Teologia dei Padri |
Vigilate sulla vostra vita: le vostre lampade non si spengano e le cinture non si sciolgano dai vostri fianchi, ma state pronti, perché non conoscete l'ora nella quale il nostro Signore verrà ( Mt 24,42-44; Lc 12,35 ).
Riunitevi spesso per pensare a ciò che giova alla vostra anima.
Nulla vi servirà aver sempre vissuto nella fede, se non sarete perfetti all'ultimo momento.
Negli ultimi giorni infatti si moltiplicheranno i falsi profeti, i corruttori, e le pecore si muteranno in lupi; l'amore si cambierà in odio.
Infatti, col crescere dell'iniquità, gli uomini si odieranno, si perseguiteranno a vicenda e si tradiranno: e allora apparirà - come fosse figlio di Dio - il seduttore del mondo, e farà miracoli e prodigi, la terra sarà data nelle sue mani; egli commetterà crimini tali che mai avvennero fin dal principio del mondo.
Allora l'umanità intera entrerà nel fuoco della prova: molti si scandalizzeranno e si perderanno; ma quelli che resteranno perseveranti nella fede saranno salvati proprio da colui che fu maledetto.
E allora appariranno i veri segni.
Primo segno, si apriranno i cieli; secondo segno, suonerà la tromba; terzo, risorgeranno i morti.
Non tutti però, conforme alle parole: Verrà il Signore e tutti i santi con lui ( Zc 14,5 ).
Allora il mondo vedrà il Signore venire sopra le nubi del cielo.
Che guadagno ne avremmo, dimmi, se conoscessimo il tempo della fine del mondo?
Poniamo che sia tra vent'anni, tra trent'anni, tra cento anni: a noi che importa?
Per ciascuno la fine del mondo non è forse il termine della sua vita?
Perché ti dai tanto da fare e tanto ti travagli per la fine del mondo?
Anche qui, come negli altri casi, trascuriamo ciò che ci riguarda e ci preoccupiamo dei fatti altrui; diciamo: Quel tale è impudico, è adultero; costui ha compiuto una rapina, ha trattato ingiustamente il prossimo.
Delle sue cose nessuno tiene conto, ma cura assai di più tutto il resto.
Così anche in questo caso: invece di preoccuparci per la nostra fine particolare, vogliamo sapere quando sarà la fine del mondo.
Quale collegamento c'è fra le due cose?
Se ti prepari bene alla tua fine, quell'altra non ti recherà certo danno.
Sia lontana, sia vicina: ciò non ci riguarda affatto.
E per questo il Cristo non ne ha voluto parlare, perché non è di utilità alcuna.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla prima lettera ai Tessalonicesi, 9, 1
Credo che non si debba affermare con leggerezza, o credere - come invece a molti è sembrato o sembra - che la Chiesa, fino al tempo dell'anticristo, non patirà più persecuzioni oltre a quante ne ha sofferte, cioè dieci, e che l'undicesima sarà suscitata dall'anticristo stesso.
Contano per prima quella di Nerone; per seconda, quella di Domiziano; terza, di Traiano; quarta, di Antonino; quinta, di Severo; sesta, di Massimino; settima, di Decio; ottava, di Valeriano; nona, di Aureliano e decima, di Diocleziano e Massimiano [ non conosciamo l'autore di questa tesi delle "dieci persecuzioni": forse è sorta dopo la pace costantiniana; alcuni autori parlano di sei persecuzioni, la settima sarebbe quella condotta appunto dall'anticristo; ma l'apostolo Giovanni nell'Apocalisse rappresenta la bestia con dieci corna, ossia i dieci persecutori che devono provare la Chiesa; Agostino confuta questa lista, giustamente, dicendo che allora bisognerebbe tener conto anche della persecuzione di Giuliano l'Apostata, di Erode, dei goti e dei persiani ].
Le piaghe che colpirono gli egiziani - precisamente dieci, prima che il popolo di Dio uscisse da quella nazione - secondo loro si riferirebbero alle persecuzioni, e ritengono che l'ultima persecuzione dell'anticristo sarà del tutto simile all'undecima piaga, a quella cioè in cui gli egiziani, inseguendo minacciosi gli ebrei, morirono nel Mar Rosso, mentre il popolo di Dio passò sul terreno asciutto.
Ma io non credo che quegli avvenimenti dell'Egitto significassero profeticamente proprio queste persecuzioni; quantunque coloro che ne sono convinti sembra che riescano con esattezza e ingegno a fare un parallelo fra tutti i singoli dettagli, io penso che non si tratti di spirito profetico, ma di congetture della mente umana, che talvolta giunge alla verità, ma talvolta non vi giunge …
L'ultima persecuzione, quella che sarà suscitata dall'anticristo, verrà spenta da Gesù stesso con la sua presenza.
Sta scritto infatti che lo ucciderà con lo spirito della sua bocca e lo caccerà fuori con lo splendore della sua presenza ( 2 Ts 2,8 ).
Qui di solito ci si domanda: « Quando ciò avverrà? ».
Domanda del tutto importuna.
Se infatti sapere ciò ci giovasse, da chi mai, meglio che dallo stesso Iddio maestro sarebbe stato detto ai suoi discepoli che glielo chiedevano?
Non tacquero infatti su questo argomento con lui, ma quando era presente gli chiesero: Signore, ricostruirai in questo tempo il regno d'Israele?
Ed egli: Non è affare vostro sapere i tempi che il Padre ha posto in suo potere ( At 1,6-7 ).
Certo, quelli non avevano chiesto l'ora, il giorno o gli anni, ma solo il tempo; ed ebbero una simile risposta.
É inutile dunque che ci sforziamo di computare e stabilire gli anni che restano a questo mondo, dato che dalla bocca della Verità udiamo come ciò non è in nostro potere.
Eppure alcuni hanno asserito di poter contare quattrocento anni dall'ascensione del Signore fino al suo ultimo avvento; altri cinquecento e altri perfino mille; e come ciascuno di loro argomenti sulla sua opinione, sarebbe lungo dimostrarlo, e non è necessario.
Si servono di congetture umane, e non adducono nulla di certo, fondato sull'autorità della Scrittura canonica.
Ma a tutti coloro che fanno tali calcoli su questo argomento ferma le dita [ gli antichi contavano servendosi delle dita ] e impone di smettere dal computare, colui che dice: « Non è affare vostro sapere i tempi che il Padre ha posto in suo potere ».
Agostino, La città di Dio, 18,52-53
I profeti e i vati hanno predetto questi avvenimenti: quando il mondo comincerà ad avvicinarsi alla sua fine si accrescerà la malvagità, ogni genere di vizio e di frode si moltiplicherà, la giustizia verrà meno; la fede, la pace, la misericordia, il pudore, la verità spariranno; la violenza e l'audacia prevarranno; nessuno non possederà più nulla che non sia o di mal acquisto o difeso con la violenza.
Se vi sarà qualche buono, sarà depredato e schernito.
Nessuno mostrerà amore ai genitori; nessuno avrà pietà dei fanciulli e dei vecchi: l'avarizia, la lussuria corromperanno tutto.
Vi saranno uccisioni ed effusioni di sangue; vi saranno guerre, non solo esterne, ma anche intestine; le città combatteranno tra di loro; ogni sesso e ogni età userà le armi.
Non vi sarà più dignità nel governo né disciplina nell'esercito: come per brigantaggio, tutto sarà devastato e depredato.
Si moltiplicheranno i regni e dieci uomini occuperanno la terra, e insieme la divoreranno.
Ne sorgerà poi un altro, molto più potente e malvagio; spegnerà tre di quelli, si impossesserà dell'Asia poi soggiogherà al suo potere gli altri e opprimerà tutta la terra.
Creerà leggi nuove e abrogherà le vecchie; fonderà il suo stato e muterà il nome e la sede dell'impero.
I tempi saranno allora nefandi ed esecrabili, tanto che nessuno potrà più vivere: tutto cadrà in tale stato, che ci si lamenterà per i vivi e ci si congratulerà per i morti.
Le città e i paesi saranno distrutti o dal ferro o dal fuoco o da violenti terremoti o da spaventose inondazioni o da pestilenze e fame.
La terra non porterà più frutto, sterile per l'eccesso di freddo o di caldo.
Di tutta l'acqua, parte si muterà in sangue, parte diventerà amara e imbevibile; nulla potrà più usarsi in cibo né potrà bersi con sicurezza.
A questi mali si aggiungeranno prodigi dal cielo, affinché il timore degli uomini raggiunga il colmo.
Appariranno comete, il sole sarà offuscato da perpetuo pallore, la luna sarà iniettata di sangue e non rimedierà più alle sue perdite di luce.
Tutte le stelle cadranno.
Non vi saranno più stagioni: l'estate e l'inverno si mescoleranno.
Si abbrevieranno gli anni, i mesi e i giorni.
Questa sarà la « senescenza e fine del mondo » di cui ha parlato Trimegisto [ Ermete Trimegisto o Trismegito ( tre volte grandissimo ) è il dio a cui si attribuiscono i cosiddetti « libri ermetici », a noi pervenuti e suddivisi in quattro gruppi.
Per lui il mondo durerà seimila anni.
Ai tempi in cui scrive mancano 200 anni.
La fine del sesto millennio dovrebbe cadere sotto il 500 d.C.
Verrà l'anticristo che sarà sconfitto.
Poi ci sarà il regno millenario di delizie sulla terra.
Alla fine ci sarà quel che lo stesso Lattanzio dice in questo brano che delucida la sua escatologia ].
Quando verrà, si sappia che Dio tornerà a rinnovare il mondo.
Tra tutti questi mali, sorgerà un re empio, nemico non solo del genere umano, ma anche di Dio.
Quelli che il precedente tiranno aveva lasciati salvi, costui li schiaccerà, li tormenterà, li tribolerà, li ucciderà.
Vi saranno allora continue lacrime, gemiti e lutti perpetui, e le preci rivolte a Dio saranno inutili: nessun riposo dal terrore, né sonno né quiete.
Il giorno aumenterà la strage, la notte aumenterà la paura.
Così tutto l'orbe sarà ridotto quasi a un deserto, gli uomini saranno ormai rari.
L'empio allora perseguiterà gli uomini giusti, votati a Dio, per ventiquattro mesi, dicendo di essere il Cristo pur essendone l'avversario.
Perché le sue parole abbiano credibilità, gli sarà donato il potere di compiere prodigi: che discenda il fuoco dal cielo, che il sole si fermi nel suo viaggio, che una statua da lui eretta parli.
Con tali prodigi sedurrà molti, inducendoli ad adorarlo e a ricevere sulla mano e sulla fronte il suo contrassegno.
E chi non lo adorerà e non accetterà il contrassegno, morirà tra tormenti raffinati.
Ne sterminerà così due parti, e la terza fuggirà nel deserto.
Ma egli, furente, acceso d'ira implacabile, vi guiderà un esercito e assedierà il monte su cui i giusti si saranno rifugiati.
Questi, vedendosi circondati, imploreranno l'aiuto di Dio a gran voce, e Dio li esaudirà, e manderà loro il liberatore.
Nel profondo della notte il cielo si aprirà e scenderà Cristo con grande potere.
Lo precederà uno splendore di fuoco e un'immensa schiera di angeli.
Tutta la folla degli empi sarà sterminata e scorreranno torrenti di sangue.
Il loro condottiero tuttavia sfuggirà e, messo di nuovo insieme un esercito, darà la quarta battaglia, nella quale sarà vinto, e con tutti gli altri tiranni sarà gettato alle fiamme.
Ma anche lo stesso principe dei demoni, autore e macchinatore di tutti i mali, sarà legato con catene di fuoco, sarà chiuso in prigione perché il mondo abbia finalmente pace e la terra, travagliata per tanti secoli, finalmente riposi.
Ottenuta così la pace e schiacciato ogni male, il Re, giusto e vincitore, terrà sulla terra il grande giudizio sui vivi e sui morti.
Ai giusti ancora in vita darà in dominio tutti i popoli; i giusti morti invece li risusciterà alla vita eterna, li farà regnare con lui sulla terra e fonderà la città santa; questo regno dei giusti durerà mille anni.
In quel tempo le stelle saranno più candide, lo splendore del sole aumenterà e la luce della luna non diminuirà più.
Dio farà scendere sulla terra una pioggia benedetta, mattina e sera, e il suolo produrrà ogni raccolto senza lavoro dell'uomo.
Dalle rupi stillerà miele e dalle sorgenti sgorgherà latte e vino.
Le bestie deporranno la loro ferocia e diverranno mansuete, il lupo vagherà innocuo tra il gregge, il vitello pascolerà insieme col leone, la colomba si unirà all'avvoltoio, il serpente non avrà veleno, nessun animale vivrà di sangue.
Dio infatti darà a tutti cibo abbondante e innocente.
Ma passati i mille anni, il principe dei demoni verrà sciolto.
I popoli si ribelleranno contro i giusti e un'immensa moltitudine di gente verrà ad espugnare la città dei santi.
Allora vi sarà l'ultimo giudizio di Dio sulle genti.
Scuoterà la terra dalle fondamenta, le città crolleranno, sugli empi si riverserà fuoco con zolfo e grandine; e arderanno e si uccideranno a vicenda.
I giusti invece si nasconderanno per un poco sotto la terra, fino a che le genti siano perite; usciranno dopo tre giorni e vedranno i campi coperti di cadaveri.
Allora vi sarà un terremoto, i monti si apriranno, le valli sprofonderanno in un abisso immenso, ove verranno accatastati i cadaveri degli empi, e il luogo sarà chiamato « Tomba di molti ».
Dopo ciò, Dio rinnoverà il mondo e trasformerà i giusti in figura di angeli, affinché, ammantati della veste dell'immortalità, servano Dio in eterno.
Allora anche gli empi risorgeranno, non alla vita, ma alla pena.
Alla seconda risurrezione infatti Dio li susciterà, affinché, condannati ai tormenti eterni e addetti al fuoco perpetuo, soffrano il giusto castigo delle loro scelleratezze.
