Teologia dei Padri |
La provvidenza consiste nella cura esercitata da Dio nei confronti di ciò che esiste.
Essa rappresenta, inoltre, quella volontà divina grazie alla quale ogni cosa è retta da un giusto ordinamento.
Se dunque la volontà di Dio è provvidenza, tutto quanto avviene per suo dettato si realizza necessariamente in maniera bellissima e sempre diversa, nel migliore dei modi possibile.
É logico ritenere, infatti, che Dio stesso sia tanto il creatore delle cose quanto colui che le cura e le preserva: non è conveniente né ragionevole immaginare che uno sia il creatore e un altro protegga l'opera del primo.
Se così fosse, infatti, essi sarebbero entrambi assolutamente impotenti: l'uno di fare, l'altro di provvedere.
Dio, perciò, è colui che ha creato e colui che provvede; la sua capacità di creare e di conservare e di provvedere altro non è se non la sua stessa benigna volontà: infatti tutto ciò che il Signore volle lo fece nel cielo e sulla terra ( Sal 135,6 ) e nessuno può resistere alla sua volontà ( Rm 9,19 ).
Tutto quanto egli volle che esistesse, è stato creato.
Egli vuole che il mondo esista ed esiste: tutto ciò che vuole, lo crea.
Giustamente, dunque, si può affermare, senza alcun'ombra di dubbio, che Dio provvede, e provvede opportunamente.
Solo Dio è buono e sapiente per natura: in quanto è buono, è provvidente ( colui che non provvedesse, infatti, non sarebbe neppure buono: anche gli uomini e gli stessi animali provvedono con l'istinto naturale ai loro figli, ed è riprovevole chi non lo fa ) e, in quanto è sapiente, cura nel modo migliore tutto ciò che esiste.
Nel considerare attentamente quanto siamo andati osservando, è dunque necessario che noi ammiriamo tutte le opere della provvidenza, le lodiamo tutte, tutte incondizionatamente le accettiamo, sebbene a molti talune cose appaiano ingiuste.
La provvidenza di Dio, infatti, non può essere né conosciuta né compresa; e i nostri pensieri e le nostre azioni, come il nostro futuro, sono noti ad essa soltanto.
Infatti le cose soggette alla nostra discrezionalità, non vanno ascritte alla provvidenza, ma al libero arbitrio dell'uomo.
In realtà, delle cose che dipendono dalla provvidenza, alcune avvengono grazie alla sua volontà attiva, altre invece attraverso la sua volontà permissiva.
In virtù della prima accadono tutte quelle cose che risultano come incontrovertibilmente buone; molte sono, invece, le forme nelle quali si manifesta la volontà permissiva di Dio.
Per esempio, quando egli permette che l'uomo giusto s'imbatta nelle calamità, affinché la virtù nascosta in lui si renda visibile anche per gli altri, come accadde nel caso di Giobbe ( Gb 1,12 ).
Talvolta, Dio consente che avvenga qualcosa d'ingiusto affinché, attraverso circostanze apparentemente inique, si compia qualcosa di grande e di mirabile: attraverso la croce, ad esempio, egli ha dato la salvezza agli uomini.
Inoltre il Signore permette che l'uomo pio sia afflitto da gravi sventure: perché non si allontani, cioè, dalla retta coscienza ovvero, a causa dell'autorità e della grazia concessegli, non precipiti nella superbia, come avvenne in Paolo ( 2 Cor 12,7 ).
Perché altri ne traggano insegnamento, qualcuno viene dunque talvolta abbandonato da Dio; gli altri così considerando le sue disgrazie, ne ricavano ammaestramento: si osservi, a tal proposito, il caso di Lazzaro e del ricco ( Lc 16,19 ).
Spontaneamente, infatti, nel vedere chi soffre, ci si stringe il cuore.
Talvolta, poi, Dio consente che qualcuno soffra, non per punire colpe sue o dei suoi antenati, ma perché si manifesti la gloria di qualcun altro: nel caso del cieco nato ( Gv 7,3 ), ad esempio, si doveva rivelare, attraverso la sua guarigione, la gloria del Figlio dell'uomo.
La sofferenza viene inoltre tollerata da Dio onde suscitare negli animi il desiderio di emulazione degli altri: affinché cioè, incoraggiati dalla gloria toccata a chi ha sofferto, gli altri sopportino piamente le avversità, grazie alla speranza della gloria futura e sollecitati dal desiderio dei beni eterni, come accadde ai martiri.
Infine, il Signore permette persino che qualcuno cada in una azione turpe perché abbia modo di liberarsi di qualche vizio più grave.
Ad esempio, se qualcuno s'insuperbisce delle sue virtù e delle sue buone azioni Dio lascia che costui cada nella fornicazione affinché divenendo in tal modo consapevole della propria debolezza, diventi umile e cominci a confidare maggiormente nel Signore.
Si deve poi sapere che la scelta delle azioni da compiere dipende da noi; quando queste sono buone, invece, il loro risultato è da attribuire all'aiuto di Dio che giustamente soccorre, nella sua prescienza, coloro che intraprendono il bene con retta coscienza.
L'esito delle azioni cattive, al contrario, si deve al disimpegno di Dio che, grazie sempre alla sua virtù di conoscere in anticipo ogni cosa, opportunamente abbandona l'uomo malvagio.
In particolare esistono, da parte di Dio, due diversi tipi di abbandono: quello pratico, cioè educativo; e l'abbandono assoluto, fonte della disperazione.
Il primo comporta, per chi lo subisce, raddrizzamento, salvezza, gloria sia per suscitare negli altri emulazione e imitazione, sia per la gloria di Dio.
