima e corpo, e al prossimo nella sua integrità, cioè anima e corpo - l'uomo infatti è composto di anima e corpo -, noterai che in questi due precetti non è stato omesso nulla di tutto ciò che dobbiamo amare.

Precede l'amore di Dio ed è chiaramente prescritto il modo di questo amore: tutti gli altri amori devono confluire in esso.

Sembra perciò che nulla si dica dell'amore di te stesso; ma sta detto: « Amerai il prossimo tuo come te stesso »; non si è trascurato perciò l'amore tuo verso di te.

Agostino, La dottrina cristiana, 1,26

2. - « Per coloro che amano Dio, ogni cosa concorre al bene »

Sappiamo che ogni cosa concorre al bene per coloro che amano Dio ( Rm 8,28 ).

Mi pare che, a questo punto, il discorso sia rivolto a coloro che si trovano in qualche pericolo.

Né soltanto queste ultime parole, anzi, mi sembrano dirette a costoro, ma anche altre pronunciate un po' più sopra, come: Stimo che le sofferenze del tempo presente non possano esser paragonate alla gloria futura che si rivelerà in noi ( Rm 8,18 ); oppure il riferimento ai gemiti di tutta la creazione ( Rm 8,22 ); e, similmente, le altre espressioni: In speranza noi siamo stati salvati ed è con pazienza che aspettiamo e, infine, non sappiamo ciò che ci conviene domandare ( Rm 8,24-26 ).

Tutto questo, insomma, mi pare diretto a quella categoria di persone.

Paolo, cioè, insegna a costoro che non ciò che essi pensano è da ritenersi utile e vantaggioso, ma soltanto ciò che lo Spirito andrà suggerendo.

La maggior parte delle cose che sembrano giovare loro, infatti, sono talora fonte, invece, di grave nocumento.

Nessuna meraviglia, quindi, se, agli occhi di costoro, la tranquillità, l'assenza di pericoli e la vita libera e sicura apparivano come qualcosa di utile e vantaggioso: così era sembrato, infatti, anche al beato Paolo.

Allorché, però, egli comprese che ciò che giovava davvero era tutto il contrario, si dedicò a mettere in atto gli insegnamenti che aveva appreso.

Egli, perciò, che per tre volte aveva pregato il Signore di liberarlo dai pericoli ( 2 Cor 12,8 ), dopo averlo udito dire: Ti basta la mia grazia, poiché la mia potenza trionfa nella debolezza ( 2 Cor 12,9 ), esultava da allora in poi quando era perseguitato e subiva oltraggi e sofferenze intollerabili.

Mi compiaccio, diceva, delle mie infermità, degli insulti, delle necessità, delle persecuzioni ( 2 Cor 12,10 ).

Per questo ammoniva: Noi non sappiamo ciò che ci conviene domandare ( Rm 8,26 ), ed esortava tutti a lasciarsi ispirare dallo Spirito.

Lo Spirito Santo, infatti, si prende molta cura di noi, conformemente a ciò che vuole Dio.

Paolo, dunque, esortando in questo modo coloro che si trovano in qualche pericolo, aggiunge, per confortarli, quelle parole che abbiamo ricordato dianzi: « Sappiamo che ogni cosa concorre al bene per coloro che amano Dio ».

E quando dice « ogni cosa », intende anche tutto ciò che, apparentemente, sembra soltanto negativo.

Qualsiasi contingenza possa sopraggiungere, infatti, sia che si tratti di sofferenza o di povertà o di prigione o di fame o di morte o di qualsiasi altra cosa, Dio può volgere tutto questo al contrario: è proprio della sua ineffabile potenza, infatti, trasformare a nostro favore tutto ciò che appare gravoso, rendendocelo sopportabile.

Paolo, perciò, non dice: « A coloro che amano Dio non sopraggiunge alcuna avversità »; bensì: « Ogni cosa concorre al bene ».

Dio si serve, cioè, dei mali per esaltare coloro che sono esposti ai pericoli.

Il che è molto di più dell'impedire o del permettere passivamente che accadano le avversità.

Il Signore fece questo, ad esempio, anche nella fornace di Babilonia ( Dn 3,19ss ).

Egli non impedì, infatti, che dei santi vi cadessero e, dopo la loro caduta, non spense la fiamma, ma, lasciandola ardere, li rese, grazie ad essa, ancor più mirabili.

Anche negli apostoli Dio compì, in tutti i modi, altri miracoli del genere.

Se è vero, infatti, che persino taluni uomini che s'intendano di filosofia sono in grado di vivere al contrario di tutti gli altri e, vivendo in povertà, sanno apparire più ricchi dei ricchi, attraverso il superiore disprezzo dei beni materiali; tanto più Dio potrà realizzare queste cose, e altre assai più straordinarie, in coloro che lo amino.

Una cosa sola occorre: amare; il resto verrà da solo.

Allo stesso modo come, dunque, per colui che ama Dio, tutto ciò che appare come dannoso, si dimostrerà, invece, utile; parimenti, per quanti non lo amano, ciò che sembra vantaggioso, risulterà, in realtà, di danno.

Giovanni Crisostomo, Commento alla lettera ai Romani, 15,1

3. - Desiderio di Dio

Come interpretare ciò che in molti passi dice la Scrittura e cioè che essi invocheranno e io non li esaudirò ( Pr 1,28 )?

Sicuramente tu sei misericordioso con tutti coloro che ti invocano; ma loro, pur invocando qualcuno, non invocano lui.

Di costoro è detto: Non hanno invocato Dio ( Sal 14,5 ).

Invocano, ma non Dio.

Tu invochi ciò che ami; invochi ciò che chiami a te; invochi tutto ciò che vuoi venga a te.

Se tu pertanto invochi Dio perché venga a te il denaro o una eredità o una dignità terrena, tu invochi queste cose che vuoi vengano a te.

Quanto a Dio, lo consideri un mezzo per conseguire le tue voglie, non colui che esaudisce i tuoi desideri …

Che cosa dovrai chiedere? Ciò che ti ha insegnato il Signore, il maestro celeste.

Invoca Dio in quanto è Dio, ama Dio in quanto è Dio.

Non c'è nulla meglio di lui! Desidera lui, e a lui anela!

Guarda uno che invoca Dio in quell'altro salmo: Una cosa ho chiesto al Signore, e questo richiederò.

Che cosa ha chiesto? Di abitare nella dimora del Signore per tutti i giorni della vita mia.

Per fare che cosa? Per contemplare il gaudio del Signore ( Sal 27,4 ).

Se dunque vuoi amare Dio, amalo con tutte le tue viscere e con casti sospiri.

Siine innamorato, ardi per lui, anela a colui del quale non troverai niente di più gioioso, niente di più eccellente, niente di più lieto, niente di più duraturo.

Che cosa infatti potrà durare più di ciò che è eterno?

E non aver timore che, a un certo momento, se ne vada da te colui per il quale tu non vai perduto.

Se dunque tu invochi Dio in quanto Dio, sta' sicuro, sei esaudito!

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 86,8

4. - L'unico bene

Tutto ciò che Dio ti promette, non vale affatto senza Dio stesso.

Egli non mi sazierebbe certo, se non mi avesse promesso se stesso: Dio.

Che cos'è tutta la terra? Che cos'è tutto il mare? Che cos'è tutto il cielo?

Che cosa sono tutte le stelle? E il sole e la luna? Cosa le schiere degli angeli?

Ho sete del creatore di tutto ciò: ho fame di lui, ho sete di lui, a lui dico: Perché presso di te è la sorgente della vita ( Sal 36,10 ).

Ed egli mi dice: Io sono il pane disceso dal cielo ( Gv 6,41 ).

Abbia fame e sete durante il pellegrinaggio, perché sia sazio alla sua presenza!

Mi arrida il mondo con tutte le sue cose, belle, forti, varie: è più bello lui che le ha fatte, è più forte e più splendido lui che le ha fatte, è più soave lui che le ha fatte.

Mi sazierò quando si manifesterà la tua gloria ( Sal 17,15 ).

Agostino, Discorsi, 158, 7,7

5. - Paura e amore

La perfetta carità esclude il timore ( 1 Gv 4,18 ).

All'inizio ci sia pure il timore, perché « il timore di Dio è inizio di sapienza ».

Il timore prepara il posto alla carità.

Dal momento in cui la carità incomincia ad abitare nel cuore, viene scacciato il timore, che aveva solo il compito di prepararle il posto.

Quanto più cresce la carità, altrettanto diminuisce il timore; più la carità penetra dentro di noi, più il timore viene espulso.

Maggiore è la carità, minore il timore; minore è la carità, maggiore è il timore.

Ma se non vi è alcun timore, manca alla carità la via per entrare nell'animo.

Così vediamo che si introduce un filo di lino per mezzo di un filo di seta, quando si ha da cucire; si fa prima entrare la seta, ma se poi non la si fa uscire, non si può far entrare il lino: allo stesso modo dapprima il timore occupa la mente, ma non vi resta, perché vi è entrato per questo preciso scopo: far strada alla carità.

Stabilita ormai nel nostro animo la sicurezza, quale sarà la gioia in questa e nella vita futura?

Chi potrà nuocerci, in questo secolo, così ripieni come siamo di carità?

Guardate l'esultanza dell'Apostolo, quando parla della carità: Chi ci separerà dalla carità di Cristo? la tribolazione? le angustie? la persecuzione? la fame? la nudità? il pericolo? la spada? ( Rm 8,35 ).

E Pietro da parte sua afferma: Chi vi potrà nuocere, se sarete gli emulatori del bene? ( 1 Pt 3,13 ).

Nell'amore non esiste timore, ma l'amore perfetto esclude il timore; perché il timore procura tormento ( 1 Gv 4,18 ).

Tormenta il cuore la coscienza dei peccati: la giustificazione non è ancora compiuta.

