Summa Teologica - II-II

Indice

La speranza

( II-II. qq. 17-22 )

Introduzione ( 1 – omissis )

I La Speranza nelle opere dell'Aquinate.

2 - É stato detto e ripetuto che la speranza è la cenerentola delle virtù teologali.

Basta prendere in mano un manuale di teologia morale per rendersene conto: il trattato che la riguarda viene svolto in poche pagine.

- Potrebbe nascere il sospetto che questa situazione sia dovuta alle malefatte dei manualisti moderni, come in altri casi.

Ma un'occhiata alla Somma ci rassicura in proposito: la speranza era già trattata in modo piuttosto sbrigativo anche ai tempi dell'Aquinate.

S. Agostino stesso nel suo Enchiridion de Fide, Spe et Caritate, che nell'edizione dei Maurini abbraccia 122 capitoli, dedica alla nostra virtù i soli brevissimi cc. 114 e 115: una paginetta.

Pietro Lombardo nelle Sentenze le aveva dedicato una sola distinzione ( cfr. 3 Sent., d. 26 ), con cinque brevi capitoli.

I maestri nei loro commenti non avevano incontrato problemi particolari da discutere; e quindi tutta la loro fatica si era ridotta a raccogliere sul tema le voci della tradizione.

Stando alla cronologia delle sue opere, si direbbe che S. Tommaso verso la fine della vita abbia sentito rimorso di questo trattamento inflitto alla speranza; poiché nel Compendium Theologiae, dedicato a Fra Reginaldo e lasciato incompiuto come la Somma Teologica, si era proposto di incentrare su questa virtù tutta la seconda parte dell'opera.

Essa però rimase in tronco all'inizio del cap. 10.

Tuttavia in questi primi nove capitoli riscontriamo tale ricchezza di considerazioni sul nostro tema, che si stenta a trovare nel piccolo trattato dell'opera principale.

Ma purtroppo il Compendium Theologiae tra gli stessi tornisti, in genere, subisce la stessa sorte toccata per il passato alla speranza.

Vedremo in seguito come, prendendo ispirazione da quest'opera, si possano ampliare i temi della speranza.

3 - Altro testo quasi dimenticato sulla speranza è il capitolo 153 del 3 Cont. Gent., nel quale S. Tommaso spiega come questa virtù derivi dalla grazia.

« Mediante la grazia l'uomo viene a concepire un tale amore verso Dio, secondo l'affetto della carità, da essere assicurato mediante la fede che egli gode di una predilezione da parte di Dio …

Segue perciò dal dono della grazia che l'uomo abbia speranza in Dio.

- E da ciò risulta che, come la speranza prepara al vero amore di Dio, così viceversa dalla carità l'uomo viene confermato nella speranza ».

Il brano, bisogna confessarlo, non è dei più facili; perché in tutto il contesto il Dottore Angelico cerca di mantenere il concetto ristretto di grazia gratum faciens, applicandolo rigidamente alla sola carità ( vedi sopra vol. XIII, Introd. ).

E allora non si capisce bene come la speranza possa radicalmente derivare dalla grazia.

Non manca tuttavia l'argomento fondamentale in proposito: « Affinché uno si orienti verso un dato fine, è necessario che lo concepisca e lo senta come possibile a conseguirsi: e tale è il sentimento della speranza.

Ora, essendo l'uomo indirizzato all'ultimo fine della beatitudine [ solo ] mediante la grazia, è necessario che con la grazia venga impressa nella volontà umana la speranza di raggiungere la beatitudine ».

Nella Somma Teologica S. Tommaso presuppone tutto questo; ma se si vuole dare al trattato una sostanziale completezza, è necessario esplicitare certi presupposti.

L' indole apologetica della Summa Contra Gentiles impediva di elaborare dei veri trattati sulle varie virtù.

Perciò per trovare un primo abbozzo delle questioni che ci interessano nel presente volume dobbiamo risalire al Commento alle Sentenze.