L'abbandono assoluto, per contro, avviene quando, sebbene Dio abbia compiuto ogni cosa per la salvezza di una persona, costei continua nondimeno a rimanere insensibile e incurante del proprio destino, anzi inguaribile; e viene perciò abbandonata, come Giuda ( Mt 26,27 ), all'estrema rovina.
Ci sia dunque propizio il Signore, preservandoci da tale abbandono.
Numerosissimi sono poi i metodi della divina provvidenza: non possono esser spiegati a parole né compresi con la mente.
Non si deve ignorare che tutte le calamità recano la salvezza di coloro che le sopportano con rendimento di grazie, risultando in tal modo per essi di grande beneficio.
Iddio, infatti, secondo la sua volontà antecedente, vuole che tutti si salvino e divengano membri del suo regno ( 1 Tm 2,4 ): egli non ci ha creato per punirci, ma, essendo buono, perché fossimo partecipi della sua bontà.
D'altronde, essendo anche giusto, il Signore vuole però punire i peccatori.
La prima volontà di Dio, dunque, è detta volontà antecedente o benevolenza, poiché deriva direttamente da lui; la seconda, invece, è la volontà conseguente o permissione, avendo origine per causa nostra.
Quest'ultima, a sua volta, è duplice: l'una rientra nel piano di Dio ed è educativa ai fini della salvezza; l'altra, cioè quella concernente la disperazione, porta invece, come abbiamo già ricordato, alla più assoluta dannazione.
Tali volontà non riguardano quanto dipende da noi.
Delle cose che dipendono da noi, Dio fin da principio vuole e approva quelle buone.
Quelle cattive e veramente malvagie, egli non le desidera né direttamente né indirettamente: le permette in ragione del nostro libero arbitrio.
Ciò che avvenisse per forza, infatti, non converrebbe alla ragione né potrebbe considerarsi come virtù.
Dio provvede, dunque, a tutto il creato.
Attraverso di esso beneficia e istruisce sovente anche servendosi dei demoni, come nel caso di Giobbe o dei porci ( Mt 8,30ss ).
Giovanni Damasceno, Esposizione della fede ortodossa, 2,29
L'amore di Dio non è qualcosa che si insegni.
Infatti noi non abbiamo imparato da nessuno a godere della luce, né ad essere attaccati alla vita; e nessuno ci ha insegnato ad amare i nostri genitori o coloro che ci hanno educato.
Allo stesso modo, e a maggior ragione, la scienza dell'amore di Dio non può venirci dall'esterno.
Ma, nella formazione di quell'essere vivente che è l'uomo, viene deposto in noi, come un seme, un principio spirituale che ha in sé la forza che ci spinge ad amare.
Quando la scuola dei divini precetti riceve tale seme, è lei che lo coltiva con cura, che lo nutre sapientemente, che lo porta a maturità con la grazia di Dio …
E ora, mentre voi ci aiutate con le vostre preghiere, cercheremo, secondo il potere che ci è stato dato dallo Spirito Santo, di ridestare la scintilla dell'amore divino nascosto in voi …
Diciamo prima di tutto che abbiamo ricevuto in precedenza da Dio le forze necessarie per osservare tutti i comandamenti datici da lui; perciò non dobbiamo angustiarci come se ci venisse richiesto qualcosa di straordinario, né inorgoglirci come se contribuissimo con uno sforzo superiore all'aiuto che ci è stato dato.
Se, grazie a tali forze insite in noi, agiamo con rettitudine e come si conviene, conduciamo santamente una vita virtuosa; se, al contrario, usiamo male del loro potere, cadiamo nel vizio.
Questa appunto è la definizione del vizio: l'uso cattivo e contrario ai precetti del Signore, dei doni che Dio ci ha fatto per compiere il bene; esattamente come la virtù richiesta da Dio consiste nell'usare queste energie con buona coscienza e secondo i precetti del Signore.
Stando così le cose, possiamo dire lo stesso anche della carità.
Noi infatti, che abbiamo ricevuto il precetto di amare Dio, possediamo una forza, immessa in noi fin dalla prima strutturazione del nostro essere, che ci inclina ad amare.
E la prova non va cercata all'esterno, ma chiunque può constatarla personalmente da ciò che prova in sé.
Infatti, noi siamo portati per natura a desiderare le cose belle, anche se il bello appare diverso all'uno e all'altro; e, senza averlo appreso, proviamo affetto per tutto ciò che ci è familiare o affine …
Ora, che cosa c'è da ammirare più della divina bellezza?
Quale desiderio spirituale è così ardente e quasi irresistibile come quello che Dio fa nascere nell'anima purificata da tutti i vizi e che afferma con cuore sincero: languisco d'amore ( Ct 2,5 )?
Del tutto ineffabile e inesprimibile è lo splendore della divina bellezza.
Basilio il Grande, Regole lunghe, 2,1
Non vi è problema che gli ingegni migliori trattano con maggior impegno e che quanti guardano gli scogli e le tempeste della vita con la testa eretta, quanto è consentito, desiderano sentirsi esporre e comprendere quanto quello della possibile composizione fra la cura che Dio si prende degli uomini e il fatto assai comune della deviazione delle azioni umane dal fine.
Sembrerebbe appunto che l'ordine sia da attribuirsi non tanto al governo di Dio, quanto a quello di uno schiavo, se gli si desse tale potere.
Pertanto coloro che si interessano al problema potrebbero ritenere come logica conseguenza o che la divina provvidenza non può giungere alle ultime e infime manifestazioni dell'essere, o che tutti i mali dipendono dal volere di Dio.