C'è qualcosa che lo prude e lo punge.

Che cosa si dice nel salmo circa la perfezione della giustizia?

Tu hai cambiato in gaudio il mio lutto: hai stracciato il mio sacco di penitenza e mi hai riempito di letizia, perché il mio canto ti dia lode e non resti nell'amarezza ( Sal 30,12-13 ).

Che significa questo « non restare nell'amarezza »?

Che più nulla tormenta la mia coscienza.

Il timore tormenta la coscienza; ma tu non temere; ecco la carità che subentra per risanare ciò che è ferito dal timore.

Il timore di Dio arreca ferite, come fa il ferro del chirurgo; toglie il marcio e sembra quasi che allarghi la ferita.

Quando era nel corpo questo marcio, la ferita era meno larga, ma più pericolosa; interviene il ferro del chirurgo e la ferita incomincia a dolorare più di prima.

Essa duole di più quando viene curata che non quando la si lascia come è, ma quando si applica la medicina, duole di più, affinché, conseguita la salute, più non dolga.

Il timore dunque entri nel tuo cuore per preparare il posto alla carità; dopo il ferro del chirurgo non resta altro che la cicatrice.

Qui si tratta poi di un medico tanto bravo, da far scomparire anche le cicatrici.

Da parte tua non devi far altro che affidarti alla sua mano.

Se non hai il timore, impossibile per te la giustificazione.

C'è un testo delle Scritture ad affermarlo: Chi è senza timore, non potrà essere giustificato ( Sir 1,28 ).

Bisogna dunque che il timore entri per primo e attraverso il timore arrivi la carità.

Il timore è medicina, la carità è salute …

Certi uomini temono Dio, perché non vogliono cadere nell'inferno e bruciare col diavolo in un fuoco eterno.

Questo appunto è il timore che prepara il posto alla carità; ma è un timore transeunte.

Se tu temi il Signore ancora a causa dei suoi castighi, non lo ami ancora.

Non desideri il bene, ma ti astieni unicamente dal male.

Ma per il fatto che ti astieni dal male, ti correggi e incominci a desiderare il bene.

E quando incominci a desiderare il bene, il tuo timore diventa un casto timore.

Quale timore è casto? Il timore di perdere gli stessi beni.

Comprendetemi: altra cosa è temere Dio perché non ti mandi all'inferno, altra cosa temerlo perché egli non si allontani da te.

Il primo timore che ti porta a scongiurare di essere condannato all'inferno insieme col diavolo, non è ancora un timore casto; non deriva infatti dall'amore di Dio, ma dal timore del castigo.

Ma quando tu temi il Signore perché la sua presenza non si sottragga a te, allora tu l'abbracci e desideri godere di lui.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 9,4-5

6. - Dio è tutto per te

Se Dio ha potuto mostrare una luce corporea agli occhi corporei, non potrà mostrare ai puri di cuore quella luce che mai si spegne, sempre intatta e che sotto nessun aspetto viene meno?

Quale luce? In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio ( Gv 1,1 ).

Vediamo se è questa la luce che cerchiamo, perché presso di te sta la sorgente della vita, e nella tua luce vediamo la luce ( Sal 36,10 ).

Sulla terra una cosa è la sorgente, un'altra è la luce.

Se sei assetato, cerchi una sorgente e, per arrivare alla sorgente, cerchi una luce; e se poi è notte, accendi una lampada, per poter trovare la sorgente.

Ebbene, quella sorgente è essa stessa la luce: è fonte d'acqua per l'assetato, è lume per il cieco.

Si aprano gli occhi per vedere la luce, si aprano le labbra del tuo cuore per bere alla fonte: ciò che bevi, è quello stesso che vedi, è quello stesso che ascolti.

Dio diventa il tuo tutto, perché egli è tutto ciò che tu ami.

Se guardi alle cose visibili, Dio non è pane, come non è acqua, non è questa luce, non è veste, non è casa.

Perché tutte queste cose sono visibili, e ciascuna solo se stessa: ciò che è pane non è acqua, ciò che è veste non è casa; e ciò che tutte queste cose sono non è Dio, perché sono cose visibili.

Dio è il tuo tutto. Se hai fame, è il tuo pane; se hai sete, la tua acqua; se sei nelle tenebre, è la tua luce che non ha tramonto; se sei nudo, è la tua veste immortale, quando questo corpo corruttibile si sarà vestito dell'incorruttibilità e questo corpo mortale si sarà rivestito dell'immortalità ( 1 Cor 15,13-14 ).

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 13,5

7. - L'amore è il più eletto dono di Dio

Lo Spirito Santo Dio, che procede da Dio, quando viene dato all'uomo lo accende di amore per Dio e per il prossimo: egli stesso è l'amore.

L'uomo infatti non ha donde amare Dio, se non da Dio.

Per questo dice la Scrittura: Noi lo amiamo, perché egli per primo ci ha amati ( 1 Gv 4,19 ).

E l'apostolo Paolo: L'amore di Dio si è effuso nei nostri cuori ad opera dello Spirito Santo e ci è stato elargito ( Rm 5,5 ).

Nessun dono di Dio è più eletto di questo: è il solo che distingue tra i figli del regno eterno e i figli dell'eterna dannazione.

Per mezzo dello Spirito Santo ci vengono elargiti anche altri doni, ma senza l'amore a nulla giovano.

Se dunque lo Spirito Santo non dona a ciascuno tanto da renderlo amante di Dio e del prossimo, nessuno passa dalla sinistra alla destra.

E lo Spirito Santo non viene detto precisamente « dono » se non per l'amore; amore, che se qualcuno non ha, quand'anche parlasse le lingue degli uomini e degli angeli, sarebbe un bronzo, un cembalo risuonante; e se avesse la profezia, conoscesse ogni mistero e ogni scienza; e se avesse tutta la fede tanto da trasportare i monti, non sarebbe nulla; e se distribuisse tutte le sue sostanze e se sacrificasse il suo corpo fino a bruciarlo, a nulla gli gioverebbe ( 1 Cor 13,1-3 ).

Com'è grande dunque questo bene, senza cui gli altri beni, pur così grandi, non conducono nessuno alla vita eterna?

Agostino, La Trinità, 15,17.31-32

8. - Solo in Dio il vero riposo e la vera felicità

Poniamo il caso che venga da noi uno che vuol diventare cristiano.

Una persona umile, non tuttavia un contadino, ma un cittadino, come ti capiterà spesso a Cartagine.

Interrogato se vuol farsi cristiano per qualche vantaggio di questa vita presente o per la pace che speriamo ottenere dopo questa vita, solo per la pace futura, risponde.

Dovremmo allora istruirlo con un discorso simile a questo: Sia ringraziato il Signore, o fratello!

Mi congratulo e godo per te, che tra tante tempeste pericolose di questo mondo pensi a qualcosa di certo e sicuro.

In questa vita infatti gli uomini cercano con grandi fatiche il riposo e la sicurezza, che però non possono trovare per le loro brame perverse.

Vogliono riposare nei beni transitori e caduchi, ma col tempo vengono loro sottratti o finiscono, ed essi vengono perciò travolti dal timore e dal dolore e non possono restare in pace.

Se l'uomo vorrà riposare nelle ricchezze, sarà più superbo che sicuro.

Non vediamo quanti le hanno perse all'improvviso, quanti anzi sono per esse periti, o cercando di conquistarle, o tolti di mezzo da chi voleva i loro beni?

Se pur gli restassero per sempre, se non abbandonassero mai chi le ama, sarà poi lui che, alla morte, le abbandona.

Quanto dura la vita dell'uomo, anche se raggiunge la vecchiaia?

E gli uomini che desiderano diventar vecchi, che altro desiderano se non una lunga malattia?

Così gli onori di questo mondo cosa sono mai, se non infatuazione, vanità, pericolo di rovina?

Così dice la Scrittura santa: Ogni carne è erba e lo splendore dell'uomo come fiore dell'erba.

Ma l'erba inaridisce e il fiore cade: ma la parola del Signore resta in eterno ( Is 40,6-8 ).

Perciò chi desidera il vero riposo e la vera felicità deve togliere la sua speranza dai beni mortali e caduchi e porla nella parola di Dio: unito a ciò che resta in eterno, anch'egli rimarrà con essa in eterno.

Ma vi sono uomini che non desiderano arricchirsi o giungere alle vane pompe degli onori: vogliono solo aver pace e godere, mangiando e facendo l'amore, nei teatri e tra i vani spettacoli offerti gratis nelle grandi città …

Ma per quanto durino e per quanto dilettino la gioia delle ricchezze, la soddisfazione degli onori, la libertà delle bettole, le lotte nei teatri, gli allettamenti del sesso e il prurito delle terme, basta un po' di febbre per togliere tutto questo, per sottrarre all'uomo, ancora in vita, tutta la sua falsa beatitudine e lasciargli solo una coscienza ferita, che sente ormai giudice quel Dio che non volle avere per custode, che troverà come severo padrone colui che non si diede cura di ricercare e amare come tenero padre.

Ma tu, che cerchi la pace promessa ai cristiani dopo questa vita, anche quaggiù, pur fra le molestie e le amarezze, godrai una soave letizia, se ami i precetti di colui che te la promette.

Ti accorgerai ben presto che sono più dolci i frutti della giustizia che i frutti dell'iniquità, ed esperimenterai che l'uomo gioisce maggiormente se fra le molestie ha buona coscienza, che se fra le delizie ha coscienza cattiva: tu infatti non sei venuto per unirti alla Chiesa di Dio cercando in ciò un qualche vantaggio terreno.

Agostino, Come catechizzare i principianti, 2,16

9. - Amare Dio per Dio stesso

Se lodi Dio affinché egli ti dia qualcos'altro, non ami più gratuitamente Dio.

Ti rincrescerebbe se tua moglie ti amasse per le ricchezze, e se, diventato tu per caso povero, lei pensasse all'adulterio.

