Teologia dei Padri

Indice

La morte e il pensiero della morte

1. - Non siamo nati per vivere quaggiù in eterno

Ci rattristiamo per la morte di qualcuno: ma siamo forse nati per vivere eternamente qui?

Abramo, Mosè, Isaia, Pietro, Giacomo e Giovanni, Paolo - il vaso d'elezione - e perfino il Figlio di Dio, tutti sono morti; e proprio noi restiamo indignati quando qualcuno lascia il suo corpo?

E pensare che probabilmente, proprio affinché il male non riuscisse a forviare la sua ragione, è stato portato via!

La sua anima, infatti, era gradita a Dio; per questo s'è affrettato a toglierla di mezzo all'iniquità ( Sap 4,11.14 ) in modo che durante il lungo viaggio della vita non si smarrisse in sentieri traversi.

Piangiamoli, sì, i morti; ma solo quelli che piombano nella geenna, quelli divorati dall'inferno, quelli per i quali è acceso un fuoco eterno!

Ma se noi, quando lasciamo questa vita, siamo accompagnati da una schiera di angeli, se Cristo ci viene incontro, rattristiamoci piuttosto se ha da prolungarsi la nostra permanenza in questa residenza sepolcrale.

E poiché, effettivamente, per il tempo che qui ci attardiamo, siamo come degli esiliati che camminano lontani dal Signore, il desiderio, l'unico, che ci deve trascinare, è questo: Me infelice!

Il mio esilio si prolunga; abito tra i cittadini di Cedar, e da troppo tempo l'anima mia è in esilio ( Sal 120,5-6 ).

Ora, se dire « Cedar » è dire « tenebre », se questo mondo è tenebre - nelle tenebre, infatti, la luce risplende, ma le tenebre non l'accolsero ( Gv 1,5 ) - rallegriamoci con la nostra Blesilla che è passata dalle tenebre alla luce, e mentre ancora era lanciata nella fede appena accolta, ha ricevuto la corona di un'opera compiuta.

Girolamo, Le Lettere, I, 39,3 ( a Paola )

2. - Strazio e conforto

Dio volle anzitutto che il cuore dell'uomo fosse dominato dal terrore della morte, che questa gli apparisse come qualcosa di pauroso.

Per questo fece che in primo luogo morisse Abele, affinché Adamo, che lo avrebbe seguito, imparasse da quella scena cosa sia la morte, quanto dura e opprimente.

Se Adamo fosse morto per primo, non avrebbe conosciuto affatto la natura della morte, non avendo visto prima nessun morto.

Ma ora egli rimase in vita e vide la morte dominare in un altro corpo, in quello di suo figlio, e così conobbe con più forza ed esattezza l'enormità del castigo.

E precisamente per questo motivo la vide non in un corpo estraneo ma in quello del suo proprio figliolo.

In questo evento, oltre la natura della morte, anche la violenza e l'atrocità dell'uccisione rendevano insopportabile il dolore.

Alle circostanze naturali, che rendevano tanto spaventosa la morte, si aggiungeva la virtù del figlio ucciso, e alla virtù, la sua giovinezza: Abele non morì da vecchio, ma nel più bel fiore di gioventù.

A tutto ciò si aggiungeva che aveva subìto ciò dal fratello, dal fratello che agiva con ingiustizia ed empietà.

Per tutte queste circostanze avvenne che la vista della morte fu qualcosa di terribile e più triste ancora all'aspetto, e nel cuore d'Adamo suscitò un dolore tanto più amaro, in quanto ciascuna delle circostanze elencate accesero in lui il fuoco della tribolazione e la fiamma si alzò vigorosa.

Così comprese in quale affanno il diavolo lo aveva precipitato.

Se noi, che pure ogni giorno vediamo dei morti, ci sentiamo sconvolti e scossi, presi dal terrore, e se non noi solo, ma anche la gente superba, tronfia, che ricopre grandi dignità, quando si avvicina alla sepoltura o visita qualche conoscente morto si sente a quella vista abbattuta e scoraggiata più di tutti gli altri; cosa dovette mai soffrire Adamo, quando vide il primo morto, e precisamente nella persona del figlio, di un tale figlio, prima di aver potuto riflettere sulla morte per essersi imbattuto spesso in altri morti?

Soprattutto la novità di un evento ci sconvolge, e cosa dovette mai patire lui vedendo il figlio che non udiva più il suo richiamo, che non percepiva più il suo tocco, che non veniva scosso dalle lacrime e dai gemiti, che non badava ai lamenti del padre, che non compiva le azioni usuali?

Non devi guardare alla realtà come si presenta oggi, ma devi considerare che per la prima volta l'uomo vedeva un morto ed era perciò pieno di spavento e di turbamento.

Tuttavia, in questo evento, Dio gli elargì anche un conforto: non volle solo che ciò aumentasse la paura della morte, ma volle che l'uomo ne ricavasse anche una certa consolazione.

E che consolazione? La speranza della risurrezione.

Dio non la diede subito allora, certo, ma ce ne aprì quasi uno spiraglio, in modo oscuro, come in un enigma.

La paura si accrebbe e scosse potentemente l'animo dell'uomo: ne ebbe la prova che la morte è qualcosa di grave, di ostile e amaro.

E non solo alla prima vista del morto l'uomo imparò ciò, ma anche da quello che a quella vista seguì: il fetore del cadavere, il marciume che ne uscì, la polvere in cui si mutò e tutto il resto che segue alla morte.

La paura dunque accrebbe e scosse il cuore.

Ma guarda anche come Dio introduce la speranza della risurrezione.

É certamente oscura e imprecisa, tuttavia egli la introduce …

Dio volle infatti che il primo uomo che morì fosse precisamente un giusto …

Come il peccato è l'alimento della morte, così la giustizia è la distruzione e l'annientamento della morte.

Per questo Dio volle che il primo a morire fosse un giusto: in tal modo fin dall'inizio volle annunciare, volle risvegliare la speranza, volle dimostrare che non era stato stabilito per la nostra stirpe di restare per sempre nella morte.

Giovanni Crisostomo, Omelia sulla traslazione delle reliquie dei martiri

3. - La morte continua

Dal momento in cui ciascuno comincia a esistere in questo corpo destinato alla morte, mai in lui avviene che la morte non avanzi.

É la sua mutevolezza a fare ciò, in tutto il tempo di questa vita ( seppure si deve chiamar vita ), cioè che egli avanzi verso la morte.

Nessuno vi è che non le sia più vicino dopo un anno, di quanto non lo era un anno prima, e domani più di oggi, e oggi più di ieri, e un attimo dopo più di ora, e ora più di poco prima.

Infatti qualsiasi spazio di tempo si vive, lo si toglie alla durata della vita, e ogni giorno diventa sempre meno quel che ce ne resta: perciò il tempo di questa nostra vita non è precisamente altro che una corsa alla morte, e in essa nessuno può fermarsi un istante o rallentare un poco, ma tutti vi vengono sospinti con lo stesso ritmo, vengono pressati con non diversa celerità.

Colui che ebbe una vita più breve non consumò più in fretta i suoi giorni di colui che ne ebbe una lunga, ma all'uno e all'altro venivano strappati egualmente periodi eguali di tempo, mentre uno era più vicino e l'altro più lontano a quel termine a cui tutt'e due correvano con pari velocità.

Altra cosa infatti è aver percorso una via più lunga, altra cosa è aver camminato più adagio.

Chi dunque consuma periodi di tempo più lunghi per giungere alla morte, non avanza più adagio, ma percorre una strada più lunga.

Pertanto, se ciascuno comincia a morire, cioè ad essere nella morte, dal momento in cui comincia ad agire in lui la morte, cioè la sottrazione della vita ( quando infatti la sottrazione sarà compiuta ci si troverà « dopo la morte » non « nella morte » ), è chiaro che è nella morte da quando comincia a esistere in questo corpo.

Null'altro infatti avviene ogni giorno, ogni ora, ogni momento, fino a quando la morte che continuava ad agire, si completa, e comincia ormai il tempo « dopo la morte », mentre durante la sottrazione della vita era « nella morte ».

Perciò, se l'uomo non può essere al tempo stesso nella vita e nella morte, mai è in vita fin da quando si trova in questo corpo, morente più che vivente.

O piuttosto non è egli in vita e in morte: in vita, perché in essa vive fino a quando non gli viene sottratta tutta; in morte, invece, perché già muore mentre gli viene sottratta la vita?

Infatti, se non fosse in vita, cosa mai gli verrebbe sottratto fino a quando si realizza la sua perfetta consumazione?

E se non fosse nella morte, che cosa sarebbe questa stessa sottrazione della vita?

Non si usa invano l'espressione « dopo la morte » quando la vita è completamente sottratta al corpo: la sottrazione della vita dunque è morte.

Infatti, se l'uomo dopo questa sottrazione non si trova nella morte, ma dopo la morte, certamente deve trovarsi nella morte mentre la vita gli viene sottratta.

Agostino, La città di Dio, 13,10

4. - La debolezza e la forza di Cristo ci consolano all'avvicinarsi della morte

Gesù si turbò interiormente quando disse: Adesso l'anima mia è conturbata; e che dirò io? Padre, salvami da quest'ora? Ma è proprio per questo che sono giunto a quest'ora! ( Gv 12,27 ).

Come allora la sua anima si turbò perché la sua passione si approssimava, così, ora che Giuda sta per uscire e per tornare con i giudei, si avvicina cioè il momento in cui l'orribile crimine del traditore sarà compiuto, « si conturbò interiormente ».

Si turba dunque colui che ha il potere di dare la sua vita e di riprenderla ( Gv 10,18 ).

Si turba questa così infinita potestà, si turba la pietra incrollabile: o piuttosto in lui non è la nostra debolezza che è colta da turbamento?

É proprio così! Che nessun servo immagini qualcosa di indegno del suo Signore, ma si riconosca soltanto un membro del suo capo.

Colui che è morto per noi, volontariamente si è turbato per noi.

Colui che è morto per una decisione della sua potenza, per effetto di questa stessa potenza si turba; colui che trasfigurò il corpo della nostra bassezza conforme al corpo della sua gloria ( Fil 3,21 ), ha anche trasfigurato in sé i sentimenti propri della nostra debolezza umana, per la compassione che nella sua anima egli prova per noi.

Perciò quando colui che è grande, forte, sicuro, invitto ci appare turbato, non dobbiamo certo temere che la potestà gli venga a mancare: egli non corre alcun rischio, ma sta cercando noi.

Sì, ripeto, è soltanto a noi che egli pensa; dobbiamo vedere noi stessi nel suo turbamento, affinché quando a nostra volta saremo turbati, la disperazione non ci uccida.

Nel turbarsi, colui che se non lo volesse non si turberebbe, consola noi mortali, che il turbamento può invadere anche se non lo vogliamo …

Qualcuno mi dirà: Ma l'anima del cristiano non deve turbarsi all'approssimarsi della morte?

Che dire infatti delle parole dell'Apostolo, che manifestava il suo desiderio di liberarsi dal corpo per essere con Cristo ( Fil 1,23 ), se ciò che egli desiderava avrebbe dovuto turbarlo con il suo sopraggiungere? …

Sono dotati di grandissima fermezza quei cristiani, se ve ne sono, che non si turbano affatto nell'imminenza della morte: ma forse che essi si possono considerare dotati di una fermezza superiore a quella di Cristo?

Chi sarà tanto insensato da sostenere una cosa simile?

Per quale altra ragione, dunque, egli si è turbato, se non perché nel suo corpo, cioè a dire nella sua Chiesa, trovassero consolazione le anime deboli e si confortassero con l'esempio loro fornito dalla sua volontaria e deliberata debolezza?

In questo modo, quelli dei suoi che di fronte alla morte si turbano interiormente, potranno ricordarsi del turbamento di lui e cesseranno di considerarsi colpevoli di debolezza e di ritenersi vittime di una morte ben peggiore, cioè della disperazione.

Quanto mai di bene dobbiamo sperare e attenderci dalla partecipazione alla sua divinità, quando dal suo turbamento riceviamo tanta tranquillità, e la sua debolezza ci fa così forti!