Lattanzio, Epitome delle divine istituzioni, 66-68
Padre misericordioso e benefico, pieno di amore per coloro che lo temono, elargisce le sue grazie, con dolcezza e soavità, a chi lo cerca con retta intenzione; perciò non lasciamoci prendere dalla titubanza, e il nostro cuore non dubiti della magnificenza e sovrabbondanza dei suoi doni; ché non si possa applicare a noi ciò che la Scrittura dice: « Infelici coloro che sono incerti, hanno l'anima oppressa dal dubbio e dicono: Queste cose le udimmo già al tempo dei nostri padri; ecco siamo diventati vecchi ed esse non si sono ancora avverate.
O sciocchi, paragonatevi ad un albero, osservate l'esempio della vite: prima perde le foglie; poi mette i germogli, nascono le nuove foglie, i fiori, poi il grappolo e finalmente l'uva matura » [ questo passo apparterrebbe al Libro di Eldat e Modat, di cui parla Erma nella seconda visione del Pastore ].
Vedete: in poco tempo il frutto di un albero giunge a maturazione.
Proprio così, davvero, in poco tempo, anzi, improvvisamente si compirà il suo volere, come viene attestato dalla Scrittura che dice: Presto verrà e non tarderà; subito giungerà il Signore al suo tempio, e il Santo che voi state attendendo ( Ml 3,1 ).
Consideriamo, o carissimi, come Dio ci dà continue prove della nostra futura risurrezione, la quale ebbe inizio con Gesù Cristo Signore nostro, risuscitato dai morti.
Osserviamo, o miei cari, gli esempi di risurrezione che si succedono di tempo in tempo.
Il giorno e la notte ce ne mostrano uno evidente: se ne va la notte, sorge il giorno; declina il giorno, sopraggiunge la notte.
Consideriamo anche l'esempio dei frutti.
Come, con quale modalità germoglia il seme?
Esce il seminatore e getta nella terra tutti i suoi semi.
Essi, caduti nel terreno, secchi e nudi, cominciano a dissolversi; ma poi la magnifica provvidenza del Signore li fa risorgere dalla loro corruzione e così da un solo seme crescono molte piante, che poi portano frutto.
Osserviamo il meraviglioso prodigio che avviene nelle terre d'oriente cioè vicino all'Arabia.
Là vive un uccello, chiamato fenice: è l'unico esemplare della sua specie e vive cinquecento anni.
Quando si sente vicino a morire, si costruisce un nido di incenso, di mirra e di altri aromi.
Quando poi è giunto il tempo, entra e muore; ma mentre la sua carne va in putrefazione, vi nasce un verme, il quale, nutrendosi della carogna, cresce, mette le ali, si rinforza.
Poi prende il nido, dove si trovano ancora le ossa del suo genitore, e, carico così, fa un viaggio dall'Arabia in Egitto, fino alla città chiamata Eliopoli.
Quivi, in pieno giorno, sotto gli occhi di tutti, vola sull'altare del sole e vi deposita le ossa.
Fatto ciò intraprende il viaggio di ritorno.
Allora i sacerdoti esaminano le tavole cronologiche, e riscontrano che l'uccello è arrivato proprio al compiersi dei cinquecento anni [ questa leggenda era creduta dagli antichi, che ne parlano sovente ( Tacito, Seneca, Ovidio ).
Plinio narra che nel 47 d.C. la fenice fu esposta a Roma ( Naturalis Historia, 10,2 ).
Quando i Padri portano qualche opinione personale - cioè quando non parlano come custodi e interpreti della rivelazione - evidentemente il valore delle loro asserzioni è puramente umano ].
Ci sembrerà dunque troppo grande e troppo strano che il creatore dell'universo faccia risuscitare coloro che lo servono con santità, con fiducia e con fede retta, se perfino con un uccello egli ci comprova la grande e magnifica sua promessa?
La Scrittura dice: Tu mi risusciterai e io ti loderò ( Sal 28,7 ) e ancora: Mi coricai e mi addormentai, ma poi mi svegliai perché tu sei con me ( Sal 3,6 ).
E Giobbe soggiunge: Tu risusciterai questa mia carne, che tanto male ha sopportato ( Gb 19,26 ).
Nutrendo questa speranza, dunque, aderiamo a lui dall'intimo, perché è fedele alle sue promesse e giusto nei suoi giudizi.
Egli ci ordina di non mentire: mentirà forse lui stesso?
Solo la menzogna, null'altro, è impossibile a Dio.
Perciò si riaccenda in noi la fede, al pensiero che tutto è in suo potere.
Con la sua potente parola dette l'essere a tutte le cose, e con una sola parola le può distruggere.
Chi può domandargli: cosa hai fatto? Chi può resistere alla grandezza del suo potere? ( Sap 12,12 ).
Quando vuole, e come vuole, egli fa tutto; nulla di ciò che egli decreta cade invano; tutto è presente ai suoi occhi, nulla sfugge alla sua volontà.
Infatti: I cieli narrano la gloria di Dio, e il firmamento annunzia l'opera delle sue mani.
Un giorno ne porta notizia all'altro giorno e la notte lo fa conoscere all'altra notte.
Non vi sono parole né linguaggio, dei quali si possa udire il significato ( Sal 19,2-4 ).
Dio, dunque, vede ogni cosa; perciò, per suo timore, teniamoci lontani dalla brama di compiere opere perverse; solo così, nel giudizio futuro, verremo salvati dalla sua misericordia.
Dove mai possiamo sfuggire la sua mano potente?
Quale mondo accoglierà chi si allontana da lui?
Dice infatti, in un luogo, la sacra Scrittura: Dove fuggirò, e dove mi nasconderò dal tuo sguardo?
Se salgo in cielo, tu vi sei; se mi reco ai confini della terra, vi è la tua destra; se mi sprofondo nell'abisso, là vi è il tuo spirito ( Sal 139,7-8 ).
Dove dunque ci si può ritirare per sfuggire a colui che abbraccia tutte le cose?
E allora avviciniamoci a lui, con intima venerazione; innalziamo a lui le nostre mani pure e sante, amiamo questo nostro Padre benigno e misericordioso, che ci ha scelto come la sua porzione eletta, poiché così sta scritto: Quando l'Altissimo distribuì i popoli, quando disseminò i figli di Adamo, stabilì i confini delle nazioni in conformità al numero degli angeli di Dio; ma porzione del Signore fu il popolo di Giacobbe, Israele fu il suo lotto ereditario ( Dt 32,8-9 ).
E in un altro luogo dice la Scrittura: Il Signore ha riservato per sé un popolo in mezzo alle genti, come un uomo riserva per sé le primizie della sua aia; e da questo popolo uscirà il Santo dei santi ( Dt 4,34; Nm 18,27; Ez 18,12 ).
Clemente di Roma, Lettera ai Corinti, 23-29
E a pensarci bene, che cosa potrebbe apparirci più incredibile, - se noi non avessimo il corpo, - del sentirci dire, che da una piccola stilla dell'umano sperma possano derivare ossa e nervi e carni formate all'immagine che vediamo?
Se, in via d'ipotesi, voi non esisteste così fatti né così generati, e uno vi assicurasse categoricamente, mostrandovi da una parte il seme umano e dall'altra una immagine dipinta, che questa può essere prodotta da quello, se non vedeste in atto la cosa, la credereste?
No; nessuno ardirebbe contestarlo!
- Orbene, è per la stessa ragione che, per non averlo ancora visto, non credete al risorgere dei morti.
Sennonché, come al principio non avreste creduto possibile che da una piccola stilla originassero creature siffatte - e pure le vedete prodotte - così dovete ammettere la non impossibilità che i corpi umani andati in dissoluzione e scompostisi a guisa di semi sulla terra, al loro tempo, per ordine di Dio, risorgano e si vestano dell'incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ).
Di qual possanza degna di Dio intenda, chi afferma il ritorno degli esseri allo stato da cui sorsero e l'impotenza di Dio stesso a trascendere questa legge, non sapremo stabilire; ma questo rileviamo, che costui non avrebbe creduto potersi mai generare esseri - e da tali elementi - simili a se stesso e al mondo tutto quale egli lo vede.
Meglio credere perciò in cose impossibili agli uomini e alla natura, anziché non credervi al pari degli altri; ricordando l'insegnamento del nostro maestro Gesù Cristo: L'impossibile presso gli uomini è possibile presso Dio ( Mt 19,26 ).
Giustino, Prima Apologia, 19
Tutte le realtà, sia quelle che provengono dalla natura, sia quelle che sono opera dell'arte umana, devono avere un fine proprio: ce lo insegna la ragione comune a tutti, e ce lo attesta tutto ciò che ci sta sotto gli occhi.
Non vediamo dunque che i contadini perseguono un fine diverso dai medici, e che diverso è anche il fine delle piante che germogliano da terra, degli esseri animali, che su di essa si nutrono e nascono in ordine naturale?
Se ciò è evidente, ed è evidente che tutte le forze naturali o artificiali e le loro operazioni perseguono il fine naturale, è strettamente necessario che il fine degli uomini, di una natura cioè tutta particolare, si distingua dal complesso del fine di ogni altra realtà.
Non è lecito infatti supporre lo stesso fine per le realtà prive di giudizio logico e per le realtà che operano secondo una legge e una ragione loro insita, che conducono una vita razionale e morale.
L'insensibilità al dolore non può essere dunque il fine proprio degli uomini, perché si accomunerebbero in ciò agli esseri privi di senso.
Ma neppure il godimento di ciò che nutre e diletta il corpo, o l'abbondanza dei piaceri, altrimenti la vita animalesca dovrebbe occupare il primo posto e inutile sarebbe la vita secondo virtù.
Ritengo che questo fine sia proprio degli animali, delle bestie, non degli uomini che hanno un'anima immortale e sono dotati di spirito razionale.
Ma non lo è neppure la felicità dell'anima separata dal corpo, perché non possiamo riguardare solo la vita o il fine di una delle due parti che costituiscono l'uomo, ma la vita e il fine del tutto costituito dalle due parti.
Un simile tutto è ogni uomo che ha sortito questa vita; la sua vita perciò deve avere un fine proprio.
Ma se vi è un fine per il tutto, e questo fine non è possibile trovarlo mentre le due parti vivono nella vita terrena, per le cause che abbiamo spesso ripetuto, né nella separazione dell'anima dal corpo ( perché l'uomo come tale non sussiste quando il corpo sia disciolto o è del tutto disperso anche se l'anima continui a vivere in se stessa ), di conseguenza è necessario che il fine dell'uomo si riveli in un'altra strutturazione delle due parti dello stesso vivente.
Se questa è la necessaria conseguenza, è assolutamente necessario che ci sia la risurrezione dei corpi morti o completamente dissolti.
E debbono esistere nuovamente gli stessi uomini.
La legge di natura infatti non impone semplicemente un fine per gli uomini in generale, ma precisamente per quelli che hanno vissuto la vita precedente.
Ma è impossibile che esistano nuovamente gli stessi uomini se alle stesse anime non vengono resi gli stessi corpi.
Ma che lo stesso corpo riceva la stessa anima è possibile solo mediante la risurrezione.
Quando questa ha luogo, ne consegue il fine proprio della natura umana.
Non erra chi asserisce che il fine di una vita, dotata d'intelligenza e giudizio razionale, consiste nel restare per sempre e ininterrottamente in ciò che sommamente e primariamente conviene alla ragione naturale, ed esultare incessantemente nella contemplazione di Colui che è, e dei suoi eterni disegni.
Atenagora, La risurrezione dei morti, 24-25
Tutta la creazione è invitata ora ad esultare e a gioire, perché la risurrezione di Cristo ha spalancato le porte degli inferi, i nuovi battezzati hanno rinnovato la terra e lo Spirito Santo apre il cielo.
L'inferno, a porte spalancate, lascia uscire i morti, dalla terra rimessa a nuovo germogliano i resuscitati, il cielo aperto accoglie coloro che ad esso salgono.
Il ladrone è asceso in paradiso, i corpi dei santi hanno accesso alla città santa, i morti ritornano presso i vivi.
In virtù di una specie di sviluppo della risurrezione di Cristo, tutti gli elementi sono portati verso l'alto.
L'inferno lascia risalire alla sommità quelli che deteneva, la terra invia verso il cielo coloro che aveva sepolto, il cielo presenta al Signore coloro che accoglie.
Con un unico e medesimo movimento, la passione del Salvatore ci fa risalire dai bassifondi, ci solleva dalla terra e ci colloca nei cieli.
La risurrezione di Cristo è vita per i defunti, perdono per i peccatori e gloria per i santi.
Quando Davide dice che bisogna esultare e rallegrarci in questo giorno che il Signore fece ( Sal 118,24 ), egli esorta tutta la creazione a festeggiare la risurrezione di Cristo.
La luce di Cristo è un giorno senza notte, un giorno senza fine.
Ovunque risplende, ovunque irraggia, ovunque è senza tramonto.
Che cosa sia questo giorno di Cristo, ce lo dice l'Apostolo: La notte è già inoltrata, il giorno s'avvicina ( Rm 13,12 ).
La notte è già inoltrata, non ritornerà più.
Comprendilo: una volta apparsa la luce di Cristo, le tenebre del demonio si sono date alla fuga e l'oscurità del peccato non ritorna più; le foschie del passato sono disciolte dallo splendore eterno.
Infatti il Figlio è questa stessa luce cui il giorno, suo Padre, ha comunicato l'intimo segreto della sua divinità ( Sal 19,3 ).
Egli è la luce che ha detto per bocca di Salomone: « Feci levare nel cielo una luce senza declino » ( Sir 24,6 ).
Come la notte non può succedere al giorno celeste, così le tenebre non possono succedere alla giustizia di Cristo.
Il giorno celeste risplende, scintilla e sfolgora senza posa, e non può essere coperto da oscurità alcuna.
La luce di Cristo splende, brilla e irraggia senza sosta, e non può essere coperta dalle ombre del peccato; da cui le parole dell'evangelista Giovanni: La luce risplende fra le tenebre; ma le tenebre non l'hanno ricevuta ( Gv 1,5 ).
