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Lettera 186

Scritta verso la metà del 417.

Alipio e Agostino al vescovo Paolino, " schiettissimo amico e propugnatore della grazia " ( n. 39 ), per confermare la dottrina della grazia contro Pelagio che in un opuscolo aveva diffuso i suoi errori ( n. 1-2 ), espongono la genuina dottrina sulla grazia, asserendo quanto segue.

Le opere, i buoni pensieri, la carità, la giustizia giustificante derivano dalla grazia e non viceversa ( n. 3-8 ).

Confutate due obiezioni di Pelagio si enunciano i frutti del battesimo conferito ai bambini, che ne hanno tutti bisogno ( n. 9-13 ).

Dal racconto biblico su Esaù e Giacobbe si desume l'assoluta gratuità della chiamata alla fede e della giustificazione, la misericordia di Dio nel salvare alcuni dalla massa dannata, la sua giustizia nel condannare gli altri ( n. 14-26; pure n. 31 ).

Della redenzione di Cristo, cioè del battesimo hanno bisogno tutti, anche i bambini, macchiati del peccato originale ( n. 27-30 ).

A dodici tesi di Pelagio se ne contrappongono altrettante della genuina dottrina cattolica sulla grazia ( n. 32-38 ), ch'è la sorgente d'ogni bene, mentre il peccato è l'origine d'ogni sventura ( n. 39-41 ).

Alipio e Agostino, a Paolino, beatissimo signore e degno d'essere abbracciato sinceramente nell'amore di Cristo, fratello e collega d'episcopato, teneramente amato più di quanto si possa esprimere

1.1 - Un libello di Pelagio confutato da Agostino

Finalmente Dio ci ha procurato un fidatissimo latore della presente nella persona del fratello Gennaro, meritamente carissimo a tutti noi; per mezzo di lui, come per mezzo d'una lettera vivente e intelligente, la tua Sincerità potrebbe ugualmente venire a sapere tutto ciò che ci riguarda, anche se non ti scrivessimo.

Sappiamo che finora hai amato come un servo di Dio un certo Pelagio, che crediamo sia soprannominato " il Britanno " per distinguerlo dall'altro Pelagio chiamato " ( il figlio ) di Terenzio ".

Adesso però ignoriamo quali siano i tuoi attuali sentimenti di stima e d'affetto verso di lui.

Quanto a noi, non solo l'abbiamo stimato ed amato, ma gli vogliamo ancora bene, quantunque il nostro affetto per lui sia fondato su motivi diversi da quelli precedenti.

Prima infatti gli volevamo bene poiché credevamo che la sua fede fosse conforme alla retta dottrina della Chiesa; adesso invece lo amiamo perché la misericordia di Dio lo liberi dalle teorie che, a quanto si dice, professa in netta opposizione alla grazia di Dio.

Poiché, quando sul suo conto circolavano tali voci, non dovevano essere credute così alla leggera, poiché le dicerie sono spesso false, ma a farcele credere s'aggiunse recentemente il fatto che abbiamo letto un suo libro in cui si sforza in tutti i modi d'inculcare tali errori capaci di cancellare dai cuori dei fedeli, ov'è radicata, la grazia di Dio, largita agli uomini dall'Uomo-Dio Gesù Cristo nostro Signore, unico Mediatore tra Dio e gli uomini. ( 1 Tm 2,5 )

Quel libro ci è stato consegnato da alcuni servi di Cristo, che avevano ascoltato con molto zelo Pelagio che insegnava tali errori e ne erano divenuti seguaci.

Dietro preghiera di quei medesimi fratelli e convinto della necessità della cosa, uno di noi ha confutato in una dissertazione quel libro senza menzionare il nome dell'autore per non offenderlo e non renderlo meno disposto a correggersi.

I concetti esposti da Pelagio e più volte riaffermati nel libro in maniera particolareggiata ed esauriente sono gli stessi di cui tratta anche in una lettera indirizzata alla tua Reverenza,1 in cui afferma che non si deve pensare ch'egli difenda il libero arbitrio senza la grazia di Dio poiché, al contrario, insegna ch'è congenita alla natura umana, creata da Dio, la facoltà di volere e di agire, senza la quale non potremmo fare né il bene né il male.

Secondo la sua dottrina non vi sarebbe altra grazia di Dio se non quella comune ai Pagani e ai Cristiani, agli empi e ai pii, ai credenti e agl'increduli.

1.2 - Errori di Pelagio deferiti alla Sede Apostolica

Questi errori con cui si renderebbe inutile la venuta del Salvatore e a proposito dei quali possiamo ripetere l'affermazione dell'Apostolo riguardo alla Legge: Se la giustificazione si ottiene mediante la natura, allora Gesù Cristo è morto invano, ( Gal 2,21 ) cercavamo di confutarli, per quanto ce lo consentivano le nostre forze, per sgombrarli dalle anime di quanti la pensavano in quel modo, allo scopo che anche Pelagio, venendone a conoscenza, li correggesse senz'essere attaccato personalmente: in tal modo sarebbe stata eliminata la sua funesta dottrina e gli sarebbe stata risparmiata la confusione.

Ma dopo che ci giunse dall'Oriente una lettera la quale trattava assai chiaramente la medesima questione, era nostro dovere di non far mancare alla Chiesa in quell'occasione tutto l'aiuto che le poteva offrire la nostra, per quanto umile, autorità episcopale.

Furono pertanto inviati alla Sede Apostolica dai due Concili di Cartagine e di Milevi rapporti concernenti tale questione prima che arrivassero in mano nostra o nell'Africa i verbali del processo ecclesiastico in cui si afferma che Pelagio si sia giustificato davanti ai vescovi del distretto metropolitano della Palestina.

Oltre ai rapporti dei due Concili inviammo al papa Innocenzo, di beata memoria, una lettera privata in cui trattammo un po' più ampiamente la medesima questione.

Su tutti i punti il Papa ci rispose com'era giusto si rispondesse da parte del vescovo della Sede Apostolica.

1.3 - Difesa dell'autentica grazia

Tutti i suddetti documenti li potrai leggere adesso se per caso non ti erano giunti tutti o forse nessuno.

Vedrai che verso la persona di Pelagio fu usata tutta la moderazione dovuta nell'intento di risparmiargli la condanna qualora si risolvesse ad abiurare le sue perverse dottrine, ma il suo nuovo e funesto errore fu soffocato sul nascere e fu combattuto dall'autorità della Chiesa in modo così chiaro ed energico da stupirci che ci siano ancora di quelli che con un grossolano errore si ostinano a combattere la grazia di Dio, pur ammesso che abbiano conosciuto l'esistenza di quei verbali.

La fede genuina infatti e la Chiesa Cattolica hanno professato sempre la dottrina secondo la quale la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore fa passare tutti, bambini e adulti, dalla morte del primo Adamo ( Ap 11,18 ) alla vita del secondo Adamo, ( 1 Cor 15,47 ) non solo cancellando i peccati, ma anche aiutando a evitare il male e a compiere il bene coloro che possono già usare il libero arbitrio.

Senza questo aiuto della grazia non potremmo né volere né compiere alcun'opera giusta e santa.

È, infatti, Dio a produrre in noi non solo il volere, ma anche l'agire, secondo la nostra buona volontà. ( Fil 2,13 )

2.4 - Le opere buone derivano dalla grazia, non viceversa

Chi mai infatti ci separa dalla massa compatta di perdizione in cui sono compresi tutti gli uomini, se non Colui che è venuto a cercare e a salvare quello ch'era perduto? ( Lc 19,10 )

Ecco perché l'Apostolo fa questa domanda col dire: Chi ti predestina alla salvezza?

Se uno rispondesse: " La mia fede, la mia buona volontà, le mie opere buone ", l'Apostolo potrebbe rispondergli: E che cosa hai tu senza averlo ricevuto?

E se l'hai ricevuto, perché ti vanti come se non l'avessi ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Di certo tutto ciò è detto non tanto perché nessuno si vanti, quanto perché colui che si vanta, si vanti nel Signore, ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 ) e non a causa delle opere per non insuperbire. ( Ef 2,9 )

Non che le opere buone siano inutili, dal momento che Dio ricompensa ciascuno secondo le sue opere, e gloria, onore e pace accompagneranno quanti compiono il bene, ( Rm 2,6.10 ) ma perché le opere buone provengono dalla grazia e non viceversa, per il fatto che la fede che opera mediante la carità, ( Gal 5,6 ) non potrebbe compiere alcuna opera buona, se nei nostri cuori non fosse diffusa la carità di Dio mediante lo Spirito Santo che ci è stato dato. ( Rm 5,5 )

Noi inoltre non avremmo neppure la fede, se Dio non la concedesse a ciascuno nella misura che gli piace. ( Rm 12,3 )

2.5 - I buoni pensieri provengono da Dio

È quindi bene che l'uomo affermi sinceramente con tutte le forze del suo libero arbitrio: La mia forza la conserverò presso di te. ( Sal 59,10 )

Colui infatti che pensa di poter conservare i doni di Dio senza il suo aiuto ( è simile a colui che ) partito alla volta di paesi lontani, dilapidò tutti i suoi beni vivendo da scialacquatore, ma poi, oppresso dalla miseria d'una dura schiavitù, tornato in se stesso disse: Mi alzerò e tornerò da mio padre. ( Lc 15,12-18 )

Quando mai il figliol prodigo avrebbe potuto concepire questo buon proposito, se non gli fosse stato ispirato segretamente da Dio, padre pieno di misericordia?