Ebbene, tu che vuoi essere amato gratuitamente da tua moglie, amerai Dio per qualcosa di estraneo a lui?

Quale premio riceverai da Dio, o avaro?

Non ti serba la terra, ma se stesso, colui che ha fatto il cielo e la terra.

Spontaneamente sacrificherò a te ( Sal 54,8 ): non per necessità.

Se lodi Dio per motivi estranei a lui, lo lodi per necessità.

E se tu avessi ciò che ami, non lo loderesti più.

Osserva quanto ti dico. Tu lodi Dio, ad esempio, perché ti dia più denaro.

Se tu potessi ottenere tale denaro da altri che non da Dio, loderesti forse Dio?

Ebbene, se lodi Dio in vista del denaro, non sacrifichi spontaneamente a Dio, ma gli sacrifichi per necessità, perché ami un qualcosa che è al di fuori di lui.

Ecco perché è detto nel salmo: « Spontaneamente sacrificherò a te ».

Disprezza tutto il resto, guarda a lui!

Ricorda che le stesse cose che egli ti ha donate sono buone per la bontà del donatore.

Senza dubbio, è lui che dà questi beni temporali, e ad alcuni li dona a loro vantaggio, mentre ad altri a loro danno, secondo l'altezza e l'imperscrutabilità dei suoi giudizi.

Di fronte all'abisso di questi giudizi l'Apostolo spaventato diceva: O profondità delle ricchezze della sapienza e della scienza di Dio!

Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi e sconosciute le sue vie!

Chi conoscerà infatti le sue vie o chi comprenderà i suoi disegni? ( Rm 11,33-34 ).

Egli sa quanto dare e a chi dare, quando togliere e a chi togliere.

Quanto a te, chiedi nel tempo ciò che ti giova nel futuro: chiedi ciò che ti sia di aiuto per l'eternità.

Ma lui, amalo gratuitamente: perché da lui non puoi avere niente di meglio che lui stesso.

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 54,10

10. - La presenza di Dio è vita per l'anima

Poiché l'anima non ha nulla da sé, tutto ciò che ha lo ha da Dio.

Restando nel suo ordine, essa vive solo per la presenza di Dio nello spirito e nella coscienza; così si raccoglie nel suo più profondo.

Ma l'innalzarsi per albagia è per essa un uscire all'esterno, per non dire uno svuotarsi, un progressivo diminuire.

L'uscire all'esterno, che altro è, se non rinunciare alla propria interiorità, cioè allontanarsi da Dio, non in senso locale, ma in senso spirituale?

Agostino, La musica, 13,40

11. - La nostra vita è un viaggio nel deserto

Questo mondo è per tutti i fedeli che cercano la patria, ciò che fu il deserto per il popolo d'Israele.

Essi vagano per il deserto, ma cercano la patria: tuttavia, sotto la guida del Signore, non potevano fallire la meta.

La loro strada era il comando stesso del Signore.

Sebbene essi andassero vagando per quarant'anni, quel loro cammino può essere compiuto in pochissime tappe, note a tutti.

Si attardarono, non perché abbandonati dal Signore, ma perché Dio voleva provarli.

Ciò che anche a noi il Signore promette è una dolcezza ineffabile, un bene, come dice la Scrittura e come spesso vi abbiamo ricordato, che occhio umano non vide né orecchio udì né mai s'è presentato allo spirito dell'uomo ( 1 Cor 2,9 ).

Siamo provati dalle fatiche della vita temporale e le tentazioni della vita presente ci aprono gli occhi.

Ma se non volete morire di sete, in questo deserto della vita presente, bevete l'acqua della carità.

Essa è la fonte che il Signore ha voluto apprestarci quaggiù, affinché non venissimo meno lungo la strada: beviamone in abbondanza e, quando saremo arrivati in patria, ne berremo ancor più abbondantemente.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 7,1

12. - Il mio bene è starmene presso Dio

Il mio bene è starmene presso Dio ( Sal 73,28 ).

In questo salmo è chiaramente esposta la distinzione fra i due Testamenti, quello Vecchio, cioè, e quello Nuovo.

Il salmista dice che, a causa delle promesse carnali e terrene, vedendo che abbondantemente si adempiono per gli empi, per poco non diede un mal passo, per poco i suoi piedi non smucciarono, pensando quasi di aver servito inutilmente Dio, vedendo che chi lo disprezza prospera nella felicità che egli da Dio sperava.

Soggiunge di essere stato oppresso da questo problema, volendo rendersi conto perché le cose stiano così, fino a quando non entrò nel santuario di Dio e comprese la fine di quelli che pur sembrano felici a chi erra.

Allora comprese che proprio nel momento in cui si innalzarono, furono abbattuti, vennero meno e perirono per le loro iniquità; e che tutto il cumulo della loro felicità terrena fu come un sogno per chi si sveglia e si trova privo delle gioie fallaci che sognava.

Poiché essi ritenevano di essere grandi su questa terra, cioè in questa città terrena, il salmista soggiunse: Signore, tu ridurrai a nulla la loro immagine nella tua città ( Sal 73,20 ).

Che poi a lui giovasse aspettarsi anche gli stessi beni terreni dall'unico vero Dio, in cui potere tutto sta, lo mostra chiaramente dicendo: Sono rimasto davanti a te come un animale, ma sarò sempre con te ( Sal 73,23 ).

Disse « come un animale », cioè un essere privo di intelligenza. Intende dire: « Avrei dovuto desiderare da te quei beni che gli empi non possono avere in comune con me; non quei beni di cui li ho visti ricchi, tanto da ritenere di averti servito invano: li avevano infatti coloro che ti avevano rifiutato il loro servizio.

Tuttavia, sarò sempre con te, perché anche per il desiderio di tali beni non ho ricercato altri dèi ».

Poi seguono le parole: Mi hai tenuto per la destra, col tuo consiglio mi hai guidato e mi hai accolto in gloria ( Sal 73,24 ); proprio come se appartenessero alla sinistra i beni di cui vide ricchi gli empi, tanto da venirne quasi meno.

Che cosa c'è per me nel cielo, soggiunge, e che ho voluto da te sulla terra? ( Sal 73,25 ).

Rimprovera se stesso, dispiace a se stesso, e giustamente, perché possedendo un bene tanto grande nel cielo ( come comprese poi ), desiderò da Dio una felicità transitoria, fragile e per così dire infangata, qui sulla terra.

« Venne meno il mio cuore e la mia carne, o Dio del mio cuore ».

É un venire meno buono, da ciò che è inferiore a ciò che è superiore; precisamente come si dice in un altro salmo: Desidera e viene meno la mia anima negli atri del Signore ( Sal 84,3 ), e in un altro ancora: L'anima mia viene meno nella tua salvezza ( Sal 119,81 ).

Tuttavia, avendo asserito che vennero meno sia il cuore che la carne, non soggiunse: Dio del mio cuore e della mia carne, ma: Dio del mio cuore.

É il cuore infatti che purifica la carne.

Per questo il Signore dice: Mondate ciò che è dentro, e ciò che è fuori sarà mondo ( Mt 23,26 ).

E poi dice che Dio stesso è la sua eredità; non qualcosa ricevuta da Dio, ma proprio lui: Dio del mio cuore e mia eredità, o Dio, per tutti i secoli ( Sal 73,26 ): fra tutte le cose che gli uomini eleggono, a lui piacque eleggere Dio.

Ma tutti coloro che si allontanano da te, periranno: hai distrutto chiunque ti è stato infedele ( Sal 73,27 ): cioè chi si abbandona all'amore per molti dèi.

E finalmente segue il versetto, in vista del quale sembra che sia stato premesso tutto ciò che il salmo recita: Ma per me, il mio bene è starmene presso Dio: non andarmene lontano, non abbandonarmi a liberi amori.

Ma la vicinanza a Dio sarà perfetta quando sarà libero tutto ciò che deve esserlo.

Frattanto però vale ciò che segue: Porre in Dio la mia speranza ( Sal 73,28 ).

Ma dice l'Apostolo: Vedere già ciò che si spera, non è speranza: ciò infatti che si vede, come ancora sperarlo?

Ma se speriamo ciò che non vediamo, noi l'aspettiamo con paziente attesa ( Rm 8,24-25 ).

Ma noi, viventi ancora in questa speranza, adempiamo ciò che segue nel salmo, e saremo, a nostro modo, angeli di Dio, cioè suoi messaggeri: annunciando cioè la sua volontà e lodando la sua gloria e la sua grazia.

Agostino, La città di Dio, 10,25

13. - L'uso delle realtà terrene e il godimento di quelle eterne

Fra tutte le realtà, si deve godere solo di quelle che sono eterne e immutabili; delle altre si deve invece far uso, per poter pervenire al godimento di quelle eterne.

Noi, che usiamo e godiamo le altre cose, siamo qualche cosa.

Anzi, grande cosa è l'uomo, fatto a immagine e somiglianza di Dio; non in quanto sta chiuso in un corpo mortale, ma in quanto per l'anima razionale precede in onore tutti gli animali.

Sorge qui una grande contesa: se gli uomini debbano usare o godere degli altri uomini, oppure l'uno e l'altro.

Abbiamo il precetto di amarci a vicenda; ma la domanda è se l'uomo debba essere amato dall'uomo per sé o per qualcos'altro.

Nel primo caso, lo godiamo; nell'altro caso, lo usiamo.

A me sembra che debba essere amato per qualcos'altro.

In ciò che deve essere amato per se stesso, consiste la vita beata; e nel tempo presente vi è la speranza di questa vita beata, mentre non ancora la sua realtà ci consola.

Maledetto chi ripone la sua speranza nell'uomo ( Ger 17,5 ).

Ma neppure di se stessi si deve godere, se osservi attentamente: infatti neppure se stessi bisogna amare per se stessi, ma per colui che si deve godere.

