La Trinità |
Volendo esercitare il lettore nella contemplazione delle cose create per condurlo alla conoscenza di Colui che le ha create, eccoci già giunti ora fino alla sua immagine: l'uomo, più esattamente ciò per cui esso supera gli altri animali, cioè la ragione, l'intelligenza, ed ogni altra caratteristica dell'anima razionale ed intellettiva, che appartenga a quella realtà che chiamiamo spirito ( spiritus ), o animo ( animus ).1
Con questa parola alcuni scrittori di lingua latina, secondo il modo di parlare che hanno adottato, distinguono ciò che vi è di più nobile nell'uomo e non si trova nelle bestie, dall'anima ( anima ), che si trova anche nelle bestie.2
Dunque, al di sopra di questa natura, se cerchiamo qualcosa, e cerchiamo la verità, incontriamo Dio, cioè la natura non creata, ma creatrice.
Che Dio sia Trinità, è ciò che dobbiamo ora dimostrare allo sguardo della fede con l'autorità delle Scritture, ma anche, se lo possiamo, allo sguardo dell'intelligenza con una riflessione razionale.
Perché io abbia detto: "se lo possiamo", l'oggetto stesso lo mostrerà meglio, quando ne avremo iniziata la discussione.
Dio stesso, che cerchiamo, ci aiuterà, spero, perché il nostro sforzo non sia infruttuoso e perché comprendiamo come lo scrittore santo abbia potuto dire nel Salmo: Si rallegri il cuore di coloro che cercano Dio: cercate Dio e siate forti; cercate sempre il suo volto. ( Sal 105,3-4 )
Sembra, infatti, che ciò che si cerca sempre, non si trovi mai e come allora si rallegrerà e non si rattristerà invece il cuore di coloro che cercano, se non avranno potuto trovare ciò che cercano?
Perché il Salmista non dice: "Si rallegri il cuore di coloro che trovano", ma: di coloro che cercano il Signore? ( 1 Cr 16,10 )
E che tuttavia Dio Signore si possa trovare, quando lo si cerca, lo testimonia il profeta Isaia, quando afferma: Cercate il Signore e appena lo troverete, invocatelo; e quando si sarà avvicinato a voi, l'empio abbandoni le sue vie e l'iniquo i suoi pensieri. ( Is 55,6-7 )
Se dunque, cercandolo, si può trovare Dio, perché è scritto: Cercate sempre il suo volto? ( Sal 105,4 )
Sarà forse che, anche una volta che lo si è trovato, bisogna cercarlo ancora?
È così infatti che bisogna cercare le cose incomprensibili perché non ritenga di aver trovato nulla colui che abbia potuto trovare quanto è incomprensibile ciò che cercava.
Perché allora cerca, se comprende che è incomprensibile ciò che cerca, se non perché non deve desistere, fino a quando progredisce nella ricerca dell'incomprensibile e diventa sempre migliore cercando un bene così grande, che si cerca per trovarlo e lo si trova per cercarlo?
Perché lo si cerca per trovarlo con maggior dolcezza, lo si trova per cercarlo con maggiore ardore.
È in questo senso che si può intendere l'affermazione che l'Ecclesiastico pone in bocca della Sapienza: Coloro che mi mangiano avranno ancora fame e coloro che mi bevono avranno ancora sete. ( Sir 24,29 )
Mangiano infatti e bevono, perché trovano, e, poiché hanno fame e sete, cercano ancora.
La fede cerca, l'intelligenza trova; per questo il Profeta dice: Se non crederete, non comprenderete. ( Is 7,9b )
E d'altra parte l'intelligenza cerca ancora Colui che ha trovato; perché Dio guarda sui figli dell'uomo, come si canta nel Salmo ispirato, per vedere se c'è chi ha intelligenza, chi cerca Dio. ( Sal 14,2 )
Dunque per questo l'uomo deve essere intelligente, per cercare Dio.
Ci siamo dunque sufficientemente soffermati sulle cose che Dio ha creato per conoscere, per mezzo di esse, lui, che le ha create: ( Sap 13,5 ) Infatti le sue perfezioni invisibili, dopo la creazione del mondo, sono rese visibili all'intelligenza per mezzo delle cose che sono state fatte. ( Rm 1,20 )
Per questo nel libro della Sapienza vengono rimproverati coloro che dai beni visibili non seppero conoscere Colui che è, né, considerando le opere, seppero conoscere il loro artefice, ma il fuoco o il vento, o l'aria veloce, la volta stellata, le acque violente o i luminari del cielo, credettero dèi, governatori del mondo.
