Teologia dei Padri |
I precetti del Vangelo, fratelli carissimi, non sono altro che insegnamenti divini, fondamento su cui edificare la speranza, base d'appoggio per sostenere la fede, nutrimento per saziare il cuore, timone per dirigere il viaggio, aiuto per tenersi saldi alla salvezza; istruendo sulla terra le menti docili dei fedeli, le conducono ai regni del cielo.
Molte cose Dio fece annunciare e udire per bocca dei profeti; ma quanto maggiori sono le verità che annuncia il Figlio, la Parola di Dio che abitò nei profeti, come ci attesta con le sue stesse parole!
Ora, egli non comanda solo di preparare la via a colui che viene, ma egli stesso viene e ci apre, e ci indica la via affinché noi, che prima erravamo ciechi e alla ventura nelle tenebre di morte, illuminati dallo splendore della sua grazia, possiamo seguire la via della vita sotto la guida e la condotta del Signore.
Cipriano di Cartagine, La preghiera del Signore, 1
Usa dei beni creati quando e quanto ne richiede la ragione, ringraziandone colui che li ha creati e restandone, nell'uso, sempre padrone.
Non serba rancore, non si sdegna con nessuno, anche se meritevole d'odio per le sue malefatte; adora il Creatore e ama il suo prossimo, commiserandolo e pregando per la sua ignoranza.
Essendo legato a un corpo che per natura è soggetto alla sofferenza, insieme con esso effettivamente soffre; ma non è il dolore ciò che soprattutto lo muove.
Nelle circostanze indesiderabili, si eleva dal male a ciò che gli è proprio, ma non viene trascinato da ciò che gli è intimamente contrario: cede solo a ciò che è necessario, e fino a tanto che la sua anima resti illesa.
Non solo a parole o ad apparenze, infatti, vuole essere fedele, ma in coscienza e in verità, cioè con le opere certe e le parole efficaci.
Pertanto non solo loda il bene, ma si sforza di essere buono, diventando, da servo buono e fedele nell'amore, un amico per la sua perfezione morale, pienamente acquisita con la dottrina vera e l'esercizio.
Per questo si sforza di giungere al sommo della conoscenza spirituale; è ordinato nel suo comportamento, composto nel contegno, e ha fatto propri i tratti che sono caratteristici del vero illuminato.
Ne contempla perciò le belle immagini.
I molti patriarchi, che tanto successo ne ebbero, i numerosi profeti e gli angeli che non possiamo neppure numerare, e infine il Signore che gli ha insegnato come raggiungere una vita tanto alta, e lo ha reso capace di farlo.
Perciò non ama i beni del mondo, che pur gli sono a portata di mano, per non restar a giacere in terra, ma i beni che spera, o piuttosto i beni che già conosce e che spera un giorno di ricevere.
Pertanto sopporta i dolori, i tormenti e le tribolazioni, non come gli uomini virtuosi nel giudizio dei filosofi, nella speranza cioè che i mali presenti cessino e si possa di nuovo godere la tranquillità; ma la conoscenza spirituale ha prodotto in lui la persuasione incrollabile di poter raggiungere un giorno i beni futuri.
In tal modo disprezza non solo le pene di quaggiù, ma anche tutte le gioie.
Così raccontano che il beato Pietro, vedendo sua moglie condotta a morte, si allietò per la grazia di tale chiamata, per il ritorno di lei in patria, la esortò e la consolò, chiamandola per nome e dicendole: « Ricordati del Signore! ».
Così era il matrimonio di quegli uomini beati e tale perfezione aveva il loro affetto anche verso i più cari.
Egualmente anche l'Apostolo dice: Chi si sposa, sia come chi non si sposa ( 1 Cor 7,29 ); intendendo che il matrimonio sia libero dalla passione, che non distolga dall'amore per il Signore …
In ogni circostanza, dunque, l'anima del vero illuminato è piena di forza; è come il corpo di un atleta in ottima forma e al sommo delle sue possibilità.
É ben consigliato in tutte le realtà umane, perché misura col metro della giustizia ciò che si deve fare, e, desumendo dall'alto, da Dio, i princìpi per diventare a lui simile, ha acquistato una gran calma di fronte alle gioie e ai dolori del corpo; ma contro il timore insorge con audacia, con piena fiducia in Dio.
Perciò l'anima del vero gnostico è veramente un'immagine terrestre della potenza divina, adorna di virtù perfette, cresciuta nel bene per tutt'e tre questi fattori: la natura, l'esercizio e la ragione.
L'anima adorna di tanta beltà diventa tempio dello Spirito Santo, qualora abbia raggiunto, per tutta la sua vita, un comportamento degno del Vangelo.
Un tale uomo può combattere contro ogni timore e contro ogni pericolo; non solo contro la morte, ma anche contro la povertà, la malattia, il disonore e qualsiasi altra cosa del genere, perché non può essere vinto dal piacere e domina, con la ragione, le passioni.
Sa bene ciò che deve fare e ciò che non deve fare, perché ha appreso alla perfezione ciò che è veramente da temere e ciò che non lo è; perciò con piena conoscenza di causa sostiene ciò che è necessario e ciò che gli mostra la ragione; e così distingue con intelligenza ciò che è veramente sicuro, cioè il bene, da ciò che è pura apparenza e ciò che è veramente temibile da ciò che solamente si mostra tale, cioè la morte, la malattia e la povertà: concernono infatti più le apparenze che la verità.
É costui l'uomo veramente buono, che è estraneo alle passioni, perché per l'essenza e il comportamento della sua anima virtuosa ha superato completamente la vita soggetta alla passione.
Per lui, da lui solo dipende ciò che giova al conseguimento del fine.
Quelli che vengono detti i rovesci della fortuna non sono affatto temibili per un uomo tanto impegnato, perché non sono i veri mali; ma ciò che veramente è da temere è assolutamente estraneo al vero illuminato cristiano, perché è il vero male, opposto diametralmente al bene …
Così nel teatro della vita il vero gnostico svolge alla perfezione la parte di cui Dio lo ha incaricato, e sa ciò che deve fare e ciò che deve sopportare.
Clemente Alessandrino, Stromata, 7, 62,1-65,6
É giovane? Combatterà virilmente contro le passioni giovanili, e questo vantaggio trarrà dall'età: non indulgere alle inclinazioni della giovinezza, ma mostrare saggezza matura nel fiore e nel vigore del corpo; e per questa vittoria si allieterà più di quelli che vengono coronati con i giochi di Olimpia: otterrà la vittoria davanti alla scena di tutto il mondo, e una vittoria che con i soldi non si acquista.
Inclina ormai alla vecchiaia?
Ma non invecchierà nello spirito: accetterà la dissoluzione come il momento stabilito di una necessaria libertà.
Dolcemente trasmigrerà nell'aldilà, dove nessuno è immaturo e nessuno vecchio, ma tutti sono perfetti nell'età spirituale.
