Chiesa
Sommario
I - L'esperienza della Chiesa nella storiaNe la teologia, ne la pastorale, ne l'impegno di testimonianza nel mondo esauriscono il vissuto ecclesiale, anche se di tutte queste cose esso si nutre. Di qui l'importanza di una coltivazione esplicita della spiritualità senza la quale la chiesa, specie la chiesa cattolica, rischia di rimanere un corpo senza anima. La dimensione ecclesiale della spiritualità, assai viva nella patristica, conosce un eclissamento durante il feudalesimo, oltrepassa il medioevo sotto forma di istanza di riforma della chiesa, si afferma come carità pastorale nell'epoca tridentina, ma esplode e si dispiega in pienezza solo nell'epoca delle rivoluzioni, dei totalitarismi, della democrazia. 1. La spiritualità ecclesiale nella Chiesa anticaNon esiste esperienza che non sia strutturata, non esiste vissuto ecclesiale che non sia "informato". I fattori che informano la ricchissima e viva spiritualità ecclesiale della chiesa antica e del periodo patristico possono essere così sistemati ed esemplificati: a. Liturgia e sacramentiNella Didaché ( fine del I sec. d. C. ) abbiamo la testimonianza più antica della chiesa apostolica sulla Nelle preghiere eucaristiche si dice: « Come questo pane spezzato era sparso sui colli e raccolto è diventato una sola cosa, così si raccolga la tua chiesa dai confini della terra nel tuo regno: perché tua è la gloria e la potenza per mezzo di Gesù Cristo nei secoli » ( n. 9 ). E ancora: « Ricordati o Signore della tua chiesa, liberala da tutti mali, rendila perfetta nel tuo amore, riuniscila dai quattro venti, santificata, nel tuo regno che per lei hai preparato » ( n. 10 ). Colpisce la chiarezza di alcune verità vissute. La chiesa è oggetto di preghiera perché, pur essendo già un frutto della redenzione di Cristo e benché ad essa appartengano la gloria e la potenza, tuttavia la signoria di Cristo glorioso deve ancora attivamente esercitarsi su di lei per liberarla dal male, perfezionarla nell'amore, riunirla nello spazio e nel tempo, condurla al regno preparato. Vi si scorge sotto l'esperienza della salvezza, di essere cioè un'assemblea di salvati, ma insieme l'esperienza di un cammino di conversione e di santificazione da fare per raggiungere il regno già preesistente e preparato. Elementi di questa duplice esperienza sono la liberazione dal peccato e la santificazione, l'unità dalla dispersione nello spazio e nel tempo, il perfezionamento nell'amore del Signore. Non importa se questo viene vissuto all'interno del dualismo tardo-giudaico che si esprime nell'invocazione: « Venga la grazia e passi questo mondo » ( n. 10 ), o nella concezione apocalittica che fa del regno invisibile e finale qualcosa di preesistente e ipostaticamente sussistente. Ciò che conta è che la comunità è cosciente di vivere dentro di sé la tensione tra chiesa e regno, tra santità e conversione, tra unità e diaspora, tra chiesa e mondo. Di qui l'importanza del nesso chiesa-eucaristia. Nell'assemblea liturgica la comunità, che si riunisce a consumare insieme la cena del Signore, a ringraziarlo e a invocare il suo ritorno, fa concreta esperienza di unità, di salvezza, di liberazione dal peccato, di perfezione nell'amore: sperimenta su di sé la signoria del Cristo risorto che attrae e si dona. L'eucaristia fa la chiesa, nel suo stesso avvenimento. Come il grano sparso sui colli diventa pane spezzato, così la comunità dispersa nel mondo diventa assemblea di santi, popolo di Dio in cammino verso il regno. La Tradizione apostolica di Ippolito di Roma, compilata intorno al 215, esprime invece il tentativo di fissare nella liturgia le acquisizioni tradizionali contro le innovazioni eretiche e di fare della liturgia uno strumento per la difesa della retta fede e della organizzazione ecclesiastica. La liturgia dell'ordinazione dei ministri ( vescovo, presbiteri, diaconi, ecc. ) sottintende l'esperienza di una chiesa come comunità organica di pastori e fedeli, in cui i ministri, tramite l'imposizione delle mani, svolgono l'azione liturgica vera e propria e il popolo partecipa in modo esso stesso articolato, in ministeri o servizi non ordinati, all'unico culto di adorazione e lode a Dio. La chiesa perciò, dilatata nello spazio e nel tempo, tramite il vescovo, offre i doni a Dio, e Dio, buon pastore, tramite il vescovo, pascola il gregge di Dio, per la salvezza dell'intera umanità. Fortemente integrista la concezione sottesa alla prassi dell'iniziazione cristiana: la chiesa è società dei santi, perciò per essere pienamente incorporati ad essa è necessario percorrere un lungo cammino di purificazione e iniziazione che culmina, dopo l'ammissione all'ascolto della parola e al battesimo, nella partecipazione all'eucaristia. Rigorismo comprensibile per il crescente numero dei candidati e per evitare il pericolo delle defezioni. L'incompatibilità di taluni mestieri con lo "status" cristiano testimonia non solo il rigore morale, ma anche l'autosufficienza culturale di questa tendenza tradizionalista che dovrà misurarsi, e in definitiva recedere, di fronte a una più saggia carità pastorale. b. L'esperienza del martirioIn Ignazio di Antiochia ( + 110 ca. ) l'esperienza del martirio ha un profondo significato teologico ed ecclesiale. Stupisce la volontarietà del suo martirio. Egli esorta i romani a non fare nessun passo in suo favore: « Vi scongiuro: non abbiate per me una pietà inopportuna. Lasciate che io sia il pasto delle belve; solo cosi raggiungerò Dio. Sono frumento di Dio e devo essere macinato dai denti delle fiere per diventare pane puro di Cristo » ( Ad Rom 4 ). Non emerge tanto qui, come poi sarà in seguito, il martirio a causa del rifiuto di sacrificare all'imperatore. In tal caso la motivazione sarebbe una testimonianza contro la legittimazione religiosa del potere, contro il cesarismo della politica. Nelle lettere che Ignazio scrive lungo il viaggio è assente ogni preoccupazione per l'incidenza sociale e politica del cristianesimo o per la sua incompatibilità con ideologie terrene. Il motivo è squisitamente teologico: sette di eretici giudaizzanti, di tendenze docetiste e gnostiche, negano l'umanità di Cristo, la sua passione, perché ritengono che Dio non può patire. Coltivano una loro interpretazione delle s. scritture, non partecipano con tutta la chiesa all'assemblea eucaristica e perciò sono separati dal vescovo e gettano la divisione tra i presbiteri. Parlano molto, insegnano, ma compiono pochi fatti. Non resta che compiere un gesto e motivarlo: il martirio. È un fatto, non una parola vana. È un fatto che diventa parola ( Ad Rom. 2; Ad Efes. 15 ). Il suo significato non è un generico conformarsi alla passione di Cristo e così salvarsi. Ma è un dimostrare la serietà e la concretezza della passione di Cristo che si vuole negare; « Se egli [ Dio ] soffrì solo in apparenza… perché sono incatenato? Perché anelo la lotta contro le fiere? Inutilmente andrei alla morte! Una falsa testimonianza darei al Signore! » ( Ad Troll. 10; cf Ad Smyrn. 4 ). Deve essere un gesto volontario, perché questo solo, mentre conforma a Cristo, ne spiega l'intento: egli è stato obbediente al Padre, unito a lui. Ha patito nella carne per essere consenziente con lui nel suo spirito, nell'amore ( Ad Magn. 7 ). C'è l'intuizione infallibile, il senso vissuto di una dottrina cristologica e trinitaria, qui appena abbozzata, che sarà sviluppata in seguito dalla chiesa antica. Se il Cristo non ha veramente patito in unione con il Padre, allora neppure l'eucaristia è una vera passione e risurrezione di Cristo che genera l'unità della chiesa ( Ad Rom. 7 ). Ma dunque la chiesa non è una comunità di salvati e di gente unita nell'amore del Padre e del Cristo. Non resta al vescovo che farsi, con il suo corpo, frumento di Dio in favore della unità della sua chiesa. « Sono la vostra vittima; per voi mi offro in sacrificio, o efesini, chiesa celebrata nei secoli » ( Ad Efes. 8; Ad Magn. 14 ). « Io mi offro in sacrificio per chi si sottomette al vescovo, ai presbiteri e ai diaconi » ( Ad Polyc. 6 ). Solo il martirio del vescovo « che è soggetto all'episcopato di Dio Padre e del Signore Gesù Cristo », dimostrando coi fatti la concretezza della passione di Cristo portata a compimento dai cristiani ( Ad Magn. 5 ), può rendere tangibilmente presente nella chiesa l'unità d'amore tra il Padre e Cristo, e perciò, esigere che i fedeli siano uniti nell'obbedienza al vescovo e nella celebrazione dell'unica eucaristia ( Ad Magn. 5; Ad FU. 4; Ad Smyrn. 8; ecc. ) [ v. Martire I ]. c. Il bisogno pastoraleAnche i bisogni pastorali determinano lo sviluppo della coscienza ecclesiale. Ne abbiamo un caso singolare con s. Cipriano ( + 258 ). Egli è uno strenuo assertore della necessità della chiesa alla salvezza. Sono sue le famose frasi: « Non può avere Dio per padre chi non ha la chiesa per madre » e « Fuori della chiesa non c'è salvezza ». Tuttavia, nel corso della polemica sulla riammissione dei "lapsi" alla comunione ecclesiale ed eucaristica, egli passa da una posizione inizialmente rigorista a un atteggiamento di comprensione e benevolenza. Durante la persecuzione di Decio molti cristiani cedettero alle pressioni e offrirono i sacrifici prescritti ( sacrificati ), o almeno ottennero un certificato falso sull'adempimento del decreto imperiale ( libellatici ). Molti di questi "lapsi" però chiedettero di essere riammessi nella chiesa. Gli atteggiamenti nella chiesa furono diversi, alcuni morbidi ed altri duri. In un primo tempo Cipriano si schierò con gli intransigenti, pur ammettendo la possibilità di una riconciliazione. Poi, in occasione di un'epidemia che falciava molti fra i "lapsi", ritenne di doverli riammettere all'eucaristia se malati. Infine, finita la persecuzione, mentre se ne profilava all'orizzonte un'altra, decretò che tutti i lapsi già inseriti nell'ordine dei penitenti potessero immediatamente essere riconciliati. Non si tratta di un semplice ammorbidimento della prassi pastorale, ne tantomeno di un cedimento nei principi dottrinali. Piuttosto si tratta di una risposta ai bisogni pastorali che si intreccia con un approfondimento della coscienza ecclesiale e della stessa comprensione teologica. Come hanno messo in rilievo M. Flick e Z. Alszeghy,1 Cipriano mantenne sempre il quadro ortodosso del pensiero, la cui norma è la legge del vangelo, conosciuta mediante la s. scrittura, interpretata secondo le direttive del vescovo, in unione con l'episcopato regionale e con i vescovi di tutto il mondo, tenuto conto del parere del popolo cristiano, anche se di opinioni opposte. Come pure tenne fermi i criteri di un corretto agire pastorale quali la necessità dei tempi, la salute dei molti e l'utilità di medicare le ferite. « Come si può esigere che versino il sangue per Cristo coloro a cui il sangue di Cristo è negato? » ( Ep. 57,2 ). d. Predicazione apostolica e senso ecclesialeNella formazione del vissuto ecclesiale non deve essere sottovalutato il "contenuto" della fede. Non può assolutamente essere compresa la spiritualità ecclesiale della chiesa antica e dell'epoca patristica senza fare riferimento alle lotte per la difesa e l'enucleazione del corretto senso della dottrina. Nutriti dalla predicazione apostolica e dalla sua tradizione vivente, nonché dal contatto con la liturgia e le scritture, senso di chiesa e senso di fede ( o senso tradizionale ) si intrecciano indissolubilmente. Ciò che Eusebio di Cesarea chiamerà "senso ecclesiale" trova in Ireneo di Lione ( + 203 ca. ) la sua esemplare formulazione. A torto gli gnostici pretendono di ricollegarsi a una loro interpretazione delle s. scritture, a torto si appellano a una tradizione segreta, a torto esaltano l'esperienza privata, in circoli d'iniziati, della vera gnosi. La verità cristiana è un'esperienza universale ed ecumenica, si fonda su una tradizione pubblica e si nutre delle s. scritture interpretate autenticamente alla luce della predicazione apostolica e del senso ecclesiale dell'universalità dei fedeli. Il vangelo infatti non è una lettera morta, ma una realtà vivente nel cuore di tutti i fedeli che aderiscono alla predicazione degli apostoli. Per questo la verità si manifesta come omonoia, come concordia nella fede di tutta la chiesa dispersa nello spazio e nel tempo e intimamente "unita" nella proclamazione della verità. Il consenso intorno ad alcune proposizioni, credute da tutti e da sempre, diventa regola della fede, alla cui luce si devono interpretare le stesse s. scritture. Ma prima ancora di proposizioni raccolte in un credo comune, « noi abbiamo come regola la verità stessa »,2 dove è chiaro che la verità è una realtà vivente nel cuore stesso dei fedeli, nella totalità della chiesa, precede la sua stessa formulazione ed è capace di avere in sé gli strumenti per espellere i tentativi di falsificazione. Il senso della fede, diffuso nella realtà totale e organica della chiesa, diventa più chiaramente senso tradizionale in Vincenzo di Lerino ( + 450 ca ): « Nella chiesa cattolica si deve avere gran cura nel ritenere ciò che ovunque, sempre e da tutti è stato creduto ».3 Ciò nasce dalla necessità di distinguere il patrimonio della verità di fede dalle opinioni teologiche private, ancorché lecite. Il fraintendimento di alcune frasi