Il parallelismo non è proprio perfetto, come avremo modo di sottolineare nelle note al testo della Somma; però la coincidenza di troppi dati ci assicurano che l'Autore si è servito abbondantemente dell'opera giovanile: certo molto più di quanto non abbia fatto in altri trattati.

Il tema della speranza non è estraneo neppure alle quaestiones disputatae; ma ci si limita a pochi accenni; e quando si affronta direttamente, come nel De Spe, si restringe l'interesse a pochi problemi basilari: in tutto quattro articoli.

Occupa invece un posto più importante nelle opere esegetiche, specialmente nel commento alle epistole di S. Paolo e al Libro dei Salmi.

Si tratta però di cenni sparsi, che è difficile raccogliere e organizzare.

- Gli studiosi dell'Aquinate devono per questo un tributo di riconoscenza al P. S. Ramirez, che ha avuto il merito, oltre tutto, di collezionare i testi più importanti, ordinariamente trascurati nelle stesse monografie moderne ( cfr. La Esencia de la Esperanza Cristiana, Salamanca, 1963, indices, p. 342 ).

I Presupposti e integrazioni successive.

4 - Ma nella Somma Teologica il pensiero di S. Tommaso sulla speranza non si esaurisce nel piccolo trattato che ne porta il titolo.

Preoccupato della sintesi generale della dottrina teologica, l'Aquinate, per evitare infinite ripetizioni, ha dovuto ridursi all'essenziale nello svolgere i singoli argomenti, presupponendo o rimandando il resto al seguito dell'opera.

Per comodità dei nostri lettori ricorderemo che il De Spe presuppone specialmente il trattato sulle passioni, e in particolare la q. 40 della I-II.

In essa si parla espressamente della passione della speranza, che non è una virtù neppure quando questo moto psicologico si produce nelle nostre facoltà superiori.

Molti autori moderni credono di poter passar sopra le considerazioni che l'Aquinate fa in proposito, per restringere la virtù della speranza al solo campo teologico; e parlano con la massima disinvoltura di una virtù umana della speranza.

E questo un modo come un altro di confondere le idee; perché rimane sempre vero che il senso di attesa fiduciosa verso ogni bene inferiore a Dio, perseguito indipendentemente dal suo aiuto, non è moralmente nè buono, nè cattivo: è un moto affettivo indifferente come ogni altra passione.

Se poi esso è motivato da valori morali superiori, appartiene alle varie virtù secondo l'oggetto di cui si tratta.

Tra queste virtù morali ci sono anche la magnanimità e la fiducia, che presentano un'arduità speciale nel bene perseguito; ma è sempre un abuso attribuire loro il nome di speranza.

Ma se il moto psicologico della speranza interessa tutte le virtù, interessa principalmente la virtù teologale omonima, la quale si esaurisce in un moto del genere, che però ha per oggetto Dio stesso.

La soprannaturalità ditale oggetto ci mette in condizione di capire che lo stesso moto psicologico di chi lo persegue deve essere potenziato da un principio di ordine superiore: si prova così l'esigenza della divina grazia.

Del resto è questa sostanzialmente la condizione di tutte le vere virtù: « Virtutes sunt quaedam derivationes gratiae » ( III, q. 7, a. 2 ).

5 - Il trattato sulla grazia è quindi il presupposto immediato della speranza ( vedi I-II, qq. 109-114 ).

Forse il Dottore Angelico avrebbe fatto meglio a insistere di più su questa dipendenza, perché molti teologi successivi hanno così poco afferrato questo legame, da non riuscire a comprendere il suo pensiero a proposito dell'oggetto formale, ossia del motivo fondamentale della speranza, che è l'onnipotenza di Dio: « Il sommo bene, che è la beatitudine eterna, l'uomo non può conseguirla che mediante l'aiuto di Dio, espresso in quelle parole di S. Paolo: "Gratia Dei vita aeterna" ( Rm 6,23 ) ; perciò la speranza di raggiungere la vita eterna ha due oggetti: la vita eterna stessa, che uno spera [ causa finale ], e l'aiuto di Dio dal quale Io spera [ causa efficiente ] …

Quindi l'oggetto formale della speranza è l'aiuto offerto dalla potenza e dalla pietà di Dio » ( De Spe, a. 1 ).

