Salvifici doloris |
5 Anche se nella sua dimensione soggettiva, come fatto personale, racchiuso nel concreto e irripetibile interno dell'uomo, la sofferenza sembra quasi ineffabile e incomunicabile, al tempo stesso, nella sua realtà oggettiva, forse non c'è nient'altro quanto essa che esiga di essere trattato, meditato, concepito nella forma di un esplicito problema; intorno al quale si pongano interrogativi di fondo e si cerchino le risposte.
Come si vede, non si tratta qui solo di dare una descrizione della sofferenza.
Vi sono altri criteri, che vanno oltre la sfera della descrizione, e che dobbiamo introdurre, quando vogliamo penetrare il mondo dell'umana sofferenza.
Si sa che la medicina, come scienza e insieme come arte del curare, scopre sul vasto terreno delle sofferenze dell'uomo il settore più conosciuto, quello identificato con maggior precisione e, relativamente, più controbilanciato dai metodi del "reagire" ( cioè della terapia ).
Tuttavia, questo è solo un settore.
Il terreno della sofferenza umana è molto più vasto, molto più vario e pluridimensionale.
L'uomo soffre in modi diversi, non sempre contemplati dalla medicina, neanche nelle sue più avanzate specializzazioni.
La sofferenza è qualcosa di ancora più ampio della malattia, di più complesso e insieme ancor più profondamente radicato nell'umanità stessa.
Una certa idea di questo problema ci viene dalla distinzione tra sofferenza fisica e sofferenza morale.
Questa distinzione prende come fondamento la duplice dimensione dell'essere umano, e indica l'elemento corporale e spirituale come l'immediato o diretto soggetto della sofferenza.
Per quanto si possano, fino ad un certo grado, usare come sinonimi le parole "sofferenza" e "dolore", la sofferenza fisica si verifica quando in qualsiasi modo "duole il corpo", mentre la sofferenza morale è "dolore dell'anima".
Si tratta, infatti, del dolore di natura spirituale, e non solo della dimensione "psichica" del dolore che accompagna sia la sofferenza morale, sia quella fisica.
La vastità e la multiformità della sofferenza morale non sono certamente minori di quella fisica; al tempo stesso, però, essa sembra quasi meno identificata e meno raggiungibile dalla terapia.
6 La sacra scrittura è un grande libro sulla sofferenza.
Riportiamo dai libri dell'Antico Testamento solo alcuni esempi di situazioni, che recano i segni della sofferenza e, prima di tutto, di quella morale:
il pericolo di morte,( Is 38,1-3 )
la morte dei propri figli ( Gen 15-16; Gen 37,33-35; 2 Sam 19,1 )
e, specialmente, la morte del figlio primogenito e unico, ( Tb 10,1-7; Ger 6,26; Am 8,10; Zc 12,10 )
e poi anche: la mancanza di prole, ( Gen 15,2; Gen 30,1; 1 Sam 1,6-10 )
la nostalgia per la patria, ( Sal 137 )
la persecuzione e l'ostilità dell'ambiente, ( Sal 22,17-21; Ger 18,18 )
lo scherno e la derisione per il sofferente, ( Gb 19,18; Gb 30,1.9; Sal 22,7-9; Sal 42,11; Sal 44,16-17; Ger 20,7; Is 53,3 )
la solitudine e l'abbandono; ( Sal 22,2-3; Sal 31,13; Sal 38,12; Sal 88,9.19; Ger 15,17; Is 53,3 )
e ancora: i rimorsi di coscienza, ( Sal 51,5; Is 53,3-6; Zc 12,10 )
la difficoltà di capire perché i cattivi prosperano e i giusti soffrono, ( Sal 73,3-14; Qo 4,1-3 )
l'infedeltà e l'ingratitudine da parte degli amici e dei vicini; ( Gb 19,19; Sal 41,10; Sal 55,13-15; Ger 20,10; Sir 37,1-6 )
infine: le sventure della propria nazione. ( Sal 44,10-17; Sal 77,3-11; Sal 89,51; Is 22,4; Ger 4,8; Ger 13,17; Ger 14,17-18; Ez 9,8; Ez 21,11-12; Dn 3,31-40; Dn 9,16-19 )
L'Antico Testamento, trattando l'uomo come un "insieme" psicofisico, unisce spesso le sofferenze "morali" col dolore di determinate parti dell'organismo:
delle ossa, ( Is 38,13; Ger 23,9; Sal 31,10-11; Sal 42,10-11 )
dei reni, ( Sal 73,21; Gb 16,13; Lam 3,13 )
del fegato, ( Lam 2,11 )
dei visceri, ( Is 16,11; Ger 4,19; Gb 30,27; Lam 1,20 )
del cuore. ( 1 Sam 1,8; Ger 4,19; Ger 8,18; Lam 1,20.22; Sal 38,9.11 )
Non si può, infatti, negare che le sofferenze morali abbiano anche una loro componente "fisica", o somatica, e che spesso si riflettano sullo stato dell'intero organismo.