del lerinense ha condotto spesso all'immobilismo: « Niente è da innovare se non ciò che è stato tramandato », « Abbandonata l'antichità è esplosa la novità »;4 ovvero al fissismo linguistico: l'intelligenza della fede cresce nei singoli e in tutti « eodem sensu, eademque sententia ».5 Il lerinense in realtà voleva intendere la necessità di un'interrelazione tra lo sviluppo, nell'identità, della intelligenza di fede con la formulazione della fede, così come l'anima si sviluppa in relazione al corpo. e. Il dialogo con la culturaLa riflessione teologica in dialogo con la cultura, seppure rischiosa nella misura in cui può allontanarsi dalla viva esperienza di fede del popolo dei fedeli, è anch'essa un fattore imprescindibile di formazione e sviluppo del vissuto ecclesiale. Da quando pagani colti come Celso ( II sec. ) portarono gravi attacchi al cristianesimo sulla base di argomenti filosofici, il dialogo del vangelo con la cultura divenne improrogabile. Due momenti significativi di questo dialogo sono rappresentati da 0rigene e Dionigi Pseudo-Aeropagita. H. De Lubac6 ha messo in evidenza come Origene ( 185-254 ), assumendo la rappresentazione del mondo e le aspirazioni più vere della cultura ellenistica, ma ripensandole e correggendole per renderle adatte ad esprimere la verità cristiana, abbia collegato l'ascesa intellettuale verso la vera gnosi al processo di interpretazione delle s. scritture. Sicché meditare la bibbia e cogliere nella lettera non solo l'insegnamento etico, ma la sostanza spirituale, diventa anche contemporaneamente una liberazione dal mondo carnale e psichico al mondo della contemplazione spirituale. Interpretare significa applicare la parola a sé, alla propria anima, e cogliere il senso profondo della s. scrittura ( che è poi Cristo stesso, Verbo fatto carne ) al di là della lettera; significa attingere la vera gnosi ( che è però rigorosamente conoscenza di fede ) fino a possederla in pienezza nell'ultimo giorno, quando sarà manifestato il vangelo eterno. Lo stesso De Lubac in un altro lavoro7 ha notato la relazione, nell'ermeneutica di Origene, tra la chiesa e l'anima. Tutto quello che nella s. scrittura conviene alla chiesa, può essere riferito anche all'anima. C'è una corrispondenza tra la crescita spirituale del mondo e quella dell'anima individuale. L'anima è il microcosmo di quel macrocosmo che è la chiesa, sicché tutte le tappe sorpassate dalla chiesa nel suo pellegrinaggio l'anima le ritrova in se stessa nelle vicissitudini della sua vita. Si potrebbe dire: l'ontogenesi mistica riproduce la filogenesi. Il motivo è la misteriosa comunicazione tra le membra e l'intero corpo, allo stesso modo in cui c'è comunicazione tra Cristo, il capo, e la chiesa, il corpo. Il valore spirituale di questa indicazione è evidente: vivere la chiesa, sentire la chiesa, conduce a un più spedito e completo itinerario spirituale. Si deve notare come dietro l'interpretazione allegorica del Cantico dei Cantici la letteratura mistica posteriore ha sempre tradotto il dialogo Cristo-chiesa, intesi quali sposo e sposa, come dialogo tra Dio e anima. Ma spesso, come in s. Giovanni della Croce, il senso ecclesiale rimane sullo sfondo e l'anima individuale occupa tutta la scena. La riflessione di Dionigi Pseudo-Aeropagita ( verso il 500 ), per venire a dialogo con il neoplatonismo, costituisce un altro momento delicato della teologia patristica. Essa ha avuto una grande influenza non solo nella chiesa ortodossa e nella teologia bizantina, ma in tutto il medioevo cristiano e nella spiritualità d'occidente. Secondo L. Bouyer8 in Dionigi è centrale e peculiare la nozione di gerarchia. Egli ripensa la visione neoplatonica dell'essere concependolo come l'Uno che si espande nel molteplice attraverso la scala gerarchica degli esseri, sino a quelli inferiori ( in modo tale però che sia coerente con l'idea cristiana di creazione ) e perciò mostrando il movimento degli esseri come processo e ritorno al Dio trinitario, incessante circolazione di vita, sicché tale gerarchia cosmica aspira all'assimilazione e all'unione con Dio, quel Dio uno e trino, immanente eppure infinitamente trascendente e indicibile, da cui essa procede e verso cui è attratta. Ma è la chiesa di Cristo a rendere possibile ed effettiva l'aspirazione di tutto il creato. Per questo essa si rispecchia nella "gerarchia celeste" e si modella come "gerarchia ecclesiastica" intorno a Cristo, Logos incarnato. Con l'illuminazione della parola e con la liturgia terrena, che esprime ed attua la liturgia celeste, con i vari ministeri gerarchicamente congiunti, la chiesa permette l'attuazione della "conversione" o ritorno di ogni cosa a Dio, dai gradi inferiori a quelli superiori. Tra questi, i monaci pregustano e anticipano la più perfetta unione nell'amore. Origene ha agganciato l'esperienza della chiesa alla lettura della bibbia, Dionigi alla concezione del cosmo. Così hanno assicurato alla civiltà occidentale che interpretazione del libro e interpretazione della natura non fossero disgiunte dall'interpretazione della chiesa, e questa come frutto più prezioso. f. Il caso di s. Agostino fattori di formazione della coscienza ecclesiale che abbiamo illustrato possono essere riscontrati nel singolare itinerario di conversione di Agostino ( 354-430 ). È noto come Agostino sia passato dalla filosofia materialistica e dalla pratica di vita moralmente irregolare al manicheismo, per approdare alla filosofia neoplatonica penetrata sempre più dal messaggio cristiano. J. Maréchai9 ha segnalato l'importanza dell'esperienza ecclesiale al punto decisivo del suo itinerario spirituale, precisamente laddove il suo misticismo neoplatonico assume senza più ambiguità i tratti della fisionomia cristiana. L'esigenza morale di liberarsi dalla sensualità l'aveva condotto al manicheismo e al disprezzo della carne. L'esigenza di vivere dispiegatamente la spiritualità l'aveva condotto al neoplatonismo e alla ricerca dell'unione con Dio. La predicazione di s. Ambrogio e le preghiere della madre cristiana lo avevano condotto al battesimo. Come fa notare L. Bouyer, tutto questo rimane ancora troppo avvolto nel neoplatonismo e nella scissione tra corporeità e spiritualità, sino a quando la liturgia non gli farà scoprire la concretezza della chiesa e, con essa, la logica dell'incarnazione: « Che bisogno avete di cercare colui [ Dio ] che parla, quando è in vostro potere di essere colui che cercate? Tuttavia non è un uomo solo: è un solo corpo, il corpo di Cristo, la chiesa ».10 Per vedere Dio non è sufficiente mettere in disparte il corporeo che, per il neoplatonico, limita l'anima. Occorre accogliere il Dio che viene in Gesù Cristo, e che si fa tabernacolo sensibile sulla terra nella sua chiesa. Sperimentare la chiesa è pregustare sensibilmente la visione finale di Dio. La riflessione teologica e il dibattito pastorale permettono poi ad Agostino di ampliare questa esperienza. La sostanza della chiesa è la carità. Non si tratta solo del tema neoplatonico secondo cui il bene è "diffusivum sui" ovvero che il bene non può essere posseduto se non da tutti insieme. Si tratta piuttosto di cogliere come la carità è partecipazione alla carità propria di Dio, e perciò la comunione nella carità che si vive nella chiesa è riflesso e comunicazione della carità con cui le persone della trinità si amano dall'eternità. Se nel De Trinitate egli arriva a tale altezza speculativa ciò non è soltanto frutto della riflessione su un'esperienza personale, psicologica, ma è anche dovuta al dispiegarsi in lui della carità pastorale. Si sa che Pelagio, monaco bretone ( 354-427 ), intendeva proporre a una cristianità, non proprio rigorosa e santa, la via di uno sforzo ascetico per impedire il peccato e conquistare la santità. Per promuovere ciò insisteva sulla naturale bontà della natura umana ( in ordine alle cose divine ) e sulla sua capacità di imitare Cristo. Agostino ristabilisce il primato e la necessità della grazia per operare bene, dato il peccato di origine ( e l'assoluta trascendenza di Dio). Seppure non priva di toni oscuri e drammatici, la visione dell'uomo offerta da Agostino tendeva esattamente a non fare della santità divina una conquista di pochi, ma un dono per molti, anche per i più semplici. La risposta alla grazia che illumina, previene e salva, poi, è per Agostino non tanto lo sforzo ascetico, pure richiesto, ma soprattutto la carità con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e ogni cosa in Dio. La via del monaco non può sostituire o contraddire la carità del pastore o il retto impegno mondano del "laicos", dell'uomo del popolo. Non a caso il monachesimo istituito da Agostino sarà "clericale", ossia legato alle cure pastorali. Si può comprendere allora la sua frase: « È nella misura in cui si ama la chiesa di Cristo che si possiede lo Spirito santo ».11 2. Eclissi della spiritualità ecclesiale nel feudalesimoNon è mai mancato, ne può mancare, ai cristiani un vissuto ecclesiale. Eppure vi sono stati periodi in cui esso sembra non aver trovato significative vie di esplicitazione tematica. Dalla Regola di s. Benedetto ( 480-547 ) alla Imitazione di Cristo ( sec. XIV ), dal Desimplicitate christianae vitae del Savonarola ( 1452-1498 ) ai Direttorii dello Scaramelli ( 1687-1752 ), negli scritti di spiritualità è spesso del tutto assente la dimensione ecclesiale. Si può trovare una motivazione teologica generale nella osservazione che la chiesa non deve annunciare se stessa, bensì Cristo al mondo, sicché la coscienza di essere chiesa può recedere nell'ombra al fine di evidenziare quella trasparenza. L'amore per la chiesa può giungere a un tale grado di purificazione e identificazione mistica da diventare l'amore della chiesa per il suo Signore e sposo.12 Ma si possono anche trovare motivi storico-sociali e motivi storico-ecclesiali. La coscienza spirituale della chiesa non può mai essere disgiunta dai concreti rapporti interni al corpo ecclesiale, e questi connessi ai più generali rapporti di una determinata società. Da questo punto di vista l'eclissi della spiritualità ecclesiale è dovuta al regime di cristianità e all'identificazione pratica, quando non teorica, tra soggetto ecclesiale e soggetto politico. a. Il regime di cristianitàLe tappe della formazione del regime di cristianità ( nonché quelle della sua progressiva dissoluzione ) sono note. Già con Costantino ( + 337 ) si passa dal conflitto tra cristianesimo e impero alla riconciliazione e al sostegno reciproco, sicché la chiesa è costretta ad assumere moduli di vita dall'organizzazione civile e legittimazioni teologiche del sacerdozio prevalentemente dal VT. Quando poi l'impero entra in fase di dissoluzione per decadenza interna e per le pressioni dei popoli barbari, Gregorio Magno, papa grande e coraggioso ( 590-604 ), assume compiti sussidiari di direzione anche sociale, civile e politica, mentre avvia il processo di evangelizzazione dei barbari e perciò della nuova Europa. Intanto il cristianesimo è passato progressivamente dalle città alle campagne, snidando le resistenze pagane e avvicinando il clero al popolo contadino. Con Carlo Magno ( + 814 ) si forma il Sacro Romano Impero che conosce nella depressione culturale generale un certo rifiorire della teologia, l'intervento dell'imperatore nelle cose religiose, nonché un rafforzamento della organizzazione feudale della società. È nota l'importanza nodale del monachesimo in tutto questo processo. Nato come feconda "fuga dal mondo" di fronte alla dissoluzione civile e morale dell'impero, esso viene a svolgere un ruolo non solo religioso e spirituale, non solo di continuità culturale e di incivilimento, ma anche di aggregazione della nuova struttura economico-sociale, provvidenziale per l'assenza di un potere centrale sia nella chiesa sia nella società civile. Nessuna meraviglia che la spiritualità monastica occidentale prenda una piega etico-pratica, incentrata sulla preghiera e sul lavoro, sul perfezionamento morale e sull'obbedienza e la lode a Dio padre. L'abate non rappresenta l'autorità ecclesiastica, ma piuttosto l'autorità stessa di Dio. Ciò non vuoi dire che il monastero è separato o isolato nella chiesa. Ne è testimonianza il ruolo che esso svolge nella disciplina penitenziale: farsi frate converso diventa fattore privilegiato di penitenza. La liturgia si estende alle popolazioni contadine vicine. L'abbandono sociale e spirituale in cui vive il clero spinge i monaci ad assumere sempre di più compiti pastorali. Analogo discorso vale per la società civile. L'importanza data al lavoro fa del monastero un centro, spesso potente, di vita sociale ed economica la cui struttura modella il feudalesimo. La proprietà delle terre, i contadini legati alla terra da lavorare, la divisione del lavoro manuale da quello intellettuale che i monaci via via si riservano: una struttura autosufficiente e gerarchizzata, in cui vige un rapporto personalistico nella totale assenza di un potere pubblico. Feudalesimo non vuoi dire solo regime di cristianità e confusione tra soggetto ecclesiale e soggetto politico. Per la società vuol dire mancata distinzione tra privato e pubblico, dispersione e anarchia dei centri economici e sociali, a stento tenuti assieme dal