Ha avuto in sorte l'avvenenza? Una bellezza si rifletterà dall'altra: quella spirituale da quella del corpo.
La sua freschezza fiorisce senza macchia alcuna?
Si rivolgerà tutto a se stesso, ignorando perfino di essere osservato.
É brutto nelle apparenze esteriori?
Ma è nobile in ciò che non si vede, come una rosa fiorente e profumata, chiusa in un calice che non ha né rigoglio né odore.
É bello d'aspetto davanti ai figli degli uomini?
Non darà occasione di essere notato, volgendo l'attenzione di chi lo osserva all'uomo interiore.
Sta bene? Userà la sua salute nel modo migliore: esorterà, rimprovererà, parlerà con tutta franchezza, veglierà, dormirà a terra, digiunerà estenuando il corpo, contemplerà le cose terrene e quelle celesti, con ogni cura si preparerà alla morte.
É ammalato? Combatterà: e qualora fosse sconfitto, vincerà, ottenendo cioè di non dover più combattere.
É ricco? Studierà di diminuire le proprie ricchezze: quasi amministratore di sostanze altrui farà partecipe il bisognoso dei suoi beni e così quello godrà con lui, ed egli sarà accetto a Dio, null'altro avendo se non la croce e il corpo.
É povero? La sua ricchezza sarà Dio, la sua ricchezza sarà ridersi dei ricchi che continuamente guadagnano e continuamente hanno bisogno, perché a loro manca il più; che cioè bevono per aver più sete.
Ha fame? Verrà nutrito come gli uccelli, che vivono senza seminare e senza arare: vivrà con Elia a Zarepta e il vaso d'olio non diminuirà né l'orcio di farina scemerà ( 1 Re 17,14 ): quello sarà una sorgente perenne, questo non cesserà di versare il suo frutto per onorare la vedova ospitale e per nutrirne il nutritore.
Avrà sete? I fiumi gli offriranno la bevanda: una bevanda non inebriante e non misurata; e se tutto inaridisse per la siccità, egli sazierebbe la sete al ruscello.
Avrà freddo? Lo ebbe anche Paolo, ma fino a un certo punto: anche la pietra può essere un riparo, e ce ne fa fede Giobbe dicendo: Non avendo indumenti, indossarono la pietra ( Gb 24,8 ).
Ma osserva ora, ti prego, ciò che è più perfetto.
Verrà ingiuriato? Vincerà non ingiuriando. Sarà oggetto di persecuzioni?
Le sosterrà. Verrà bestemmiato? Supplicherà. Sarà calunniato? Pregherà.
Verrà percosso sulla guancia destra? Porgerà anche l'altra, e se ne avesse una terza, porgerebbe anche quella, per insegnare meglio la mitezza a colui che lo percuote, insegnandogli con le opere ciò che non può fare con le parole.
Verrà ricoperto di insulti? Lo fu anche Cristo: sarà per lui un onore partecipare alle sue sofferenze.
Anche se si sentirà chiamare samaritano, se sarà accusato di agire per opera del demonio, sosterrà tutto insieme con Dio.
E se molto avrà sopportato, molto ancora dovrà sopportare: l'aceto, il fiele, la corona di spine, lo scettro di canna, il manto di porpora; la croce, i chiodi, i ladroni con lui crocifissi, le ingiurie dei passanti.
La prima parte infatti deve essere di Dio, che più è stato oltraggiato e più ha sofferto.
Nulla è inespugnabile, nulla è invincibile come la sapienza cristiana.
Tutto cederà, prima del saggio …
Qualora tutto gli venga precluso sulla terra, sono pronte per lui due ali come di aquila: si rifugerà nella casa del suo padrone, spiccherà il volo verso Dio.
E per finire in breve: su due mai nessuno dominerà: Dio e l'angelo; e il terzo è il saggio, che nella materia non è materiale, nel corpo non è soggetto a limiti, sulla terra è celeste, nelle sofferenze non soffre, in tutto si lascia superare fuorché nell'elevatezza interiore; egli, lasciandosi vincere, vince coloro che credono di dominarlo.
Gregorio di Nazianzo, Discorso dopo il suo ritorno dalla campagna, 11-13
La luce della vera conoscenza consiste nel discernere senza errore il bene dal male: allora la via della giustizia, che conduce lo spirito a Dio, sole di giustizia, lo introduce anche nella illuminazione infinita della conoscenza, perché ormai esso si è posto arditamente alla ricerca della carità …
É necessario che quelli che combattono si mantengano sempre con la mente al di sopra del fluttuare delle passioni; così lo spirito potrà discernere i pensieri che l'attraversano e affiderà quelli che sono buoni e vengono da Dio alla custodia della memoria, mentre rigetterà da questo deposito naturale i pensieri cattivi e diabolici.
Infatti quando il mare è tranquillo, i pescatori possono penetrare con lo sguardo fino al fondo, tanto che non sfugge loro quasi nessun movimento degli esseri che lo popolano; ma quando è sconvolto dai venti, nasconde con la sua tempestosa agitazione quello che lascia ampiamente scorgere nella tranquillità della calma.
É evidente, allora, quanto sia inutile la fatica di coloro che si danno da fare con le arti della pesca …
Solo lo Spirito Santo può purificare lo spirito, perché se lui, il potente, non entra a strappare al ladro la sua preda ( Lc 11,22 ) nessuno gliela potrà più togliere.
Dobbiamo dunque cercare in tutte le cose, mediante la pace dell'anima, di offrire ospitalità allo Spirito Santo, per avere in noi sempre vivida la luce della conoscenza.
Infatti se essa splende ininterrottamente nell'intimo dello spirito, le suggestioni maligne e tenebrose dei demoni non solo si fanno evidenti, ma perdono gran parte della loro forza, messe così allo scoperto da questa luce santa e gloriosa.
Per questo l'apostolo dice: Non spegnete lo Spirito ( 1 Ts 5,19 ), cioè: non rattristate lo Spirito Santo con le vostre cattive azioni e i vostri cattivi pensieri, perché egli non vi privi dell'aiuto del suo splendore.
Non che la luce eterna e vivificante dello Spirito Santo si possa spegnere: ma la sua tristezza, cioè il suo allontanamento, lascia lo spirito avvolto nella più densa oscurità, privandolo della luce della conoscenza …
Il senso spirituale è il gusto sicuro con cui si è capaci di discernere le diverse realtà.
Come infatti il senso corporale del gusto, quando stiamo bene, ci fa distinguere senza errore le cose buone dalle cattive, e ci fa desiderare quello che è gradevole, così il nostro spirito, quando comincia a muoversi nel pieno delle sue forze e in assoluta libertà dalle preoccupazioni, può gustare pienamente la consolazione divina, senza mai essere sedotto da ciò che le si oppone …
E, attraverso l'azione della carità, conserva di questo gusto una memoria indefettibile, così da saper discernere il meglio secondo quello che dice l'apostolo: Questa è la mia preghiera: che la vostra carità cresca sempre di più nella conoscenza e nella finezza del senso, perché sappiate discernere il meglio ( Fil 1,9-10 ).
