Il Popolo Ebraico e le sue Sacre Scritture |
27. Si è soliti parlare, in una sola espressione, di « grandezza e miseria » della persona umana.
Nell'Antico Testamento non si incontrano mai questi due termini per caratterizzare la condizione umana, ma vi ricorrono due espressioni corrispondenti: nei primi tre capitoli della Genesi l'uomo e la donna sono, da una parte, « creati a immagine di Dio » ( Gen 1,27 ), ma, dall'altra, « cacciati dal giardino di Eden » ( Gen 3,24 ), per non essere stati docili alla parola di Dio.
Questi capitoli orientano la lettura di tutta la Bibbia.
Ciascuno è invitato qui a riconoscere i tratti essenziali della propria situazione e lo sfondo di tutta la storia della salvezza.
Creati a immagine di Dio: questa caratteristica, affermata molto prima della vocazione di Abramo e dell'elezione d'Israele, si applica agli uomini e alle donne di ogni tempo e di ogni luogo ( Gen 1,26-27 )64 attribuendo loro la più alta dignità.
È possibile che l'espressione tragga la sua origine dall'ideologia regale delle nazioni che circondavano Israele, in particolare l'Egitto, dove il faraone era considerato l'immagine vivente del dio, incaricata del mantenimento e del rinnovamento del cosmo.
Ma la Bibbia fa di questa metafora una categoria fondamentale per la definizione di ogni persona umana.
Le parole di Dio: « Facciamo l'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini su … » ( Gen 1,26 ), presentano gli esseri umani come creature di Dio il cui compito è quello di governare la terra che Dio ha creato e popolato.
In quanto immagini di Dio e agenti del creatore, gli esseri umani diventano destinatari della sua parola e sono chiamati ad essere a lui docili ( Gen 2,15-17 ).
Al tempo stesso si constata che le persone umane esistono come uomini e donne, e hanno il compito di servire la vita.
Nell'affermazione: « Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò » ( Gen 1,27 ), la differenziazione dei sessi viene messa in parallelismo con la somiglianza in rapporto a Dio.
Inoltre, la procreazione umana si trova in stretta connessione con il compito di governare la terra, come mostra la benedizione divina della prima coppia umana: « Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra e soggiogatela; dominate su … » ( Gen 1,28 ).
La somiglianza con Dio, l'associazione uomo-donna e il governo del mondo sono pertanto intimamente legati.
La stretta connessione tra il fatto di essere creato a immagine di Dio e quello di avere autorità sul mondo comporta parecchie conseguenze.
In primo luogo, l'applicazione universale di queste caratteristiche esclude ogni superiorità di un gruppo o di un individuo umano su un altro.
Tutte le persone umane sono a immagine di Dio e tutti hanno il compito di continuare l'opera ordinatrice del Creatore.
In secondo luogo, vengono prese delle disposizioni in vista della coesistenza armoniosa di tutti i viventi nella ricerca dei mezzi necessari alla loro sussistenza: Dio assegna agli uomini e alle bestie il loro cibo ( Gen 1,29-30 ).65
In terzo luogo, la vita delle persone umane viene dotata di un certo ritmo.
Oltre al ritmo del giorno e della notte, dei mesi lunari e degli anni solari ( Gen 1,14-18 ), Dio stabilisce un ritmo settimanale con il riposo il settimo giorno, fondamento del sabato ( Gen 2,1-3 ).
Rispettando il sabato ( Es 20,8-11 ), i padroni della terra rendono omaggio al loro Creatore.
28. La miseria umana trova la sua espressione biblica esemplare nella storia del primo peccato, nel giardino di Eden, e del conseguente castigo.
Il racconto di Gen 2,4b–3,24 completa quello di Gen 1,1–2,4a, mostrando come, in una creazione che era « buona »66 e, una volta completata con la creazione dell'uomo, perfino « molto buona » ( Gen 1,31 ), si sia introdotta la miseria.
