1-2 Maccabei |
Il primo libro dei Maccabei è fonte importante per la storia del giudaismo del II sec. a.C.; le vicende che esso narra coprono infatti un periodo che va dal 175, inizio del regno di Antioco Epìfane, al 134, data della morte di Simone Maccabeo.
Si tratta di soli quaranta anni durante i quali assistiamo all'affermazione della famiglia dei Maccabei e allo stabilirsi della dinastia degli Asmonei.
Il libro è costruito secondo uno schema chiaro e lineare, che comprende: una sezione introduttiva, contenente gli antefatti storici; una parte centrale, che racconta la storia di tre fratelli Maccabei, Giuda, Giònata e Simone; un epilogo.
Il nome Maccabei, dato al libro, deriva dal soprannome "Maccabeo", dato a Giuda, uno dei fratelli.
Secondo la tradizione, tale soprannome significa "martello", a indicare la potenza di chi lo porta; esso poi fu esteso a tutti i membri della famiglia.
Nell'epilogo si nomina il successore di Simone, Giovanni, ma per le gesta di lui si rinvia agli annali del suo sommo sacerdozio.
Introduzione ( 1,1-10 )
Antioco Epìfane e l'ellenizzazione della Giudea ( 1,11-64 )
L'inizio della rivolta maccabaica ( 2,1-70 )
Storia di Giuda Maccabeo ( 3,1-9,22 )
Storia di Giònata Maccabeo ( 9,23-12,53 )
Storia di Simone Maccabeo ( 13,1-16,17 )
Epilogo ( 16,18-24 ).
Da Origene e da san Girolamo sappiamo che il libro fu scritto in lingua ebraica, ma a noi è giunto in lingua greca.
Accurate sono le indicazioni topografiche, numerose quelle cronologiche, che si richiamano al computo del calendario seleucide.
Il libro si distingue anche per la presenza di documenti ufficiali, costituiti per lo più da decreti reali, la maggior parte dei quali sono considerati autentici.
Le idee religiose espresse sono semplici:
la guerra contro i Siriani è guerra a difesa delle tradizioni giudaiche, messe in pericolo dalla diffusione dell'ellenismo;
le decisioni dei capi sono sempre sostenute dall'assistenza divina.
Una caratteristica particolare del libro è che Dio non vi è mai nominato; al posto del suo nome compare l'appellativo "Cielo", secondo una tendenza propria del giudaismo.
L'opera è indirizzata a Giudei che vissero dopo l'epopea maccabaica.
Il libro non fu riconosciuto come sacro dal giudaismo, perciò non venne letto nella sinagoga e così il testo ebraico andò perduto.
Nella versione greca dei LXX, invece, il libro entrò presto nella collezione dei testi sacri.
In questa versione è stato accolto nella Chiesa cattolica e in quelle ortodosse e considerato come libro sacro; non è però riconosciuto come tale dalle comunità ecclesiali protestanti e anglicane.
Non abbiamo nessuna indicazione precisa sull'autore del libro, né sulla data della sua composizione.
Dalla lettura, si può ritenere che si trattasse di un Giudeo piuttosto colto, vissuto in un periodo vicino ai fatti narrati.
Oggi comunemente questi viene considerato come lo storico ufficiale della famiglia degli Asmonei.
Per la data si oscilla tra il 134, anno della morte di Simone Maccabeo, quando termina il racconto, e il 63, quando Gerusalemme fu invasa dalle truppe romane e Pompeo entrò addirittura nel tempio: nel libro il giudizio sui Romani è ancora positivo.
La lotta contro la cultura e il dominio ellenistici, che l'ebraismo sostenne verso la metà del il sec. a. C., forma il tema dei libri dei Macc.
Il nome deriva dal soprannome di Giuda ( 1 Mac 2,4 ), terzogenito di Mattatia, che per primo organizzò la rivolta nazionale.
Il vocabolo Maccabeo è stato tradotto in vari modi, con maggiore insistenza: martello; ma sembra più fondata filologicamente l'interpretazione designato o designazione di Jahve.
Da Giuda il vocabolo è passato ai fratelli e perfino a personaggi contemporanei, che non avevano alcuna relazione con la famiglia di Mattatia, come i sette fratelli Maccabei ( 2 Mac 1,1ss ), è passato ai libri e alle guerre.
Nella Bibbia c'è un primo e un secondo libro dei Maccabei, ma basta leggere le ultime pagine dell'uno e le prime dell'altro per accorgersi subito che la terminologia è usata in senso del tutto diverso da quello riscontrato per Sam., Re e Cron.
I due libri, infatti, sono indipendenti fra di loro; con la massima probabilità nessuno dei due autori conobbe l'opera dell'altro, tanto meno è lecito parlare di uno come della continuazione dell'altro.