Ben compreso di questa verità, il Ministro del nuovo patto afferma: Da noi soli non siamo capaci neppure di concepire un buon pensiero; ma la nostra capacità proviene solo da Dio. ( Ef 3,6-7 )

Per lo stesso motivo il Salmista non s'accontentò d'esclamare: La mia forza la conserverò presso di te, ( 2 Cor 3,5 ) ma per non aver l'aria di attribuire alla forza del suo libero arbitrio lo stesso fatto di conservarla e, come ricordandosi che se il Signore non difenderà la città invano vegliano i suoi difensori, ( Sal 127,1 ) mentre non dorme e non s'addormenta mai Colui che protegge Israele, ( Sal 121,4 ) subito dopo indicò il motivo per cui era capace di conservare la sua forza o meglio chi era il protettore che la conservava, dicendo: Poiché sei tu, mio Dio, il mio protettore. ( Sal 59,10 )

2.6 - Nessun merito precede la grazia

Costui cerchi pure di passare in rassegna, se lo può, i propri meriti per i quali Dio è diventato suo protettore, come se fosse stato Dio ad essere protetto.

Cerchi pure di ricordare se fu lui il primo a cercare Dio o se piuttosto non fu cercato da Colui che è venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10; Mt 18,11 )

Se infatti l'uomo vorrà cercare quali meriti abbia avuti prima della grazia al fine di riceverla, non potrà trovare dei meriti ma solo delle colpe, ( Gb 14,5 sec. LXX ) anche se la grazia del Salvatore lo abbia trovato quando aveva un sol giorno di vita sulla terra.

Poiché se l'uomo merita la grazia per aver compiuto qualche buona azione, la ricompensa non gli viene computata come dono gratuito ma come cosa dovuta; se invece crede in Colui che giustifica l'empio, affinché la sua fede gli sia computata a giustizia ( Rm 4,4-5 ) ( il giusto infatti vive di fede ( Rm 1,17; Gal 3,11; Eb 10,38 ) ), evidentemente prima d'essere giustificato, cioè d'essere reso giusto, mediante la grazia, che cos'è l'empio se non un empio?

Se egli dovesse essere trattato secondo quel che si merita per giustizia, che cosa meriterebbe di ricevere se non la punizione?

Se dunque è giustificato in virtù della grazia, non lo è più in virtù delle opere, altrimenti la grazia non è più un dono gratuito. ( Rm 11,6 )

Alle opere infatti si rende ciò che è dovuto, la grazia invece è concessa gratis e proprio per questo si chiama grazia.

3.7 - L'amore, frutto della fede, viene da Dio

Se però qualcuno dirà che è la fede a meritare la grazia di fare il bene, noi non solo non lo neghiamo affatto, ma lo ammettiamo anche di buon grado, poiché noi, per questi nostri fratelli, che si vantano tanto delle loro opere buone, desideriamo che abbiano proprio questa fede con la quale pregando possano ottenere la carità, la quale è la sola capace di compiere il bene.

Ora la carità è un dono talmente esclusivo di Dio da essere chiamata Dio stesso. ( 1 Gv 4,8 )

Coloro dunque che hanno la fede con cui ottenere la giustificazione, hanno per grazia di Dio conseguito la legge della giustizia.

Ecco perché la Sacra Scrittura dice: T'ho esaudito nel tempo della misericordia e t'ho aiutato nel giorno della salvezza. ( Is 49,8; 2 Cor 6,2 )

Per questo è Dio a suscitare, con l'aiuto della sua grazia, il volere e l'agire secondo il suo beneplacito in coloro che vengono salvati in virtù dell'elezione della sua grazia, ( Rm 11,5; Fil 2,13 ) poiché, con coloro che lo amano, Dio coopera in ogni cosa per il bene. ( Rm 8,28 )

Se coopera in ogni cosa, lo fa anche per la stessa carità che otteniamo in virtù della fede, affinché per mezzo della sua grazia amiamo Dio il quale ci ha amati per primo ( 1 Gv 4,19 ) affinché credessimo in lui e, amandolo, compiamo il bene che noi non abbiamo compiuto per essere amati.

3.8 - La fede giustificante è grazia di Dio

Coloro invece i quali per i loro meriti aspettano ricompense, come se fossero loro dovute, e li attribuiscono alle forze della propria volontà anziché alla grazia di Dio, fanno come è stato detto del popolo Israelitico carnale, che cioè perseguendo la legge della giustizia non vi arrivano affatto.

Perché mai? Perché non l'hanno cercata mediante la fede, ma come se essa provenisse dalle opere.

Proprio questa giustificazione proveniente dalla fede è quella che arrivarono ad ottenere i Pagani di cui S. Paolo dice: Che diremo, dunque?

Che i Pagani, i quali non perseguivano la giustificazione, l'hanno conseguita, s'intende quella proveniente dalla fede, mentre al contrario Israele, che ha perseguito la Legge dalla quale doveva derivare la giustificazione, non vi è arrivato.

Perché mai? Perché non la cercava nella fede, ma come se essa provenisse dalle opere.

Inciamparono nella pietra d'inciampo, come sta scritto: ( Rm 9,30-33 ) Ecco io pongo in Sion una pietra d'inciampo e di scandalo, ma chi crede in essa non rimarrà deluso. ( Is 28,16; Is 8,14; 1 Pt 2,7 )

Ecco qual è la giustificazione proveniente dalla fede, mediante la quale crediamo d'essere giustificati, cioè di diventare giusti mediante la grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo nostro Signore affinché siamo trovati incorporati in lui non già con la giustizia nostra derivante dalla Legge, ma con quella derivante dalla fede in Cristo.

Questa giustizia proveniente da Dio consiste nella fede, ( Fil 3,9 ) e precisamente nella fede mediante la quale crediamo che la nostra giustificazione è dono di Dio e non già frutto della nostra volontà e delle nostre forze.

3.9 - La giustizia della Legge non è da Dio

Orbene, perché mai l'Apostolo chiama " propria " la giustizia che deriva dalla Legge e non da Dio?

Forse che la Legge non deriverebbe da Dio? Una cosa simile potrebbe pensarla soltanto un empio!

Il motivo invece è che la Legge impone sì dei precetti mediante la lettera, ma non dà alcun aiuto mediante lo Spirito; chi perciò ascoltasse la lettera della Legge illudendosi che gli bastasse conoscerne i precetti e le proibizioni credendosi capace di adempierla con le sole forze del suo libero arbitrio senza ricorrere con la fede allo Spirito che vivifica per essere aiutato ad evitare la morte che la lettera infligge a chi la trasgredisce e si rende colpevole, costui avrebbe sì amore verso Dio, ma un amore non conforme ad una scienza approfondita.

Se, infatti, non conosce la giustizia di Dio, ossia quella largita da Dio e vuole far sussistere una giustizia sua propria, in modo che derivi solo dalla Legge, non è sottomesso alla giustizia di Dio.

Infatti, come afferma il medesimo Apostolo, il compimento della Legge è Gesù Cristo per la giustificazione di tutti i credenti, ( Rm 10,2-4 ) affinché noi diventiamo in lui giustizia di Dio. ( 2 Cor 5,21 )

Giustificati quindi per mezzo della fede cerchiamo di avere la pace con Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore; ( Rm 5,1 ) inoltre giustificati gratuitamente per grazia di Dio ( Rm 3,24 ) cerchiamo d'evitare anche che la stessa fede sia superba.

3.10 - Obiezione: Se la grazia è dalla fede, come è gratuita?

Nessuno inoltre dica a se stesso: " Se ( la giustificazione ) proviene dalla fede, come mai può essere gratuita?

Ciò infatti che la fede merita, perché mai non viene reso ( come cosa dovuta ) anziché come un dono? ".

Il fedele si guardi bene dall'affermare una cosa simile, poiché se dirà: " Io ho la fede per meritare la giustificazione ", gli si replica: Che cosa mai possiedi che tu non abbia ricevuto? ( 1 Cor 4,7 )

Poiché dunque la fede ci ottiene la giustificazione solo nella misura della stessa fede concessa da Dio a ciascuno, nessun merito umano precede la grazia di Dio, ma la stessa grazia merita d'essere accresciuta perché in tal modo meriti d'essere portata alla perfezione se non è già guidata ma accompagnata dalla volontà la quale non la precede ma la segue come un'ancella.

Per questo motivo il Salmista che disse: Conserverò presso di te la mia forza, ( Sal 59,10 ) ne aggiunse anche la ragione col dire: Poiché sei tu, mio Dio, il mio sostegno, come se ricercasse per quali meriti avesse ottenuto quel favore; e non trovandone in se stesso alcuno precedente alla grazia di Dio, soggiunse: La tua misericordia, Dio mio, mi preverrà. ( Sal 59,11 )

Per quanto, egli dice, penserò ai miei meriti precedenti, sarà sempre la sua misericordia a prevenirmi.

Conservando perciò presso Dio la sua forza avuta da lui, non la perde, poiché gliela conserva lo stesso Dio che glie l'ha data.