« Il datore di Dio », scrive il P. S. Ramirez, « è Dio medesimo.

Perché nessuno dà ciò che non ha, e solo Dio possiede la divinità.

E solo Dio è Dio, e non può esserlo nessun altro.

Speriamo, quindi, da Dio solo il possesso di Dio » ( op. cit., p. 97 ).

Ci sono dei teologi invece che non sanno attenersi rigorosamente alla formalità di ogni singola cosa e dei singoli concetti di cui trattano.

Ma l'Aquinate era troppo buon ragionatore per dimenticare che la grazia si offre a noi specificamente come aiuto, e l'aiuto richiama il concetto di potenza da parte di colui che l'offre.

É logico quindi che l'elargizione della grazia e della gloria, sulla quale si fonda la speranza, ci presenti la divinità sotto l'attributo dell'onnipotenza, capace di colmare ogni nostra miseria.

Che poi questo aiuto sia motivato dalla misericordia e dalla bontà divina non pregiudica l'aspetto formale immediato che esso richiama.

Ad ogni modo l'onnipotenza non va concepita come un'energia fisica o meccanica.

Il potere divino è il potere della causa prima che agisce per intelletto e volontà: potere della bontà infinita che tende a comunicarsi, e a vincere la miseria - o impotenza - delle sue creature.

6 - Ma torniamo al nostro argomento: dicevamo che il De Spe presuppone i trattati delle passioni e della grazia.

Indirettamente presuppone addirittura il trattato De Deo Uno, dal quale veniamo a conoscere gli attributi divini.

I legami con il De beatitudine ( I-II, qq. 1-4 ) e il De Fide ( qq. 1-16 ) sono così stretti da non avere bisogno di essere ricordati.

La stessa osservazione vale per il De Cantate; ma con questa entriamo a parlare delle integrazioni successive, che l'Autore contava di apportare al suo breve trattato sulla speranza.

Giacché abbiamo accennato alla carità, vogliamo sottolineare il fatto che spesso l'integrazione avviene in pericopi che sembrano del tutto marginali.

Tra gli effetti della speranza, p. es., di cui l'Autore non ha parlato in modo esplicito, va posta la gioia.

La gioia spirituale va attribuita principalmente alla carità, e quindi egli ne parlerà trattando di questa virtù, mostrando le differenze tra la gioia prodotta dall'amore di Dio e quella causata dalla speranza ( cfr. II-II, q. 28, a. 1, ad 3 ).

Talora queste integrazioni non sono esplicite, ma restano implicite, come nel caso della preghiera di domanda, che nella Somma è parte integrante della virtù di religione ( II-II, q. 83 ), mentre nel Compendinm Theol. ( II, cc. 3s. ) viene considerata come esercizio abituale della speranza, senza che per questo sia lecito supporre un cambiamento nel pensiero dell'Autore, il quale era capace di vedere le cose in tutta la loro complessità, e quindi nei loro vari aspetti.

Nella Terza Parte bisognerà ricercare specialmente gli spunti cristologici, e non semplicemente per sapere se nel Cristo viatore ci fosse o meno formalmente questa virtù ( cfr. III, q. 7, a. 4 ), come aveva già fatto Pietro Lombardo.

Anche l'escatologia presenta elementi importantissimi per la speranza; ma in proposito dobbiamo contentarci della congerie di passi tomistici, che costituisce il Supplementum.

L'Autore era giunto con l'Opera alla q. 90 della III Parte, quando fu sorpreso dalla morte.

7 - Se poi alla speranza come tale vogliamo aggiungere i temi annessi del dono corrispondente e dei vizi contrari, allora il testo della Somma offre altri spunti e luoghi paralleli.

Per quanto riguarda il dono del timore l'Autore stesso ci ricorderà che ha già parlato della passione del timore nella I-II, qq. 41- 44.