Diadoco di Foticea, Cento tesi sulla perfezione spirituale, 6,26.28.30
Per essere felici è necessario non soggiacere a privazione, cioè essere sapiente.
Ma forse voi chiedete che cosa sia la saggezza, poiché il pensiero umano, per quanto gli è possibile in questa vita, ha già tentato di analizzare e chiarire anche il suo significato.
Non è altro che la misura dello spirito con cui esso raggiunge l'equilibrio in maniera da non effondersi nel troppo né restringersi al di sotto del limite della pienezza.
S'effonde nella lussuria, nella volontà di dominio, nell'orgoglio e simili, con cui lo spirito di individui incapaci di moderazione e infelici crede d'accaparrarsi gioie e potenza.
Si restringe nell'avarizia, nella pusillanimità, nella tristezza, nella cupidigia e altri mali di varia specie, a causa dei quali anche gli infelici ammettono che gli uomini sono infelici [ Cicerone, Tusculanae, 4, 7,16-9,22; Diogene L., 7,110-116 ].
Agostino, La felicità, 4,33
É detto: Apprendano i tuoi figli che ami, o Signore, che non è la produzione dei frutti a nutrire l'uomo, ma è la tua parola che conserva coloro che confidano in te ( Sap 16,26 ), perché non di pane vive il giusto ( Dt 8,3 ).
Sia dunque umile e semplice il nostro pranzo, adatto alla veglia, non un miscuglio di sapori raffinati: neppure esso, dunque, sottratto alle norme del Pedagogo [ Cristo ].
Infatti « buon educatore dei giovani » allo spirito di solidarietà è l'amore, che ha uno splendido viatico: l'autosufficienza.
Essa, mirando alla giusta distribuzione del cibo, ha cura salutare del corpo e insieme può distribuirne ai vicini; ma un tenore di vita che trascende la giusta misura danneggia l'uomo: gli impigrisce l'anima e gli rende il corpo proclive ai malanni.
Inoltre il piacere difficile e incontentabile del cibo si tira addosso biasimevoli qualifiche: ghiottoneria, voracità, golosità, insaziabilità, ingordigia …
Non dobbiamo essere prodighi come, nella parabola evangelica, il figlio del ricco; non dobbiamo abusare dei doni del Padre; dobbiamo invece usarne mantenendone sempre il controllo; ci è stato assegnato infatti di regnare, di signoreggiare sui cibi, non di servirli.
Il compiacimento di quelli che hanno innalzato gli occhi alla verità, è dipendere tanto strettamente dal cibo di lassù, dal nutrimento divino, e saziarsi con la contemplazione inesausta di colui che veramente è, gustandone la gioia salda, immutabile e pura.
E che noi dobbiamo attenderci questo cibo, ce lo mostra la mensa di Cristo.
É' certamente irrazionale, inutile e disumano nutrirsi della morte, come bestie all'ingrasso, guardando a terra, sempre curvi al suolo come a propria mensa, seguendo una vita dissoluta; seppellire il bene quaggiù, in questa vita, che presto più non sarà, apprezzando solo la gola, per la quale sono più utili i cuochi che gli agricoltori.
Non intendiamo toglier di mezzo le relazioni conviviali, ma la lubricità di un'abitudine che consideriamo una sciagura.
Dobbiamo dunque respingere la ghiottoneria, prendendo quel poco che è veramente necessario; se poi qualche infedele ci invita e riteniamo di dover accettare ( è bene infatti non mescolarci con gli uomini dissoluti ) l'Apostolo ci ordina di mangiare tutto ciò che ci viene posto davanti, senza porci problema di coscienza ( 1 Cor 10,27 ); similmente ci ha comandato di comprare ciò che viene venduto al macello, con semplicità e senza andar indagando ( 1 Cor 10,25 ).
Non dobbiamo dunque astenerci completamente dai vari cibi, ma non dobbiamo porre in essi tutte le nostre cure.
Dobbiamo mangiare ciò che ci viene offerto come conviene ai cristiani, onorando cioè colui che ci invita con una partecipazione incensurabile e moderata alla sua riunione conviviale, ma restando indifferenti davanti alla sontuosità delle portate, disprezzando le squisitezze come realtà che, tra poco, più non saranno.
Chi mangia, non disprezzi colui che non mangia; e chi non mangia, non giudichi colui che mangia ( Rm 14,3 ).
E poco sotto, espone anche il motivo di tale norma, dicendo: Chi mangia, mangia per il Signore e rende grazie a Dio, e chi non mangia, non mangia per il Signore, e rende grazie a Dio ( Rm 14,6 ); l'alimentazione giusta è così un rendimento di grazie; ma chi continuamente ringrazia non dedica il suo tempo ai vizi.
Se poi intendessimo eccitare alla virtù qualcuno dei nostri commensali, tanto più dovremmo astenerci da tali cibi raffinati, presentando noi stessi come esempio lampante di virtù, come noi stessi abbiamo in Cristo un modello.
Se poi qualcosa di tali cibi scandalizza il fratello - dice - non ne mangerò in eterno, per non far del male al mio fratello ( 1 Cor 8,13 ).
Con una piccola astinenza guadagno un uomo.
Ma non abbiamo dunque libertà di mangiare e bere? ( 1 Cor 9,4 ).
Abbiamo conosciuto la verità, risponde, che nulla sono gli idoli nel mondo, ma è vero solo l'unico nostro Dio da cui tutto proviene e l'unico Signore Gesù ( 1 Cor 8,4 ).
Ma per la tua certezza di coscienza, dice, va in rovina il fratello debole, per il quale Cristo è morto.
Ora, quelli che sconvolgono la coscienza dei fratelli deboli, peccano contro Cristo ( 1 Cor 8,11 ) …
Cibarsi di carne è più consono alle belve: l'esalazione che da essa promana è torbida e offusca l'anima.
Se poi qualcuno se ne ciba, non pecca, purché usi moderazione: non si dia tutto e non si leghi ad essa sospirando continuamente tale cibo, altrimenti per lui risuonerebbe la voce che dice: Non distruggere, per un cibo, l'opera di Dio ( Rm 14,20 ).
É insensato ammirare, contemplare a bocca aperta le pietanze dei soliti banchetti, dopo essersi nutriti nel Verbo; ma è molto più insensato che gli occhi siano gli schiavi delle pietanze e che, per così dire, essi con la loro intemperanza vengano portati in giro dai servi.
E non è sconveniente sollevarsi sugli scanni, quasi cacciando il volto nei piatti di portata, protendendosi dalle sedie come da nidi per, come si dice, riuscir ad aspirare i profumi vaganti?
E non è stolto immergere continuamente le mani nei sughi o tenderle continuamente verso la carne, non come per servirsene, ma quasi per rapirla, riempiendosi senza misura e senza decoro?