Il fedele inoltre non merita grazie più grandi se non quando, mediante il suo spirito di fede e di pietà, riconosce da chi gli deriva ogni bene; e questa sua consapevolezza non gli proviene dalla propria intelligenza, affinché nemmeno ciò egli lo abbia senza che provenga anche da Dio.

Ecco perché molto bene dice l'Apostolo: Noi non abbiamo ricevuto lo spirito di questo mondo, ma lo Spirito che procede da Dio, per mezzo del quale possiamo conoscere i doni largitici da Dio. ( 1 Cor 2,12 )

Per questo motivo anche lo stesso merito dell'uomo è un dono gratuito.

Nessuno può ricevere alcun bene dal Padre dei lumi, dal quale discende ogni dono perfetto, ( Gc 1,17 ) se prima non riceve ciò a cui non ha diritto.

4.11 - La grazia data ai bambini col battesimo

Per altro verso è molto più misericordioso e senza dubbio più gratuito il dono largito ai bambini dalla grazia di Dio per mezzo di Gesù Cristo, nostro Signore, affinché non nuoccia loro la generazione per discendenza da Adamo, ma giovi loro la rigenerazione in Cristo; la misericordia di Dio, infatti, previene tanto tempo prima perfino la consapevolezza di tale beneficio.

Di certo i bambini, che muoiono in tenera età, ricevono consapevolmente in premio la vita eterna e il regno dei cieli in virtù della grazia da loro ricevuta senza averne consapevolezza allorché Dio procurò loro quel gran beneficio.

Certamente per essi i meriti dei doni successivi non sono altro che i doni precedenti, nel largire i quali la grazia di Dio agisce senza essere preceduta, accompagnata o seguita dalla volontà dei bambini che li ricevono, dal momento che un beneficio sì prezioso è concesso ai bambini che non solo non ne hanno desiderio, ma perfino vi si oppongono, cosa questa che sarebbe loro imputata come un gran sacrilegio se il libero arbitrio della loro volontà potesse avere già un influsso sia pur piccolo sulle loro azioni.

4.12 - Nasciamo nel castigo, rinasciamo nella grazia

Abbiamo detto ciò per quanti sono incapaci di penetrare gl'insondabili disegni di Dio nella questione della grazia, ( Rm 11,33 ) cioè perché mai dalla medesima massa dei discendenti di Adamo, caduta tutta nella condanna per colpa d'un solo individuo, ( Rm 9,21 ) Dio forma un vaso destinato a un uso nobile e un altro destinato a un uso volgare; essi tuttavia osano affermare che i bambini sono colpevoli di peccati personali in modo che si arriva a pensare che, pur non potendo questi avere il concetto di bene o di male, possono meritare la pena o la grazia mediante il loro libero arbitrio.

L'Apostolo, al contrario, proclamando che per causa d'un sol uomo tutti sono caduti nella condanna, ( Rm 5,16 ) mostra bene che nascono soggetti al castigo, sicché, non per giustizia ma per misericordia rinascono in virtù della grazia.

Altrimenti la grazia non è più grazia ( Rm 11,6 ) se è concessa in ricompensa dei meriti umani e non è largita gratis per le azioni compiute con l'aiuto di Dio.

La grazia si distingue dal castigo: questo è dovuto a tutti i discendenti di Adamo, quella è concessa mediante il solo Gesù Cristo; non è dovuta a nessuno ma è gratuita per essere veramente grazia; in tal modo i disegni di Dio possono essere imperscrutabili come lo è Dio stesso, perché egli predestina alla salvezza dei bambini senza che nessun merito precedente li renda migliori degli altri, ma non possono essere ingiusti perché l'azione di Dio s'ispira solo alla misericordia e alla verità. ( Sal 25,10 )

Quando perciò uno riceve la grazia della misericordia, non ha alcuna ragione di vantarsi a motivo di alcun merito umano, ( Ef 2,9 ) poiché la grazia non deriva dalle opere affinché nessuno per caso se ne vanti; quando, al contrario, uno riceve il castigo secondo quanto si merita realmente, non ha alcun motivo di lamentarsi, poiché riceve il castigo giustamente dovuto al peccato, dal momento che l'unico nel quale tutti hanno peccato, ( Rm 5,12 ) non viene certo punito ingiustamente anche in ciascuno di coloro che hanno peccato.

Nel castigo di questi si mostra con maggiore evidenza qual beneficio sia conferito a quanti sono oggetto della misericordia di Dio, ( Rm 9,23 ) non per una grazia loro dovuta, ma per una grazia vera, cioè gratuita.

5.13 - Il battesimo cancella i peccati non solo personali dei bimbi

L'Apostolo dice con estrema chiarezza: Per colpa d'un sol uomo il peccato entrò nel mondo e attraverso il peccato la morte, e così la morte si estese a tutti gli uomini, a causa del quale tutti peccarono. ( Rm 5,12 )

Orbene, quali argomenti portano i Pelagiani per confutare questa affermazione dell'Apostolo quando sostengono che anche i bambini hanno peccati personali commessi col libero arbitrio?

Ci rincresce di dovercene occupare, ci dispiace di doverli esporre, ma noi siamo maggiormente costretti a parlarne.

Quanto a ciò che hanno potuto escogitare ingegni sì grandi e acuti, sarebbe segno d'imbarazzo evitare di parlarne oppure segno d'arroganza passarlo sotto silenzio per disprezzo.

"Ecco, dicono essi, Esaù e Giacobbe lottano nel seno materno e, nell'atto di venire alla luce, l'uno viene soppiantato dall'altro e in un certo qual modo l'ostinazione della lotta è dimostrata dal fatto che la mano del secondo era avvinghiata al piede del primo.

In qual modo si può dunque negare del tutto l'uso del libero arbitrio per il bene o per il male a proposito di bambini che compiono azioni siffatte dalle quali derivano per conseguenza i premi o i castighi proporzionati ai meriti precedenti? ". ( Gen 25,22.25; Os 12,3 )

5.14 - La lite di Esaù e Giacobbe nel seno materno

A ciò noi rispondiamo che quei movimenti e quella specie di zuffa dei due gemelli era presagio di grandi eventi, poiché si trattava non di un atto di libero arbitrio, ma d'un prodigio.

Noi infatti non attribuiremo il libero arbitrio della volontà ( Nm 22,28-30 ) anche agli asini per il fatto che, a quanto narra la Sacra Scrittura a proposito proprio di un'asina, una bestia da soma, priva di voce, rispondendo con voce umana impedì al Profeta la sua pazzia. ( 2 Pt 2,16 )

Coloro i quali sostengono che quei movimenti non sono prodigiosi ma atti volontari compiuti dai due gemelli non a caso, come suole avvenire trattandosi di gemelli, in qual modo risponderanno all'Apostolo?

S. Paolo infatti, vedendo anche nel fatto dei due gemelli una prova della gratuità della grazia, dice: Infatti, non essendo ancora nati né avendo potuto ancora compiere nulla di bene o di male - in modo che la predeterminazione di Dio rimanesse secondo la sua scelta e non dipendesse dalle opere ma dall'iniziativa di Colui che chiama - fu detto ( alla madre ): Il maggiore servirà al minore. ( Rm 9,11-13; Ml 1,2-3 )

S. Paolo poi riferisce il passo del profeta Malachia, che molto tempo dopo il fatto spiegava l'eterno disegno di Dio a proposito dello stesso fatto dicendo: Come sta scritto: Ho amato Giacobbe e ho avuto in odio Esaù.

5.15 - La grazia e gli eletti alla salvezza

Proprio così infatti il Maestro dei Pagani nella fede e nella verità ( 1 Tm 2,7 ) attesta che i gemelli, prima di nascere, non potevano aver compiuto nulla di bene o di male per mettere in risalto la grazia; di conseguenza l'affermazione: Il maggiore servirà al minore deve intendersi fatta non in virtù delle opere ma della libera scelta, in modo che restasse fermo il disegno di Dio secondo la scelta fatta, senza che precedesse il merito umano.

L'Apostolo infatti non parla d'una scelta fatta dalla volontà o dalla natura umana, uguale essendo per ambedue i gemelli la condizione della morte e della condanna, ma parla senza dubbio della scelta operata dalla grazia la quale non trova persone meritevoli d'essere scelte ma le rende tali.

Di questa grazia S. Paolo parla ancora nei passi successivi della medesima lettera dicendo: Allo stesso modo, quindi, anche attualmente un residuo è stato salvato in virtù d'una benevolenza gratuita.

Ma se è in virtù d'una benevolenza gratuita, non è più in forza delle opere, altrimenti la benevolenza non è più gratuita 58. ( Rm 11,5-6 )

Con questo passo concorda pienamente l'altro spiegato poco prima in cui si ricorda che non in virtù delle opere ma del beneficio gratuito fu detto: Il maggiore servirà al minore. ( Rm 9,11-13 )

Perché mai, dunque, si contesta con tanta impudenza il più famoso assertore della grazia, parlando di libero arbitrio nei bambini e di loro opere anteriori alla nascita?

Perché mai si afferma che la grazia è preceduta dai meriti, dal momento che non sarebbe più una grazia se fosse concessa secondo il merito?