Se quelle cose credettero dèi, perché dilettati dalla loro bellezza, sappiano quanto è migliore il padrone di esse, perché l'autore della bellezza le ha create.
Se poi ciò che li ha colpiti è la loro forza e la loro energia, comprendano da queste cose quanto è più potente Colui che le ha formate, poiché dalla bellezza e dalla grandezza delle creature, argomentando, si poteva conoscere il loro Creatore. ( Sap 13,1-5 )
Ho citato queste parole del libro della Sapienza per impedire che qualche fedele giudichi vano ed inutile il mio tentativo con cui, partendo dalle cose, che nel loro ordine sono degli abbozzi di trinità, per elevarmi, come per gradi, fino allo spirito dell'uomo, ho cercato nelle creature le tracce di quella suprema Trinità, che cerchiamo quando cerchiamo Dio. ( At 17,27; 1 Cr 16,11; Sal 69,33; Sal 105,4; Is 55,6 )
Ma, poiché le esigenze della discussione e del ragionamento mi hanno costretto, nel corso di quattordici libri, a dire una quantità di cose, che non possiamo tutte abbracciare con un solo sguardo per riferirci con un rapido movimento di pensiero alle verità che vogliamo attingere, lasciando da parte ogni discussione, tenterò, per quanto lo potrò, con l'aiuto del Signore, di riassumere in breve ciò che, in ciascun libro, ho cercato di far comprendere, discutendolo ampiamente, e porrò, come sotto lo sguardo dello spirito, non gli argomenti con cui ho provato le mie asserzioni, ma le verità provate, facendo in modo che le conclusioni non siano talmente lontane dalle premesse, che l'esame delle conclusioni faccia dimenticare le premesse, o che, almeno, se ciò accadrà, si possa rapidamente, con una nuova lettura, ricordare ciò che si sarà dimenticato.
3.5 Nel libro primo, basandomi sulle sacre Scritture, ho mostrato l'unità e l'uguaglianza di quella suprema Trinità.3
Nel secondo, terzo e quarto ho trattato lo stesso argomento; ma la trattazione diligente ed esauriente delle questioni delle missioni del Figlio e dello Spirito Santo costituisce l'argomento dei tre libri, ed ho dimostrato che Colui che è stato mandato non è minore di Colui che manda, per il fatto che questo manda e quello è mandato, perché la Trinità, che è uguale in tutto, è ugualmente indivisibile nel suo operare, essendo, per sua natura, immutabile, invisibile e ovunque presente.4
Nel quinto libro, a causa di coloro che ritengono che il Padre e il Figlio non sono di una stessa sostanza ( perché pensano che tutto ciò che si dice di Dio si riferisca alla sostanza e, poiché generare ed essere generato, o essere generato ed essere ingenerato sono termini distinti, pretendono che si tratti di sostanze diverse ),5 ho dimostrato che non tutto ciò che si dice di Dio lo si dice sotto l'aspetto della sostanza come quando lo si afferma buono e grande e gli si danno altri simili attributi.
Si dice anche sotto l'aspetto della relazione, ossia non rispetto a quello che è in se stesso, bensì rispetto a qualcosa che non è l'assoluto in Dio;6 per esempio quando si dice Padre in relazione al Figlio o si dice Signore in relazione alle creature che lo servono. ( Sap 16,24; Rm 1,25 )
Se queste attribuzioni relative hanno anche un riferimento al tempo come nell'invocazione del Salmista: Signore, tu sei divenuto per noi un rifugio, ( Sal 90,1 ) allora non è che a Dio accada qualcosa che lo faccia cambiare, ma egli rimane assolutamente immutabile nella sua natura o essenza.7
Nel libro sesto mi sono chiesto in che senso Cristo sia stato chiamato dall'Apostolo forza di Dio e sapienza di Dio, ( 1 Cor 1,24 ) differendo a più tardi, per studiarla con più diligenza, la seguente questione: si deve dire che Colui che ha generato Cristo non è egli stesso sapienza, ma soltanto Padre della sapienza, o, al contrario, che egli è sapienza che ha generato la sapienza?8
Ma qualunque sia la risposta a questa alternativa, anche in questo libro appariva l'uguaglianza della Trinità, e come Dio non è triplice, ma Trinità, ed apparve che il Padre e il Figlio non sono qualcosa di duplice in rapporto allo Spirito Santo, realtà semplice, là dove i Tre non sono un qualcosa di più che uno solo di loro.9