L'uomo in effetti è veramente buono quando con tutta la sua vita tende alla vita immutabile e a quella aderisce con tutto il suo affetto; ma se ama sé per se stesso, non sta più in relazione con Dio: si volge verso di sé, non tende a ciò che è immutabile.

Perciò il godimento di se stesso è nell'uomo difettoso, perché l'uomo è migliore quando aderisce ed è tutto unito a un bene immutabile, di quando, lungi da quello, bada ancora a sé.

Se dunque devi amare te stesso non per te, ma per colui in cui consiste il fine rettissimo del tuo amore, non se la prenda qualche altro uomo se anche lui ami per Dio.

Questa è infatti la regola dell'amore stabilita da Dio: Amerai il prossimo tuo come te stesso; Dio invece con tutto il tuo cuore, con tutta la tua anima e con tutta la tua mente ( Mt 22,37 ).

Devi dunque orientare tutti i tuoi pensieri, tutta la tua vita e tutta la tua mente in colui da cui hai avuto ciò in dono. Dicendo poi: « Con tutto il cuore, con tutta l'anima e con tutta la mente », la Scrittura non omette nessuna particella della nostra vita, quasi ci fosse uno spazio, un posto vuoto per godere qualche altro bene; ma qualunque cosa si presenti all'animo suscitandone amore deve essere rapita dall'animo stesso là, dove esso corre con tutto l'impeto del suo amore.

Chiunque perciò ama rettamente il prossimo deve agire in modo che il prossimo stesso ami Dio con tutto il cuore, tutta l'anima e tutta la mente.

Se dunque lo ami come te stesso, tu orienti tutto l'amore per lui e per te verso quel grande amore di Dio che non ammette gli venga derivato anche solo un rivoletto, che refluendo lo diminuisca.

Agostino, La dottrina cristiana, 1,20-21

14. - Lo scopo di ogni desiderio

Se vuoi adornarti - dice il Signore - prendi il mio ornamento; se hai in animo di armarti, serviti delle mie armi; se vuoi vestirti, indossa pure il mio abito; se vuoi nutrirti, ecco la mia mensa; se desideri camminare, percorri la mia strada; se hai desiderio di ottenere un'eredità, eccoti la mia; se vuoi fare il tuo ingresso in patria, entra pure nella città di cui io sono architetto e costruttore; se intendi edificarti una casa, costruiscila nel mio regno: da parte mia, sta' pure tranquillo che, in cambio, non ti chiederò alcun pagamento.

Per il solo fatto, anzi, che desideri usufruire di ciò che appartiene a me, io voglio, proprio per questo, ricompensarti.

Che cosa potrebbe mai esser paragonato a tanta generosità?

Sono io tuo padre - dice ancora il Signore - tuo fratello e tuo sposo; io sono per te la casa, il vestito, la radice, il fondamento: tutto questo sono io, se tu lo vuoi; nulla, allora, ti mancherà.

Sarò proprio io, anzi, a servirti: sono venuto, infatti, per servire non già per esser servito ( Mt 20,28 ).

Io ti sarò anche amico, membro, capo, fratello e sorella e madre, tutto insomma: tu pensa soltanto ad affidarti fiduciosamente a me.

Per te sono stato povero, per te ho mendicato, sono stato crocifisso e sepolto per te; in cielo supplico per te il Padre; in terra sono venuto come ambasciatore, per te, da parte del Padre.

Tutto sei tu per me: fratello, coerede, amico, come una parte stessa della mia persona.

Che cosa desideri di più? Perché respingi chi ti ama sino a questo punto?

Perché continui ad affannarti in nome di questo mondo?

Perché cerchi inutilmente di riempire un vaso bucato?

Questo significa, infatti, lottare e soffrire per questa vita terrena.

Perché frusti il fuoco? Perché percuoti l'aria? Perché vai correndo senza scopo?

Qualsiasi attività non è forse diretta verso un obiettivo ben preciso?

É chiaro per chiunque. Ebbene, mostrami anche tu quale sia lo scopo del tuo gran da fare in questo mondo.

Non puoi farlo, però, giacché è vanità delle vanità, tutto è vanità ( Qo 1,1 ).

Andiamo al cimitero: mostrami tuo padre, fammi vedere tua moglie.

Dov'è colui che indossava abiti intessuti d'oro, che sedeva sul suo carro, che dava ordini a un esercito, che aveva una guardia del corpo ed era circondato dagli araldi?

Dov'è colui che uccideva o gettava in carcere le persone?

Colui che le sopprimeva o le liberava a suo capriccio?

Non vedo altro se non ossa, vermi, ragnatele; tutto è diventato terra, favola, sogno, ombra: rimane solo il racconto e la pittura di ciò che è stato.

Neppure questa, anzi, giacché la pittura ci offre per lo meno delle immagini, mentre qui non ne vediamo nessuna.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 76,5

15. - La transitorietà della vita

Vedi nell'ombra ciò che ti dico, e da essa impara!

Proprio come l'ombra, che mai sta ferma, la tua vita trascorre.

Tu resta fermo in un posto e osserva l'ombra del tuo corpo: come essa procede e non sta mai sulla stessa linea, così la tua vita procede e si affretta alla fine.

L'ombra del tuo corpo si muove dalla mattina alla sera; la tua vita trascorre dal seno della madre al sepolcro.

La tua vita è misurata con una spanna, che non viene superata, e le tue dita rappresentano quasi i cinque gradini della tua misura.

La spanna comincia con il mignolo e termina con il pollice; identico è l'inizio della tua vita e la fine della tua vecchiaia.

La vita comincia col mignolo, cioè con i primi tempi dell'infanzia. Si giunge poi al secondo dito, cioè alla fanciullezza inesperta.

Col medio, si è nella giovinezza, gonfia e superba.

Col cosiddetto quarto dito, si diventa uomini maturi, ma la misura comincia a diminuire e resta solamente un dito.

Giunge infine la vecchiaia, il pollice, il termine della vita.

É questa la tua misura, se ti è concesso di riempirla; infatti può avvenire che la morte ti sopraggiunga prima che tu l'abbia adempiuta, perché il Creatore, se vuole, raccorcia la spanna della tua vita, forse anche perché venga tolto il male e non si prolunghi con il tuo vivere.

Sulla mano si rivela dunque la misura della vita stabilita per l'uomo e le dita rappresentano i cinque gradini su cui l'uomo avanza.

Osserva dunque a quale dito ora ti tocca stare, a quale gradino sei posto; ma tu non sai a quale dito giunga improvvisa la fine.

Il giorno del Signore è un ladro che ti ruba senza che tu neppure te ne accorga.

Conduci la tua vita nella pace ed equipaggiala di un buon viatico, perché si raccolga in Dio!

Là ti troverai dopo la sua fine, quando dovrai rendere conto.

Ma se vivi male, la tua vita ti verrà strappata e andrà perduta: la cercherai, ma non la troverai più.

L'acqua versata in terra non la puoi più bere; se la versi invece in un bicchiere, ecco, l'hai pronta per berla.

Non trascorrere la tua vita nell'ira e nell'odio, non dissiparla nella rapina e nell'ingiustizia; non renderla, con l'impurità e la ladroneria, simile ad acqua fetida, che la terra ingoia e nessun occhio più vede.

Non mandare in rovina la tua vita con l'invidia e l'inganno, col cruccio e l'astio, con la cattiveria di qualsiasi specie: saresti altrimenti un morto vero che ha perso la sua vita.

Nulla all'uomo è più caro del vivere suo, e per esso darebbe il mondo intero, se gli fosse possibile.

Persegui l'impegno migliore, perché ti serva come canale in cui la tua vita, pur trascorrendo, possa giungere alla fine a quietarsi in Dio.

Orienta il fiumicello del vivere tuo verso il Signore, affinché, dopo aver vinto quaggiù, tu ti possa trovare lassù nel mare della vita!

Vi è un torrentello di vita, in questo mondo transitorio, che tu chiami tuo: conducilo lassù a Dio, perché diventi un oceano di vita.

Giorno per giorno la tua vita scorre e se ne va: riversala in Dio, perché tu la possa ritrovare per l'eternità!

Efrem Siro, Su « Tutto è vanità e afflizione di spirito », 5-6

16. - Perché ami Dio?

Perché ami Dio? « Perché mi ha dato la salute ».

É chiaro: egli te l'ha data.

« Perché » dice uno « mi ha dato una moglie ricca: non avevo nulla e ora lei mi serve ».

Anch'essa ti ha dato lui: ciò che dici è giusto.

« Mi ha dato figli, molti e buoni; mi ha dato una famiglia, mi ha dato tutti i beni ».

Per questo lo ami? Per questo non lo cerchi più? Abbi fame!

Batti ancora alla porta del padre di famiglia, perché egli ha ancora qualcosa da darti!

Tu sei ancora un accattone, pur con tutto ciò che hai già avuto; ma tu non lo sai.

Indossi ancora la carne lacera della tua mortalità: hai forse già ricevuto l'abito festivo dell'immortalità?

Perché, quasi fossi sazio, non preghi più?

Dio è buono perché ti ha dato tutto questo: ma come sarai tu, quando egli ti darà se stesso!

Tanto hai desiderato da lui: desidera, ti scongiuro, lui stesso!

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 145

17. - Tardi ti amai!

Tardi ti amai, bellezza così antica e così nuova, tardi ti amai!

Sì, perché tu eri dentro di me e io fuori. Lì ti cercavo.

Deforme, mi gettavo sulle belle forme delle tue creature.

Eri con me, e non ero con te.

Mi tenevano lontano da te le tue creature, inesistenti se non esistessero in te.

Mi chiamasti, e il tuo grido sfondò la mia sordità; balenasti, e il tuo splendore dissipò la mia cecità; diffondesti la tua fragranza, e respirai anelo verso di te; gustai, e ho fame e sete; mi toccasti, e arsi di desiderio della tua pace.