Perché mai, con argomentazioni sia pure acute, eloquenti ed eleganti ma ben poco cristiane si combatte la salvezza inviata ai perduti, discesa sugli immeritevoli?

6.16 - Perché Dio è giusto nell'eleggere chi è senza meriti

" Ma come può mai essere, ribattono essi, che non ci sia ingiustizia in Dio se con un atto del suo amore predestina alla salvezza coloro che non ne sono degni non avendo alcun merito derivante dalle opere?".

Ci si rivolge questa obiezione come se S. Paolo non l'avesse prevista, non se la fosse posta e non vi avesse risposto.

Egli previde certamente quali pensieri, a udire le sue parole, sarebbero potuti nascere dalla debolezza e dall'ignoranza dell'intelletto umano e, dopo essersi posta la medesima obiezione nei seguenti termini: Che diremo, dunque? Forse che v'è ingiustizia in Dio? ( Rm 9,14 ) risponde immediatamente: Niente affatto!

Al fine poi di spiegare perché dobbiamo guardarci dal pensare una simile cosa, vale a dire perché in Dio non ci sia ingiustizia, non dice affatto che Dio fonda i suoi giudizi sui meriti o sulle opere dei bambini, anche se sono racchiusi ancora nel seno materno - in quale modo infatti avrebbe potuto affermare una simile cosa, dal momento che aveva parlato dei due gemelli, i quali prima di nascere non avevano potuto ancora fare nulla di bene o di male e che non già in forza delle loro opere ma della chiamata di Dio era stato detto: Il maggiore servirà al minore? ( Rm 9,11-12 ) - ma volendo dimostrare perché riguardo ai due gemelli non v'è in Dio alcuna ingiustizia, afferma: ( Dio ) infatti dice a Mosè: Farò misericordia a chi vorrò farla, avrò pietà di chi vorrò aver pietà. ( Rm 9,15; Es 33,19 )

Che cos'altro c'insegna qui l'Apostolo se non che se uno si salva dalla massa dei discendenti del primo uomo, ( Rm 9,21 ) alla quale per giustizia è dovuta la morte, non lo deve ai propri meriti umani ma alla misericordia di Dio?

Per questo in Dio non esiste ombra d'ingiustizia, poiché non è ingiusto né quando condona né quando esige ciò che è dovuto.

Quando infatti il castigo potrebbe essere giusto, il perdono non è altro che una grazia.

Di qui appare ancora più evidente che se uno è salvato dal castigo dovuto ed è giustificato gratuitamente, riceve un beneficio tanto più grande ( Rm 3,24 ) dal momento che un altro ugualmente colpevole viene punito senza la minima ingiustizia da parte di Dio che punisce.

6.17 - Dio è sempre misericordia e giustizia, sia che condanni, sia che salvi

Infine l'Apostolo soggiunge dicendo: L'iniziativa non è dunque dell'uomo che vuole o che corre, ma di Dio che usa misericordia, ( Rm 9,16-18; Es 9,16 ) affermazione, questa, fatta per coloro che sono redenti e giustificati in virtù della grazia.

A proposito invece di coloro sul capo dei quali continua a pesare la collera divina, ( Gv 3,36 ) dato che Dio si serve anche di loro per ammaestrare gli altri che egli si degna di salvare, soggiunge dicendo: Dice infatti la Scrittura al Faraone: Proprio per questo ti ho esaltato, per manifestare in te la mia potenza e affinché il mio nome venga annunziato in tutta la terra; riferendosi poi agli uni e agli altri conclude col dire: Dio quindi usa misericordia a chi vuole e fa ostinare chi vuole, senza affatto commettere ingiustizia né verso gli uni, né verso gli altri ma agendo con misericordia e verità verso gli uni e verso gli altri.

Ciò nonostante certi individui temerari e instabili nella fede restano perplessi e tentano d'indagare, con le loro meschine congetture, l'insondabile abisso delle decisioni divine! ( Rm 11,33 )

6.18 - Prima d'esser guariti dalla grazia non si ha nulla di buono

D'altra parte l'Apostolo stesso si pone la medesima obiezione e soggiunge: Mi potrai perciò obiettare: Perché mai ancora biasima? Chi mai infatti può resistere alla sua volontà? ( Rm 9,19 )

Supponiamo che questa obiezione sia rivolta a noi; qual altra risposta dovremmo dunque dare, se non quella data dall'Apostolo?

Se invece tali problemi ci lasciano imbarazzati, poiché siamo uomini anche noi, ascoltiamo insieme che cosa ci risponde l'Apostolo: Chi mai sei tu, uomo, che vuoi contraddire a Dio?

Dirà forse un vaso a colui che lo plasmò: Perché mi hai plasmato in questa forma?

O non ha forse il vasaio la potestà di costruire con la medesima massa di creta un vaso destinato a un uso onorifico e un altro destinato a un uso banale? ( Rm 9,20-21; Is 45,9; Is 29,16 )

Se questa massa fosse talmente incapace di colpa o di merito da non meritare nulla di bene come nulla di male, non senza ragione potrebbe apparire ingiustizia che si costruissero con essa vasi destinati ad usi spregevoli.

Ma poiché, a causa del libero volere del primo uomo, tutta la massa degli uomini ha tralignato in modo da meritare la condanna derivata da un sol uomo, appare evidente che il fatto per cui Dio con essa costruisce vasi per usi nobili non è da attribuire alla bontà dell'uomo poiché non v'è bontà alcuna precedente alla grazia, ma è da attribuire alla misericordia di Dio; se invece Dio ne costruisce vasi per usi spregevoli, ciò deve attribuirsi non ad ingiustizia da parte di Dio, cosa che in Dio non può nemmeno immaginarsi, ma a giusta condanna.

Chi la pensa così con la Chiesa Cattolica, lungi dall'impugnare la grazia nel difendere i meriti dell'uomo, esalta la clemenza e la giustizia del Signore ( Sal 101,1 ) in modo da non ricusare da ingrato la clemenza e non accusare da ingiusto la sentenza di condanna.

6.19 - Ad alcuni la grazia immeritata, ad altri il giusto castigo

C'è poi un'altra pasta di cui parla lo stesso Apostolo quando afferma: Se infatti è santo il pane delle primizie, lo è anche ( la massa della ) pasta, e se è santa la radice, lo sono anche i rami. ( Rm 11,16 )

È quella che deriva da Abramo e non da Adamo, cioè dal comune segno sacro d'iniziazione e dalla medesima fede, non già dalla discendenza mortale.

Questa invece è la pasta o, come si legge in molti codici, la massa che è tutta condannata alla morte, dal momento che a causa d'un sol uomo entrò nel mondo il peccato e in forza del peccato la morte, e così la morte si estese a tutti gli uomini, a causa del quale tutti peccarono. ( Rm 5,12 )

Orbene, con questa pasta in virtù della misericordia si costruiscono recipienti destinati ad usi nobili ed altri destinati a usi spregevoli ( Rm 9,21 ) in virtù della giustizia.

Come dunque nel primo caso la grazia del Salvatore non è preceduta da merito alcuno, così nel secondo i peccati non sfuggono alla giustizia del punitore.

Questa verità però non appare così evidente a proposito delle persone adulte da confutare certi individui amanti delle dispute quando si battono per sostenere i meriti umani mettendosi in tal modo al riparo da ogni specie di oscurità.

Ma contro le discussioni di costoro ecco l'Apostolo trovare l'esempio dei due gemelli a proposito dei quali, che non erano ancora nati e che non avevano compiuto nulla di bene o di male, fu detto non già in dipendenza delle opere ma solo per volontà di Colui che chiama: Il maggiore servirà al minore. ( Rm 9,11-12 )

6.20 - Giusto nel condannare, Dio è buono nel salvare

A proposito di questo problema, dato che troppo profondi e inscrutabili sono i disegni di Dio e incomprensibile il suo modo d'agire, ( Rm 11,33 ) l'uomo tenga intanto ben presente che in Dio non c'è ingiustizia e, dato che è un uomo, confessi di non sapere in virtù di quale giustizia Dio ha pietà di chi vuole e fa ostinare chi vuole; ( Rm 9,18 ) in modo però da riconoscere - a causa di ciò ch'egli crede verità inconcussa, che cioè in Dio non v'è ombra d'ingiustizia - che, sebbene nessuno venga da lui giustificato in virtù di meriti precedenti, nessuno viene lasciato nell'ostinazione senza che lo abbia meritato per sua propria colpa.

In realtà è conforme alla retta fede e alla verità credere che quando Dio rende giusti i peccatori e gli empi, li salva dai castighi giustamente meritati; credere, al contrario, che Dio condanni uno che non merita il castigo e che non è colpevole di nessun peccato, vuol dire credere che Dio è ingiusto.

Allorché dunque Dio salva chi non lo merita, dev'essere tanto più ringraziato quanto più giusto era il castigo; quando invece viene condannato chi non lo merita, non si fa trionfare né la misericordia né la verità.

6.21 - Il dogma del peccato originale

" Come mai però, obiettano costoro, Esaù è condannato pur non essendo meritevole del castigo, se è vero che non in forza delle opere, ma in virtù della libera scelta fatta da Dio fu detto: Il maggiore servirà al minore? ( Rm 9,11-12 )

Allo stesso modo, infatti, che non esisteva alcuna opera precedente di Giacobbe perché fosse meritevole della grazia, così non esisteva alcuna opera precedente di Esaù che lo rendesse meritevole del castigo ".