Si è anche discusso come si possa intendere l'espressione del vescovo Ilario: L'eternità nel Padre, la bellezza nell'Immagine, la fruizione nel Dono.10
Nel settimo libro si spiega la questione che era stata differita e si giunge alla conclusione che Dio, in quanto ha generato il Figlio, non solo è il Padre della sua forza e della sua sapienza, ma è anche lui stesso forza e sapienza, come pure lo Spirito Santo, ma tuttavia non ci sono tre forze o tre sapienze, ma una sola forza ed una sola sapienza, come vi è un solo Dio ed una sola essenza.11
Poi mi sono chiesto in che senso si parli di una sola essenza e di tre Persone, o, come dicono alcuni scrittori greci, di una essenza e di tre sostanze,12 e ho risposto che sono le esigenze del linguaggio che vogliono che noi facciamo ricorso ad una sola parola per rispondere alla domanda: "Che cosa sono questi Tre?", perché noi confessiamo con piena verità che sono tre: il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.13
Nel libro ottavo ho fatto ricorso anche alla riflessione per mostrare chiaramente all'intelligenza che nella verità sostanziale non solo il Padre non è più grande del Figlio, ma che nemmeno tutti e due insieme sono un qualcosa di più grande del solo Spirito Santo; che due Persone qualsiasi nella medesima Trinità non sono un qualcosa di più grande di una sola; che tutte e tre prese insieme non sono un qualcosa di più grande che ciascuna considerata singolarmente.14
Poi, argomentando dalla verità immediatamente attinta dall'intelligenza, dal Bene supremo dal quale deriva ogni bene, dalla giustizia a motivo della quale l'anima giusta è amata anche dall'anima che non è ancora giusta, mi sono sforzato di far comprendere, per quanto è possibile, quella natura, non solo immateriale, ma anche immutabile, che è Dio; ( 1 Gv 4,8-16 ) infine, riflettendo sulla carità, che è chiamata Dio nelle Sacre Scritture, ho incominciato a fare intravedere all'intelligenza, per quanto poco, la Trinità stessa, per analogia dell'amante, dell'amato, dell'amore.15
Nel libro nono la mia analisi giunge all'immagine di Dio: l'uomo, considerato nel suo spirito.
Nello spirito umano ho trovato una specie di trinità, ossia lo spirito, la conoscenza con cui si conosce, l'amore con cui ama se stesso e la conoscenza che ha di sé; ho mostrato che queste tre cose sono uguali tra loro ed appartengono ad una medesima essenza.16
Nel libro decimo, ho ripreso lo stesso argomento con più attenzione e precisione e sono stato condotto a trovare nello spirito una trinità più manifesta: quella della memoria, dell'intelligenza, della volontà.17
Ma, poiché ho scoperto pure che lo spirito non può mai esistere senza ricordarsi di sé, senza comprendersi, senza amarsi, sebbene esso non pensi sempre a se stesso e, quando pensa a sé, non sempre riesca in questo stesso atto di pensiero a distinguersi dagli oggetti sensibili, ho rimandato a più tardi lo studio circa la Trinità, di cui lo spirito è immagine, per cercare una trinità nella stessa percezione degli oggetti visibili e permettere all'attenzione del lettore di esercitarsi su realtà che essa percepisce più chiaramente.18
Per questo, nel libro undicesimo mi sono soffermato sullo studio del senso della vista sapendo che ciò che vi avrei scoperto si sarebbe potuto applicare anche agli altri quattro sensi, senza bisogno di ripeterlo.
E così è apparsa la trinità dell'uomo esteriore: trinità costituita dal corpo percepito, dalla forma da esso impressa nello sguardo del soggetto percipiente, e dall'attenzione della volontà che unisce l'uno all'altra.19
Ma apparve manifesto che questi tre elementi non sono uguali tra loro e non appartengono alla medesima sostanza.
Poi, nell'anima stessa, a partire da ciò che, sentito all'esterno, è come introdotto in noi, ho scoperto un'altra trinità in cui i tre elementi sembrano appartenere alla medesima sostanza: l'immagine del corpo presente nella memoria, la forma che la riproduce quando lo sguardo del soggetto che pensa si volge ad essa, e l'attenzione della volontà che unisce l'una all'altra.
Ma si è visto che questa trinità appartiene ancora all'uomo esteriore, perché ha la sua origine nei corpi che percepiamo dall'esterno.