Quando mi sarò unito a te con tutto me stesso, non esisterà per me dolore e pena dovunque.

Sarà vera vita la mia vita, tutta piena di te.

Tu sollevi chi riempi; io ora, non essendo pieno di te, sono un peso per te; le mie gioie, di cui dovrei piangere, contrastano le afflizioni, di cui dovrei gioire, e non so da quale parte stia la vittoria; le mie afflizioni maligne contrastano le mie gioie oneste, e non so da quale parte stia la vittoria.

Ahimè, Signore, abbi pietà di me! Ahimè! Vedi che non nascondo le mie piaghe.

Tu sei medico, io sono malato; tu sei misericordioso, io sono misero.

Non è forse la vita umana sulla terra una prova ( Gb 7,1 )?

Chi vorrebbe fastidi e difficoltà? Il tuo comando è di sopportarne il peso, non di amarli.

Nessuno ama ciò che sopporta, anche se ama di sopportare; può godere di sopportare, tuttavia preferisce non aver nulla da sopportare.

Nelle avversità desidero il benessere, nel benessere temo le avversità.

Esiste uno stato intermedio tra questi due, ove la vita umana non sia una prova?

Esecrabili le prosperità del mondo, una e due volte esecrabili per il timore dell'avversità e la contaminazione della gioia.

Esecrabili le avversità del mondo, una e due e tre volte esecrabili per il desiderio della prosperità e l'asprezza dell'avversità medesima e il pericolo che spezzi la nostra sopportazione.

La vita umana sulla terra non è dunque una prova ininterrotta?

Agostino, Le Confessioni, 10,27-28

EMP I-26. - « Simone di Giovanni, mi ami tu? »

Ciò che soprattutto ci attira la benevolenza dall'alto, è la carità verso il prossimo.

Dopo tutto, è questo stato d'animo che Cristo esige da Pietro: « Simone di Giovanni, mi ami tu più di questi? »

Gli rispose: « Sì, o Signore, tu lo sai che io ti amo ».

Gesù gli dice: « Pasci i miei agnelli » ( Gv 21,15 ).

Perché dunque, lasciando da parte gli altri apostoli, Gesù si rivolge a Pietro a proposito di questi ultimi? il fatto è che Pietro era il primo fra gli apostoli, il loro portavoce, il capo del loro collegio, tanto che Paolo stesso un giorno andò a consultarlo direttamente, preferendolo agli altri.

Per dimostrare a Pietro che doveva aver fiducia e che il suo rinnegamento era definitivamente cancellato, Gesù gli dà ora il primato tra i suoi fratelli.

Egli non fa il minimo cenno al rinnegamento, perché non provi vergogna del passato.

« Se tu mi ami - gli dice - sii alla testa dei tuoi fratelli, dimostrandomi ora quel fervente amore che mi hai sempre manifestato con tanta gioia.

La vita che tu ti dicevi sul punto di donare per me, donala per le mie pecore ».

Richiesto una prima, poi una seconda volta, Pietro prende a testimone colui che conosce il segreto dei cuori.

Richiesto una terza volta, si turba, ed è assalito dal timore.

Si ricorda che, in passato, aveva avuto delle affermazioni energiche, però smentite in seguito dai fatti.

Ed è per questo che ora cerca sostegno in Gesù.

Tu sai tutto, gli dice, conosci tanto il futuro quanto il presente.

Notate quanto è migliorato, come si è fatto più umile, come ha perso la sua arroganza e il suo spirito di contraddizione!

É contristato al pensiero che la sua potrebbe essere soltanto una parvenza d'amore, non un sentimento reale.

Se nel passato, egli dice a se stesso, sono stato sicuro di me e categorico nelle mie affermazioni, ora sono del tutto confuso e pieno di dubbi.

Gesù lo interroga tre volte, e per tre volte gli dà il medesimo comando.

Gli dimostra così quale valore attribuisca alla cura delle sue pecorelle, dal momento che ne fa la più grande prova d'amore nei suoi riguardi.

Dopo avergli parlato di questo amore, Gesù predice a Pietro il martirio che lo aspetta.

Gli dichiara in tal modo tutta la fiducia che ripone in lui.

Per dare a noi un esempio di amore e per insegnarci il modo migliore di amarlo, dice: Quando eri più giovane, ti cingevi da te e andavi dove volevi; ma quando tu sarai vecchio, un altro ti cingerà e ti condurrà, dove tu non vuoi ( Gv 21,18 ).

Del resto è ciò che Pietro aveva voluto e desiderato; ecco perché Gesù gli parla in quel modo.

Infatti, Pietro aveva detto: Io darò la mia vita per te ( Gv 13,37 ) e: Anche se dovessi morire con te, non ti rinnegherò ( Mt 26,35 ).

Gesù acconsente dunque al suo desiderio …

Gli parla così non per spaventarlo, ma per ravvivare il suo ardore.

Conoscendo il suo amore e la sua irruenza, gli può annunciare il tipo di morte che gli è riservato.

Pietro aveva sempre desiderato affrontare i pericoli per Cristo.

« Abbi fede - gli dice Gesù -, i tuoi desideri saranno esauditi; ciò che non hai sopportato da giovane, lo patirai da vecchio ».

E per attirare l'attenzione del lettore, l'evangelista aggiunge: Disse questo per significare con quale morte avrebbe reso gloria a Dio ( Gv 21,19 ).

Tu imparerai da questa espressione che soffrire per Cristo è una gloria e un « onore ».

Giovanni Crisostomo, Omelia 88 su san Giovanni, 1

18. - Bellezza dell'anima

La nostra anima, o fratelli, è brutta per colpa del peccato: essa diviene bella amando Dio.

Quale amore rende bella l'anima che ama? Dio sempre è bellezza, mai c'è in lui deformità o mutamento.

Per primo ci ha amati lui che sempre è bello, e ci ha amati quando eravamo brutti e deformi.

Non ci ha amati per congedarci brutti quali eravamo, ma per mutarci e renderci belli, da brutti quali eravamo.

In che modo saremo belli? Amando lui, che è sempre bello.

Quanto cresce in te l'amore, tanto cresce la bellezza; la carità è appunto la bellezza dell'anima.

« Noi dunque amiamolo, perché lui per primo ci ha amati ».

Ascolta l'apostolo Paolo: Dio ha dimostrato il suo amore per noi perché ancora quando eravamo peccatori, Cristo è morto per noi ( Rm 5,8-9 ), lui giusto per noi ingiusti, lui bello per noi brutti.

Quale fonte ci afferma che Gesù è bello?

Le parole del salmo: Egli è bello tra i figli degli uomini, sulle sue labbra ride la grazia ( Sal 45,3 ).

Dove sta il fondamento di questa asserzione?

Eccolo: Egli è bello tra i figli degli uomini perché in principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio ( Gv 1,1 ).

Assumendo un corpo, egli prese sopra di sé la tua bruttezza, cioè la tua mortalità, per adattare se stesso a te, per rendersi simile a te e spingerti a amare la bellezza interiore.

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 9,9

19. - Il volto dell'amore

Dio è amore ( 1 Gv 4,9 ).

Che volto ha l'amore? Che forma ha? Che statura ha? Che piedi ha? Che mani ha? Nessuno lo può dire.

Ha tuttavia piedi: conducono alla Chiesa; ha mani: si stendono pietose verso il povero; ha occhi: per essi infatti si può comprendere chi è bisognoso: Beato chi comprende il bisognoso e il povero ( Sal 41,2 ).

Ha orecchie, di cui dice il Signore: Chi ha orecchie per udire, ascolti ( Lc 8,8 ).

Non si tratta di membra separate in luoghi diversi, ma chi ha la carità vede con la mente il tutto e allo stesso tempo.

Tu dunque abita nella carità ed essa abiterà in te; resta in essa ed essa resterà in te.

Che, fratelli miei: che uno ama ciò che non vede?

Ma perché quando si intessono le lodi dell'amore vi sollevate, applaudite, lodate?

Cosa vi ho mostrato? Qualche bel colore? Vi ho posto avanti oro o argento?

Ho tolto gemme da un forziere? Ho mostrato qualcosa di simile ai vostri occhi?

O forse il mio volto si è mutato parlandovi?

Porto la mia carne: sono nello stesso stato in cui sono venuto: siete nello stesso stato in cui siete venuti.

Si loda la carità, e gridate. Certo non vedete nulla.

Come vi piace ciò che lodate, vi piaccia conservarlo nel cuore.

Comprendete ciò che dico fratelli: vi esorto, quanto mi dà il Signore, d'impossessarvi d'un grande tesoro.

Se vi mostrassi un vaso cesellato, dorato, lavorato artisticamente, attirerebbe i vostri occhi, adescherebbe la brama del vostro cuore: vi piacerebbe il lavoro artistico, il peso dell'argento, lo splendore del metallo.

Ciascuno di voi non direbbe: Potessi possedere questo vaso?

E lo direste senza giovamento, perché non è vostro.

Può darsi che qualcuno, desiderandolo, pensasse di rubarlo in casa altrui.

Vi si intessono le lodi della carità: se vi piace, l'avete, la possedete: non c'è bisogno che commettiate furto, non c'è bisogno che pensiate di comprarla: è gratuita.

Tenetela salda, abbracciatela: nulla è più dolce!

Se quando ne parliamo è tanto bella, come sarà quando l'avremo?

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 7,10

20. - Noi non siamo necessari a Dio, ma Dio è necessario a noi

L'evangelista ci racconta che il Signore restò con dodici discepoli i quali gli dissero: Ecco, Signore, quelli ti hanno abbandonato.

E Gesù rispose: Anche voi ve ne volete andare? ( Gv 6,67 ), volendo dimostrare che egli era necessario a loro, e non loro erano necessari a Cristo.