Siamo d'accordo che non esisteva nessuna azione personale buona o cattiva compiuta da nessuno dei due gemelli, ma tutti e due erano colpevoli per essere vincolati con l'unico ( progenitore ) a causa del quale tutti gli uomini hanno peccato, ( Rm 5,12 ) in modo che tutti muoiono per la connessione che hanno con quello.

Tutti coloro, infatti, che sarebbero discesi da lui e avrebbero avuto una propria esistenza individuale, allora formavano quasi una sola persona con lui.

Ecco perché il suo peccato sarebbe stato un peccato solo personale, nel caso che egli non avesse avuto alcun discendente.

Ora invece, poiché da lui deriva la natura che ci è comune, non c'è neppure alcuno che sia immune dal suo peccato.

Se dunque tutti e due i gemelli, pur non avendo ancora compiuto alcuna azione personale buona o cattiva, nacquero tuttavia colpevoli a causa della loro origine, se l'uno viene salvato, benedica la misericordia di Dio, se l'altro viene condannato, non accusi la sentenza di condanna.

7.22 - Perché non tutti sono salvati

Se a questo punto diremo: " Quanto sarebbe stato meglio che fossero stati salvati tutti e due! ", l'Apostolo non ci potrà dare risposta più opportuna della seguente: Chi sei mai tu, uomo, che osi contraddire a Dio? ( Rm 9,20 )

Lo sa lui quel che deve fare o quale deve essere il numero anzitutto di tutti gli uomini e poi dei santi, come pure quello delle stelle e degli Angeli e, per parlare delle cose terrestri, l'esatto numero delle bestie, dei pesci, dei volatili, delle piante, delle erbe e infine delle foglie e dei nostri capelli.

Poiché noi, secondo il nostro umano modo di pensare, potremmo dire ancora: " Dato che tutti questi esseri da lui creati sono buoni, quanto avrebbe fatto meglio a raddoppiarne il numero e a moltiplicarli in modo che fossero molti di più di quelli che sono! ".

Nel caso infatti che non avessero potuto essere contenuti nel mondo, non avrebbe forse potuto crearlo quanto più grande avesse voluto?

Ma per quanto avesse moltiplicato le creature o per quanto più grande e capace avesse creato il mondo, tuttavia si sarebbe potuta ripetere la medesima cosa degli esseri capaci di moltiplicarsi e nessuna misura sarebbe risultata troppo grande.

7.23 - Perché Dio crea chi sa destinato a dannarsi

Orbene, sia che la giustificazione dei peccatori sia un effetto della grazia, verità della quale non ci è assolutamente lecito dubitare, sia che, a quanto vorrebbero alcuni, preceda sempre il libero arbitrio, di modo che dalla colpa o merito di questo derivi il castigo o la ricompensa, si potrebbe obiettare anche: " Perché mai Dio creò proprio individui che senza dubbio previde avrebbero peccato in modo da dover essere condannati al fuoco eterno? ".

Infatti, sebbene Dio non sia autore dei peccati chi mai, se non Dio, creò la stessa natura degli esseri che sono per se stessi certamente buoni?

In essi però, a causa del libero arbitrio, ci sarebbero stati i difetti dei peccati, in molti, anzi, peccati così gravi da dover essere castigati con la pena eterna.

E perché mai li creò, se non perché lo volle? E perché lo volle?

Chi sei tu, uomo, che osi contraddire Dio?

Forse che il vaso d'argilla può dire a colui che lo ha costruito: Perché mi hai costruito così?

Non è forse il vasaio padrone di formare con la medesima massa di creta un vaso destinato ad usi nobili e un altro destinato a usi spregevoli? ( Rm 9,20-21 )

7.24 - Ragione ultima dell'elezione o della dannazione

Inoltre, per dire ormai quel che l'Apostolo soggiunge immediatamente: Se poi Dio, volendo mostrare la sua collera e far conoscere ciò di cui egli è capace, sopportò con molta longanimità vasi d'ira approntati per la perdizione, allo scopo di far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia ( Rm 9,22-23 ), ecco è stata già data la spiegazione all'uomo, nella misura in cui era dovuta all'uomo - seppure può comprenderla chi, pur trovandosi nella schiavitù d'una così grande debolezza ( di fede ) a causa del suo libero arbitrio vuole ancora disputare ( Rm 9,20 ) - ecco dichiarate le ragioni.

Chi sei tu, dunque, che osi contraddire a Dio, se egli volendo mostrare la sua collera e far conoscere ciò di cui è capace, ( Rm 8,28-30 ) per il fatto che egli, ch'è l'ottimo, può servirsi per il bene anche dei cattivi, che sono tali non già a causa della natura, creata buona da Dio creatore, ma viziata dalla cattiva volontà, sopportò con immensa longanimità vasi d'ira approntati per la perdizione?

E non perché a Dio siano necessari i peccati degli angeli o degli uomini, dal momento che non ha bisogno della santità di nessuna creatura, ma per far conoscere la ricchezza della sua gloria verso i vasi di misericordia, affinché non s'insuperbissero delle proprie buone azioni come se fossero compiute in virtù delle proprie forze, ma umilmente comprendessero che, se non fossero aiutati dalla grazia di Dio - dono gratuito e non ricompensa dovuta alle loro azioni - avrebbe dovuto essere applicato ad essi il medesimo castigo che vedevano inflitto agli altri individui appartenenti alla stessa massa.

7.25 - I chiamati e gli eletti

Dalla prescienza di Dio è stato dunque predeterminato con assoluta esattezza il numero complessivo di tutti i santi.

Per coloro che lo amano - dono questo diffuso nei loro cuori dallo Spirito Santo ( Rm 5,5 ) - Dio fa che ogni cosa concorra al loro bene, per coloro cioè che si trovano ad essere chiamati secondo il suo piano ( d'amore ).

Poiché coloro che ha fatti oggetto delle sue premure nella sua prescienza, li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, facendo in modo ch'egli fosse il primogenito tra molti fratelli.

Coloro che egli ha predestinati, li ha pure chiamati; qui dobbiamo sottintendere: secondo il suo decreto, poiché anche altri sono chiamati ma non sono prescelti ( Mt 20,16; Mt 22,14 ) e per conseguenza non sono chiamati secondo il decreto di Dio.

Ma quelli ch'egli ha chiamati, sempre secondo il suo decreto, li ha pure giustificati e glorificati. ( Rm 8,28-30 )

Ecco quali sono i figli della promessa; ( Rm 9,8 ) ecco quali gli eletti che si salvano per essere stati scelti.

A tal proposito l'Apostolo dice: Se ( la scelta ) è in virtù d'una benevolenza gratuita, non è più in virtù delle opere, altrimenti la benevolenza non è più gratuita. ( Rm 11,5-6 )

Ecco quali sono i vasi di misericordia, ( Rm 9,22-23 ) a proposito dei quali Dio fa conoscere la ricchezza della sua liberalità mediante gli stessi vasi della sua giustizia punitiva.

Tutti questi formano, per opera dello Spirito Santo, un cuore solo e un'anima sola, ( At 4,31-32 ) che benedice Dio e non dimentica tutti i benefici di lui, che perdona tutte le sue colpe, che risana tutte le sue infermità, che riscatta la sua vita dalla corruzione e la incorona con la sua misericordia, ( Sal 103,2-4 ) poiché l'iniziativa non è dell'uomo che vuole o che corre, ma di Dio che usa misericordia. ( Rm 9,16 )

7.26 - Perché Dio crea chi non si salva

Quanto a tutti gli altri uomini che non fanno parte di questa santa famiglia ( dei quali la divina bontà ha creato l'anima e il corpo e tutte le doti inerenti alla natura umana tranne il vizio, inflitto ad essa dalla temerarietà della volontà gonfia d'orgoglio ) Dio nella sua prescienza li ha creati per mostrare per mezzo di essi di che cosa è capace, privo della grazia, il libero arbitrio di chi lo abbandona; ha sottratto invece, nonostante i loro giusti e meritati castighi, i vasi di misericordia ( separati da quella massa non per i meriti delle loro opere ma in virtù della benevolenza interamente gratuita di Dio ) affinché imparassero quale beneficio fosse stato concesso loro, di modo che venisse chiusa ogni bocca, ( Rm 3,19 ) e chi si vanta, si vanti nel Signore. ( 1 Cor 1,31; 2 Cor 10,17 )

8.27 - La natura umana e la redenzione di Cristo

Chi dunque insegna una dottrina diversa non segue gli insegnamenti salutari di nostro Signore Gesù Cristo, ( 1 Tm 6,3 ) che ha detto: Il Figlio dell'uomo è venuto per cercare e salvare ciò che era perduto; ( Lc 19,10; Mt 18,11 ) poiché non ha detto: " Ciò che sarebbe andato in perdizione " ma: Ciò che era perduto.

Volendo dimostrare cos'altro, se non che la natura di tutto il genere umano è incorsa nella perdizione a causa del peccato del primo uomo?