Ne parlerà ancora in quanto questa passione si trasforma in vizio contrario alla virtù della fortezza ( II-II, q. 12 ).

Del dono invece si parlerà a proposito di Cristo, nel quale il teologo non può non riscontrare la pienezza dei doni ( III, q. 7, a. 6 ).

A prima vista può meravigliare il fatto che S. Tommaso contrapponga la presunzione a due virtù diverse, cioè alla speranza e alla magnanimità ( II-II, q. 130 ).

Ma ciò va tenuto presente per meglio precisare il suo pensiero a proposito della speranza; e mettere sull'avviso quei teologi che cedono alla tentazione di parlare di una virtù umana e naturale di speranza.

Questa fiducia di ordine naturale, secondo l'Aquinate, va ricollegata più alla magnanimità che alla speranza ( cfr. II-II, q. 129, a. 6 ).

III Per un ampliamento dei temi della Speranza.

8 - In questi ultimi anni un grande conoscitore di S. Tommaso, il P. Santiago Ramirez, O. P., ha tracciato con mano maestra le linee essenziali di un'organica monografia tomistica sulla speranza, che noi abbiamo già citato.

E quanto di meglio possiamo trovare sull'argomento tra gli autori moderni.

Peccato che il venerando maestro si sia fermato all'essenziale, lasciando da parte persino il timor di Dio, così intimamente connesso con questa virtù.

Discutendo però in profondità i problemi fondamentali, egli ha accennato a non pochi sviluppi impliciti nelle concise formule del Dottore Angelico.

Tra l'altro merita particolare attenzione quanto egli dice a proposito della speranza sociale o comunitaria ( vedi II-II, q. 17, a. 3 ), che certi studiosi credono una scoperta dei nostri giorni, e che invece trova i suoi solidi fondamenti nella dottrina di S. Tommaso ( RAMIREZ, op. cit., pp. 166-189 ).

Ma noi crediamo che per un ampliamento organico dei temi della speranza secondo il pensiero tomistico si debba riprendere la seconda parte del Compendium Theologiae, lasciata in tronco dal Maestro a causa della morte.

Egli vede qui la speranza nelle prospettive immense della preghiera insegnataci da Cristo: « Poiché per la nostra salvezza oltre la fede si richiede la speranza, era opportuno che il nostro Salvatore, come è autore e consumatore della nostra fede con la rivelazione dei misteri celesti; così ci inducesse alla speranza viva lasciandoci la forma della nostra preghiera, mediante la quale la nostra speranza si aderge verso Dio soprattutto per il fatto che Dio stesso ci insegna quello che gli dobbiamo chiedere.

Infatti egli non ci indurrebbe a chiedere, se non avesse il proposito di esaudirci; e nessuno domanda a un altro se non quello che spera da lui, e chiede precisamente ciò che spera.

Perciò mentre egli ci insegna a chiedere a Dio, ci esorta a sperare in lui, e ci mostra quello che dobbiamo sperare da lui con I' indicarci quello che dobbiamo chiedere.

Cosicché esaminando le domande contenute nella preghiera del Signore, mostreremo tutto ciò che può rientrare nella speranza cristiana, cioè in chi dobbiamo riporre la nostra speranza, per quali motivi, e quello che da lui dobbiamo sperare ». ( Comp. Theol., I, c. 3 ).

9 - Sul primo di questi tre argomenti fondamentali è facile allargare il discorso ricordando che oltre a sperare in Dio, al di sotto e in dipendenza da lui, possiamo e dobbiamo sperare nel patrocinio dei santi, in modo particolare in quello della SS. Vergine ( cfr. II-II, q. 17, a. 4 ).

Il motivo di questa fiducia risiede nella dottrina del corpo mistico e della comunione dei santi, come ricorda esplicitamente S. Tommaso ( cfr. RAMIREZ, op. cit., p. 101 ).