Si può ben vedere che costoro, per la loro voracità, sono più simili ai porci o ai cani che agli uomini: si danno tanto da fare per riempirsi, che si gonfiano tutt'e due le ganasce, mentre le vene intorno al volto inturgidiscono.
Frattanto grondano sudore, oppressi dall'insaziabilità, sospirando per l'ingordigia, cacciandosi nel ventre il cibo in fretta, per non lasciar nulla agli altri, come se ammucchiassero le vivande per un viaggio, non per una digestione.
La smoderatezza è sempre cattiva, ma soprattutto nel cibo è condannabile.
Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 2,7-11
Non ci occupi la mente l'immagine delle cose temporali e non trascini la nostra contemplazione dai beni celesti a quelli terreni.
Consideriamo ormai passate le realtà che nella loro massima parte già più non sono, e il nostro animo, intento a quelle che per sempre restano, ivi fugga il suo desiderio ove l'offerta è eterna.
Per quanto infatti siamo salvi solo ancora nella speranza e per quanto portiamo ancora la carne mortale, è giusto dire che non viviamo nella carne se non ci dominano gli affetti carnali; e a buon merito cessiamo di prender nome da ciò, le cui voglie più non seguiamo.
L'Apostolo dice: Non accarezzate la carne per soddisfarne le brame ( Rm 13,14 ); non riteniamo per questo che ci sia interdetto ciò che è necessario alla salute e che l'umana debolezza richiede; ma poiché non si deve essere schiavi di tutti i desideri né bisogna soddisfare tutto ciò che la carne desidera, riteniamolo un ammonimento di attenerci alla norma della temperanza; perciò non concediamo il superfluo né neghiamo il necessario alla carne, che è costituita sotto il dominio dell'animo.
Perciò lo stesso Apostolo dice altrove: Nessuno ha mai odiato la sua carne, ma ciascuno la nutre e cura ( Ef 5,29 ): non certo nel vizio, non certo nella lussuria, ma in ciò che le è dovuto dobbiamo nutrirla e curarla; così la natura rinnovata sarà nel suo ordine, le parti inferiori non prevarranno, perversamente e turpemente, su quelle superiori né sotto di esse soccomberanno, e non accadrà che sia schiavo ciò che deve essere padrone; quando cioè i vizi superassero l'animo.
Riconosca dunque il popolo di Dio di essere, in Cristo, una nuova creatura; rifletta, con attenzione desta, da chi è stato accolto e chi ha ricevuto.
E ciò che è stato rinnovato, non torni all'instabilità del vecchio stato; non interrompa il suo lavoro chi ha posto mano all'aratro, ma badi a ciò che semina; non guardi ciò che ha abbandonato.
Nessuno ricada laggiù da dove si è rialzato e, se per la debolezza del corpo giace ancora in qualche infermità, desideri costantemente di esserne guarito e risollevato.
É questa la via della salvezza, è questa l'imitazione della risurrezione che ha già avuto inizio in Cristo: e poiché sulla via lubrica di questa vita non mancano gli sdruccioloni e le cadute, i passi di chi avanza dal terreno instabile si posino su quello fisso, come sta scritto: Dal Signore vengono diretti i passi degli uomini, ed egli ne approva la via.
Se il giusto cade, non si fa male, perché Dio gli pone sotto la mano ( Sal 37,23-24 ).
Leone Magno, Sermoni, 71,5-6
Svegliati, uomo, e riconosci la dignità della tua natura.
Ricorda che sei stato fatto a immagine di Dio, immagine che, se in Adamo è andata corrotta, in Cristo tuttavia è stata rinnovata.
Usa, come va fatto, delle creature visibili, come usi della terra, del mare, del cielo, dell'aria, delle sorgenti e dei fiumi; ciò che vi è di mirabile in essi, riferiscilo a lode e gloria del Creatore.
Non lasciarti prendere tutto da quella luce che allieta gli uccelli e i serpenti, le bestie e gli armenti, le mosche e i vermi.
Tocca col senso del corpo la luce corporea, ma con tutto l'affetto dell'animo abbraccia quella luce vera che illumina ogni uomo che viene in questo mondo ( Gv 1,9 ), di cui dice il profeta: Avvicinatevi a lui e sarete illuminati, e i vostri volti non arrossiranno ( Sal 34,6 ).
Se, infatti, siamo tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in noi, è maggiore ciò che ogni fedele porta nel suo animo di ciò che si ammira nel cielo.
Ma non con questo, dilettissimi, vi ammoniamo o persuadiamo di disprezzare le opere di Dio o di stimare contrario alla vostra fede ciò che Dio ha creato di buono; lo facciamo perché usiate con temperanza e con intelligenza di ogni realtà creata e di tutta la bellezza dell'universo: Le realtà che si vedono infatti - come dice l'Apostolo - sono temporanee; quelle invece che non si vedono, sono eterne ( 2 Cor 4,18 ).
Perciò, noi che siamo nati alle realtà presenti, ma anche rinati a quelle future, non dedichiamoci ai beni temporali, ma dedichiamoci tutti a quelli eterni.
Leone Magno, Sermoni, 27,6
La vita eremitica e la vita comune sono per lo più in contrasto e in opposizione tra di loro, e né l'una né l'altra hanno in sé o il bene o il male allo stato puro.
L'una è più tranquilla, più ordinata, più ci unisce a Dio, ma non è modesta, perché la virtù non vi è messa alla prova o a confronto.
L'altra è più attiva e utile, ma non sfugge alle tempeste.
San Basilio le conciliò e unì magnificamente tra di loro.
Costruì ritiri ed eremi non lontani dalle abitazioni dedicate alla vita comune e socievole, né vi interpose un muro a separazione e divisione; li unì invece, pur nella distinzione, perché così la vita contemplativa non fosse priva della comunità e la vita attiva non fosse priva di contemplazione.
Precisamente come la terra e il mare comunicandosi a vicenda i propri beni concorrono insieme all'unica gloria di Dio.
Gregorio di Nazianzo, Discorso funebre in lode di Basilio il Grande, 62
Un altro navighi pure dedicandosi al commercio, attraversi i vasti mari, combatta senza posa con i venti e i marosi, facendo gran guadagni, se l'imbrocca, o correndo rischi enormi: chiunque cioè è appassionato di mare o di commercio.
Per me è ben preferibile restarmene a terra, arare un campicello piccolo e dolce, salutare da lontano i guadagni e il mare, vivere così come posso con un po' di pane, passando i miei giorni però nella sicurezza e nella calma, piuttosto che gettarmi in un pericolo continuo e grave per avere grandi introiti.
Per un uomo superiore, è certo un danno non affrontare grandi imprese, non estendere la sua virtù a molti, ma fermarsi nel poco, come una gran luce che illuminasse una piccola dimora o come un armamento , virile che ricoprisse il corpo di un fanciullo.
Ma per l'uomo modesto, la salvezza è sobbarcarsi a pesi limitati, è non esporsi, per imprese che superano la sua forza, alle risate e insieme al pericolo.