Il racconto precisa il compito affidato all'uomo, « coltivare e custodire » il giardino di Eden ( Gen 2,25 ), e aggiunge il divieto di « mangiare dell'albero della conoscenza del bene e del male » ( Gen 2,16-17 ).
Questa norma implica che servire Dio e osservare i suoi comandamenti è il correlativo del potere di dominare la terra ( Gen 1,26.28 ).
L'uomo inizia col realizzare le intenzioni di Dio, attribuendo i nomi agli animali ( Gen 2,18-20 ), poi accogliendo la donna come dono di Dio ( Gen 2,23 ).
Nell'episodio della tentazione, invece, la coppia umana cessa di agire secondo gli ordini di Dio.
Mangiando del frutto dell'albero, la donna e l'uomo cedono alla tentazione di voler essere come Dio e di appropriarsi di una « conoscenza » che appartiene a Dio soltanto ( Gen 3,5-6 ).
La conseguenza è che cercano di evitare un confronto con Dio.
Ma il loro tentativo di nascondersi evidenzia la follia del peccato, perché esso li lascia nel luogo stesso in cui la voce di Dio li può raggiungere ( Gen 3,8 ).
La domanda di Dio che incolpa l'uomo: « Dove sei? », fa pensare che questi non si trova là dove dovrebbe essere: a disposizione di Dio e dedito al suo compito ( Gen 3,9 ).
L'uomo e la donna si accorgono di essere nudi ( Gen 3,7-10 ), il che vuol dire che hanno perso la fiducia reciproca e verso l'armonia della creazione.
Col suo verdetto Dio ridefinisce le condizioni di vita degli essere umani, non la relazione tra lui e loro ( Gen 3,17-19 ).
D'altra parte, l'uomo perde il suo compito particolare nel giardino di Eden, ma non quello di lavorare ( Gen 3,17-19.23 ).
Questo è ora orientato verso il « suolo » ( Gen 3,23; cf Gen 2,5 ).
In altri termini, Dio continua ad affidare una missione alla persona umana.
Per « sottomettere la terra e dominare » ( Gen 1,28), l'uomo deve lavorare ( Gen 3,23 ).
D'ora in poi, però, il « dolore » sarà compagno inseparabile della donna ( Gen 3,16 ) e dell'uomo ( Gen 3,17 ); la morte è il loro destino ( Gen 3,19 ).
La relazione tra l'uomo e la donna è deteriorata.
La parola « dolore » è associata alla gravidanza e al parto ( Gen 3,16 ) e, d'altra parte, alla fatica fisica e mentale causata dal lavoro ( Gen 3,17 ).67
Paradossalmente, in ciò che di per sé è fonte di gioia profonda, il parto e la procreazione, si introduce il dolore.
Il verdetto lega questo « dolore » alla loro esistenza sul « suolo », che patisce la maledizione per il loro peccato ( Gen 3,17-18 ).
Lo stesso è per la morte: la fine della vita umana è chiamata ritorno « al suolo », « alla terra », da dove l'uomo è stato tratto per adempiere il suo compito.68
In Gen 2–3 l'immortalità sembra essere legata all'esistenza nel giardino di Eden e condizionata al rispetto del divieto di mangiare dell'albero della « conoscenza ».
Una volta violato questo divieto, l'accesso all'albero della vita ( Gen 2,9 ) è precluso ( Gen 3,22 ).
In Sap 2,23-24, l'immortalità è associata alla somiglianza con Dio; « la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo »; viene così stabilito un legame tra Gen 1 e Gen 2–3.
Creata a immagine di Dio e incaricata di coltivare la terra, la coppia umana ha il grande onore di essere chiamata a completare l'azione creatrice di Dio prendendosi cura delle creature ( Sap 9,2-3 ).
Rifiutare di ascoltare la voce di Dio e preferire ad essa quella di una o l'altra creatura rientra nella libertà dell'essere umano; subire il dolore e la morte è la conseguenza di questa opzione presa dalle persone stesse.