Non dubitiamo quindi affatto di questo turbamento di Gesù - sia che abbia avuto la sua origine da un sentimento di compassione per lo stesso Giuda che stava per perdersi, sia che sia stato provocato dall'imminenza della morte - non è stato comunque prodotto dalla debolezza del suo animo, ma dalla sua libera scelta, che ha voluto così impedire che, quando per la nostra debolezza, non per libera scelta, siamo turbati, nasca un sentimento di disperazione.

Egli aveva preso, insomma, su di sé la debolezza della carne, che la sua risurrezione avrebbe fatto scomparire.

Ma lui, che non era soltanto uomo, ma anche Dio, superava di gran lunga, quanto a fortezza d'animo, tutto intero il genere umano.

Nessuna causa esterna lo costrinse a turbarsi, ma da se medesimo si turbò …

Egli cioè suscita in se stesso, per un atto della sua potestà, un sentimento del tutto umano, egli che, sempre per un atto della sua potestà, aveva assunto integralmente la natura umana.

Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 60,1-5

5. - « Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? »

« Perché sei triste anima mia e perché mi turbi? » …

Il Signore stesso si è degnato di prefigurare in sé tali contrasti, allorché disse: Triste è l'anima mia sino alla morte ( Mt 26,38 ).

Egli sapeva infatti per cosa era venuto …

Quando viene il momento della morte, l'uomo si turba per l'abitudine che ha fatto alla vita in questo secolo; tende l'udito a quella voce interna di Dio, ascolta l'intimo e spirituale canto.

Così dall'alto risuona nel silenzio qualcosa, non alle orecchie, ma alla mente; perciò chiunque ode quella melodia, prova disgusto per lo strepito del corpo, e tutta questa vita umana è per lui solo rumore assordante, che gli impedisce di sentire quel suono sublime, straordinariamente piacevole, incomparabile e ineffabile.

E parimenti quando, colpito da qualche turbamento, l'uomo subisce violenza, lo spirito dice all'anima sua: « Perché sei triste, anima mia, e perché mi turbi? ».

Agostino, Esposizioni sui Salmi, 43,7

6. - Morire in attesa dell'immortalità

Quando ci tocca morire, passiamo attraverso la morte all'immortalità; e la vita eterna non può succedere se prima non usciamo dalla vita di quaggiù.

Non è dunque una dipartita questa, ma un passaggio, un trasferimento all'eternità, dopo aver percorso tutta la nostra strada nel tempo.

Chi non si affretterà verso una condizione migliore?

Chi non desidererà di presto mutarsi e trasformarsi a immagine di Cristo nello splendore della grazia celeste?

Ce lo predica l'apostolo Paolo, dicendo: Ma la nostra patria è nei cieli, da dove aspettiamo il Signore Gesù Cristo, che trasformerà il nostro umile corpo conformandolo allo splendore del suo ( Fil 3,20-21 ).

Anche Cristo Signore ci promette ciò quando, pregando il Padre per noi, per ottenerci di stare con lui, di godere con lui sui troni eterni, nei regni dei cieli, dice: Padre, coloro che mi hai dato, voglio che, dove sono io, anch'essi siano con me, e vedano la gloria che mi hai dato prima che il mondo venisse creato ( Gv 17,24 ).

Chi sta per giungere al trono di Cristo, allo splendore dei regni eterni, non deve piangere e singhiozzare, ma godere per la promessa del Signore, per la sua fede nella realtà vera di questa sua dipartita, di questo suo trasferimento …

Può desiderare di restare a lungo nel mondo colui che si diletta del mondo, colui che si sente attratto dalle lusinghe e dagli inganni delle voluttà terrene.

Ma poiché il mondo odia il cristiano, perché ami chi ti odia e non segui piuttosto Cristo che ti ha redento e ti ama?

Giovanni nella sua lettera ci dice a gran voce e ci ammonisce a non seguire i desideri carnali e ad amare il mondo: Non amate il mondo, né le cose del mondo!

Se qualcuno ama il mondo, l'amore del Padre non è in lui; poiché ogni realtà mondana è o concupiscenza della carne o concupiscenza degli occhi o ambizione terrena, che non viene dal Padre ma dalle brame di questo mondo.

E il mondo passa con le sue brame.

Ma chi fa la volontà di Dio resta in eterno, come anche Dio resta in eterno ( 1 Gv 2,15-17 ).

Piuttosto, fratelli carissimi, siamo pronti a ogni volere di Dio con mente sincera, con fede forte e con virtù salda, e liberatici dal timore della morte, pensiamo all'immortalità che la segue!

Mostriamo veramente di essere ciò che crediamo, e non piangiamo la morte dei nostri cari; e, quando giungerà il giorno della nostra dipartita, andiamo senza indugio e con gioia incontro al Signore che ci chiama.

I servi di Dio devono sempre comportarsi così, ma ora molto più, che il mondo sta andando in rovina, oppresso dal turbine minaccioso dei mali; vedendo i guai che già sono incominciati e sapendo che ci attendono guai maggiori, stimiamolo un guadagno potercene andare presto.

Se nella tua abitazione le pareti troppo vecchie vacillassero, se il tetto sopra di te tremasse, se la casa instabile, pericolante a causa della sua vecchiaia, minacciasse di crollare, non te ne andresti via in tutta fretta?

Se, durante un viaggio in mare, il tempo scuro e burrascoso eccitasse violentemente i marosi, preannunciandoti l'imminenza di un naufragio, non ti dirigeresti immediatamente al porto?

Ecco, il mondo si scuote, crolla e attesta la sua imminente rovina non per vecchiezza, ma perché è giunto il fine: e tu non ringrazi Dio, non ti rallegri che con una morte anticipata vieni sottratto alla rovina e al naufragio, vieni scampato dai disastri che ci sovrastano?

Dobbiamo considerare, fratelli carissimi, e riflettere continuamente che noi abbiamo rinunciato al mondo e viviamo quaggiù provvisoriamente come ospiti, come pellegrini.

Accogliamo con gioia il giorno che a ciascuno assegna la sua dimora, che ci strappa da quaggiù, che ci toglie dai lacci del mondo, ci restituisce al paradiso e al regno.

Chi non si affretta a tornare in patria quando è lontano?

Chi non desidera di cuore il vento favorevole, quando sta navigando verso i suoi cari, per poterli presto abbracciare?

Noi stimiamo nostra patria il paradiso, abbiamo già come parenti i patriarchi: perché non ci affrettiamo e non corriamo per vedere la nostra patria, per poter salutare i nostri parenti?

Ivi ci aspetta un grande numero di persone care, ci desidera una schiera enorme di genitori, di fratelli, di figli, già sicuri della loro incolumità e solleciti solamente ancora per la nostra salvezza.

Giungere al loro cospetto, tra le loro braccia, che immensa gioia, per loro e per noi!

Lassù, nei regni celesti, che letizia non temer la morte, che somma e perpetua felicità vivere in eterno!

Ivi il glorioso coro degli apostoli, ivi il grande numero dei profeti esultanti, ivi la schiera immensa dei martiri, incoronata per la gloria e la vittoria nella lotta e nelle sofferenze, le vergini trionfanti per aver soggiogato, con la forza della continenza, la concupiscenza della carne e del corpo, ivi i misericordiosi, ricompensati per aver compiuto opere buone dando cibo e danaro ai poveri, per aver osservato il precetto del Signore trasferendo il patrimonio terreno nel tesoro celeste.

A costoro, fratelli dilettissimi, affrettiamoci con avido anelito, desiderando di esser presto con loro, bramando la sorte di poter giungere presto a Cristo.

Dio veda questi nostri pensieri, Cristo osservi questo intendimento del nostro animo e della nostra fede, egli che darà maggiori premi del suo amore a coloro che avranno maggior desiderio di lui.

Cipriano, La mortalità, 22-26

7. - « Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi »

Per ciò che riguarda la morte del corpo, cioè la separazione dell'anima dal corpo, non è un bene per nessuno, per lo meno quando i moribondi la soffrono.

Infatti, quella forza che violentemente separa ciò che nel vivente è unito e congiunto, è aspra al senso e contraria alla natura mentre l'anima dimora nel corpo, cioè fino a quando non si perde del tutto la sensibilità che derivava appunto dall'unione dell'anima con la carne.

Talvolta un colpo improvviso al corpo o il ratto dell'anima eliminano tutta quest'agonia e non ne permettono l'esperienza, prevenendola con velocità.

Tuttavia, per quanto grave sia ciò che nei moribondi con dolorosissime sensazioni toglie loro la sensibilità, se sopportato con fede e pietà, aumenta il merito della loro pazienza, pur non escludendo la parola pena.

Così, pur rappresentando la morte la pena di chi nasce nella propaggine perpetuatasi dal primo uomo, tuttavia, se la si sconta con pietà e per giustizia, diventa la gloria di colui che rinasce: e pur essendo la morte punizione del peccato, ottiene talvolta che il peccato non sia punito.

Infatti, per tutti quelli che muoiono professando la fede in Cristo anche senza aver ricevuto il lavacro della nuova vita, tanto vale ciò, a cancellare i loro peccati, quanto il lavacro del sacro fonte battesimale.

Infatti colui che ha detto: Se qualcuno non sarà nuovamente nato dall'acqua e dallo Spirito Santo, non entrerà nel regno dei cieli ( Gv 3,5 ) ha fatto per loro un'eccezione affermando, in senso non meno generale: Chi mi confesserà davanti agli uomini, anch'io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli ( Mt 10,32 ); e in un altro luogo: Chi perderà la sua anima per me, la troverà ( Mt 16,25 ).

Ecco perché sta scritto: Preziosa è agli occhi del Signore la morte dei suoi santi ( Sal 116,15 ).

Cosa infatti è più prezioso della morte per la quale tutti i delitti vengono rimessi e i meriti aumentano a cumuli?

Infatti non meritano tanto coloro, i quali, non potendo differire la morte, si sono fatti battezzare e, purificati dal loro peccato, hanno emigrato da questa vita, quanto coloro che, pur potendo differire la morte, non lo hanno fatto, preferendo finire la vita confessando la fede in Cristo che, negandola, giungere al battesimo.

Se lo avessero fatto, sarebbe stato loro perdonato, in quel lavacro, anche l'aver negato Cristo per timore della morte: una scelleratezza tanto enorme, infatti, fu in quel lavacro perdonata a coloro che uccisero Cristo!

Ma quando mai senza l'abbondanza di quello Spirito, che spira dove vuole, avrebbero potuto amare tanto Cristo da non saperlo rinnegare in tanto pericolo per la vita e con la speranza di un tale perdono [ si riferisce al cosiddetto battesimo di sangue ]?

Così la preziosa morte dei santi - ai quali, con tanta grazia, precedette e per i quali fu pagata la morte di Cristo, così che per guadagnare lui essi non dubitarono di abbracciare la propria morte - ha dimostrato come ciò che era stato costituito pena del peccato, può essere usato in modo da trarne un più ricco frutto di giustizia.

Non per questo la morte deve essere considerata un bene; infatti è diventata tanto utile non per una sua propria virtù, ma per dono di Dio.

Essa era stata posta davanti agli occhi come qualcosa da temere, per non commettere il peccato; ora viene posta dinanzi agli occhi come qualcosa da abbracciare, per non commettere il peccato, per cancellare il peccato commesso e per dare la debita palma di giustizia a una vittoria tanto gloriosa.

Se riflettiamo con più attenzione, anche chi muore con tutto merito, per la verità e la fede, cerca di sfuggire la morte.

Infatti accetta qualcosa della morte, affinché non lo colga la morte completa, affinché non si aggiunga alla prima, la morte seconda che mai finisce.

Accetta la separazione dell'anima dal corpo, affinché Dio non si separi dalla sua anima quando essa si separa dal corpo e così, subito dopo la morte prima, non lo colga la morte seconda, eterna, che è la morte di tutto l'uomo.

Perciò, come ho detto, la morte, quando i moribondi la soffrono, quando essa li priva della vita, non è un bene per nessuno, ma si sopporta lodevolmente per mantenere o ottenere un bene.

Ma quando si trovano già in essa quelli che diciamo « morti », non è sbagliato dire che è un male per i cattivi e un bene per i buoni.