7 Come si vede dagli esempi riportati, nella sacra scrittura troviamo un vasto elenco di situazioni variamente dolorose per l'uomo.
Quest'elenco diversificato certamente non esaurisce tutto ciò che in tema di sofferenza ha già detto e costantemente ripete il libro della storia dell'uomo ( questo è piuttosto un "libro non scritto" ), e ancor più il libro della storia dell'umanità, letto attraverso la storia di ogni uomo.
Si può dire che l'uomo soffre, allorquando sperimenta un qualsiasi male.
Nel vocabolario dell'Antico Testamento il rapporto tra sofferenza e male si pone in evidenza come identità.
Quel vocabolario, infatti, non possedeva una parola specifica per indicare la "sofferenza"; perciò definiva come "male" tutto ciò che era sofferenza.2
Solamente la lingua greca e, insieme con essa, il Nuovo Testamento ( e le versioni greche dall'Antico ) si servono del verbo "pascho" = "sono affetto da…, provo una sensazione, soffro"; e grazie ad esso la sofferenza non è più direttamente identificabile col male ( oggettivo ), ma esprime una situazione nella quale l'uomo prova il male e, provandolo, diventa soggetto di sofferenza.
Questa invero ha, a un tempo, carattere attivo e passivo ( da "patior" ).
Perfino quando l'uomo si provoca da solo una sofferenza, quando è l'autore di essa, questa sofferenza rimane qualcosa di passivo nella sua essenza metafisica.
Ciò, tuttavia, non vuol dire che la sofferenza in senso psicologico non sia contrassegnata da una specifica "attività".
Questa è, infatti, quella molteplice e soggettivamente differenziata "attività" di dolore, di tristezza, di delusione, di abbattimento o, addirittura, di disperazione, a seconda dell'intensità della sofferenza, della sua profondità e, indirettamente, a seconda di tutta la struttura del soggetto sofferente e della sua specifica sensibilità.
Al centro di ciò che costituisce la forma psicologica della sofferenza si trova sempre un'esperienza del male, a causa del quale l'uomo soffre.
Così dunque la realtà della sofferenza provoca l'interrogativo sull'essenza del male: che cosa è il male?
Quest'interrogativo sembra, in un certo senso, inseparabile dal tema della sofferenza.
La risposta cristiana ad esso è diversa da quella che viene data da alcune tradizioni culturali e religiose, le quali ritengono che l'esistenza sia un male, dal quale bisogna liberarsi.
Il cristianesimo proclama l'essenziale bene dell'esistenza e il bene di ciò che esiste, professa la bontà del Creatore e proclama il bene delle creature.
L'uomo soffre a causa del male, che è una certa mancanza, limitazione o distorsione del bene.