Chi dunque insegna una dottrina diversa e non abbraccia la dottrina conforme alla retta fede ( 1 Tm 6,3 ) e, difendendo la natura umana come se fosse integra e libera, si oppone alla grazia del Salvatore e al sangue del Redentore - e ciononostante pretende d'essere chiamato Cristiano - che cosa potrà dire della scelta tanto diversa che Dio fa tra i bambini, per cui uno è accolto nella vita del secondo Adamo mentre un altro è lasciato nella morte del primo Adamo?

Se risponderà che esistevano già in precedenza i meriti ( o le colpe ) del libero arbitrio, l'Apostolo ha già risposto quanto abbiamo riferito più sopra a proposito dei due gemelli non ancora nati ed incapaci di fare alcunché di bene o di male. ( Rm 9,11 )

Se poi dirà quello che si sostiene ancora nei libri pubblicati recentemente - a quanto si dice - da Pelagio ( sebbene sembri ormai che nel processo intentatogli dai vescovi di Palestina condannasse coloro i quali affermano che il peccato di Adamo nocque a lui solo e non a tutti i suoi discendenti ), se dunque dirà che ambedue nacquero senz'essere coinvolti nella condanna e non contrassero nulla della condanna del primo uomo, poiché certamente non oserà negare che viene accolto nel regno dei cieli quello dei due che sarà stato rigenerato per i meriti di Gesù Cristo, ci risponda che cosa mai avverrà dell'altro che, non avendo ricevuto il battesimo senza nessuna propria colpa personale, sarà stato prevenuto dalla morte temporale.

Noi non crediamo che costui oserà affermare che Dio condannerà alla morte eterna un innocente che è immune dal peccato originale, prima degli anni in cui avrebbe potuto compiere un peccato personale; è quindi costretto a sostenere ciò che Pelagio, nel processo svoltosi davanti a dei vescovi per essere dichiarato in qualche modo cattolico, fu costretto a condannare con anatema, che cioè i bambini hanno la vita eterna anche senza essere battezzati; orbene, se si nega questa, che cosa resta se non la morte eterna?

8.28 - Esclusi dalla vita eterna i bimbi non battezzati

Costui perciò addurrà ragioni contrarie all'affermazione del Signore che dice: I vostri antenati nel deserto mangiarono la manna eppure sono morti; questo invece è il pane disceso dal cielo, perché chi ne mangia, non muoia. ( Gv 6,49-50 )

Egli infatti non parlava della morte temporale che inevitabilmente subiscono anche quelli che mangiano di quel pane.

Il Signore poi soggiunge: In verità, in verità vi dico: Se non mangerete la carne del Figlio dell'uomo e non berrete il suo sangue, non avrete la vita in voi, ( Gv 6,54 ) precisamente la vita che verrà dopo la morte.

Costui inoltre addurrà ragioni pure contro l'autorità della Sede Apostolica, dalla quale, trattandosi del medesimo problema, fu citato questo passo del Vangelo per dimostrare che i bambini non battezzati non possono avere la vita eterna.2

Infine, chi parla così va contro le stesse asserzioni di Pelagio pronunciate davanti ai vescovi che lo ascoltavano, con le quali condannò all'anatema colore i quali sostenevano che i bambini morti senza battesimo ottengono la vita eterna.

8.29 - Contraddice a Cristo chi pensa il contrario

Abbiamo ricordato queste cose perché in mezzo a voi o almeno nella vostra città - seppure è vero quanto abbiamo sentito dire - certuni si sforzano di difendere cotesto errore con tale cocciutaggine che si dichiarano perfino disposti ad abbandonare lo stesso Pelagio il quale ha condannato all'anatema i seguaci del suddetto errore, anziché rinunciare alla propria opinione, che reputano vera.

Se invece si arrendono all'autorità della Sede Apostolica o meglio al Maestro e Signore degli Apostoli, il quale afferma che nessuno avrà in se stesso la vita, se non si ciberà della carne del Figlio dell'uomo e non berrà il suo sangue - cosa questa possibile senza dubbio ai soli battezzati - dovranno certamente ammettere una buona volta che i bambini morti senza battesimo non possono avere la vita e perciò sono condannati alla morte eterna, quantunque nella maniera più tollerabile che per tutti quelli i quali hanno commesso anche peccati personali. 

8.30 - Il peccato originale e il castigo dei bambini

Stando così le cose, osino discutere ancora e si sforzino pure di convincere quanti possono che Dio, il quale è giusto ( Rm 9,14 ) ed immune da qualsiasi ombra d'iniquità, condannerà alla morte eterna i bambini esenti da qualsiasi macchia di peccati personali, se non sono colpevoli e macchiati nemmeno del peccato derivante da Adamo!

Una simile mostruosità però è totalmente assurda e del tutto aliena dalla giustizia di Dio.

Chiunque pertanto si ricorda d'essere cristiano, di fede cattolica, ammette senz'alcuna ombra di dubbio che i bambini, se non vengono rigenerati in Cristo con l'infusione della grazia e se non si cibano della sua carne e non si dissetano col suo sangue, non possono avere in se stessi la vita ( Gv 6,54 ) e perciò saranno condannati all'eterno castigo.

Non resta dunque altro che riconoscere questa verità, che cioè tali bambini, non avendo commesso di propria volontà alcunché di bene o di male, ( Rm 9,11 ) la giusta causa del castigo della loro morte è che essi muoiono per il fatto che discendono da Adamo, nel quale tutti hanno peccato. ( Rm 5,12 )

Dal peccato originale non viene liberato nessuno se non per grazia di Colui che non poté esserne contagiato né può commettere peccati personali.

8.31 - Opera della grazia la vocazione e la giustificazione

È stato lui a chiamarci non solo di tra i Giudei, ma anche di tra i Pagani, ( Rm 9,24 ) poiché coloro che egli volle dei figli della Gerusalemme, che uccise i Profeti e lapidò quelli che le erano stati inviati, li radunò nonostante che essa vi si opponesse; ( Mt 23,37; Lc 13,34 ) e ciò ha fatto non solo prima della sua incarnazione col chiamare gli stessi Profeti, ma anche dopo che il Verbo si fece carne ( Gv 1,14 ) col chiamare gli Apostoli e altre migliaia di persone le quali depositarono i loro beni ai piedi degli Apostoli. ( At 4,34-35; At 2,41; At 4,4 )

Essi infatti sono figli della Gerusalemme che non voleva fossero radunati eppure lo sono stati suo malgrado.

A proposito di essi così dice il Cristo: Se io scaccio i demoni in virtù di Beelzebùb, in virtù di chi li scacciano i vostri figli?

Per questo essi saranno i vostri giudici. ( Mt 12,27 )

Di essi era stato predetto: Se il numero dei figli d'Israele sarà grande come l'arena del mare, se ne salverà solo una parte. ( Rm 9,27; Is 10,22; Os 2,1 )

La parola di Dio non può rimanere senza effetto né Dio ha rigettato il suo popolo da lui eletto nella sua prescienza, ma questo piccolo "resto" si è salvato in virtù della scelta fatta dalla grazia. ( Rm 9,6 )

Se dunque è in virtù della grazia - cosa che deve ripetersi spesso - non è più in virtù delle opere, altrimenti la benevolenza non è più una grazia; ( Rm 11,2 ) parole queste non nostre, bensì dell'Apostolo. ( Rm 11,5-6 )

Ciò che, dunque, il Signore rimproverava a Gerusalemme, la quale non voleva che i suoi figli fossero radunati, lo rimproveriamo anche noi a quanti non vogliono che siano radunati nel seno della Chiesa i figli che lo desiderano.

Costoro inoltre non vogliono correggersi nemmeno dopo il processo svoltosi in Palestina nei confronti di Pelagio, processo dal quale questi sarebbe uscito condannato, se non avesse condannato a sua volta i punti della sua dottrina, contrari alla grazia di Dio, che gli venivano rinfacciati e che egli non poté dissimulare.

9.32 - Dodici tesi di Pelagio da lui abiurate

Infatti, oltre ad alcuni punti della sua dottrina che Pelagio osò difendere con i sofismi peggiori possibili, gliene furono contestati altri che, se non li avesse condannati senza alcun sotterfugio, sarebbe stato condannato lui stesso.

Ecco le proposizioni che gli furono rinfacciate: "

1°) Adamo sarebbe dovuto morire comunque, avesse o non avesse peccato;

2°) il suo peccato recò danno a lui solo e non a tutto il genere umano;

3°) i bambini appena nati si trovano nella stessa condizione di Adamo prima del peccato;

4°) la disubbidienza e la morte di Adamo non sono affatto causa della morte di tutti gli uomini, né la redenzione di Gesù Cristo è causa della risurrezione di tutti gli uomini;

5°) i bambini ottengono la vita eterna anche se non sono battezzati;

6°) ai ricchi battezzati non è computato il bene che ad essi pare d'aver compiuto e non possono possedere il regno di Dio,3 se non rinunciano a tutti i loro beni;

7°) la grazia e l'aiuto di Dio non vengono concessi per ogni singola azione, ma consistono solo nel libero arbitrio, nella Legge e nella dottrina rivelata;

8°) la grazia di Dio viene concessa nella misura dei nostri meriti;4

9°) non possono chiamarsi figli di Dio se non quelli che sono divenuti assolutamente privi di peccato;

10°) il libero arbitrio è un'utopia se ha bisogno dell'aiuto di Dio poiché ciascuno ha nella propria volontà il potere di fare o di non fare una cosa;

11°) è il libero arbitrio e non già l'aiuto di Dio a farci riportare la vittoria ( su noi stessi );

12°) a chi fa penitenza è concesso il perdono non in conformità della grazia e della misericordia di Dio, ma in conformità dei meriti e delle fatiche sostenute da coloro i quali con la penitenza hanno meritato la misericordia ".5

9.33 - Dodici tesi antipelagiane

Come attestano sufficientemente i verbali del suddetto processo, Pelagio condannò tutte queste proposizioni senza addurre alcun argomento per difenderle o discuterle minimamente.

