Teologia dei Padri |
In principio Dio creò il cielo e la terra ( Gen 1,1 ).
Con queste parole Mosè proclama, insieme, l'inizio delle cose, il Creatore del mondo e la creazione della materia; e ciò perché tu sappia che Dio esisteva prima dell'inizio del mondo e che egli è l'inizio di tutto - come nel Vangelo il Figlio di Dio, a chi gli aveva chiesto: Tu chi sei?, rispose: Il principio che parlo a voi ( Gv 8,25 ).
E perché tu sappia ancora che Dio diede principio a tutte le cose create, che è l'autore del mondo, non quasi l'esecutore di un'idea da imitare nella materia, come se egli eseguisse la sua opera non a suo arbitrio, ma secondo un modello propostogli.
E giustamente si dice: « In principio creò », perché si esprime in tal modo l'incomprensibile celerità della sua operazione, i cui effetti vengono riportati prima che si parli dell'inizio della stessa opera …
In questo modo gli uomini avrebbero compreso l'eccellenza incomparabile del Creatore, che completò un'opera tanto grande in un momento tanto breve e sfuggente, così che l'attuazione della sua volontà prevenne ogni tempo percettibile.
Nessuno lo vide operare, ma se ne conobbero solo le opere.
Come puoi pensare a indugio, quando leggi: Perché egli disse, e furono fatte; comandò e furono create ( Sal 33,9 )?
Non ebbe dunque bisogno di arte, non dovette applicare forze colui, che in un istante della sua volontà compì un'opera tanto maestosa; le cose che non erano fece che fossero, e tanto in fretta, che la sua volontà non precedette l'opera; né l'opera, la volontà.
Tu ammiri l'opera, ne ricerchi l'autore, ti chiedi chi diede inizio a un lavoro tanto colossale, chi lo completò tanto in fretta.
Mosè ti dà subito la risposta, soggiungendo che « Dio fece cielo e terra ».
Hai udito chi è il creatore: non puoi dubitare.
É colui nel cui nome Melchisedek benedisse Abramo, padre di molte genti, dicendo: Sia benedetto Abramo dal Dio sommo, che fece cielo e terra ( Gen 14,19 ).
E Abramo credette a Dio ed esclamò: Alzerò le mie mani al Dio sommo che fece cielo e terra ( Gen 14,22 ).
Vedi dunque che non si tratta della scoperta di un uomo, ma dell'annuncio di Dio.
É Dio infatti quel Melchisedek, che è il re della pace e della giustizia, e non ha né inizio, né fine la sua vita ( Eb 7,3 ).
Non c'è da stupirsi, dunque, se Dio, che è senza inizio, diede inizio a tutte le cose, e ciò che non era cominciò ad essere.
Non c'è da stupirsi se Dio, che contiene tutto nella sua potenza e abbraccia tutto nella sua incomprensibile maestà, fece le cose visibili, avendo creato anche le invisibili.
E chi nega che le cose invisibili siano superiori a quelle visibili?
Le visibili sono temporali, eterne invece le invisibili ( 2 Cor 4,18 ).
E chi potrà dubitare che Dio le abbia create, egli, che per bocca del profeta dice: Chi ha misurato l'acqua con la mano e il cielo con il palmo, e la terra nel pugno chiuso?
Chi ha posto i monti sulla bilancia, le rupi sulla stadera e i boschi sul suo giogo?
Chi ha conosciuto i pensieri del Signore, chi gli fu consigliere o chi ancora lo istruì? ( Is 40,12-13 ).
Di lui leggiamo altrove: Tiene nelle sue mani il cerchio della terra e ha creato il mondo come un nulla ( Is 40,22-23 ).
E Geremia esclama: Gli dèi che non fecero cielo e terra, spariranno da questa terra e da sotto il cielo.
É il Signore che ha creato la terra nella sua potenza, e ha strutturato l'orbe nella sua sapienza, che nella sua saggezza ha steso il cielo, spandendovi le acque che sono sopra di lui ( Ger 10,11 ).
E soggiunge: L'uomo è infatuato dalla sua scienza ( Ger 10,14 ).
Chi segue le realtà corruttibili di questo mondo e si illude di poter conoscere da esse la verità della natura divina, come farà a non restare sedotto dalla sottigliezza di una scaltra sofistica?
Se odi dunque tanti detti divini che ti attestano come Dio abbia fatto il mondo, non devi credere per questo che esso sia senza principio …
Ma ciò che ha inizio, ha anche fine; come, viceversa, ciò cui è imposto un fine, consta che ha avuto un inizio.
Che poi un giorno il mondo finirà, ce lo insegna lo stesso Salvatore nel suo Vangelo dicendo: Passa infatti l'immagine di questo mondo ( 1 Cor 7,31 ); Il cielo e la terra passeranno ( Mt 24,35 ); e poi: Ecco, io sono con voi fino alla fine del mondo ( Mt 28,20 ).
Come possono dunque asserire che il mondo sia coeterno con Dio, come possono associare al creatore di tutto e come sostenere a lui uguale la creatura?
Come possono ritenere di poter avvicinare il corpo materiale a quel mondo invisibile e inaccessibile della natura divina?
Tanto più che, per la loro stessa convinzione, non osano negare che ciò, le cui parti soggiacciono alla corruzione e al mutamento, deve necessariamente, nel suo complesso, soggiacere alle limitazioni che colpiscono le parti [ Ambrogio condanna l'eternità della materia ].
Ambrogio, Esamerone, 1,5.8-11
Come il vasaio, con la medesima arte, ha plasmato una quantità innumerevole di vasi, senza con ciò esaurire le proprie risorse e capacità, allo stesso modo anche l'artefice di questo universo, la cui potenza non si limita a un solo mondo ma si espande all'infinito, ha chiamato all'esistenza, con il solo cenno della volontà, la grandiosità di tutto ciò che vediamo.
E allora, se il mondo ha un principio, ed è stato creato, provati a ricercare chi mai sia stato l'autore di questo principio e di questa creazione.
Anzi, affinché, cercandolo con l'ausilio dell'umana speculazione, non deviassimo in qualche modo dalla verità, egli ci ha prevenuti insegnando: « In principio Dio creò », come per imprimere nelle anime nostre, a guisa di sigillo e di difesa, il nome santissimo di Dio.
Beatitudine, bontà immensa, oggetto d'amore per tutti gli esseri razionali, bellezza ambitissima, principio d'esistenza e fonte di vita, luce spirituale, sapienza inaccessibile: tale è colui che in principio ha creato il cielo e la terra.
Basilio il Grande, Esamerone, 1,2
Se il Creatore - e solo ciò è vero - ha disposto e perfezionato da se stesso tutte le cose, perché nella sua volontà sta l'essenza di tutte le cose, è chiaro allora che egli è il vero Dio creatore di tutto, onnipotente, padre e fattore di tutte le realtà visibili e invisibili, sensibili e insensibili, celesti e terrene.
Con la parola della sua potenza tutto compose, e tutto ordinò con la sua sapienza: tutto contiene e da nulla è contenuto; è il fabbricatore, il fondatore, l'inventore, il creatore, il signore di tutto; fuori di lui e sopra di lui non sta nessun altro Dio …
Uno solo è dunque il Dio creatore, che sta sopra tutti i principati e le potestà, le dominazioni e le potenze; egli è padre, Dio, fondatore, creatore e autore; plasmò tutte le cose da se stesso, cioè mediante la sua Parola e la sua Sapienza: il cielo e la terra, i mari e tutto ciò che è in essi.
Egli è giusto e buono: formò l'uomo, piantò il paradiso, costruì il mondo, mandò il diluvio e salvò Noè.
Egli è il Dio di Abramo, il Dio di Isacco e il Dio di Giacobbe: il Dio dei viventi, preannunciato dalla legge, promesso dai profeti, rivelato dal Cristo, predicato dagli apostoli, creduto dalla Chiesa.