Nel libro dodicesimo ci è parso di dover distinguere la sapienza dalla scienza, ( Gb 28,28; 1 Cor 12,8 ) e di dover cercare prima in quella che si chiama propriamente scienza, perché è inferiore alla sapienza, una specie di trinità nel suo genere; sebbene essa appartenga già all'uomo interiore, tuttavia non bisogna né dire né pensare che sia immagine di Dio.20
È questo l'argomento trattato nel libro tredicesimo, mostrando il valore della fede cristiana.21
Nel libro quattordicesimo invece è proprio la vera sapienza dell'uomo, cioè quella che gli è data per dono di Dio nella sua partecipazione a Dio stesso e che è distinta dalla scienza,22 che costituisce l'oggetto della mia indagine.
Tale indagine è giunta a scoprire una trinità nell'immagine di Dio, che è l'uomo considerato nel suo spirito, che si rinnova nella conoscenza di Dio secondo l'immagine di Colui che ha creato l'uomo ( Col 3,10 ) a sua immagine, ( Gen 1,26-27; Sir 17,1 ) e così si percepisce che la sapienza si trova là dove c'è contemplazione delle realtà eterne.
Cerchiamo dunque ormai quella Trinità che è Dio in quelle realtà eterne, incorporee ed immutabili, nella cui piena contemplazione ci è promessa la vita beata, che è tale solo perché eterna. ( Tt 1,2; 1 Gv 2,25 )
Infatti, non è soltanto l'autorità delle divine Scritture che ci insegna che Dio esiste, ma tutta intera la natura stessa che ci circonda, e di cui noi stessi facciamo parte, proclama l'esistenza di un supremo Creatore, ( Rm 1,20; Sap 13,5 ) che ha dotato la nostra natura di uno spirito e di una ragione, con cui vediamo di dover preferire gli esseri viventi ai non viventi, quelli dotati di senso ai non senzienti, quelli intelligenti ai non intelligenti, quelli immortali ai mortali, quelli potenti ai privi di potenza, quelli giusti agli ingiusti, quelli belli ai deformi, quelli buoni ai cattivi, quelli incorruttibili ai corruttibili, quelli immutabili ai mutevoli, quelli invisibili ai visibili, quelli incorporei ai corporei, quelli felici agli infelici.
Per questo stesso motivo, perché noi poniamo senza esitazione il Creatore al di sopra delle creature, dobbiamo confessare che egli possiede la pienezza della vita, che sente e comprende tutto; che egli non può morire, corrompersi, mutare; che egli non è corpo ma lo spirito di tutti più potente, più giusto, più bello, più buono e più beato.
Ma queste affermazioni e tutte le altre che, espresse in modo simile con linguaggio umano, sembrano degne di Dio, convengono sia alla Trinità tutta intera, che è un Dio solo, sia, in questa stessa Trinità, a ciascuna Persona.
Chi infatti oserà dire che o questo Dio unico, che è la stessa Trinità,23 o il Padre, o il Figlio, o lo Spirito Santo, non vive, o non sente nulla o non intende nulla, oppure che in quella natura, che fonda la loro mutua uguaglianza,24 qualcuna delle Persone è mortale, corruttibile, mutevole, corporea; ovvero infine ci sarà qualcuno che negherà che nella Trinità qualcuna delle Persone sia in sommo grado potente, giusta, bella, buona, beata?25
Se dunque tutte queste perfezioni e tutte le altre dello stesso ordine possono essere attribuite alla Trinità e, in essa, a ciascuna delle Persone, dove e come potremo scoprire la Trinità?
Riduciamo dunque anzitutto queste numerosissime perfezioni ad alcune soltanto.
La vita che si afferma esistere in Dio è la sua stessa esistenza e la sua natura.
Per questo Dio vive di una vita che non è altro che ciò che egli stesso è per se stesso.
Questa vita non è della stessa sorte di quella dell'albero, che è privo di intelligenza e di sensibilità, né della stessa sorte di quella degli animali; infatti la vita dell'animale è dotata di sensibilità che si diversifica in cinque sensi, ma è del tutto priva di intelligenza.
Invece quella vita che è Dio sente e comprende tutto, ma Dio sente spiritualmente, non corporeamente, perché Dio è spirito. ( Gv 4,24 )
Infatti Dio non sente per mezzo del corpo, come gli animali che hanno un corpo, perché non è composto di anima e di corpo, e per questo,26 essendo semplice, quella natura sente come comprende, comprende come sente; in essa senso ed intelletto sono identici.