Blasfema l'una e l'altra ipotesi, ma soprattutto la seconda.
Infatti è indice di ignoranza e causa di danno spirituale il pensiero che un qualche essere sia da Dio abbandonato …
Quindi l'umano pensiero, non privo di religiosità, è costretto ad ammettere o che le cose del mondo non possono essere da Dio dirette al fine, o che sono da lui trascurate e disdegnate piuttosto che governate in maniera che diventi comprensibile e incolpevole ogni possibile lamentela contro Dio.
Ma chi è tanto cieco di mente da dubitare di attribuire alla potenza e provvidenza divina la legge razionale che si verifica nel succedersi dei fenomeni, indipendentemente dall'intenzione e dall'esecuzione umana?
A meno delle seguenti ipotesi: o le membra di animali anche piccolissime sono strutturate dal caso in dimensioni tanto proporzionate ed esatte; ovvero si ammette che deriva da un principio razionale ciò che non può esser prodotto dal caso; o infine noi oseremmo, per pregiudizi di vana filosofia, non attribuire all'occulta legge del divino potere l'ordine che ammiriamo in ogni essere nella successione di tutti i fenomeni naturali e indipendentemente dalla razionale produttività dell'uomo.
Ma l'aporia sta appunto nel fatto che le membra della pulce sono disposte con mirabile distribuzione, e frattanto la vita umana è travagliata e sconvolta dal succedersi di innumerevoli crisi.
Ma, a questo proposito, supponiamo che un tale abbia la vista tanto limitata che in un pavimento a mosaico il suo sguardo possa percepire soltanto le dimensioni di un quadratino per volta.
Egli rimprovererebbe all'artista l'imperizia nell'opera d'ordinamento e composizione, nella convinzione che le diverse pietruzze siano state maldisposte.
Invece è proprio lui che non può cogliere e rappresentarsi in una visione d'insieme i pezzettini armonizzati in una riproduzione d'unitaria bellezza.
La medesima condizione si verifica per le persone incolte: incapaci di comprendere e riflettere sull'universale e armonico ordinamento delle cose, se qualche aspetto che per la loro immaginazione è grande, li urta, pensano che nell'universo esiste una grande irrazionalità.
Il motivo principale dell'errore è che l'uomo non si conosce.
E perché possa conoscersi ha bisogno del costante esercizio di distogliersi dalla sensibilità [ in Ritrattazioni 1,2,3, Agostino rettifica, per questo passo e altrove, il non aver specificato con l'aggiunta corporis di quale sensus intendeva parlare perché esiste anche un sensus animi ], di raccogliersi spiritualmente e meditare.
Attuano tale esercizio soltanto coloro che o cauterizzano con la solitudine, o medicano con le discipline liberali le piaghe dei vari pregiudizi causate dall'esistenza banale.
Così lo spirito restituito a se stesso comprende l'essenza dell'armonia dell'universo, che è stato denominato dall' « uno ».
Agostino, L`ordine, 1,1-3
Che cosa t'importa se uno è cieco e un altro è povero?
Dio non t'ha ordinato di pensare a questo, bensì a ciò che fai tu.
Infatti, se dubiti che l'universo sia sorretto da una qualche autorità sovrana, sei il più pazzo di tutti; se invece ne sei persuaso anche tu, perché ti interroghi su ciò che debba piacere a Dio?
« Rendete sempre grazie », disse l'Apostolo, « a Dio per tutte le cose ».
Recati nell'ambulatorio del medico e osservalo mentre taglia e brucia le piaghe di una persona ferita.
Va' nell'officina del fabbro: lì non chiederai nessuna spiegazione, quantunque tu sia assolutamente ignorante di ciò che vi si compie, come quando, ad esempio, l'operaio lavora il legno, trasformandolo e mutandolo in un'altra figura.
O piuttosto ti conduco ad osservare un'arte ancora più facile: la pittura.
Lì resterai smarrito.
Dimmi, infatti: non ti sembrano forse insensate le cose che fa il pittore?
Che cosa vogliono dire quelle linee e quelle curve?
Quando però l'artista avrà posto i colori, allora la sua opera ti apparirà bella.
Ciò nondimeno, neppure in questo modo sarai in grado di apprendere esattamente alcunché.
Ma perché parlo dei fabbri o dei pittori?
Descrivimi, ti prego, il modo come l'ape produca il miele e allora potrai parlare di Dio.
Prima impara a conoscere il lavoro della formica, del ragno, della rondine e poi parlerai di Dio.
Se sei sapiente, dimmi queste cose; ma non puoi.
Non cesserai perciò, o uomo, di ricercare cose vane?
Cercherai ancora di investigarle con curiosità?
Nulla è più saggio dell'ignoranza di coloro che riconoscono di non sapere nulla: costoro sono i più sapienti di tutti.
Quelli che scrutano ogni cosa con curiosità, invece, sono i più folli.
Dichiarare di sapere, perciò, non è sempre frutto di sapienza, ma talora anche di stoltezza.
Infatti, dimmi: se fra due uomini, uno affermasse di poter misurare, per mezzo di funi, lo spazio che intercorre fra la terra e il cielo; mentre un altro, ridendo, confessasse di non esserne capace; di quale dei due, ti domando, rideremmo?
Di quello che dice di saperlo fare oppure di quello che l'ignora?
Evidentemente di colui che sostiene di essere in grado di compiere una cosa del genere.
Chi ignora, perciò, è più sapiente di chi dichiara di sapere.
