Interpretazione della Bibbia nella Chiesa |
L'esegesi cattolica non cerca di distinguersi usando un metodo scientifico particolare.
Essa riconosce che uno degli aspetti dei testi biblici è di essere opera di autori umani, che si sono serviti delle proprie capacità e degli strumenti che il loro tempo e il loro ambiente mettevano a loro disposizione.
Di conseguenza, utilizza senza secondo fine, tutti i metodi e approcci scientifici che permettono di meglio comprendere il significato dei testi nel loro contesto linguistico, letterario, socio-culturale, religioso e storico, illuminandoli anche con lo studio delle loro fonti e tenendo conto della personalità di ogni autore ( cf. Divino afflante Spiritu ).
In tal modo essa contribuisce attivamente allo sviluppo dei metodi e al progresso della ricerca.
Ciò che la caratterizza è il suo situarsi consapevolmente nella tradizione vivente della Chiesa, la cui prima preoccupazione è la fedeltà alla rivelazione attestata dalla Bibbia.
Le ermeneutiche moderne hanno messo in luce, come abbiamo ricordato, l'impossibilità di interpretare un testo senza partire da una "precomprensione" di un genere o dell'altro.
L'esegesi cattolica si avvicina agli scritti biblici con una precomprensione che unisce strettamente la moderna cultura scientifica e la tradizione religiosa proveniente da Israele e dalla comunità cristiana primitiva.
La sua interpretazione si trova così in continuità con il dinamismo ermeneutico che si manifesta all'interno stesso della Bibbia e che si prolunga poi nella vita della Chiesa.
Corrisponde all'esigenza di affinità vitale tra l'interprete e il suo oggetto, affinità che costituisce una delle condizioni di possibilità del lavoro esegetico.
Ogni precomprensione comporta tuttavia i suoi pericoli.
Nel caso dell'esegesi cattolica, esiste il rischio di attribuire ad alcuni testi biblici un significato che non esprimono, ma che è frutto di uno sviluppo ulteriore della tradizione.
L'esegeta deve guardarsi da questo pericolo.
I testi della Bibbia sono l'espressione di tradizioni religiose che esistevano prima di essi.
Il modo in cui si collegano a queste tradizioni è differente secondo i casi, dato che la creatività degli autori si manifesta in gradi diversi.
Nel corso del tempo tradizioni molteplici sono confluite per formare una grande tradizione comune.
La Bibbia è una manifestazione privilegiata di questo processo, che essa ha contribuito a realizzare e di cui continua a essere regolatrice.
« L'interpretazione nella Tradizione biblica » comporta una grande varietà di aspetti.
Con questa espressione si può intendere il modo in cui la Bibbia interpreta le esperienze umane fondamentali o gli avvenimenti particolari della storia di Israele, o ancora il modo in cui i testi biblici utilizzano varie fonti, scritte od orali, alcune delle quali possono provenire anche da altre religioni o culture, interpretandole.
Ma essendo il nostro soggetto l'interpretazione della Bibbia, non vogliamo trattare qui queste grandi problematiche, ma semplicemente proporre alcune osservazioni sull'interpretazione dei testi biblici all'interno della Bibbia stessa.
Ciò che contribuisce a dare alla Bibbia la sua unità interna, unica nel suo genere, è il fatto che gli scritti biblici posteriori si basano spesso sugli scritti anteriori.
Fanno allusione ad essi, ne propongono delle "riletture" che sviluppano nuovi aspetti di significato, talvolta molto diversi dal senso primitivo, o ancora vi si riferiscono esplicitamente, o per approfondirne il significato o per affermarne il compimento.
Così l'eredità di una terra, promessa da Dio ad Abramo per la sua discendenza ( Gen 15,7.18 ), diventa l'entrata nel santuario di Dio ( Es 15,17 ), una partecipazione al riposo di Dio ( Sal 132,7-8 ) riservato ai veri credenti ( Sal 95,8-11; Eb 3,7-4,11 ) e, infine, l'ingresso nel santuario celeste ( Eb 6,12.18-20 ), « eredità eterna » ( Eb 9,15 ).