Senza dimenticare l'efficacia che per tale unione di carità deriva alla preghiera, scaturita dalla speranza collettiva ( Comp. Theol., II, c. 5 ).

Tra i motivi della speranza si dovrebbero illustrare ampiamente i benefici ricevuti da Dio e specialmente l'incarnazione del Verbo e tutta l'opera della redenzione ( cfr. III, q. 1, a. 2 ).

Sarebbe stato certo interessante leggere nel Compendio di Teologia quello che l'Autore avrebbe detto a proposito della richiesta del pane quotidiano, in chiave di speranza.

Ma anche un teologo mediocre potrà sempre rilevare in proposito che il « Pane soprasostanziale» che secondo i Padri starebbe ad indicare la Santissima Eucarestia, è il « pegno della futura gloria »: «futurae gloriae nobis pignus datur » ( S. TOMMASO, Officium SS. Corporis Eucharistici ).

E quanto dire che, pur essendo tutti i sacramenti motivo secondario e pegno della nostra speranza, la SS. Eucarestia lo è per antonomasia ( cfr. III, q. 79, a. 2 ).

Finalmente, illustrando il terzo argomento messo in programma, cioè « quello che da Dio dobbiamo sperare » il Dottore Angelico avrebbe avuto modo non solo di parlarci ancora una volta della beatitudine eterna, lasciandoci come ha fatto nel meraviglioso cap. 9 la suprema testimonianza delle aspirazioni della sua grande anima; ma avrebbe indicato la complessità dei mezzi necessari al raggiungimento di quel fine trascendente.

Quasi tutte queste prospettive di sviluppo si trovano accennate nel ricordato libro del P. Ramirez, che pure vorrebbe limitarsi all' Essenza della Speranza Cristiana.

Ciò sta a dimostrare che basta rimeditare i testi del Dottore Angelico per vedere affiorare tutto l'immenso panorama della speranza cristiana.

IV La presunzione.

10 - Ampliando però i temi della speranza, bisognerebbe precisare meglio i peccati o vizi contrari della disperazione e della presunzione.

Qui invece l'Aquinate e il suo ricordato discepolo si limitano proprio all'essenziale.

Oggi specialmente si avverte la necessità di una migliore qualificazione morale di tutte le sfumature di questi sentimenti, che sono purtroppo assai comuni in mezzo ad una società impazzita per la perdita delle prospettive soprannaturali, e per la pretesa di crearsi cori le sue tecniche più raffinate impossibili surrogati.

Negli stessi credenti le troppe comodità della vita tendono a produrre sentimenti di indifferenza e di insofferenza: indifferenza e insensibilità per i beni eterni, insofferenza per le amare delusioni che la vita riserva a chi non ha la visione costante e sicura di un fine ultraterreno da raggiungere.

D'altra parte la vita facile quotidiana abitua alla faciloneria anche in campo religioso e morale.

Di qui la presunzione di salvarsi senza troppi incomodi, o di ottenere il perdono dei peccati, senza il vero proposito di sincera conversione.

E per tenere in equilibrio le anime sulle vie del bene non sarà mai abbastanza raccomandata l'integrazione dei temi della speranza con quelli del timore.

Il Dottore Angelico è maestro autorevole anche in questo: « Timor filialis et spes sibi invicem coherent et se invicem perficiunt » ( q. 19, a. 9, ad 1 ).

11 - Mentre nelle anime che vivono ai margini della religione troviamo oggi un rigurgito di sentimenti in cui prevale il senso della disperazione, in quelle impegnate formalmente per il trionfo del regno di Dio predomina spesso il sentimento della presunzione.

Nonostante i richiami l'eresia dell'azione continua a imperversare più o meno in tutti i continenti.

Ebbene, alla sua radice, cioè alla base del cosiddetto americanismo, come notava Leone XIII, che si sentì in dovere di condannarlo, c'è in sostanza codesto atteggiamento spirituale ( cfr. DENZ .-S., 3342-3346 ).

Perciò non sarà inutile ricordare l'insegnamento di S. Tommaso in proposito; tanto più che si è persino abusato del suo nome per accrescere la confusione.