Egli è il Padre del nostro Signore Gesù Cristo; per mezzo di lui, suo Verbo e suo Figlio, egli si rivela e manifesta a tutti coloro che lo ascoltano: lo conoscono infatti solo quelli cui il Figlio lo rivela.
Il Figlio che coesiste in eterno col Padre, lo rivela continuamente agli angeli, agli arcangeli, alle potestà e a tutti coloro a cui Dio si vuole rivelare.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 2,30.9
Il Creatore di tutti gli esseri ragionevoli è eccelso al di sopra di ogni ragione.
L'uomo non lo può scrutare e neppure l'angelo può comprenderlo.
La creatura non è in grado, con la sua perspicacia, di parlare del suo Creatore: anzi non può neppure dire come essa stessa è stata formata.
Se dunque non riesce a comprendere la propria origine, come potrebbe essere in grado di comprendere il suo Creatore?
La ragione non può raggiungere l'altezza del suo fattore: molto al di sotto di quella altezza resta la ricerca di ogni inquirente.
Costoro si sforzano di trovare analogie per colui che si identifica solo con l'uno.
Tutti essi vengono meno nella propria conoscenza, egli solo conosce se stesso.
La sua origine non è uguale a quella degli esseri creati, tanto che questi lo possano indagare come un loro simile.
La sua stirpe non è uguale a quella degli esseri formati dalla terra, tanto che l'uomo lo possa dichiarare della sua essenza.
Anche con le stesse sentinelle angeliche non è in qualche modo apparentato, tanto che esse lo possano esaminare come uno di loro.
Non è compagno dei cherubini, perché essi lo sorreggono come loro Signore.
Non aleggia tra i serafini, perché la sua sede è alla destra ( del Padre ).
Non appartiene agli angeli ministranti, perché essi servono lui, come suo Padre.
Tutte le potenze celesti ricevono da lui ordini e non possono guardare il Padre prescindendo dall'impero del Primogenito: senza di lui alla loro creazione non sarebbero neppure stati fatti.
L'occhio è in grado di ricevere la luce, e perciò tutto il corpo ne viene illuminato.
L'orecchio è idoneo al suono, e perciò tutte le membra ne percepiscono il tono.
La bocca gusta i cibi, e con essa, e per mezzo di essa, tutto il corpo se ne nutre.
Così le sentinelle angeliche guardano il Padre per mezzo del Figlio, che proviene dal suo grembo.
Per mezzo di lui odono la sua voce, e da lui ricevono i suoi doni.
Ma non vi è nessun altro intermediario per aiutarli o abituarli a ciò.
I sensi hanno bisogno l'uno dell'altro, e dipendono l'uno dall'altro.
Anche le creature dipendono le une dalle altre, perché formano quasi un solo corpo.
Anche gli esseri più alti ricevono ordini dai loro simili, perché comandano e passano gli ordini secondo il loro grado gerarchico.
Ma tutti, quelli di cui ho parlato, come quelli che non ho ricordato, ricevono gli ordini dell'unico Primogenito.
Da lui dipendono tutte le creature, ed egli è unito al Padre.
Come pretendi dunque di comprendere l'Unigenito, che è unito alla divina paternità?
Se tu potessi comprendere il Padre, troveresti in lui e presso di lui anche il Figlio.
Questi è nella sua bocca, quando il Padre comanda, ed è nel suo braccio quando il Padre opera.
Attraverso il Figlio egli dunque opera e attraverso il Figlio egli comanda.
Solo essi due si conoscono a vicenda.
Il Figlio è nel seno del Padre, quando il Padre ama, ed è alla sua destra, quando egli splende sul trono.
Il Padre lo guarda e lo ama.
Lo splendore del Padre è troppo grande per i suoi servi.
Le guardie angeliche non sono in grado di fissarlo.
Te ne può persuadere Mosè, che ne fu illuminato.
Se infatti il popolo non poteva fissare Mosè, semplice uomo ( Es 34,29-30 ), chi può contemplare l'essenza di Dio?
Solo l'Uno, che da lui procede, può fissarlo.
Supermagnifico è lo splendore del Padre.
Solo l'Uno guarda l'Uno, solo l'Uno può fissare l'Uno e attraverso l'Uno possono vederlo tutte le creature.
Per la sua bontà egli perdona, e per la sua giustizia punisce; per se stesso perdona e per se stesso punisce: egli è la misura della sua ricompensa.
La fa col suo sdegno, quando si adira, e con la sua clemenza, quando perdona.
Per la sua natura rivela e per la sua conoscenza istruisce.
Per se stesso istruisce, e per se stesso arricchisce.
La sua sapienza è presso le sue creature.
Per se stesso sovviene ai bisognosi con i beni del suo forziere.
Per se stesso dà la corona a chi combatte per lui, dopo la risurrezione.
É pienamente nascosto in sé, chi potrebbe scandagliarlo?
Gli angeli lo adorano in silenzio, i serafini cantano alto il loro « Santo », i cherubini lo sostengono con timore, le ruote girano nel bagliore di luce.
Tutti adorano da lontano, per il tramite del Figlio visibile, il Padre nascosto.
Se si trattasse di un'altra natura e il Figlio potesse scandagliarla, non potrebbe conoscerla pienamente da se stesso, perché si conosce solo ciò che è proprio.
E se questa natura, quantunque da lui distinta, potesse comprenderlo, sarebbe o a lui uguale, o con lui generata.
E se vi fosse un'ulteriore natura, che sola potesse conoscerlo, ciò potrebbe avvenire da lontano, se quella gli fosse estranea, o da vicino, se avesse con lui la stessa origine.
Se questa natura dunque fosse uguale a lui, essa sarebbe l'Uno, e solo porterebbe diverso il nome; ma se non fosse uguale a lui, la creazione allora sarebbe troppo debole, i serafini e le guardie angeliche insufficienti.
E l'altra natura, se mai ci fosse, sarebbe a lui estranea e più lontana.
O piccolo uomo formato dalla polvere, a quale altezza miri?
Non solo quanto il cielo, è eccelso al di sopra di te il Signore del cielo.
L'altezza del cielo è misurabile, ma il suo creatore non lo è affatto.
Ogni cosa creata è misurabile, ma il suo creatore non lo è affatto.
Una cosa creata può presentar delle dimensioni maggiori a tutte le altre creature; ma il Creatore si distanzia da tutte le sue creature per un'altezza inaccessibile.
Le creature sono compagne tra di loro, anche se immensamente distanti l'una dall'altra; ma il Creatore è per sua natura al di sopra di tutte le sue creature.
Solo l'Uno è a lui vicino: per mezzo suo egli tutto ha creato.
Nessun servo gli è vicino, mentre suo Figlio gli è vicinissimo.
Nessun pari gli siede a lato, solo il suo Unigenito gli è alla destra.
Efrem Siro, La fede, 1,1-5
Essendo Dio buono per sua stessa natura, in quanto Bene sostanziale, ad ogni cosa comunica la propria bontà.
Come il nostro sole, infatti, non attraverso il pensiero o la volontà, ma proprio a motivo di ciò che esso è, illumina tutte le cose che siano in qualche modo in grado di recepire la sua luce; parimenti, anche il Bene stesso ( superiore al sole come l'immagine originale rispetto a un'oscura riproduzione ), grazie alla sua natura medesima, diffonde su tutte le cose, secondo le capacità di ciascuna, i raggi della propria bontà.
In questo modo hanno avuto origine tutti gli esseri razionali e intelligenti, con le loro risorse e le loro attività.
Grazie alla luce irradiata dalla bontà divina essi esistono e la loro vita è eterna, aliena dalla corruzione e dalla morte.
Si conservano liberi dalla precarietà della materia e dalla fluidità del divenire, lontani dall'ammettere qualsiasi mutamento.