L'oracolo del profeta Natan, che promette a Davide una « casa », cioè una successione dinastica, « stabile per sempre » ( 2 Sam 7,12-16 ), viene ricordato a più riprese ( 2 Sam 23,5; 1 Re 2,4; 1 Re 3,6; 1 Cr 17,11-14 ), specialmente nei tempi difficili ( Sal 89,20-38 ), non senza variazioni significative, ed è prolungato da altri oracoli ( Sal 2,7-8; Sal 110,1.4; Am 9,11; Is 7,13-14; Ger 23,5-6; ecc. ), alcuni dei quali annunciano il ritorno del regno di Davide stesso ( Os 3,5; Ger 30,9; Ez 34,24; Ez 37,24-25; cf. Mc 11,10 ).
Il regno promesso diventa universale ( Sal 2,8; Dn 2,25.44; Dn 7,14; cf. Mt 28,18 ).
Realizza in pienezza la vocazione dell'uomo ( Gen 1,28; Sal 8,6-9; Sap 9,2-3; Sap 10,2 ).
L'oracolo di Geremia sui settant'anni di castigo meritati da Gerusalemme e Giuda ( Ger 25,11-12; Ger 29,10 ) è ricordato in 2 Cr 25,20-23, che ne verifica la realizzazione, ma riceve un'ulteriore elaborazione, dopo molto tempo, dall'autore di Daniele, nella convinzione che questa parola di Dio custodisca ancora un significato nascosto, che deve gettare la sua luce sulla situazione presente ( Dn 9,24-27 ).
L'affermazione fondamentale della giustizia retributiva di Dio, che ricompensa i buoni e punisce i malvagi ( Sal 1,1-6; Sal 112,1-10; Lc 6,3-33; ecc. ), si scontra con l'esperienza immediata che spesso non corrisponde ad essa.
La Scrittura lascia allora che si esprima con vigore la protesta e la contestazione ( Sal 44; Gb 10,1-7; Gb 13,3-28; Gb 23-24 ) e approfondisce progressivamente il mistero ( Sal 37; Gb 38-42; Is 53; Sap 3-5 ).
I rapporti intertestuali acquistano una densità estrema negli scritti del Nuovo Testamento, pieni di allusioni all'Antico Testamento e di citazioni esplicite.
Gli autori del Nuovo Testamento riconoscono all'Antico Testamento valore di rivelazione divina.
Essi proclamano che questa rivelazione ha trovato il suo compimento nella vita, nell'insegnamento e soprattutto nella morte e risurrezione di Gesù, fonte di perdono e di vita eterna.
« Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritture, fu sepolto ed è risuscitato il terzo giorno secondo le Scritture, e apparve … » ( 1 Cor 15,3-5 ): questo è il nucleo centrale della predicazione apostolica ( 1 Cor 15,11 ).
Come sempre, tra le Scritture e gli eventi che le compiono, i rapporti non sono di semplice corrispondenza materiale, ma di reciproca illuminazione e di progresso dialettico: ci si accorge al tempo stesso che le Scritture rivelano il senso degli eventi e che gli eventi rivelano il senso delle Scritture, obbligano cioè a rinunciare a certi aspetti dell'interpretazione ricevuta, per adottare un'interpretazione nuova.
Fin dal tempo del suo ministero pubblico, Gesù aveva preso una posizione personale originale, diversa dall'interpretazione ricevuta al suo tempo, che era quella « degli scribi e dei farisei » ( Mt 5,20 ).
Numerose ne sono le testimonianze:
le antitesi del discorso della montagna ( Mt 5,21-48 ),
la libertà sovrana di Gesù nell'osservanza del sabato ( Mc 2,27-28 e par. ),
il suo modo di relativizzare i precetti di purezza rituale ( Mc 7,1-23 e par. ),
la sua esigenza radicale, al contrario, in altri campi ( Mt 10,2-12; Mc 10,17-27 e par. )
e soprattutto il suo atteggiamento di accoglienza verso « i pubblicani e i peccatori » ( Mc 2,15-17 e par. ).