Infatti, separate dai loro corpi, le anime dei pii sono nella pace, quelle degli empi pagano la loro pena, fino a quando i corpi risorgeranno, dei primi per la vita eterna, dei secondi per la morte eterna che viene detta seconda.

Agostino, La città di Dio, 13,6-8

8. - La grazia della divina sollecitudine

Chi guarda la distruzione del nostro corpo resta turbato e ritiene una sorte ben dura che la morte dissolva la nostra vita.

Ma consideri l'immensità della divina beneficenza verso di noi proprio in ciò che è tanto luttuoso.

Forse proprio da questo sarà maggiormente portato ad ammirare la grazia della divina sollecitudine per gli uomini.

Chi vive ha il desiderio di passare la sua vita nel godimento di quelle cose che gli sono gradevoli; infatti, se qualcuno passasse il suo vivere nei dolori, si ritiene che gli sarebbe preferibile morire anziché esistere in mezzo allo strazio.

Consideriamo dunque se colui che ci ha dato la vita mirasse a qualcos'altro, che non fosse quello che passassimo i nostri giorni nella felicità.

Infatti, poiché noi con un libero atto della volontà eravamo finiti in compagnia del male e avevamo mescolato, per un nostro piacere, il male alla nostra natura, come il veleno aggiunto al miele, cadendo così dalla beatitudine che consiste nella imperturbabilità e subendo una trasformazione conforme al nostro peccato, proprio per questo l'uomo ritorna alla terra, come un vaso di creta, perché così, separato dalla sozzura che porta in sé, viene riplasmato, per mezzo della risurrezione, nella forma impressagli all'inizio …

Dio conosceva bene il futuro e non impedì il corso delle cose, le quali dovevano accadere.

Che l'uomo si sarebbe sviato dal bene, non lo ignorava certo colui che domina con il suo potere di prescienza tutte le cose e contempla allo stesso modo il passato come il futuro.

Ma come ne previde la perversione, così escogitò il modo di richiamarlo al bene!

Cosa era dunque meglio: prevedendo che l'uomo si sarebbe allontanato dal bene, non chiamarlo semplicemente all'essere, oppure richiamarlo alla grazia iniziale dopo la perversione e l'infermità?

Gregorio di Nissa, Grande Catechesi, 8,1.3

9. - Gioia per la dissoluzione

L'agricoltore non si lamenta quando vede il frumento dissolversi; ma fino a quando lo vede restare immutato nel terreno, teme e trema; se poi lo vede dissolversi, si rallegra.

La dissoluzione infatti è il principio della futura messe.

Così anche noi rallegriamoci quando cade la nostra casa corruttibile [ ossia il nostro corpo ], quando l'uomo viene seminato nel terreno.

Non meravigliarti se l'Apostolo chiama seminagione la sepoltura: anzi questa è la migliore seminagione dell'uomo.

A quell'altra seminagione ( ossia alla nascita dell'uomo ) seguono la morte, la fatica, i pericoli e le preoccupazioni; a questa, se viviamo rettamente, la corona e il premio; a quella ( ossia alla nascita ), la corruzione e la morte; a questa, l'indistruttibilità, l'incorruttibilità e mille beni.

In quella seminagione ( alla nascita ) vi sono amplessi, piaceri e sonno; in questa, solo una voce che discende dal cielo, e tutto in un momento è compiuto.

E chi risorge, non ritorna più in una vita piena di sofferenze, ma in una vita in cui è escluso il dolore, il travaglio e il pianto.

Se tu cerchi aiuto e protezione, se per questo ti lamenti dell'uomo, rifugiati nel protettore, nel difensore, nel benefattore comune di tutti: in Dio, alleato inespugnabile, aiuto pronto, riparo durevole, che è sempre presente e da tutto ci protegge.

Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Corinti, 41,4

10. - Tutti i viventi fuggono la morte

Non vi è nessuno che non voglia esistere, come non vi è nessuno che non voglia essere felice.

Come potrebbe infatti essere felice, se non esistesse?

L'essere è cosa tanto gioconda per un'inclinazione naturale che, precisamente per questo motivo, anche i miseri non vogliono perire; e pur sentendo profondamente la propria miseria, vorrebbero che quest'ultima fosse loro tolta, non che essi fossero tolti dalla realtà.

Anche coloro che si ritengono i più miserabili, e lo sono ( e tali sono giudicati non solo dai sapienti che vedono in essi degli stolti, ma anche da chi credendosi felice vede in essi dei poveri e mendici ), se qualcuno donasse loro un'immortalità tale da non includere la fine della loro miseria - pur lasciando loro la scelta di non esistere più assolutamente, ma di perire del tutto, qualora non volessero restare in eterno nella loro miseria -, certamente esulterebbero di letizia, e preferirebbero esistere per sempre in tale condizione, piuttosto che non esistere affatto.

Ce lo attesta il loro senso intimo, che ben conosciamo.

Ma perché temono di morire e preferiscono vivere nelle loro miserie, piuttosto che porvi fine con la morte, se non perché anche in tale stato la natura mostra chiaramente quanto essa rifugge dal non essere?

E perciò, pur sapendo di dover morire, desiderano come un grande beneficio di ottenere per misericordia il dono di vivere ancora un po' nella loro miseria, e di morire più in là.

Non c'è dubbio dunque che attestino così con quanta gratitudine accetterebbero l'immortalità, anche supposto che essa non ponga fine alla loro miseria.

Ma come? Anche tutti gli animali privi di ragione, ai quali non è concesso nutrire questi pensieri - dai draghi immensi fino ai vermi più piccoli - non attestano forse con tutti i movimenti loro possibili di voler esistere e, per questo di fuggire la morte?

Ma come? Gli alberi e tutti i cespugli, che pur non hanno organi di senso da poter evitare, con movimenti manifesti, la distruzione che li minaccia, per poter elevare sicura in aria la loro chioma, non allignano forse le loro radici più profonde nel terreno, da cui traggono l'alimento per conservare il proprio essere?

Infine, gli stessi corpi che non solo sono privi di senso, ma anche di qualsiasi seme di vita, tuttavia o si elevano in alto, o discendono in basso, o si librano a metà, per custodire la propria essenza in un luogo ove, secondo natura, possono sussistere.

Agostino, La città di Dio, 11,26-27

11. - La cattiva morte è causata solo da ciò che segue la morte

Molti cristiani furono uccisi ( nel 410, quando Alarico saccheggiò Roma ), molti furono finiti da molteplici e atroci generi di morte.

Se ciò è duro, tuttavia è certamente la sorte comune a tutti quelli che sono stati procreati in questa vita.

Io so questo: nessuno è mai morto, che non fosse, a suo tempo, soggetto alla morte.

Il termine della vita, poi, rende identica sia la vita lunga che quella breve.

Infatti non è certo quella migliore e questa peggiore, e neppure quella più lunga e questa più breve, in quel momento in cui tutt'e due più non sono.

E cosa importa mai per qual genere di morte si finisca questa vita, quando colui, a cui essa finisce, non è più costretto a morire un'altra volta?

Dal momento che tutti i mortali, nei casi quotidiani di questa vita, vivono sotto la minaccia di innumerevoli generi di morte, almeno fino a quando è incerto quale tipo di morte li colpirà, mi chiedo se sia meglio soffrire un unico genere di morte, morendo, oppure temerli tutti, vivendo.

Non ignoro quanto più facilmente si preferisca vivere pur sotto il timore di tante possibilità di morte, piuttosto che non doverle più temere, morendo.

Ma altro è ciò che il debole senso carnale rifugge pauroso, altro ciò cui ci convincono gli argomenti razionali ben ponderati.

Non si deve ritenere cattiva morte quella che fu preceduta da una vita buona: solo ciò che segue alla morte causa la cattiva morte.

Perciò coloro che necessariamente sono soggetti alla morte non debbono preoccuparsi molto di ciò che loro accadrà in morte, bensì del luogo dove saranno costretti ad andare dopo la morte.

I cristiani sanno che la morte del pio mendicante, tra i cani che lo leccavano, fu di gran lunga migliore di quella dell'empio ricco in porpora e bisso; che danno arrecarono mai quei generi tremendi di morte, dunque, a coloro che vissero bene?

Ma vi fu una strage tale che i cadaveri non poterono neppure venire sepolti.

Neanche questo la pia fede teme troppo, ricordando ciò che le fu detto, cioè che neppure il fatto di essere stati sbranati dalle belve sarà di danno ai corpi che risorgeranno e di cui neppure un capello del capo andrà perduto.

La Verità non direbbe affatto: Non temete quelli che uccidono il corpo, ma non possono uccidere l'anima ( Mt 10,28 ), se ritenesse pregiudizievole in qualche modo alla vita futura ciò che i nemici hanno voluto fare dei corpi uccisi …

Molti corpi di cristiani, dunque, non furono ricoperti di terra, ma nessuno di essi fu separato dal cielo o dalla terra, la quale è tutta riempita dalla presenza di Colui che sa donde risuscitare ciò che ha creato.

Agostino, La città di Dio, 1,11-12

12. - La morte del corpo è colpa del peccato

Nel primo uomo era presente tutto il genere umano - che tramite la donna sarebbe stato da lui propagato - quando su quella coppia cadde la divina sentenza di condanna.

E quel che l'uomo è divenuto non per la creazione, ma a causa del peccato e della punizione, egli l'ha trasmesso ai suoi discendenti, almeno per ciò che si riferisce all'origine del peccato e della morte …

Sta scritto infatti: L'uomo, costituito in onore, non comprese; fu paragonato agli animali privi di ragione, e divenne simile ad essi ( Sal 49,13 ) …

La natura umana si guastò e si mutò tanto in lui, che egli, contro sua voglia, sentì nelle proprie membra la concupiscenza ribelle e fu stretto dalla necessità di morire.

E ciò che era avvenuto per colpa e per pena, cioè l'essere soggetti al peccato e alla morte, fu propagato con la generazione.

Se poi da questo vincolo di peccato i fanciulli vengono sciolti per la grazia del Mediatore, essi sperimentano solo la morte che separa l'anima dal corpo; non subiscono invece la morte seconda, sono liberi dalla pena eterna.

Se qualcuno si meraviglia che anche coloro, il cui reato per grazia è stato cancellato, subiscano la morte, che è pena del peccato … sappia che all'anima è necessario affrontare quest'esperienza della separazione dal corpo, quantunque le sia stato tolto il ceppo della colpa, perché se l'immortalità del corpo seguisse immediatamente il sacramento della rigenerazione, la stessa fede ne resterebbe fiaccata; solo allora infatti essa è veramente fede, quando si aspetta nella speranza ciò che ancor non si vede nella realtà.

Con la forza e la combattività della fede, si dovette superare almeno nei secoli passati il timore della morte: ciò che brillò sommamente nei santi martiri.

Certo alla loro lotta sarebbe mancata la vittoria e la gloria, perché non avrebbe potuto neppure essere chiamata lotta se, dopo il lavacro di rigenerazione, i santi non avessero più potuto subire la morte del corpo.

E chi non correrebbe a porsi tra i fanciulli battezzati, non per acquistare la grazia di Cristo, ma per essere sciolto dalla morte del corpo?

Ma così la fede non sarebbe ricompensata dal premio invisibile, anzi non sarebbe neppure fede, se cercasse e ottenesse immediatamente la propria mercede.

Ma ora, per maggiore e più mirabile grazia del Salvatore, la pena del peccato è stata tramutata in mezzo per raggiungere la giustizia.

Allora fu detto all'uomo: Morirai se peccherai; ora si dice al martire: Muori per non peccare.

Allora fu detto: Se trasgredirete il comando, certamente morirete ( Gen 2,17 ); ora si dice: Se vorrete evitare la morte, trasgredirete il comando.

Ciò che allora si doveva temere per non peccare, ora bisogna abbracciare per non peccare.

Così, per ineffabile misericordia di Dio, la stessa pena dei vizi diventa arma di virtù e il supplizio inflitto al peccatore diventa merito del giusto.

Allora ci si guadagnò la morte peccando, ora si adempie alla giustizia morendo.