Questa è la ragione per cui, fratelli, noi tutti dobbiamo esultare in questo santo giorno.
Nessuno si sottragga alla gioia comune a causa della consapevolezza dei propri peccati; nessuno si allontani dalle preghiere del popolo di Dio, a causa del peso dei propri errori.
In questo giorno tanto privilegiato nessun peccatore deve perdere la speranza del perdono, perché, se il ladrone ha ricevuto la grazia del paradiso, come potrà mai il cristiano non avere quella del perdono?
Massimo di Torino, Sermoni, 53,1.2.4
Considerando la nostra natura, amiamo certo questa vita presente, per quanto difettosa e corruttibile, perché si addice alla nostra presente realtà; ma speriamo fermamente di sussistere per sempre nell'incorruttibilità.
E questo, non per una costruzione vana della fantasia umana, pascendo così noi stessi di vane speranze, perché crediamo nel Garante sommamente infallibile, nel disegno di Colui che ci ha creati, secondo il quale disegno ha fatto l'uomo di anima immortale e corpo; e lo ha dotato perché salvi e custodisca ciò che lui gli ha elargito, di ragione e di una legge innata, convenienti a una vita razionale e a una sussistenza intelligente.
Siamo convinti che egli non avrebbe costruito un simile vivente, dotandolo di tutti i mezzi atti all'eterna sussistenza, se non avesse voluto che restasse per sempre.
Se dunque il Creatore del mondo ha fatto l'uomo, che partecipa della vita razionale, che contempla la magnificenza creatrice e la sapienza sublime di Dio e che resta per sempre in tale contemplazione secondo il suo disegno e la natura da lui ricevuta, allora la creazione dell'uomo è motivo per credere nella sua perenne sussistenza; e questa perenne sussistenza è motivo per credere nella risurrezione, senza di cui l'uomo non può per sempre sussistere.
Atenagora, La risurrezione dei morti, 13
Forse qualcuno rimarrà scandalizzato da quell'articolo del Credo in cui, dopo aver affermato che Cristo è eterno con Dio Padre e generato dalla sua sostanza, e dopo aver proclamato che è uno con il Padre nella regalità, maestà ed eternità, parlano della sua morte.
Fedele che mi ascolti, non voglio che tu ti scandalizzi.
Colui di cui vieni a conoscere la morte, lo rivedrai immortale.
Perché ha accettato la morte soltanto per rapirle il suo bottino …
Cristo non soffre nella sua carne a detrimento o per disprezzo della sua divinità, ma per compiere la salvezza attraverso la debolezza della carne.
Dio è disceso nella carne non per essere schiavo della legge della morte, ma per aprire le porte della morte risorgendo egli stesso.
É come se un re andasse in prigione per aprirvi le porte dall'interno, sciogliere le catene e i ceppi, rompere le inferriate e i chiavistelli, liberare i detenuti e restituire alla luce e alla vita coloro che sono seduti nelle tenebre della morte …
Il terzo giorno risuscitò da morte.
La gloria della risurrezione ha trasfigurato tutto quello che in Cristo si presentava come debolezza e fragilità.
Se prima non ti sembrava possibile che l'Immortale fosse disceso fino alla morte, guardalo ora: colui che ha vinto la morte ed è risorto non può essere mortale.
Comprendi che la bontà del Creatore è tale da averlo fatto discendere per seguirti fin dove tu eri caduto.
Non accusare di impotenza Dio che ha creato l'universo, pensando che la sua opera ha potuto essere fermata da una caduta momentanea sulla via della realizzazione della nostra salvezza!
Noi che siamo chiusi nell'involucro del nostro corpo e trattenuti dai limiti del luogo in cui ci troviamo, sentiamo parlare di alto e di basso.
Ma per Dio, che è ovunque e in nessun luogo è assente, che cos'è l'alto e il basso?
Questo vale anche per l'assunzione del suo corpo.
La sua carne, che era stata deposta nel sepolcro, risorge perché si compia la parola del profeta: Non lascerai che il tuo santo veda la corruzione ( Sal 16,10 ).
Cristo è dunque tornato dai morti vincitore, portando con sé le spoglie dell'inferno.
Portava via i prigionieri dalla morte come aveva predetto con queste parole: Io, quando sarò elevato da terra, attirerò tutto a me ( Gv 12,32 ) …
Questa carne umana consumata dalla sofferenza, caduta nella morte a causa del peccato del primo uomo, Gesù l'ha creata nuovamente con la potenza della sua risurrezione e l'ha posta in atto quando si è seduto alla destra di Dio, secondo la parola dell'Apostolo: Con lui ci ha anche risuscitati a ci ha fatti sedere nei cieli ( Ef 2,6 ).
Rufino di Aquileia, Commento al simbolo apostolico, 16.17.29
Considera il termine delle stagioni, del giorno e della notte: questi pure finiscono e risorgono.
E tra i semi e i frutti, non si verifica la risurrezione, e naturalmente a vantaggio dell'uomo?
Per esempio, un chicco di frumento o di altra semente, se viene gettato in terra, prima muore e si dissolve, poi sorge e diventa spiga.
Così gli alberi, le piante da frutto, non portano, per disposizione divina, secondo le stagioni, i frutti che prima non apparivano e non si vedevano?
Talvolta un passero o qualche altro uccello ingoia un seme di mela o di fico o di qualche altro frutto, poi vola su qualche collinetta pietrosa o su una tomba e lo evacua; il seme mette radici e diventa albero, pur essendo stato ingoiato e dopo essere passato tra tanto calore.
Tutto questo compie la divina sapienza, per mostrare anche con ciò che Dio è in grado di operare la risurrezione universale di tutti gli uomini.
Se vuoi vedere uno spettacolo più mirabile atto a dimostrare la risurrezione, non guardare solo sulla terra, ma anche nel cielo: considera la risurrezione della luna che si compie mese per mese: come essa cala, sparisce e risorge.
E ascolta ancora, o uomo, la risurrezione che in te si compie, anche se non lo sai.
Forse talvolta sei caduto ammalato, hai perso la tua carne, la tua forza e la tua bellezza, ma, ottenuta da Dio misericordia e guarigione, hai ripreso il tuo peso, la tua buona forma e la tua forza.
Come non capivi dove finiva la tua carne quando scemava, così non sai da dove si formi, da dove venga.
Ma forse dici: « Dai cibi e dai succhi che si mutano in sangue ».
Bene! Ma anche questa è opera di Dio, che ha così disposto, e di nessun altro.
Teofilo di Antiochia, Ad Autolico, 1,13
Inutilmente, o fratelli, ha abbracciato la fede e inutilmente ha vissuto, chi ritiene di essere nato solo per perire.
O uomo, cosa sorge per te, che non tramonti?
E cosa tramonta, per te, che non risorga?
Di mattina sorge il giorno e di sera è seppellito nella notte; e poi risorge alla mattina.
Il sole ogni giorno nasce, ogni giorno muore: anch'esso ogni giorno risorge.
e stagioni, quando passano, muoiono; quando ritornano, rivivono.
Perciò, o uomo, se non credi a Dio, se non ti adatti alla legge, se non assenti a ciò che odi, credi almeno ai tuoi occhi, non opporti agli elementi che ti predicano incessantemente la tua risurrezione.
E se sono a te molto inferiori, se sono soggetti al tuo potere, se risuscitano ad opera della tua mano, ti insegnino che tu puoi essere risuscitato ad opera di Dio.
Accostati al seme: te lo insegna l'Apostolo! ( 1 Cor 15,36ss ).
Prendi un chicco secco di frumento, privo di senso, privo di moto; traccia un solco, scava la terra, fa' un sepolcro, seppellisci il frumento, guarda come muore, come gli umori lo gonfiano, come il marciume lo dissolve.
E quando è giunto al punto che ti suggerivano la mancanza di fede, la mancanza di speranza e la corruzione, all'improvviso rivive, diventa germe, cresce in erba, si rassoda in culmo, matura in biada e risorge in tutta la bellezza e la forma che tu piangevi morta.
Il frumento, o uomo, non ti insegna tanto a mangiare quanto a comprendere, non ti obbliga tanto a lavorare quanto a credere.
Pietro Crisologo, Discorsi sulle lettere di Paolo, 51
Solleva il tuo sguardo agli stessi esempi che ti offre la divina potenza!
Il giorno muore trasformandosi in notte e viene sepolto dalle tenebre.
Si oscura lo splendore del mondo e ogni cosa si ottenebra: tutto sbiadisce; tace e stupisce: ovunque tenebre e silenzio.
Piangiamo così la luce perduta, e subito essa risorge col suo seguito, con la sua ricchezza, col sole, identica, integra, perfetta su tutta la terra.
Uccide la sua morte, cioè la notte; spezza il suo sepolcro, cioè le tenebre; possiede di nuovo tutto, fino a quando si rialzerà la notte, anch'essa col suo seguito.
Si riaccendono infatti i raggi delle stelle, spenti dallo splendore mattutino; ritornano sulla scena i pianeti, sottrattisi alla vista per il loro periodico occultamento; anche il disco lunare, impiccolito durante le fasi mensili, ritorna all'antico splendore.
Ritornano gli inverni e le estati, le primavere e gli autunni, col loro verde, le loro bacche, i loro frutti.
Ché, anche alla terra, il cielo impone una norma: rivestire gli alberi dopo averli spogliati, ridonare il colore ai fiori, spargere di nuovo l'erba, porgere gli stessi semi come quelli consumati, anzi non porgerli di nuovo fintantoché questi non siano consunti.
Che mirabile processo! Defrauda e salva; sottrae per rendere; distrugge per custodire; rovina per riparare; fa imputridire per moltiplicare.
Rende infatti più ricco e più sano ciò che ha sterminato: con interesse sulla rovina, con tasso sul consumo, con guadagno sulla perdita.
Vorrei dire una volta per tutte: tutta la creazione è un continuo alternarsi.
Tutto ciò che ritorna a esistere già fu; tutto ciò che perdi, sarà di nuovo.
Tutto torna al suo stato dopo essersene andato; tutto ricomincia dopo aver finito: perciò finisce per diventare: nulla va perduto se non per salvarsi.
Tutto questo alternarsi periodico delle cose è una testimonianza della risurrezione dei morti.
Dio ce l'ha indicata prima nelle sue opere che nei suoi scritti; ce l'ha predicata prima con la sua potenza che con la sua voce.
Ti ha dato la natura come maestra per sottoporti poi l'annuncio perché tu creda più facilmente all'annuncio, ammaestrato dalla natura; perché tu ammetta immediatamente, quando lo odi, ciò che dovunque hai già visto, e non dubiti che Dio risusciti la carne, sapendo che tutto egli restituisce al pristino stato.
E se tutte le cose risorgono a vantaggio dell'uomo, a cui sono destinate, anzi in realtà non all'uomo, ma alla carne, come potrebbe esser mai che perisca completamente proprio la carne, per la quale e a pro della quale nulla va perduto?
Abbiamo abbracciato la fede che alla fine dell'universo vi sarà la risurrezione dei corpi, non come insegnano gli stoici - per i quali a periodi ciclici le stesse realtà si formano e periscono, senza utilità alcuna -, ma una volta sola, alla fine del nostro tempo, in modo conclusivo, per radunare gli uomini a giudizio …
Prima che io divenissi, non ero, non sapevo chi fossi ed esistevo solo come potenzialità nella materia della carne; quando poi venni all'esistenza, per questo mio esistere acquistai la certezza di essere; allo stesso modo io che sono diventato e che per la morte cesserò di essere e più non apparirò, esisterò ancora, allo stesso modo in cui prima non c'ero e poi nacqui.
Anche se il fuoco annienta la mia carne il mondo accoglie in sé la mia materia tramutata in vapore; anche se vengo inghiottito dai fiumi o dal mare o dilaniato dalle fiere, vengo riposto negli scrigni di un ricco signore.
Ciò che essi nascondono, il povero ateo non lo sa certo; ma Dio, che tutto domina, quando vuole rinnova nello stato anteriore la sostanza che lui solo vede.
Infatti il Logos celeste [ Cristo ], Spirito da Spirito e Logos da razionale Potenza, a imitazione del Padre che lo ha generato, fece l'uomo quale immagine dell'immortalità, perché, come l'immortalità è presso Dio, allo stesso modo, l'uomo divenuto partecipe di Dio, possieda anch'egli l'immortalità.
Taziano, Discorso ai greci, 6-7
Risorgerà dunque la carne: identica, completa e integra.
Ovunque essa sia, è depositata presso Dio, ad opera del fedelissimo mediatore tra Dio e gli uomini, Gesù Cristo, che renderà Dio all'uomo e l'uomo a Dio; lo spirito alla carne e la carne allo spirito: entrambi egli li ha già uniti nella sua Persona …
Quello che tu consideri uno sterminio, è una semplice partenza.
Non solo l'anima si allontana, ma anche la carne si ritira frattanto: nell'acqua, nel fuoco, negli abissi, nelle fiere.
Quando sembra così dissolversi, viene quasi trasfusa in vasi.
Se poi anche i vasi vengono meno, perché si dissolvono e vengono riassorbiti nelle tortuosità della terra loro madre, da questa verrà di nuovo formato Adamo, il quale udrà da Dio le parole: Ecco, Adamo è diventato come uno di noi! ( Gen 3,22 ).
Allora sarà veramente conscio del male che ha sfuggito, e del bene in cui è confluito.
Perché, anima, senti astio per la carne?
Nessuno ti è tanto prossimo da dover più amare, dopo Dio; nessuno ti è più fratello, perché anche con te essa nasce in Dio.
Tertulliano, La risurrezione della carne, 63
« Tutte le anime sono nell'aldilà? », tu domandi.
Sì: lo voglia o no. E ivi ci sono già supplizi e conforti …
Perché non devi ammettere che ivi le anime si trovano, in attesa del giudizio, in una sorte di sua anticipazione?
« Perché si deve salvare l'efficacia del giudizio divino » rispondi « senza nessuna anticipazione della sentenza. E inoltre perché fa d'uopo attendere la risurrezione della carne, compagna delle opere, perché sia compagna nella retribuzione ».