Non si trattava da parte sua di capriccio da contestatore, ma, al contrario, di fedeltà più profonda alla volontà di Dio espressa nelle Scritture ( cf. Mt 5,17; Mt 9,13; Mc 7,8-13 e par.; Mc 10,5-9 e par. ).
La morte e la risurrezione di Gesù spinsero all'estremo l'evoluzione cominciata, provocando, su certi punti, una completa rottura e nello stesso tempo un'apertura inattesa.
La morte del Messia, « re dei Giudei » ( Mc 15,26 e par. ), provocò una trasformazione dell'interpretazione terrena dei salmi regali e degli oracoli messianici.
La sua risurrezione e la sua glorificazione celeste come Figlio di Dio diedero a questi stessi testi una pienezza di significato prima inconcepibile.
Alcune espressioni che sembravano iperboliche dovevano d'ora in poi essere prese alla lettera.
Apparivano come preparate da Dio per esprimere la gloria del Cristo Gesù, perché Gesù
è veramente « Signore » ( Sal 110,1 ) nel senso più forte del termine ( At 2,36; Fil 2,10-11; Eb 1,10-12 );
è il Figlio di Dio ( Sal 2,7; Mc 14,62; Rm 1,3-4 ), Dio con Dio ( Sal 45,7; Eb 1,8; Gv 1,1; Gv 20,28 );
« il suo regno non avrà fine » ( Lc 1,32-33; cf. 1 Cr 17,11-14; Sal 45,7; Eb 1,8 );
egli è nello stesso tempo « sacerdote in eterno » ( Sal 110,2; Eb 5,6-10; Eb 7,23-24 ).
Alla luce degli eventi della Pasqua gli autori del Nuovo Testamento rilessero l'Antico Testamento.
Lo Spirito Santo inviato dal Cristo glorificato ( cf. Gv 15,26; Gv 16,7 ) ne fece scoprire loro il senso spirituale.
Essi furono così portati ad affermare più che mai il valore profetico dell'Antico Testamento, ma anche a relativizzare fortemente il suo valore di istituzione salvifica.
Questo secondo punto di vista, che appare già nei vangeli ( cf. Mt 11,11-13 e par.; Mt 12,41-42 e par.; Gv 4,12-14; Gv 5,37; Gv 6,32 ), si manifesta con tutta la sua forza in alcune lettere paoline e nella lettera agli Ebrei.
Paolo e l'autore della lettera agli Ebrei dimostrano che la Torah, in quanto rivelazione, annuncia essa stessa la sua fine come sistema legislativo ( cf. Gal 2,15-5,1; Rm 3,20-21; Rm 6,14; Eb 7,11-19; Eb 10,8-9 ).
Ne consegue che i pagani che aderiscono alla fede in Cristo non devono essere sottomessi a tutti i precetti della legislazione biblica, ormai ridotta, nel suo insieme, allo statuto di istituzione legale di un popolo particolare, ma devono nutrirsi all'Antico Testamento come Parola di Dio, che permette loro di scoprire meglio tutte le dimensioni del mistero pasquale di cui essi vivono ( cf. Lc 24,25-27.44-45; Rm 1,1-2 ).
All'interno della Bibbia cristiana, i rapporti tra Nuovo Testamento e Antico Testamento non sono quindi privi di complessità.
Quando si tratta dell'uso di testi particolari, gli autori del Nuovo Testamento fanno naturalmente ricorso alle conoscenze e ai procedimenti di interpretazione del loro tempo.
Esigere da essi che si conformino ai metodi scientifici moderni sarebbe un anacronismo
L'esegeta deve piuttosto acquisire la conoscenza dei procedimenti antichi per poter interpretare correttamente l'uso che ne viene fatto.
Rimane vero, d'altra parte, che egli non deve accordare un valore assoluto a ciò che è conoscenza umana limitata.