La « miseria » è diventata un aspetto universale della condizione umana, ma si tratta di un aspetto secondario che non abolisce l'aspetto di « grandezza », voluto da Dio nel suo progetto creatore.
I capitoli seguenti della Genesi mostrano fino a che punto il genere umano può sprofondare nel peccato e nella miseria: « La terra era corrotta davanti a Dio e piena di violenza [ … ]
Ogni carne aveva pervertito la sua condotta sulla terra » ( Gen 6,11-12 ), così che Dio decretò il diluvio.
Ma almeno un uomo, Noè, con la sua famiglia, « camminava con Dio » ( Gen 6,9 ) e Dio lo scelse per essere all'origine di una nuova partenza dell'umanità.
Nella sua posterità, Dio sceglie Abramo, gli ordina di abbandonare il suo paese e gli promette di « fare grande il suo nome » ( Gen 12,2 ).
Il progetto di Dio, a partire da questo momento, si rivela universale, perché in Abramo « saranno benedette tutte le famiglie della terra » ( Gen 12,3 ).
L'Antico Testamento mostra poi come questo progetto ha attraversato i secoli, in un'alternanza di momenti di miseria e di grandezza.
Mai Dio si è rassegnato a lasciare il suo popolo nella miseria, rimettendolo sempre sulla strada della vera grandezza a vantaggio di tutta l'umanità.
A questi tratti fondamentali è opportuno aggiungere che l'Antico Testamento non misconosce gli aspetti deludenti dell'esistenza umana ( cf Qohelet ), né il lancinante problema della sofferenza degli innocenti ( cf soprattutto Giobbe ), né lo scandalo delle persecuzioni subite dai giusti ( cf la storia di Elia, di Geremia e degli ebrei perseguitati da Antioco ).
Ma in tutti questi casi, soprattutto nell'ultimo, lo scontro con la miseria, invece che porre un ostacolo alla grandezza umana, paradossalmente la risolleva.
29. L'antropologia del Nuovo Testamento si basa su quella dell'Antico.
Essa testimonia la grandezza della persona umana, creata a immagine di Dio ( Gen 1,26-27 ), e la sua miseria, provocata dall'innegabile realtà del peccato, che fa dell'uomo una caricatura di se stesso.
Nei vangeli la grandezza dell'essere umano emerge dalla sollecitudine di Dio per lui, sollecitudine più attenta di quella per gli uccelli del cielo o i fiori dei campi ( Mt 6,30 ); emerge d'altra parte dall'ideale che gli viene proposto: diventare misericordioso come lui ( Lc 6,36 ), perfetto come egli è perfetto ( Mt 5,45.48 ).
L'essere umano, infatti, è un essere spirituale, che « non vivrà di solo pane, ma di ogni parola che esce della bocca di Dio » ( Mt 4,4; Lc 4,4 ).
È infatti la fame della parola di Dio che attira le folle prima verso Giovanni Battista ( Mt 3,5-6 e par. ), poi verso Gesù.69
Le attira una percezione del divino.
Immagine di Dio, la persona umana è attirata da Dio.
Persino i pagani sono capaci di una grande fede.70
L'apostolo Paolo è quello che ha maggiormente approfondito la riflessione antropologica.
« Apostolo dei Gentili » ( Rm 11,13 ), egli ha compreso che tutte le persone umane sono chiamate da Dio a una gloria eccelsa ( 1 Ts 2,12 ), quella di diventare figli di Dio,71 amati da lui ( Rm 5,8 ), membri del corpo di Cristo ( 1 Cor 12,27 ), pieni di Spirito Santo ( 1 Cor 6,19 ).
Impossibile immaginare una dignità più alta.
Il tema della creazione delle persone umane a immagine di Dio è ripreso da Paolo in molti modi.
In 1 Cor 11,7 l'apostolo l'applica all'uomo, « immagine e gloria di Dio ».