Che dunque succederà in questo tempo? Dormiremo?
Ma neppure nei viventi le anime dormono, perché il sonno è proprio del corpo, come è proprio del corpo la stessa morte, di cui il sonno è specchio.
O pretendi che non si agisca là, ove tutta l'umanità tende, ove vige ogni speranza?
Pensi che il giudizio venga anticipato, o che semplicemente cominci?
Che venga concluso, o che semplicemente si prepari?
E inoltre, non sarebbe ingiustissimo che nell'aldilà i colpevoli stiano bene e gli innocenti non ancora?
Che? Vuoi che dopo la morte ci sia un indugio in cui la speranza è confusa e l'aspettativa incerta, o non piuttosto un esame della vita e una terrifica preordinazione del giudizio?
Forse che l'anima aspetta sempre il corpo per addolorarsi o godere?
Non è invece sufficiente a se stessa per provare gioia o dolore?
Quante volte il corpo è intatto e l'anima solo è tormentata dalla bile, dall'ira, dal tedio, di cui spesso neppure è conscia?
Quante volte, nelle afflizioni del corpo, l'anima trova un suo gaudio nascosto, e si allontana allora dalla compagnia importuna del corpo! …
Anche nell'aldilà, dunque, l'anima sa soffrire e godere senza la carne, dato che anche nella carne intatta, se vuole, soffre, e, nella carne ferita, se vuole, gode.
Se questo gli è possibile a suo arbitrio in vita, quanto più, per decreto di Dio, dopo la morte!
Ma non tutte le opere l'anima esegue col servizio della carne: infatti il castigo divino colpisce anche i semplici pensieri e i puri atti di volontà …
Perciò, dunque, è senz'altro conveniente che l'anima sia punita, anche senza aspettare la carne, per quello che compì non associata alla carne; e così essa sarà allietata anche senza la carne per i pensieri pii e buoni, per i quali non ebbe bisogno della carne.
Tertulliano, L'anima, 58
La risurrezione viene data a tutti; credere ciò è difficile solo perché essa non è nostro merito, ma dono della divina bontà.
Anzitutto la fede nell'immortalità si offre nello stesso corso del mondo: nel variare del divenire e nel succedersi delle cose, nel sorgere e tramontare dei segni celesti, nello svanire del giorno e della notte e del loro quotidiano ritorno.
Anche la particolare virtù generatrice del terreno non potrebbe continuare, se la divina sapienza non avesse preordinato che il suo umore, da cui si forma ogni essere terrestre, venga rimpiazzato abbondantemente dalla rugiada notturna quando la vampa del sole l'ha prosciugato.
Che si deve dire dei frutti? Ciò che cade nel grembo della terra, non sembra forse morire?
E non sembra risorgere ciò che poi vi germoglia?
Ciò che è stato seminato ed è morto, ecco, è ancora vivo e nuovamente ristrutturato nella sua specie.
Questi sono i primi frutti di risurrezione della terra: in essi la natura ha prefigurato la risurrezione futura.
Perché dubiti che un corpo non possa risuscitare da un altro corpo?
Il grano viene sepolto, e poi sorge di nuovo e si riveste di verzura e di frutti.
Anche l'Apostolo dice: Bisogna che questo corpo corruttibile si rivesta dell'incorruttibilità, e che questo corpo mortale si rivesta dell'immortalità ( 1 Cor 15,53 ).
Il fiore della risurrezione è l'immortalità, è l'incorruttibilità.
Vi è qualcosa di più fertile che il riposo nella tomba?
Ma tu ti chiedi con meraviglia come ciò che è imputridito possa rassodarsi, ciò che è sciolto possa riunirsi, ciò che è sparito possa nuovamente ripresentarsi.
Eppure non ti meravigli che i semi rigermoglino dopo essersi dissolti nel caldo abbraccio della terra.
Infatti i semi, sepolti nella terra, imputriditi e dissolti, per quanto coperti e morti, vengono ravvivati dal succo del terreno materno, e in un certo senso ne assorbono, insieme col calore vitale, l'anima della pianta verdeggiante.
A poco a poco la tenera giovinezza della spiga germoglia e si erige in calamo, e la natura, quasi madre premurosa, la circonda con una pellicina di protezione, perché i geli non danneggino il frutto ondeggiante e la vampa infuocata del sole non lo riarda.
Quando poi i semi stessi fanno capolino, quasi come da una culla, la natura li protegge con una siepe di ariste, perché la pioggia torrenziale non li travolga, il vento non li strappi e il becco degli uccelli non li danneggi.
Come puoi ora stupirti che la terra restituisca i corpi umani di cui si è impossessata?
Essa vivifica, riveste, protegge e custodisce tutti i semi che le sono affidati.
Cessa perciò di dubitare che la terra non renda le ossa umane in lei sepolte, essa che rende il seme a lei affidato, aggiungendovi gli interessi.
Che bisogno avrei di parlare ancora di quegli alberi che si innalzano da un granello posto in terra e offrono, con rinnovata fertilità, un ricco raccolto?
Ricevono l'usuale forma e figura, e qualcuno di loro supera vittorioso i secoli.
Vediamo marcire anche gli acini di uva, ma da essi cresce la vite; viene in essa innestato un germoglio, che cresce e si fa pianta.
La provvidenza divina, che si dà cura dei polloni degli alberi, non dovrebbe dunque pensare all'uomo?
Essa, che non lascia andare perduto ciò che ha creato per l'uso dell'uomo, dovrebbe sopportare che venga annientato proprio l'uomo, che è stato creato a immagine di Dio?
Ambrogio, La fede nell'immortalità
Il Creatore dell'universo, avendo voluto creare l'uomo, lo pose in essere non come un animale spregevole, ma come il più glorioso, e lo designò re di tutte le creature sotto il cielo.
Avendo scelto ciò e avendolo fatto sapiente e simile a Dio, avendolo ornato di tanta grazia, lo chiamò forse all'essere solo perché perisse, perché fosse soggetto alla distruzione completa?
Sarebbe uno scopo vano, e sarebbe indegno di Dio attribuirgli un simile pensiero.
Lo si paragonerebbe così ai fanciulli che costruiscono con grande cura e subito distruggono tutto il loro lavoro, perché la loro mente non sa fermarsi su qualche scopo utile.
Abbiamo imparato tutto il contrario: Dio creò il primo uomo immortale, ma dopo che ebbe luogo la disobbedienza e il peccato, per punizione della sua colpa lo privò dell'immortalità.
Ma, poi, la fonte d'ogni bene traboccò per amore degli uomini: si piegò sull'opera delle sue mani, l'adornò di sapienza e conoscenza, avendo deliberato di rinnovarci e restituirci al nostro stato d'una volta.
Questa è la verità, questo è ben degno della vera idea di Dio.
Ce ne attesta infatti non solo la bontà, ma anche la potenza.
Essere insensibile e duro verso chi ci è soggetto, che è affidato alle nostre cure, non è certo degno di uomo buono e benigno.
Così il pastore desidera che il proprio gregge sia in ottimo stato, addirittura che sia immortale, e il bovaro si dedica con mille cure al prosperare dei buoi, il capraio desidera che le capre abbiano sempre parti gemellari; in breve, ogni possessore di animali, riguardando un fine utile, brama che i propri armenti si conservino fiorenti e si riproducano.
Stando così le cose, se da ciò che abbiamo detto si dimostra che è sommamente conveniente al Creatore e fattore del genere umano riplasmare la sua opera rovinata, è chiaro che i non credenti non per altro motivo combattono la risurrezione della carne, se non perché ritengono impossibile a Dio risuscitare ciò che è morto e distrutto.
Ma questo è un pensiero da morti, da ottusi: ritenendo che un qualcosa sia impossibile, ineffettuabile da Dio, attribuiscono la propria debolezza alla maestà onnipotente.
Per controbattere con argomenti convincenti la loro stoltezza, dal passato e dal presente dimostriamo il futuro, in cui essi non credono.
Hai udito che fu plasmata dalla creta e divenne uomo.
Insegnami tu ora per favore - tu che con la tua sapienza vuoi abbracciare tutto - come mai la polvere leggera e dispersa si raccolse, come la terra divenne carne, e la stessa materia formò ossa e pelle e grasso e peli; come mai, pur essendo la carne unica, i vari organi siano diversi per forma, per natura e per qualità tattili: come mai il polmone sia molle al tatto e di colore livido, il fegato sodo e rosso, il cuore grasso e sia la parte più dura della carne, la milza sottile e nera, l'intestino bianco, e strutturato da natura come una rete da pescatori? …
Non turbarti dunque se non comprendi come viene riparato ciò che è distrutto, dato che non sai darti ragione neppure della formazione.
Si tratta dello stesso artefice, sia nella prima creazione, sia nella seconda trasformazione.
Sa come riformare la propria opera distrutta e sa come ristrutturarla nel suo stato anteriore.
Se c'è bisogno di sapienza, presso di lui è la fonte della sapienza; se c'è bisogno di forza, egli non ha bisogno di aiutante o collaboratore.
E lui, come dice il profeta più sapiente ( Is 40,12 ), che con la mano misura l'acqua, con il palmo il cielo grande e immenso e con il pugno la terra …
Ora, a chi può tutto, nulla è difficile o inattuabile.
Hai molti pegni della fede che ti costringono a convenire con ciò che asseriamo: in primo luogo tutta la creazione, tanto varia e molteplice, che ti grida con più forza di qualsiasi predica, che è grande e sapiente l'artefice che ha creato tutto ciò che vediamo; inoltre Dio stesso, che di tutto ha cura e che osserva da lontano le piccole anime dei non credenti: con i fatti egli ha confermato la risurrezione dei morti, richiamando in vita molti corpi defunti.
Gregorio di Nissa, Omelie per la risurrezione di Cristo, 3
Perché Cristo sarebbe morto, se non avesse avuto un motivo per risorgere?
Dio infatti non poteva morire, la sapienza non poteva morire.
E poiché ciò che non era morto non poteva risuscitare, egli ha assunto una carne, capace - secondo la sua natura - di subire la morte.
E allora veramente quello che era morto poté risorgere.
La risurrezione dunque non poteva avvenire se non attraverso un uomo, perché se per un uomo venne la morte, per un uomo c'è anche la risurrezione dei morti ( 1 Cor 15,21 ).
L'uomo è risuscitato perché è l'uomo che è morto.
É risuscitato, ma chi lo fa risorgere è Dio.
Prima era uomo secondo la carne, ora è Dio in tutto: adesso infatti non conosciamo più Cristo secondo la carne ( 2 Cor 5,16 ), ma siamo in possesso della grazia della sua incarnazione, e lo riconosciamo come primizia di quelli che si sono addormentati ( 1 Cor 15,20 ) e come primogenito dei morti ( Col 1,18 ).
Le primizie sono esattamente della stessa specie e della stessa natura dei frutti che verranno: sono i primi doni presentati a Dio in vista di un raccolto più abbondante, sono un'offerta sacra che contiene in sé tutto il resto, sono una sorta di sacrificio della natura rinnovata.
Cristo è dunque « la primizia di quelli che si sono addormentati ».
Ma lo è soltanto di quelli che si sono addormentati in lui, di quelli cioè che, quasi esenti dalla morte, sono immersi in un sonno tranquillo, o anche di tutti i morti?
La Scrittura ci risponde: Come tutti muoiono in Adamo, così tutti vivranno di nuovo in Cristo ( 1 Cor 15,22 ).
Mentre in Adamo sono le primizie della morte, le primizie della risurrezione sono in Cristo …
Se noi non risorgiamo, Cristo è morto invano ( Gal 2,21 ), e Cristo non è risuscitato ( 1 Cor 15,13 ).
E se non è risuscitato per noi, non è risorto affatto, dal momento che non aveva nessun motivo di risorgere per se stesso.
In lui è risuscitato il mondo, in lui è risuscitato il cielo, in lui la terra è risuscitata: ci sarà infatti un cielo nuovo e una nuova terra ( Ap 21,1 ).
Ma per lui, per lui che non poteva essere trattenuto dai legami della morte, che bisogno c'era della risurrezione?
E infatti, benché morto in quanto uomo, egli si è dimostrato libero perfino nell'inferno.
Volete comprendere quanto fosse libero?
Sono diventato come un uomo senza più soccorso, libero tra i morti ( Sal 88,5-6: Vulg. ).
Tanto libero da poter risuscitare se stesso, come dice la Scrittura: Distruggete questo tempio, e in tre giorni lo ricostruirò ( Gv 2,19 ).
Tanto libero, che è disceso tra i morti per redimere gli altri.
É divenuto uomo, non però in apparenza, ma secondo una forma reale: Egli è uomo, e chi lo conoscerà? ( Ger 17,9: LXX ).
Infatti è divenuto simile agli uomini ed essendosi comportato come un uomo, si è umiliato ancora di più, facendosi obbediente fino alla morte ( Fil 2,7-8 ), perché, grazie alla sua obbedienza, noi potessimo contemplare la sua gloria, gloria come di unigenito del Padre, come dice san Giovanni ( Gv 1,14 ).
La Scrittura ci presenta dunque questa costante testimonianza: in Cristo coesistono veramente la gloria dell'unigenito e una natura di uomo perfetto.
Ambrogio, Sulla morte di suo fratello Satiro, 2,90-91
La speranza della risurrezione è la radice di ogni opera buona.
L'aspettativa della retribuzione, infatti, rafforza l'anima nel ben operare.
Ogni lavoratore è pronto a sobbarcarsi la fatica se vede la ricompensa dei suoi travagli, mentre a quelli che faticano senza mercede vengono meno le forze e l'animo.
Il soldato, che si aspetta il premio, è pronto alla battaglia, mentre nessuno che combatta per un re sconsiderato, che non sa premiare le fatiche, è pronto a morire per lui.
Così ogni anima, che crede nella risurrezione, è ovvio che sa trattarsi con cura, mentre, se non ha fede nella risurrezione, si getta da se stessa in perdizione.