Nessuno s'immagini di intimorire Cristo, rimandando di farsi cristiano, quasi che Cristo sarà più beato se ti farai cristiano.

Diventare cristiano è bene per te: perché, se non lo diverrai, con ciò non farai del male a Cristo.

Ascolta la voce del salmo: Ho detto al Signore: Tu sei il mio Dio, poiché non hai bisogno dei miei beni ( Sal 16,2 ).

Perciò « Tu sei il mio Dio, perché non hai bisogno dei miei beni ».

Se tu non sarai con Dio, ne sarai diminuito; ma Dio non sarà più grande, se tu sarai con lui.

Tu non lo fai più grande, ma senza di lui tu diventi più piccolo.

Cresci dunque in lui, non ritrarti, quasi ne ricavasse una diminuzione.

Se ti avvicini a lui, ne guadagnerai; ti distruggi, se ti allontani da lui.

Egli non subisce mutamento, sia che tu ti avvicini, sia che tu ti allontani.

Quando, dunque, egli disse ai discepoli: Anche voi ve ne volete andare?, rispose Pietro, quella famosa pietra, e a nome di tutti disse: Signore, a chi andremo noi? Tu hai parole di vita eterna ( Gv 6,68 ).

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 11,5

21. - Dio non è legato al nostro amore

Dio è amore. E chi resta nell'amore, resta in Dio e Dio rimane in lui ( 1 Gv 4,16 ).

Abitano l'uno nell'altro, chi contiene e chi è contenuto.

Tu abiti in Dio, ma per essere contenuto da lui, Dio abita in te, ma per contenerti e non farti cadere.

Non devi ritenere che tu possa diventare casa di Dio, così come la tua casa contiene il tuo corpo.

Se la casa in cui abiti crolla, tu cadi; se invece tu crolli, Dio non cade.

Egli resta intatto se tu lo abbandoni.

Intatto egli resta quando ritorni a lui.

Se tu diventi sano, non gli offri nulla, sei tu che ti purifichi, tu ti ricrei e ti correggi.

Egli è una medicina per il malato, una regola per il cattivo, una luce per il cieco, per l'abbandonato una casa.

Tutto dunque ti viene offerto.

Cerca di capire che non sei tu a dare a Dio, allorché vieni a lui; neppure la proprietà di te stesso.

Dio dunque non avrà dei servi, se tu non vorrai e se nessuno vorrà?

Dio non ha bisogno di servi, ma i servi hanno bisogno di Dio; perciò un salmo dice: Dissi al Signore: Tu sei il mio Dio.

É lui il vero Signore. Che cosa disse allora il salmista? Tu non hai bisogno dei miei beni ( Sal 16,2 ).

Tu, uomo, hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo.

Il servo ha bisogno dei tuoi beni, perché tu gli offra da mangiare; anche tu hai bisogno dei suoi buoni uffici, perché ti aiuti.

Tu non puoi attingere acqua, non puoi cucinare, non puoi guidare il cavallo né curare la tua cavalcatura.

Ecco dunque che tu hai bisogno dei buoni uffici del tuo servo, hai bisogno dei suoi ossequi.

Non sei dunque un vero signore, perché abbisogni di chi è a te inferiore.

Lui è il vero Signore, che non cerca nulla da noi; ma egli ci ha cercato, mentre noi non cercavamo lui.

Si era dispersa una sola pecora; egli la trovò e pieno di gaudio la riportò sulle sue spalle ( Lc 15,4-5 ).

Era forse necessaria al pastore quella pecora o non era invece più necessario il pastore alla pecora?

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 8,14

22. - Per amore di Dio occorre avere in spregio i beni terreni

Chiunque abbia accolto l'amore divino, non tiene in alcun conto tutte le cose terrene, disdegna qualsiasi piacere fisico, disprezza le ricchezze, la gloria e il prestigio umano, senza riscontrare diversità alcuna fra la porpora regale e le ragnatele e paragonando le pietre preziose ai sassi delle spiagge.

Costui, inoltre, non ritiene che sia da perseguirsi la salute del corpo e non considera, appunto, la malattia come una disgrazia; per lui povertà non significa infelicità e la felicità, a sua volta, non è certo il frutto delle ricchezze e dei piaceri.

Egli ritiene giustamente, anzi, che tutte queste cose siano come le acque d'un fiume che scorra vicino agli alberi piantati lungo le sue sponde, senza però fermarsi presso nessuno di essi.

Non diversamente, infatti, anche la povertà, la ricchezza, la salute, la malattia, l'onore, la vergogna, così come qualsiasi altra di queste cose, scorrono attraverso l'umanità, senza tuttavia fermarsi sempre presso le medesime persone, ma, al contrario, mutando i loro detentori e passando continuamente dagli uni agli altri.

Molti, infatti, decadono dall'opulenza nella più nera miseria; molti altri, invece, da poveri che erano stati sino a quel momento, passano nel numero dei ricchi.

La malattia e la salute, invece, pervadono, per così dire, tutti i corpi, sia quando sono tormentati dalla fame, sia allorché indulgono ai piaceri.

La virtù e la sapienza, al contrario, costituiscono un valore stabile e duraturo.

Esse, infatti, hanno la meglio sulle incursioni dei predoni, sulle lingue dei calunniatori e sulla violenza dei dardi e delle lance dei nemici; non sono consumate dalla febbre né sommerse dalle onde e non periscono nei naufragi.

Il tempo, da parte sua, lungi dal diminuire la loro efficacia, le reca anzi incremento.

La loro materia, inoltre, è l'amore di Dio.

Non può, infatti, accadere che intenda perfettamente la filosofia chi non sia fervido amante di Dio: si chiama filosofia, anzi, proprio quest'amore della sapienza.

Dio, infatti, è ed è chiamato « la Sapienza ».

Teodoreto di Ciro, Storia dei monaci ( Orazione sulla divina e santa carità )

23. - Si deve amare Dio sia nel tempo della persecuzione, sia nella pace e nella quiete

Chi ama suo figlio o sua figlia più di me non è degno di me ( Mt 10,37 ).

Questo detto, i fedeli più tiepidi e negligenti pensano che lo si debba attuare solo nel tempo della persecuzione: quasi esistesse un qualche tempo in cui si possa preferire a Dio qualcos'altro o quasi che chi nel tempo della persecuzione ritiene come suo bene più prezioso di tutti Cristo, in ogni altro tempo lo possa considerare un bene più vile.

Se le cose stessero così, il nostro amore per Dio lo dovremmo alla persecuzione, non alla fede; e solo allora potremmo qualcosa, quando gli empi ci perseguitano, mentre dobbiamo a Dio un affetto maggiore, o certamente non minore, nella tranquillità che nelle avversità.

Dobbiamo infatti amarlo di più per il fatto stesso che non permette che noi siamo afflitti dai mali, mostrando cioè verso di noi l'indulgenza di un padre dolcissimo e tenerissimo, preferendo che nella pace e nella quiete noi mostriamo con opere di bene la nostra fede, piuttosto di farcene dar prova nella persecuzione, con le pene del nostro corpo.

Perciò, se nulla si deve a lui preferire quando ci tratta con asprezza, certo non si deve nulla a lui preferire quando, con la sua bontà, più a sé ci lega.

Salviano di Marsiglia, Lettere, 9 ( al vescovo Salonio )

EMP I-8. - « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto » ( Gb 1,21 )

Dopo aver perduto tutti i suoi beni e tutti i suoi figli, Giobbe si alzò, si stracciò le vesti, si rase il capo e, prostrandosi a terra, adorò ( Gb 1,20 ).

Lo stracciarsi le vesti, il gettarsi a terra col capo raso, mostrano bene che egli sentiva il dolore di queste sventure.

Ma quell' « adorò » che vi si aggiunge sta a testimoniare che, sia pure nel dolore, egli non si ribellava contro la decisione di chi lo colpiva.

Ascoltiamo quello che disse allora: Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò ( Gb 1,21 ) …

Poiché per volontà del Signore era stato privato di tutto, per poter conservare la pazienza si richiamò alla mente il tempo in cui non possedeva ancora nulla di ciò che aveva perduto; e così il pensiero di non aver avuto, una volta, nessuno di quei beni, mitiga il dolore di averli perduti.

É infatti una consolazione grande, quando perdiamo i nostri beni, ricordarci del tempo in cui li possedevamo.

Poiché la terra ci ha generati tutti, non è sbagliato chiamarla nostra madre.

Per questo la Scrittura dice: Un giogo pesante grava sui figli di Adamo, dal giorno dell'uscita dal seno della loro madre, fino al giorno del ritorno alla madre di tutti ( Sir 40,1 ).

E il beato Giobbe, per piangere, sì, ma nella pazienza, quello che ha perduto in questo mondo, considera attentamente lo stato in cui era quando vi giunse; e per potersi mantenere più sicuramente in un atteggiamento di pazienza, pensa con un'attenzione ancora più grande allo stato in cui lo lascerà: « Nudo sono uscito dal seno di mia madre, e nudo vi ritornerò ».

É come se dicesse: la terra mi ha portato alla luce nudo al mio ingresso nel mondo, la terra mi accoglierà nudo quando lo abbandonerò.

Mi è stato tolto quel che avevo ricevuto e che dovevo lasciare: che cosa ho dunque perduto che fosse realmente mio?

E siccome la consolazione non ci deve venire soltanto dal pensiero del nostro stato, ma anche dalla considerazione della giustizia del nostro Creatore, ben a ragione Giobbe continua così: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come piacque al Signore, così è avvenuto ( Gb 1,21: Vulg. ).

Quest'uomo aveva perduto tutto per la tentazione dell'avversario; ma sapendo che Satana non avrebbe avuto il potere di tentarlo senza il permesso di Dio, non disse: « Il Signore ha dato, il diavolo ha tolto »; ma: « Il Signore ha dato, il Signore ha tolto ».