Ciò, evidentemente, vale per i santi martiri, ai quali dal persecutore viene imposto o di abbandonare la fede o di subire la morte.

Ma i giusti preferiscono soffrire per la fede, quello che i primi peccatori soffrirono per non aver fede.

Se quelli non avessero peccato non sarebbero morti; questi invece peccheranno se non moriranno.

Quelli morirono perché peccarono: non peccano costoro, perché muoiono.

La loro colpa fece sì che quelli subissero la pena; per questi la pena fa sì che non cadano nella colpa.

Non che la morte sia diventata un bene, essa che prima era un male; ma Dio ha elargito tanta grazia alla fede che, la morte, pur l'opposto della vita, è diventata un mezzo per raggiungere la vita.

Agostino, La città di Dio, 13,3-4

13. - La sorte dei bambini morti

Chi è poco istruito, spesso avanza delle obiezioni non serene per la morte dei bambini e per le sofferenze del corpo che spesso, lo vediamo, li colpiscono.

Dicono dunque: Che bisogno c'era che nascesse, se prima di potere acquistare merito nella vita, se ne diparte?

E quale sarà la sua sorte nel giudizio, non avendo posto tra i giusti, perché non ha compiuto azioni rette, né tra i malvagi, perché non ha peccato?

A costoro si risponda: Nel complesso universale, nella struttura ordinatissima, per luogo e per tempo, di tutte le creature, nessun uomo può essere stato creato inutilmente, perché neppure una foglia d'albero sola è stata creata inutilmente.

Inoltre è inutile porre la questione dei meriti a chi non ha nulla meritato.

Non c'è da temere che vi possa essere una vita tesa a metà fra la giustizia e il peccato, e che vi possa essere una sentenza del giudice anch'essa a metà tra il premio e il castigo.

In questo contesto gli uomini si chiedono anche cosa giovi mai il sacramento del battesimo di Cristo ai bambini che, ricevutolo, per lo più muoiono prima di aver saputo qualcosa di esso.

In tale questione è giusto ed è consono alla pietà credere che al bambino giovi la fede di coloro i quali lo offrono alla consacrazione battesimale.

Ciò viene attestato dall'autorità salvifica della Chiesa; così ciascuno può comprendere quanto giovi a lui stesso la sua fede, se la fede altrui può venire mutuata a vantaggio di chi non ce l'ha.

Come poteva giovare la sua fede al figlio della vedova che, morto, certamente non l'aveva?

Gli giovò invece la fede della madre, tanto che risuscitò ( Lc 7,12-15 ).

Quanto più dunque la fede altrui può giovare al bambino, al quale non si può far colpa di non aver fede!

Agostino, Il libero arbitrio, 3,66-67

14. - La morte di Monica, madre di Agostino

All'avvicinarsi del giorno in cui doveva uscire da questa vita, giorno a te noto, ignoto a noi, accadde, per opera tua, io credo, secondo i tuoi misteriosi ordinamenti, che ci trovassimo lei e io soli, appoggiati a una finestra prospiciente il giardino della casa che ci ospitava, là, presso Ostia Tiberina, lontani dai rumori della folla, intenti a ristorarci dalla fatica di un lungo viaggio in vista della traversata del mare.

Conversavamo, dunque, soli con grande dolcezza.

Dimentichi delle cose passate e protesi verso quelle che stanno innanzi ( Fil 3,13 ), cercavamo fra noi alla presenza della verità, che sei tu, quale sarebbe stata la vita eterna dei santi, che occhio non vide, orecchio non udì, né sorse in cuore d'uomo ( 1 Cor 2,9 ).

Aprivamo avidamente la bocca del cuore al getto superno della tua fonte, la fonte della vita che è presso di te ( Sal 36,10 ), per esserne irrorati secondo il nostro potere e quindi concepire in qualche modo una realtà così alta.

Condotto il discorso a questa conclusione: che di fronte alla giocondità di quella vita il piacere dei sensi fisici, per quanto grande e nella più grande luce corporea, non ne sostiene il paragone, anzi neppure la menzione; elevandoci con più ardente impeto d'amore verso l'Essere stesso ( Sal 4,9 ), percorremmo su tutte le cose corporee e il cielo medesimo, onde il sole, la luna e le stelle brillano sulla terra.

E ancora ascendendo in noi stessi con la considerazione, l'esaltazione, l'ammirazione delle tue opere, giungemmo alle nostre anime e anch'esse superammo per attingere la plaga dell'abbondanza inesauribile, ove tu pasci Israele in eterno col pascolo della verità, ove la vita è la sapienza, per cui si fanno tutte le cose presenti e che furono e che saranno, mentre essa non si fa, ma tale è oggi quale fu e quale sempre sarà; o meglio, l'essere stato e l'essere futuro non sono in lei, ma solo l'essere, perché è eterna e perché l'essere stato e l'essere futuro non è l'eterno.

E mentre ne parlavamo e anelavamo verso di lei, la cogliemmo un poco con lo slancio totale della mente, e sospirando vi lasciammo avvinte le primizie dello spirito ( Rm 8,23 ), per ridiscendere al suono vuoto delle nostre bocche, ove la parola ha principio e fine.

E cos'è simile alla tua Parola, che è il nostro Signore, stabile in se stesso, senza vecchiaia e rinnovatore di ogni cosa?

Dicevamo dunque: « Se per qualcuno tacesse il tumulto della carne, tacessero le immagini della terra, dell'acqua e dell'aria, tacessero i cieli e l'anima stessa tacesse e si superasse non pensando a sé, e tacessero i sogni e le rivelazioni della fantasia, ogni lingua e ogni segno e se tutto ciò che nasce per sparire tacesse completamente a qualcuno - sì, perché a chi le ascolta tutte le cose dicono: Non ci siamo fatte da noi, ma ci fece chi permane in eterno ( Sal 100,3 ) -; se, detto ciò, tutte le cose ammutolissero levando l'orecchio verso il loro Creatore, e solo questi parlasse, non più con la bocca delle cose, ma con la sua bocca, e noi non udissimo più la sua parola attraverso lingua di carne o voce d'angelo o fragore di nube o enigma di parabola, ma lui direttamente, da noi amato in queste cose, se lui direttamente udissimo senza queste cose - come or ora protesi con un pensiero fulmineo abbiamo colto l'eterna sapienza stabile sopra ogni cosa - e se tale condizione si prolungasse, e le altre visioni, di qualità grandemente inferiore, scomparissero, e quest'unica nel contemplarla ci rapisse e ci assorbisse e ci immergesse in gioie interiori, se dunque a quel momento di intuizione a cui sospiriamo, somigliasse la vita eterna: non sarebbe questo: Entra nel gaudio del Signore ( Mt 25,21 )?

E quando si realizzerà? Non forse il giorno in cui tutti risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ( 1 Cor 15,51 )? ».

Così dicevo, sebbene in modo e in parole diverse.

Fu comunque, Signore, tu sai, il giorno in cui avvenne questa conversazione, e questo mondo con tutte le sue attrattive si svilì ai nostri occhi nel parlare, che mia madre disse: « Figlio mio, per quanto mi riguarda, questa vita ormai non ha più nessun'attrattiva per me; cosa faccio ancora qui, e perché sono qui, lo ignoro.

Le mie speranze sulla terra sono ormai esaurite.

Una sola cosa c'era, che mi faceva desiderare di rimanere quaggiù ancora per un poco: il vederti cristiano cattolico prima di morire.

Il mio Dio mi ha soddisfatta ampiamente, poiché ti vedo addirittura disprezzare la felicità terrena per servire lui. Cosa faccio qui? ».

Cosa le risposi, non ricordo bene.

Ma intanto, entro cinque giorni o non molto più, si mise a letto febbricitante e nel corso della malattia un giorno cadde in deliquio e perdette la conoscenza per qualche giorno.

Noi accorremmo, ma in breve riprese i sensi, ci guardò - mio fratello e me - che le stavamo accanto in piedi, e ci domandò, quasi cercando qualcosa: « Dov'ero? »; poi, vedendo il nostro afflitto stupore: « Seppellirete qui, soggiunse, vostra madre ».

Io rimasi muto, frenando le lacrime; mio fratello invece pronunziò qualche parola, esprimendo l'augurio che la morte non l'accogliesse in terra straniera, ma in patria, che sarebbe stata migliore fortuna.

All'udirlo, col volto divenuto ansioso, gli lanciò un'occhiata severa per quei suoi pensieri, poi fissando lo sguardo su di me, esclamo: « Vedi cosa dice », e subito dopo, rivolgendosi ad entrambi: « Seppellirete questo corpo dove che sia, senza darvene pena.

Di una sola cosa vi prego: ricordatevi di me, dovunque siate, dinanzi all'altare del Signore ».

Espressa così come poteva a parole la sua volontà, tacque.

Il male aggravandosi la faceva soffrire.

Io, al pensiero dei doni che tu, Dio invisibile, spargi nei cuori dei tuoi fedeli, dai quali nascono stupende messi, gioivo e rendevo grazie a te ricordando ciò che sapevo, ossia quanto si era sempre preoccupata e affannata per la sua sepoltura, che aveva prevista e preparata accanto al corpo del marito.

La grande concordia in cui erano vissuti le faceva desiderare - tanto l'animo umano stenta a comprendere le realtà divine - anche quest'altra soddisfazione, e che la gente ricordasse, come dopo un soggiorno di là dal mare le era stato concesso che una polvere congiunta coprisse la polvere di entrambi i congiunti.

Non sapevo però quando la piena della tua bontà avesse eliminato dal suo cuore questi pensieri futili; ero pervaso di gioia e ammirazione che mia madre mi fosse apparsa così.

Invero, anche durante la nostra conversazione presso la finestra, quando disse: « Ormai cosa faccio qui? » era apparso chiaro che non aveva più il desiderio di morire in patria.

In seguito venni anche a sapere che un giorno, durante la nostra dimora ad Ostia, parlando in mia assenza, con fiducia materna, ad alcuni miei amici sullo spregio della vita terrena e il vantaggio della morte, di fronte al loro stupore per tanta virtù d'una donna, che l'aveva ricevuta da te e alla loro domanda, se non l'impauriva l'idea di lasciare il corpo tanto lontano dalla sua città, esclamò: « Nulla è lontano da Dio, e non c'è da temere che alla fine del mondo egli non riconosca il luogo da cui risuscitarmi ».

Al nono giorno della sua malattia, nel cinquantaseiesimo anno della sua vita, trentatreesimo della mia, quest'anima credente e pia fu liberata dal corpo.

Agostino, Le Confessioni, 9,10-11

15. - Agostino ricorda la madre morta

Mentre le chiudevo gli occhi, una tristezza immensa si addensava nel mio cuore e si trasformava in un fiotto di lacrime.

Ma contemporaneamente i miei occhi sotto il violento imperio dello spirito ne riassorbivano il fonte sino a disseccarlo.

Fu una lotta penosissima …

Non ci sembrava davvero conveniente celebrare un funerale come quello fra lamenti, lacrime e gemiti.

Così si suole piangere, in chi muore, una sciagura, un annientamento totale; ma la morte di mia madre non era una sciagura e non era totale.

Ce lo garantivano la prova della sua vita, una fede non finta e ragioni sicure.

Ma cos'era dunque, che mi doleva dentro gravemente, se non la recente ferita derivata dalla lacerazione improvvisa della nostra così dolce e cara consuetudine di vita comune?

Mi confortavo della testimonianza che mi aveva dato proprio durante la sua ultima malattia: quando, inframezzando con una carezza i miei servigi, mi chiamava buono e mi ripeteva con grande effusione d'affetto di non aver mai udito uscire dalla mia bocca una frecciata dura o una parola offensiva al suo indirizzo; eppure, Dio mio, creatore nostro, come assomigliare, come paragonare il rispetto che avevo portato io per lei alla servitù che lei aveva sopportato per me?

La mia anima, privata della grandissima consolazione che trovava in lei, rimaneva ferita, e la mia vita, che era stata tutt'una con la sua, rimaneva come lacerata …

Evodio [ amico e accompagnatore di Agostino, divenne vescovo di Uzali ] prese il salterio e intonò un salmo.