vassallaggio e dal controllo imperiale. Per la chiesa vuoi dire mancanza di un'organizzazione unitaria e quindi carenza di condizioni per una coscienza ecclesiale comune. Significa impossibilità di sostenere e qualificare la dignità del clero e la fecondità del suo ministero pastorale. Significa, soprattutto, incapacità di resistere agli abusi dei signorotti e alle ingerenze del potere laicale nelle cose religiose. Come osserva il Lagarde, « questa età insegna altresì che la chiesa resiste più facilmente agli assalti massicci di uno stato potente e unitario che alla sorda conquista di una moltitudine di poteri minuscoli, ciascuno dei quali agisca nel proprio ambito con lo slancio irresistibile delle forze naturali » .13 b. La riforma gregorianaSi può comprendere allora la carica rivoluzionaria insita nella riforma promossa dal monaco Ildebrando, poi salito al soglio pontificio col nome di Gregorio VII ( 1073-1085 ). Egli si preoccupa di garantire la libertà e autonomia della chiesa, spingendo alla distinzione tra potere ecclesiale e potere politico. Due catene dovevano essere spezzate: a. il matrimonio o concubinato dei preti, con cui il clero era legato alla struttura feudale, tramite la successione ereditaria; b. la compravendita delle cariche ecclesiastiche, con cui i signori feudali controllavano l'episcopato. La lotta per le investiture ( dei vescovi da parte dell'imperatore, ma anche dell'imperatore da parte del papa ) non è che il fenomeno esteriore su cui si scaricano quelle contraddizioni: ogni potere infatti era basato su un rapporto personalistico di vassallaggio e perciò su un vincolo di fedeltà garantito da una motivazione sacrale. Gregorio VII avoca a sé il diritto di nomina dei vescovi, depone i vescovi simoniaci ( che hanno comprato, con il feudo annesso, l'episcopato ), ristabilisce il celibato dei preti, ricorda all'imperatore che il legame di fedeltà da parte dei sudditi può essere sciolto dall'autorità spirituale. Libertà e autonomia della chiesa non possono essere garantite che da uno sviluppo del diretto e immediato esercizio del primato di Pietro. Comincia l'accentramento della chiesa intorno alla potestà pontificia, attraverso lo strumento del diritto canonico che viene fatto valere universalmente, attraverso l'allargamento della curia romana e dei legati pontifici, attraverso il sistema fiscale centralizzato. Se la figura di chiesa che ne esce è esattamente quella che oggi, soprattutto con il Vat II, si cerca di ridimensionare attraverso il recupero di verità teologiche ed ecclesiali rimaste in ombra, non c'è dubbio che la riforma gregoriana abbia avviato un processo di profondo rivolgimento sia sul piano della società civile, sia su quello interno alla chiesa. Sul piano temporale essa pone le basi per un superamento dello stesso sistema feudale e sollecita indirettamente la formazione dello stato moderno. Riconducendo infatti la chiesa e la sua organizzazione gerarchica a motivi più rigorosamente pastorali e a una logica autonoma, essa sottrarrà un importante pilastro della vita sociale alla struttura feudale. Differenziando il soggetto ecclesiale da quello politico, promuovendo l'autonomia organizzativa della chiesa e dandole un potere centrale, essa solleciterà l'autorità temporale a fare altrettanto, a ricercare un potere centrale fondato su principi nazionalistici, a cercare la legittimazione non più su un vincolo personale e sacrale di fedeltà, ma su motivi politici autonomi ( Filippo il Bello: 1268-1314 ). Si pongono le condizioni per la nascita dello spirito laico. Sul piano ecclesiale essa da luogo a una dialettica interna tra i tre stati di vita: monaci, chierici e laici. Il monachesimo, sostegno della riforma ( si pensi alla figura di s. Pier Damiani [ 1007-1072 ] e più tardi di s. Bernardo [ 1091-1153 ] ), esaurisce il suo ruolo storico primario, ma non ne esce umiliato, anzi fornisce ancora ispirazione alla spiritualità del clero e dei laici. Il clero ne viene incomparabilmente promosso. È pur vero che esso non conosce ancora una spiritualità propria ( occorre attendere la scuola di s. Sulpizio [ sec. XVII ], e, ancor più chiaramente, il Vat II ), ma viene liberato dalla soggezione alla terra e al potere signorile e avviato a un dispiegato esercizio della pastoralità ( anche se solo il concilio di Trento riuscirà ampiamente in questo ). La libertà del papa è libertà per i vescovi, la libertà dei vescovi è libertà per il clero, e viceversa. Mentre si genera una indubbia clericalizzazione della chiesa ( il chierico vive in uno stato di vita "separato" ), si apre dialetticamente lo spazio ai movimenti laicali e, quindi, a una spiritualità laica. Se i bogomili e i catari hanno una derivazione cristiana non genuina, venata di manicheismo, se la patarìa milanese può essere vista come un limitato fenomeno di reazione alla corruzione del clero, se alcuni movimenti hanno esito ereticale e scismatico, come i valdesi o i lollardi, mentre altri mantengono un carattere di ortodossia e di legame ecclesiale, tuttavia fattori comuni sembrano essere, dai fratelli della vita apostolica sino alle beghine e alla "devotio moderna", il loro carattere laico e per lo più la loro organicità alla nuova classe emergente, la borghesia cittadina. Da questo punto di vista anche gli ordini religiosi, specie quello fondato da Francesco d'Assisi ( ca. 1182-1226 ), possono essere considerati, all'origine, come movimenti laicali attenti ai nuovi fermenti della vita cittadina. Che poi la lungimirante sorveglianza dei pontefici abbia voluto dare loro un carattere più "clericale", di inserimento nella vita culturale e nella organizzazione unitaria della chiesa, testimonia della importanza, e della capacità, di una saldatura tra due poli in tensione. 3. Movimenti di riforma ereticali e scismaticiGli ordini religiosi non poterono però impedire che scoppiassero quelle dolorose fratture che anche oggi alimentano la polemica religiosa e che hanno radici nell'alto medioevo, nella chiesa uscita dalla riforma gregoriana: la frattura tra Cristo e la chiesa, tra chiesa istituzionale e chiesa di popolo, tra chiesa e regno di Dio. Dal medioevo sino all'epoca contemporanea la spiritualità ecclesiale vive prevalentemente sotto forma di ansia per una riforma della chiesa nel tentativo di conciliare quelle fratture. Nonostante la grandezza dell'opera di Gregorio VII, la chiesa che ne esce appare infatti una chiesa potente, ricca, che vuole influenzare e dirigere la cristianità, clericale e giuridicista. Non è possibile ricondurre ad un unico comun denominatore le varie spinte e tendenze alla riforma della chiesa. È possibile però individuare i tratti comuni di quelle aspirazioni nonché i germi del loro esito ereticale e scismatico, ovvero ortodosso ed effettivamente rigeneratore. a. La chiesa tra vangelo di Cristo e regno dello SpiritoI modi e la profondità della crisi possono essere studiati nell'opera del monaco cistercense calabrese Gioacchino da Fiore ( 1145-1202 ). Egli individua nella storia tre tempi, quello del Padre, che si estende dalla creazione sino a Cristo, quello del Figlio, che si estende da Cristo sino all'epoca contemporanea, e quello dello Spirito, che è prossimo a venire e a rigenerare il mondo instaurando il suo regno terreno millenario. È discutibile se egli abbia effettivamente inteso l'avvento dello Spirito come totalmente escatologico, oppure se il suo vangelo eterno non sia altro che la sostanza spirituale dello stesso e unico vangelo di Gesù Cristo che deve svilupparsi nella storia fino alla pienezza. Se egli è eretico, il suo errore consiste nel non aver compreso che lo Spirito è stato dato alla chiesa una volta per tutte dal Cristo risorto, e che una periodizzazione della storia che divide ( per non dire: oppone ) le persone della divina trinità non è praticabile, in quanto ognuna non agisce, in ogni tempo, se non in concomitanza con le altre. Comunque lo si interpreti, il suo pensiero è espressione di un'estraneazione dal riconoscimento del mistero della chiesa. Egli non riesce a vedere nella chiesa attuale il nesso pieno con il vangelo di Cristo, nella comunità attuale dei credenti la chiesa dei santificati dallo Spirito, e perciò pone come aspettativa totalmente futura quel regno millenario che in realtà è già dato, seppure nascostamente e germinalmente. A guardar bene, la sua utopia del regno millenario, in cui vigerà la giustizia, la povertà e la comunanza dei beni sotto la guida dei monaci, veri uomini spirituali, è abbastanza regressiva nella misura in cui tende a perpetuare un mondo già in declino e ad assicurare un nuovo ruolo al monachesimo che sta finendo la sua funzione storica egemone nella chiesa e nella cristianità. Ciò nonostante il suo pensiero, distorto che sia, non a caso influenzerà molti movimenti spirituali e populistici, dai francescani "spirituali" di Angelo Clareno ( 1247-1337 ), al comunismo di certi anabattisti ( sec. XVI ), alle furie pauperistiche del Savonarola. Egli aveva ormai colto la difficoltà al riconoscimento pieno del mistero della chiesa e acceso il fuoco della tensione tra vangelo e chiesa, tra chiesa istituzionale, potente e ricca, e chiesa popolare, spirituale e povera, tra regno di Dio e comunità storica. Ma fu con Wyclif ( 1320-1384 ) che il disagio e le tensioni presero forma di una vera alternativa storica. Le classi emergenti dalla cristianità feudale ormai da tempo premevano per un riconoscimento dei diritti di proprietà assieme all'esigenza di uno stile di vita più laborioso ed evangelico, rispetto a quello che offrivano chierici e feudatari. Nel frattempo, nonostante l'esaltazione della potestà pontificia e della centralizzazione operata da Gregorio VII, la chiesa conosce una grande crisi al vertice, dovuta anche alle spinte nazionalitarie e alle teorie conciliariste, crisi che culminerà nel cosiddetto "scisma d'occidente" ( 1378-1449 ). Si cercava un nuovo assestamento della stessa struttura costituzionale della chiesa. Fu facile raccogliere in un unico sistema di pensiero le tradizionali aspirazioni riformatrici: il ritorno al vangelo e all'assoluta normatività della s. scrittura contro le sofisticherie degli scolastici e gli appesantimenti interessati della tradizione; il rifiuto, sottilmente manicheo, dei ministeri e dei sacramenti in favore di un'autogestione laica della comunità e di un impegno etico che scaturisca dal significato dei gesti liturgici; la netta opposizione tra chiesa spirituale dei santi ( che hanno diritto di proprietà ) e chiesa istituzionale, potente, ricca e corrotta ( che non ha diritto di possedere e di esercitare il ministero ). La miccia accesa da Wyclif esplode con J. Huss ( 1369-1415 ), l'infaticabile riformatore boemo, ma trova piena maturità ed esito scismatico solo con M. Lutero ( 1483-1545 ). b. L'istanza del qualitativoI tratti teorici della riforma di Lutero non sono molto diversi da quelli di Wyclif e di tutta la tradizione riformatrice. In Lutero però vi sono più robuste e profonde le linee di una spiritualità ecclesiale. A rigore, non si potrebbe neppure parlare di una spiritualità come disciplina distinta e separata, dal momento che questa è tutta assorbita nella "fede" che scaturisce dall'ascolto della parola. Unico e legittimo punto di partenza per la conoscenza di Dio, la parola evangelica assorbe tutta la qualità dell'esistenza cristiana. Così la vita spirituale è radicalmente solo la vita della fede, mediante la quale l'uomo, da peccatore che era, si riconosce salvato. Sicché anche la chiesa è radicalmente solo una creatura della parola vivente. La sua sostanza è il vangelo stesso, non i credenti. È la parola che convoca i credenti e li fa una comunità di santi. La tradizionale scissione tra chiesa e vangelo viene superata in modo radicale. Come pure viene superata la scissione tra chiesa santa e invisibile e istituzione visibile e peccatrice. È la parola infatti che costituisce la chiesa in quanto santifica le membra peccatrici. La vera chiesa dunque è solo quella dei santi e le note che la fanno riconoscere sono il puro evangelo e la retta amministrazione dei sacramenti. L'ordinamento ecclesiastico e i ministeri perciò non hanno ragione di sussistenza se non in quanto, e nella misura in cui, esprimono il puro accadimento del vangelo e della santità che esso produce. Viene così superata anche la scissione tra clero e laici ( nonché lo stato di vita monastico ): nessuno, nella chiesa, è oggetto di cura pastorale, ma può essere solo soggetto della parola, perché in definitiva è solo la parola che amministra la misericordia di Dio e tutti ne siamo i soggetti. Va da sé che non c'è più neppure separazione tra comunità dei santi e regno di Dio: la storia infatti è intellegibile solo come mossa dalla parola di Dio e perciò, mentre l'umanità cammina corrotta verso la sua distruzione, viene salvata dal vangelo la porzione di umanità fedele, come si manifesterà negli ultimi giorni, i quali sono vicini. Intanto il regno di Dio vive nascosto in una storia e in un mondo che rimangono ambigui. Si potrebbe dire che in Lutero l'istanza del "qualitativo" cristiano ed ecclesiale assuma la sua forma più radicale ed esclusiva. Ma questa radicalità ed esclusività costituiscono anche il grave