Si potrebbe dire che l'uomo soffre a motivo di un bene al quale egli non partecipa, dal quale viene, in un certo senso, tagliato fuori, o del quale egli stesso si è privato.
Soffre in particolare quando "dovrebbe" aver parte - nell'ordine normale delle cose - a questo bene, e non l'ha.
Così dunque nel concetto cristiano la realtà della sofferenza si spiega per mezzo del male, che è sempre, in qualche modo, in riferimento a un bene.
8 La sofferenza umana costituisce in se stessa quasi uno specifico "mondo" che esiste insieme all'uomo, che appare in lui e passa, e a volte non passa, ma in lui si consolida e approfondisce.
Questo mondo della sofferenza, diviso in molti, in numerosissimi soggetti, esiste quasi nella dispersione.
Ogni uomo, mediante la sua personale sofferenza, costituisce non solo una piccola parte di quel "mondo", ma al tempo stesso quel "mondo" è in lui come un'entità finita e irripetibile.
Di pari passo con ciò va, tuttavia, la dimensione interumana e sociale.
Il mondo della sofferenza possiede quasi una sua propria compattezza.
Gli uomini sofferenti si rendono simili tra loro mediante l'analogia della situazione, la prova del destino, oppure mediante il bisogno di comprensione e di premura, e forse soprattutto mediante il persistente interrogativo circa il senso di essa.
Benché dunque il mondo della sofferenza esista nella dispersione, al tempo stesso contiene in sé una singolare sfida alla comunione e alla solidarietà.
Cercheremo anche di seguire un tale appello nella presente riflessione.
Pensando al mondo della sofferenza nel suo significato personale e insieme collettivo, non si può, infine, non notare il fatto che un tal mondo, in alcuni periodi di tempo e in alcuni spazi dell'esistenza umana, quasi si addensa in modo particolare.
Ciò accade, per esempio, nei casi di calamità naturali, di epidemie, di catastrofi e di cataclismi, di diversi flagelli sociali: si pensi, ad esempio, a quello di un cattivo raccolto e legato ad esso - oppure a diverse altre cause - al flagello della fame.
Si pensi, infine, alla guerra. Parlo di essa in modo speciale.
Parlo delle ultime due guerre mondiali, delle quali la seconda ha portato con sé una messe molto più grande di morte e un cumulo più pesante di umane sofferenze.
A sua volta, la seconda metà del nostro secolo - quasi in proporzione agli errori e alle trasgressioni della nostra civiltà contemporanea - porta in sé una minaccia così orribile di guerra nucleare, che non possiamo pensare a questo periodo se non in termini di un accumulo incomparabile di sofferenze, fino alla possibile autodistruzione dell'umanità.
In questo modo quel mondo di sofferenza, che in definitiva ha il suo soggetto in ciascun uomo, sembra trasformarsi nella nostra epoca - forse più che in qualsiasi altro momento - in una particolare "sofferenza del mondo": del mondo che come non mai è trasformato dal progresso per opera dell'uomo e, in pari tempo, come non mai è in pericolo a causa degli errori e delle colpe dell'uomo.
Indice |
2 | A questo proposito è opportuno ricordare che la radice ebraica r'' designa globalmente ciò che è male, in contrapposizione a ciò che è bene ( tob ), senza distinguere tra senso fisico, psichico ed etico. Essa si trova nella forma sostantiva ra' e ra'a indicante indifferentemente sia il male in sé, sia l'azione cattiva, sia colui che la compie. Nelle forme verbali, oltre a quella semplice ( qal ), designate variamente « l'essere male », si trovano la forma riflessiva - passiva ( niphal ) « subire il male », « essere colpito dal male » e la forma causativa ( hiphil ) « fare il male », « infliggere il male » a qualcuno. Poiché manca nell'ebraico un vero corrispondente del greco πάσχω = « soffro », anche questo verbo ricorre raramente nella versione dei Settanta. |