Gli rispondeva tutta la casa: La tua misericordia e la tua giustizia ti canterò, o Signore ( Sal 101,1 ).

Poi, alla nuova dell'accaduto, si diedero convegno molti fratelli e pie donne; e mentre gli incaricati si occupavano dei funerali secondo le usanze, io mi appartavo in luogo conveniente con gli amici, che ritenevano di non dovermi abbandonare, e mi trattenevo con loro su temi adatti alla circostanza.

Il balsamo della verità leniva un tormento che tu conoscevi, che essi ignoravano.

Mi ascoltavano attentamente e pensavano che non provassi dolore.

Invece al tuo orecchio, ove nessuno di loro udiva, mi rimproveravo la debolezza del sentimento e tenevo il fiotto dell'afflizione, che per qualche tempo si ritraeva davanti ai miei sforzi, ma per essere sospinto di nuovo dalla sua stessa violenza.

Non erompeva in lacrime, né alterava i tratti del viso, ma sapevo ben io cosa tenevo compresso nel cuore.

Il vivo disappunto, poi, che provavo di fronte al grande potere su me di questi avvenimenti umani, inevitabili nell'ordine naturale delle cose e nella condizione che abbiamo sortito, era un nuovo dolore, che mi affliggeva per il mio dolore, così che mi consumavo di una duplice tristezza.

Alla sepoltura del suo corpo andai e tornai senza piangere.

Nemmeno durante le preghiere che spandemmo dinanzi a te mentre veniva offerto in suo suffragio il sacrificio del nostro riscatto, col cadavere già deposto vicino alla tomba, prima della sepoltura come vuole l'usanza del luogo, ebbene, nemmeno durante quelle preghiere piansi.

Ma per tutta la giornata sentii una profonda mestizia nel segreto del cuore e ti pregai come potevo, con la mente sconvolta, di guarire il mio dolore.

Non mi esaudisti, credo per imprimere nella mia memoria, almeno con quest'unica prova, come sia forte il legame di qualsiasi abitudine anche per un'anima che già si nutre della parola non fallace.

Pensai anche di andare a prendere un bagno, avendo sentito dire che i bagni furono così chiamati perché i greci lo dicono balanion, in quanto caccia via l'affanno dall'animo.

Ma ecco, confesso anche questo alla tua misericordia, padre degli orfani, che dopo il bagno stavo come prima, poiché non avevo trasudato dal cuore l'amarezza dell'afflizione.

In seguito dormii. Al risveglio notai che il dolore si era un poco mitigato.

Solo, nel mio letto, mi vennero alla mente i versi così veri del tuo Ambrogio ( Inni, 4,1-8 ): tu sei proprio « Dio creatore di tutto, / reggitore del cielo, / che il dì di luce, e grato / sopor la notte adorni, / sicché le membra sciolte / il sonno renda preste, / ricrei le menti stanche, / disperda ansie e dolori ».

Poi tornai insensibilmente ai miei pensieri antichi sulla tua ancella, al suo atteggiamento, pio nei tuoi riguardi, santamente sollecito e discreto nei nostri.

Privato di lei così, all'improvviso, mi prese il desiderio di piangere davanti ai tuoi occhi su di lei e per lei, su di me e per me; lasciai libere di scorrere a loro piacimento le lacrime che avevo trattenuto, stendendole sotto il mio cuore come un giaciglio, su cui esso trovò riposo.

Perché ad ascoltarle c'eri tu, non un uomo qualsiasi, che avrebbe interpretato sdegnosamente il mio dolore.

Ora, Signore, ti confesso tutto ciò su queste pagine.

Chi vuole le legga, e le interpreti come vuole.

Se troverà che ho peccato piangendo, per piccola parte di un'ora, mia madre, mia madre morta ai miei occhi, che per tanti anni mi aveva pianto affinché io vivessi ai tuoi, costui non mi derida.

Piuttosto, se ha grande carità, pianga anch'egli per i miei peccati davanti a te, Padre di tutti i fratelli del tuo Cristo.

Io, per conto mio, ora che il cuore è guarito da quella ferita, in cui si poteva condannare la presenza di un affetto carnale, davanti a te Dio nostro, spargo per quella tua serva un ben altro genere di lacrime: sgorgano da uno spirito sconvolto dalla considerazione dei pericoli cui soggiace ogni anima morente in Adamo.

Certo, vivificata in Cristo prima ancora di essere sciolta dalla carne, mia madre visse procurando con la sua fede e i suoi costumi lodi al tuo nome; tuttavia non ardisco affermare che, da quando la rigenerasti col battesimo, nemmeno una parola sia uscita dalla sua bocca contro il tuo precetto.

Dalla Verità, da tuo Figlio è stato proclamato: Se qualcuno avrà detto a suo fratello: sciocco!, sarà soggetto al fuoco della geenna ( Mt 5,22 ); sventurata dunque la più lodevole delle vite umane, se la frughi accantonando la tua misericordia.

Ma no, tu non frughi le nostre malefatte con rigore; perciò noi speriamo con fiducia di ottenere un posto accanto a te.

Eppure chi aduna innanzi a te i suoi autentici meriti, che altro ti aduna, se non i tuoi doni?

Oh, se gli uomini si conoscessero quali uomini, e chi si gloria, si gloriasse nel Signore ( 2 Cor 10,17 )!

Perciò, mio vanto e mia vita, Dio del mio cuore, trascurando per un istante le sue buone opere, di cui a te rendo grazie con gioia, ora ti scongiuro per i peccati di mia madre.

Esaudiscimi, in nome di colui che è medico delle nostre ferite, che fu sospeso al legno della croce, e seduto alla tua destra, intercede per noi ( Rm 8,34 ) presso di te.

So che essa fu misericordiosa in ogni suo atto, che rimise di cuore i debiti ai propri debitori: dunque rimetti anche tu a lei i suoi debiti, se mai ne contrasse in tanti anni passati dopo ricevuta l'acqua risanatrice; rimettili, Signore, rimettili, ti imploro; non entrare in giudizio contro di lei ( Sal 143,2 ).

La misericordia trionfi sulla giustizia ( Gc 2,13 ).

Le tue parole sono veritiere, e tu hai promesso misericordia ai misericordiosi.

Furono tali in grazia tua, e tu avrai misericordia di colui, del quale avesti misericordia; userai misericordia a colui, verso il quale fosti misericordioso ( Rm 9,15 ).

Credo che tu abbia già fatto quanto ti chiedo.

Tuttavia, gradisci, Signore, la volontaria offerta della mia bocca ( Sal 119,108 ).

All'approssimarsi del giorno della sua liberazione, mia madre non si preoccupò che il suo corpo venisse composto in vesti sontuose o imbalsamato con aromi, non cercò un monumento eletto, non si curò di avere sepoltura in patria.

Non furono queste le disposizioni che ci lasciò.

Ci chiese soltanto di fare menzione di lei davanti al tuo altare, cui aveva servito infallibilmente ogni giorno, conscia che ivi si dispensa la vittima santa, grazie alla quale fu distrutto il documento che era contro di noi ( Col 2,14 ), e si trionfò sul nemico che, per quanto conteggi i nostri delitti e cerchi accuse da opporci, nulla troverà in colui, nel quale siamo vittoriosi.

A lui, chi rifonderà il sangue innocente? chi gli ripagherà il prezzo con cui ci ha acquistato, liberandoci da quello?

Al mistero di questo prezzo del nostro riscatto la tua ancella legò la propria anima col vincolo della fede.

Nessuno la strappi dalla tua protezione, non si frapponga tra voi due né con la forza, né con l'astuzia, il leone e il dragone.

Essa non risponderà « nulla devo » per timore di essere confutata e assegnata a un inquisitore scaltro.

Risponderà però che i suoi debiti le furono rimessi da colui, cui nessuno potrà restituire quanto restituì per noi senza nulla dovere.

Sia dunque in pace col suo uomo, prima del quale e dopo il quale non fu sposa d'altri; che servì offrendoti il frutto della sua pazienza ( Lc 8,15 ), per guadagnare a te anche lui.

Ispira, Signore mio e Dio mio, ispira i servi tuoi, i fratelli miei, i figli tuoi, i padroni miei, che servo col cuore e la voce e gli scritti, affinché quanti leggono queste parole si ricordino davanti al tuo altare, di Monica, tua serva, e di Patrizio, già suo marito, mediante la cui carne mi introducesti in questa vita, non so come.

Si ricordino con sentimento pietoso di coloro che in questa luce passeggera furono miei genitori, sotto di te, nostro Padre, e dentro la Chiesa cattolica, nostra madre: miei fratelli e miei concittadini nella Gerusalemme eterna, cui sospira il tuo popolo durante il suo pellegrinaggio dalla partenza al ritorno.

Così, per le orazioni di molti, l'estrema invocazione che mi rivolse mia madre sarà soddisfatta più abbondantemente dalle mie confessioni che dalle mie orazioni.

Agostino, Le Confessioni, 9,12-13

16. - « La benedizione di questo moribondo scenda su di me! »

La benedizione dei moribondi deve avere una particolare virtù …

Se vediamo un povero moribondo, aiutiamolo con i nostri beni; e ciascuno di noi dica: « La benedizione di questo moribondo scenda su di me! ».

Se vediamo qualcuno ormai sfinito, restiamo con lui; se è giunto agli estremi, non abbandoniamolo.

Allora possiamo ben dire: « La benedizione di questo moribondo scenda su di me! ».

Ti lodino tutti i moribondi, tutti coloro che abbandonano questo mondo: chi è straziato da una ferita grave, chi viene spento dalla malattia, chi è già prossimo alla morte.

Questo breve detto, su quanti ha attirato la benedizione!

Quante volte mi sono vergognato di non essermi fermato presso un moribondo, di non aver visitato un ammalato grave, di aver provato fastidio per un povero, di non aver riscattato un prigioniero, di aver dimenticato un vecchio!

Questo detto sia sempre nel nostro cuore, di stimolo ai più duri, di ammonimento ai più pronti.

Parlino di te le ultime frasi del moribondo, e l'anima uscendo dal corpo porti con sé la benedizione su di te invocata.

Ambrogio, Il bene della morte, 36-37

17. - Non dobbiamo affliggerci per i nostri fratelli tornati in patria

Anche a me, quantunque il più piccolo e il più umile, quante volte è stato rivelato, quanto spesso e apertamente mi è stato imposto dalla grazia di Dio di attestare assiduamente, di predicare pubblicamente che non dobbiamo piangere i nostri fratelli liberati, per la chiamata di Dio, da questo mondo.

Sappiamo infatti che non sono andati perduti, ma sono andati avanti, che ci hanno lasciato per precederci.

Come per chi è in viaggio, come per chi è in mare, dobbiamo certo desiderarli, ma non piangerli; e non dobbiamo indossare, quaggiù, abiti neri, giacché essi, lassù, sono rivestiti di abiti candidi.

Non dobbiamo dare occasione ai pagani di rimproverarci, a diritto e merito, di piangere i morti come perduti, mentre diciamo che vivono presso Dio, e di non provare con la testimonianza dei sentimenti e degli affetti quella fede che professiamo a voce, a parole.

Tradiamo la nostra fede, la nostra speranza, se le nostre parole si dimostrano false, artefatte, truccate.

A nulla giova mostrare virtù a parole, e distruggere coi fatti la realtà.

Anche l'apostolo Paolo rimprovera fortemente chi si contrista per la dipartita dei suoi.

Dice: Non vogliamo, o fratelli, che siate nell'ignoranza a proposito dei fratelli addormentatisi, perché non vi rattristiate come tutti gli altri che non hanno speranza.

Se infatti crediamo che Gesù è morto ed è risorto, così Dio condurrà con sé coloro che si sono addormentati in Gesù ( 1 Ts 4,13-14 ).

Asserisce dunque che si rattristano per la morte dei loro cari coloro che non hanno speranza.

Ma noi che viviamo di speranza, che crediamo in Dio, che confidiamo, per la passione e la risurrezione di Cristo, di restare in lui e di risorgere per lui e con lui, perché ricusiamo di partire da questo secolo, e ci affliggiamo per i nostri trapassati e li piangiamo come perduti?