Esseri incorporei e immateriali, forniti di una conoscenza spirituale superiore al mondo, trasmettono agli altri esseri la propria intelligenza e a quelli simili a loro comunicano le proprie virtù.
Il loro stesso continuare ad esistere dipende dalla bontà divina, come, d'altronde, l'immutabilità, la stabilità, la conservazione e ogni altro bene insito in loro.
Aspirando alla divina bontà, essi ottengono l'essere e la felicità; conformandosi ad essa, per quanto è possibile, essi divengono buoni e, secondo il dettato della legge divina, rendono partecipi le creature inferiori dei doni offerti dal sommo Bene.
Dall'irradiazione della divina bontà dipendono dunque gli ordini sovramondani, le loro reciproche congiunzioni, le loro nette differenziazioni, la virtù per la quale gli inferiori si sentono attratti verso i superiori e questi, a loro volta, provvedono a coloro che si trovano in una posizione subordinata; la conservazione di ogni loro virtù, i loro costanti vicendevoli movimenti di rivoluzione, la stessa altissima aspirazione al sommo Bene e ogni altra proprietà da noi ricordata nel trattato Sulle virtù e la condizione degli angeli.
Anzi, anche ciò che spetta alla gerarchia celeste, come le espiazioni angeliche, le illuminazioni sovramondane e l'insieme di tutta la perfezione angelica, procede dalla causa universale e dall'originaria e feconda bontà di Dio.
Grazie a questa è data agli angeli anche la stessa apparenza del bene ed è loro concesso di annunciare la bontà in essi nascosta, come interpreti del silenzio divino e come chiare luci che illuminano ciò che si cela nelle profondità.
Ma, oltre questi santissimi spiriti, anche le anime e ogni loro virtù devono la propria bontà a quel Bene che supera ogni altro bene.
É grazie a questo, infatti, ch'esse posseggono l'intelletto e sono dotate di un'esistenza che non conosce corruzione, perché abbiano una vita in comune con quella degli angeli e aspirino alla loro medesima condizione, promossi dalla loro ottima guida al conseguimento del Bene sommo fra tutti.
In seguito all'opera degli angeli, infatti, le anime divengono partecipi, ciascuna secondo le proprie capacità, della luce divina e ricevono in sorte, per quanto è possibile, il dono di tutto ciò che è buono.
Questo ed altro è stato da noi descritto nel trattato Sull'anima.
Infine, se si deve parlare anche degli esseri privi di ragione o degli animali, da quelli che volano per l'aria a quelli che camminano o strisciano sulla terra, da quanti vivono nelle acque o sono anfibi a quanti si nascondono sotto la superficie del suolo o abitano nelle caverne, a tutti gli altri che siano semplicemente provvisti di una sensibilità e di una vita; bisogna dire che sono tutti animati e vivificati dallo stesso Bene.
Similmente tutte le piante traggono dallo stesso Bene la loro vita vegetativa.
Qualsiasi sostanza, insomma, anche se priva d'anima e di vita, fonda la propria esistenza su quello stesso Bene dal quale ha appunto ricevuto la dignità di sostanza.
Se poi è vero, come è vero, che il Bene sussistente sta al di sopra di tutti gli esseri, appare allora evidente com'esso sia in grado di dar forma anche a ciò che non ne ha nessuna, di attribuire una sostanza eccellente anche a ciò che ne è assolutamente privo, di donare una vita sovrabbondante anche a ciò che vita non ha, di corredare di una sapienza superiore anche ciò che è privo d'intelligenza: ogni cosa informe, insomma, una volta innestata nel Bene, si riveste di una forma eminentissima.
ersino ciò che non è, si potrebbe dire, aspira a quel Bene che è al di sopra di tutti gli esseri, bramando in qualche modo, spogliato com'è di tutto, di essere inserito nel Bene realmente soprannaturale.
Nel Bene risiede altresì l'origine degli spazi cosmici e di questo cielo che non aumenta né diminuisce né si muta nel suo essere.
Il Bene è la causa dei movimenti silenziosi dell'imponente rotazione celeste, degli ordini di stelle, con la loro bellezza, il loro splendore e le loro diverse posizioni; del vario pellegrinare di talune stelle e della rotazione dei due astri che la Scrittura chiama grandi ( Gen 1,16 ), per mezzo dei quali noi distinguiamo i giorni e le notti e misuriamo i mesi e gli anni, identificando, enumerando, ordinando e riunendo organicamente i movimenti ciclici del tempo e dello spazio.
E che dire dei raggi del Sole?
Dal sommo Bene, infatti, proviene la luce, immagine della bontà ( con il nome della luce, non senza motivo, è lodato il Bene che traspare come un modello nella copia ).
In effetti, come il Bene della divinità che è al di sopra d'ogni cosa pervade tutti gli esseri, dai più progrediti ai più insignificanti ( senza tuttavia che nessuno di essi, né i superiori né gli inferiori, raggiungano la sua eccellenza o penetrino la sua dimensione ), illuminando tutto ciò che può essere illuminato e creando e donando la vita e contenendo in se stesso e portando a compimento tutte le cose che esistono, delle quali, peraltro, esso costituisce il tempo, la misura, l'ordine, l'estensione, la causa e il fine; allo stesso modo, anche questo grande sole, splendidissimo e ognor luminoso, rappresenta l'immagine riprodotta della divina bontà.
In questo, infatti, riecheggia di lontano appena un qualcosa di quel Bene supremo, illuminando tutto ciò che possa partecipare di lui con una luce sovrannaturale che diffonde su tutto il mondo visibile, dalle parti superiori a quelle inferiori, lo splendore dei suoi raggi.
Se poi qualcosa mostrasse di non rendersi partecipe di questa luce, ciò non è da imputarsi all'incapacità o alla debolezza della facoltà illuminativa, ma è piuttosto l'oggetto stesso ad esserne la causa, non essendo idoneo a recepire la luce.
In realtà, molte cose sono costituite in maniera che il raggio del sole, passando attraverso di esse, illumina direttamente soltanto ciò che si trova dall'altra parte: non esiste alcun oggetto visibile, infatti, al quale il sole, da parte sua, non giunga con tutta la forza del suo splendore.
É questa, anzi, a promuovere persino la nascita dei corpi sensibili: li chiama alla vita, li nutre, li fa crescere, li perfeziona, li purifica, li rinnova.
La luce è misura degli anni, dei giorni e di tutto il nostro tempo: si tratta, infatti, di quella stessa luce la cui nascita Mosè fece risalire ai primi tre giorni della creazione, sebbene ancora informale.
Come dunque la bontà divina riunisce in sé tutte le cose, raccogliendo anzitutto, come divino principio di unità, quelle che si sono disperse, così tutta la realtà tende verso di essa onde rinvenirvi la propria origine, la propria continuità, il proprio fine.
Essa rappresenta quel valore secondo quanto attesta la sacra Scrittura ) nel quale tutto sussiste, tutto si origina come da una causa perfettissima, tutto trova la ragione della propria esistenza, come se fosse custodito e racchiuso in un recipiente atto a contenerlo.
E come tutte le cose si convertono e aspirano alla divina bontà come al proprio bene, quelle spirituali servendosi coscientemente della ragione, quelle sensibili istintivamente, quelle viventi spinte dall'innato movimento della forza vitale e quelle senza vita e che semplicemente esistono, infine, mosse dalla loro inclinazione a partecipare dell'essere; allo stesso modo, secondo i termini di questa chiarissima similitudine, anche la luce del sole riunisce e converte a sé tutte le cose che si vedono, si muovono, si illuminano, si riscaldano: tutto ciò, insomma, che viene generalmente raggiunto dai suoi raggi.