Né la sua natura è tale che possa ad un dato momento cessare di esistere o incominciare ad esistere: è infatti immortale.
Non invano di lui è detto che è il solo a possedere l'immortalità, ( 1 Tm 6,16 ) perché è veramente immortalità l'immortalità di Colui la cui natura è priva di qualsiasi mutazione.
Vera è pure l'eternità per la quale Dio è immutabile, senza inizio e senza fine e per ciò stesso incorruttibile.
Si esprime dunque una sola e medesima cosa, sia che si dica che Dio è eterno, sia che si dica che è immortale, che è incorruttibile, che è immutabile; similmente quando si dice che è vivente, e intelligente o, che è lo stesso, sapiente, si dice la medesima cosa.
Dio infatti non ha ricevuto una sapienza che lo abbia reso sapiente, ma egli stesso è la sapienza.
E questa vita è la stessa cosa che la forza o la potenza, la stessa cosa che la bellezza, per cui è detto potente e bello.
Che c'è infatti di più potente e di più bello della sapienza che si estende con potenza da una estremità all'altra del mondo e tutto amministra con dolcezza? ( Sap 8,1 )
La bontà e la giustizia differiscono forse tra loro nella natura di Dio, allo stesso modo che nelle sue opere, come se vi fossero due qualità distinte in Dio: una, la bontà, l'altra, la giustizia?
Certamente no: la sua giustizia è la sua stessa bontà, e la sua bontà è la sua beatitudine stessa.
E Dio è detto incorporeo, immateriale perché si creda e si comprenda ( Is 7,9b ) che egli è spirito, non corpo.
Se dunque diciamo: "Eterno, immortale, incorruttibile, immutabile, vivente, sapiente, potente, bello, giusto, buono, beato, spirito", potrebbe sembrare che, fra tutti questi termini, solo l'ultimo designi la sostanza, mentre gli altri sembrerebbero designare solo le qualità di questa sostanza, ma non è così in quella natura ineffabile e semplice.
Tutto ciò che ivi sembra venir affermato come concernente le qualità, deve essere compreso come riguardante la sostanza o l'essenza.
Sia lungi da noi il pensare che, quando si dice che Dio è spirito, questa affermazione riguardi la sostanza, e quando si dice che è buono, tale affermazione concerna la qualità: l'una e l'altra affermazione riguardano la sostanza.
Lo stesso si dica di tutte le altre perfezioni che abbiamo ricordato e di cui abbiamo già lungamente parlato nei libri precedenti.
Fra le quattro prime perfezioni che abbiamo enumerato e distinto, cioè: eterno, immortale, incorruttibile, immutabile, scegliamone dunque una, perché, come ho già detto, queste quattro designano una sola realtà; affinché la nostra attenzione non si disperda nella considerazione di molte cose, scegliamo quella che abbiamo nominato al primo posto, cioè l'eternità.
Facciamo la stessa cosa per le quattro del secondo gruppo: vivente, sapiente, potente, bello.
E poiché anche gli animali hanno la vita, per quanto imperfetta, mentre non hanno la sapienza; poiché d'altra parte quando paragona la sapienza alla potenza, che sono tutte e due perfezioni dell'uomo, la Sacra Scrittura dice: Il sapiente è superiore al forte; ( Sap 6,1 ) poiché infine si chiamano correttamente belli anche i corpi, tra queste quattro perfezioni fra le quali abbiamo da scegliere; scegliamo la sapienza, sebbene occorra dire che queste quattro perfezioni in Dio non sono ineguali: ci sono infatti quattro parole, ma una sola realtà.
Veniamo alle quattro del terzo ed ultimo gruppo.
Benché in Dio essere giusto sia la stessa cosa che essere buono e beato, essere spirito la stessa cosa che essere giusto, buono e beato; tuttavia poiché negli uomini lo spirito può non essere beato, può essere giusto e buono, ma non ancora beato; poiché invece colui che è beato è inevitabilmente giusto, buono e spirito; scegliamo di preferenza la perfezione che nemmeno negli uomini può esistere senza le altre tre, cioè la beatitudine.
Quando dunque diciamo: "Eterno, sapiente, beato", queste tre perfezioni costituiscono forse quella Trinità che si chiama Dio? Abbiamo ridotto quelle dodici perfezioni al piccolo numero di tre; forse allo stesso modo noi possiamo ridurre queste tre ad una sola.