Per conseguenza, chi si attiene all'autorità di quel tribunale vescovile e alla confessione dello stesso Pelagio, deve sostenere le seguenti tesi sempre difese dalla Chiesa Cattolica:

1°) se Adamo non avesse peccato, non sarebbe incorso nella morte;

2°) il suo peccato non rovinò lui solo, ma tutto il genere umano;

3°) i bambini appena nati non si trovano nella condizione in cui si trovava Adamo prima del peccato;

4°) anche ad essi quindi si applica ciò che S. Paolo afferma in poche parole: Per mezzo di un sol uomo è venuta la morte,  per mezzo d'un sol uomo la risurrezione dei morti.

Come infatti tutti muoiono in Adamo, così tutti saranno vivificati in Cristo; ( 1 Cor 15,21-22 )

5°) per conseguenza i bambini morti senza battesimo non possono possedere non solo il regno dei cieli ma nemmeno la vita eterna;

6°) deve ammettere altresì che non sono esclusi dal regno di Dio i ricchi battezzati anche se non rinunciano ai loro beni, purché siano come li descrive l'Apostolo quando dice a Timoteo: Ammonisci i ricchi di questo mondo a non avere sentimenti di superbia, a non riporre la propria fiducia nella ricchezza malsicura ma nel Dio vivente che ci procura in abbondanza tutto ciò di cui abbiamo bisogno, ad essere ricchi di opere buone, generosi, umani nel trattare, ad accumulare un buon patrimonio di virtù per l'avvenire al fine di acquistare la vita eterna; ( 1 Tm 6,17-19 )

7°) la grazia e l'aiuto di Dio vengono concessi per ciascuna delle nostre azioni;

8°) la grazia non viene accordata in considerazione dei nostri meriti, affinché sia veramente grazia, cioè beneficio concesso gratuitamente per misericordia di Colui che ha detto: Avrò misericordia di chi vorrò averla, avrò pietà di chi vorrò averla; ( Es 33,19 sec. LXX )

9°) possono essere chiamati figli di Dio coloro che ogni giorno dicono: Rimetti a noi i nostri debiti, ( Mt 6,12; Lc 11,4 ) cosa che non potrebbero dire sinceramente e veracemente se fossero del tutto immuni dal peccato;

10°) il libero arbitrio esiste anche se ha bisogno dell'aiuto di Dio;

11°) quando combattiamo contro le tentazioni e i cattivi desideri, quantunque anche allora abbiamo la nostra volontà, la nostra vittoria non deriva dalla volontà, ma dall'aiuto di Dio; altrimenti non sarebbe vero quanto afferma l'Apostolo: L'iniziativa non è dell'uomo che vuole o che corre, ma di Dio che usa misericordia; ( Rm 9,16 )

12°) a coloro che si pentono, Dio concede il perdono non in conformità dei loro meriti, ma della sua grazia e misericordia, dal momento che l'Apostolo chiama dono di Dio lo stesso pentimento, nel passo ove di alcuni dice: Se mai Dio conceda loro di ravvedersi. ( 2 Tm 2,25 )

Tutte queste verità deve ammettere con semplicità e senza equivoci chi è d'accordo con l'autorità della Chiesa Cattolica e con le affermazioni dello stesso Pelagio, registrate nei verbali ecclesiastici.

Non si deve infatti pensare che siano state condannate sinceramente le tesi contrarie a quelle sopra riferite, se non si credono sinceramente e non si professano apertamente queste alle quali quelle sono contrarie.

10.34 - Ambiguità di Pelagio circa la grazia

Nemmeno nei libri più recenti, che si dice siano stati pubblicati da Pelagio dopo il processo intentatogli, appare con sufficiente evidenza il suo pensiero circa il problema della grazia, benché sembri che riconosca l'aiuto della grazia di Dio.

In alcuni passi egli considera infatti il potere della volontà così perfettamente equilibrato, che lo definisce tanto capace di peccare quanto anche di evitare il peccato; se ciò fosse vero, risulterebbe completamente escluso l'aiuto della grazia, senza la quale - affermiamo noi - il libero arbitrio non ha alcuna capacità di evitare il peccato.

In altri passi invece Pelagio ammette che noi siamo sostenuti e difesi dall'aiuto quotidiano della grazia di Dio, sebbene abbiamo il libero arbitrio vigoroso e gagliardo per evitare il peccato, mentre avrebbe dovuto piuttosto confessare che la volontà è debole ed incapace fino a quando non vengano guarite tutte le debolezze dell'anima nostra. ( Mt 4,23 )

Non pregava certo per una malattia fisica il Salmista quando diceva: Abbi pietà di me, Signore, perché sono malato; guariscimi, Signore, perché le mie ossa sono turbate; ( Sal 6,3 ) per mostrare che pregava per l'anima, egli soggiunge: e assai turbata è l'anima mia. ( Sal 6,4 )

10.35 - La vera opinione di Pelagio

A quanto pare, dunque, Pelagio crede che l'aiuto della grazia ci venga concesso come un sovrappiù, in modo cioè che, anche se non ci venisse concesso, avremmo tuttavia, per non peccare, il libero arbitrio vigoroso e gagliardo.

Si potrebbe pensare che questa nostra supposizione a suo riguardo sia temeraria e qualcuno potrebbe dire: " Egli crede bensì che il libero arbitrio è vigoroso e gagliardo per evitare il peccato ( sebbene non sia capace di fare e compiere ciò senza la grazia di Dio ) ma solo allo stesso modo che noi diciamo che gli occhi sani sono bensì capaci di vedere, ma non potrebbero compiere affatto la loro azione senza l'aiuto della luce".

Pelagio però mostra più palesemente che cosa volesse dire o pensasse, in un altro passo ove dice: " Dio dà la grazia agli uomini affinché possano compiere più facilmente col suo aiuto ciò che loro viene comandato di fare con il libero arbitrio ".6

Quando dice: " più facilmente ", che cos'altro vuole intendere se non che anche senza la grazia possiamo compiere facilmente o anche difficilmente col libero arbitrio ciò che Dio comanda?

10.36 - Testi scritturistici contro le tesi erronee di Pelagio

Ma perché allora il Profeta dice: Che cosa mai è l'uomo perché tu pensi a lui? ( Sal 8,5 )

Che cosa infine significano i passi della Sacra Scrittura che il vescovo di Gerusalemme ricorda di aver citati contro Pelagio - come si legge proprio in quei verbali - allorché gli fu riferito che Pelagio affermava che l'uomo può vivere immune dal peccato anche senza la grazia di Dio?7

Ecco i tre passi molto importanti citati dal vescovo contro l'empio pregiudizio di colui.

I primi due passi sono dell'Apostolo, che dice: Ho faticato più di tutti loro, non già io, ma la grazia di Dio con me; ( 1 Cor 15,10 ) e l'altro: L'iniziativa non è dell'uomo che vuole o che corre, ma di Dio che usa misericordia; ( Rm 9,16 ) il terzo è del Salmo che dice: Se il Signore non edificherà la casa, invano si affaticano i costruttori. ( Sal 127,1 )

In qual modo, dunque, senza l'aiuto di Dio si potrà compiere, sia pure con difficoltà, ciò che Dio comanda, dal momento che, se Dio non edifica, come afferma la Sacra Scrittura, invano si affaticano i costruttori?

E non sta nemmeno scritto: " La salvezza è bensì opera di chi vuole e corre, ma con maggiore facilità è di Dio che usa misericordia "; sta scritto al contrario: L'iniziativa non è dell'uomo che vuole o che corre, ma di Dio che usa misericordia.

Ciò non vuol dire che sia esclusa la volontà o lo sforzo dell'uomo, bensì che l'uomo non può far nulla se Dio non gli usa misericordia.

Allo stesso modo l'Apostolo non dice: " Anch'io ", ma: Non già io, ma la grazia di Dio con me, non perché egli non facesse nulla di buono, ma perché non l'avrebbe fatto se non fosse stato aiutato dalla grazia.

D'altronde la possibilità del libero arbitrio tanto per il bene quanto per il male, derivante dal perfetto equilibrio delle sue inclinazioni, non lascia nemmeno luogo a questa facilità che Pelagio sembra abbia ammessa, almeno a parole, dicendo: " ( affinché ) possano compiere più facilmente ( il bene ) con l'aiuto della grazia"; se infatti il bene è compiuto più facilmente con l'aiuto della grazia, mentre senza il suo aiuto è compiuto assai facilmente il male, senza dubbio tale possibilità non è perfettamente equilibrata come i piatti d'una bilancia.