Il primo libro dei Maccabei si compone di un'introduzione ( 1 Mac 1,1-2,70 ), in cui si tratteggiano un quadro delle condizioni generali, l'inizio della persecuzione religiosa e i primi moti insurrezionali da parte di ferventi Jahvisti.
Il libro ( 1 Mac 3,1-16,24 ) narra le varie lotte fra i ribelli sempre più forti e le autorità seleucide, alle quali era sottomessa la Giudea.
È ovvia la divisione a seconda dei diversi capi che si succedettero nella direzione del movimento irredentistico, ossia i fratelli Giuda ( 1 Mac 3,1-9,22 ), Gionata ( 1 Mac 9,23-12,53 ) e Simone ( 1 Mac 13,1-16,24 ).
Altro criterio, meno buono, per la divisione è la successione dei vari sovrani seleucidi, cioè Antioco IV ( 1 Mac 1,10-6,17 ), Antioco V ( 1 Mac 6,18-63 ), Demetrio I ( 1 Mac 7,1-9,73 ), Alessandro Baia ( 1 Mac 10,1-66 ), Demetrio II ( 1 Mac 10,67-11,37 ), Antioco VI e Trifone ( 1 Mac 11,38-14,49 ), Antioco VII ( 1 Mac 15,1-16,24 ).
L'A. era contemporaneo degli avvenimenti.
Nel racconto vivace, talvolta minuzioso, esatto e sicuro per le indicazioni cronologiche, gli accenni topografici e la valutazione dei diversi episodi, si avverte uno scrittore che narra quanto si svolse sotto i suoi occhi.
Quindi non è necessario - e tanto meno documentato - il ricorso a fonti letterarie.
Egli riporta anche lettere e atti ufficiali, che attinse con ogni probabilità dagli archivi del tempio.
Sotto l'aspetto letterario, il libro rivela immediatamente il carattere di traduzione da un originale ebraico ora scomparso.
Basta riflettere al modo di unire le varie proposizioni ( quasi sempre per mezzo di particelle coordinanti ), all'abbondanza dei pronomi personali e a talune espressioni puramente semitiche.
L'A. non è un retore che compone meticolosamente un'opera letteraria con la pazienza di un cesellatore, ma un buon conoscitore dei libri sacri più antichi, dai quali desume spesso la fraseologia, esempi - come si può vedere in 2, 49-68 - allusioni e descrizioni poetiche.
Senza dubbio, per quanto è lecito dedurre dalla traduzione greca, il suo libro doveva essere un esempio di prosa ebraica.
Egli intese continuare l'opera degli antichi autori dei libri storici della Bibbia.
Per questo preferì - come si ritiene comunemente - la lingua ebraica all'aramaica.
La chiarezza del testo, la mancanza di termini semplicemente trascritti dall'ebraico e la scarsa necessità di una retroversione semitica per determinare il senso in taluni brani sono indizi sicuri dell'abilità del traduttore.
Sebbene mantenga con fedeltà e senza pretese letterarie lo stile semitico, egli mostra di possedere la lingua greca e comprendere perfettamente il testo originale, che dovette leggere in un ms. molto vicino all'autografo e quindi privo dei difetti e degli errori che di solito si introducono col tempo e col moltiplicarsi degli esemplari.
La presenza di numerosi documenti autentici inseriti letteralmente, la mancanza delle difficoltà provocate dalla giustapposizione di fonti indipendenti, la semplicità impersonale del racconto, l'interesse per i popoli, con cui Israele venne a contatto, conferiscono a i Mac. un posto unico fra i libri storici dell'A. T.
È lecito parlare di storia incompleta, nazionale, religiosa; ma non è permesso catalogare i Mac. fra i racconti fiabeschi, romanzati o tendenziosi, ispirati dal proposito di ingannare o di avallare una particolare tesi erronea.
Il controllo esterno, dove è possibile, e l'esame intrinseco garantiscono una preziosa fonte storica per le lotte maccabaiche.
Il racconto storico non è mai fine a se stesso ne mezzo per sfoggiare problematiche capacità stilistiche o artistiche, ma tutto è ordinato a un fine religioso.
È la caratteristica più o meno comune a tutti i libri storia della Bibbia.
L'A. era un entusiasta di tutti i figli di Mattatia senza preferenze particolari; ne il suo entusiasmo viene meno per il figlio di Simone, come appare dalle ultime righe del libro dedicate all'attività di Giovanni Ircano.
Spesso l'A. è stato presentato come un seguace delle teorie sadducee, a causa del suo silenzio su dottrine farisaiche ( angeli, risurrezione, vita futura ).
Ma non è lecito pretendere da uno storico la professione delle sue opinioni teologiche.
Del resto l'affermazione pecca forse di anacronismo, in quanto il libro sembra composto in un tempo in cui non esistevano ancora i due partiti antagonisti: Sadducei e Farisei, che si manifestarono verso la fine del governo di Giovanni Ircano.