limite della riforma. La qualità vive a spese di gravissime "riduzioni". Il vangelo mangia completamente l'ordinamento ecclesiale, il regno di Dio mangia completamente la chiesa, il laico viene ad assorbire completamente il prete ( e il monaco ). La chiesa si disperde e si confonde nella cristianità ( che è poi quella della classe ascendente, la borghesia, a cui la riforma è organica ) per essere tratta fuori appena dalla disciplina della parola e della fede interiore. c. Regno e rivoluzioneInesorabilmente perdente è l'anima rivoluzionaria ed estromessa dalla riforma rappresentata da Th. Muntzer ( 1490-1525 ).14 V'è qui non la centralità della parola di Dio, bensì l'esperienza dello Spirito fatta dalla comunità ecclesiale. La chiesa non è un'astratta e rarefatta creatura della parola, ma un popolo concreto, una cristianità chiamata a conoscere Dio in una rivelazione aperta, non fissata nella lettera morta della s. scrittura, ma vivente nel cuore degli uomini. Muntzer vede bene che la giustizia imputata per fede sfocia nel quietismo, non cambia moralmente il singolo ne l'ordine sociale esistente. In realtà per conoscere Dio nell'intimo del proprio cuore occorre lottare duramente contro le passioni carnali. Se a condurre il popolo alla santità e alla conoscenza di Dio non riescono i ministri della chiesa cattolica ( non può condurre all'esperienza dello Spirito chi non ha l'esperienza dello Spirito ), tanto meno possono riuscirvi i predicatori luterani, che alla chiesa giuridista e papista sostituiscono il ministero delle università e dell'esegesi. Ma la parola di Dio non è una lettera morta, il cui giudice sia un teologo carnale, bensì una parola vivente al servizio della crescita del popolo. La chiesa qui tende ad identificarsi a poco a poco con la classe proletaria. Questa identificazione nasce dalla critica alla dottrina dei due reggimenti di Lutero. L'autorità politica non ha, come vuole Lutero, il compito di mantenere l'ordine esteriore, ma di reprimere i malvagi e favorire la santità del popolo. Ponendo un'astratta separazione tra chiesa e autorità politica, in realtà Lutero legittima l'abuso dei potenti e con la predicazione ai poveri li convince a starsene soggetti. L'autorità politica controllata dal popolo deve in realtà accelerare la fine del "quinto regno", quello dell'alleanza tra potere spirituale e potere temporale, e lottare per l'istaurazione del regno di Dio, in cui non vi sia più conflitto tra chiesa visibile e chiesa dei santi. Mosso da preoccupazioni decisamente pastorali, rotta l'unità con la chiesa cattolica, al Muntzer non rimane che portare alle ultime conseguenze i principi della riforma ( contro i suoi esiti conservatori ) verso una lotta dei contadini e degli operai contro i principi e i borghesi. A testimonianza che le riforme luterana e ancor più muntzeriana rimangono legate all'identificazione medievale tra chiesa e cristianità, senza trovare, nella ricerca del "qualitativo" ecclesiale, la via per uscirne. 4. Movimenti di riforma ortodossiCaratteristico della tradizione riformatrice ortodossa è invece il rifiuto della opposizione tra Cristo e chiesa, tra chiesa istituzionale e chiesa santa e/o popolare, tra chiesa e regno di Dio. Essa lotta e soffre per la santità della chiesa storica e visibile e per la sua riforma, senza però pensare, nella ricerca esasperata del "qualitativo" cristiano, di sconvolgere l'ordinamento ecclesiale ricevuto normativamente dal NT e tentando di formulare via via nuovi rapporti nella distinzione con l'ordinamento civile e politico. Bisogna rimarcare tuttavia che nel suo sviluppo tale tradizione cattolica, anche a causa delle tendenze ereticali e scismatiche, ha eccessivamente accentuato la difesa della chiesa istituzionale ( vedi controriforma ), e messo la sordina alla tensione escatologica nonché alla radicalità del riferimento evangelico. a. L'umanità di Cristo e la santificazione della chiesaUna figura assai significativa della riforma cattolica è quella di s. Caterina da Siena ( 1347-1380 ),15 nella quale emerge nettamente una vera spiritualità ecclesiale. È significativo il fatto che anche Caterina, come Muntzer, il riformatore popolare non borghese, parta dall'esperienza spirituale e dal problema del discernimento dello Spirito, e come da questo patrimonio mistico entrambi sfocino in un'azione pastorale riformatrice, ma di esito assai diverso. L'esperienza spirituale di Caterina è fortemente radicata, infatti, nell'umanità crocifissa e gloriosa di Cristo. Questo le permette di non separare nell'esperienza dell'anima individuale il dialogo col Padre dalla parola evangelica di Cristo o questa dal dono dello Spirito santo. Conoscenza mistica di Dio, rivelazione biblica ed esperienza dello Spirito sono profondamente unite nella concretezza del costato aperto di Cristo, vivente nell'eucaristia, nei ministeri, nella chiesa. Per questo la riforma della chiesa scaturisce unicamente dalla carità crocifissa del Verbo incarnato, che chiama alla collaborazione l'uomo, che chiama tutti i fedeli a lavorare attivamente alla vigna del Signore per restaurarla. Ciò si attua comprendendo e amando il cuore di Gesù, che manifesta l'amore del Padre. Occorre passare dal timore servile ( l'ordinamento ecclesiastico puramente giuridico ) alla carità che accetta di soffrire per la salvezza di tutti. Tocchiamo qui una netta ripresa della spiritualità ecclesiale incentrata sulla nozione della sostituzione vicaria e sulla comunione mistica tra santi e peccatori. Chi è santo chiede di soffrire con Cristo per la conversione dei peccatori, perché un legame misterioso lega la comunità ecclesiale, anzi tutti gli uomini. Non è un legame puramente invisibile, ma organico. Esso è infatti attuato dal Verbo incarnato che si unisce indisgiungibilmente, personalmente, ai sacramenti e ai ministeri. Per questo i santi devono pregare per la santificazione dei ministri e dei pastori, fustigare con amore i loro vizi e i loro difetti. Con amore, perché non si può fare a meno dei ministri, anche se peccatori e corrotti: i sacramenti da loro amministrati infatti valgono in forza dell'azione del Cristo risorto, non in forza della loro personale santità. Tanto meno poi si può ricorrere al potere temporale per castigare i pastori corrotti. Compito del potere politico infatti è la promozione della giustizia, non la santificazione della chiesa. Questa è opera solo di Cristo e dei fedeli che accettano di soffrire con il suo cuore, facendo crescere la carità nel corpo mistico di Cristo. La stessa carità di Cristo guida al discernimento interiore, alla profezia esteriore, alla carità sociale ( che è il vero problema della cristianità e il segreto del mantenimento degli Stati ) e alla carità pastorale. b. Riforma cattolica e carità pastoraleSono così delineate le direttrici della riforma cattolica. Perfezione spirituale e impegno per la santificazione della chiesa si riscontrano frequentemente unite negli scritti e nelle opere di molti religiosi, da s. Caterina de' Ricci ( 1522-1590 ) a s. Maria Maddalena de' Pazzi ( 1566-1607 ). La carità sociale trova un fervore, specie in Italia, di iniziative assistenziali, che costituiranno a lungo il tessuto connettivo della solidarietà sociale carente nello stato signorile prima, assoluto poi, liberale infine. Ma accanto alla poderosa spinta missionaria verso il nuovo mondo, il dato più caratteristico della riforma cattolica è l'imporsi della carità pastorale. La figura di vescovo che esce dalla riforma tridentina, emblematicamente raffigurata da s. Carlo Borromeo ( 1538-1584 ), rompe definitivamente con la commistione feudale tra sacerdozio e autorità politica. Sebbene l'influenza della chiesa nella direzione della cosa pubblica tenda a continuare sotto la forma della "potestas indirecta" ( s. Roberto Bellarmino: 1542-1621 ), tuttavia la pastoralità del ministero non da più luogo ad equivoci. I vescovi hanno obbligo di residenza in diocesi, si combatte l'accumulo delle cariche ecclesiastiche, con le visite pastorali si esercita l'episcopato, ovvero la sorveglianza sull'insegnamento del catechismo, sull'amministrazione dei sacramenti, sulla cura pastorale dei parroci. Il vescovo insomma torna ad essere il buon pastore che da la vita perché Cristo cresca nei fedeli. c. Tra obbedienza e libertàRisvolti negativi e limiti ve ne furono. La spiritualità ecclesiale tende ad irrigidirsi, dalla controriforma in poi, in aprioristica difesa della gerarchia, dando origine a una sorta di volontarismo ecclesiastico. S. Ignazio di Loyola ( 1491-1556 ) scrive nelle « regole per ottenere il senso vero della chiesa militante » al termine dei suoi Esercizi spirituali: « Dobbiamo sempre ritenere, per riscontrarlo ovunque, che il bianco che vedo è nero, se la chiesa gerarchica così stabilisce ».16 Ciò corrisponde al carattere battagliero e pragmaticamente apostolico della spiritualità ignaziana, e perciò gesuitica. Negli Esercizi spirituali si chiede di scegliere la bandiera, di fare una scelta di campo teorica e pratica, di fede e di prassi, verso la chiesa e contro i suoi nemici storicamente individuati. Ciò anche a detrimento delle verità naturali e storiche che possono essere racchiuse nella posizione degli avversari. Quello che conta è scegliere quella parte storicamente determinata che racchiude in sé potenzialmente il tutto. Si dice che quella frase sopra riportata fosse rivolta contro l'umanesimo individualistico di Erasmo da Rotterdam ( 1467-1536 ), del tutto privo del senso di chiesa. Ma non potrebbe nulla contro l'umanesimo, assai più ortodosso, di s. Tommaso Moro ( 1478-1535 ),17 che avanza con la sua testimonianza e il suo martirio i diritti della libertà di coscienza. Lacerato tra la fedeltà al suo re e la fedeltà alla chiesa, Tommaso Moro accetta di salire al patibolo non per una aprioristica fedeltà alle ragioni del papa, ma per non peccare contro la propria coscienza, e così dannarsi l'anima. Convinto della verità delle ragioni della chiesa, scongiura il suo sovrano di mostrargli le sue ragioni e di convincerlo che il bianco è nero. Non ricevendole, si piega alla mannaia per non contraddire la persuasione della sua coscienza. Una lacerante tensione tra obbedienza all'autorità e libertà di coscienza è innescata non fuori, ma all'interno della stessa spiritualità ecclesiale. d. Pietà popolare e rappresentanza vicariaNon vi sono, nell'epoca degli Stati assoluti e dell'illuminismo, significativi sviluppi della spiritualità ecclesiale. Il nuovo equilibrio di alleanza tra trono e altare non favorisce la esplicitazione tematica dell'essere chiesa nella spiritualità. La quale, pure, conosce in questo periodo la sua epoca classica. Anche la teologia si rivolge prevalentemente ai temi antropologici del rapporto tra natura e grazia. Mentre nella morale ufficiale si deve cercare un equilibrio tra lassismo e rigorismo, la pietà popolare, esente da questi eccessi e sostenuta da una religiosità umana e affettiva ( s. Alfonso de' Liguori: 1696-1787 ), si sviluppa come un filone sotterraneo che si piegherà, tramite le devozioni al Cuore di Gesù e al Cuore Immacolato di Maria, nell'800, a convergere con il movimento di esaltazione del primato del romano pontefice ( 1870 ). Occorre sottolineare il ruolo della pietà popolare e della spiritualità delle devozioni, perché in esse vivono e rimangono presenti temi di spiritualità ecclesiale assenti nella teologia dotta. È stato sottolineato da J. Ratzinger18 il valore cristologico ed ecclesiale della devozione al s. Cuore. In esso vive il tema della rappresentanza, per amore, che Gesù esercita presso il Padre in sostituzione della nostra incapacità di vincere il peccato. La devozione all'amore ferito di Cristo esprime la nostra volontà non solo di riparare, per amore, alle offese recate dagli uomini, ma anche di suscitare, attraverso la nostra volontaria accettazione, per amore, della sofferenza, la grazia della conversione dei peccatori. In tal modo viene vissuto, prima che pensato, il mistero della chiesa che è nel mondo servizio di salvezza per molti, segno efficace della solidarietà di tutto il genere umano. Il nesso tra movimento mariano e principio petrino è stato notato da H. U. von Balthasar.19 La devozione a Maria e la comprensione vissuta della sua maternità spirituale verso la chiesa e verso i cristiani sviluppano enormemente il senso ecclesiale e, di fatto, si trovano intimamente congiunte con la comprensione e l'amore per il ministero del romano pontefice. Non di rado questi movimenti popolari di devozione però si colorano di toni apocalittici e catastrofici con la ingenua tendenza a individuare nell'avanzata delle forze storiche innovatrici i segni premonitori dei conflitti, tra la chiesa e l'anticristo, che precedono la fine. 5. Rinascita e dispiegamento della spiritualità ecclesialeLa spiritualità ecclesiale conosce una vera e propria rinascita nell'epoca contemporanea. La rivoluzione francese ( 1789 ), con la sua fuga verso un progetto, di società programmaticamente e dispiegatamente laica, con il suo tentativo di transizione democratica, conduce a maturità i frutti della distinzione tra potere spirituale e autorità politica, i frutti dello spirito laico che da tempo s'era venuto