Eppure lo stesso Cristo Signore e Dio nostro ci ammonisce e ci dice: Io sono la risurrezione.

Chi crede in me, anche se muore, vive, e chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno ( Gv 11,25-26 ).

Se crediamo in Cristo, abbiamo fede nelle sue parole e nelle sue promesse: andiamo incontro a Cristo lieti e sicuri di non morire in eterno, ma di vivere e regnare sempre con lui.

Cipriano, La mortalità, 20-21

18. - Perché piangi chi se n'è andato a mutar veste?

Le lacrime rappresentano un certo sollievo per gli afflitti, perché quello che li aggrava, senza che se ne avvedano, se ne esce, in un certo senso, con le lacrime.

Questo fatto è attestato dall'esperienza pratica.

Abbiamo conosciuto molti che in terribili afflizioni si sforzarono di allontanare con violenza le lacrime; alcuni di essi caddero in mali incurabili: apoplessia e paralisi; altri invece addirittura morirono, perché il debole sostegno delle loro forze fu schiantato dal peso del dolore.

Lo si può vedere nel fuoco: viene soffocato dal suo stesso fumo, se questo non sale ma si ammassa intorno; e questo si dice che avvenga della potenza vitale che sorregge il vivente: si consuma e si estingue per il dolore, se esso non trova sfogo all'esterno.

Ma non perciò quelli che amano abbandonarsi alla tristezza adducano per pretesto le lacrime del Signore ( Gv 11,33; Lc 19,41 ) per sostenere questo loro vizio.

Come infatti il cibo che il Signore mangiò non è per noi un motivo per abbandonarci alla gola, ma al contrario è la suprema regola di temperanza e frugalità, così le sue lacrime non sono per noi una legge che ci imponga di piangere, bensì una misura convenientissima e una regola precisa, secondo cui si addice abbandonarsi al dolore restando, con gravità e decoro nei limiti della natura.

Perciò né alle donne né agli uomini è permesso piangere troppo o lamentarsi troppo a lungo, bensì affliggersi con misura per le sciagure, e piangere un poco; però in silenzio, senza abbandonarsi a gemiti e urla, senza strapparsi le vesti o cospargersi di cenere e compiere altre simili azioni poco decorose, cui si abbandonano quelli che nulla sanno delle realtà celesti.

Chi è stato purificato dalla dottrina divina deve circondarsi della retta ragione, come di un muro, e respingere con coraggio e animo virile gli assalti di tali passioni; non deve permettere che la torma delle agitazioni d'animo si riversi nell'anima abbattuta e spossata come in un avvallamento.

É segno infatti di un animo debole, che nessuna energia sa trarre dalla speranza in Dio, lasciarsi travolgere e soccombere al dolore.

Come i vermi si formano soprattutto nel legno più tenero, così la tristezza si genera nei temperamenti più fiacchi.

Giobbe aveva forse un cuore di diamante?

O le sue viscere erano fatte di sasso?

Gli morirono dieci figli in un breve momento oppressi da un'unica sciagura in un'abitazione piena di letizia, in un'ora di divertimento, perché il diavolo fece crollare su di loro la casa.

Egli vide le mense cosparse di sangue, vide i figli nati in tempo diverso, uniti nel termine della vita, nella dipartita da quaggiù.

Eppure non scoppiò in lamenti, non si strappò i capelli, non uscì in espressioni scomposte, ma pronunciò quelle celebri parole di ringraziamento, da tutti ammirate: Il Signore ha dato, il Signore ha tolto; come è piaciuto al Signore così è avvenuto; sia benedetto il nome del Signore ( Gb 1,21 ).

Era un uomo insensibile? Ma come, se dice di se stesso: Ho pianto per chiunque fosse afflitto ( Gb 30,25 ).

O forse mentiva pronunciando quelle parole?

Ma la verità testimonia di lui che, tra le altre virtù, era anche veritiero; è detto infatti: Un uomo incensurabile, giusto, pio e veritiero ( Gb 1,1 ).

Ma tu ti abbandoni a cantilene fatte apposta per eccitare la mestizia, suoli distruggerti l'animo con melodie lugubri; come gli attori tragici usano maschere e abiti speciali per salire sulla scena, così anche tu ritieni che anche a chi è in lutto si addicano atteggiamenti esteriori particolari: l'abito nero, la chioma trascurata, l'oscurità in casa, sporcizia, polvere, e inoltre il canto lugubre che tiene sempre viva nell'anima la ferita dolorante.

Lascia che facciano questo coloro che non hanno speranza.

Tu sei stato ammaestrato sulla sorte di coloro che si sono addormentati in Cristo: Si semina ( il corpo ) corruttibile, risorge incorruttibile; si semina nella debolezza, risorge pieno di forze; si semina corpo animale, risorge corpo spirituale ( 1 Cor 15,42-44 ).

Perché piangi dunque chi se n'è andato a mutare veste?

E non piangere te stesso perché privato di un aiuto in questa vita: É bene infatti - è detto - confidare nel Signore, più che confidare nell'uomo ( Sal 118,9 ).

E non piangere lui, perché ha subìto una sorte crudele.

Tra poco infatti lo sveglierà la tromba dal cielo e lo vedrai presentarsi al tribunale del Cristo.

Smettila dunque con quelle frasi indegne e ottuse, come: « Ahimè, che mali inattesi! Chi avrebbe mai pensato che succedesse ciò! Quando mai mi sarei aspettato di dover seppellire sotterra il suo volto tanto amato! ».

Se udissimo queste espressioni pronunciate da un altro, dovremmo arrossirne, perché sappiamo bene, sia per il ricordo del passato come per l'esperienza del presente, che queste sofferenze della natura sono inevitabili.

Basilio il Grande, Omelia sul rendimento di grazie, 5-6

19. - Festeggiamo il giorno in cui i nostri morti tornano in patria

Non dobbiamo piangere la morte dei nostri cari.

In effetti, non è giusto che si pianga come particolare disgrazia ciò che, lo sappiamo, tocca a tutti.

Significherebbe voler sottrarsi al destino generale, non accettare la legge comune, non riconoscere l'uguaglianza di natura, seguire i sentimenti carnali e disconoscere lo scopo del corpo.

Cosa vi può essere di più stolto che disconoscere ciò che si è, e voler sembrare ciò che non si è?

Cosa può essere meno intelligente che saper ciò che pur deve avvenire, e non riuscire a sopportarlo quando avviene?

La natura stessa ci richiama e ci distoglie dal dolore con un modo di consolarci che le è proprio.

Infatti non vi è cordoglio tanto profondo, strazio tanto acerbo, che non trovi un po' di lenimento.

É la natura appunto che lo offre agli uomini, precisamente perché sono uomini, distogliendo il loro spirito dal dolore, anche nelle situazioni più tristi e luttuose.

Devono esserci stati dei popoli che si affliggevano alla nascita di un uomo, mentre ne celebravano festosamente la dipartita.

Ciò non è del tutto privo di senso: si credeva appunto di dover rimpiangere coloro che si mettono al timone nel mare burrascoso della vita, e intendevano, invece, non ingiustamente rallegrarsi con coloro che erano strappati dalle tempeste e dai marosi del vivere.

Noi stessi dimentichiamo il giorno della nascita dei nostri beati defunti e festeggiamo il giorno del loro ritorno in patria.

Secondo l'ordine della natura, dunque, non è giusto fare troppo posto al dolore, se non si vuol sembrare di pretendere una particolare eccezione dal corso della natura o di rifiutare la sorte comune.

La morte infatti è comune a tutti, senza distinzione per i poveri, senza eccezione per i ricchi.

E quantunque sia venuta al mondo per la colpa di un uomo solo, è trapassata in tutti, tanto che devesi ritenere autore della morte colui che riteniamo autore del genere umano.

Ma parimenti per opera di Uno è venuta a noi la risurrezione, come per opera di uno è venuta in noi la morte.

Non dobbiamo dunque sottrarci al suo flagello, per poter raggiungere così la grazia.

Cristo infatti, secondo le parole della Scrittura, è venuto per rendere beato ciò che era andato perduto, affinché egli così regni non solo sui viventi, ma anche sui morti.

In Adamo noi siamo caduti, cacciati dal paradiso e morti: come potrà il Signore ricondurci a sé, se non ci trova in Adamo?

Come in costui siamo caduti in potere del peccato e della morte, così in Cristo siamo giustificati.

La morte è un debito comune; tutti perciò ne devono sopportare il pagamento …

Reputo addirittura un oltraggio che si fa alla pia memoria dei defunti, se li si considera perduti e si preferisce dimenticarli piuttosto che confortarli con suffragi; se si pensa a loro con paura, piuttosto che con amore e benevolenza; se se ne paventa il ricordo, mentre si dovrebbe procurare loro pace; se infine, pensando ai loro meriti, si nutre per essi più timore che speranza e si ritiene che i nostri cari abbiano avuto il castigo piuttosto che l'immortalità.

Ma forse ci si obietta: Eppure, li abbiamo persi i nostri cari!

Ma non è questa la sorte che noi abbiamo in comune con la terra e con gli elementi, perché ciò che ci è stato prestato per un certo tempo non lo possiamo tenere per sempre?

La terra geme sotto l'aratro; viene frustata dalla pioggia, scossa dalla tempesta, inceppata dai geli, riarsa dalla vampa del sole: tutto ciò affinché fruttifichi e rechi il raccolto annuale.

Mentre si riveste di molteplici bellezze, presto queste le vengono strappate e derubate.

E di quanto viene privata! Eppure essa non piange come perduti i suoi frutti, che ha prodotto proprio perché vadano perduti.

E non rifiuta di produrre frutti in futuro, pur sapendo bene che tutti le saranno tolti.

Il cielo stesso non splende sempre per i globi luminosi delle stelle che lo adornano come una corona.

Non sempre splende per l'aurora e non sempre è indorato dai raggi del sole.

Piuttosto, con ritmo regolare, la fredda foschia della notte copre il suo aspetto lucente.

Cosa è più gradito della luce e cosa è più splendido del sole?

Tutt'e due spariscono ogni giorno; e noi sopportiamo senza rincrescimento che se ne vadano, perché presupponiamo che torneranno.

Ciò dimostra quanta pazienza devi avere per la sorte dei tuoi.

Quando i corpi celesti spariscono tu non ne hai dolore: perché dovrebbe riempirti di dolore la morte dell'uomo?

Ambrogio, La fede nell'immortalità

20. - Dobbiamo ringraziare Dio anche per i dolori e le afflizioni

L'Apostolo dice anche: In ogni circostanza rendete grazie ( 1 Ts 5,18 ).

Ma come è possibile, si obietta, che un'anima straziata dalle sventure, quasi trafitta dall'intensità del dolore, non scoppi in lamenti e lacrime, ma ringrazi, come se fosse un bene ciò che in realtà è detestabile?

Soffro appunto i mali che mi ha augurato il mio nemico, e come posso ringraziare per essi?

É stato rapito dalla morte il tenero fanciullo e dolori più atroci di quelli del parto straziano la madre dolente per il suo diletto: come cesserà i lamenti e innalzerà parole di ringraziamento?

Come? Se penserà che del fanciullo da lei generato Dio è il padre più vero, il tutore più avveduto, il sostegno della vita.

Perché non lasciamo che il Signore, tanto saggio, dispensi i suoi beni come gli pare, ma ci turbiamo come se ci spogliasse di beni nostri?

Perché compatiamo i defunti come se avessero subìto un'ingiustizia?

Tu pensa invece che il fanciullo non è morto, ma è stato restituito; che il tuo caro non è defunto, ma ha traslocato, e per breve tempo ti ha preceduto sulla via che tutti noi necessariamente dobbiamo percorrere.

Tua compagna inseparabile sia la legge di Dio, che è una luce e uno splendore da cui procede sempre il retto giudizio sulle cose!

Se essa ti è sempre avanti e impone alla tua anima la retta direzione e ti suggerisce le idee esatte su ogni realtà, non permetterà che tu ti muti per i vari eventi, ma farà sì che, con l'animo sempre preparato, tu sopporti come uno scoglio in riva al mare la veemenza dei venti e l'impeto dei flutti.