Pseudo-Dionigi Areopagita, I nomi divini, 4,1-4
I desideri tanto opposti degli angeli buoni e di quelli cattivi derivano non da principi diversi delle loro nature - non è lecito metterlo in dubbio, dato che Dio, creatore buono e santo, autore di ogni sostanza ha creato gli uni e gli altri - ma dalle loro volontà e dalle loro brame.
Gli uni infatti restarono costantemente nel bene comune a tutti, che per loro è Dio, e nella sua eternità, verità e carità; gli altri, invece, attratti dalla propria prestanza, quasi pensando di essere essi stessi il loro bene, si allontanarono dal Bene beatifico superiore, a tutti comune, rivolgendosi al proprio bene particolare.
Ritenendo, così, per altissima eternità la propria boriosa presunzione, per certissima verità l'inganno fallace, e per amore disinteressato e generale la ricerca egoistica di sé, divennero superbi, fallaci, invidiosi.
La causa della beatitudine dei primi è perciò l'unione a Dio; si comprende perciò come per i secondi il contrario sia causa della loro infelicità: la separazione da Dio.
Perciò se ci si chiede perché i primi siano beati, si risponde giustamente: perché sono uniti a Dio; e se ci si chiede perché i secondi siano infelici, la risposta retta è: perché non sono uniti a Dio.
Non esiste per la creatura, dotata d'intelletto e di ragione, un bene che la renda beata all'infuori di Dio.
Così, quantunque non tutte le creature possano essere beate ( è un dono questo che non possono raggiungere le bestie, le piante, le pietre e le cose del genere ), quella tuttavia che lo può, non lo può da se stessa, perché è stata creata dal nulla; lo può invece da colui, dal quale è stata creata.
Raggiunto, dunque, Costui, è beata; perdutolo, invece, è misera.
Ma colui che è beato non per il bene altrui, ma per il proprio stesso bene, non può mai essere misero, perché non può perdere se stesso.
Diciamo dunque che non vi è bene immutabile se non l'unico, vero e beato Iddio; mentre le cose che egli creò sono certo buone, perché vengono da lui, ma sono mutabili, perché non sono state fatte di lui, ma dal nulla.
Quantunque le creature ragionevoli non siano beni sommi - per loro infatti Bene sommo è Dio - sono tuttavia grandi, perché, pur essendo beni mutabili, è loro concesso, per raggiungere la beatitudine di aderire al Bene immutabile, fino a tal punto che esso è il loro bene, e senza di lui sono necessariamente misere.
Ma non per questo le altre creature dell'universo sono migliori, per il fatto, cioè, che non possono essere, come quelle, misere: non possiamo dire che le altre membra del nostro corpo siano migliori degli occhi, per il fatto che non possono essere cieche.
Come è migliore la natura dell'essere senziente, anche quando soffre, di quella della pietra, che in nessun modo può soffrire così la natura razionale, anche se misera, è più eccellente di quella che è priva di ragione e senso, e non può perciò cadere nella miseria.
Stando così le cose, per questa natura, creata tanto eccellente che, per quanto mutabile, unendosi al Bene immutabile, cioè al sommo Iddio, raggiunge la beatitudine e non soddisfa i propri bisogni se non con questa beatitudine, perché nulla è sufficiente a riempirla se non Dio, per questa natura, dunque, non aderire a lui è un vizio.
Ogni vizio poi nuoce alla natura, e per questo è contro la natura.
In tal modo - se non aderisce a Dio - essa differisce dalla natura che a lui si unisce, non perché così creata, ma per vizio: e tuttavia anche questo vizio mostra quanto grande e quanto lodevole sia una tale natura.
Essa è certo da lodare, anche se il suo vizio giustamente si biasima; ed è ben giusto biasimare il vizio che corrompe una natura tanto degna di lode.
Così, dicendo che la cecità è un vizio degli occhi, si mostra che alla natura degli occhi compete la vista, e quando si dice che la sordità è un vizio delle orecchie, si afferma che alla loro natura compete l'udito; se dunque si dice che l'allontanamento da Dio è il vizio della creatura angelica, si proclama con tutta chiarezza che a una tale natura si addice l'unione a Dio.
Chi può degnamente raffigurarsi o esprimere che gran lode sia aderire a Dio, tanto da vivere di lui, di conoscere, di lui godere, e fruire di un tanto Bene senza morte, senza errore e senza molestia alcuna?
E da ciò si conclude che, essendo ogni vizio nocivo alla natura, il vizio degli angeli cattivi, che li tiene separati da Dio, è una testimonianza eloquente della bontà della loro natura, creata per Dio, e il cui sommo male consiste nel non essere uniti con lui.
Agostino, La città di Dio, 12,1
Tutte le cose create necessariamente derivano da una causa prima il fondamento della loro esistenza: il principio di tutto è Dio.
Egli infatti non è stato creato da nessuno, ma da lui tutte le cose sono state create.
Perciò è necessario riconoscere in primo luogo che vi è un solo Dio, Padre, che ha creato e formato tutto l'universo, che fa esistere ciò che prima non esisteva e che, contenendo tutto, da nessuna cosa può essere contenuto.
Ora, in quest'universo rientra anche il nostro mondo, e nel mondo l'uomo: dunque anche questo nostro mondo quaggiù è stato formato da Dio.
Ecco come si espone la presente dottrina: vi è un solo Dio Padre, increato, invisibile, creatore dell'universo; al di sopra di lui non vi è altro Dio, e dopo lui non vi è altro Dio; Dio, inoltre, è intelligente, perciò la creazione di tutte le cose fu opera di intelligenza.
Dio è spirito, perciò con lo Spirito tutto ha disposto, come dice il profeta: Con la Parola ( Verbo ) del Signore furono creati i cieli, e col suo Spirito, tutta la loro potenza ( Sal 33,6 ).
Dunque, poiché il Verbo crea, cioè opera nella carne e dona gratuitamente l'esistenza, mentre lo Spirito plasma e forma le varie potenze angeliche; a buon diritto, perciò, il Verbo è chiamato Figlio e lo Spirito Santo, Sapienza di Dio.
Così Paolo, suo apostolo, dice rettamente: Un solo Dio Padre, il quale è sopra tutti, e tra tutti e in tutti noi ( Ef 4,6 ).
Infatti al di sopra di tutte le cose c'è il Padre, tra tutte le cose c'è il Verbo, poiché per mezzo di lui il Padre ha creato ogni cosa; e in noi vi è lo Spirito che grida: Abbà, Padre ( Gal 4,6 ), e modella l'uomo a somiglianza di Dio.
In conclusione lo Spirito rivela il Verbo, ed è per questo che i profeti annunciarono il Figlio di Dio; ma il Verbo spinge ad operare lo Spirito: è lui che parla ai profeti, e innalza l'uomo fino al Padre.
Eccola la regola della nostra fede, il fondamento dell'edificio, e ciò che rende salda la nostra condotta: Dio Padre, increato, non circoscritto, invisibile, unico Dio, creatore dell'universo; è questo il primo articolo della nostra fede.
Il secondo articolo è questo: Il Verbo di Dio, il Figlio di Dio, Cristo Gesù nostro Signore, che si è manifestato ai profeti in forme diverse secondo il genere della loro profezia e secondo i disegni provvidenziali del Padre; per la cui opera è stata creata ogni cosa; che poi, alla fine dei tempi, s'è fatto uomo tra gli uomini per ricapitolare ogni cosa, s'è fatto visibile e tangibile, per distruggere la morte, rivelare la vita e operare l'unità tra Dio e gli uomini.
Il terzo articolo è questo: Lo Spirito Santo, per mezzo del quale i profeti hanno profetato, i Padri hanno appreso la scienza di Dio, e i giusti sono stati guidati nella via della giustizia; che alla fine dei tempi è stato diffuso in modo nuovo sull'umanità, per far nuovo l'uomo su tutta la terra, e riportarlo a Dio.
Perciò alla nostra nuova nascita, in grazia di questi tre articoli si compie il battesimo che ci accorda la grazia della nuova nascita in Dio Padre per mezzo del Figlio nello Spirito Santo.