E ancora, se qualcuno affermasse di sapere quanti bicchieri d'acqua contenga il mare; un altro, invece, di ignorarlo; non sarebbe anche in questo caso l'ignoranza più sapiente della sapienza?
Nel modo più assoluto.
E per quale motivo? Perché anche quell'ignoranza è cosa grande.
Chi dice di non sapere, infatti, in qualche maniera sa.
Ma che cosa? Che ciò è incomprensibile all'uomo: e non è poco.
Chi dice di sapere, invece, lui soprattutto ignora ciò di cui afferma esser sapiente; perciò è anche ridicolo.
Ahimè! In quanti modi siamo esortati a frenare la curiosità inopportuna e la sterile mania investigativa!
Ma non ne siamo capaci; indaghiamo inopportunamente la vita degli altri: perché uno è cieco, perché un altro è povero.
Per questo motivo cadiamo anche in altre sciocchezze, domandandoci perché costei sia femmina, e non tutti siano uomini; perché questo è un asino, perché quest'altro è un bue o un cane o un lupo o una pietra o un legno, e così all'infinito.
Perciò Dio ha stabilito nella natura dei limiti alla nostra conoscenza.
Osserva attentamente come, quando contempliamo la smisurata altitudine del cielo sulla terra, non ci turbiamo affatto.
Guardando in giù da un'alta torre, invece, anche sporgendoci appena, ci vengono le vertigini.
Dimmi qual è il motivo ( ma non sarai capace di trovarlo ) per cui l'occhio ha maggiore potenza ed è tenuto lontano dalle cose più lontane?
Qualcosa di simile noterai per l'udito: nessuno potrebbe gridare tanto forte da raggiungere lo spazio abbracciato dallo sguardo né udire da una distanza così rilevante.
Perché mai non tutti gli organi sono dotati della medesima capacità?
Perché non hanno ricevuto tutti un'unica destinazione o una medesima collocazione nel corpo?
Paolo indagò anche questo; o meglio, non l'indagò ( egli era sapiente, infatti ), ma, essendosi imbattuto nella questione, afferma: ciascuno di essi ha collocato come volle ( 1 Cor 12,18 ), rimettendo ogni cosa alla volontà di Dio.
Messe da parte tali questioni, dobbiamo unicamente rendere grazie per tutto: « perciò », disse l'Apostolo, « rendete grazie per tutto ».
Ciò è proprio del servitore grato, saggio, intelligente; l'altra cosa, invece, si addice a quello chiacchierone, ozioso e ficcanaso.
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 19,4-5
Dio aveva scelto Sion come sua dimora, come luogo del suo riposo.
Ed ecco, Sion, dove sorgeva il tempio, è stata distrutta.
Dove sarà ora la sede eterna del Signore? Dove il suo eterno riposo?
In quale tempio abiterà? Il suo tempio sarà quello di cui è detto: Voi siete il tempio di Dio e lo Spirito di Dio abita in voi ( 1 Cor 3,16 ).
Questa è dunque la dimora e il tempio di Dio, pieno del suo insegnamento e della sua potenza, capace di ospitare Dio per la santità del cuore.
Ad esso rendeva testimonianza il profeta: Signore, il tuo tempio è santo, ammirabile nella giustizia ( Sal 65,5-6 ).
La santità, la giustizia, la temperanza dell'uomo sono il tempio di Dio.
Questa casa, dunque, deve essere edificato ad opera di Dio …
Le fondamenta devono poggiare sui profeti e sugli apostoli.
Deve innalzarsi con pietre vive e tenersi insieme sulla pietra d'angolo; costruirsi con la reciproca unione dei suoi elementi, fino all'altezza dell'uomo perfetto e alla statura del corpo di Cristo; deve infine ornarsi con la grazia e la bellezza dei doni spirituali …
Israele, ora prigioniero, contribuirà da ultimo, dopo tutte le nazioni, alla costruzione di questa casa.
Questo edificio si moltiplicherà in numerose dimore, grazie ai diversi lavori dei fedeli, contribuendo all'estensione di quella santa città e crescendo in bellezza nell'intimo di ciascuno di noi.
Già da molto tempo il Signore è il vigile custode di questa città, quando protegge Abramo nei suoi viaggi,
quando risparmia Isacco sul punto di essere immolato e arricchisce Giacobbe che aveva servito;
quando dà autorità in Egitto a Giuseppe che era stato venduto, rende forte Mosè contro il faraone e sceglie Giosuè come condottiero nelle guerre;
quando libera Davide da tutti i pericoli e accorda a Salomone il dono della sapienza;
quando assiste i profeti, quando rapisce Elia e sceglie Eliseo;
quando dà da mangiare a Daniele e rianima con la frescura i fanciulli nella fornace;
quando, per mezzo di un angelo, istruisce Giuseppe sul mistero per il quale egli genera se stesso in una vergine; rassicura Maria, manda Giovanni come precursore, sceglie gli apostoli e prega il Padre dicendo: Padre santo, custodiscili: quando ero con essi io li custodivo nel tuo nome ( Gv 17,11 ) e finalmente
quando egli stesso, dopo la passione, promette di vigilare per sempre su di noi, dicendo: Ecco, io sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo ( Mt 28,20 ).
É questa la custodia eterna della felice e santa città che, composta di genti innumerevoli venute a raccogliersi nell'unità e presente nell'anima di ciascuno di noi, forma una città per Dio.