Riguardo alla data si possono senz'altro assegnare come limiti massimi gli anni 135 e 63 a. C.
Una data anteriore è esclusa dall'esplicita menzione del governo di Giovanni Ircano.
Non è lecito scendere oltre il 63, perché nel libro non solo non c'è il minimo accenno alla profanazione del tempio compiuta da Pompeo Magno, ma viene descritta la potenza romana con un alone di gloria inconcepibile in tale epoca, quando i Giudei avevano già dovuto registrare amare delusioni circa la benevolenza di Roma a loro riguardo.
Il fatto che l'A. appare un testimonio oculare, bene informato degli avvenimenti, invita a pensare a una data piuttosto elevata, verso il 130 a. C.
Forse l'allusione entusiastica all'attività di Giovanni Ircano ( 1 Mac 16,23s ) consiglierebbe di abbassare alquanto la data per permettere almeno un'affermazione di prestigio dopo gli episodi incresciosi del 135/134.
Ma non si vede la necessità di scendere fin verso gli ultimi anni di questo principe.
Nessun indizio fa supporre che si fosse già realizzata la clamorosa scissione fra la dinastia e il partito dei Farisei, che si considerava il genuino continuatore dello spirito degli zelanti Jahvisti del periodo maccabaico.
Secondo libro dei Maccabei : Mentre il primo libro abbraccia quasi 40 anni ( 176/175-135 a. C. ), il secondo ne comprende soltanto 15 ca. ( 176-161 a. C. ).
La divisione più naturale di quest'ultimo segnala due grandi sezioni ( 2 Mac 3,1-10,9 e 2 Mac 10,10-15,39 ), oltre un'introduzione ( 2 Mac 1,1-2,32 ).
Nei primi cc. si ha una raccolta di documenti sotto forma di lettera, i quali non hanno una stretta connessione con il resto del libro.
La prima sezione riguarda il periodo antecedente alla purificazione del tempio.
Si parla di avvenimenti verificatisi sotto il re Seleuco IV ( 2 Mac 3,1-4,6 ), in particolare del tentato saccheggio del tempio ( 2 Mac 3,7-40 ), quindi della persecuzione di Antioco IV ( 2 Mac 4,7-7,42 ), insistendo sulle mene di sommi sacerdoti ellenistici e sugli episodi più violenti della persecuzione, come il martirio di Eleazaro ( 2 Mac 6,18-31 ) e dei sette fratelli con la madre ( 2 Mac 7,1-40 ).
Nel brano 2 Mac 8,1-10,9 si descrivono le prime vittorie della reazione organizzata da Giuda il Maccabeo e si termina con la purificazione del tempio ( 2 Mac 10,1-9 ), dopo aver narrato la morte del persecutore Antioco IV ( 2 Mac 9,1-29 ).
La seconda sezione, che si occupa unicamente della lotta contro gli stranieri e l'ellenismo, si può suddividere in due parti secondo il succedersi dei re seleucidi: 2 Mac 10,10-13,26 ( lotta di Giuda contro i popoli vicini e contro Antioco V ), 2 Mac 14,1-15,36 ( lotta contro Demetrio I ).
Negli ultimi tre vv. si ha un breve epilogo dell'A., che aveva regolarmente premesso anche una prefazione ( 2 Mac 2,19-32 ) al libro.
Nella prefazione si afferma che l'opera è un sunto di un voluminoso scritto in cinque libri di Giasone da Cirene.
Per quante ipotesi siano state avanzate non si conoscono su questo scrittore se non le scarne notizie che si possono dedurre dal libro-compendio.
Non è possibile indicare con certezza assoluta le fonti utilizzate dallo scrittore di Cirene.
Egli riporta in maniera diretta soltanto cinque documenti ( 2 Mac 9,19-27; 2 Mac 11,17-38 ), i quali forse provengono, come alcune altre notizie, dagli archivi di Gerusalemme, accessibili allo storico minuzioso.
Da un punto di vista astratto si può ammettere l'utilizzazione di fonti scritte, ma si ignora perfino l'esistenza di tali racconti sulle lotte maccabaiche; sembra certo, invece, che l'A. non conobbe 1 Mac.
Stando alla sua confessione esplicita, l'autore di 2 Mac. si limitò a sunteggiare l'opera di Giasone; quindi non è logico attribuirgli la conoscenza di altre fonti, a meno che l'affermazione non venga legittimata con prove sicure.
Egli rivendica a sé in modo particolare lo stile.
Per questo, l'operetta non si può concepire come una semplice riduzione quantitativa dei cinque libri di Giasone: si tratta di una vera sintesi storica, improntata a grande senso di personalità, almeno riguardo alla veste letteraria.