Infatti coloro che portano in sé lo Spirito di Dio vengono condotti al Verbo, cioè al Figlio; il Figlio poi li presenta al Padre, e il Padre dona loro l'incorruttibilità.
Dunque, senza lo Spirito non è possibile vedere il Figlio di Dio, e senza il Figlio nessuno può appressarsi al Padre, dato che la conoscenza del Padre è il Figlio, e la conoscenza del Figlio di Dio si attua per mezzo dello Spirito Santo.
Lo Spirito poi, viene dispensato dal ministero del Figlio, secondo il beneplacito del Padre, cioè come e a chi il Padre vuole.
Se dallo Spirito, il Padre viene chiamato altissimo, onnipotente e signore di ogni potenza, questo è perché dobbiamo convincerci che Dio è veramente tale, cioè che è creatore del cielo, della terra e di tutto questo universo; creatore degli angeli, degli uomini, e signore di tutto; per lui tutte le cose esistono e ciascuno riceve il suo nutrimento; è misericordioso, pietoso e pieno di tenerezza; buono, giusto, Dio di tutti, e dei giudei, e dei pagani e dei credenti.
Ma dei credenti è Padre, perché alla fine dei tempi ha aperto il testamento dell'adozione; dei giudei è signore e legislatore, perché nei tempi di mezzo gli uomini, avendo dimenticato Dio, si erano allontanati e ribellati a lui, ed egli per questo li aveva ridotti in servitù per mezzo della legge, affinché apprendessero di avere un padrone, un creatore e fattore, che dona il soffio della vita e al quale dobbiamo rendere omaggio giorno e notte.
Per i pagani, poi, è creatore e demiurgo onnipossente.
Ma per tutti, senza eccezione, è dispensatore di nutrimento, è re e giudice: nessuno infatti sfuggirà al suo giudizio, né giudeo, né pagano, né alcun credente che abbia peccato, né gli angeli.
Quanti rifiutano ora di credere alla sua bontà, conosceranno allora al momento della condanna, la sua potenza, come dice il beato Apostolo: … ignorando che l'amore di Dio ti chiama a conversione, con la tua ostinazione e l'impenitenza del tuo cuore tu vai accumulando su di te ira per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio, il quale renderà a ciascuno secondo le proprie opere ( Rm 2,4-6 ).
É lui, che viene detto, nella legge, Dio di Abramo, Dio d'Isacco e Dio di Giacobbe: Dio dei viventi.
Perciò ineffabile è l'altezza e la grandezza di questo Dio.
Questo nostro mondo è circondato da sette cieli nei quali abitano potenze innumerevoli, angeli e arcangeli che prestano culto a Dio onnipotente e creatore di tutto.
Egli non ne avrebbe bisogno, ma essi lo fanno per non restare oziosi, inutili e chiusi nel loro egoismo.
É chiaro, perciò, che la presenza interiore dello Spirito di Dio è molteplice; essa viene definita dal profeta Isaia in sette diverse forme di ministero, che sono discese tutte sul Figlio di Dio, cioè sul Verbo, al momento della sua venuta come uomo.
Dice infatti Isaia: Su lui riposerà lo Spirito di Dio: Spirito di sapienza e di intelletto, Spirito di consiglio e di fortezza, Spirito di scienza e di pietà; e lo riempirà poi lo Spirito del timore di Dio ( Is 11,2 ).
Dunque il primo cielo, a partire dall'alto, quello che contiene tutti gli altri, è il cielo della sapienza; il secondo è quello dell'intelletto; il terzo, quello del consiglio; il quarto, contando a partire dall'alto, è quello della fortezza; il quinto, poi, quello della scienza; il sesto, quello della pietà, e il settimo, cioè questo firmamento che circonda il nostro mondo, è pieno del timore di quello Spirito che illumina i cieli.
Mosè ne aveva ricevuto il simbolo: il candeliere a sette braccia, acceso perennemente nel Santo; egli infatti aveva ricevuto le prescrizioni rituali, modellate sui cieli, come gli aveva detto il Verbo: Farai tutto secondo il modello che hai visto sul monte ( Es 25,40 ).
Dunque, questo Dio viene glorificato dal suo Verbo, che è suo Figlio in eterno, e dallo Spirito Santo, che è la sapienza del Padre di ogni cosa.
Le loro potenze - quelle cioè del Verbo e della Sapienza - che vengono dette cherubini e serafini, glorificano Dio con inni che mai cesseranno; e tutto ciò che esiste, tutto ciò che si trova nei cieli, rende gloria a Dio Padre di ogni cosa.
Egli, per mezzo del suo Verbo, ha donato l'esistenza al mondo intero, e anche agli angeli che pure esistono in questo mondo; a questo mondo poi ha stabilito come legge, che ciascuno resti al suo posto senza varcare i limiti stabiliti dalla volontà di Dio, e che ciascuno compia l'opera che gli è stata assegnata.
Ireneo di Lione, Dimostrazione della predicazione apostolica, 4-10
Non è soltanto l'autorità delle divine Scritture che ci insegna che Dio esiste, ma tutta intera la natura stessa che ci circonda, e di cui noi stessi facciamo parte, proclama l'esistenza di un supremo Creatore, che ha dotato la nostra natura di uno spirito e di una ragione, con cui vediamo di dover preferire gli esseri viventi ai non viventi, quelli dotati di senso ai non senzienti, quelli intelligenti ai non intelligenti, quelli immortali ai mortali, quelli potenti ai privi di potenza, quelli giusti agli ingiusti, quelli belli ai deformi, quelli buoni ai cattivi, quelli incorruttibili ai corruttibili, quelli immutabili ai mutevoli, quelli invisibili ai visibili, quelli incorporei ai corporei, quelli felici agli infelici.
Per questo stesso motivo, perché noi poniamo senza esitazione il Creatore al di sopra delle creature, dobbiamo confessare che egli possiede la pienezza della vita, che sente e comprende tutto; che egli non può morire, corrompersi, mutare; che egli non è corpo ma lo spirito di tutti più potente, più giusto, più bello, più buono e più beato.
Agostino, La Trinità, 15,4.6
Se ci si pone il problema cosa sia da ritenere essenziale alla religione, diciamo che non si tratta di esaminarne la natura, quasi si trattasse di una cosa, come fecero coloro che i greci chiamano « fisici » ( filosofi della natura ).
E non si deve inoltre aver paura se per caso un cristiano non sa nulla sul numero e sui poteri degli elementi, oppure sul movimento, sull'ordine e sulle eclissi degli astri, sulla forma delle nubi, sulle classi e la natura degli animali, delle piante, delle pietre, delle sorgenti, dei fiumi e dei monti, sull'ampiezza delle distanze locali e temporali, sui segni dei mutamenti climatici e sulle mille cose che quei dotti hanno scoperto realmente, o almeno hanno creduto di aver scoperto.
I saggi non hanno ancora scoperto tutto, eppure sono menti eccelse, sono instancabili nel loro zelo di ricerca, sono davvero generosi a impegnare tutto il tempo a ciò necessario.
Ma mentre si sforzano di scrutare una realtà con l'acume dell'intelletto umano, e di determinare l'altra con la ricerca storica, spesso le nozioni che si gloriano di aver raggiunto appartengono più al regno delle pure ipotesi che a quello della scienza vera.
Per il cristiano è sufficiente vedere, con animo credente, la causa di ogni creatura - sia in cielo o sulla terra, sia visibile o invisibile - in nient'altro che nella bontà del Creatore, che è l'unico e vero Dio; basta credere che non vi è sapienza la quale o non sia Dio stesso o da lui non promani; e che egli è Trinità: il Padre, il Figlio da lui generato e lo Spirito Santo, che procede dallo stesso Padre, ma che è un unico e identico Spirito con il Padre e il Figlio.