Ilario di Poitiers, Commento al salmo 126, 7-9
Chi non vuol credere all'opera della provvidenza e ritiene stoltamente che questo mondo, fatto di cielo e di terra, sia condotto con tanta armonia e tanto ordine senza nessuno che lo governi, si comporta come se qualcuno, sedendo su di una nave e attraversando il mare, pur vedendo il nocchiero reggere il timone e manovrare opportunamente i remi, inclinandoli ora a destra ora a sinistra, mentre la nave approda in tutti i porti nei quali costui la diriga, ciò nondimeno, chiaramente bugiardo com'è, volendo contrastare l'evidenza, negasse che a poppa vi sia il nocchiero e che la nave sia munita di remi e diretta dal movimento del timone: secondo costui essa procederebbe invece spontaneamente, vincendo da sola la violenza delle onde e combattendo con le raffiche dei venti, senza bisogno dell'aiuto dei marinai o del nocchiero che, consultandosi con loro, impartisca gli ordini opportuni.
Costoro, infatti, si accorgono chiaramente che il Signore di tutte le cose, dopo aver creato il mondo, lo governa e lo dirige in modo giusto e conveniente.
Constatano, altresì, tanto nell'insieme quanto nelle singole parti costitutive di questa macchina universale, ogni bellezza e utilità.
Ciò nonostante essi divengono deliberatamente ciechi, o piuttosto, benché vedano, sono disonesti.
Pur ricevendo i doni della provvidenza, essi li disprezzano, contestando addirittura attraverso le cose di cui essi godono, il loro governatore.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 2
Dov'eri tu, quando io fondai la terra? Dimmelo, se hai tanta intelligenza!
Chi ne ha consolidato la massa, se lo sai, o chi è colui che ha steso sopra di essa il cordino per misurarla? ( Gb 38,4-5 ) …
Con ciò, Dio non ha forse indicato chiaramente che egli ha fondato l'universo nella sua grandezza, in numero, peso e misura?
Infatti la creatura non fa legge, ma solo riceve legge e osserva quella che ha ricevuto.
Non per la sua posizione centrale, dunque, la terra sta sospesa in equilibrio, ma perché la maestà di Dio la costringe, con la legge della sua volontà, a restare sempre immobile, sul continuo volubile fluttuare, nello spazio vuoto.
Anche il profeta Davide lo testimonia dicendo: Egli ha basato la terra sulle sue fondamenta; non si muoverà nei secoli dei secoli ( Sal 104,5 ).
In questa espressione, Dio viene celebrato non solo come l'artefice, ma anche come l'onnipotente, che non con una qualche forza centrale, ma con la sua legge ferma la terra nel suo ondeggiamento e non la lascia precipitare nel moto disordinato.
Non la posizione centrale, dunque, le dà la norma, ma il giudizio di Dio: non l'arte, ma la potenza è normativa, la giustizia è normativa.
Il tutto non supera il suo sapere come qualcosa di immisurabile, ma soggiace alla sua conoscenza come qualcosa di finito.
Quando leggiamo: Io ho raffermato le sue colonne ( Sal 75,4 ), non dobbiamo credere che essa posi veramente su delle colonne, ma su quella forza che porta e regge la sostanza della terra.
Quanto la consistenza della terra sia fondata nella potenza divina, lo puoi dedurre anche da ciò che sta scritto: Egli, che guarda la terra e la fa tremare ( Sal 104,32 ), e in un altro passo: Io scuoto di nuovo la terra ( Ag 2,7 ).
Non per il suo equilibrio, dunque, essa persevera immobile, perché spesso al cenno e al volere di Dio essa trema, come dice anche Giobbe: Dio la scuote dalle sue fondamenta e le sue colonne vacillano ( Gb 9,6 ), e in un altro passo: Il regno della morte è scoperto davanti a lui e la morte non ha velo.
Egli stende il settentrione sopra il nulla, tiene sospesa la terra nel vuoto, rinchiude l'acqua dentro le sue nubi …
Le colonne del cielo si scuotono e tremano alle sue minacce.
Con la sua potenza agita il mare e con la sua verga doma il mostro marino, ma le porte del cielo lo temono ( Gb 26,6-13 ).
Per la volontà di Dio dunque la terra è ferma per sempre e, secondo la parola dell'Ecclesiaste sta in eterno ( Qo 1,4 ), e per il volere di Dio si muove e vacilla.
Non perché è basata sulle sue fondamenta essa resta immobile, e non perché appoggia sulle sue colonne sta senza scuotersi, ma perché il Signore le dà consistenza e immobilità con la fermezza del suo volere.
Nelle sue mani, infatti, stanno tutti i confini della terra ( Sal 95,4 ).
Questa fede semplice vince tutti i cavilli … Io, che non riesco a comprendere l'abisso della sua maestà, e l'altezza della sua arte, non mi abbandono, con la scienza, all'equilibrio e alla massa, ma ritengo che tutto è basato sul volere di Dio, poiché la sua volontà è il fondamento dell'universo e per la sua opera questo mondo continua a sussistere.
Ambrogio, Esamerone, 1,22
Noi adoriamo Dio, che ha stabilito il principio e la fine dell'essere e del movimento a tutte le essenze da lui create.
Egli possiede, conosce e ordina la causa prima delle cose; ha dato la forza intima al seme; ha arricchito di anima razionale quegli animali che ha creduto bene arricchirne; ha elargito la capacità di parlare e l'uso della parola; concede il dono della profezia agli spiriti che egli sceglie, ed egli stesso profetizza per mezzo di chi vuole e dona la vittoria a chi vuole.
Alla guerra, se il genere umano necessita anche di questo mezzo di purificazione e perfezionamento, egli pone principio, prosecuzione e fine.