- S. Caterina da Siena, con altri maestri di ascetismo trova nella presunzione uno degli ostacoli principali al progresso spirituale delle anime, e l'origine frequente di tante misere defezioni ( Dial., cap. 49 ).

Questo vizio si avvantaggia della sua stessa apparenza di virtù, poiché non si oppone alla speranza per difetto, ma per eccesso: cosicché sembra una speranza a tutta prova ( cfr. q. 21, a. 3 ).

Inoltre ha avuto già per il passato l'incoraggiamento delle grandi eresie del pelagianesimo da un lato e del protestantesimo dall'altro.

La prima considerava alla portata dell'uomo il conseguimento della vita eterna, facendo a meno dell'aiuto onnipotente di Dio.

La seconda ha ceduto alla tentazione del fatalismo, che nega la saggezza e la complessità del piano di Dio, il quale non può prescindere dalla santità e dalla giustizia, affidandosi ciecamente a un preteso capriccio della divinità in proprio favore.

Certi errori infettano l'ambiente in cui viviamo, e per passare dalla sfera dell'intelligenza a quella dell'azione, non hanno bisogno di scardinare l'abito della fede: certi motivi possono bastare « per modum actus » a giustificare atteggiamenti ingiustificabili.

Il Dottore Angelico riparlerà della presunzione a proposito delle virtù morali.

Atti prima ancora di essere un peccato contro la speranza, la presunzione è un atto contrario alla virtù della magnanimità, la quale consiste nel guidare con saggezza e moderazione la tendenza a gettarsi nelle imprese difficili ( cfr. II-II, q. 130 ).

E una delle sottospecie della superbia, che si contrappone al settimo grado dell'umiltà ( cfr. II-II, q. 164, a. 2, ad 4 ).

Nel descrivere codesto vizio non trova parole più efficaci di quelle di Seneca: ( La magnanimità, se s'innalza oltre i suoi limiti, renderà l'uomo minaccioso, borioso, torvo, inquieto, corrivo a qualunque eccesso di parole e di fatti, prescindendo da ogni senso di onestà » ( II-II, q. 130, a. 2, ad 3 ).

Accidentalmente soltanto questo tipo di presunzione è in contrasto con la speranza teologale: quando ciò che si presume non può essere ottenuto che mediante l'aiuto di Dio.

Ciò può avvenire anche nell'ambito dei beni umani e temporali.

Anzi il credente vede tutte le cose sotto l'immediata dipendenza da Dio.

E quindi come è portato dalla virtù a estendere indefinitivamente i confini della sua speranza ( Comp. Theol., II, c. 1 ), così può essere trascinato dal peccato a dilatare in ogni senso la sua presunzione.

Ma come nei beni naturali la speranza teologale non trova il suo oggetto proprio, così la presunzione non raggiunge in rapporto ad essi la sua malizia di peccato contro lo Spirito Santo: « Non una presunzione qualsiasi è peccato contro lo Spirito Santo, ma quella che disprezza la divina giustizia, per una eccessiva confidenza nella divina misericordia.

E tale presunzione, a ragione della sua materia, in quanto cioè disprezza qualche cosa di divino, si contrappone alla carità [ e alla speranza ] o piuttosto al dono del timore, che ha per oggetto il rispetto verso Dio » ( II-II, q. 110, a. 2, ad 1 ).

12 - La virtù teologale della speranza ci porta ad attendere, con piena confidenza nell'onnipotenza misericordiosa di Dio, la salvezza eterna e i mezzi necessari per conseguirla.

Quindi il vizio contrario della presunzione si può definire: l'aspettativa temeraria e disordinata dei beni soprannaturali, con disprezzo della divina giustizia.

Per l'esattezza dobbiamo determinare l'oggetto.