E inoltre che ogni cosa creata è buona, e tutte insieme le cose create sono molto buone, perché di esse tutte consta la meravigliosa bellezza dell'universo intero.
E in questo universo vi è anche ciò che si dice il male, che è soggetto a un ordine ed esiste solo al suo posto; e solo per esso si esplicita la grandezza del bene, perché solo nel confronto con il male il bene piace ed è pienamente apprezzato.
Inoltre, come anche i non credenti devono ammettere, l'onnipotente Iddio, che ha il supremo potere sopra tutte le cose, non potrebbe tollerare, nella sua infinita bontà, che tra le sue opere vi fosse qualcosa di male, se egli non fosse onnipotente e buono fino a tal grado, da saper creare il bene anche dal male.
Agostino, Manualetto, 3,9-11
Vi sono due forme: una è quella di cui si riveste esteriormente la materia corporea: così lavorano i vasai, gli artigiani e quegli operai che dipingono o scolpiscono figure riproducenti dei corpi animati; l'altra è la forma la cui efficienza causale è interiore, proveniente dalla volontà segreta e misteriosa d'una natura viva e intelligente che, senza essere fatta, produce le forme naturali dei corpi e le anime stesse dei viventi, e, senza essere fatta, ne è causa.
La prima delle due forme può attribuirsi ad ogni artigiano; quest'altra invece a nessun altro se non a un solo artista: a Dio, creatore e fattore, che creò il mondo senza nessun mondo e gli angeli senza nessun angelo.
Per questa forza divina, per così dire, effettiva, che non sa esser fatta ma solo sa fare, ebbero la loro figura, al momento della creazione del mondo, la rotondità del cielo e la rotondità del sole; per la stessa forza divina ed effettiva, che non sa esser fatta ma solo sa fare, ebbe la sua figura la rotondità dell'occhio e la rotondità del pomo, e tutte le altre forme naturali che vediamo applicate non esteriormente a tutte le realtà nascenti, ma agenti per intima potenza del Creatore, il quale disse: Io riempio il cielo e la terra ( Ger 23,24 ), e la cui sapienza si estende all'uno e all'altro confine con forza, e dispone tutto con soavità ( Sap 8,1 ).
Perciò gli angeli, fatti per primi, non so in che cosa abbiano servito al Creatore quando creò il resto: non oso attribuire loro ciò che forse non posso, né devo derogare loro ciò che posso.
Ma so che essi approvarono l'opera di creazione e di formazione, per cui tutte le nature ebbero il loro essere, e che la attribuiscono a Dio, a cui è perciò dovuto - e gli angeli lo sanno con riconoscenza - ciò che essi sono.
Noi non diciamo che l'agricoltore è creatore dei frutti, come leggiamo: Né chi pianta è qualcosa, né chi irriga; ma chi dà la crescita, Dio ( 1 Cor 3,7 ); né lo diciamo della stessa terra, quantunque sembri la madre feconda di tutto che dà vigore ai germi prorompenti e li tiene fissi con le radici, come leggiamo ancora: Dio dà ad essi il corpo che vuole, e a ogni seme il proprio corpo ( 1 Cor 15,38 ).
E neppure possiamo dire che la femmina è creatrice del suo parto, ma lo è colui che disse a un suo servo: Prima di formarti nell'utero ti ho conosciuto ( Ger 1,5 ).
E quantunque l'anima della gestante, variamente emozionata, possa quasi rivestire il feto di alcune qualità, come quando Giacobbe usò verghe di vario colore perché nascessero pecore variopinte ( Gen 30,37ss ), tuttavia essa crea tanto poco la natura che partorisce, quanto poco creò se stessa.
Perciò, qualsiasi causa temporale o seminale possa agire nella generazione delle cose per opera sia degli angeli, sia degli uomini o di qualsiasi altro animale, o per l'unione carnale del maschio o della femmina; qualunque siano i particolari che i desideri e le emozioni nell'anima della madre possono imprimere nei lineamenti, o i colori che possono diffondere sui loro feti teneri e molli, tuttavia le nature in se stesse, che subiscono, nella loro specie, questo o quell'influsso, non sono create se non da Dio sommo.
La sua occulta potenza tutto penetra con un'imprescindibile potenza e fa che esista ciò che in qualche modo è, in quanto è; se egli non lo facesse, non solo non potrebbe essere tale o diverso, ma semplicemente non potrebbe essere.
Del resto, nell'ordine delle forme esteriori che gli artefici comunicano ai corpi, non diciamo che Roma e Alessandria ebbero per fondatori gli operai e gli architetti, ma i re; per cui volontà, decisione e comando furono edificate: quella fu fondata da Romolo, questa da Alessandro.
Quanto più dobbiamo convenire che l'unico creatore della natura è Dio il quale fa tutto da una materia che egli stesso ha già creato, e usa solo operai da lui già creati.
Se egli sottraesse a tutte le cose la sua potenza, per così dire, edificatoria, esse non sarebbero più, come non erano prima di essere.
Ma intendo un « prima » rispetto all'eternità, non rispetto al tempo.
Chi, infatti, è mai il creatore del tempo, se non chi fece tutte le cose, che con i loro movimenti formano appunto il tempo?
Agostino, La città di Dio, 12,26
Dio non disse: « Sia fatta quella creatura » oppure « quell'altra creatura » tante volte, quante volte leggiamo noi in questo libro sacro le parole: « e Dio disse ».
Egli infatti generò un solo Verbo, nel quale disse tutto, prima che fossero create le cose singole.
Tuttavia la Scrittura, adattandosi alla capacità di comprensione dei piccoli, parlando dei singoli generi di creature, ha presente, in queste sue espressioni, la ragione eterna, nel Verbo di Dio, propria di ciascuno di questi generi; questa ragione eterna non si ripete, ma la Scrittura ripete: « e Dio disse ».
Se prima avesse detto: « Fu fatto il firmamento in mezzo alle acque perché fosse divisione tra acqua e acqua », e poi qualcuno le avesse chiesto in che modo il firmamento fosse stato fatto, essa avrebbe risposto rettamente: « Dio disse: Sia fatto », cioè: era nel Verbo eterno di Dio che fosse fatto.
Essa dunque comincia a esporre la creazione delle singole cose da ciò che avrebbe dovuto rispondere, dopo la narrazione del fatto, per rendere ragione a colui che avesse chiesto in che modo erano state create.
Quando udiamo dunque: « E Dio disse: Sia fatto », comprendiamo che era stabilito nel Verbo di Dio che fosse fatto.
E quando udiamo: « E così fu fatto », comprendiamo che la creatura fatta non oltrepassò i termini prescritti, nel Verbo di Dio, al suo genere.
E quando udiamo: « E Dio vide che era buono », comprendiamo che, nella benignità del suo Spirito, non gli piacque qualcosa conosciuta dopo che fu fatta, ma che gli piacque qualcosa - e tanto da meritare di restare nell'essere - per quella bontà per cui gli era piaciuta prima di esser fatta.
Agostino, Sul Genesi, 2,6.13-14
Su questa parola fissa tutta la tua attenzione: se tu puoi averla nel tuo cuore, sarà come un'idea nata nella tua mente, così che essa la generi, e sia come sua prole, come un figlio del tuo cuore.
Se dovete costruire un edificio, se dovete realizzare qualcosa di grande, dapprima la vostra mente ne concepisce l'idea.
L'idea è già nata, eppure l'opera non è ancora eseguita; voi vedete ciò che state per fare ma nessun altro lo può, se prima non avete costruito e completato l'edificio in tutta la sua perfezione.
É lì, di fronte alla mirabile opera compiuta che si ammira la concezione di chi l'ha innalzata; ci si stupisce di fronte a ciò che si vede, e si ama ciò che non si vede: chi può, infatti, vedere l'idea che è dietro la realizzazione dell'opera?