É lui che ha creato il fuoco, potente e caldo, di questo mondo e lo governa secondo la necessità che questa natura immensa ha di essere riscaldata; come pure ha creato e governa le acque; è lui che ha fatto il sole, la più splendente delle luci corporee, e gli ha dato energia e movimento.
Alla sua forza, al suo dominio non si sottrae neppure il mondo infernale.
É lui che concede agli esseri mortali i semi e gli alimenti, sia solidi che liquidi, secondo la differenza della loro natura, e li mantiene in vita.
É lui che ha fondato e reso fertile la terra e ne dona i frutti alle bestie e agli uomini; è lui che conosce tutte le cause, non solo le prime, ma anche le susseguenti.
É lui che ha segnato la strada alla luna, che garantisce tutti i movimenti astronomici nel cielo e in terra.
Allo spirito umano, da lui creato, egli ha donato la scienza e molte cognizioni, a sostegno della sua vita e a innalzamento della sua essenza.
Ha preordinato l'unione di uomo e donna, come il mezzo migliore per la propagazione della prole, e ha benedetto col dono del fuoco terreno l'uomo che vive in società.
Tutto ciò fa e cura l'unico vero Dio, riempiendo il cielo e la terra con la presenza del suo potere; e non certo perché egli avesse bisogno di queste essenze.
Egli regge tutto ciò che ha creato, lasciando però che le sue creature agiscano e svolgano il movimento che loro è proprio.
Molto fa anche per mezzo degli angeli, che però solo di se stesso beatifica; e così solo di se stesso e non per mezzo degli angeli egli beatifica gli uomini, quantunque spesso, in varie circostanze, invii loro i suoi angeli.
Da questo unico e vero Dio noi speriamo la vita eterna: da lui infatti, oltre ai benefici che elargisce ai buoni e ai cattivi nel governo del mondo, abbiamo avuto una grande prova d'amore - ma solo per i buoni -.
Se infatti non riusciremo mai a ringraziarlo sufficientemente perché esistiamo, perché guardiamo il cielo e la terra, perché abbiamo intelligenza e ragione con cui possiamo conoscere lui, creatore di tutto, quale cuore, quante lingua saranno mai sufficienti a ringraziarlo perché non ha abbandonato noi, oppressi dal peccato, sfuggiti alla sua luce, accecati e caduti dall'amore nelle tenebre, cioè nel male; anzi ha mandato a noi il suo Verbo, cioè il suo unico Figlio, che, presa carne per noi, è nato e ha sofferto, affinché noi conoscessimo quanto Dio stima l'uomo.
Per il suo unico sacrificio noi siamo stati purificati da tutti i peccati, ed egli ha potuto così, per mezzo del suo Spirito, infondere nei nostri cuori l'amore, tanto che noi, superata ogni difficoltà, possiamo raggiungere la pace eterna e la indicibile dolcezza della sua visione.
Agostino, La città di Dio, 7,30-31
Chi mai, nel vedere esseri di natura opposta unirsi e osservare fra di loro concordia e armonia, come il fuoco che si mescola col freddo e il secco con l'umido, e ciò senza contrastare l'uno con l'altro, ma per produrre un solo corpo, come se non vi fosse che un solo principio; chi mai non affermerebbe esservi al di fuori di essi qualcuno che riunisca insieme questi elementi?
Chi mai, vedendo l'inverno cedere il posto alla primavera, la primavera all'estate, l'estate all'autunno, pur essendo tali stagioni di natura opposta l'una rispetto all'altra: mentre una gela, l'altra cuoce; mentre una cresce, l'altra diminuisce, rendendo tuttavia ognuna di esse eguali servigi agli uomini; chi mai dunque, vedendo tutto ciò, non direbbe che vi sia qualcuno al di sopra di queste cose che, sebbene invisibile, le governi e le renda utili?
Nel vedere le nuvole portate nell'aria con l'acqua imprigionata dentro, chi non concepirebbe l'idea di colui che le ha così immaginate e ha loro ordinato d'esistere?
O ancora, vedendo la terra, naturalmente più pesante, poggiata tuttavia sulle acque e immobile sopra quest'elemento di natura mobile, chi non penserebbe esservi un Dio per crearla e disporla così?
Vedendo la terra recare frutti a suo tempo, la pioggia cadere dal cielo, i fiumi scorrere, le sorgenti zampillare, nascere gli animali di razze differenti, e tutto ciò non sempre, ma solo in epoche ben determinate; considerando, altresì, che questi elementi diversi e opposti sono sottoposti a un identico ordinamento; chi non penserebbe che vi debba essere un'unica e stabile potenza che ha tutto ordinato e diretto a suo piacimento?
Da soli, infatti, questi elementi non soltanto non potrebbero sussistere insieme, ma neppure apparire, a causa delle loro opposte nature.
L'acqua, infatti, è per natura pesante e scorre verso il basso, mentre le nuvole sono leggere e sottili e si portano in alto; ciò nondimeno vediamo che l'acqua, più pesante, viene trasportata dalle nuvole.
D'altronde, la terra è quanto vi sia di più pesante, mentre l'acqua, dal canto suo, è più leggera di essa; il più pesante, perciò, è sorretto dal più leggero, e la terra non si sfonda, ma resta immobile.
Il maschio non è la stessa cosa che la femmina: ciò nonostante essi si uniscono e tutt'e due danno la vita a un essere vivente che assomiglia a loro.
Il freddo è contrario al caldo e l'umido lotta contro il secco; quando essi si uniscono, tuttavia, non lottano fra di loro, ma il loro accordo, anzi, produce un solo corpo e dà vita a tutti gli esseri.