É presunzione:

1) aspirare alla gloria eterna come dovuta ai propri me riti naturali o alla predestinazione « praeter praevisa merita»

2) aspettare la grazia e la conversione come incondizionati privilegi personali concessi da Dio, capricciosamente, o in vista del bene compiuto, senza attendere con timore e tremore alla propria salvezza;

3) dilazionare la propria conversione nella temeraria prospettiva di una resipiscenza in extremis;

4) pretendere da Dio eccezionali privilegi, specialmente di ordine soprannaturale.

Implicitamente S. Tommaso si pone questa domanda: è atto di presunzione peccare con la speranza del perdono?

La sua risposta, per quanto chiarissima, ha offerto l'occasione di confondere le idee al riguardo: Peccare col proposito di perseverare ( a lungo ) nel peccato per la speranza del perdono è atto di presunzione.

E questo non diminuisce, ma accresce la colpa.

Invece peccare con la speranza di essere poi perdonati, ma col proposito di astenersi [ per sempre ] dal peccato e di espiano, non è un atto di presunzione; e questo diminuisce la colpa: poiché uno mostra così una volontà meno ostinata nel male » ( q. 21, a. 2, ad 3 ).

Il Card. Gaetano commenta: « Nota qui l'errore volgare di coloro i quali pensano che chi pecca col pretesto di poi confessarsi e di pentirsi commetta un peccato più grave.

Qui invece si dice che ciò diminuisce e non aggrava il peccato: è infatti indizio di una volontà transitoria e non pertinace nel male » ( in II. a. ).

É chiaro che l'ipotesi del maestro non è esattamente quella del suo commentatore; il quale ha anche il torto di prospettare una soluzione unica, mentre l'Aquinate sente il dovere di distinguere.

Noi ci siamo permessi di aggiungere nel testo di S. Tommaso due incisi in parentesi per meglio chiarire la distinzione, ispirandoci però alle sue parole « Contare sulla misericordia di Dio col proposito di fare penitenza di risorgere dal peccato non costituisce un peccato di presunzione, mi è piuttosto un' attenuante; contare però sulla misericordia di Dio senza il proposito di fare penitenza, è un atto di presunzione, ed è disprezzo della divina giustizia » ( Sent., d. 22, q. 1, a. 3, ad 5 ).

A torto quindi S. Alfonso M. De' Liguori contestava al Busembaun il diritto dì appellarsi a questo testo di S. Tommaso, per affermare che pecca gravemente « chi vuole perseverare nel peccato fino alla morte. sperando di pentirsene prima di morire » ( Theologia Moralis, 2, tr. 2 ).

È più giusta invece l'interpretazione del P. Daniele Concina: « Peccano coloro che persistono nel peccato illudendosi con la speranza del perdono; ma il proposito di astenersi poi dal peccato, e di farne penitenza ne diminuisce molto la malizia; e propriamente non è peccato di presunzione.

Perciò non è così frequente il caso che i peccatori si rendano rei di un peccato di presunzione presa nel senso rigorosamente teologale.

Poiché sono rari coloro che confidano di conseguire la beatitudine senza nessun merito e senza pentimento; o coloro che propongono di perseverare nel peccato con la speranza del perdono, e senza il proposito di detestarlo.

Invece comunemente i peccatori si abbandonano ai vizi, e vi si immergono come i porci nel fango, rimandando la penitenza alla vecchiaia.

Allora di giorno in giorno rinnovano il proposito di pentirsi e di conseguire con la penitenza la remissione dei peccati.

Tuttavia non oserei negare che molti di essi non siano rei di vera presunzione, e di subire il contagio dell'eresia » ( Theol. Christiana, t. I, in Decal., Roma, 1749, p. 274 ).

13 - Cause e rimedi.

Vediamo brevemente quali siano le cause della presunzione:

a) La prima è certamente la superbia; e proprio da questa sua radice si comprende tutta la turpitudine di questo peccato: « La presunzione è detta nequissima dalla S. Scrittura per la superbia da cui derìva » ( II-II, q. 133, a. 1 ).

Quest'ultima è nata fatta per causare nell'intelletto di chi spera una falsa idea dell'aiuto divino e delle difficoltà da superare.