Perché dunque non ti sei abituato a ritenere mortali le cose mortali, e perché invece la morte del fanciullo ti è giunta così inaspettata?

Quando ti fu annunziata per la prima volta la nascita del figlio, se qualcuno avesse chiesto cosa fosse nato, che gli avresti risposto?

Non gli avresti detto forse che il nato era un uomo?

Ma se è un uomo, è chiaro che è mortale.

Che vi è dunque di straordinario se chi è mortale muore?

Non vedi il sole sorgere e tramontare?

Non vedi la luna crescere e calare?

Non vedi la terra rinverdire e rinsecchirsi?

Cosa mai intorno a noi è stabile?

Cosa mai è per sua natura immobile e immutabile?

Guarda lassù il cielo e osserva la terra: neppure essi rimangono: Il cielo e la terra passeranno - è detto - cadranno le stelle dal cielo, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce ( Mt 24,35.29 ).

Che meraviglia dunque se anche noi, che siamo parte del mondo, subiamo la sorte del mondo?

Considerando ciò, quando ti colpisce la tua parte della sorte comune, sopportala in silenzio, non con insensibilità e apatia, ma con fatica, tra molte sofferenze.

Sopporta come un lottatore generoso, che rivela la sua forza e il suo coraggio non solo colpendo l'avversario, ma anche sapendo incassare i suoi duri colpi; sopporta come un bravo pilota, imperturbabile per la sua lunga esperienza di mare, che mantiene sempre la mente lucida, elevata, mai travolta da nessuna burrasca.

La privazione del figlio carissimo, della moglie affettuosa o di qualsiasi altro fra i più intimi e fra i più amati, non è qualcosa di tremendo per l'uomo provvido, che ha posto la retta ragione a guida della vita e non procede così, solo per abitudine.

Basilio il Grande, Omelia sulla martire Giulitta, 4

21. - Dio chiama un ristoro la morte, e tu piangi!

Nessuno, dunque, pianga più i morti, nessuno si disperi, né rigetti così la vittoria di Cristo.

Egli infatti ha vinto la morte.

Perché dunque piangi senza motivo? La morte è diventata un sonno.

A che pro gemi e ti lamenti? Se i gentili che si disperano sono degni d'esser derisi, quale scusa un cristiano potrà avere comportandosi in modo così disonorevole in tali circostanze?

Come potrà farsi perdonare tale stoltezza e insipienza, dopo che la risurrezione è stata provata molte volte e in modo evidente durante tanti secoli?

Ma voi, come se foste impegnati ad accrescere la vostra colpa, portate qui tra noi donne pagane, pagate per piangere ai funerali e attizzare in tal modo la fiamma del vostro dolore e non ascoltate Paolo che dice: Quale accordo può esserci tra Cristo e Belial?

O quale cosa di comune tra il fedele e l'infedele? ( 2 Cor 6,15 ).

Gli stessi pagani, che pure non credono nella risurrezione, finiscono col trovare argomenti di consolazione e dicono: Sopporta con coraggio; non è possibile eliminare quanto è accaduto e con le lacrime non ottieni nulla.

E tu che ascolti parole tanto più sublimi e consolanti di queste, non ti vergogni di comportarti in modo più sconveniente dei pagani?

Noi non ti esortiamo a sopportare con fermezza la morte, dato che essa è inevitabile e irrimediabile; al contrario ti diciamo: Coraggio, c'è la risurrezione con assoluta certezza: dorme la fanciulla e non è morta; riposa, non è perduta per sempre.

Sono infatti ad accoglierla la risurrezione, la vita eterna, l'immortalità e l'eredità stessa degli angeli.

Non senti il salmo che dice: Torna, anima mia, nel tuo riposo, perché Dio ti ha fatto grazia ( Sal 115,7 )?

Dio chiama « grazia » la morte, e tu ti lamenti?

Che potresti fare di più, se il morto fosse tuo nemico e rivale?

Ora, se qualcuno deve piangere, è il diavolo.

Pianga dunque e si affligga, poiché noi ci avviamo a beni maggiori.

Questo dolore è degno veramente della sua malvagità, ma è indegno di te che stai per essere coronato e andrai a godere un riposo eterno.

Porto tranquillo è infatti la morte.

Guarda di quanti mali è piena la vita presente; ricorda le volte che tu stesso hai imprecato contro questa vita terrena.

Le cose di questo mondo volgono spesso al peggio e sin dall'inizio noi abbiamo avuto in eredità una condanna non leggera.

Nei dolori darai alla luce i tuoi figli, Dio disse alla donna, e all'uomo: Mangerai il tuo pane con il sudore della tua fronte ( Gen 3,16-17 ).

E Cristo dice: Nel mondo avrete da soffrire ( Gv 16,33 ).

Nessuna sofferenza, invece, è preannunciata per la vita futura, ma tutto il contrario, poiché: Il dolore, la tristezza, i gemiti saranno eternamente banditi ( Is 35,10 ), e verranno dall'oriente e dall'occidente e si riposeranno nel seno di Abramo, Isacco e Giacobbe ( Mt 8,11 ); ed ecco infine le realtà dell'aldilà: una camera nuziale spirituale, lampade splendenti e l'assunzione al cielo.

Perché dunque vuoi disonorare, piangendo, colui che se ne è andato?

Perché insegni agli altri a temere la morte e ad aver terrore?

Perché dai occasione a molti di accusare Dio quasi fosse l'autore di grandi mali?

Spiegami allora per qual motivo, dopo la morte dei tuoi parenti, chiami i poveri a casa tua e chiedi ai sacerdoti di pregare.

Tu lo fai - affermi - perché il morto entri nel riposo eterno e il giudice sia misericordioso con lui.

E per questo, quindi, piangi e ti lamenti?

Non ti sembra di essere in contraddizione con te stesso?

Sei convinto che l'altro ha raggiunto il porto, e, per questo motivo, procuri a te stesso tempeste e turbamenti?

Ma che debbo fare? - mi dirai -.

É la natura che spinge a tale comportamento.

No, non è colpa della natura e neppure conseguenza dei fatti; ma siamo noi stessi che sconvolgiamo tutte le cose, che ci siamo rammolliti, tradendo la nostra personale nobiltà e rendendo peggiori anche gli infedeli.

Se così ci comportiamo, come potremo parlare agli altri dell'immortalità dell'anima?

Come potremo persuadere un pagano, se più di lui noi temiamo e abbiamo paura della morte?

Molti gentili, che pur non sapevano niente dell'immortalità, si ornarono di corone e indossarono bianche vesti in occasione della morte dei loro figli, con l'intento di acquistarsi la gloria terrena; tu, invece, neppure per la gloria futura cessi di piangere e di lamentarti, come fanno le donnicciole.

Tu mi rispondi che non hai erede, né successore delle tue sostanze.

Ebbene, preferisci che tuo figlio sia erede dei tuoi beni, anziché di quelli del cielo?

Che cosa desideri? Ch'egli riceva queste ricchezze effimere, che in ogni caso dovrà ben presto lasciare, piuttosto che quelle eterne e inalienabili?

É vero: tuo figlio non sarà tuo erede ma sarà l'erede di Dio.

Non sarà coerede con i suoi fratelli; ma sarà coerede con Cristo.

E allora - voi mi chiederete - a chi lasceremo questi abiti, queste case, questi servi, questi campi?

A vostro figlio, ma con maggior sicurezza che se fosse ancora in vita.

Se i popoli barbari usavano bruciare, insieme con i morti, tutto quanto essi possedevano, è tanto più giusto che voi mandiate con lui tutto quanto è suo: non perché sia ridotto in cenere, com'era usanza dei barbari, ma per aumentare la sua gloria; e, se questo figlio è morto in peccato, perché i suoi peccati siano perdonati, se era giusto, perché il suo premio e la sua ricompensa siano maggiori.

Ma voi mi dite che desiderate vederlo?

Vivete, allora, come egli ha vissuto e presto voi potrete contemplare il suo volto santo.

Considerate anche quest'altro fatto: se voi ora rifiutate di ascoltarci, il tempo si incaricherà di convincervi del tutto.

Ma allora non otterrete nessuna ricompensa, perché la vostra rassegnazione sarà dovuta al passare del tempo.

Se invece vi decidete sin d'ora a essere cristianamente saggi, ne trarrete due grandissimi vantaggi: primo, vi libererete dai dolori che vi affliggono e, secondo, riceverete da Dio una più splendida corona.

In verità il portare con serenità e pazienza le sventure è azione più grande e meritevole che il far elemosina e molte altre cose.

Pensa che anche il Figlio di Dio morì, ma mentre lui è morto per te, tu invece muori per te stesso; e pur avendo egli detto: Se è possibile, passi da me questo calice ( Mt 26,39 ), pur avendo provato un'infinita tristezza e sofferto una dolorosa e combattuta angoscia, non ha tuttavia fuggito la morte, ma si è sottoposto ad essa con tutte le circostanze tragiche che l'accompagnarono.

Egli infatti non ha subìto una semplice morte, ma la morte più ignominiosa.

E prima di morire è stato flagellato e, prima ancora, ha subìto scherni e insulti, per insegnarti a sopportare tutto con coraggio.

Ma tuttavia, dopo esser morto e sepolto, di nuovo egli ha ripreso il suo corpo con maggior gloria e con ciò ti dà ottime speranze.

Se questi fatti non sono per te una favola, non affliggerti per la morte dei tuoi cari.

Se ritieni degne di fede queste realtà, non piangere; perché se piangi, come potrai persuadere i pagani che tu credi?

Può darsi che, malgrado tutto ciò, voi consideriate ancora insopportabile l'accaduto.

Ma giustamente per questo non dovete piangere colui ch'è morto, essendo egli ormai libero da tutte queste sventure che ancora colpiscono voi.

Non siate invidiosi di lui, né vi rammaricate.

Sembra, infatti, di una persona invidiosa l'augurarsi di morire per la morte immatura di un altro, il piangere perché non vive più e di conseguenza non deve più soffrire molti mali.

Non pensate che colui che è morto non tornerà più nella vostra casa, ma considerate invece che voi stessi andrete presto a trovarlo.

Non state a pensare che egli non è più in questo mondo; ricordatevi, invece, che questo mondo visibile non rimarrà tale, ma anch'esso si trasformerà.

Il cielo, la terra, il mare, tutto cambierà e allora tutto ciò accoglierà vostro figlio con gloria ben più grande.

Se egli è deceduto mentre era nel peccato, la morte ha fermato il corso della colpa: se Dio avesse previsto che si sarebbe convertito, non lo avrebbe tolto dal mondo prima che egli avesse fatto penitenza.

Se invece è morto come un giusto, egli possiede ora i beni eterni con piena sicurezza.

É evidente allora che le tue lacrime non derivano da vero amore, ma da un sentimento irrazionale.

Se tu amassi veramente la persona che è morta, dovresti gioire e rallegrarti che si trovi ormai libera dai pericolosi flutti della vita presente.

Dimmi, ti prego: che c'è più del previsto? Che c'è di strano e di nuovo?

Non vediamo forse le stesse cose succedersi ogni giorno?

Il giorno succede alla notte e la notte al giorno; l'inverno segue l'estate e l'estate l'inverno; e niente più.

Tutto questo è sempre uguale.

I mali, invece, sono inaspettati, vari, sempre nuovi.

Vorreste, dunque, che chi è deceduto fosse ancora sottoposto, quotidianamente, a questi mali e rimanesse quaggiù a soffrire infermità, pene, timori e terrori, a subire terribili sciagure e ad essere angosciato in attesa di altre?

Non potresti certo dire che, navigando per l'ampio mare della vita, egli sia stato esente da ogni sofferenza e non abbia mai provato inquietudini e altri simili affanni.

Oltre a questo, pensa che tu non hai dato alla luce un figlio immortale, e che, se non fosse morto ora, sarebbe morto fra non molto.

Se mi rispondi che non hai avuto il tempo di saziarti della sua compagnia, ebbene potrai godere questo pienamente in cielo.

Ma tu vuoi vederlo anche qui? E che cosa te lo impedisce?

Ti è possibile anche ora, se sei vigilante.

La speranza delle cose future è infatti più chiara della vista stessa dei tuoi occhi.