Chi crede che il corpo si conserva per la risurrezione, ha cura di questa sua veste e non la contamina con l'impudicizia; chi non crede nella risurrezione, lo abbandona all'impurità e abusa del proprio corpo come fosse qualcosa a lui estraneo.
É grande perciò il messaggio, la dottrina della santa Chiesa cattolica: la fede nella risurrezione dei morti; è grande e necessaria: molti le si oppongono, ma la stessa verità la comprova.
Le si oppongono i greci, non le credono i samaritani, la stravolgono gli eretici.
La controversia ha varie sfaccettature, ma la verità è semplice.
I greci e i samaritani ci obiettano: « Quando l'uomo muore, imputridisce e si dissolve tutto in vermi; anche i vermi poi muoiono; una simile putrefazione e distruzione invade tutto il corpo: come può dunque risuscitare?
I pesci divorano i naufraghi, poi anch'essi vengono divorati; gli orsi e i leoni maciullano e divorano persino le ossa dei gladiatori che combattono con le fiere; gli avvoltoi e i corvi mangiano le carni dei cadaveri umani dispersi e volano in tutto il mondo: donde mai sarà raccolto e ricomposto il corpo?
Gli uccelli che lo hanno divorato, può darsi che siano finiti uno in India, l'altro in Persia, l'altro ancora nel paese dei goti.
Altri uomini, infine, vengono distrutti dal fuoco e la pioggia e il vento ne disperdono perfino le ceneri: donde sarà raccolto e ricomposto il corpo? ».
Per te, che sei un uomo minuscolo e impotente, l'India è lontana dal paese dei goti, la Spagna dalla Persia; ma per Iddio, che contiene tutto il mondo nel pugno, tutte le regioni sono vicine.
Non attribuire dunque impotenza a Dio, commisurandolo con la tua debolezza: rifletti piuttosto al suo potere!
Ecco, il sole, piccola opera di Dio, con un solo suo raggio riscalda tutto il mondo; l'aria, che Dio ha creato, circonda tutto sulla terra.
Starà dunque lontano dal mondo Dio, creatore del sole e dell'aria?
A te, che sei debole nella fede, propongo esempi molto semplici.
Supponi che siano stati mescolati semi di diversa natura e supponi che questi semi siano in una delle tue mani.
Per te, che sei uomo, è facile o difficile discernere ciò che hai in mano, riunire i semi secondo la loro natura, restituendoli alla loro specie?
Tu, dunque, puoi discernere ciò che hai in mano, e Dio non sarebbe in grado di discernere e rimettere a posto ciò che ha nel pugno?
Rifletti a quanto dico e vedi se non sia empio negare la risurrezione.
Cirillo di Gerusalemme, Catechesi battesimali, 18,1-3
Chiunque nega la risurrezione, condanna a morte da se stesso la sua vita.
Perché, infatti, dovrebbero meritare di contemplar la felicità del tempo futuro coloro che tu vedi sminuire la potenza di Dio con sacrilega incredulità?
Ma lo fanno per amore dei loro misfatti, pensando che resti così impunito ciò che compiono in segreto, giacché, se sentissero ormai avvicinarsi il giorno del giudizio, avrebbero in odio i beni presenti e crederebbero nelle realtà future, e anche ne avrebbero timore.
Non vi è nessuno, tanto digiuno anche solo della sapienza di questo mondo, che osi asserire che le anime muoiono con i corpi e che le realtà celesti vanno perdute con quelle terrestri.
Invero il più saggio dei greci [ Platone ] dice che la morte è quando l'animo è trattenuto nel corpo come chiuso in un carcere o che la vita vera si ha quando, liberato dal suo soggiorno in carcere, l'animo ritorna al luogo da cui è venuto.
Se lui, che non conosceva Cristo, era convinto di ciò, perché il cristiano, che sente parlare della futura risurrezione e che in essa spera e si figura di raggiungerla un giorno, dovrebbe dubitare di Cristo?
Penso perciò doversi anzitutto provare che le nostre anime non si dissolvono alla prima morte insieme con le spoglie del corpo e con la distruzione di questa sua dimora carnale; ma che, in base alle loro azioni, alcune vengono relegate in luoghi di pena, altre vengono ricreate in dimore di pace.
Solo così si può credere che poi risorgano, essendo chiaro a tutti che non sono andate perdute.
I pagani, che non credono ciò, corrono tuttavia ai sepolcri con le loro infauste libagioni e pretendono che i morti, sepolti, secondo loro, nella quiete di una tacita notte, gli chiedano talvolta cibo; in tal modo prestano fede a una realtà che non ammettono.
I filosofi si sono espressi variamente sull'anima: provano in modo convincente che essa sia immortale; mentre lo negano invece le argomentazioni infondate di un Epicuro, di un Dicearco e di un Democrito [ tre filosofi greci. Per Epicuro ( 341-270 a.C. ) l'anima è infatti un corpo fatto di atomi che si dissolve con la morte del rivestimento carnale ].
Meglio di loro i poeti, che vedono nell'aldilà due strade: una per gli empi, che conduce al tartaro; l'altra per i pii, che conduce all'elisio [ Virgilio li chiama i campi elisi. Pindaro vi pone i morti virtuosi, che godono in questo paradiso il premio delle loro buone azioni compiute durante la vita terrena, mentre al tartaro, aldilà sotterraneo, destina gli empi ].
E aggiungono, per di più, che ivi si manifestano non tanto le forme, quanto le azioni dei defunti, i quali ricevono senz'altro la ricompensa corrispondente alle azioni, compiute nel corso della vita, che portano con sé.
Dicono infatti, a ragione: « Ognuno soffre secondo quanto merita » [ cf. il libro sesto dell'Eneide di Virgilio, soprattutto il v. 1114: « Ché quale è di ciascuna il genio e 'l fallo, tale è il castigo » ].
Zenone di Verona, La risurrezione, 16,1-2
Crediamo anche nella risurrezione dei morti.
Vi sarà certamente, vi sarà la risurrezione dei morti.
Dicendo risurrezione, intendiamo risurrezione dei corpi.
La risurrezione è quando si ergono per la seconda volta coloro che sono caduti; ma le anime, che sono immortali, come risorgeranno?
Se la morte si definisce la separazione dell'anima dal corpo, la risurrezione è evidentemente una nuova unione dell'anima col corpo, un rinnovato sorgere dell'essere caduto e dissolto.
Perciò anche il corpo, corrotto e dissolto, risorgerà incorrotto.
A colui, infatti, che all'inizio lo ha costruito con la polvere della terra non manca certo il potere di farlo nuovamente risorgere, dopo che sia dissolto e ritornato alla terra da cui era stato preso, secondo la sentenza del Creatore.
Se non vi è risurrezione mangiamo e beviamo ( 1 Cor 15,32; Is 22,13 ), diamoci a una vita di piaceri e godimenti.
Se dunque non c'è la risurrezione, in cosa differiamo dalle bestie?
Se non c'è la risurrezione, beati gli animali dei campi, che conducono una vita priva di pene.
Se non c'è la risurrezione, non c'è neppure Iddio, non c'è provvidenza, tutto è spinto e portato dal caso.
Ecco, infatti, vediamo molti giusti soggetti a sofferenze e soprusi, privi in questa vita di ogni appoggio; peccatori e ingiusti, invece, felici fra le ricchezze e ogni piacere.
Chi mai, se ha cervello, può supporre che questo sia l'effetto di un giudizio retto, di una provvidenza saggia?
Vi sarà, dunque, vi sarà la risurrezione!
Infatti Dio è giusto e vi sarà la ricompensa per quelli che lo aspettano ( Eb 11,6 ).
Se l'anima avesse combattuto da sola nella palestra della virtù, da sola sarebbe premiata; e se da sola si fosse avvolta nei piaceri, giustamente da sola sarebbe punita.
Ma poiché l'anima non si è dedicata né alla virtù né al vizio senza il corpo, giustamente l'una e l'altro riceveranno contemporaneamente o il premio o il castigo.
Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 4,27
Resterebbe da vedere se la vita che speriamo sarà come la vita presente.
Se fosse così, direi che gli uomini dovrebbero rifuggire dalla speranza della risurrezione.
Se i corpi fossero restituiti alla vita tali e quali sono quando cessano di vivere, gli uomini non si aspetterebbero altro dalla risurrezione che una sventura senza fine.
Ci sarebbe uno spettacolo più miserando dei corpi rattrappiti dalla vecchiaia, mutati in bruttura e deformità, con la carne consumata dal tempo, la pelle rugosa, rinsecchita intorno alle ossa?
Quando i nervi non più irrorati e nutriti dall'umore naturale si contraggono e perciò tutto il corpo si incurva, ci si offre uno spettacolo disgustoso e miserando: il capo è piegato in direzione delle ginocchia e le mani, di qua e di là, si agitano incessantemente per un tremore involontario, inabili ai loro compiti usuali.
Come si presentano i corpi devastati da lunghe malattie?
Si distinguono da un cumulo d'ossa nude solo perché appaiono coperti da un po' di cute sottile e già consunta.
E i corpi degli ammalati di idropisia?
E quali parole sarebbero sufficienti per rappresentare la vergogna e la bruttura dei lebbrosi?
Tutte le loro membra e i loro sensi vengono a poco a poco divorati dalla putredine che non si arresta.
Come si presentano i corpi di quelli che, storpiati dal terremoto, dalla guerra o da qualche altra causa sono sopravvissuti per un po' di tempo alla loro sciagura?
Che v'è da dire di quelli che, colpiti dalla nascita, sono cresciuti storpi nelle loro membra?
Dei fanciulli appena nati, che vengono esposti o soffocati, o che muoiono da sé, che dobbiamo pensare?
Se vengono riportati in vita tali e quali, resteranno sempre infanti - e cosa vi è di più misero -, o saranno condotti a un'età più matura?
Con quale latte la natura li sosterrà?
Perciò, se rivivremo con lo stesso corpo assolutamente identico, sarà per noi una sventura ciò che ci aspettiamo; se non con lo stesso corpo, il risorto sarà un altro, diverso dal defunto.
Se infatti è morto fanciullo e risorge adulto, o viceversa, come si può dire che il morto sia ridiventato uomo, dato che, riguardo all'età, è tanto mutato?
Chi al posto di un fanciullo vede un uomo, al posto d'un vecchio un giovanotto, vede uno al posto dell'altro; così invece di un mutilato, un uomo sano, invece di un povero macilento, uno tutto florido - e tutti gli altri casi, per non essere tedioso col mio discorso riportandoli -.
Se dunque non risorge lo stesso corpo, precisamente quale era quando fu affidato alla terra, non risorge il morto, ma con la terra viene plasmato un altro uomo.
Che me ne importa dunque della risurrezione, se invece di me è un altro che rivive?
Come riconoscerei me stesso, non vedendo me in me?
Non sarei infatti veramente io, se non riscontrassi in tutto me stesso.
Se conservassi nella memoria l'immagine di qualcuno, come era in questa vita - poniamo per esempio che avesse i capelli radi, le labbra sporgenti, il naso camuso, pallido, gli occhi azzurri, canuto e rugoso - e mentre cerco proprio costui, incontro un giovanotto dalla chioma folta, dal naso aquilino, dalla carnagione scura, ossia tutto diverso d'aspetto.
Crederei forse di aver visto il primo?
Ma che bisogno c'è di soffermarsi in questi particolari minori e secondari, tralasciando ciò che più importa?
Chi non sa che la natura umana assomiglia a un fiume, che è in continuo movimento dalla nascita alla morte e solo allora cessa di scorrere, quando cessa di essere?
Questo movimento non è uno spostarsi da luogo a luogo - la natura infatti non esce da se stessa -, ma è un processo di continua mutazione.
Ma la mutazione, almeno fino a quando la parola conserverà il suo significato, non resta mai nello stesso stato: come può conservarsi nello stesso stato ciò che muta? …
Nella natura del nostro corpo l'afflusso e il deflusso, dovuti al processo metabolico, procedono senza posa, e solo allora cesseranno, quando cesserà la vita; ma fino a quando c'è vita, non hanno pausa: vi è un riempimento o uno svuotamento o i due processi si compiono contemporaneamente.
Se uno dunque non è oggi ciò che era ieri, ma è diverso per il continuo mutamento, quando la risurrezione ricondurrà i nostri corpi in vita, uno diventerà per così dire un popolo d'uomini, e nulla mancherà al risorto: infante, fanciullo, ragazzo, giovanotto, uomo, padre, vecchio e ogni altra età …
Devo dire un'altra delle obiezioni mosse da coloro che non accettano la dottrina della risurrezione?
La natura non ha fatto nel nostro corpo nessun organo inutile.
Alcuni organi mantengono il corpo in vita e in forza, e senza di loro non potrebbe sussistere questo nostro vivere nella carne; così il cuore, il fegato, il cervello, i polmoni, lo stomaco e le altre viscere; altri sono destinati all'attività sensoriale, altri servono al movimento e al lavoro, e altri infine sono necessari per comunicare la vita ai posteri.
Orbene, se con questi organi si svolgerà la vita futura, non vi è mutamento alcuno; ma se è vera la parola scritturistica - come in realtà è vera -, la quale afferma che la vita dopo la risurrezione non conoscerà matrimonio ( Mt 22,30 ) e si sosterrà senza cibo e bevanda, che bisogno ci sarà di quelle membra, dato che in quella vita non ci aspettiamo ciò per cui esse ora sono destinate?
Se dunque le membra destinate al matrimonio sono in vista del matrimonio, quando il matrimonio non v'è, non c'è bisogno di quelle.
E così le mani per operare, i piedi per camminare, la bocca per assumere cibo, i denti per collaborare al processo di nutrizione, le viscere per la digestione, e i condotti efferenti per l'escrezione di ciò che più non serve.
Quando dunque non esistono più le funzioni per cui sono stati fatti, che necessità vi è che ci siano tali organi?