- Radice poi della presunzione volgare è la vanagloria.

b) La seconda causa è l'ignoranza, « poiché dalla stima eccessiva e superba che uno ha di se stesso trascura di considerare, sia l'ordine della divina, misericordia o potenza nel conferire agli uomini la salvezza …; sia i propri peccati, che provocano l'ira di Dio ed esigono una punizione: dal che deriva che il presuntuoso si presenti al Signore come se non avesse fatto niente dì male, e come se potesse esigere l'eterna mercede come a lui dovuta » ( RAMIREZ I. M., De Spei Chr. Fideique divinae mutua dependentia, Friburgo, 1940, p. 64 ).

Rientra nell'ignoranza anche l'eresia, che può pregiudicare la comprensione delle vie di Dio nell'umana salvezza.

- I quietisti, p. es., caddero nell'illusione di avere superato definitivamente con la grazia, la possibilità stessa di peccare ( DENZ.-S., 2261 ).

c) Può derivare la presunzione anche dalla malizia, nel senso che si arriva a una esagerazione del sentimento di fiducia verso Dio, in seguito alla ripetizione di molti peccati, di cui non si sente più il rimorso, e dei quali non si considera la gravità.

Non si può invece considerare causa della presunzione la disposizione di colui che al primo peccato concepisce il proposito di non pentirsene; perché una tale disposizione fa corpo con la presunzione medesima come parte integrante di essa.

d) Notiamo infine che la presunzione teologica si alimenta delle stesse cattive disposizioni provocate dalla presunzione volgare, che è una depravazione della magnanimità.

S. Tommaso stesso parlando di quest'ultimo vizio non sa fare a meno di accennare alla presunzione teologica, o teologale, contraria alla virtù della speranza ( cfr. II-II, q. 130 ).

Messe a nudo le radici del male, è facile indicarne i rimedi.

a) Il primo ed essenziale consiste nell'approfondire la virtù della speranza, ricorrendo con insistenza alla preghiera che ne è l'espressione.

b) Il secondo nasce dalla considerazione delle proprie colpe e dei propri difetti ( cfr. II-II, q. 82, a. 3 ).

c) Giova inoltre fomentare il santo timor di Dio, meditando sugli imperscrutabili giudizi divini e sulle opere della divina giustizia, cioè la punizione dei peccati.

Il ricordo dei novissimi quanto mai opportuno.

d) E poi evidente l'utilità che deriva dal considerare l'esperienza propria e altrui.

Essa ci dà la riprova che Dio, come dice la Scrittura ( Gc 4,6; 1 Pt 5,5 ) « resiste ai superbi, e dà la sua grazia agli umili ».

La presunzione di Pietro, seguita dal triplice rinnegamento è l'esempio classico cui fanno appello tutti i maestri di vita spirituale.

14 - All'esperienza dei singoli si può e si deve aggiungere l'esperienza collettiva dell'umanità.

L'Aquinate si compiace di ripetere che la presunzione dell'uomo fu uno dei motivi fondamentali del ritardo dell' incarnazione e della redenzione.

Era indispensabile che l'umanità si degradasse in tutte le aberrazioni del paganesimo, perché finalmente concepisse il desiderio del Redentore, e comprendesse l'abisso della propria miseria ( cfr. III, q. 1, a. 5; 4 Cont. Gent., c. 55 ).

In definitiva però il piano divino si attua, ed è un piano di infinita misericordia, come ci assicura la fede, il messaggio indefettibile della speranza cristiana.

- Partecipe ditale ottimismo il Dottore Angelico dirà in questo trattato: « La presunzione è peccato.

Però meno della disperazione: cioè nella misura in cui a Dio appartiene di più, per la sua infinita bontà, usare misericordia e perdonare, piuttosto che punire.

Infatti il perdono conviene a Dio per la sua intrinseca natura; mentre la punizione è dovuta ai nostri peccati » ( q. 21, a. 2 ).

P. Tito S. CENTI O. P.

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