11.37 - Pelagio, esaltando la natura, vanifica la croce di Cristo

Ma, per non farla troppo lunga, non solo dobbiamo essere prudenti per evitare tali eretici, ma anche zelanti per istruirli e per ammonirli, qualora siano disposti.

Maggiore sarà tuttavia il favore che loro faremo se pregheremo che si correggano affinché, pur con tutto il loro ingegno, non si perdano essi stessi o non mandino in perdizione altri a causa della loro falsa e nefasta dottrina.

Poiché essi hanno bensì zelo per Dio, ma non secondo una conoscenza approfondita; ( Rm 10,2-3 ) cioè ignorando la giustizia che deriva da Dio, e cercando di far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. ( Fil 3,9 )

E poiché portano il nome di Cristiani, devono stare in guardia più dei Giudei, a proposito dei quali l'Apostolo dice che non vadano ad urtare contro la pietra d'inciampo ( Rm 9,32 ) col difendere - acutamente a loro giudizio - la natura ed il libero arbitrio alla maniera dei filosofi pagani, i quali fecero di tutto per persuadere se stessi e gli altri che ci si può procurare la felicità con le sole forze della propria volontà.

Si guardino bene costoro dal rendere vana la croce di Cristo con la sapienza della parola, ( 1 Cor 1,17 ) dal cadere cioè sulla pietra d'inciampo.

Infatti, se anche la natura umana fosse ancora nell'integrità in cui fu creata, non potrebbe mantenervisi senza uno speciale aiuto del Creatore.

Se quindi, senza la grazia di Dio, non può conservare la salvezza ricevuta, come potrà, senza la grazia di Dio ricuperarla, una volta perduta?

11.38 - Pregare per la resipiscenza dei Pelagiani

Non dobbiamo inoltre tralasciare di pregare per essi col pretesto che, se non si ravvedono, ciò è da imputare alla volontà di coloro che non vogliono credere che anche per lo stesso ravvedimento è loro necessaria la grazia del Salvatore, mentre essi credono che abbia il suo fondamento nelle sole forze della volontà.

Infatti anche coloro ( i Giudei ), ai quali questi assomigliano a puntino per ciò che riguarda la nostra questione, a proposito dei quali l'Apostolo disse che, ignorando la giustizia di Dio e cercando di far sussistere la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio, ( Rm 10,3 ) certamente non credevano per colpa della loro volontà, poiché nulla li costringeva a non credere contro la loro volontà ma, per il fatto stesso di non voler credere, non erano scevri dal peccato d'incredulità.

Siccome tuttavia la volontà èincapace di determinarsi a credere nella verità, se Dio non la soccorre con la grazia, come affermò lo stesso Gesù Cristo parlando degli increduli: Nessuno viene a me se non gli sarà concesso dal Padre, ( Gv 6,66 ) per lo stesso motivo l'Apostolo, sebbene predicasse loro il Vangelo senza mai stancarsi, tuttavia ben vedeva che ciò sarebbe stato insufficiente, se non avesse anche pregato per loro, affinché abbracciassero la fede.

Egli infatti dice: Fratelli, certo il desiderio del mio cuore e la preghiera a Dio per loro hanno per scopo che si salvino.

Egli poi soggiunge la frase da noi citata: Do infatti loro atto che nutrono zelo per Dio, ma non secondo una conoscenza approfondita; ( Rm 10,1-2 ) preghiamo dunque anche noi per loro, santo fratello.

12.39 - La grazia sana gli infermi, stimola i pigri, aiuta i volenterosi

Tu certo vedi bene, al pari di noi, di quale dannoso errore siano colpevoli.

Le tue lettere infatti esalano il più schietto profumo di Cristo; in esse ti mostri uno dei più sinceri amanti ed assertori della stessa grazia.

Abbiamo tuttavia creduto opportuno intrattenerci con te a lungo su tale argomento, in primo luogo perché ne proviamo assai vivo piacere; che cosa infatti dovrebbe essere più gradevole della grazia per gli infermi, dato che li guarisce, o per i tiepidi dato che li eccita, o per i volenterosi dato che li aiuta?

In secondo luogo, nella nostra discussione abbiamo cercato, non già di sostenere la tua fede, ma di somministrarti un aiuto per proclamare e difendere la stessa fede contro gli eretici, allo stesso modo che anche noi siamo aiutati ad avere questa possibilità dalle lettere della tua fraternità.

12.40 - Paolino sulla miseria del genere umano

Quale affermazione può essere più ampia, più verace, più esplicita di quella che fai nel seguente passo di una tua lettera in cui umilmente deplori che la nostra natura non è rimasta nello stato in cui era stata creata, ma è stata corrotta per colpa del capostipite del genere umano?

" Misero e afflitto - tu dici - sono io, ( Sal 69,30 ) che sono ancora un ammasso di sudiciume dell'immagine terrestre e riproduco molto più la natura del primo che del secondo Adamo nei miei sentimenti carnali e nelle mie azioni terrene. ( 1 Cor 15,47-49 )

In qual maniera oserò dipingermi ai tuoi occhi, dal momento che mi riconosco colpevole d'aver cancellato in me, a causa della corruzione terrestre, l'immagine dell'uomo celeste?

Mi sento pieno di vergogna per due motivi: arrossisco di dipingermi come sono, ma non oso rappresentarmi diverso da quel che sono; non amo quel che sono e non sono quel che amo.

Ma che mi gioverà ( poveretto me! ) odiare l'iniquità e amare la virtù, ( Sal 45,8; Eb 1,9 ) se faccio più volentieri ciò che odio e per la mia pigrizia non mi sforzo di fare piuttosto ciò che amo?

Sento il dissidio interiore che mi dilania per la mia incoerenza, mentre lo spirito lotta contro la carne e la carne contro lo spirito ( Gal 5,17 ) e la legge della carne combatte quella dello spirito a causa della legge del peccato. ( Rm 7,23 )

Me infelice, poiché non sono riuscito ad eliminare il sapore avvelenato dell'albero funesto nemmeno col legno della croce! ( Gen 3,6 )

Porto infatti ancora in me il veleno propinatoci dal progenitore Adamo, col quale egli corruppe tutta quanta la sua discendenza ".8

Come queste, sono tutte le altre espressioni, molte delle quali tu seguiti ad aggiungere gemendo per questa miseria, aspettando la liberazione del tuo corpo, sapendo che la tua salvezza non si è ancora attuata ma è solo sperata. ( Rm 8,23-24 )

12.41 - Il dissidio interiore causato dal peccato originale

Ma forse, parlando così, tu hai rappresentato in te stesso la persona di un altro e, da parte della carne che ha desideri contrari allo spirito, anche senza acconsentirvi non provi alcuna di quelle molestie odiose ed importune.

Ma che sia tu od altri a provare simili molestie e ad aspettare che la grazia di Cristo lo liberi da questo corpo di morte, ( Rm 7,24 ) nessuno era ancora in modo evidente un individuo nella propria personalità, ma era come nascosto nel primo uomo allorché questi assaporò il frutto proibito e in tal modo si procurò la perdizione che si sarebbe estesa a tutti gli uomini d'ogni tempo e luogo, se per una via diversa, nascendo cioè dalla Vergine, Colui che non si era perduto non fosse venuto a cercare e a salvare ciò che era perduto. ( Lc 19,10; Mt 18,11 )

Quanto poi alla necessità di pregare e chiedere con gemiti la grazia di vivere santamente e progredire nella virtù, quale tua lettera non ne è ripiena?

In quale dei tuoi scritti, di qualunque lunghezza esso sia, non ricorre, accompagnata da gemiti di pietà, l'invocazione della preghiera insegnataci da Cristo: Non ci far soccombere alla tentazione? ( Mt 6,13; Lc 11,4 )

Consoliamoci dunque a vicenda in mezzo a tutte queste miserie, incoraggiamoci e aiutiamoci reciprocamente nella misura che Dio ci concede.

Le cose da noi sentite e le persone cui si riferiscono - per le quali siamo assai dolenti e che non vogliamo credere con leggerezza - la Santità tua le apprenderà dal nostro comune amico.

Quando egli, se la misericordia di Dio vorrà, tornerà da noi sano e salvo, speriamo d'essere pienamente informati in tutti i particolari.

Sulla seguente lettera ( Da Ritratt. 2,49 )

Ho scritto un trattato Sulla presenza di Dio, nel quale il mio sforzo mentale è diretto con la maggior cura possibile alla confutazione dell'eresia pelagiana, per quanto questa non sia nominata espressamente.

In esso però è anche trattata, con ricerche laboriose e sottili, la questione della presenza della sostanza che noi chiamiamo il sommo e vero Dio, e del suo tempio.

Questo trattato comincia così: Riconosco, carissimo fratello Dardano.

Indice

1 Aug., De gratia Christi, 1,35,38
2 Aug., Ep. 182,5
3 Aug., De gestis Pel. 11,23-24;
Aug., De gestis Pel. 33,57;
Aug., De gestis Pel. 35,65
4 Aug., De gestis Pel. 14,30-31;
Aug., De gestis Pel. 17,40;
Aug., De gestis Pel. 34,65
5 Aug., De gestis Pel. 18,42;
Aug., De gestis Pel. 34,65
6 Aug., De gratia Christi 1,8,9.27,28
7 Aug., De gestis Pel. 14,37
8 Paul. Nol., Ep. 30, 2