Forse ci sarebbe stato motivo di lamentarsi se quel che il Creatore gli aveva dato, il nemico glielo avesse portato via; ma siccome chi ha tolto è proprio colui che ha dato, egli non ha portato via cose nostre: si è soltanto ripreso le sue.

Se da lui infatti riceviamo i beni di cui facciamo uso in questa vita, perché lamentarci se egli vuole che restituiamo quello che nella sua bontà ci aveva prestato? …

Ascoltiamo ora Giobbe che conclude la sua preghiera lodando il suo giudice con queste parole di benedizione: Sia benedetto il nome del Signore ( Gb 1,21 ).

Questo benedire il Signore è come la conclusione di tutto ciò che Giobbe ha pensato di giusto …

Quest'uomo, anche quando è percosso da Dio, gli innalza un inno di gloria.

Gregorio Magno, Commento a Giobbe, 2,29-32

24. - Amore di Dio prima dell'inclinazione naturale

Dice Gesù: In verità vi dico: non c'è nessuno che avrà abbandonato casa, o fratelli, o sorelle, o madre, o padre, o figli o campi per me e per il Vangelo, che non riceva il centuplo ( Mc 10,29 ).

E non vi turbino queste parole né quanto, con accenti ancor più duri, è scritto altrove: Chi non odia suo padre e sua madre e i suoi figli, persino anzi la sua stessa vita, non potrà divenire un mio seguace ( Lc 14,26 ).

Non ci turbino giacché il Dio della pace, colui che ingiunge di amare anche i propri nemici, non ci invita certo all'odio e alla separazione dalle persone a noi più care.

In realtà, se occorre amare i propri nemici, risulta chiaro che, risalendo da essi, è necessario amare anche coloro che ci sono più prossimi per vincoli di sangue.

Se, al contrario, occorre nutrire odio nei confronti di coloro che ci sono vicini per legami di parentela, il ragionamento che ne consegue, in tal caso, insegnerebbe a respingere ancor di più i propri nemici.

Cosicché i due discorsi si confuterebbero a vicenda.

Essi, invece, non si confutano affatto, giacché con lo stesso stato d'animo e la stessa disposizione e la stessa limitazione nutrirebbe odio verso il padre e amore nei confronti del nemico chi non si vendicasse del nemico e non onorasse il padre più di Cristo.

Infatti, con il primo discorso ( in cui viene detto di amare il proprio nemico ), Cristo vieta di odiarlo e di fargli del male; nel secondo, invece ( in cui si dice di odiare il proprio padre ), egli raccomanda di guardarsi da quel falso rispetto nei confronti dei propri cari, allorché questi si mostrino d'impedimento alla salvezza.

Nel caso in cui, perciò, qualcuno avesse un padre o un figlio o un fratello empio e d'ostacolo per la propria fede e d'impedimento nella prospettiva della vita celeste, non rimanga unito a lui né condivida i suoi pensieri, ma, a motivo dell'inimicizia dello spirito, sciolga pure la parentela della carne.

Fingiti una controversia: immagina che tuo padre, standoti a fianco, ti dica: « Io ti ho dato la vita e ti ho allevato: seguimi e prendi parte assieme a me a quest'azione ingiusta e non obbedire alla legge di Cristo », aggiungendo tutte le altre cose che potrebbe dire un uomo blasfemo e morto spiritualmente.

Dalla parte opposta, ascolta invece il Salvatore: « Io ti ho donato la seconda vita, mentre tu avevi ricevuto l'amara vita del mondo ed eri destinato a morire; io ti ho liberato, ti ho curato, ti ho riscattato; sarò io a fornirti la vita che non avrà mai fine, la vita eterna, la vita superiore a quella del mondo; ti mostrerò il volto di quel buon padre che è Dio.

Non chiamate nessuno "padre" su questa terra.

I morti seppelliscano i loro morti, ma tu, invece, vieni dietro a me, giacché io ti condurrò dove potrai riposare e dove potrai gustare beni ineffabili e indescrivibili che mai nessun occhio vide né orecchio udì e che mai entrarono nel cuore degli uomini; beni verso i quali gli angeli stessi ambiscono di protendersi, onde contemplare quelle meraviglie allestite da Dio per i suoi santi e a beneficio di coloro che lo amano.

Sono io che ti nutro e, a mo' di pane, ti offro me stesso: chiunque mi avrà gustato, non correrà più il pericolo di morire; giorno per giorno, poi, mi offro a te come bevanda d'immortalità.

Io sono maestro di insegnamenti celesti.

Per te ho lottato con la morte.

Sono stato io a scontare, al posto tuo, quella pena di morte che tu avevi meritato a causa degli antichi peccati e della disobbedienza a Dio ».

Ascoltando, dall'una come dall'altra parte discorsi come questi, decidi per il tuo bene e scegli il partito della salvezza.

Se un fratello, perciò, ovvero un figlio o una sposa o chiunque altro ti dice qualcosa di simile, alla fine sia Cristo a vincere su di te, al di sopra di tutti: è lui, infatti, che lotta per te.

Clemente Alessandrino, C'è salvezza per il ricco?, 22-23

25. - L'amore è segno della inabitazione di Dio

« Nessuno vide Dio ».

Ecco, dilettissimi: se ci amiamo vicendevolmente, Dio resterà in noi, e il suo amore in noi sarà perfetto ( 1 Gv 4,12 ).

Incomincia ad amare e giungerai alla perfezione.

Hai incominciato ad amare? Dio ha iniziato ad abitare in te; ama colui che iniziò ad abitare in te, affinché, abitando in te sempre più perfettamente, ti renda perfetto; In questo conosciamo che rimaniamo in lui e lui in noi: che egli ci ha dato il suo Spirito ( 1 Gv 4,13 ).

Bene, sia ringraziato il Signore. Ora sappiamo che egli abita in noi.

E questo fatto, cioè che egli abita in noi, da dove lo conosciamo?

Da ciò che Giovanni afferma, cioè che egli ci ha dato il suo Spirito.

E ancora, da dove conosciamo che egli ci ha dato il suo Spirito?

Sì; che egli ci ha dato il suo Spirito, come lo sappiamo?

Interroga il tuo cuore: se esso è pieno di carità, hai lo Spirito di Dio.

Da dove sappiamo che proprio a questo segno noi conosciamo che abita in noi lo Spirito di Dio?

Interroga Paolo apostolo: La carità di Dio è diffusa nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che è dato a noi ( Rm 5,5 ).

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 8,12

26. - L'amore è il fine di ogni opera

O uomo, perché trovi pena nell'amare? Perché tu ami l'avarizia.

Non si ama che con fatica quel che tu ami; ma, amando Dio, non ci si affatica.

L'avarizia ti comanderà fatiche, pericoli, rischi, tribolazioni e tu obbedirai.

Per qual fine? Per avere ricchezze, per riempire le tue casse e perdere la tranquillità.

Prima di possederle, eri probabilmente più tranquillo di adesso che ti sei dato ad ammassarle.

Ecco che cosa ti ha comandato l'avarizia: hai riempito la casa, ma sei in trepidazione per i ladri; hai ottenuto oro, ma hai perso il sonno.

Questo ti ha comandato di fare l'avarizia.

Ti ha detto: fa' questo, e tu l'hai fatto.

Dio che cosa ti comanda? Amami.

Se ami l'oro, cercherai l'oro e magari non lo troverai; chiunque mi ricerca, ecco che io sono con lui.

Vuoi amare l'onore e forse non lo raggiungerai; chi invece ha amato me, non è forse giunto fino a me?

Dio ti dice: tu vuoi avere un patrono o un amico potente; lo corteggi per mezzo di un'altra persona a lui inferiore.

Ama me - dice il Signore -: non si giunge a me per mezzo di un altro; l'amore stesso ti fa presente a me.

Che cosa è più dolce di questo amore, fratelli?

Fratelli, non senza motivo avete da poco udito nel salmo: Gli ingiusti mi hanno raccontato dei loro piaceri, ma non sono piacevoli come la tua legge, Signore ( Sal 119,85 ).

Quale legge del Signore? Il comandamento di Dio.

Qual è il comandamento di Dio? Quel comandamento nuovo, che è detto nuovo proprio perché rinnova: Vi do un comandamento nuovo, che vi amiate a vicenda ( Gv 13,34 ).

Senti come questa viene dichiarata legge stessa di Dio nelle parole dell'apostolo Paolo: Portate i pesi gli uni degli altri e così adempirete la legge di Cristo ( Gal 6,2 ).

Il compimento di tutte le nostre opere è l'amore.

Qui è il nostro fine: per questo noi corriamo; verso questa meta corriamo; quando saremo giunti, vi troveremo riposo.

Avete udito nel salmo: Ho visto la fine di ogni opera ( Sal 119,96 ).

Dicendo: ho visto la fine di ogni opera, che cosa dunque ha visto il salmista?

Mettiamo che sia salito in cima ad un altissimo monte e da quel vertice abbia contemplato e visto tutta la distesa in cerchio della terra e i cerchi dell'universo; forse per questo ha detto: « Ho visto la fine di ogni opera »?

Se questa è cosa lodevole, domandiamo al Signore occhi materiali tanto acuti da intravedere qualche monte altissimo della terra, dalla cui cima possiamo vedere la fine di ogni opera.

Non andare lontano; ecco, ti dico: sali sul monte e vedi questo termine.

Cristo è il monte; vieni a Cristo e vedi il termine di ogni opera.

Cosa è questo termine? Interroga san Paolo: Il fine del precetto è la carità che viene da un cuore puro, da una coscienza retta, da una fede non finta ( 1 Tm 1,5 ).

In un altro passo egli dice: L'amore è la perfezione della legge ( Rm 13,10 ) …

E ancora: Fine della legge è Cristo, per offrire la giustizia a chiunque crede ( Rm 10,4 ).