formando. Anche il tentativo di restaurazione cattolica non può non patire la novità rivoluzionaria, ed è costretto ad assumere elementi delle nuove concezioni, sino ad assimilare la positiva fecondità delle libertà civili, della democrazia, della istanza della nuova socializzazione. a. La chiesa tema esplicito di spiritualitàLa spiritualità ecclesiale diventa fattore non collaterale ma essenziale, e spesso decisivo, della perfezione cristiana. Lo vediamo in A. Rosmini ( 1797-1855 ).20 Nelle Massime di perfezione egli, per la prima volta dopo tanto tempo di letteratura spirituale, pone tra i « fini dell'operare cristiano in semplicità » non solo « Desiderare unicamente e infinitamente di piacere a Dio, cioè di essere giusto » ( 1a massima ), ma anche « Rivolgere tutti i propri pensieri ed azioni all'incremento e alla gloria della chiesa di Gesù Cristo » ( 2a massima ) e ancora « Rimanere in perfetta tranquillità circa tutto ciò che avviene per divina disposizione, non solo riguardo a sé, ma anco riguardo alla chiesa di Gesù Cristo, operando a pro di essa dietro la divina chiamata » ( 3a massima ). Operare per la chiesa, essere chiesa, mantenendo la tranquillità spirituale nelle sofferenze proprie e della chiesa, a causa della chiesa e da parte della chiesa, diventa esplicita finalità spirituale, luogo in cui si gioca la propria perfezione cristiana. Si deve notare anche che per chiesa non si intendono più, come in s. Caterina da Siena, i sacri ministri, ma l'intera comunità dei fedeli di cui i vescovi e il papa sono "parte essenziale", non caduca. Poiché tutta la chiesa è messa in questione nel suo stesso essere dalla frattura rivoluzionaria, allora si acquista coscienza della totalità della chiesa come corpo mistico di Cristo ( con questa espressione s. Caterina, poco rigorosa nell'uso dei termini teologici, intendeva, non a caso, la sola gerarchia ). Tutta la chiesa, oggetto e fine di spiritualità, comprende in Rosmini non solo quella militante come in s. Ignazio, ma anche quella purgante e quella trionfante. Così non si dimentica la tensione al regno di Dio. « Tutte le compiacenze del Padre sono riposte nel Figlio, quelle del suo Figlio nei fedeli suoi che formano il suo regno ». Ma bisogna pregare e desiderare che tutti i membri della chiesa giungano a perfezione nel regno e in tal modo venga il regno che glorifica il Padre. Il principio di passività comune a tutta la tradizione spirituale cristiana diventa un soffrire in tranquillità di spirito per tutto ciò che accade alla chiesa, sicuri della provvidenza divina e della indefettibilità della chiesa promessa da Cristo. Ma significa anche soffrire in tranquillità di spirito per tutto ciò che accade a sé a causa della chiesa ed anche da parte della chiesa ( Rosmini lo sperimenta nella propria vicenda personale ). Passività però vuoi dire purificazione, non inattività. Al contrario, l'agire cristiano è indispensabile e si orienta in queste tre direzioni insostituibili: verso il perfezionamento di sé, verso il perfezionamento della chiesa, verso il perfezionamento della società. Anche se, e proprio perché, queste tre sfere tendono a diventare relativamente autonome, occorre che siano tra loro coordinate. In tale modo si può rispondere alla sfida illuministica e rivoluzionaria che cerca l'uomo emancipato ed emancipatore. L'agire in carità, infatti, ormai deve essere un agire intelligente, cioè maturo, adulto. L'abbandono alla provvidenza è essenziale a purificare in senso cristiano la stessa intelligenza. La carità, e solo la carità, ci dice Rosmini in altre opere, è la sostanza e il fondamento della chiesa. La sua costituzione giuridica non potrebbe reggere agli eventi se non fosse sostenuta dal mistero della carità che il Padre ha verso suo Figlio, e il Figlio verso i fedeli, e i fedeli tra loro e nel mondo. Il vero ordinamento della chiesa è un ordinamento spirituale, quello della carità. Intelligenza della storia e penetrazione del mistero permettono a Rosmini il salto di qualità nella spiritualità cristiana. Egli riesce a rompere con molti luoghi comuni del pensiero cattolico della restaurazione. Animato, come il grande Gregorio VII, dalla preoccupazione per la libertà della chiesa, comprende il principio che questa non è garantita che all'interno di una libertà ( sociale, civile e politica ) per tutti. Perciò non cade nell'equivoco controrivoluzionario. Anzi, rompe con i vagheggiamenti medievalistici dei restauratori romantici e annovera tra le piaghe della santa chiesa la separazione del clero dal popolo attuatasi nel medioevo. La riforma della chiesa deve ormai avvenire tenuto conto sia del mistero interno della carità e dell'unità tra pastori e fedeli, sia delle condizioni storiche esterne post-rivoluzionarie non tutte cattive, comunque difendendo sempre la libertà della chiesa. b. Rinascita ecclesiologica e mistero della chiesaAnche la riflessione dei teologi non tarda a fare oggetto delle sue preoccupazioni il mistero della chiesa. Precursori della rinascita ecclesiologica ( che si svilupperà nel nostro secolo sino a culminare nel Vat II ) sono in Germania I. A. Moehier, in Inghilterra I. H. New man, in Italia la scuola romana, più tardi J. M. Scheeben. Caratteristica di questa rinascita è il recupero del mistero, ma in modo organico, nell'unità tra aspetto visibile e invisibile della chiesa non più, come nella riforma protestante, in un'esasperazione del "qualitativo" che estenua l'esterno ordinamento, ma superando anche decisamente i limiti dell'ecclesiologia della controriforma che esalta il momento giuridico e l'ordinamento a scapito del "qualitativo" e, in definitiva, del mistero. È nota la frase con cui, ironicamente, J. A. Moehier riassumeva la concezione ecclesiologica in vigore dalla controriforma: « Dio ha creato la gerarchia e con ciò ha provveduto a sufficienza alla chiesa ». Occorreva recuperare il corpo della chiesa, il popolo dei fedeli. Ma ancor più occorreva recuperare il mistero. Nel volume L'unità nella chiesa21 egli mostra la chiesa fondata dall'invio dello Spirito santo nella Pentecoste, e quindi realtà intimamente spirituale, ma che cresce e si articola come un organismo vivente la cui anima ( lo Spirito, la comunione, la carità ) spinge le membra a crescere e ad articolarsi in organi sempre più complessi. Nell'opera successiva, la Simbolica,22 egli completa la prospettiva affermando che la chiesa nasce sì dallo Spirito, ma è esplicitamente ed autorevolmente mandata da Cristo, con il quale mantiene un legame mistico. Essa è quasi una continuata incarnazione. L'aspetto interiore messo in luce ne L'unità della chiesa si coordina qui con l'aspetto esterno: la predicazione esterna, l'amministrazione dei sacramenti, l'autorità e la disciplina sono in collegamento visibile e verificabile con il positivo mandato di Cristo. Sicché non si può separare l'anima dal corpo, ne subordinare il corpo alle sole esigenze dello Spirito. Rimane tuttavia, in questa visione, un accentuato senso mistico, che fa della chiesa nei suoi aspetti visibili e invisibili, esterni ed interiori, un unico mistero di salvezza. Anche l'itinerario della conversione di J. H. Newman23 dall'anglicanesimo al cattolicesimo mette in luce la riscoperta del mistero della chiesa, realtà indisgiungibilmente visibile ed invisibile. Egli non è condotto da alcun'altra preoccupazione che cercare la pienezza della verità cristiana e la sua realizzazione temporale e storica nella vera chiesa. La trova nella chiesa cattolica che man mano, lungo lo studio assiduo dei padri e della storia, gli si rivela come lo stato adulto del cristianesimo, il punto più alto e completo della crescita e dello sviluppo della realtà cristiana. L'esperienza di Dio la si può fare pienamente solo in Cristo. L'esperienza di Cristo può essere fatta in modo compiuto e dispiegato solo nella chiesa, che è come una continuazione della logica dell'incarnazione. E precisamente in questo: nell'autorità e nei sacramenti. Ora, solo la chiesa cattolica ha mantenuto, lungo la storia, la pienezza di questi due elementi. L'autorità ecclesiastica infatti, contro quanto afferma lo spirito razionalistico, è mossa in ogni suo agire e in ogni sua ragion d'essere dalla ripresentazione del mistero della passione di Cristo che si fa servo e obbediente sino alla morte per salvare molti. Quanto ai sacramenti, essi offrono lungo la storia, ai contemporanei, la presenza rivelatrice di Cristo, e permettono, in forma concreta, un vero incontro con Dio. L'aspetto visibile e storico della chiesa, che si articola nella autorità e nei sacramenti, è dunque lo strumento essenziale e indispensabile per generare la comunità dei santi che unisce le anime a Dio attraverso Cristo. L'approdo alla chiesa cattolica non coincide in Newman, come spesso capita, con un irrigidimento conservatore. Anzi egli porta nel cattolicesimo lo stimolo di istanze rinnovatrici, dalla concezione dinamica dello sviluppo dei dogmi, alla sollecitazione a far partecipare tutti i fedeli alle definizioni dogmatiche della chiesa, dalla attenzione per un accordo tra dogma e itinerario psicologico e soggettivo della fede, all'apostolato dei laici. Storicità, soggettività, comunitarietà entrano nella chiesa cattolica senza lacerarla, anzi esaltandone la scoperta del mistero. I teologi della scuola romana, attenti e non ottusi moderatori dell'ortodossia e del cattolicesimo, accolsero le nuove suggestioni, ma ripensandole senza soluzione di continuità con la tradizione controversistica ( G. Perrone ) e scolastica ( C. Passaglia, C. Schrader, J. Franzelin ). Geniale la elaborazione di C. Passaglia.24 Nel trattato De Ecclesia Christi egli mette a punto la sostanza teologica della chiesa mostrandone la derivazione trinitaria, e perciò trovando un nuovo equilibrio tra chiesa dei giusti attratta dal Padre, comunità visibile o storica uscente da Cristo, e realtà spirituale animata dallo Spirito santo. Egli rifiuta di dare una definizione univoca ed esaustiva della chiesa e riprende la molteplicità di immagini bibliche offerte dalla tradizione patristica. Collega poi la chiesa alla tradizione vivente concependo il concetto di "economia della salvezza" e della trasmissione veritativa. Sicché la chiesa è nella storia organo di trasmissione della rivelazione e di attuazione della salvezza trans storica, ma dunque anche organo della salvezza di tutto il genere umano, in quanto organo della parola di Dio che, unica, è sovrana. La non totale identificazione tra parola di Dio e dogma, la non totale identificazione tra tradizione vivente e magistero, tra chiesa e gerarchia, e quanto meno tra chiesa e cristianità, non è estranea alle aperture liberali e conciliatrici del Passaglia, diplomatico e scrittore politico. Di grande rilievo poi è il fatto che la dottrina della grazia viene ripensata in lui all'interno della ecclesiologia. La grazia non è solo la grazia di Cristo trasmessa a ogni fedele, ma è la grazia del capo trasmessa al corpo ( la chiesa ) e a ogni singolo fedele. La grazia è ecclesioforme. E consiste non più solo in una presenza ontologica creata nell'anima del giusto, ma è l'inabitazione personale dello Spirito, e con lui, del Padre e del Figlio, nel cuore del credente. La grande stagione teologica però non attecchì molto nella chiesa, preoccupata della riforma pastorale, della confutazione degli errori filosofici e politici del tempo, della riscossa sociale e politica, in una parola dei problemi della "cristianità". c. Il risveglio della chiesa nelle animeTra le due guerre, allorché ci si accorge del carattere totalizzante della società borghese e si tenta di reagire globalmente alla sua decadenza, anche la spiritualità è stimolata a un ripensamento complessivo dell'essere chiesa e della sua capacità a rispondere alla interezza dei problemi umani, all'interno di un mondo ormai concepito come totalità. R. Guardini, sacerdote tedesco di origine italiana, scrive nel '22 un volume su Il senso della chiesa,25 che inizia con queste parole: « Un processo di incalcolabile portata è iniziato: il risveglio della chiesa nelle anime ». Egli cerca di presentare la chiesa come la risposta globale alla crisi individualistica della società borghese. La chiesa infatti, come realtà vivente e organica, risponde al bisogno comunitario dell'uomo che l'evoluzione storica della società reprime ma non sopprime. Ciò non vuoi dire soffocamento della personalità. Al contrario, soddisfa il bisogno di un legame societario a cui la persona è costitutivamente aperta e senza il quale non può pienamente realizzarsi e svilupparsi. In questo senso la chiesa realizza il vero umanesimo. Nonostante le pecche e gli errori, la chiesa pone la realizzazione dell'uomo in ciò che lo apre a un rapporto vivo con il tutto, con l'incondizionato, con l'assoluto. « La chiesa è l'intera realtà veduta, valutata, vissuta dall'uomo totale. In lei soltanto c'è la totalità dell'essere… la totalità del reale, vissuta e dominata dalla totalità dell'umano » ( p. 91 ). Aprendo l'uomo alla vita oltre la storia, essa libera l'uomo dalle contingenze, e perciò lo emancipa, dandogli un nuovo e superiore punto di vista, un nuovo e integrale principio di vita. Se questo è vero, allora occorre che la chiesa sappia