Orbene, se un grande edificio vi fa elogiare la concezione che ne ha avuta un uomo, volete misurare la grandezza di quella concezione di Dio che è Gesù Cristo, cioè il Verbo di Dio?
Pensate alla mirabile architettura del mondo, pensate a quali cose sono state fatte per mezzo del Verbo, e capirete allora la grandezza del Verbo.
Considerate il cielo e la terra: chi potrà mai descrivere la magnificenza del cielo? quali parole varranno ad illustrare la fecondità della terra? come si potrà degnamente spiegare il meraviglioso succedersi delle stagioni, la forza vitale delle sementi?
E trascuro, ve ne accorgerete, molte altre cose, perché temo, insistendo troppo su questi argomenti, di esprimere meno di quanto voi stessi potete pensare.
Ebbene, da quest'opera che è il mondo, giudicate la grandezza del Verbo, per mezzo del quale tutto è stato fatto.
Né soltanto questo è stato fatto.
Noi vediamo tutte queste cose in quanto sono accessibili ai nostri sensi corporei.
Ma per mezzo del Verbo sono stati fatti anche gli angeli, gli arcangeli, le potenze, i troni, le dominazioni, i principati; per mezzo del Verbo tutto è stato fatto.
Giudicate da ciò la sua grandezza …
Tutto ciò che è nella natura è stato fatto, senza eccezione alcuna, tutti gli astri che sono nel cielo, tutto ciò che risplende sopra di noi, tutto ciò che va volando sotto il cielo, tutto ciò che si muove nell'universo: ogni creatura senza eccezione.
In breve, fratelli, per parlarvi più semplicemente e perché comprendiate: per mezzo del Verbo è stato fatto tutto: dagli angeli al più piccolo verme.
Che c'è di più eccelso di un angelo fra le creature?
Che cosa è più infimo di un verme?
Ebbene, chi ha fatto l'angelo ha fatto pure il verme; l'angelo, però, è stato creato per il cielo, il verme per la terra.
Chi li creò, così dispose.
Se Dio avesse collocato il verme nel cielo, voi gliene fareste rimprovero; così pure se avesse voluto che l'angelo nascesse da carni putrescenti.
E tuttavia Dio fa delle cose quasi simili, e non c'è niente da rimproverargli.
Che cosa sono infatti gli uomini tutti, che nascono dalla carne, se non dei vermi?
E di questi vermi Dio fa degli angeli.
Se il Signore stesso non esita a dire: Io invece sono un verme della terra e non un uomo ( Sal 22,7 ), chi esiterà a ripetere ciò? …
In questo senso, dunque, dovete intendere le parole: « Tutte le cose furono fatte per mezzo di lui, senza di lui nulla fu fatto ».
Tutte le creature, senza eccezione, sono state create per mezzo di lui, le piccole come le grandi; quelle che sono sopra di noi, come quelle che ci sono inferiori, le spirituali come le corporali, tutto fu fatto per mezzo di lui.
Non c'è forma, non compagine, né armonia di parti, non c'è alcuna sostanza che può aver peso, numero e misura, nulla esiste se non per mezzo di quel Verbo, ed è creata da quel Verbo, in riferimento al quale è stato scritto: Disponesti ogni cosa nella misura, nel numero e nel peso ( Sap 11,20 ).
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 1,9.13
Come creasti il cielo e la terra?
Quale strumento impiegasti per un'operazione così grande?
Non ti accadde certamente come a un uomo, che, artista, riproduce in un corpo le forme di un altro corpo seguendo i cenni dello spirito, capace di imporre entro certi limiti le immagini che vede dentro di sé con l'occhio interiore: e come sarebbe capace di tanto, se non per essere stato creato da te?
L'artista impone le sue immagini su una materia che già esiste e possiede quanto basta per esistere, come la terra o la pietra o il legno o l'oro o qualsiasi altro materiale di tal genere.
Ora, fuori dalla tua azione, da dove potrebbero derivare queste materie?
Tu desti all'artista un corpo, tu uno spirito, che comanda le membra, tu la materia, con cui attua l'opera, tu l'ingegno, con cui acquistare l'arte e vedere dentro ciò che attuerà fuori di sé; tu i sensi del corpo, per il cui mezzo trasferire dallo spirito alla materia l'opera e ragguagliare poi lo spirito sulla sua attuazione, affinché quest'ultimo consulti in se stesso la verità che lo governa, sulla bontà dell'opera attuata.
Tutte queste cose ti lodano come creatore di tutte le cose.
Ma tu, come le crei? Come creasti, o Dio, il cielo e la terra?
Non certo in cielo e in terra creasti il cielo e la terra; nemmeno nell'aria o nell'acqua, che pure appartengono al cielo e alla terra.
Nemmeno creasti l'universo nell'universo, non esistendo lo spazio ove crearlo, prima di crearlo perché esistesse.
Né avevi fra mano un elemento da cui trarre cielo e terra: perché da dove lo avresti preso, se non fosse stato creato da te per crearne altri? ed esiste qualcosa, se non perché esisti tu?
Dunque tu parlasti, e le cose furono create ( Sal 33,9 ); con la tua parola le creasti.
Agostino, Le Confessioni, 11,5
Il Padre sostiene insieme la creazione e il suo Verbo, e questi, sostenuto dal Padre, comunica a tutti lo Spirito, come il Padre vuole: ad alcuni, come semplici creature, nella loro esistenza; ad altri, generati da Dio, nella loro divina adozione.
Da ciò ne risulta che Dio Padre è sopra tutto, per tutto e in tutto.
Sopra di tutto è il Padre, perché è il capo di Cristo; per tutto è il Verbo, che è il capo della Chiesa; in noi tutti, poi, è lo Spirito, che è « acqua viva » che il Signore comunica a coloro che credono in lui, che lo amano e sanno che vi è un unico Padre sopra di tutto, per tutto e in tutti noi ( Ef 4,6 ) …
Il vero creatore del mondo è il Verbo di Dio, cioè il Signore nostro, che negli ultimi tempi si è fatto uomo in questo mondo, mentre invisibilmente contiene in sé tutte le creature ed è impresso in tutta la creazione come Verbo di Dio, che tutto governa e dirige: egli venne in modo visibile, si fece carne e fu appeso al legno per ricapitolare in sé ogni cosa: « Ma i suoi non lo accolsero » …
« Mentre a coloro che lo accolsero diede il potere di diventare figli di Dio ».
Egli, infatti, ha ricevuto dal Padre ogni potere come Verbo di Dio e vero uomo …
Egli stabilisce che ogni realtà continui nel suo ordine, egli regna visibilmente su ogni cosa visibile e umana, e giudica tutti con giustizia.
In questo senso Davide dice: Il nostro Dio verrà palesemente, e non tacerà ( Sal 50,3 ).
E soggiunge, riferendosi al giudizio che egli terrà: Il fuoco arderà davanti a lui e attorno a lui vi sarà un turbine violento; chiamerà il cielo dall'alto e la terra, per giudicare il suo popolo ( Sal 50,4 ).
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 5,18.2-3
Quello che Dio ha creato è in sé compiuto, per la sua sapienza e la sua intelligenza.
É falsa l'opinione di alcuni filosofi, che tutto sia cominciato per caso, senza provvidenza alcuna: tutto ciò che è casuale non manifesta né ordine, né piano.
Ciò invece che si richiama necessariamente all'arte costruttrice rivelantesi in tutte le cose, dà chiara testimonianza, se ben lo si considera, della sapienza di quell'artefice che agiva non solo quando produceva il mondo, ma anche quando nel suo intimo ne preparava il piano.
Per questo da tutto il creato risplende a noi la sapienza di Dio.
Nulla di ciò che è stato creato, è stato fatto senza motivo e senza fine utile; il fine utile, poi, ha in se stesso la sua bellezza, e la bellezza viene esaltata dal fine utile.