Se, con ciò, il corpo non ha più nessuno degli organi, che sarebbero superflui per quella vita, non avremo più nessuna di quelle parti che costituiscono tutto il corpo nella sua pienezza, perché la vita sarà tutta diversa; non si parli dunque di risurrezione, perché tutte le membra, ad una ad una non risorgeranno col corpo, essendo inutili.
Ma se, invece, la virtù della risurrezione si estenderà a tutte le membra, dobbiamo ammettere che Colui che opera la risurrezione produce in noi qualcosa di inutile e vano per quella vita …
Ma nel primo stato di vita, quello creato dallo stesso Iddio, non vi era vecchiaia, come è chiaro, né fanciullezza, né vi erano i malanni di varie infermità, né ogni altra miseria del corpo ( non conveniva infatti a Dio creare tali guai; la natura umana era qualcosa di divino prima che in essa si affermasse la brama del male ).
Tutti questi guai l'assalirono quando in lei subentrò il peccato.
Perciò una vita libera dal peccato non è necessariamente soggetta ai mali venuti per il peccato.
Come a chi cammina al freddo capita di raggelarsi nel corpo, mentre a chi cammina sotto i raggi del sole gli si abbronza la pelle, ma ambedue, se non sono più in quella situazione, cessano del tutto rispettivamente di congelarsi o di abbronzarsi e, venendo meno le cause, nessuno si aspetta più ragionevolmente i loro effetti, così è per la nostra natura: abbandonatasi alle passioni è stata avvinta da ciò che alla vita di passioni consegue; ma tornata nella beatitudine, in cui non vige la passione, non sarà più astretta dalle conseguenze del peccato.
Ciò che, proprio di una vita irrazionale, è mescolato alla natura umana, non si riscontrò in noi prima che la natura umana cadesse, per il peccato, nella passione; di necessità se siamo liberi dalla passione, abbandoneremo anche tutto ciò che con la passione si riscontra.
Perciò non sarebbe ragionevole chi in quella vita cercasse quello che a noi proviene dalle passioni.
Come chi porta addosso una tunica lacera, quando se ne spoglia non vede più in sé la vergogna di un vestito indecente, così noi, spogliata quella veste di morte e turpitudine, veste fatta di pelli d'animali irragionevoli ( Gen 3,21 ) ( e udendo pelle ritengo di dover intendere la forma della natura irrazionale, di cui siamo stati circondati per la nostra intima adesione alle passioni ), svestendo quella tunica, deporremo anche tutto ciò che è proprio della pelle priva di ragione.
Gregorio di Nissa, Dialogo con Macrina, 17-18,1
Dato che la buona volontà è degna, per grazia di Dio, del premio della beatitudine eterna, e che l'iniquità degli angeli e degli uomini non deve restare impunita, noi aspettiamo con certezza, secondo la norma della fede cattolica, che il Figlio di Dio venga a punire tutti gli angeli peccatori e a giudicare gli uomini vivi e defunti.
Attesta in effetti il beato Pietro che Dio non perdonò agli angeli prevaricatori, ma li rinchiuse nel carcere della tenebra infernale per riservarli al castigo, che verrà loro inflitto al giudizio ( 2 Pt 2,4 ).
Sul giudizio degli uomini vivi e defunti san Paolo dice questo: Attesto davanti a Dio e a Cristo Gesù, che giudicherà e vivi e morti, e per la sua venuta e per il suo regno. .. ( 2 Tm 4,1 ).
Alla cui venuta tutti i corpi, da quello del primo uomo plasmato da Dio con la terra fino a quello di tutti gli altri che in qualche modo ebbero anima e vita, saranno risuscitati da colui, ad opera del quale furono creati.
E alla risurrezione tutti quei corpi saranno restituiti ciascuno alla propria anima che ebbero nel seno materno quando incominciarono a vivere; così, in quel rigido esame del giusto giudice, le anime riceveranno la mercede del regno o del supplizio, ciascuna in quel corpo con cui condussero su questa terra una vita buona o cattiva …
Vi sarà anche la risurrezione dei malvagi, ma senza quel mutamento che Dio concederà solo ai giusti che, nella fede, condussero vita retta.
Ciò significano le parole di san Paolo: Tutti certo risorgeremo, ma non tutti saremo mutati ( 1 Cor 15,51 ); mostrando poi che per dono divino i giusti saranno mutati soggiunge: E noi saremo mutati ( 1 Cor 15,52 ).
Gli iniqui, dunque, avranno la risurrezione insieme con i giusti; ma non avranno la grazia della trasformazione che sarà concessa ai giusti; dai loro corpi non verrà tolta la corruzione, l'ignominia e la debolezza nei quali essi vennero seminati; né verranno annichiliti dalla morte, perché il supplizio della morte eterna risulti dal tormento continuo del corpo e dell'anima.
Le anime invece dei giusti, che Dio, Signore e redentore, ha giustificato gratuitamente per la fede donando loro la perseveranza nel retto vivere sino alla fine, otterranno la beatitudine eterna del regno celeste in quegli stessi corpi, nei quali hanno ricevuto quaggiù la grazia divina della giustificazione e nei quali, giustificati per la fede, vissero nell'amore di Dio e del prossimo.
E anche i loro corpi saranno glorificati.
E non c'è dubbio che questi, pur permanendo realmente la natura della carne da Dio creata, non saranno corpi animali come quaggiù, ma corpi spirituali.
Si semina infatti un corpo animale e risorge spirituale; così, per quella trasformazione che verrà concessa solo ai giusti, si adempirà ciò che l'Apostolo ritiene necessario: che questo corpo corruttibile rivesta l'incorruttibilità e questo corpo mortale si ammanti dell'immortalità ( 1 Cor 15,53 ).
In loro resterà il sesso maschile o femminile quale fu creato con i corpi: la loro gloria si diversificherà secondo la diversità delle buone opere.
Ma tutti i corpi, sia degli uomini sia delle donne, saranno in quel regno gloriosi.
Il giudice, poi, sa quale gloria elargire a ciascuno, perché egli in questa vita ha, nella sua misericordia, prevenuto e gratuitamente giustificato coloro che lassù, nella sua giustizia, ha decretato di glorificare.
Fulgenzio di Ruspe, La regola della vera fede, 3,33.35
Se qualcuno mescola insieme varie sementi e così le semina o le sparge in terra, non avviene forse che ogni seme, in qualsiasi luogo si trovi, a suo tempo produrrà un germe della sua specie, della sua natura, reintegrando così lo stato della sua forma e del suo essere?
Ammesso dunque che la sostanza di qualsiasi carne sia variamente dispersa qua e là, la ragione profonda che vi è in ogni carne è l'immortalità: infatti si tratta della carne di un'anima immortale.
Tutto ciò, precisamente perché alla volontà del vero Dio piacque, dopo aver disseminato i corpi sulla terra, rendere a ciascuno di essi il loro stato sostanziale, raccolto e unito dalla terra, e ricostituirlo nella sua forma che la morte aveva sciolta.
E così avviene che a ogni anima viene restituito un corpo: non a caso, non altrui, ma proprio il suo corpo, che aveva prima; in questo modo è possibile che insieme con la sua carne, per le lotte di questa vita, l'anima venga coronata, se pudica, o punita, se impudica.
Rufino di Aquileia, Commento al simbolo apostolico, 43
Perché si effettui la risurrezione, è ben possibile che ci sia un mutamento, una conversione, una ristrutturazione, purché sia salva però la sostanza ( dei singoli uomini ).
Non è ammissibile che la mente, la memoria e la coscienza dell'uomo attuale svaniscano quando egli indossa il nuovo abito dell'immortalità e dell'incorruttibilità, altrimenti sarebbero inutili il premio e il frutto della risurrezione, nonché lo stato assegnatogli dal doppio giudizio divino.
Se non mi ricordo di essere io quello che ha meritato, come potrò dare gloria a Dio?
Come potrò cantargli un cantico nuovo, non sapendo di essere io che a lui devo riconoscenza?
Perché si ammette solo il mutamento della carne, e non anche quello dell'anima, che fu sempre alla guida della carne?
E che si dovrebbe dire se la stessa anima, che in questo corpo passò tutto il decorso della vita, che in questo corpo conobbe Dio, si rivestì di Cristo e seminò nella speranza di salvezza, raccolga il frutto poi in un altro corpo, non so quale?
Tertulliano, La risurrezione della carne, 55-56
Alla risurrezione della carne per l'eternità la taglia del corpo avrà le proporzioni che essa aveva o avrebbe dovuto avere all'età della giovinezza grazie alla ragione causale, deposta nel corpo di ognuno, salvaguardando nella proporzione di tutte le membra un'armonica bellezza.
Per ottenere ciò, sarà a volte necessario che venga tolto qualcosa alla sproporzione indecente, a qualche eventuale ipertrofia e che venga equamente distribuito in tutto il corpo, perché non vada perduto, e si ottenga in pieno la debita proporzione fra le parti.
E non è assurdo ammettere che possa venire aggiunto qualcosa alle dimensioni del corpo, purché equamente distribuito, per mantenere l'armonia, in tutte le parti; se l'aggiunta infatti fosse enorme in una parte sola, sarebbe sconveniente.
Se qualcuno vuole però sostenere che ciascuno risusciterà con la statura corporea di quando era morto, non bisogna poi opporglisi con troppa polemica, purché venga esclusa ogni deformità, ogni debolezza, ogni lentezza, ogni corruzione e tutto ciò che non conviene a quel regno, in cui i figli della risurrezione e della promessa saranno uguali agli angeli di Dio, se non nel corpo e per l'età, ma certamente per la felicità.
Verrà dunque reintegrato tutto ciò che fu amputato o dal corpo vivo o dal cadavere; con esso, tutto ciò che è rimasto nel sepolcro risorgerà, mutato da vecchio corpo animale in corpo spirituale nuovo, rivestito di incorruttibilità e di immortalità.
Ma se per qualche grave incidente o per la crudeltà dei nemici tutto un corpo fosse stato ridotto in polvere e questa dispersa all'aria o nell'acqua, tanto da non poterne trovar più neppure una particella, non si è riusciti con ciò, tuttavia, a sottrarlo all'onnipotenza del Creatore; un solo capello del suo capo non verrà perduto.
La carne spirituale sarà dunque soggetta allo spirito; ma sarà carne, non spirito, proprio come lo spirito carnale fu soggetto alla carne, pur essendo spirito, non carne.
Lo esperimentiamo nella nostra triste situazione.
Erano carnali non per la carne, ma per lo spirito, quelli a cui l'Apostolo diceva: Non ho potuto parlarvi come a uomini spirituali, ma carnali ( 1 Cor 3,1 ).
E l'uomo spirituale in questa vita ha tuttavia un corpo di carne, tanto che sente nelle sue membra un'altra legge in guerra contro la legge del suo spirito; ma sarà spirituale anche nel corpo, quando la sua stessa carne risorgerà, nella condizione però da realizzare ciò che sta scritto: Si semina il corpo animale, risorge il corpo spirituale ( 1 Cor 15,44 ).
Quale sarà, e quanto grande, la grazia del corpo spirituale?
Non ne abbiamo esperienza; temo perciò che sia temerario ogni discorso su questo argomento.
Tuttavia, dato che non si può tacere a gloria di Dio la gioia della nostra speranza, e che dalle fibre più segrete di un ardente e santo amore è stato detto: Signore, ho amato lo splendore della tua casa ( Sal 26,8 ), cerchiamo, col suo aiuto e per quanto ci è possibile, di raffigurarci - per i suoi doni che egli in questa vita infelicissima elargisce ai buoni e ai cattivi - quanto sia grande quel bene, di cui pur non ci è dato parlare degnamente, perché non ne abbiamo fatto ancora esperienza.
Agostino, La città di Dio, 22,20-21
Il giorno e la notte si alternano in modo che il riposo deriva dalla fatica e la fatica dal riposo.
Il sole e la luna, l'uno dopo l'altro, girano attorno ai confini del mondo, perché il sole aumenti, con luce doppia, lo splendore del dì, e la luna, con luce quasi pari, non lasci completamente allo scuro il tempo notturno.
Le stelle, nel loro corso, variano il loro sorgere, per stabilire i tempi alle notti, e per guidare i viandanti.
I tempi vanno e vengono; cominciano e cessano.
I semi nascono, crescono, si sviluppano, si rinforzano, cadono, invecchiano, muoiono e poi, sepolti nei solchi vitali, dissolti in putredine, dalla morte salvifica tornano in vita, dalla corruzione risorgono in una forma perenne.
Tutto questo, o fratelli, lo opera la voce di Dio, la tromba di Cristo: giorno per giorno, mese per mese, stagione per stagione, anno per anno chiama e richiama, conduce e riconduce, comanda di essere e fa più non essere, dà la morte e restituisce la vita.
Perché quello che egli fa sempre in tutte le cose, non potrebbe farlo una volta in noi?
Solo in noi la divina potenza viene meno, mentre solo per noi la maestà di Dio opera tutto questo?
O uomo, se per te tutte le cose rivivono dalla loro morte, perché tu non rivivrai dalla morte, per Dio?
Solo in te una creatura di Dio va perduta, mentre per te tutta la creazione, ogni giorno, sussiste, è mossa, mutata e innovata?
Fratelli, dico questo non perché sia mio desiderio diminuire l'importanza dei miracoli di Cristo, ma vi esorto che, dall'esempio di un giovane risorto ( Lc 7 ), noi tutti siamo eccitati alla fede nella risurrezione universale, e crediamo che la croce è l'aratro del nostro corpo; la fede ne è il seme; il sepolcro, il solco; la dissoluzione, il germe; il tempo, l'aspettativa; perché così quando arriderà la primavera della venuta del Signore, allora la matura vigoria dei nostri corpi risorga in messe vitale, che non conosce fine, che non conosce canizie, che non subirà né falci né battiture.
Deposta con la morte, infatti, la pula di ciò che è vecchio, il corpo si erge glorioso quale nuovo frutto.
Pietro Crisologo, Omelia sulla risurrezione della carne, 103
Quelli che con forza e verità sono cristiani, sono impavidi e gioiscono anche quando migrano dal corpo, perché hanno una casa, non costruita da mani d'uomo, casa che è la forza dello Spirito che abita in loro.