Questi esseri naturalmente opposti e in lotta fra loro non si sarebbero mai uniti, se non vi fosse un essere superiore a loro a legarli gli uni agli altri, un Signore al quale gli elementi stessi siano sottomessi e obbediscano, come schiavi sottoposti al loro padrone.
In effetti, essi non guardano alla loro propria natura individuale per lottare e darsi battaglia fra loro, ma conoscono il Signore che li ha riuniti e vivono in un accordo reciproco; per natura essi sono opposti, ma per la volontà di colui che li governa, essi stringono amicizia.
Infatti, se una tale unione non avvenisse dietro ordine di un essere superiore, come avrebbero potuto mescolarsi e riunirsi il pesante e il leggero, il secco e l'umido, il circolare e il rettilineo, il fuoco e il freddo, il mare e la terra, il sole e la luna, gli astri e il cielo, l'aria e le nuvole, dal momento che la natura di ciascuno di questi elementi è differente da quella dell'altro?
Dovrebbe regnare grande discordia fra di loro, poiché uno brucia, e l'altro raffredda, il pesante viene trascinato in basso e il leggero, invece, in alto, il sole illumina l'aria che è oscura.
Anche gli astri sarebbero in rivolta gli uni contro gli altri, poiché alcuni di essi hanno la loro posizione in alto, altri, invece, in basso; la notte non cederebbe il posto al giorno, ma conserverebbe il proprio posto lottando e disputando contro di esso.
In tali condizioni, non vi sarebbe più ordine né bellezza, ma solamente disordine; nessun ordine, ma confusione; nessuna armonia, ma una disarmonia universale; nessuna misura, ma dismisura ovunque.
Queste lotte e queste guerre reciproche finirebbero col distruggere l'universo, oppure sopravvivrebbe soltanto l'elemento più forte.
E anche ciò rivelerebbe un disordine universale.
Infatti, rimasto solo e privo del servizio degli altri, l'elemento più forte distruggerebbe l'armonia dell'universo, come se il piede restasse solo, oppure la mano, privando in tal modo il corpo della sua integrità.
Che cosa sarebbe il mondo, se solo il sole brillasse, se soltanto la luna compisse le sue rivoluzioni, se esistesse solo la notte o se facesse sempre giorno?
Quale armonia vi sarebbe se il cielo esistesse da solo senza gli astri, o gli astri senza il cielo?
Quale utilità, se il mare esistesse da solo, o se la terra fosse sola, senza le acque o senza le altre parti della creazione?
In che modo l'uomo, o un qualsiasi essere vivente, potrebbe apparire sulla terra, se gli elementi fossero così in lotta e uno soltanto di essi sopravvivesse, senza poter bastare a dar vita agli altri corpi?
Nessun essere, infatti, potrebbe essere costituito dal solo caldo o dal solo freddo, o unicamente dall'umido o dal secco; tutto sarebbe confusione e disordine.
Anche l'elemento apparentemente vincitore, d'altronde, non potrebbe sussistere senza l'aiuto degli altri: infatti, è in questo modo che adesso, di fatto, sussiste.
Atanasio, Contro i pagani, 36-37
Ciò che vi è di più nobile sulla terra è l'uomo, essere religiosissimo.
Nel cielo, invece, è l'angelo, partecipe più da presso e con maggior profondità della vita eterna e beata.
Ma perfettissima e santissima, di gran lunga superiore, sommamente dominatrice e regale e benefattrice è la natura del Figlio, la più vicina all'unico onnipotente.
Egli è l'essere più nobile, ordinatore di tutto secondo la volontà del Padre ed eccellente governatore dell'universo, compiendo instancabilmente, secondo segreti disegni, tutte quante le cose.
Il Figlio di Dio, infatti, mai si allontana dalla sua vetta, essendo indiviso e intatto senza passare da un luogo all'altro, sempre presente in ogni dove e non circoscritto in nessun luogo: tutto spirito, tutto luce paterna, tutto occhio, spettatore e ascoltatore e conoscitore d'ogni cosa, potente scrutatore delle potenze.
A lui, Verbo paterno e sostenitore della santa economia, sono sottomesse tutte le schiere degli angeli e degli dèi, grazie a colui che gliele ha sottoposte.
A lui appartengono perciò tutti gli uomini: alcuni per averlo conosciuto, altri non ancora; alcuni come amici, altri come servitori fedeli, altri, infine, semplicemente come servi.
Egli è il maestro che istruisce lo gnostico con i misteri, il fedele con la buona speranza, colui che è duro di cuore con la disciplina correttrice, attraverso una saggia pedagogia.
Così agisce la sua provvidenza in privato, pubblicamente e dappertutto.
Che egli sia il Figlio di Dio e che lui sia colui che noi diciamo Salvatore e Signore, l'attestano apertamente le divine profezie.
In questo modo colui che è Signore dei greci e dei barbari, persuade coloro che lo desiderano; infatti non costringe nessuno a ricevere la salvezza da lui nella elezione, né a compiere quanto è richiesto per ottenere la speranza.
Il Figlio di Dio è colui che dà la sapienza ai greci attraverso gli angeli inferiori.
Infatti, per antico ordine di Dio, sono angeli distribuiti per le genti ( Dt 32,8.9 ).
E che esistano dei prediletti del Signore è opinione dei credenti.
Infatti, o il Signore non si prende cura di tutti gli uomini perché non lo può ( il che è una bestemmia, in quanto significherebbe attribuire a Dio una dimostrazione di debolezza ) o perché non lo vuole, pur essendone in grado ( il che non rappresenterebbe certo una prova di bontà ); oppure egli si prende invece cura di tutti, come è logico, essendo Signore di tutti.