rinnovarsi e trasformarsi nelle sue espressioni storiche in modo da mettere in luce a. la vita comunitaria, « propaggine della comunità divina » ( p. 110 ), b. l'anteriorità della chiesa, realtà sovrapersonale, alla grazia dei singoli, c. l'armonia tra legame societario e realizzazione della personalità, d. la sua capacità di essere prossima alla umanità e infine e. che per gustare la libertà nella chiesa, si deve avere tutti il senso di essere chiesa. Lo stesso Guardini, nella prefazione all'edizione del '33, notava i limiti del suo lavoro e li indicava nella carenza di storicità. Possiamo aggiungere che egli patisce i limiti di quella cultura romantica e vitalistica a cui voleva opporsi nei suoi esiti individualistici. Il movimento giovanile che egli ha suscitato permise di offrire un'alternativa alla "Freideutsche Jugend", terreno fecondo per il sorgere del nazionalsocialismo. La non piena comprensione delle ragioni della crisi della borghesia, nonché l'indubbio limite integralistico, non cancellano il merito di aver posto in primo piano alla coscienza dell'intera chiesa e soprattutto dei giovani l'importanza e la necessità, nella temperie travagliata della storia, di vivere in modo personale, comunitario, liberante e responsabile la realtà della chiesa, nonché il suo ruolo nella cultura e nella società. d. Spiritualità laica in epoca di democraziaLo sviluppo della democrazia e il rafforzamento del movimento operaio hanno orientale l'attenzione della spiritualità ecclesiale sul significato cristiano ed ecclesiale della laicità, sul rapporto tra chiesa e mondo, tra chiesa e condizione operaia. Nella teologia del laicato si cerca non solo di chiarire il ruolo attivo, maturo, responsabile del laico nella chiesa, ma anche di definire i tratti di una moderna santità del laico, i valori di una santificazione nel mondo. Dall'idea tommasiana della magnanimità ( l'anima ha un raggio d'apertura coesteso al mondo e vuole ad esso assimilarsi, trasformandolo; la vita cristiana ripete l'atteggiamento universalistico del gesto di Gesù ) si passa a una più organica visione che valorizza la legittima autonomia delle realtà terrene, indicando le vie di una santificazione nel profano. Allora l'adesione alla volontà di Dio, santa e santificante, si esprime come vocazione, servizio, impegno e responsabilità. Si tratta insomma di farsi responsabili del mondo davanti a Dio, vivendo qui l'esperienza della croce, recuperando le funzioni profetica, sacerdotale e regale del Cristo e della chiesa nel cuore stesso della propria condizione di laico, di uomo del popolo immerso nelle realtà secolari.26 Una tale spiritualità è orientata a portare, al di là dell'ordinamento gerarchico, la chiesa nel cuore del mondo, delle realtà profane, ma anche, viceversa, le cose laiche, nella loro naturale bontà e trasformate dalla santità, all'interno della chiesa come prolungamento dell'incarnazione di Cristo o anticipo de] regno. Una tale spiritualità, sebbene rischi di essere intesa come la spiritualità separata di uno stato preciso della chiesa, quello dei laici, tuttavia ha coscienza della totalità della chiesa, mentre mantiene l'insostituibile distinzione tra pastori e fedeli, dovuta alla natura apostolica della chiesa nonché alla sua costitutiva articolazione in sacramenti e ministeri. L'attuale orientamento verso l'ambigua teologia della secolarizzazione può essere visto come una radicalizzazione della spiritualità laicale, maturata in terreno protestante, non in tutto adatta alla spiritualità cattolica. Più storicamente attuale è lo stimolo a recuperare una spiritualità ecclesiale sotto le provocazioni del movimento operaio. Sono famose le parole di Pio XI secondo il quale il grande scandalo del sec. XIX è il fatto che la chiesa abbia perduto la classe operaia. Nonostante i grandi meriti del movimento sociale cattolico, il divorzio s'è consumato. La questione è di rilievo talmente decisivo, che la sua soluzione non può non investire una riformulazione della "missione" e dell' "essere" chiesa nella storia. L'esperienza dei preti-operai27 ha messo a nudo, col suo insuccesso, la profondità della separazione e la vastità dei compiti che una riconciliazione comporta. Partita da una profonda spiritualità missionaria e con il fine di riguadagnare il mondo operaio alla chiesa, l'esperienza ha mostrato da una parte la necessità di una conversione radicale della chiesa nella sua cultura teologica, nella sua strutturazione storica, nei suoi metodi pastorali, e dall'altra la necessità di affrontare il nodo storico del movimento operaio organizzato. Questo non è da intendersi solo come un movimento emancipativo delle classi proletarie sul piano puramente economico, sociale e politico, ma come un potente riformatore morale e intellettuale, e come tale capace di sollevare la questione della verità "umana, filosofica e morale; ancor di più di coinvolgere la concezione della religione e la qualità stessa del messaggio cristiano come messaggio di salvezza. La difficoltà pastorale che al momento appare insuperabile consiste nell'incapacità a mostrare nei fatti, al di là delle parole, che la chiesa non è legata, come a sua ragion d'essere, agli interessi dei ricchi e delle classi dominanti. In altri termini, essa appare, nei fatti, troppo poco religiosa e spirituale, dove la religione sia intesa in modo non alienante dai compiti di trasformazione della terra e dalle lotte per la giustizia, ma, esprimendo la rivolta contro una condizione ( quella della società borghese ) « priva di spiritualità » ( Marx ), sappia sostenere i retti sforzi di emancipazione umana mentre indica e fa vivere le cose divine ( Maritain ). II - Le vie della spiritualità ecclesiale aperte dal Vat IINon si tratta qui di esporre l'ecclesiologia del Vat II, ma di mettere in luce la presa di coscienza del mistero della chiesa e di individuare le vie per vivere una concreta spiritualità ecclesiale secondo le indicazioni che dal concilio possono ricavarsi. Vivere il mistero della chiesa significa
1. La chiesa luogo di esperienza della comunione con DioSecondo il Vat II. mistero non significa solo una verità inaccessibile all'umana ragione, ma piuttosto il piano di salvezza del Padre rivelato in Cristo e offerto in segni sensibili a tutti gli uomini. Sicché vivere nella chiesa, comunità concreta, significa incontrarsi con la concreta persona di Gesù Cristo, e perciò, tramite lui, fare esperienza del Padre, conoscere e amare la sua volontà salvifica. Vivere la chiesa come mistero significa perciò fare esperienza della comunione con Dio ( LG 1 ). La chiesa infatti è «un popolo adunato nell'unità del Padre, del Figlio e dello Spirito santo » ( LG 4 ). È la circolazione di amore tra il Padre, il Cristo crocifisso e risorto e lo Spirito di Pentecoste che fa vivere la chiesa come realtà divina e comunica a ogni singolo la vita teologale. a. La chiesa e il PadreLa chiesa deve sentirsi come un'assemblea convocata dal Padre che cammina per tornare a Lui ( LG 2 ). Tale vocazione invisibile ed efficace comprende tutti i giusti o gli eletti, anche se non li vediamo appartenere in atto alla comunità visibile. Il Figlio infatti è mandato per radunare tutti i giusti, ma questo apparirà solo al suo ritorno. Ciò vuoi dire che la vocazione del Padre è universale ( LG 13 ) e che si compirà negli ultimi tempi. Vivere come chiesa in rapporto col Padre significa allora avere l'ansia di universalità pastorale e missionaria, avere l'ansia di consumazione escatologica attraverso la pazienza della storia, e la spinta a raccogliere gli uomini in unità. Chi gusta la comunione con Dio, rivelatesi Padre, non può consumare questa comunione per sé solo. b. La chiesa e CristoIl Padre attua attraverso Gesù Cristo, parola di Dio fatta carne, la sua volontà salvifica ( LG 3 ). Sicché la chiesa, comunità visibile che si pone alla sequela di Cristo, di lui vive e si nutre, eseguendo il suo mandato di trasmettere la sua salvezza a tutti gli uomini e in ogni tempo sino al suo ritorno. Vivere la chiesa come comunità storicamente determinata suppone il superamento dello scandalo dell'incarnazione. Dio vuole salvare attraverso pochi le moltitudini, tutti gli uomini attraverso un uomo e attraverso alcuni che egli ha chiamato alla sua sequela. La difficoltà radicale all'accettazione della chiesa sta in questo scandalo. Scegliere la chiesa significa superarlo, incontrandosi con Cristo, parola di Dio fatta carne, e non con un semplice uomo, per quanto capace di suscitare ammirazione. Scegliere la chiesa, piccolo gregge storicamente e socialmente "strano", significa aver colto la realtà invisibile ( la comunità chiamata ed eletta dal Padre ) nella realtà visibile ( la comunità storica che continua la missione di Cristo, non senza pecche ed errori ). Lo scarto ( voluto dalla economia divina ) tra l'assemblea invisibile dei giusti e la comunità storicamente individuata provoca già di per sé sofferenza e croce, ma dunque anche ansia di riforma, ansia missionaria e santificazione. Oggi in cui, più che mai, il piccolo gregge storico si trova in un mondo contraddittorio, ma in cui non mancano aspirazioni e opere di giustizia, le frizioni tra la chiesa e la più vasta comunità umana provocano, in chi sceglie responsabilmente la chiesa, già in questa scelta l'esperienza della croce e della consolazione del risorto. Non si può essere santi senza soffrire per la chiesa, nella chiesa, da parte della chiesa. A chi accetta la croce connessa all'essere coscientemente e responsabilmente chiesa, si apre la consolazione di sperimentare nella propria carne la concretezza dell'amore del Padre che si compiace nel suo Figlio obbediente nella condizione umana, e lo risuscita. Così, vivere la concretezza della comunità storica significa conformarsi alla "kenosis", all'umiliazione di Cristo che per servire si spogliò della forma divina, per arricchire molti si fece povero. Essere chiesa è un servizio all'umanità. Allora la comunità può sperimentare nell'evento dell'eucaristia la pasqua del Signore, che sta presente, glorioso, in mezzo ad essa. Allora la chiesa sceglierà, come suo stile di essere e di attuare la sua missione, i mezzi poveri ( LG 8 ), cioè la povertà disarmata della predicazione, la forza discreta della testimonianza, e non permetterà che l'uso dei beni esterni, pur necessario, impedisca il trasparire del Cristo crocifisso. c. La chiesa e lo SpiritoLa piccola comunità storica infatti riceve costantemente lo Spirito di compiacenza del Padre, che è il medesimo Spirito del Cristo risorto e vivente, mandato una volta per tutte alla chiesa il giorno di Pentecoste. Vivere la chiesa significa fare esperienza dello Spirito. Non da soli, ma insieme, perché tutti comunichiamo del medesimo Spirito, nel medesimo corpo del Cristo risorto ( LG 4 ). Non per noi soli, ma per tutta l'umanità e per il rinnovamento del mondo, in cui lo Spirito opera misteriosamente. Vivere lo Spirito della chiesa e nella chiesa significa sperimentare la figliolanza di Dio e la libertà a cui siamo stati chiamati. Significa passare dal timore servile del Dio della religione oppressiva e della legge inesorabile alla gioia della confidenza e del perdono ricevuto. Significa anche operare per allargare gli spazi della libertà e della dignità dei figli di Dio nella chiesa, sempre tentata di diventare "religione" e "legge". Vivere la libertà dello Spirito nella chiesa non significa opporre l'entusiasmo carismatico alla opacità della istituzione e alla inerzia del popolo. Il medesimo Spirito che è dato a tutta la comunità ed elargisce carismi ai singoli per l'edificazione del tutto è anche quello che si è autovincolato sovranamente ai sacramenti e ai ministeri, sì da garantire che non verrà mai meno. Vivere lo Spirito nella chiesa significa allora cercare di comprendere lo spirito della chiesa ( della totalità dei fedeli uniti ai loro pastori ) senza impazienze ne pigrizie. Se poi lo Spirito conduce a tutta intera la verità, allora egli ci da il senso interiore della vera e integra fede. Ma il senso della verità non è un possesso individuale. Esso è infallibile nella misura in cui comunica con la universalità dei fedeli uniti ai loro pastori ( LG 12; LG 25 ). Se infine lo Spirito santifica la chiesa e la arricchisce dei doni dello sposo, spingendola costantemente a convertirsi, allora vivere lo spirito della chiesa non significa solo credere alla santità originaria e indistruttibile, nonostante i peccati, della chiesa, ma anche ricevere da essa la nostra santità e non negare a nessuno, nella chiesa, gli strumenti per la propria santificazione. 