Proprio come costruire una torre conviene solo a chi può condurla a compimento, come abbiamo sentito ( Lc 14,28 ).
Gregorio di Nazianzo, Il sacerdozio, 100-101
Anche l'ilarità bisogna imbrigliare: il riso moderato è segno di decoro, il riso sconveniente, invece, indica smoderatezza.
In breve: tutto ciò che agli uomini è naturale, non lo si deve abolire, ma gli si deve imporre misura e tempo debito.
Per il fatto che l'uomo è un animale capace di ridere, non si deve ridere sempre, proprio come il cavallo, che pur può nitrire, non nitrisce sempre; dobbiamo dunque, da animali ragionevoli, trovare da noi stessi la giusta misura, raddolcendo in modo conveniente l'asprezza e la tensione della nostra serietà, senza lasciarci andare in modo sconveniente.
Il rilassamento decoroso del volto - quasi di uno strumento, in tutta armonia - viene detto sorriso: è il riso dei saggi …
Lo stolto ridendo eleva la voce - dice la Scrittura - e l'uomo accorto sorride sommessamente ( Sir 21,20 ).
Chiama accorto l'uomo le cui interne disposizioni sono contrarie a quelle dello stolto.
E ancora, non si deve essere tristi, ma seri: accetto più colui che mostra di sorridere su di un volto grave che chi sorride con volto non dignitoso: il suo ridere è meno risibile.
Anche il sorriso infatti deve essere educato.
Se si tratta di qualcosa di indecente, è meglio che ci vedano arrossire piuttosto che sorridere, per non sembrare di acconsentirvi partecipandovi.
Se si tratta invece di qualcosa di triste, è meglio che ci vedano abbattuti piuttosto che mostrare letizia: quello è segno di umana riflessione, questo invece è indizio di crudeltà.
E non si deve ridere sempre - è smoderatezza -, né alla presenza di anziani o di chi è degno altrimenti di rispetto, a meno che essi stessi per rallegrarci non escano in qualche battuta.
E non si deve ridere davanti a chiunque, né in ogni posto, e non per tutti o su tutto.
Ma in particolare per i giovani e le donne, vederli ridere può essere occasione di maldicenza.
Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 2,46-47
Per ciò che si riferisce ai bagni, vi sono quattro motivi per cui vi ci rechiamo: per pulizia o per scaldarci, o a pro della salute o, infine, per piacere.
Di fare il bagno per piacere, dobbiamo evitarlo: è assolutamente da escludere il divertimento inverecondo; invece le donne lo hanno da fare per motivo di purificazione e di igiene, gli uomini solo per igiene.
Ma il bagno per scaldarsi è superfluo, perché anche in altri modi è possibile alleviare il rigore del freddo.
L'uso ininterrotto del bagno fiacca le forze, allenta il vigore fisico e spesso è causa di prostrazione e svenimenti.
In un certo modo, infatti, tutto il corpo beve, come gli alberi; non solo dalla bocca, ma, durante il bagno, anche dai cosiddetti pori, diffusi su tutto il corpo.
Ed eccone una prova: spesso degli assetati, immersi in acqua, hanno sentito calmarsi la sete.
Ammesso dunque che il bagno abbia qualche utilità, non dobbiamo in esso scioglierci: « scardasseria degli uomini » lo chiamavano gli antichi: fa raggrinzire il corpo prima di quanto conviene e, rosolandolo, lo costringe ad invecchiare avanti tempo, perché la carne, proprio come il ferro, si rammollisce al calore.
Per questo abbiamo bisogno di immergerci poi nell'acqua fredda, come in un bagno di tempera …
Si deve lavare soprattutto l'anima con la lustrazione del Verbo, e talvolta anche il corpo per la sporcizia che gli si appiccica; tuttavia qualche volta anche per liberarsi dalla stanchezza …
Per i giovani basta la palestra, anche se ci fosse annesso il bagno.
Anzi, forse anche per gli uomini non sarebbe male se ai bagni preferissero gli esercizi ginnici, che sono utili ai giovani per mantenersi in salute ed eccitano in loro l'impegno e l'entusiasmo a curare non solo il vigore fisico, ma anche la fortezza d'animo.
Se avviene questo, senza che si lascino distogliere dalle realtà più importanti, è certo bello e non inutile.
E non bisogna escludere neppure le donne dall'esercitare il corpo; però non devono essere esortate alla lotta o alla corsa, ma devono esercitarsi nel filare e nel tessere e nel prendere parte alla cottura del pane, se necessario.
Con le loro mani esse devono portare dai ripostigli ciò di cui abbiamo bisogno, e non è vergogna, per loro, recarsi al mulino.
Per una donna sposata, poi, regina della casa e collaboratrice dell'uomo, non è certo vergogna occuparsi in cucina per far piacere al marito.
Se inoltre rifà i letti con le proprie mani, se offre da bere al marito assetato, se gli prepara il cibo, compie un esercizio corporeo decorosissimo e utile alla salute.
É questa la donna che il Pedagogo [ Cristo ] approva; essa tende le braccia a lavori utili, appoggia le sue mani al fuso, apre le mani al povero, tende la palma al mendico ( Pr 31,19-20 ), e non si vergogna del compito più importante: imitando Sara si affretta a soccorrere i viandanti.
Abramo le disse: Presto, intridi tre misure di farina e fa' una focaccia sulla brace ( Gen 18,6 ).
Ma Rachele, la figlia di Labano, dice ancora, venne con le pecore di suo padre; e non basta ciò, ma per mostrarne tutta la modestia soggiunge: Essa infatti pascolava le greggi del padre ( Gen 29,9 ).
E mille esempi simili di semplicità e di laboriosità, e perciò anche d'esercizio fisico, ci mostrano le Scritture.
Gli uomini, invece, o si esercitino nudi nella lotta o, all'aperto, con la piccola palla, si dedichino soprattutto al gioco detto « phaininda ».
Per altri può bastare il passeggio, o recandosi in campagna o muovendosi in città.
Che se prendono in mano una zappa, quest'utile occuparsi in un esercizio agricolo non è certo vergognoso.
E quasi dimenticavo di ricordare che il noto Pittaco [ di Mitilene, uno dei sette sapienti dell'antica Grecia vissuto tra il 640 e il 570 ], re dei mitileni, si dedicava alla molitura, sottoponendosi a un esercizio fisico veramente impegnativo.
Ed è bello attingere da se stessi l'acqua e spaccare la legna di cui si ha bisogno …
Per molti, talvolta, anche la lettura ad alta voce è un esercizio fisico.
Per ciò che si riferisce alla lotta, che pur abbiamo ammesso, non dobbiamo dedicarvici per un'inutile ambizione di vincere, ma per versare un virile sudore; e non bisogna affaticarsi per acquistare abilità e mostrare un'arte particolare, ma praticare la lotta in piedi, con il retto movimento del collo, delle mani e dei fianchi.