Se, qui in terra, egli vivesse nel palazzo reale, non cercheresti di vederlo, sapendo che là è stimato e onorato.

Ora, sapendo che è andato in un regno infinitamente più grande, ti abbatti per un così breve tempo di separazione, quando hai ancora con te il tuo sposo?

E se non hai più nemmeno il marito, hai come consolatore il Padre degli orfani e il giudice delle vedove.

Ascolta anche le parole di Paolo, che proclama beata questa vedova: Quella poi che è davvero vedova e sola, ripone la sua speranza in Dio ( 1 Tm 5,5 ).

Costei infatti apparirà ancora più gloriosa, perché avrà dato prova di maggior pazienza e rassegnazione.

Non piangere, quindi, per ciò che ti procurerà la corona e che ti farà ottenere la ricompensa.

Tu hai restituito infatti il tuo deposito, presentando ciò che ti era stato affidato.

Non essere più in pena, poiché hai riposto in un luogo inviolabile ciò che possedevi.

E se riuscirai a comprendere la realtà della vita presente e quella della vita futura, che cioè la prima è una ragnatela e un'ombra, mentre l'altra è immutabile ed eterna, non avrai più bisogno di altri discorsi.

Ora, tuo figlio è libero da ogni vicissitudine.

Se fosse rimasto ancora sulla terra, forse sarebbe stato buono, forse malvagio.

Non vedi quanti scacciano di casa e diseredano i propri figli?

E quanti altri sono costretti a tenerli in casa, loro malgrado, sebbene siano peggiori di coloro che sono stati scacciati?

Meditando su tutte queste cose, comportiamoci con sapienza cristiana: in tal modo saremo graditi anche a coloro che sono morti, riceveremo lodi dagli uomini, da Dio otterremo grandi ricompense per la nostra rassegnazione e godremo infine i beni eterni.

Giovanni Crisostomo, Commento al Vangelo di san Matteo, 31,3-5

22. - Lettera consolatoria a una madre cristiana

Per la tua dignità, avrei voluto star zitto, pensando che come per un occhio infiammato anche il rimedio più delicato è causa di dolore, così per l'anima afflitta dal peso del dolore, la parola, anche se di gran consolazione, può sembrare inopportuna se rivolta nel momento della sofferenza.

Ma poi mi è venuto in mente che avrei parlato a una cristiana, già da tempo ammaestrata nelle realtà divine e preparata agli eventi umani, e perciò non ho ritenuto giusto trascurare il mio dovere.

Conosco com'è il cuore di una madre e quando penso in particolare al tuo cuore, per tutti tanto mite e buono, ne so misurare il dolore nelle presenti circostanze.

Hai perso un figlio che, quando era vivo, tutte le madri stimavano beato, desiderando che i loro figli fossero come lui; morto, tutte lo piangono come se i loro propri figli fossero sepolti sotterra.

La sua morte è stata una sventura per due patrie, la nostra e quella dei cieli.

Con lui è crollata una stirpe grande e illustre, privata quasi del suo sostegno.

O incontro col demone malvagio: quanto male ha potuto fare!

O terra, costretta ad accogliere tanto dolore!

Il sole stesso è rabbrividito, se c'è un po' di senso in lui, a questo triste spettacolo!

Chi potrebbe tradurre in parole ciò che l'anima impotente suggerisce?

Ma i nostri eventi non si svolgono senza la provvidenza: come abbiamo imparato nel Vangelo, neppure un passero cade a terra senza la volontà del nostro Padre ( Mt 10,29 ).

Quando qualcosa succede, succede per volontà del nostro Creatore.

Chi può opporsi alla volontà di Dio? Accettiamo gli eventi: con l'impazienza non correggiamo ciò che è avvenuto e piuttosto roviniamo noi stessi: non accusiamo il retto giudizio di Dio.

Non siamo saggi abbastanza per giudicare i suoi disegni arcani.

Ora il Signore mette alla prova il tuo amore per lui.

Ora ti viene porta l'occasione di aver parte tra i martiri, con la tua pazienza.

La madre dei Maccabei vide morire i suoi sette figli, eppure non gemette, non versò una lacrima indegna; invece ringraziò Dio di vederli liberare dai vincoli della carne col ferro e col fuoco, tra tormenti atroci; così piacque a Dio e divenne celebre tra gli uomini ( 2 Mac 7 ).

Il dolore è grande, lo affermo anch'io; ma è grande anche la mercede riposta presso Dio per chi sa sopportare.

Quando diventasti madre, vedesti il fanciullo e ringraziasti Dio, ma certo sapevi che tu, donna mortale, avevi generato un uomo mortale.

É strano dunque che sia morto chi era mortale?

Ma ci tormenta che sia morto così presto.

Eppure non sappiamo se sia morto proprio a suo tempo: non siamo in grado di giudicare ciò che è utile per le anime e determinare i limiti della vita umana.

Considera il mondo intero in cui tu abiti e rifletti che tutto quello che vediamo è mortale, tutto è soggetto alla distruzione.

Guarda lassù il cielo: anch'esso un giorno si dissolverà; guarda il sole: neppure esso resterà per sempre.

Le stelle tutte, gli animali terrestri e marini, la bellezza del mondo, la terra stessa: tutto è soggetto alla distruzione, tutto fra non molto più non sarà.

Il pensiero di ciò ti sia di conforto nella disgrazia.

Non misurare il dolore in sé, altrimenti ti sembra insopportabile; giudicalo insieme con tutti gli eventi umani e così troverai un conforto.

A tutto ciò, devo aggiungere ciò che è più forte: abbi pietà di tuo marito! Siate di conforto l'uno all'altro!

Non rendergli più grande la disgrazia, lasciandoti consumare dal dolore.

Ritengo che le parole non siano sufficienti per confortare, ma credo che in queste circostanze sia necessaria la preghiera.

Prego dunque il Signore stesso che con la sua ineffabile potenza tocchi il tuo cuore, illumini la tua anima con buoni pensieri, affinché tu possa trovare in te stessa il modo di confortarti.

Basilio il Grande, Lettere, 6 ( alla moglie di Nettario )

23. - Preghiera sulla tomba del fratello più giovane

O Signore e creatore di ogni cosa, e soprattutto della nostra creta!

O Dio degli uomini tuoi, o padre e guida, padrone della vita e della morte, custode e benefattore delle nostre anime!

Tu che fai tutto e a suo tempo tutto muti col tuo Verbo creatore come ritieni bene nella profondità della tua saggezza del tuo governo, accogli ora Cesario, primizia del nostro pellegrinaggio a te!

Che l'ultimo nato sia stato il primo, lo rimettiamo ai tuoi disegni, da cui tutto è retto; e anche noi accogli a suo tempo, dopo averci guidato in questa carne fino a quando sarà bene; e accoglici preparati nel tuo timore, e non turbati; fa' che non ci ritiriamo indietro l'ultimo giorno e a forza veniamo strappati da quaggiù, come quelli che amano il mondo e la carne; ma che, con animo pronto, ci affrettiamo per la vita di lassù, immortale e beata, che è in Cristo Gesù, Signore nostro.

Gregorio di Nazianzo, Orazione funebre per il fratello Cesario, 7,24

24. - Per quali anime dopo la morte sono di giovamento le messe e le elemosine?

Durante il tempo posto tra la morte dell'uomo e l'ultima risurrezione, le anime stanno in dimore nascoste, di riposo o afflizione, a seconda che ciascuna ne è degna per ciò che ha meritato mentre viveva nella carne.

Non si può negare che le anime dei defunti vengano confortate dalla pietà dei loro cari viventi, quando costoro per esse offrono il sacrificio del Mediatore o distribuiscono in chiesa elemosine.

Ma questi suffragi giovano a coloro che durante la vita meritarono di potersene poi giovare.

Vi è infatti un genere di vita, né così buono, da non aver bisogno di tali suffragi dopo la morte, né così cattivo, da non giovargli.

Vi è poi un genere di vita, così buono, da non abbisognarne; e infine, uno così cattivo, da non potersene avvantaggiare dopo il passaggio da questa vita.

Perciò, già quaggiù, si acquista ogni merito, in base al quale la situazione dopo la vita può essere o sollevata o aggravata.

Nessuno si illuda di meritare presso Dio, dopo la morte, ciò che qui ha trascurato.

Questi suffragi, dunque, che la Chiesa celebra per i defunti, non sono affatto contrari al detto dell'Apostolo: Tutti infatti staremo davanti al tribunale di Cristo, perché ciascuno riceva secondo quel che ha fatto finché era nel corpo, sia in bene che in male ( 2 Cor 5,10 ).

Anche questo si è meritato ciascuno mentre viveva quaggiù: che i suffragi gli possano essere di vantaggio.

Non a tutti infatti giovano; e perché non a tutti giovano se non per la differente vita condotta da ciascuno nel corpo?

Quando poi per tutti i battezzati defunti vengono offerti o il sacrificio dell'altare o i sacrifici dell'elemosina, per i molto buoni sono rendimento di grazie; per i non molto cattivi sono propiziazione; per i molto cattivi, pur non essendo aiuto per i defunti, sono una qualche consolazione per i vivi.

A coloro cui giovano, o ottengono che la loro remissione sia piena, o certamente che la loro stessa condanna sia più sopportabile.

Agostino, Manualetto, 29,109-110

25. - Ai corpi dei giusti defunti dobbiamo prestare offici di pietà

Non sono dunque da disprezzare e rifiutare i corpi dei defunti - soprattutto dei giusti e dei fedeli - dei quali si è servito lo Spirito Santo, come vasi e strumenti per compiere le opere buone.

Del resto, se la veste del padre, l'anello e ogni altro oggetto simile, sono tanto più cari all'erede quanto maggiore era l'affetto verso i genitori, non bisogna certo disprezzarne i corpi, che portiamo molto più congiunti e più intimi di qualsiasi indumento.

Non sono essi un semplice ornamento o strumento che si usa all'esterno, ma appartengono alla stessa natura umana.

Per questo venivano curate con tanta pietà le onoranze funebri, venivano celebrate le esequie e preparate le sepolture dei giusti.

Anzi, essi stessi, mentre vivevano, davano disposizioni ai figli circa la loro sepoltura o la traslazione del loro corpo.

Tobia è lodato perché, secondo la testimonianza dell'angelo, acquistò meriti davanti a Dio proprio per aver sepolto dei morti ( Tb 12,12-13 ).

Lo stesso nostro Signore, che il terzo giorno sarebbe risorto, dichiarò che quella pia donna compì un'opera buona - dichiarazione che è una lode - perché versò unguento prezioso sulle sue membra, in previsione della sua sepoltura ( Mt 26,10-13 ).

E nel Vangelo si ricorda con venerazione che il suo corpo, tolto dalla croce, fu coperto con diligenza e magnificenza, e si provvide a seppellirlo ( Gv 19,38-41 ).

Naturalmente questi testi ci esortano a ciò, non perché nei cadaveri vi sia ancora una qualche sensibilità, ma per insegnarci che anche i corpi dei morti interessano la Provvidenza divina, a cui piacciono questi uffici di pietà, utili a rafforzare la fede nella risurrezione.

Al tempo stesso ci danno anche una lezione salutare sulla ricompensa che c'è per le elemosine fatte alle creature, vive e sensibili, se non va perduto davanti a Dio neppure ciò che, con doverosa diligenza, compiamo per le membra esanimi degli uomini …

Inoltre, se la mancanza del necessario al sostentamento dei viventi, come il vitto e il vestito, è di grave tormento per i buoni, ma non distrugge in loro la virtù della pazienza e della tolleranza, né sradica dal loro animo la pietà - anzi, la rendono più feconda con l'esercizio -, quanto più la mancanza delle onoranze funebri consuete e della sepoltura del cadavere non rendono miseri coloro che già godono la pace ( eterna ) nelle sedi occulte dei pii!

Perciò, sia nella devastazione della grande città ( Roma ) o di altre città, quando vennero a mancare le onoranze funebri ai cadaveri dei cristiani, ciò non significò né colpa per i vivi che non poterono offrirla, né punizione per i morti che non possono percepirla.

Agostino, La città di Dio, 1,13

Indice