2. La chiesa luogo di esperienza della comunione fraterna« Dio volle santificare e salvare gli uomini non individualmente e senza alcun legame tra loro, ma volle costituire di loro un popolo che lo riconoscesse nella verità e fedelmente lo servisse » ( LG 9 ). La chiesa è definita dal Vat II come un popolo inserito nella società, in cammino nella storia, che sperimenti la salvezza come comunione fraterna e faccia sperimentare in ogni comunione fraterna un momento di salvezza. Comunione con Dio e comunione tra gli uomini sono infatti aspetti intimamente correlati e necessari dell'unico evento di salvezza. a. Il nuovo popolo di DioTuttavia il popolo di Dio non si identifica, come l'antico Israele, per un legame etnico, ne per un'alleanza con Dio testimoniata da un segno nella carne, bensì « ha per capo Cristo… per condizione la dignità e la libertà dei figli di Dio… per legge il nuovo precetto di amare come Cristo ci ha amati… per fine il regno di Dio » ( LG 9 ). Il germe di unità, di comunione e di salvezza che in esso si può sperimentare è un segno efficace, un fermento per tutto il genere umano, fino all'unità finale, quando non vi sarà più chiesa nella umanità, ma l'intera umanità salvata intorno a Cristo e quella peccatrice rifiutata. b. Per ministeri e sacramentiLa carta di identità del popolo di Dio non può dunque essere sociologica o culturale o politica, ma il suo statuto, sopra definito, ne fa un popolo che non si distingue per altro dalla società in cui è immerso se non per il fatto di essere popolo di Dio, corpo di Cristo, che cresce e si articola mediante i ministeri e i sacramenti. Non si è sufficientemente notato il fatto che la nozione di popolo di Dio, più storica e sociale rispetto alla nozione giuridica di società perfetta, ovvero a quella spirituale di corpo mistico, non giustifica talune interpretazioni sociologistiche che ne sono state date. È mediante i sacramenti e i ministeri che una porzione di popolo da insieme sociologico diventa popolo di Dio. L'intero organismo sacramentale, mediato dai vari ministeri, articola e fa crescere un popolo amorfo, dandogli unità organica e rendendolo corpo di Cristo. Ora tutti i sacramenti culminano e sono racchiusi nell'eucaristia. E perciò l'eucaristia che fa la chiesa. L'esperienza liturgica quindi non può essere intesa come semplice momento di culto che realizza per ciascun partecipante la virtù di religione. Essa è non solo luogo privilegiato dell'esperienza di chiesa, ma culmine a cui tende e fonte da cui promana tutta la vita cristiana della comunità e dei singoli ( SC 10 ). c. Elite, massa o popoloOccorre superare una pericolosa scissione che si sta verificando. Da una parte piccoli gruppi sperimentano quasi in laboratorio la novità conciliare della chiesa come comunità, come intensa comunione, rischiando però di dimenticare o tagliare fuori la grande massa del popolo cristiano. Dall'altra parte questa stenta a vivere la spiritualità ecclesiale promossa dal Vat II e tende a riproporre la chiesa come cristianità sociologica ovvero come società giuridica che non si lascia riformare dalla realtà del mistero. Una simile scissione deve essere superata. Ciò suppone chiarezza dottrinale e sensibilità pastorale. La chiesa non è una élite di illuminati riformatori ne una cristianità, vale a dire una massa culturalmente, socialmente o politicamente identificata. È un popolo che dal battesimo all'eucaristia, intorno ai ministri espressi dal suo seno e resi capaci dal sacramento dell'ordine, compie un cammino organico, per quanto possa apparire lento, di conformazione a Cristo, di assimilazione dello Spirito santificatore, di ritorno al Padre. Fare esperienza di "comunità fraterna significa essere solleciti verso tutta la chiesa, facendo attenzione ai modi specifici della sua crescita. Ciò suppone in tutti un più vivo senso della pastoralità, cioè dell'opera di autocostruzione della chiesa. d. Diaspora, unità e pluralismoOccorre che quanti, battezzati, ricercano il regno di Dio, sappiano cercare il volto del fratello, sappiano gustare la gioia di ritrovarsi insieme nel nome di Cristo anche al di fuori dell'assemblea liturgica. Pur vivendo come in diaspora in mezzo al mondo, fatto provvidenziale e voluto da Dio, essi non possono non ricevere con gratitudine, come dono di Dio, l'opportunità di trovarsi insieme anche sconosciuti, anche tra diverse concezioni, mentalità, culture, e gustare l'unità, rafforzando la comunione. Unità e pluralismo infatti sono valori tra loro non antitetici ( LG 15 ). Proprio l'unità dei cristiani pur tra tanta diversità di popoli, di classi sociali, di culture, è un potente segno di credibilità dell'evento cristiano e già un potente fermento di riconciliazione, di pace, di unità tra gli uomini. Amare la chiesa significa perciò ricercare sempre la sua unità, operare per essa. Il desiderio di unità non nasconde i reali contrasti, ne soffoca nell'uniformità il legittimo pluralismo, ma ricerca ciò che unisce piuttosto che ciò che divide. L'unità della chiesa infatti è l'unità stessa di Cristo, l'unità degli intenti è l'unità stessa dello Spirito. e. Chiesa di popolo e chiesa istituzionaleUn altro equivoco che può sorgere dalla nozione di popolo di Dio è la contrapposizione di principio tra chiesa di popolo e chiesa istituzionale, tra realtà di base e autorità gerarchica. Il Vat II non può lasciar intendere ciò. Poiché è un popolo organicamente congiunto e articolato in ministeri e sacramenti, allora deve manifestare sempre l'unità organica tra pastori e fedeli. Ne riforma, ne controriforma. Non c'è popolo di Dio senza successione apostolica ( LG 20 ) e ministeri ordinati ( LG 21; LG 28s ), così come non c'è capo staccato dal corpo, ovvero autorità ecclesiale che non si nutra della fede di tutto il popolo e si ponga al suo servizio. In ciò l'autorità ecclesiale è ad immagine di Cristo che da la vita per i suoi, ed è tra noi come uno che serve, ma a differenza di Cristo essa si pone in religioso ascolto della parola di Dio e insegna solo ciò che ha ricevuto da tutta la chiesa di sempre ( DV 10 ). f. Collegialità e comunioneDefinendo la collegialità episcopale e la sacramentalità dell'episcopato il Vat II ha aperto nuove grandi vie alla spiritualità della chiesa, popolo di Dio organicamente congiunto ai suoi pastori. Dire collegialità episcopale significa infatti far trasparire anche a livello di governo pastorale il mistero intimo della chiesa, che è mistero di comunione. Schemi secolaristici di governo, tratti dalla società civile, non sono praticabili per la chiesa, al di là di una molto estrinseca analogia con cui possono essere riguardati. La chiesa non è ne una monarchia assoluta ne una democrazia ne altro sistema misto. Da un punto di vista giuridico il governo della chiesa ( il collegio dei vescovi con il papa, sotto il papa ) è un mostro. Da un punto di vista teologico e spirituale è un mistero di comunione e di carità. Ora però la collegialità non è cosa che riguardi solo i vescovi nei rapporti tra loro e con il papa. Per una certa analogia, cioè in quanto esprime a livello di governo pastorale il mistero di comunione che è la chiesa, essa può essere estesa a ogni forma di governo pastorale, come ad es. tra fedeli e parroco, tra presbiteri e vescovo. Ciò non deve essere inteso come una concessione al democraticismo, ma come una espressione della partecipazione di tutti i fedeli, nella misura del loro ordine e grado, alla risoluzione dei problemi pastorali di tutta la chiesa. Non è questione solo di efficienza ( ciò che è deciso con la responsabilizzazione di tutti, e perciò con il consenso, è meglio eseguito da tutti ) ma di spiritualità: partecipare alla sofferenza del servizio dell'autorità stimola la carità pastorale e l'amore verso la chiesa. g. Ordine e giurisdizioneAnche la definizione della sacramentalità dell'episcopato ha grande rilievo storico e spirituale. Vuol dire che l'aspetto giuridico della chiesa, vale a dire la sua articolazione giurisdizionale, senza pregiudizio per la potestà immediata e diretta del papa, deve piegarsi, riformarsi e conformarsi alla sostanza teologica della potestà episcopale che è radicata ed ha la sua fonte nel sacramento dell'ordine. Ciò vuoi dire che il tanto temuto e poco amato aspetto giuridico della chiesa non deve essere concepito come qualcosa di immutabile ed estraneo, anzi opposto allo spirito della chiesa, o comunque lasciato a una logica tutta sua dal momento che non se ne può fare a meno. Esso invece trova nella sostanza teologica e, in definitiva, nel mistero della carità il criterio a cui conformarsi e a cui servire. h. Dalla diocesi alla chiesa localeDalla sacramentalità dell'episcopato discende anche la nozione di chiesa locale. Là dove c'è il vescovo c'è chiesa locale. Là dove si celebra l'eucaristia in comunione con il vescovo c'è chiesa. Vi sono infatti rappresentati tutti gli elementi che costituiscono l'essenza della chiesa. Un vescovo, s'intende, che sia in comunione con tutti i vescovi e con il papa. Dal punto di vista della coscienza ecclesiale occorre passare dalla diocesi ( intesa come realtà puramente amministrativa ) alla chiesa locale ( ma attenzione a non cadere nel campanilismo! ). Ciò suppone non solo un amore non campanilistico per la propria chiesa locale, ma una sollecitudine e una "koinonia" concreta verso tutte le chiese ( aspetto orizzontale ) e un senso più che mai vivo della chiesa universale e della sua unità garantita dal romano pontefice ( aspetto verticale ). i. Autorità e libertàLa normale tensione tra autorità e libertà nella chiesa trova nelle linee del Vat II la via per essere vissuta con una maggiore ricchezza spirituale. Non v'è dubbio infatti che esso esalti come non mai la dignità e la libertà dei figli di Dio, fondata non solo sul rispetto assoluto dovuto a ogni coscienza, anche invincibilmente erronea, e alla natura radicalmente libera dell'adesione di fede ( DH 2s; DH 10 ), ma altresì sul sacerdozio battesimale e la confermazione crismale, che conferiscono a ogni fedele autonomia di iniziativa e capacità di partecipazione a ciò che riguarda tutta la chiesa ( LG 30-38 ). D'altra parte l'autorità ecclesiale viene purificata da preoccupazioni estranee e arricchita di motivazioni teologiche, rigorosamente indirizzata al servizio pastorale per la crescita del popolo cristiano, all'obbedienza esclusiva a Dio e alla sua parola in conformità a Cristo servo obbediente. Uno stile nuovo è già avviato. Assumere la tensione tra autorità e libertà facendo tesoro sia del valore dell'obbedienza, sia del rispetto della coscienza, è un potente mezzo di crescita spirituale di tutta la chiesa come regno di Dio ( non sempre e necessariamente come interesse visibile ). Quello che si patisce a questo proposito non va perduto, ma fa crescere il tutto nella verità e nella carità. Si tenga presente che la verità evangelica, che pure la chiesa possiede in interezza, non si sviluppa nella storia che progressivamente ( DV 8 ) e perciò i tempi del riconoscimento di una certa verità possono essere lunghi; e d'altra parte che un popolo è tanto più forte quanto più saldi nel Signore sono i suoi pastori, e viceversa che i vescovi sono tanto più liberi nella loro autorità quanto più i sacerdoti e il popolo sono uniti a loro nel consenso. 3. La chiesa sacramento di salvezza per tutta l'umanitàLa definizione della chiesa come sacramento di salvezza per l'umanità ( LG 1; LG 9 ) si pone in continuità con la nozione di economia della salvezza o storia della salvezza della costituzione dogmatica sulla divina rivelazione ( DV 2 ) e con la ricomprensione della missione del mondo in termini di dialogo fatta nella costituzione pastorale ( GS 40-45 ). a. La chiesa inserita nella storia della salvezzaLa Dei verbum definisce la rivelazione come una economia di salvezza composta di parole e di eventi, tra loro intimamente connessi, e culminante nell'evento-parola-persona che è Gesù Cristo. "Economia" significa che il piano divino di salvezza viene attuato da Dio progressivamente nella storia, in modo che attraverso l'elezione di un popolo tutti i popoli siano salvi, attraverso un solo uomo tutti gli uomini ricevano la grazia. Ma questo vuoi dire che la chiesa, comunità storica alla sequela di Cristo, attua la sua missione salvifica in un tempo peculiare della storia della salvezza, che va dalla risurrezione alla parusia, ma dunque in uno speciale statuto per cui, lungi dall'assorbire o negare l'umanità e il mondo, si pone in mezzo ad esso come mediazione salutare fino alla unità finale nel regno definitivamente manifestato al ritorno di Cristo. Anticipa perciò per tutti quello che tutti saremo, mentre essa stessa va perfezionandosi e purificandosi nella storia. Dunque è germe, fermento e segno efficace o sacramento di tutto il genere umano e della sua vocazione in Cristo, della sua destinazione escatologica. b. La chiesa essenzialmente in rapporto al mondoNe risulta di conseguenza che il dialogo tra la chiesa e il mondo contemporaneo non è una tattica pastorale fungibile e reversibile, ma una più profonda definizione della propria missione pastorale, conseguente a una più profonda comprensione, di natura dogmatica, del mistero della chiesa. La Gaudium et spes traccia le linee di questo essenziale e insostituibile scambio tra chiesa e mondo, scambio nel quale accade la salvezza, così come Cristo salva in tanto quanto, Figlio di Dio, assume la carne umana nella storia. Non c'è posto per l'integralismo. La chiesa non può non accogliere quanto di vero, di buono, di bello si viene svolgendo nella storia da parte dell'agire autonomo degli uomini, in cui la chiesa riconosce l'immagine del Dio creatore che non può contraddire il Dio salvatore. Oltre l'accoglimento critico di ciò che di buono c'è nel mondo moderno, la chiesa annuncia e testimonia la più piena e integrale