Ma altrove la applica a Cristo, « che è immagine di Dio ».72
La vocazione delle persone umane chiamate da Dio è allora quella di diventare « simili all'immagine del suo Figlio, perché egli sia il primogenito di una moltitudine di fratelli » ( Rm 8,29 ).
Questa somiglianza viene data dalla contemplazione della gloria del Signore ( 2 Cor 3,18; 2 Cor 4,6 ).
La trasformazione, iniziata in questa vita, si completa nell'altra, quando « porteremo l'immagine dell'uomo celeste » ( 1 Cor 15,49 ); la grandezza della persona umana raggiungerà allora il suo apice.
La situazione penosa dell'umanità appare in molti modi nel Nuovo Testamento.
Si vede chiaramente che la terra non è un paradiso!
Gli evangelisti ci mostrano a più riprese una lunga serie di malattie e di infermità che affliggono una moltitudine di persone.73
Nei vangeli, la possessione diabolica esprime la profonda schiavitù nella quale può cadere la persona tutta intera ( Mt 8,28-34 e par. ).
La morte colpisce e getta nell'afflizione.74
Ma è soprattutto la miseria morale a attirare l'attenzione.
Si constata che l'umanità si trova in una situazione di peccato che provoca rischi estremi.75
Di conseguenza l'appello alla conversione si fa pressante.
La predicazione di Giovanni Battista lo fa risuonare con forza nel deserto;76 a lui subentra poi Gesù; « egli proclamava il vangelo di Dio e diceva: [ … ] convertitevi e credete al vangelo » ( Mc 1,14-15) ; « percorreva tutte le città e i villaggi » ( Mt 9,35 ).
Denunciava il male « che esce dall'essere umano » e lo « contamina » ( Mc 7,20 ).
« Dal di dentro infatti, dal cuore degli uomini, escono le intenzioni cattive: fornicazioni, furti, omicidi, adultèri, cupidigie, malvagità, inganno, impudicizia, invidia, calunnia, superbia, stoltezza.
Tutto questo male esce dal di dentro e rende l'essere umano impuro ».77
Nella parabola del figlio prodigo, Gesù descrive lo stato di profonda miseria in cui si trova ridotta la persona umana quando si allontana dalla casa del Padre ( Lc 15,13-16 ).
D'altra parte, egli parlava delle persecuzioni subite dalle persone votate alla causa della « giustizia » ( Mt 5,10 ) e annunciava che i suoi discepoli sarebbero stati perseguitati.78
Egli stesso lo era stato ( Gv 5,16 ); cercavano di metterlo a morte.79
Questa intenzione omicida finisce per trovare i modi di realizzarsi.
La passione di Gesù fu allora una manifestazione estrema della miseria morale dell'umanità.
Non vi mancò nulla: tradimento, rinnegamento, abbandono, processo e condanna ingiusti, oltraggi e maltrattamenti, supplizio crudele accompagnato da derisioni.
La malvagità umana si scatenò contro « il Santo e il Giusto » ( At 3,14 ) e lo ridusse a uno stato di orribile miseria.
È nella lettera di Paolo ai Romani che si trova la descrizione più fosca della miseria morale dell'umanità ( Rm 1,18–3,20 ) e l'analisi più penetrante della condizione dell'uomo peccatore ( Rm 7,14-25 ).
Il quadro che l'apostolo traccia di « ogni empietà e ingiustizia degli uomini che tengono la verità prigioniera dell'ingiustizia » è veramente opprimente.
Il rifiuto di rendere gloria a Dio e di ringraziarlo porta a un completo accecamento e alle peggiori perversioni ( Rm 1,21-32 ).
Paolo si preoccupa di mostrare che la miseria morale è universale e che l'ebreo non ne è esente, malgrado il privilegio che ha di conoscere la Legge ( Rm 2,17-24 ).