É più decoroso e più degno di un uomo questo esercizio, dignitosa espressione di forza, cui ci si dedica per un più proficuo vantaggio alla salute.
Gli altri generi di lotta invece presentano un esercizio corporeo svolto con movimenti non decorosi.
Ma in tutto bisogna mirare alla misura.
Come è meglio che gli esercizi precedano il cibo, così affaticarsi oltre misura è male, è opprimente e deleterio per la salute.
Non bisogna essere né del tutto inattivi né esageratamente occupati.
Quello che abbiamo spiegato riguardo al cibo vale sempre e in tutti i casi: non bisogna condurre un genere di vita dedito al vizio e alla sfrenatezza, e neppure il genere contrario, privo di ogni misura; ma quello che sta a metà tra i due eccessi: temperato e moderato, che si tiene lontano dai due mali opposti: la dissolutezza e la grettezza.
Clemente Alessandrino, Il pedagogo, 3,46-47.49-51
Credo che tutti gli uomini dotati di intelletto convengano che l'educazione è il primo dei nostri beni; e non solo l'educazione più eccellente - la nostra -, che disprezza ogni ambizione e ogni ricercatezza nei discorsi e si attiene unicamente alla salvezza e alla beltà delle realtà intelligibili, ma anche quella pagana, dai cristiani per lo più aborrita come un pericolo e un'insidia che ci distoglie da Dio - e in ciò non vedono bene -.
Ma il cielo, la terra, l'aria e ciò che loro appartiene, non dobbiamo disprezzarli per il fatto che alcuni li hanno malamente stimati e hanno adorato queste creature di Dio opponendosi a Dio; dobbiamo invece cogliere ciò che in esse è utile alla vita o alla gioia e fuggire ciò che è pericoloso, non contrapponendo il creato al Creatore, come fanno gli stolti, bensì conoscendo dalle realtà fatte il Fattore e, come dice l'Apostolo, assoggettando ogni intelletto, quale prigioniero, all'obbedienza a Cristo ( 2 Cor 10,5 ).
Parimenti il fuoco, il cibo, il ferro e tutto il resto non li consideriamo completamente utili o completamente dannosi in se stessi, ma come pare a coloro che li adoperano: perfino fra i rettili ve ne sono alcuni che usiamo nei nostri farmaci.
Allo stesso modo noi accettiamo dalle scienze pagane la contemplazione e l'investigazione della natura; rigettiamo invece ciò che in esse porta ai demoni, all'errore, all'abisso della perdizione.
Anzi, siamo da esse aiutati alla vera religiosità, perché da ciò che è inferiore siamo condotti alla conoscenza di ciò che è superiore, avendo fatto della loro debolezza la forza della nostra dottrina.
Non dobbiamo perciò disprezzare l'educazione, come fanno alcuni, e dobbiamo considerare stolti e ineducati quelli che così la pensano e vogliono che tutti convengano con loro, affinché la loro ignoranza resti celata nell'ignoranza comune e sia loro possibile sfuggirne la condanna.
Gregorio di Nazianzo, Discorso funebre in onore di Basilio il Grande, 11
Sono molti i motivi che mi invitano, o ragazzi, a consigliarvi ciò che giudico il meglio e che ritengo veramente utile a voi, se lo abbraccerete.
Aver già la mia età, aver subìto il travaglio di tanti eventi, aver provato la buona sorte e quella cattiva - fatto questo che veramente educa -, tutto ciò mi ha reso esperto della realtà umana, tanto che mi è ben possibile additare a voi, che entrate ora nella vita, la strada più sicura.
Dopo i vostri genitori, vi sono per natura tanto vicino, da ritenere che né il mio affetto per voi sia inferiore a quello dei vostri padri, né voi sentiate la mancanza dei vostri genitori, se non sbaglio a giudicare il vostro animo, quando vedete me.
Se dunque accogliete di buon animo le mie parole, vi troverete nella seconda delle situazioni di cui tanto bene parla Esiodo; se non è così, perché io non debba dire qualcosa di molesto, voi stessi richiamate alla memoria i suoi carmi, in cui dice che il migliore è colui che sa abbracciare da sé con lo sguardo quello che deve eleggere; ma è buono anche chi segue le indicazioni altrui; invece chi non è capace né dell'uno né dell'altro, è completamente inutile.
Non meravigliatevi se asserisco che anche per voi - che pur ogni giorno frequentate maestri e, tramite gli scritti da loro lasciati, siete in contatto con gli uomini antichi più famosi - io vi ho trovato da me qualcosa di utile.
Questo dunque vengo a consigliarvi: non bisogna che voi, una volta per tutte, consegnate a questi uomini quasi il timone e la vela della vostra anima, quasi fosse una barca, seguendoli ovunque vi conducano; dovete invece sia accettare da loro ciò che è utile, sia notare ciò che si deve scartare.
Tanto questo che quello, e come poterlo giudicare: ecco ciò che vi insegnerò.
Noi, o ragazzi, non consideriamo nostra unica ricchezza questa vita umana e non stimiamo né chiamiamo bene assoluto ciò che ci procura un utile solo per quaggiù.
Non giudichiamo dunque grande né lo splendore degli avi, né la forza del corpo, o la bellezza, o la grandezza, o la stima attribuitaci da tutti gli uomini, e neppure la stessa dignità regale, tutto quello, cioè, che si dice umanamente valido; anzi, neppure lo riteniamo degno di essere desiderato e, se l'abbiamo, non lo teniamo in considerazione.
Ma nella nostra speranza noi procediamo verso qualcosa di ben più grande, e tutto facciamo per procurarci un'altra vita.
Quello che giova per acquistarla, diciamo che lo si deve amare e seguire con tutte le forze; quello invece che con essa non ha riferimento lo accantoniamo come del tutto indegno.
Come sia questa vita, e dove e come condurla, sarebbe più lungo di quanto la presente esortazione ammetta e sarebbe adatto per un uditorio più adulto di quanto voi non siate.
Dirò solo questo, e forse basterà a dimostrarvelo: se uno raccogliesse in un unico discorso e mettesse insieme tutta la felicità che vi è stata da quando gli uomini esistono, troverebbe di non poterla paragonare alla minima parte di quei beni, ma tutto il complesso della felicità di quaggiù dista dal più piccolo di essi quanto l'ombra e il sogno distano dalla verità.
O meglio, per usare un esempio più appropriato, quanto l'anima è più preziosa di ogni realtà corporea; tale è la differenza tra le due vite.
A questa vita ci conducono le sacre pagine ammaestrandoci con i loro misteri; ma fino a quando per la giovane età non ci è possibile comprenderne la profondità di significato, esercitiamo gli occhi della nostra anima in altri scritti, che non sono completamente estranei a quelle, ma le riflettono quasi come ombre e specchi; e in ciò imitiamo le esercitazioni tattiche: i soldati che hanno acquistato destrezza nel giusto movimento delle mani e nel salto, colgono il frutto di tale allenamento nella battaglia.