Che significa allora che Cristo è fine?

Significa che Cristo è Dio e fine del precetto è la carità e che Dio è la carità: Padre e Figlio e Spirito Santo sono una cosa sola.

Qui è il tuo fine: fuori di qui non c'è altro che la strada; non fermarti sulla strada perché altrimenti non giungerai al fine.

In qualunque altro luogo tu sia giunto, passa oltre finché non giungerai al fine.

Che cosa è il fine? Per me è buona cosa stare unito al Signore ( Sal 73,28 ).

Hai aderito al Signore, sei giunto al termine della strada: rimarrai in patria.

Cercate di comprendere! Qualcuno va in cerca del denaro: ma questo non sia il tuo fine; devi passare oltre come il pellegrino.

Cerca la strada per dove passare, non il posto dove rimanere.

Se tu ami il denaro, sei imbrigliato nell'avarizia; l'avarizia sarà la catena ai tuoi piedi e non potrai più avanzare.

Passa dunque oltre questo ostacolo; cerca la fine del viaggio.

Tu cerchi la salute del corpo, ma anche qui non arrestarti.

Che cosa è questa salute del corpo, che può essere distrutta dalla morte, indebolita dalla malattia?

Instabile, mortale, fluida.

Cercala, ma affinché una salute precaria non ti impedisca di compiere opere buone.

Il tuo fine dunque non è qui, la salute infatti viene cercata in vista del fine.

Tutto ciò che noi cerchiamo in vista di un altro bene, non costituisce il fine; tutto ciò che si cerca per se stesso e senza uno scopo di utilità quello è il fine.

Cerchi gli onori; li cerchi forse per mettere in opera qualche tuo progetto, forse per piacere a Dio: non amare l'onore in se stesso, per non fermarti.

Cerchi la lode? Se cerchi quella di Dio fai bene; se cerchi la tua lode fai male; resti fermo per strada.

Ecco, tu sei amato e lodato: non congratularti se ti lodano; lodati nel Signore, perché ti sia lecito cantare: Nel Signore alla mia anima si darà lode ( Sal 34,3 ) …

Allorché tutte le tue opere sono lodate in Dio, la lode a te dovuta non devi temere di perderla.

Dio infatti non viene mai meno. Fa' dunque di andare oltre questa lode.

Vedete, o fratelli, quanti beni dobbiamo oltrepassare, che non sono il nostro fine!

Di essi noi usiamo così come per strada; ce ne cibiamo come avviene nelle stazioni di ristoro per i cavalli, ma poi continuiamo il cammino.

Dov'è dunque il fine? « Dilettissimi, noi siamo figli di Dio e non ancora si mostra quello che saremo »: sono parole che ci ha detto proprio questa epistola.

Siamo dunque ancora in cammino; dobbiamo ancora proseguire, finché giungeremo a un fine.

Sappiamo che quando apparirà, saremo simili a lui perché lo vedremo così come egli è ( 1 Gv 3,2 ).

Questo è fine: là ci sarà perpetua lode, là un Alleluia senza fine.

Nel salmo è perciò indicato questo stesso fine: « Ho visto il fine di ogni operazione ».

Agostino, Commento alla prima lettera di san Giovanni, 10,4-6

EMP W-17. - Il nuovo cantico dell'amore

Noi siamo invitati a cantare al Signore un cantico nuovo ( Sal 149,1 ).

Chi conosce questo cantico nuovo è l'uomo nuovo.

Il canto è gioia e, se noi lo consideriamo più da vicino, esso è amore.

Colui che sa amare la vita nuova, conosce questo cantico nuovo.

Bisogna quindi che noi siamo perfettamente al corrente del significato della vita nuova tenendo conto del cantico nuovo.

Qui tutto appartiene al medesimo regno: uomo nuovo, cantico nuovo, nuova alleanza.

L'uomo nuovo canterà un cantico nuovo e apparterrà alla nuova alleanza.

Nessuno è senza amore.

Tuttavia bisogna domandarsi che cosa è da amare.

Noi non siamo invitati ad astenerci dall'amare, bensì a scegliere che cosa amare.

Ora, che possiamo scegliere se noi non veniamo dapprima scelti, in quanto siamo in grado di amare solo se siamo dapprima amati?

Ascoltate l'apostolo Giovanni: … noi amiamo, dice, perché Dio ci ha amati per primo ( 1 Gv 4,10 ).

Cerca il modo in cui l'uomo possa amare Dio, e tu scoprirai nient'altro che questo: cioè che Dio ha amato l'uomo per primo.

Colui che amiamo, ha donato se stesso, offrendoci così la sorgente dell'amore.

San Paolo ci dice chiaramente ciò che Dio ci ha dato affinché amassimo.

Ascoltatelo: L'amore di Dio, dice, è stato diffuso in abbondanza nei nostri cuori.

Da chi? Da noi? No. E da chi allora? Dallo Spirito Santo che ci è stato dato ( Rm 5,5 ).

Dal momento che noi abbiamo una simile certezza, cerchiamo di amare Dio per mezzo di Dio …

Porgiamo ora ascolto a questa espressione di Giovanni, ancora più esplicita: Dio è amore, e chi sta nell'amore sta in Dio, e Dio sta in lui ( 1 Gv 4,16 ).

É poco dire: « L'amore viene da Dio! ».

Ma chi oserebbe affermare ciò che è stato appena detto: « Dio è amore »?

Colui che l'ha detto conosceva quello che portava in sé … Tu non vedi Dio.

Ama e l'avrai in te … Dio si offre a noi.

Ci grida: « Amatemi e io sarò in voi, poiché non potreste amarmi, se io non fossi in voi ».

Fratelli miei e figli miei, germe della Chiesa universale, sante e celesti pianticelle rigenerate dal Cristo e nate dall'alto, ascoltatemi o, piuttosto, ascoltate dalla mia voce questa espressione: Cantate al Signore un cantico nuovo ( Sal 149,1 ).

« Ecco, io canto », tu dirai. Tu canti, sì, tu canti, lo sento.

Ma fai attenzione che la tua vita non abbia a testimoniare contro la tua lingua.

Cantate con la voce, cantate col cuore, cantate con la vostra bocca, cantate con la vostra condotta, « cantate al Signore un cantico nuovo ».

Voi vi chiedete che cosa cantare per colui che amate, e cercate quali lodi cantargli.

Sia lode a lui, tra lo stuolo dei santi! ( Sal 149,1 ).

La lode da cantare, è il cantore stesso. Volete cantare delle lodi a Dio?

Siate voi stessi ciò che cantate.

Voi siete la sua lode se vivete bene.

Agostino, Discorso 34 ( sull'Antico Testamento ), 1-3.5-6

27. - Preghiera

Te solo amo, te solo seguo, te solo cerco e sono disposto ad essere soggetto a te soltanto, poiché tu solo con giustizia eserciti il dominio e io desidero essere di tuo diritto.

Comanda e ordina ciò che vuoi, ti prego, ma guarisci e apri le mie orecchie affinché possa udire la tua voce.

Guarisci e apri i miei occhi, affinché possa vedere i tuoi cenni.

Allontana da me i movimenti irragionevoli, affinché possa riconoscerti.

Dimmi da che parte devo guardare, affinché ti veda, e spero di poter eseguire tutto ciò che mi comanderai.

Riammetti, ti prego, il tuo schiavo fuggitivo, o Signore e padre clementissimo.

Dovrei ormai aver sufficientemente scontato, abbastanza dovrei esser stato schiavo dei tuoi nemici che tu conculchi sotto i tuoi piedi, abbastanza dovrei essere stato ludibrio di cose ingannevoli.

Ricevi me, tuo servo che fugge da queste cose che mi accolsero non tuo mentre da te fuggivo.

Sento che devo ritornare a te; a me che picchio, si apra la tua porta; insegnami come si può giungere fino a te.

Non ho altro che il buon volere; so soltanto che le cose caduche e passeggere si devono disprezzare, le cose immutabili ed eterne ricercare.

Ciò so, o Padre, poiché questo solo ho appreso, ma ignoro da dove si debba partire per giungere a te.

Tu suggeriscimelo, tu mostrami la via e forniscimi ciò che necessita al viaggio.

Se con la fede ti ritrovano coloro che tornano a te, dammi la fede; se con la virtù, dammi la virtù; se con il sapere, dammi il sapere.

Aumenta in me la fede, aumenta la speranza, aumenta la carità.

O bontà tua ammirevole e singolare!

A te io anelo e proprio a te chiedo i mezzi con cui il mio anelito sia soddisfatto.

Infatti se tu abbandoni, si va in rovina; ma tu non abbandoni, perché sei il sommo bene che sempre si è raggiunto se si è rettamente cercato; e ha rettamente cercato chiunque sia stato da te reso capace di cercare rettamente.

Fa', o Padre, che anche io ti cerchi, ma difendimi dall'errore, affinché mentre io ti cerco nessun'altra cosa mi venga incontro in vece tua.

Se non desidero altra cosa che te, ti ritrovi al fine, di grazia, o Padre.

Ma se in me v'è il desiderio di qualcosa di superfluo, purificami e rendimi degno di vederti.

Per il resto affido alle tue mani, o Padre sapientissimo e ottimo, la salute di questo mio corpo fin tanto che non so quale vantaggio posso avere da esso per me e per coloro che amo.

Per esso ti chiederò ciò che secondo l'opportunità tu mi ispirerai.

Prego soltanto l'altissima tua clemenza che tu mi volga tutto verso di te e che non mi si creino ostacoli mentre tendo a te, e mi conceda che io, mentre ancora porto e trascino questo mio corpo, sia temperante, forte, giusto e prudente, perfetto amatore e degno di apprendere la tua sapienza e degno di abitare, e abitare nel beatissimo tuo regno. Amen! Amen!

Agostino, Soliloqui, 1, 1,5-6

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