Infine conviene aggiungere che all'interno del Nuovo Testamento, come già all'interno dell'Antico Testamento, si scopre la giustapposizione di prospettive differenti e talvolta in tensione le une con le altre, per esempio
sulla situazione di Gesù ( Gv 8,29; Gv 16,32 e Mc 15,34 )
o sul valore della legge mosaica ( Mt 5,17-19 e Rm 6,14 )
o sulla necessità delle opere per essere giustificati ( Gc 2,24 e Rm 3,28; Ef 2,8-9 ).
Una delle caratteristiche della Bibbia è proprio l'assenza di spirito di sistematizzazione e la presenza al contrario, di tensioni dinamiche.
La Bibbia ha accolto parecchi modi di interpretare gli stessi avvenimenti o di considerare gli stessi problemi, invitando così a rifiutare il semplicismo e la ristrettezza di spirito.
Da quanto abbiamo detto si può concludere che la Bibbia contiene numerose indicazioni e suggerimenti sull'arte di interpretarla.
La Bibbia è infatti, fin dall'inizio, essa stessa interpretazione.
I suoi testi sono stati riconosciuti dalle comunità dell'antica Alleanza e del tempo apostolico come valida espressione della loro fede.
È secondo l'interpretazione delle comunità e in relazione con essa che questi testi sono stati riconosciuti come Sacra Scrittura ( così, per es., il Cantico dei Cantici fu riconosciuto come Scrittura Sacra in quanto applicato alla relazione tra Dio e Israele ).
Nel corso della formazione della Bibbia, gli scritti che la compongono sono stati, in molti casi, rielaborati e reinterpretati, per rispondere a situazioni nuove, prima sconosciute.
Il modo di interpretare i testi che si manifesta nella Sacra Scrittura suggerisce le seguenti osservazioni:
Dato che la Sacra Scrittura è venuta alla luce sulla base di un consenso di comunità credenti che hanno riconosciuto nel suo testo l'espressione della fede rivelata, la sua stessa interpretazione dev'essere, per la fede viva delle comunità ecclesiali, fonte di consenso sui punti essenziali.
Dato che l'espressione della fede, come la si trovava nella Sacra Scrittura riconosciuta da tutti, dovette essere continuamente rinnovata per far fronte a situazioni nuove, il che spiega le "riletture" di molti testi biblici, l'interpretazione della Bibbia deve ugualmente avere un aspetto di creatività e affrontare le questioni nuove, per rispondervi partendo dalla Bibbia.
Dato che i testi della Scrittura hanno talvolta rapporti di tensione tra loro, l'interpretazione deve necessariamente essere pluralistica.
Nessuna interpretazione particolare può esaurire il significato dell'insieme, che è una sinfonia a più voci.
L'interpretazione di un testo particolare deve quindi evitare di essere esclusivista.
La Sacra Scrittura è in dialogo con le comunità credenti: è scaturita dalle loro tradizioni di fede.
I suoi testi si sono sviluppati in rapporto con queste tradizioni e hanno contribuito, reciprocamente, al loro sviluppo.
Ne consegue che l'interpretazione della Scrittura si fa in seno alla Chiesa nella sua pluralità e nella sua unità e nella sua tradizione di fede.
Le tradizioni di fede formavano l'ambiente vitale in cui si è inserita l'attività letteraria degli autori della Sacra Scrittura.
Questo inserimento comprendeva anche la partecipazione alla vita liturgica e all'attività esterna delle comunità, al loro mondo spirituale, alla loro cultura e alle peripezie del loro destino storico.
L'interpretazione della Sacra Scrittura esige perciò, in modo simile, la partecipazione degli esegeti a tutta la vita e a tutta la fede della comunità credente del loro tempo.
Il dialogo con la Sacra Scrittura nel suo insieme, e quindi con la comprensione della fede propria delle epoche anteriori, dev'essere necessariamente accompagnato da un dialogo con la generazione presente.
Questo comporta l'allacciamento di un rapporto di continuità, ma anche la constatazione di differenze.
Ne consegue che l'interpretazione della Scrittura comporta un lavoro di verifica e di selezione; essa rimane in continuità con le tradizioni esegetiche anteriori, di cui conserva e fa propri molti elementi, ma su altri punti se ne stacca, per poter progredire.
Indice |