Ora, dobbiamo esser convinti che anche noi abbiamo da sostenere una battaglia, e più grande di tutte le altre; e dobbiamo fare di tutto, dobbiamo sostenere tutto con ogni sforzo per prepararvici; dobbiamo perciò approfittare dei poeti, degli storici, degli oratori e di tutti gli uomini, da cui può provenirci qualche utilità per la cura della nostra anima.
Come dunque i tintori prima assoggettano a una preparazione ciò che intendono tingere e poi lo immergono nel bagno o di porpora o di altro, allo stesso modo anche a noi, se vogliamo che la gloria del bene resti in noi indelebile in ogni tempo, conviene incominciare da questi autori estranei, e poi prestare la nostra attenzione alle dottrine sacre e misteriose: abituatici così a vedere quasi il sole nell'acqua, potremo poi fissare nella sua luce i nostri occhi.
Se nei due diversi insegnamenti vi è qualche affinità, ci è molto utile conoscerla; in caso contrario, farne il confronto e notarne la differenza non è un piccolo vantaggio per rafforzarci nel bene.
E a cosa potremo confrontare la formazione umana e quella sacra, per averne un'immagine viva?
Penso che, come la virtù specifica della pianta sia portare frutto a suo tempo, ma anche le foglie che ne circondano i rami le conferiscono un certo ornamento, così per l'anima il frutto essenziale è la verità, ma non è brutto che sia adorna anche della sapienza profana, come le foglie che fanno ombra al frutto e gli conferiscono un bell'aspetto.
É detto che anche Mosè, tanto celebre, il cui nome, per la sua saggezza, è il più grande tra tutti gli uomini, prima esercitò la mente nelle scienze degli egiziani, e così giunse alla conoscenza di Colui che è ( Es 3,14 ).
Similmente, in tempi posteriori, anche del saggio Daniele in Babilonia è detto che prima apprese la sapienza dei caldei e poi giunse agli insegnamenti divini.
Che queste scienze profane non siano inutili all'anima, lo abbiamo detto abbastanza.
Dobbiamo esporre ora in quale modo dovete dedicarvici.
Anzitutto riguardo a ciò che dicono i poeti, che tanto vari sono nei loro discorsi ( per cominciare da qui ), non a tutto bisogna che applichiate la vostra mente; ma quando vi espongono le azioni e i discorsi di uomini virtuosi, dovete amarli, studiarli e imitarli per quanto possibile; quando invece vengono a parlare di uomini scellerati, dovete fuggirne il ricordo, chiudendovi le orecchie, non meno di quanto essi dicono che abbia fatto Ulisse al canto delle sirene.
L'abitudine ai discorsi cattivi, infatti, è la strada che conduce alle opere cattive.
Bisogna perciò custodire l'animo con ogni cura, perché non ci avvenga che, senza notarlo, accogliamo qualcosa di perverso nell'anima, come coloro che assorbono il veleno mescolato al miele.
Non loderemo dunque i poeti quando parlano male o scherniscono, oppure quando rappresentano amanti o ubriaconi, e neppure quando stabiliscono come sola felicità la mensa abbondante e i canti dissoluti.
Ma soprattutto non presteremo loro attenzione quando parlano degli dèi, in particolare quando ce ne presentano molti e contrari l'un l'altro.
Presso di loro il fratello dissente dal fratello e lo combatte; e così il padre verso i figli, mentre questi conducono verso i padri una guerra implacabile.
Gli adulteri degli dèi, i loro amori, le loro unioni palesi e soprattutto quelle di Giove, capo e sovrano di tutti, come essi dicono - se qualcuno le attribuisse alle bestie ne dovrebbe arrossire -, lasciamole ai commedianti.
Lo stesso ho da dire riguardo agli storici, soprattutto quando parlano solo per accattivarsi e sollazzare l'animo dei lettori.
E non imiteremo certo la perizia nel mentire dei retori: né nei processi né in altre occasioni, mai la menzogna si addice a noi, che nella vita abbiamo eletto la strada retta e vera e che abbiamo una legge che ci vieta perfino di intentare lite.
Ma volentieri accetteremo i loro discorsi quando lodano la virtù o biasimano il vizio.
Come gli altri insetti hanno diletto solo dall'odore e dal colore dei fiori, mentre le api ne sanno succhiare anche il miele, così coloro che non cercano solo da dolcezza e la grazia in tali discorsi, ne sanno ricavare vantaggio anche per la loro anima.
Proprio alla stregua di questo paragone con le api dovete dedicarvi alla lettura di questi libri.
Esse non si posano indiscriminatamente su tutti i fiori, e anche da quelli su cui volano non cercano di portar via tutto, ma prelevato da essi ciò che è utile per il loro lavoro, lasciano volentieri indietro il resto.
E noi, se siamo saggi, raccoglieremo da questi libri ciò che è adatto per noi e corrispondente alla verità, e tralasceremo il resto.
E come cogliendo i fiori del roseto evitiamo le spine, così da questi scritti coglieremo ciò che è utile ed eviteremo ciò che è nocivo.
Basilio il Grande, Esortazione alla gioventù, 1-3
Odo obiettarmi: molti oggetti sono stati introdotti da coloro che il mondo pagano ritiene dèi; eppure sono oggi in nostro uso, come in quello dei santi antichi; li troviamo tra le cose di Dio e in Cristo stesso, che svolse funzione di uomo non altrimenti che usando tali strumenti comuni alla condotta umana.
Ammetto che sia così, e non voglio neppure, per ora, discuterne dettagliatamente l'origine.
Mercurio inventò le lettere dell'alfabeto; confesso che sono necessarie alla nostra attività e agli stessi nostri rapporti con Dio.
Ma se egli in sogno tese le corde sonore, non posso negare - udendo Davide - che questa scoperta fu utile ai santi e al servizio di Dio.
Esculapio fu il primo a trovare le medicine; e mi ricordo che Isaia ordinò appunto una medicina a Ezechia, come anche Paolo sa che un po' di vino fa bene allo stomaco.
Minerva per prima usò la nave; vedo che navigarono Giona e l'Apostolo.
C'è di più: anche Cristo usò vesti e Paolo ebbe un mantello.
Se per ogni suppellettile e per ogni singolo oggetto dicono che un dio ne è l'autore, debbono pur ammettere che Cristo giacque in un letto, che pose un catino davanti ai piedi dei discepoli, che vi versò l'acqua dall'orcio e che si cinse con un grembiule, veste propria della dea Osiride.
A tali questioni rispondo così, in generale: ammetto che questi strumenti ci siano comuni, ma ne sottolineo la distinzione fra uso intelligente e non intelligente, perché l'uso indistinto, alludendo alla corrotta origine con cui si assoggetta alla vanità, inganna.