Perché se nella natura divina sapienza e potenza, o vita e sapienza, possono essere una sola e medesima realtà, perché non potrebbero essere una sola e medesima cosa nella natura divina eternità e sapienza, o beatitudine e sapienza?
Allora, allo stesso modo che era indifferente parlare di dodici o di tre perfezioni, quando abbiamo ridotto quelle molteplici perfezioni ad alcune, così è indifferente parlare di tre perfezioni o di un'unica perfezione alla quale si possono ridurre le altre due come abbiamo mostrato. Ma allora quale metodo di discussione, quale forza e quale potenza di intelligenza, quale vivacità di ragione, quale penetrazione di pensiero ci mostreranno, per tacere delle altre, come questa sola perfezione, questa sapienza che è chiamata Dio, è Trinità?
Infatti Dio non percepisce una sapienza che gli proviene da qualcuno, come noi percepiamo una sapienza che ci proviene da lui, ma è egli stesso la sua sapienza, perché non sono due cose diverse la sapienza e l'essenza per Colui per il quale è una stessa cosa essere ed essere sapiente.
Certo le Sacre Scritture affermano che Cristo è la forza di Dio e la sapienza di Dio, ( 1 Cor 1,24 ) ma si è discusso nel libro settimo come si debba intendere questa espressione,27 perché non sembri che sia il Figlio a far sì che il Padre sia sapiente, ed il nostro ragionamento ci ha condotto a concludere che il Figlio è sapienza da sapienza, come è luce da luce, Dio da Dio.
Riguardo allo Spirito Santo le nostre conclusioni non hanno potuto essere differenti: anch'egli è sapienza e tutte e tre le Persone insieme sono una sola sapienza, come sono un solo Dio, una sola essenza.28
Ma allora come comprendere che questa sapienza, che è Dio, è Trinità?
Non ho detto "come credere", perché per i fedeli è questa una verità che non deve essere messa in questione, ma se possiamo in una certa maniera vedere per mezzo dell'intelligenza ciò che crediamo, quale sarà questa maniera?
Indice |
1 | Varrone, Antiquit. rer. human. et divin., in Agostino, De civ. Dei 7,23; Cicerone, De fin. bon. mal., 5, 13, 36 |
2 | Cicerone, De orat. 3, 18, 67; De fin. bon. mal., 5, 12, 34; 13, 36; De rep. 6, 9, 9; Giulio Cesare, De bello gall. 3, 19, 6; 6, 5, 1; Lucrezio, De rer. nat. 3, 94; Sallustio, Iugurt. 11, 8; Seneca, De b. vita 15, 5; Quintiliano, Instit. 1, 9, 13 |
3 | Sopra 1,4,7 |
4 | Sopra 2,5ss; Sopra 3,10,19-21; Sopra 4,21,30 |
5 | Sopra 5,3,4 |
6 | Aristotele, Categ. 7, 6a, 36 - 8b, 24; Pseudo Agostino, Categ. X ex Arist. 11 |
7 | Sopra 5,5,6 |
8 | Sopra 6,1,1-3 |
9 | Sopra 6,3,4ss |
10 | Ilario, De Trin. 2, 1, 1; Sopra 6,10,11-12 |
11 | Sopra 7,1,1-3,6 |
12 | Platone in Porfirio, Phil. hist. 4; Basilio, Epp. 38; 236; Tertulliano, Apol. 21; Adv. prax. 2; 26; Girolamo, Ep. 15, 3-5. |
13 | Sopra, 7,4,7-9 |
14 | Sopra 8,prooem |
15 | Sopra 8,3,4ss |
16 | Sopra 9,4,4ss |
17 | Cicerone, De invent. 2, 53, 60; Agostino, De div. qq. 83 31, 1: NBA, VI/2; Ep. 169, 2, 6: NBA, XXII |
18 | Sopra 10,11,17-12,19 |
19 | Sopra 11,4,7 |
20 | Sopra, 12,14,21-23 |
21 | Sopra 13,1,1-2,5; Sopra 13,19,24 |
22 | Sopra 14,1,1-19,25 |
23 | Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 1 |
24 | Tomus Damasi, Anath. 21 |
25 | Tomus Damasi, Anath. 20 |
26 | Cicerone, De fin. bon. mal. 5, 12, 34; Sallustio, Iug. 2, 1; Lattanzio, Instit. 7, 5, 16 |
27 | Sopra 7,3,4-6 |
28 | Eusebio da Vercelli, Trin. 1, 1 |