Anche se crolla l'abitazione del loro corpo, non temono: hanno infatti la casa celeste dello Spirito e la gloria incorruttibile, gloria che nel giorno della risurrezione edificherà e glorificherà la casa del corpo, come dice l'Apostolo: Colui che ha svegliato Cristo dai morti vivificherà anche i nostri corpi mortali per mezzo dello stesso Spirito che abita in noi ( Rm 8,11 ).
E ancora: Affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella nostra casa mortale ( 2 Cor 4,10 ); e perché ciò che è mortale venga assorbito dalla vita ( 2 Cor 5,4 ).
Lottiamo dunque per la fede e la vita virtuosa, per procurarci lassù quella veste e non avvenga che, rivestito il corpo, ci si avveda che siamo nudi e non possediamo ciò che in quel giorno glorifica la nostra carne.
Nella misura infatti che ciascuno sarà degno, per la fede e l'ardore, di diventare partecipe dello Spirito Santo, altrettanto in quel giorno il suo corpo sarà glorificato.
I tesori, che ora l'anima accumula interiormente, saranno allora rivelati e appariranno esteriormente nel corpo.
Come gli alberi, passato l'inverno, riscaldati da una forza invisibile che proviene dal sole e dai venti, germogliano e buttano fuori, come veste, foglie, fiori e frutti; così, in quel periodo, i fiori dell'erba escono dal seno della terra, e così la terra si adorna e si veste, e l'erba è come i gigli di cui il Signore dice: Neppure Salomone in tutta la sua gloria non era vestito come uno di essi ( Mt 6,29 ).
Tutti questi sono esempi, sono tipi, sono immagini dei cristiani alla risurrezione.
Perciò, per tutte le anime che amano Dio, cioè per i veri cristiani, il primo mese è il santico, detto aprile, che è il tempo della risurrezione; in esso, per la potenza del « sole di giustizia », la gloria dello Spirito Santo sorge dall'intimo e circonda e riveste i corpi dei santi; gloria che avevano dentro, nascosta nelle anime.
Quello che l'uomo possiede ora procede allora fuori dal corpo.
Questo, ripeto, è il primo tra i mesi dell'anno, questo reca gaudio a tutto il creato; questo riveste gli alberi nudi e apre la terra; questo reca gaudio a tutti i viventi, fa conoscere la gioia a tutti, questo è il primo mese dei cristiani, il santico, il tempo della risurrezione, nel quale i loro corpi saranno glorificati per la luce arcana che ora è in loro, cioè per la virtù dello Spirito, che sarà allora veste, cibo, bevanda, esultanza, letizia, pace, ornamento e vita eterna.
Infatti allora lo Spirito della divinità, che sin da ora sono stati degni di accogliere in sé, diventerà per loro tutta la bellezza dello splendore e della leggiadria celeste.
Ciascuno di noi, dunque, non deve credere, lottare, applicarsi con tutta virtù a una vita santa, perseverare nella speranza e in molta pazienza, per essere ora ritenuto degno di conseguire la virtù celeste e la gloria dello Spirito Santo dentro l'anima, e perché allora, dissolti i nostri corpi, abbiamo ciò che ci rivesta e ci vivifichi?
É detto: Se però ci si troverà vestiti, e non nudi ( 2 Cor 5,3 ) e: Risusciterà i nostri corpi mortali per opera dello Spirito che abita in noi ( Rm 8,11 ).
Il beato Mosè ci mostrò per mezzo di un simbolo - la gloria cioè dello Spirito che rifulgeva sul suo volto, che nessun uomo poteva guardare fisso - la gloria a cui saranno elevati, alla risurrezione, i corpi dei giusti; gloria che le anime dei santi e dei fedeli sono degne di possedere fin da ora nell'uomo interiore.
Noi tutti - è detto infatti -, a faccia scoperta cioè, nell'uomo interiore contempliamo come in uno specchio la gloria del Signore, trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria ( 2 Cor 3,18 ).
E ancora: Per quaranta giorni e quaranta notti Mosè non mangiò pane - sta scritto - e non bevve acqua ( Es 34,28 ).
Ma è impossibile che la natura corporea si mantenga in vita per tanto tempo senza aver parte a un altro cibo spirituale; cibo a cui ora le anime dei santi hanno parte invisibilmente in virtù dello Spirito Santo.
Con due immagini, dunque, il beato Mosè ci mostrò quale gloria luminosa e quale delizia intellettuale avranno i veri cristiani alla risurrezione; e di esse anche ora, pur non manifestamente, sono ritenuti degni; per questo motivo esse allora si manifesteranno nel loro corpo.
La gloria infatti, che ora i santi hanno nella loro anima, come abbiamo detto, coprirà allora e circonderà i loro corpi nudi e li rapirà ai cieli.
Infine, in anima e corpo, riposeremo col Signore nel regno, per tutti i secoli.
Quando Dio creò Adamo, non lo fornì di ali corporee come gli uccelli, perché gli preparò le ali dello Spirito Santo, quelle cioè che egli avrebbe elargito alla risurrezione, che lo eleveranno e lo rapiranno dove piace allo Spirito.
Già da ora le anime dei santi hanno queste ali per elevarsi con la mente ai pensieri celesti.
I cristiani infatti hanno un altro mondo, un'altra tavola, un'altra veste, un altro godimento, un'altra società, un'altra mente.
Per questo sono elevati al di sopra di tutti gli altri uomini.
La forza necessaria a ciò sono già degni di ottenerla dallo Spirito Santo; perciò anche alla risurrezione i loro corpi saranno degni di quei beni eterni dello Spirito Santo, e si uniranno a quella gloria di cui già ora le loro anime hanno fatto esperienza.
Per questo ognuno di noi deve lottare, faticare, applicarsi a ogni virtù, credere e impetrare dal Signore di partecipare fin da ora nell'uomo interiore a quella gloria, per ottenere che la sua anima abbia parte a quella santità dello Spirito; così, purificati dall'immondezza del peccato, anche alla risurrezione avremo ciò che rivestirà i nostri corpi nudi, ne ricoprirà la vergogna, ci vivificherà e ci farà riposare per tutti i secoli nel regno dei cieli.
Pseudo-Macario, Omelie, 5,7-12
Non andrà perduta davanti a Dio la materia terrena con cui vengono creati i corpi dei mortali ma - per quanto si dissolva in polvere e in cenere, per quanto esali in vapore e aria, per quanto si trasformi nella sostanza di altri corpi o negli stessi elementi, per quanto diventi cibo degli animali o anche degli uomini mutandosi nella loro carne - a un dato istante essa farà ritorno a quell'anima umana che la animò all'inizio facendone un uomo, facendola vivere e crescere.
Questa materia terrena che, andandosene l'anima, si muta in cadavere, alla risurrezione verrà reintegrata, ma non nel senso che le sue singole parti, dissolte ( alla morte ) e mutatesi via via nella forma e nella sostanza di altre cose, ritornando al loro corpo, debbano necessariamente venire ricollocate ove si trovavano originariamente.
Se fosse così, se ritornasse ai capelli tutto ciò che è stato asportato con le frequenti tosature, o alle unghie tutto ciò che è stato continuamente tagliato via, ne risulterebbe una mostruosità, di cui ben si avvedono coloro che si fanno della risurrezione un'idea smodata e sconveniente, e perciò non l'ammettono.
Non è così. Se una statua di metallo qualsiasi fosse stata rifusa, oppure ridotta in polvere o in una massa informe, e con tutto quel materiale un artista intendesse riplasmarla, non sarebbe certo necessario per la sua integrità che ogni particella di materia sia restituita decisamente al membro in cui era, purché tutta la materia costituente sia reintegrata nel tutto.
Così Dio, artefice mirabile e ineffabile, con mirabile e ineffabile prontezza reintegrerà al nostro corpo tutto ciò che lo costituiva, e non sarà necessario, perché esso sia integro, che i capelli ritornino al posto dei capelli, le unghie al posto delle unghie, oppure che semplicemente ogni particella staccatasi si trasformi in carne e ritorni anche in altre parti del corpo …
La provvidenza del divino artefice curerà che non vi sia nulla di sconveniente.
E non è necessario giungere alla conclusione che la statura dei singoli uomini risuscitati sia diversa, perché era diversa mentre vivevano; così che i magri risorgano con la loro magrezza e i grassi con la loro pinguedine.
Ma, se è volontà del Creatore, che solo nell'aspetto visibile restino le proprietà e le caratteristiche che rendono discernibile ogni individuo, mentre tutte le altre proprietà del corpo siano a tutti uguali, allora la materia sarà trattata in ciascuno in modo tale che da un lato nulla andrà perduto, e dall'altro lato che, quanto ad ognuno manca, supplirà Colui che poté fare dal nulla ciò che volle.
Se, invece, è secondo ragione che tra i corpi dei risorti vi sia disuguaglianza, come per esempio per le varie voci di un coro, allora ciascuno verrà rifatto proprio con la materia del suo corpo; sicché l'uomo da un lato verrà reso uguale ai cori angelici ma, dall'altro lato, non presenterà nulla di disdicevole rispetto ad essi.
I corpi dei santi dunque risorgeranno senza difetto, senza deformità e anche senza corruzione, peso, difficoltà: la loro leggerezza sarà come la loro allegrezza.
Per questo vengono detti spirituali, pur essendo senz'altro corpi e non spiriti.
Come ora chiamiamo corpo animale quello che è corpo e non anima, così allora il corpo spirituale sarà un corpo, non uno spirito.
Per ciò che riguarda la corruzione, che ora aggrava l'anima, e i vizi, per i quali la carne ha brame contrarie allo spirito, allora non sarà carne, ma corpo: la Scrittura parla infatti di corpi celesti.
Per questo essa dice: La carne e il sangue non possiederanno il regno di Dio ( 1 Cor 15,50 ); e, come spiegando l'asserzione, soggiunge: Né la corruzione si impossesserà dell'incorruttibilità.
Agostino, Manualetto, 23,88-91
Come gli occhi del corpo vedono tutto chiaramente, così alle anime dei santi sono chiare e visibili le bellezze della divinità a cui i cristiani sono uniti e di cui sono consapevoli.
Ma per gli occhi del corpo quella gloria è celata; si rivela chiaramente all'anima che crede e che il Signore risuscita dalla morte del peccato - come risuscita anche i corpi morti -, preparandole un cielo nuovo, una terra nuova e un sole di giustizia, tutto elargendole dalla sua divinità.
Egli è il mondo vero, la terra vivente, la vite fruttifera, il pane della vita, l'acqua viva, come sta scritto: Credo che vedrò i beni del Signore nella terra dei viventi ( Sal 27,13 ); e ancora: Sorgerà per chi teme il Signore il sole di giustizia; la salute è nelle sue ali ( Ml 3,19 ).
E il Signore ha detto: Io sono la vite vera ( Gv 15,1 ); e: Io sono il pane della vita ( Gv 6,48 ); e ancora: Chi berrà dell'acqua che io darò, essa diverrà in lui una sorgente di acqua zampillante fino alla vita eterna ( Gv 4,13-14 ).
La venuta del Signore fu nient'altro che per l'uomo, il quale giaceva morto nel sepolcro delle tenebre del peccato, dello spirito impuro e delle potenze maligne; e suo scopo fu di suscitare e vivificare già in questo mondo l'uomo, mondarlo da ogni sozzura, illuminarlo col suo splendore e ricoprirlo con la veste celestiale della sua divinità.
Nella risurrezione dei corpi - prima della quale le anime saranno risuscitate e glorificate - anche i corpi saranno glorificati e illuminati insieme con l'anima, già da ora illuminata e glorificata: loro casa, loro tenda e loro città è il Signore.
Saranno protetti da una dimora celeste, non fatta da mano d'uomo, la gloria cioè dello splendore divino, perché sono figli della luce.
Non si guarderanno con occhio malizioso, perché la malizia sarà tolta di mezzo.
Non vi sarà né maschio né femmina, né schiavo né libero; tutti infatti si trasmuteranno in una natura divina, diventeranno buoni, divini, figli di Dio.
Il fratello saluterà senza arrossire la sorella, perché tutti in Cristo sono una cosa sola ( Gal 3,28 ) e tutti riposano in un solo splendore.
L'uno baderà all'altro, e osservandosi a vicenda, risplenderanno subito nella verità, nella vera contemplazione della luce ineffabile.
Così si vedono l'un l'altro in molti aspetti, in grande e varia gloria divina, e ciascuno resta stupito e gioisce di un gaudio ineffabile, vedendo la gloria dell'altro.
Vedi come la gloria di Dio è indicibile e incomprensibile, piena di luce arcana, di misteri eterni e innumerabili beni?
Come a nessuno è possibile, tra le realtà visibili, fissare il numero delle piante, dei semi o dei vari fiori, né misurare o conoscere pienamente tutti i tesori della terra;
come a nessun uomo è possibile stabilire, nel mare, il numero, il genere e le differenze degli animali che in esso vivono, né la misura d'acqua che spostano, né l'estensione di spazio che occupano;
come non è possibile conoscere il numero degli uccelli nell'aria, le loro specie e le loro varietà e
come non è possibile fissare la grandezza del cielo, la posizione degli astri e il loro corso;
allo stesso modo è impossibile dire o spiegare la ricchezza incommensurabile, infinita e incomprensibile dei cristiani.
Se infatti queste cose create sono tanto immense e incomprensibili per gli uomini, quanto più lo è colui che le ha create e formate.
Tanto più dunque si deve gioire e rallegrarsi che per i cristiani è preparata una tale ricchezza, una tale eredità che nessuno può dire o spiegare.
Pseudo-Macario, Omelie, 34,1-3
Alcuni, basandosi sui due passi: Fino a quando giungiamo tutti allo stato di uomo perfetto, alla misura della piena età di Cristo ( Ef 4,13 ); e: Conformati all'immagine del Figlio di Dio ( Rm 8,29 ), ritengono che le donne non risusciteranno con il loro sesso, ma tutti saranno di sesso maschile, anche perché Dio fece solo l'uomo dalla terra, la donna invece dall'uomo.