Diciamo dunque che si addicono all'uso nostro e a quello dei nostri padri, alle cose di Dio e allo stesso Cristo gli oggetti che ci procurano semplice utilità o aiuto certo o onesto sollievo nelle necessità della vita umana; e dobbiamo credere che siano state ispirate da Dio stesso, che per primo ha ordinato, istruito, e se necessario, allietato la vita dell'uomo suo.
Ma gli oggetti che eccedono quest'ordine non convengono ai nostri usi - dobbiamo riconoscerlo -, soprattutto quelli che, per questo motivo, non troviamo nel nostro procedere né nelle cose di Dio né nella condotta di Cristo.
Tertulliano, La corona, 8
I nostri maestri cercano in ogni modo di innalzare le anime al Creatore di tutte le cose e ricordano che noi dobbiamo dar poca importanza a tutte le realtà sensibili, temporali e visibili, e dobbiamo far di tutto per giungere all'unione con Dio, alla contemplazione delle realtà spirituali e invisibili e alla vita beata con Dio e gli amici di Dio …
Noi distogliamo le donne dall'impurità e dall'infedeltà matrimoniale, da ogni mania per il teatro e le danze e dalla superstizione.
Raffreniamo i ragazzi, appena giunti a maturità e tutti presi dalle sollecitazioni sessuali, esponendo loro non solamente la vergogna di chi si abbandona a questi peccati, ma in quale situazione venga per essi a trovarsi l'anima dei cattivi, quali pene ha da aspettarsi e come verrà punita …
Con tutte le nostre forze invitiamo anche coloro che si dedicano alle dottrine dei filosofi di accettare la nostra religione, convincendoli della sua elevatezza e purità …
Annunciamo loro - e con tutta franchezza, apertamente -, che saranno beati per l'eternità quelli che vivono secondo la parola di Dio, che tutto a lui riferiscono e compiono tutte le loro azioni sotto il suo sguardo …
Se distogliamo i giovani dai precettori che espongono loro commedie oscene, giambi impuri e altre cose che non migliorano chi le presenta né sono utili a chi le ascolta perché questi non sanno udire le poesie con atteggiamento filosofico e quelli non sanno soggiungere a ciascuna poesia ciò che è utile e giovevole ai giovani; se facciamo così, dunque, non ci vergogniamo di confessarlo.
Ma se mi presenti dei precettori che preparano alla filosofia ed esercitano nella filosofia, non distoglierò da loro i giovani; invece cercherò di innalzarli, quando saranno esercitati in tutte le scienze e le discipline filosofiche, alla sacra, all'eccelsa, all'ancora ai più nascosta dottrina dei cristiani; dei cristiani che parlano delle realtà più grandi e necessarie, che le espongono e dimostrano trattarsi di una filosofia già annunciata dai profeti di Dio e dagli apostoli di Gesù.
Origene, Contro Celso, 3,56-58
Un altro capo d'accusa ci si addebita: si pretende che noi siamo sterili negli affari.
Ma come potremmo esserlo, se viviamo insieme con voi, con lo stesso tenore, gli stessi abiti e suppellettili, per una medesima necessità d'esistenza?
Non siamo mica bramini o fachiri indiani, abitatori nudi delle selve e fuggiaschi della vita.
Ci ricordiamo bene della gratitudine che dobbiamo a Dio creatore e signore: e non ripudiamo nessun frutto dell'opera sua; solo certo ci limitiamo per non usarne smoderatamente o erroneamente.
Pertanto coabitiamo con voi in questo mondo servendoci del foro, del mercato, dei bagni, dei negozi, dei laboratori, delle osterie vostre e degli altri scambi.
Navighiamo anche noi, con voi, e con voi pratichiamo il servizio militare, l'agricoltura e la mercatura: del pari scambiamo con voi gli oggetti d'arte e vendiamo al pubblico per uso vostro i nostri lavori.
In qual modo possiamo parere infruttuosi per gli affari vostri, quando viviamo con voi e di voi, non lo capisco.
Tertulliano, L'apologetico, 42,1-3
Mosè ha scritto nella Legge: Dio creò l'uomo a sua immagine e somiglianza ( Gen 1,25 ).
Considerate, vi prego, l'importanza di questa parola.
Dio, l'onnipotente, l'invisibile, l'incomprensibile, l'inestimabile, plasmando l'uomo con l'argilla, l'ha reso nobile con l'immagine della propria grandezza.
Che c'è di comune tra l'uomo e Dio, tra l'argilla e lo spirito? Perché Dio è spirito ( Gv 4,24 ).
É dunque un segno di grande stima, per l'uomo, che Dio gli abbia donato l'immagine della sua eternità e la somiglianza con la sua stessa vita.
La grandezza dell'uomo è la sua somiglianza con Dio, a condizione che la conservi …
L'anima sarà simile a Dio nella misura in cui farà buon uso delle attitudini seminate in lei.
Dio ci ha insegnato che dobbiamo rendergli tutte le capacità, che ha messo in noi al momento della creazione.
Ci chiede prima di tutto di amare Dio con tutto il cuore ( Dt 6,5 ) perché « egli ci ha amati per primo » ( 1 Gv 4,10 ) fin dal principio, prima ancora che esistessimo.
Amare Dio significa, dunque, rinnovare in noi la sua immagine.
Ama Dio chi osserva i suoi comandamenti.
Egli ha detto, infatti: Questo è il mio comandamento, che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi ( Gv 15,12 ).
E l'amore vero non consiste solo in « parole, ma in fatti e in verità » ( 1 Gv 3,18 ).
Dobbiamo dunque rispecchiare per il nostro Dio, per il nostro Padre, l'immagine inviolata della sua santità, perché egli è santo e ha detto: Siate dunque santi perché io sono santo ( Lv 11,45 ); con amore, perché egli è amore e Giovanni ha detto: Dio è amore ( 1 Gv 4,8 ); con tenerezza e verità, perché Dio è buono e vero.
Non dipingiamo in noi stessi un'immagine diversa …
Consentiamo a Cristo di dipingere egli stesso in noi la sua immagine, per non introdurre in noi l'immagine dell'orgoglio.
Egli l'ha dipinta quando ha detto: Vi lascio la mia pace, vi do la mia pace ( Gv 14,27 ).
Ma a che serve conoscere che questa pace è buona, se non vegliamo per conservarla?
Ciò che è molto buono è solitamente anche molto fragile; e i beni preziosi richiedono una cura più grande e una custodia più assidua.
La pace è così fragile che può essere perduta con una parola superficiale o con una piccolissima offesa fatta a un fratello.
Ora, niente piace tanto agli uomini, quanto parlare a sproposito e occuparsi di ciò che non li riguarda, fare discorsi vani e criticare gli assenti.
Perciò, coloro che non possono dire: Il Signore mi ha dato una lingua da iniziati perché io sappia sostenere lo sfiduciato con una parola ( Is 50,4 ), tacciano o se parlano dicano una parola di pace.
Si degni di ispirarcela il nostro buon Signore e Salvatore Gesù Cristo, l'autore della pace e il Dio dell'amore.
Colombano, Istruzione, 11,1-4
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