Anzi sembra assai probabile che all'epitomatore si debba anche una diversa disposizione della materia in alcuni punti.
In modo speciale si pensa che egli sia responsabile dell'anticipazione della morte di Antioco nel periodo precedente alla purificazione del tempio con le relative conseguenze cronologiche.
2 Mac. fu composto in greco.
In esso i semitismi sono rarissimi, mentre si nota talvolta un cosciente tentativo di eleganza stilistica e linguistica, che a un lettore moderno può apparire spesso un puro artificio retorico di dubbio gusto.
Non mancano, però, brani molto semplici e quasi scheletrici, che risaltano ancora di più per la legge dei contrasti.
La ricercatezza retorica si rileva anche nella disposizione della materia.
Confrontando le opere storiche profane di quel periodo, sorge il dubbio che anche la compiacenza del meraviglioso, le descrizioni di fenomeni pretematurali e di apparizioni portentose - almeno in parte - rientrino nel concetto della storiografia artistica.
Si trattava di un genere letterario molto complesso, che comprendeva, oltre il proposito di narrare con fedeltà i vari episodi, il compito di abbellire letterariamente la narrazione con ricercatezze stilistiche, fra cui vanno annoverate anche l'inserzione di discorsi e la descrizione di fenomeni straordinari, interpretati come presagi.
Per questo è ben difficile determinare nei singoli casi se nel nostro libro si tratti di un vero intervento miracoloso, divino, documentato da uno scrittore ispirato, oppure di un semplice espediente letterario.
Riguardo all'attendibilità storica del libro, in genere non abbiamo nessun motivo serio per metterla in dubbio.
Giasone era contemporaneo degli eventi narrati, cui forse partecipò direttamente.
Non si hanno indizi che egli abbia alterato tendenziosamente i fatti per difendere una tesi particolare, ne possiamo supporre ciò nell'epitomatore.
Questi senza dubbio mostra un fine ben chiaro nella glorificazione del tempio e degli eroismi per la legge; ciò lo avrà guidato nella cernita degli episodi e nell'importanza attribuita a essi, ma non si può affermare che egli abbia mistificato la storia.
Si tratterà di giudizi forse incompleti o pronunciati sotto un punto di vista strettamente religioso, ma non di affermazioni gratuite.
La sua storia va considerata nella sua indole particolare, senza pretendere da essa quanto esorbita dal suo fine pratico.
Il carattere religioso è assai più accentuato in 2 Mac. che non in 1 Mac.
Per questo nel sunteggio dell'opera di Giasone si trovano elementi dottrinali molto importanti per la teologia dell'A. T.
Oltre le affermazioni, comuni più o meno a tutta la Bibbia, sugli attributi di Dio e sulle relazioni fra Dio e l'uomo, nel libro si nota un interesse per la vita futura non riscontrabile in altri testi dell'A. T.
La sopravvivenza dell'anima e la risurrezione sono affermate con insistenza ( 2 Mac 6,26; 2 Mac 7,9.14.29.36; 2 Mac 14,46 ).
Il nostro libro ha un posto particolare nella storia dei dogmi sull'intercessione o comunione dei Santi ( 2 Mac 15,14 ) e sulla legittimità e valore dei suffragi per le anime dei defunti ( 2 Mac 12,43-45 ).
Quest'interesse per la vita futura insieme al profondo attaccamento alla legge mostra che l'A. era un Fariseo nel senso genuino del termine, senza quel carattere di odiosità che esso assumerà in seguito.
Non e facile assegnare una data precisa all'opera.
Da vari accenni si può congetturare prudentemente che Giasone da Cirene compose la sua storia negli anni 130-125 a. C.
Per la data dell'epitomatore si deve tener conto dell'indicazione di 2 Mac 1,9 ( = 124 a. C. ) e dell'anno 63 a. C, quando il tempio fu nuovamente profanato da Pompeo Magno.
Dal modo di parlare dell'opera di Giasone, che sembra presentata non come una novità recente, forse è prudente dedurre una data piuttosto lontana dal 130-125 a. C.
In pratica, i primi decenni del primo secolo rispondono meglio alle varie esigenze.
I due libri dei Maccabei sono chiamati deuterocanonici perché, insieme con alcuni altri, sono dai cattolici ritenuti ispirati, ma non dagli Ebrei.
La loro ispirazione per un credente è garantita da vari concili della Chiesa.
Nell'epoca patristica la grande tradizione della Chiesa è in favore della loro ispirazione, anche se affiorano dubbi presso singoli Padri o scrittori ecclesiastici.
Un'evidente allusione di Eb 11,35 a 2 Mac 6,19.28 e la presenza dei libri nella versione greca costituiscono le prove più antiche in favore della fede nella loro origine divina,
Don Federico Tartaglia
Don Claudio Doglio
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