L'unica materia degli elementi assume diverse forme, per illustrare in mille modi la preveggenza divina.
Anche il salmista aveva davanti agli occhi questa verità quando iniziando la lode a Dio, diceva: Magnifiche sono le tue opere, e io le conosco molto ( Sal 139,14 ), e il profeta con lui concorda dicendo: Io ho considerato le tue opere e mi sono spaventato ( Ab 3,2: LXX ).
Anche la frase della Scrittura: Ecco: tutto era molto buono ( Gen 1,31 ) ci spinge ad ammettere che il creato non deve la sua origine al caso, perché tutto è stato fatto secondo il sapiente piano di Dio; per questo si rivelano ovunque magnificenza, bellezza e stupenda armonia, nonostante la diversità di tutte le creature.
Un santo profeta dice: I cieli narrano la gloria di Dio ( Sal 19,2 ): non certo che i cieli muovano bocca, lingua e trachea per parlare, ma con la loro armonia e con il loro eterno servizio annunciano la volontà del Creatore.
Riflettendo, infatti, dalla grandezza e dalla bellezza delle cose create noi possiamo riconoscerne l'autore: il Dio invisibile si manifesta, fin dalla creazione del mondo, nelle cose create.
Noi dunque non possiamo sapere ciò che Dio è; ma che egli esiste, noi lo sappiamo - non per le nostre forze ma per la sua misericordia - considerando nelle sue opere la sapienza del creatore.
Di fronte a una nave o a un edificio, non pensiamo noi forse al costruttore o all'architetto, dato che dalle opere noi deduciamo la corrispondente perizia costruttrice?
Davanti a tutte le cose realizzabili solo ad opera della ragione, noi ci appelliamo a una mente, anche se non la vediamo.
Così Dio è conosciuto nel suo creato e, in un certo senso, esce dalla sua invisibilità.
Né i cieli, infatti, né i serafini o tutte le altre creature possono coprire Dio o renderlo invisibile.
Egli è in tutte le cose e in tutti i luoghi; è al di sopra di tutte le cose e compenetra tutto il mondo visibile e invisibile; egli regge e contiene tutto; egli non passa da luogo in luogo, ma comprende tutto nello stesso modo con la sua mente.
In questa vi è la spiegazione perché la massa della terra, rassodata dalla sua volontà, si scuota di nuovo al suo cenno, tanto da riempire d'angoscia i cuori mortali, bisognosi di correzione.
In essa vi è la spiegazione perché il mare si dilati quando le acque rompono i loro vincoli, e poi i flutti si infrangano nella risacca e si fermino, quando giungono ai confini da lui stabiliti.
E anche perché l'anno si divida in quattro stagioni, perché nel susseguirsi di questi periodi, in seguito ai mutamenti climatici, i semi crescano, i germogli si nutrano giungendo a maturità sotto il raggio del sole.
Dio illumina con la sua luce anche le creature intelligenti e invisibili, perché esse restino sempre nel suo amore e non inclinino mai verso i beni terreni.
Girolamo, Commento a Isaia, 6,1-7
Che altro deve intendersi, nel detto tanto ripetuto: Dio vide che tutto era bene ( Gen 1,4.10.12.18.21.25.30 ), se non l'approvazione di un'opera fatta secondo l'esemplare, che è la sapienza di Dio? …
Platone osò persino dire che Dio, compiuto tutto l'universo, esultò di gioia.
Dicendo ciò, non era tanto stolto da credere che Dio fosse diventato più felice per la novità della sua opera; ma volle così mostrare che all'artefice piacque la sua opera compiuta, come gli era piaciuta nel progetto.
Non, cioè, che la scienza di Dio muti in qualche modo, tanto che in un senso influiscono in lei le cose che non sono, in un senso quelle che già sono, e in un senso ancora quelle che furono.
Egli infatti non prevede, come noi, le cose future, né contempla le presenti o ripensa alle passate: le conosce in un modo profondamente diverso dalla consuetudine del nostro pensiero.
Egli non vede di cosa in cosa, per mutazione del pensiero, ma contempla tutto in modo assolutamente immutabile.
Tutte le realtà che si attuano nel tempo, infatti, le future che ancora non sono, le presenti che già sono e le passate che più non sono, egli le contempla tutte in una presenza stabile ed eterna; e non vede in un modo con gli occhi e in altro con la mente, poiché non è composto di anima e di corpo, e non in un modo ora, in un modo prima e in un modo poi, perché, a differenza della nostra, la sua scienza non muta con la varietà dei tempi, presente, cioè, passato e futuro, non essendovi in lui variazione né ombra di mutamento ( Gc 1,17 ).
La sua intuizione non passa di pensiero in pensiero, e alla sua vista incorporea sono presenti tutte insieme le realtà che conosce: egli conosce i tempi, senza essere soggetto alla nozione di tempo, proprio come muove le realtà temporanee, senza essere soggetto alle mutazioni temporali.
In un punto solo, dunque, egli vide che era bene ciò che aveva fatto, e insieme che era bene farlo.
Agostino, La città di Dio, 11,21
Nessuno può conoscere il Padre senza il Verbo di Dio, cioè se il Figlio non lo rivela, e nemmeno conoscere il Figlio senza il beneplacito del Padre ( Mt 11,26-27; Lc 10,21-22 ).
Il Figlio compie la volontà del Padre perché il Padre lo invia, mentre il Figlio è inviato e viene.
Il Padre, per quanto sia invisibile e illimitato rispetto a noi, è conosciuto dal suo Verbo; e benché inesprimibile, è manifestato da lui.
Reciprocamente, il Verbo è conosciuto soltanto dal Padre.
Questa è la duplice verità che il Signore ci ha manifestato.
Ecco perché, attraverso la propria manifestazione, il Figlio rivela la conoscenza del Padre; questa manifestazione del Figlio è in realtà conoscenza del Padre, perché tutto è manifestato per mezzo del Verbo …
Già nella creazione, il Verbo rivela il Dio creatore; nel mondo egli rivela il Signore che ha dato ordine al mondo; nell'opera modellata, l'Artista che l'ha modellata; e nel Figlio, il Padre che lo ha generato: tutti ne convengono, ma non tutti credono allo stesso modo.
Così, nella Legge e nei Profeti, il Verbo ha annunciato se stesso e ha annunciato il Padre: tutto il popolo ha udito, ma non tutti hanno creduto.
Infine, per mezzo del Figlio divenuto egli stesso visibile e palpabile, il Padre si è mostrato.
Non tutti hanno creduto allo stesso modo in lui, ma tutti hanno visto il Padre nel Figlio ( Gv 14,9 ).
La realtà invisibile che si vedeva nel Figlio era infatti il Padre, e la realtà visibile in cui si vedeva il Padre era il Figlio …
Il Figlio, servendo il Padre, guidò dunque tutte le cose alla loro perfezione dall'inizio sino alla fine, e senza di lui nessuno può conoscere Dio.
Perché la conoscenza del Padre è il Figlio; e il Padre rivela la conoscenza del Verbo per mezzo del Figlio.
Così il Signore diceva: Nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio, e colui al quale il Figlio lo voglia rivelare ( Mt 11,27; Lc 10,22 ) …
L'espressione « lo voglia rivelare » non si riferisce soltanto al futuro, quasi il Verbo avesse cominciato a manifestare il Padre soltanto dopo essere nato da Maria.
Questa espressione ha una portata generale e riguarda tutti i tempi.
Fin dagli inizi il Figlio, presente nell'opera che ha modellato, rivela il Padre a chiunque il Padre voglia rivelarsi quando vuole, e come lo vuole.
Ovunque e sempre vi è un solo Dio Padre, un solo Verbo, un solo Spirito e una sola salvezza per tutti coloro che credono.
Ireneo di Lione, Contro le eresie, 4, 6,3-7
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