A me tuttavia sembra più intelligente la posizione di chi non dubita della risurrezione di ambo i sessi.
Non vi sarà infatti la concupiscenza che è il vero motivo del pudore: prima di peccare, l'uomo e la donna erano nudi e non se ne vergognavano.
I vizi verranno sottratti ai loro corpi, non certo la natura: e non è un vizio il sesso femminile, ma è natura.
Certamente allora sarà immune dagli amplessi e dal parto, ma le membra saranno femminili; non adeguate alla vecchia finalità, ma esprimenti una nuova bellezza, intesa non ad accendere la passione carnale, che non vi sarà più, ma a stimolarci alla lode della sapienza e della clemenza di Dio, che ha fatto ciò che non era e ha liberato dalla corruzione ciò che era …
Colui dunque che ha costituito i due sessi li reintegrerà.
Del resto, quando gli fu chiesto dai sadducei, che non ammettevano la risurrezione, di chi sarà la moglie di sette fratelli, sposata successivamente da tutti loro, poiché ciascheduno voleva, secondo il comando della legge, perpetuare la discendenza del fratello defunto, Gesù stesso rispose: Sbagliate, perché non intendete le Scritture né la potenza di Dio ( Mt 22,29 ) … e soggiunse: Alla risurrezione infatti non prenderanno né marito né moglie, ma saranno come gli angeli di Dio in cielo ( Mt 22,30 ).
Saranno uguali agli angeli riguardo all'immortalità e felicità, non riguardo alla carne; come del resto neppure riguardo alla risurrezione, di cui gli angeli non necessitano, perché neppure possono morire.
Il Signore dunque negò che alla risurrezione vi siano nozze, non negò che vi siano donne …
Anzi confermò che vi saranno i due sessi dicendo: « Non prenderanno marito », che si riferisce alle donne, « né moglie », che si riferisce agli uomini.
Vi saranno dunque sia coloro che quaggiù prendono marito, sia coloro che quaggiù prendono moglie: ma lassù non lo faranno.
Secondo l'esposizione vera e chiara della sacra Scrittura ( 1 Cor 15,44 ), i corpi terreni e visibili, che ora vengono detti carnali, alla risurrezione dei santi e dei giusti saranno spirituali.
Ma non essendoci possibile avere esperienza di un corpo spirituale, non vedo come ci sia possibile figurarcelo o concepirlo.
Certamente non vi sarà corruzione, e perciò questi corpi spirituali non avranno bisogno del cibo corruttibile di cui necessitano ora.
Tuttavia non saranno incapaci di prenderlo e mangiarlo realmente: ne avranno la possibilità, ma non la necessità.
Altrimenti, neanche il Signore dopo la risurrezione avrebbe preso cibo, dandoci così un'immagine di quello stato; per cui l'Apostolo dice: Se i morti non risorgono, non è risorto neppure Cristo ( 1 Cor 15,16 ).
Essendo poi apparso con tutte le membra e avendole usate, mostrò pure il posto delle ferite ( Gv 20,24-27; Lc 24,15-43; Mc 16,12-14 ).
Ho sempre creduto che si tratti di cicatrici, non di vere ferite, conservate dal Signore non già per necessità, ma per sua volontà.
E la felicità di attuare questa sua volontà, la dimostrò soprattutto e quando apparve sotto altre sembianze e quando apparve com'era realmente, a porte chiuse, nella casa in cui si trovavano i discepoli ( Lc 24,13-43; Gv 20,15; Mc 16,12 ).
Agostino, Le Lettere, I, 95,7 ( a Paolino e Terasia )
Alcuni asseriscono che, se alla risurrezione del corpo le membra appartengono alla stessa corporeità, devono necessariamente mantenere le loro attività e le loro azioni.
Oppure, se consta che i compiti delle membra cessano, essi eliminano anche la corporeità, alla cui permanenza non si può credere una volta eliminate le membra, le quali a loro volta non possono permanere senza i loro compiti.
A che servirebbe, dicono, questa caverna della bocca, la schiera dei denti, la botola della gola, il magazzino dello stomaco, la voragine del ventre, e il contorto sviluppo degli intestini, quando bere e mangiare non avranno più luogo?
A che scopo queste membra dovrebbero assumere, triturare, inghiottire, digerire, espellere?
E a che scopo, le mani, i piedi e le altre membra-operaie quando non vi sarà più da provvedersi il cibo?
E a che scopo i reni, e gli organi genitali dei due sessi?
E infine, a che scopo l'intero corpo, che nulla farà? …
I compiti delle membra soddisferanno alle necessità di questa vita fino a quando essa verrà trasferita dal tempo nell'eternità, fino a quando questo corpo animale diventerà spirituale, quando cioè questo corpo mortale si rivestirà di immortalità, questo corpo corruttibile si rivestirà di incorruttibilità ( 1 Cor 15,53 ).
Allora quando la vita sarà liberata da queste necessità, anche le membra verranno liberate dai loro compiti, ma non per questo non saranno necessarie.
Infatti, anche esonerate dai loro servizi, resteranno per il giudizio, affinché ciascuno riceva ciò che ha meritato per quanto fece col corpo ( 2 Cor 5,10 ).
Il tribunale di Dio, dunque, esige che l'uomo sia completo; e non è completo senza le membra, della cui sostanza, e non dei cui uffici, egli consta.
Se poi la morte è tolta di mezzo, il cibo non è più il mezzo per mantenere la vita, né la sessualità affatica più le membra.
L'uomo non resta con ciò meno uomo, né si avrà una menomazione della natura umana, perché noi, in base a un volere eterno, brameremo meno cose; come i cristiani già da quaggiù avranno imparato a non bramare.
Tertulliano, La risurrezione della carne, 60-61
Si vuole sostenere che se la stessa e identica sostanza umana è richiamata in vita con la sua forma, il suo aspetto e la sua qualità, lo è anche con le altre sue caratteristiche: così i ciechi e gli zoppi, i paralitici e tutti coloro che sono morti con qualche deformità, tali torneranno alla vita …
Ma che cosa è credere alla risurrezione, se non credere a un ritorno all'integrità?
Se la carne verrà sanata dalla dissoluzione, tanto più verrà curata dai suoi difetti.
Il più include il meno.
L'amputazione di un membro o la sua astenia non sono la morte di quel membro?
Se con la risurrezione viene rescissa la morte completa, perché non quella parziale?
Se veniamo trasformati nella gloria, quanto più nell'incolumità!
Il difetto è accidentale al corpo, l'integrità gli è propria: con questa nasciamo.
Anche se il difetto ha origine nel seno materno, è tuttavia una sofferenza dell'uomo.
Come la vita viene donata da Dio, così viene ridonata.
Quale la riceviamo una volta, tale la riceviamo la seconda.
Veniamo restituiti alla natura, non ai suoi guasti.
Riviviamo quali siamo nati, non come siamo stati lesionati …
Perciò neanche in seguito non si dovranno temere più danni al corpo.
L'integrità conservata o restituita non potrà perder più nulla, dal momento in cui le sarà reso ciò che avrà perduto.
Se tu obietti: si dice che la carne risorgerà identica: sarà dunque soggetta alle stesse sofferenze.
Ma allora tu difendi temerariamente la natura contro il suo Signore, sostieni empiamente la legge contro la grazia, come se al Signore Iddio non fosse lecito cambiare la natura e renderla integra contro la legge.
Ma allora perché leggiamo: Ciò che è impossibile agli uomini è possibile a Dio ( Mt 19,26 )?
Ti prego: se doni la libertà a un tuo schiavo, avrà certo il corpo e l'anima che prima erano soggetti ai flagelli, ai ceppi e al marchio di fuoco.
Sarà dunque necessario che soffra ancora tutto ciò? Non lo credo; al contrario: sarà onorato dal nitore della veste bianca, dalla distinzione dell'anello d'oro, dal nome del suo patrono, dall'appartenenza alla gente di costui e dalla partecipazione alla sua mensa.
Riguardo ai bambini che risorgeranno, alcuni sollevano questa questione: donde verrà ad essi la misura del corpo, che vediamo loro mancare quando muoiono in tenera età?
Evidentemente non possiamo negare che risuscitino questi esseri che furono non solo generati, ma anche rigenerati.
Domandano inoltre quale sarà la loro statura, ammesso che siano tutti uguali.
Perché, se tutti dovranno avere l'altezza e la grossezza di quelli fra loro che in vita furono i più alti e i più robusti, e se ciascuno riceverà ciò che ebbe quaggiù, donde verrà ciò che sarà aggiunto a quelli che non ebbero tale statura? …
A queste obiezioni degli avversari intendo rispondere, se la misericordia di Dio soccorre i miei sforzi.
Che gli aborti vissuti nel seno materno e ivi morti debbano risuscitare, non oso né affermarlo né negarlo; tuttavia non vedo perché li si debba escludere dalla risurrezione dei morti se non li escludo dal numero dei morti.
Infatti: o non tutti i morti risorgono, allora vi saranno alcune anime umane che resteranno per sempre senza corpo, corpo che pur ebbero, ma solo nel seno della madre; oppure, se tutte le anime umane risorgendo avranno il loro corpo, ovunque l'abbiano avuto in vita e deposto in morte, non trovo perché si debba dire che saranno esclusi dalla risurrezione dei morti coloro che morirono anche nel seno della madre …
Riguardo ai bambini, diremo solo che non risorgeranno col corpo esile e piccolo con cui sono morti; ma, in un istante, per un intervento mirabile di Dio, avranno un corpo come sarebbe cresciuto loro quaggiù a poco a poco.
Nella dichiarazione del Signore: Un capello del vostro capo non andrà perduto … ( Lc 21,18 ) si afferma che non mancherà ciò che vi era, ma non si nega che verrà aggiunto ciò che mancava.
Al bambino morto mancava la misura perfetta del suo corpo; infatti, anche al bambino perfetto manca certo la grandezza perfetta del corpo, cioè la misura somma, raggiunta la quale il corpo non può più crescere.
Questa misura perfetta l'hanno tutti quando vengono concepiti e nascono: ma l'hanno allo stato potenziale, come « ragione », non come dimensione attuale.
Le stesse membra, del resto, sono tutte già celate nel seme, anche se ai neonati ne mancano ancora alcune, come i denti, eccetera.
In questa « ragione », innata alla materia di ogni corpo, sembra, in un certo senso, già incominciato per così dire quello che ancora non esiste, o, meglio, quello che è celato, ma che a suo tempo sarà, o meglio si manifesterà.
In essa, il bambino è già alto o basso, se sarà un giorno alto o basso.
E, proprio tenendo conto di questa « ragione », non temiamo il minimo pregiudizio corporale alla risurrezione del corpo.
Poiché, anche se tutti risusciteranno uguali sicché raggiungeranno una statura gigantesca, onde i giganti non abbiano nulla da perdere della loro statura, il che andrebbe contro la parola di Cristo che nessun capello del capo andrà perduto, come potrà mancare, al Creatore, che ha creato tutto dal nulla, di che aggiungere ciò ch'egli, artefice mirabile, stima di dover aggiungere?
Agostino, La città di Dio, 22,12-13
Il cristiano non deve in nessun modo dubitare che risorgerà la carne di tutti gli uomini che sono nati o nasceranno e che sono morti o moriranno.
Ci si presenta perciò anzitutto il problema degli aborti, che certo sono nati nel seno materno, ma non sono giunti al punto di poter rinascere [ nel battesimo ].
Se asseriamo che risorgeranno, lo si può facilmente ammettere per quelli che già erano formati; ma per gli aborti ancora informi non si penserebbe più facilmente che vadano perduti come il seme che non è giunto a concepire?
Ma chi - anche se non lo osa affermare - oserebbe negare che la risurrezione non possa aggiungere anche ciò che mancava alla forma corporea primitiva?
E, perciò, non mancherà la perfezione che sarebbe stata raggiunta nel tempo, come non vi saranno [ alla risurrezione ] i difetti corporei aggiuntisi nel tempo.
La natura non sarà privata di nessun elemento atto e conveniente che sarebbe venuto col passare dei giorni; e non sarà deturpata da ciò che di contrario e difettoso sarebbe subentrato col passare dei giorni: verrà reso integro ciò che ancora non lo era e verrà restaurato [ alla risurrezione ] ciò che era stato viziato.
Riguardo a ciò, è possibile ai dotti disputare sottilissimamente - ma non so se si potrà trovare la soluzione - quando l'uomo cominci a vivere nell'utero; cioè, se vi sia una particolare vita nascosta che ancora non si rivela con il movimento.
A me sembra un'impudenza estrema asserire che non siano vissuti i feti i quali vengono estratti dall'utero materno perché non uccidano la madre restando ivi morti.
Ma da quando l'uomo comincia a vivere, dallo stesso istante può già morire.
E non posso vedere perché debba venire escluso dalla risurrezione un uomo morto, ovunque la sua morte si sia verificata.
E non si potrà negare che risorgano un giorno anche i mostri che sono nati e sono vissuti, per quanto la loro morte sia stata precoce; e bisogna ammettere inoltre che risorgeranno non nel loro stato, ma che la loro natura verrà corretta e riparata.
Non sia mai che l'uomo a doppie membra [ fratelli siamesi ], nato poco tempo fa in Oriente, di cui riferiscono fratelli degnissimi di fede e su cui ha scritto il presbitero Girolamo di santa memoria, non sia mai, dico, che pensiamo debba un giorno risorgere come un doppio uomo, e non piuttosto come due uomini, che ci sarebbero stati se fossero nati gemelli.
Parimenti tutti i nati che, o per aver qualche membro in più oppure in meno, o per qualche altra enorme deformità vengono detti mostri, costoro alla risurrezione saranno ricondotti alla normale forma umana onde ogni anima riceva il proprio corpo.
Nessuno sarà unito a un altro anche se nato così, ma ciascuno avrà distintamente e separatamente quelle membra che sono necessarie all'integrità del corpo umano.
Agostino, Manualetto, 23,84-87
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