Egli basa la sua tesi su una lunga serie di testi dell'Antico Testamento, che affermano che tutti gli uomini sono peccatori ( Rm 3,10-18 ): « Non c'è nessun giusto, nemmeno uno ».80
L'aspetto esclusivo di questa negazione non è certo frutto dell'esperienza, ma ha piuttosto il carattere di un'intuizione teologica di ciò che l'uomo diventa senza la grazia di Dio: il male regna nel cuore di ciascuno ( cf Sal 51,7 ).
Questa intuizione è rafforzata in Paolo dalla convinzione che Cristo « è morto per tutti »;81 tutti avevano quindi bisogno di redenzione.
Se il peccato non fosse universale, ci sarebbero persone che non avrebbero bisogno di redenzione.
La Legge non reca rimedio al peccato, perché l'uomo peccatore, anche se riconoscesse la bontà della Legge e volesse osservarla, deve purtroppo constatare: « il bene che voglio non lo compio, mentre il male che non voglio lo compio » ( Rm 7,19 ).
La potenza del peccato si serve della stessa Legge per manifestare ancora di più tutta la sua virulenza, facendola violare ( Rm 7,13 ).
E il peccato causa la morte,82 il che provoca, da parte dell'uomo peccatore, una crisi di disperazione: « Sono uno sventurato!
Chi mi libererà da questo corpo votato alla morte? » ( Rm 7,24 ).
Si manifesta così un urgente bisogno di redenzione.
In un registro completamente diverso, ma con forza ancora maggiore, il libro dell'Apocalisse testimonia anch'esso i guasti che il male produce nel cuore degli uomini.
Esso descrive « Babilonia », « la grande prostituta », che ha trascinato nei suoi abomini « i re della terra » e « gli abitanti della terra » e che è « ebbra del sangue dei santi e dei testimoni di Gesù » ( Ap 17,1-6 ).
« I suoi peccati si sono accumulati fino al cielo » ( Ap 18,5 ).
Il male scatena terribili calamità.
L'ultima parola, però, non sarà sua.
Babilonia crolla ( Ap 18,2 ); dal cielo discende « la città santa, la Gerusalemme nuova », « dimora di Dio con gli uomini » ( Ap 21,23 ).
Alla proliferazione del male si oppone la salvezza che viene da Dio.
Indice |
64 | Gen 5,1;
Sap 2,23;
Sir 17,3. La stessa idea si trova in Sal 8,5-7, ma espressa con altri termini |
65 | Questa disposizione viene completata dopo il diluvio, cf Gen 9,3-4 |
66 | Gen 1,4.10.12.18.21.25 |
67 | Gen 5,29; Is 14,3; Sal 127,2; Pr 5,10; Pr 10,22; Pr 14,23 |
68 | Gen 3,19; cf Gen 2,7; Gen 3,23 |
69 | Mt 4,25 e par.; Mt 15,31-32 |
70 | Mt 8,10; Mt 15,28 |
71 | Gal 3,26; Gal 4,6; Rm 9,26 |
72 | 2 Cor 4,4; cf Col 1,15 |
73 | Mt 4,24 e par.; Mt 8,16 e par.; Mt 14,35 e par.; Gv 5,3 |
74 | Mc 5,38; Lc 7,12-13; Gv 11,33-35 |
75 | Mt 3,10 e par.; Lc 13,1-5; Lc 17,26-30; Lc 19,41-44; Lc 23,29-31 |
76 | Mt 3,2-12; Mc 1,2-6; Lc 3,2-9 |
77 | Mc 7,21-23; cf Mt 15,19-20 |
78 | Mt 10,17-23; Lc 21,12-17 |
79 | Mt 12,14 e par.; Gv 5,18; Mc 11,18; Lc 19,47 |
80 | Rm 3,10; cf Sal 14,3; Qo 7,20 |
81 | 2 Cor 5,14; cf Rm 5,18 |
82 | Rm 5,12; 1 Cor 15,56 |