vocazione in Cristo di tutta l'umanità ( GS 45 ) e chiama tutti gli uomini ad entrare nella chiesa, senza la quale non ci si può salvare ( LG 14 ). La necessità della chiesa alla salvezza non va però intesa in senso esclusivo, se non quando si riscontri un colpevole rifiuto, ma indica, positivamente, la natura intimamente ecclesiale di ogni salvezza. Chi si salva si salva sempre e solo a causa della chiesa. La sua grazia, anche non percepita, è non solo cristiforme, ma anche ecclesioforme, e perciò dice relazione, in vario grado, all'unica chiesa visibile e invisibile e ad essa intimamente aspira. Coloro pertanto che hanno il dono e la responsabilità di vivere nella piena appartenenza alla chiesa, devono sapere che il loro "essere chiesa" è un servizio misteriosamente efficace per tutti coloro che si salvano non conoscendo la chiesa ( o magari incolpevolmente rifiutandola ). Si è chiesa per l'umanità. c. La chiesa essenzialmente missionariaLa chiesa, popolo profetico, sacerdotale e regale, ha prefigurata in sé, come in un sacramento, la pienezza, vale a dire la signoria escatologica di Cristo ( LG 17 ), che è riconciliazione di ogni cosa, natura e storia, carne e spirito, al di là e al di qua. La sua missione a tutti i popoli fino alla fine dei secoli, mentre continua incessantemente per impiantare la chiesa dove non esiste e condurre ogni uomo dentro la chiesa, deve essere ripensata in modo adeguato alla totalità delle linee vettoriali che nella storia conducono alla signoria di Cristo, superando lo scandalo della settorialità ovvero del piccolo gregge, che si ripiega sui propri interessi o sul piccolo proselitismo dimenticando la totalità finale. L'anima missionaria tradizionale dei pastori, dei "missionari" e dei contemplativi, deve investire tutta la chiesa, che è essenzialmente missionaria ( AG 2 ), ma dunque anche dei lavoratori e degli uomini di cultura. Non solo in senso spaziale e orizzontale ( guadagnare tutti e singoli gli uomini ), ma anche in senso qualitativo e organico ( orientare tutti i fedeli e tutto il travaglio della storia alla signoria escatologica di Cristo ). d. Cattolicità e universalità pastoraleAvere il senso della cattolicità non significa tanto vantarsi della rappresentanza di tutti i popoli che la chiesa contiene nel suo seno, ne solo aver devozione per il romano pontefice che della cattolicità e unità è preside e garante visibile. Il regno di Cristo non è di questo mondo, ma di quello futuro, e perciò « nulla sottrae al bene temporale di qualsiasi popolo » ( LG 13 ); al contrario la chiesa stimola il bisogno e la tendenza all'unità degli sforzi anche temporali, ponendosi nelle nazioni come segno di pace e di un ordine più avanzato nella giustizia. Ma tale ruolo di riconciliazione cattolica in mezzo ai popoli non sarebbe possibile qualora non sia dispiegato all'interno della chiesa il senso della universalità pastorale che non si lascia limitare da diversità di classi sociali, di orientamenti culturali e politici, nella fiducia che è sempre possibile una comunicazione materiale e spirituale tra tutti gli uomini. Siamo debitori del vangelo verso tutti gli uomini. Siamo debitori dei mezzi di santificazione verso tutti i battezzati. e. Ecumenismo e senso della veritàAvere senso ecumenico non significa solo aver zelo per l'unità del corpo di Cristo e operare per superare lo scandalo della divisione delle chiese, ma significa anzitutto riconoscere gli elementi della verità cattolica presenti nelle chiese separate ( UR 3; LG 15 ). La cattolicità non si identifica infatti mai "totalmente" in una singola chiesa visibile, sebbene la fede attesti senza ombra di dubbio che la chiesa stabilita da Gesù Cristo "sussiste" nella chiesa cattolica, governata dal successore di Pietro e dai vescovi in comunione con lui ( LG 8 ). La integrità e cattolicità della dottrina, inoltre, non riposa in una formale e positivistica adesione, ma conosce una gerarchia di verità a seconda del loro nesso col fondamento della fede cristiana ( UR 11 ). Senza cadere in una vaga fede non ecclesialmente e autorevolmente formata, il movimento ecumenico sollecita ad avere un più vivo e calibrato senso delle verità cristiane nella diversità pur lecita ed anzi arricchente delle tradizioni. f. Libertà della chiesa e libertà di coscienzaLa chiesa non deve avanzare i diritti della verità quando all'interno della società civile si trova in condizioni di forza, e i diritti della libertà quando si trova in condizioni di debolezza. Una simile scissione non è ammissibile per il principio che « la verità non si impone che in virtù della stessa verità, la quale si diffonde nelle menti soavemente e insieme con vigore » ( DH 1 ), ovvero per il principio che la ricerca della verità e l'obbedienza ad essa ha radice nella natura intelligente e libera della persona umana ( DH 2ss ), o ancora per il carattere essenzialmente libero dell'atto di fede ( DH 10ss ). Sicché la chiesa rivendica per sé la libertà religiosa come parte indivisibile della libertà per tutti, nella società civile ( DH 13 ), libertà che è condizione esterna o politica per il più dispiegato maturare di ogni verità umana o religiosa, razionale o rivelata. Ciò non deve significare affatto indifferentismo religioso o trascuratezza nello zelo per la libertà della chiesa, ma riconoscimento della assoluta sovranità di Dio sulle coscienze e perciò delle coscienze, vuoi rispetto alla società civile, vuoi rispetto alla chiesa, ma dunque esigenza di autonomia reciproca tra chiesa e società civile. g. Chiesa, regno e comunione dei santiSe la chiesa è un popolo di Dio che, inserito nella più vasta famiglia umana come segno di salvezza, cammina nella storia verso il compimento del regno finale, allora vuoi dire che la tensione escatologica del cristiano non può più essere intesa solo in senso individualistico, come congiungimento dell'anima singola a Dio nella visione beatifica, ma deve contenere un elemento ecclesiale e storico. Sperare in Dio significa desiderare di ricongiungersi ai santi nel regno finale di Cristo, ma significa anche desiderare che si compia la storia perché il mondo sia trasformato e ricapitolato in Cristo. Dunque la speranza diventa già qui operosa non solo per meritare a sé il paradiso con le buone opere, quanto per affrettare il regno finale con la lotta per un mondo umanamente più giusto ( GS 45 ) e, contemporaneamente, per convertire e santificare la chiesa, affinché lo sposo venga ( LG 48 ). Intanto, la pietà della chiesa pellegrinante non può fare a meno di nutrire la comunione con la chiesa celeste, quella dei santi che impazienti attendono la risurrezione e la riconciliazione finale e perciò intercedono per noi perché la storia si compia presto ( LG 49s ). 4. Maria e la spiritualità ecclesialeIl nesso tra ( v. ) Maria e la spiritualità ecclesiale deve essere trattato a parte e in modo privilegiato. L'esperienza spirituale insegna che la comprensione vitale di Maria e la devozione a lei facilitano l'accesso alle verità cattoliche e alla concretezza della spiritualità ecclesiale. Vale la reciproca: chi vive nella chiesa il genuino senso della fede, prima o poi dovrà accedere alla comprensione del mistero di Maria e non troverà difficoltà ad esserle devoto. Tale nesso tra Maria e senso di chiesa è fondato nella maternità spirituale nei confronti della chiesa, come dei singoli cristiani e della intera umanità, che Maria si è guadagnata sotto la croce allorché Gesù ha affidato lei alla chiesa nascente e la chiesa nascente a lei ( LG 60-65 ). Maria è certo modello della fede e figura della chiesa, dunque prima creatura dell'opera salvifica del Padre e di Cristo. Ma per la sua stretta partecipazione e collaborazione, del tutto singolare, al piano di salvezza del Padre e ai misteri della vita di Gesù ( LG 55-59 ) è anche oggetto della devozione dei cristiani per la capacità mediatrice che in ciò si è acquistata ( LG 66ss ). |
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Comunità | |
Corpo mist. | |
Regno | |
Popolo di Dio | Discernimento IV,3 |
Parola I,3 | |
Vissuto di Cristo | Celebrazione II,2b |
Eucaristia II,2 | |
Gesù III,b | |
Santo I | |
Segni V,5 | |
… missionaria | Apostolato IV |
Apostolato VII,1 | |
Celebrazione II,2 | |
Penitente III,3 | |
… carismatica | Amicizia VI |
Amicizia VII | |
Amicizia VIII | |
Artista VIII | |
Carismatici | |
Amicizia ecclesiale | Amicizia VII |
Fraternità | Ecumenismo III,2b |
Spiritualità ecclesiale | Mondo VIII |
Oriente VII,3 | |
Vocazione II,2 | |
… e la fede | Credente III,2 |
… futuro | Credente V |
Fra istituzione e carisma | Antinomie III |
Chiesa I,3a | |
… penitente rinnovata | Carismatici II |
Peccato IV | |
Penitente III,5 | |
Penitente III,3 | |
… e contestazione profetica | Apostolato I |
Contestazione I,2 | |
Profeti II,4 | |
… e laicato | Laico I,1 |
Laico III,5 | |
Comunità di poveri | Povero IV |
… e matrimonio | Famiglia I |
Famiglia IV,4 | |
Diaconia ecclesiale | Celibato III,3 |
Diacono IX | |
… culture moderne | Apostolato VII |
… in crisi | Crisi III,3cc |
Restare nella … oggi | Gesù III,1b |
Amore ecclesiale | Itinerario sp. IV,2b |
… Comunità di cristiani |
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S. G. B. de La Salle |
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Non bisogna contraddire le verità, i precetti e i consigli del Vangelo | MD 5,1 |
Sullo spirito di penitenza nel quale dobbiamo entrare ricevendo le ceneri e nel quale dobbiamo vivere durante tutta la Quaresima | MD 16,1-3 |
La risurrezione del Signore | MD 29,1 |
Festa del SS.mo Sacramento | MD 47,1-2 |
La santità non consiste nel vestito ma nelle opere | MD 60,1 |
Dovrete rendere conto di come avete compiuto il vostro dovere | MD 61,2-3 |
IX domenica dopo Pentecoste | MD 62,2 |
San Francesco Saverio | MF 79,3 |
Sant'Ambrogio arcivescovo di Milano | MF 81,3 |
Immacolata Concezione della SS.ma Vergine | MF 82,1 |
San Francesco di Sales | MF 101,3 |
Purificazione della Vergine Maria | MF 104,1 |
La nostra sottomissione alla Chiesa | MF 106 |
San Marco | MF 116,2 |
S. Giacomo e s. Filippo | MF 119,2 |
Sant'Atanasio | MF 120,1 |
Ritrovamento della s. Croce | MF 121,3 |
Apparizioni di san Michele | MF 125,1 |
S. Pietro Celestino | MF 127,2 |
San Germano vescovo di Parigi | MF 131,1 |
Santa Margherita regina di Scozia | MF 133,1 |
San Barnaba | MF 134,1 |
San Basilio | MF 136,3 |
San Pietro apostolo | MF 139,2 |
San Pietro in Vincoli | MF 149,1-2 |
San Cassiano vescovo e martire | MF 155,1 |
San Bernardo | MF 158,3 |
San Luigi re di Francia | MF 160,3 |
Sant'Agostino | MF 161,2-3 |
Decollazione del Battista | MF 162,2 |
Natività della SS.ma Vergine | MF 163,1 |
Esaltazione della Santa Croce | MF 165,1 |
San Cipriano | MF 166,2-3 |
San Michele | MF 169,3 |
San Girolamo | MF 170,1-3 |
San Remigio | MF 171,2-3 |
San Bruno | MF 174,1 |
San Dionigi | MF 175,1-2 |
San Francesco Borgia | MF 176,2 |
Commemorazione delle anime del Purgatorio | MF 185,3 |
È Dio che, nella sua Provvidenza, ha fondato le Scuole Cristiane | MR 193,1 |
Istruire i giovani è uno dei compiti più necessari alla Chiesa | MR 199 |
Cosa dovete fare per rendere il vostro ministero utile alla Chiesa | MR 200 |
Chi istruisce i giovani ha l'obbligo di essere molto zelante, se vuole compiere bene la sua santa missione | MR 201 |
Un maestro deve rendere conto a Dio del modo con cui ha svolto la sua missione | MR 205,3 |
Ricompensa che deve aspettarsi in cielo un Fratello delle Scuole Cristiane se è stato sempre fedele al suo lavoro | MR 208,1-3 |
1 | Tre crisi nella disciplina penitenziale cristiana in Ortodossia e revisionismo, Roma 1974, 75-82 |
2 | Adv. Haer. 2; PG 41, 1 |
3 | Commonitorium, 2; PL 50, 639 |
4 | Ibid., 6; PL 50, 646 |
5 | Ibid., 23; PL 50, 668 |
6 | Storia e Spirito, tr. it., Roma 1971 |
7 | Cattolicesimo, tr. it., Roma 1948, 162-168 |
8 | Spiritualità dei Padri, tr. it., Bologna 1968, 345-380 |
9 | Etudes sur la psychologie des mystiques, II, Parigi 1937, 180ss |
10 | Enarrationes in Psalmos, cit. in L. Bouyer, o. e., 458 |
11 | In Joannem, 32, 8, PL 35, 1646 |
12 | H. U. von Balthasar, Sponsa Verbi, tr. it., Brescia 1972, 11-40 |
13 | Alle origini dello spirito laico, I, tr. it. Brescia 1961,29 |
14 | Di Th. Muntzer sono stati pubblicati di recente gli Scritti politici, Torino 1972, con un saggio introduttivo di E. Campi |
15 | Si veda di s. Caterina il Dialogo della divina provvidenza, 2 voll., Firenze 1928 |
16 | Obras compietas, Madrid 1963, 272 |
17 | Tommaso Moro, Lettere della prigionia, tr. it., Torino 1961 |
18 | Tra le molte opere si veda Rappresentanza/sostituzione in Dizionario teologico (dir. H. Fries), Brescia 1968, III, 42-53 |
19 | Il complesso antiromano, tr. it., Brescia 1974, 203ss |
20 | Massime di percezione, Roma 1976 |
21 | L'unità nella chiesa, tr. it., Roma 1969 |
22 | La Simbolica, tr.it., Milano 1853 |
23 | Su Newman cf J; H. Walgrave, Eglise in DSp IV/1, 433-436 |
24 | Su Passaglia cf W. Kasper. Die Lehre von der Tradition in der Romischen Schuie, Frìburgo 1962 |
25 | Pubblicato in Italia nel volume: La realtà della chiesa, Brescia 1973. |
26 | Y. M. Congar, Jalons pour une théologie du laicat, Parigi 1953 |
27 | E. Poulat, I preti operai (1943-1947), tr. it., Brescia 1967 |