Infatti è il Salvatore: non soltanto di costoro, mentre degli altri no.
Secondo la natura di ciascuno, egli ha diviso il suo beneficio fra greci e barbari, fra fedeli ed eletti, predestinati tra costoro e chiamati a suo tempo.
Né potrebbe essere geloso di qualcuno, colui che ha chiamato ugualmente tutti; a coloro che credettero straordinariamente, attribuì onori straordinari.
Né potrebbe mai essere stato impedito, colui che è Signore di tutto e serve soprattutto la volontà del Padre buono e onnipotente.
Neppure mai si potrebbe trovare invidia nel Signore incorruttibile e generato senza inizio: d'altronde le cose umane stesse non sono certo tali da poter suscitare l'invidia del Signore.
Diverso è colui che è geloso di chi gli sta a cuore.
Non è lecito nemmeno affermare che il Signore non vuole dare la salvezza al genere umano per ignoranza, in quanto non conoscerebbe, cioè, il modo come prendersi cura di ciascuno.
L'ignoranza, infatti, non tocca il Dio, che prima della creazione del mondo, fu consigliere del Padre: questa era la sapienza della quale Dio onnipotente si dilettava ( Pr 8,30 ).
Il Figlio è infatti la potenza di Dio in quanto fu, prima della creazione di tutte le cose, il principale Logos del Padre e la sua sapienza.
Propriamente, egli potrebbe chiamarsi maestro di coloro che da lui sono stati plasmati.
Non è distratto da alcun piacere, mai si è distolto dalla cura degli uomini, lui che, avendo accolto la carne corruttibile, la perfezionò verso una condizione di incorruttibilità.
Come poi lo si potrebbe definire Salvatore e Signore, se non fosse Signore e Salvatore di tutti?
É Salvatore di coloro che credettero, avendo desiderato conoscerlo; ma è Signore anche di coloro che non hanno creduto fino a che, potendo farlo, ricevono da lui benefici appropriati.
Ogni opera del Signore ha relazione con l'onnipotente e il Figlio rappresenta, per così dire, un'opera paterna.
Perciò mai il Salvatore ha in odio gli uomini; anzi, per la sua immensa carità verso di loro, non disprezzò la debolezza della carne umana, ma, rivestitosi di essa, venne fra noi per la comune salvezza degli uomini: è questa, infatti, la fede comune di quanti lo hanno scelto.
Egli non trascura mai la sua opera: soltanto all'uomo, di tutti gli animali, è stata concessa la conoscenza al momento della creazione di Dio; né sarebbe stato possibile per gli uomini un trattamento migliore e più conveniente da parte di Dio.
É sempre conveniente che l'inferiore venga affidato a chi gli è superiore per natura e che la sua custodia sia concessa a chi è in grado di occuparsene convenientemente.
Ciò che veramente governa e presiede è il Logos divino e la sua provvidenza che tutto controlla, nulla trascurando di quanto la riguardi.
Coloro i quali si rivolgono a lui e hanno scelto di essergli uniti, sono iniziati per mezzo della fede.
Per volontà del Padre onnipotente, questo Figlio è stato costituito causa di tutti i beni, primo suscitatore del moto, potestà incomprensibile ai sensi.
Infatti, non apparve nella sua autentica realtà a coloro che non erano in grado di comprenderlo, a causa della debolezza della carne.
Avendo egli accolto la carne sensibile, venne sulla terra per mostrare che è possibile all'uomo obbedire ai comandamenti.
Essendo la potenza paterna, il Figlio di Dio facilmente supera tutto ciò che vuole, nulla trascurando di quanto concerne il suo governo.
Se ciò accadesse, infatti, non tutto sarebbe da lui compiuto in modo assolutamente corretto.
É una dimostrazione della sua grandissima potenza il fatto ch'egli governi con somma cura tutte le cose, dalle più piccole alle più grandi; egli è il supremo amministratore di tutte le cose e conferisce loro la salvezza, secondo la volontà del Padre, mentre gli altri sono sottoposti ad amministratori subalterni, fino a risalire al grande pontefice.
Infatti, da un solo principio iniziale, operante in conformità al volere del Padre, dipendono i principi primi, secondi e terzi.
All'estremo limite del mondo visibile hanno la loro sede gli angeli.
Poi discende fino a noi una successione di esseri gerarchicamente ordinati: tutti vengono salvati e salvano attraverso l'intervento e la mediazione di uno solo.
Clemente Alessandrino, Stromata, 7,2
Poiché non il disordine si vede nell'universo, ma l'ordine; non la dismisura e la disarmonia, ma l'insieme armonioso del cosmo, è necessario riflettere e farsi un'idea di questo Signore che ha riunito insieme tutti questi elementi, producendo fra loro l'armonia.
Sebbene egli sia invisibile agli occhi, è tuttavia possibile, partendo dall'ordine e dall'armonia degli elementi contrari, concepire il capo, l'ordinatore e il re di tutti gli esseri.
In una città, composta di numerosi abitanti differenti l'uno dall'altro, piccoli e grandi, ricchi e poveri, giovani e vecchi, uomini e donne; se noi osserviamo un'amministrazione ordinata e notiamo che gli abitanti, sebbene differenti, vivono fra loro in concordia: i ricchi non sono contro i poveri né i grandi contro i piccoli né i giovani contro i vecchi, ma tutti vivono pacificamente nell'uguaglianza dei diritti; se noi vediamo questo, comprenderemo necessariamente che la presenza d'un capo presiede all'armonia, anche se noi non vogliamo riconoscerlo.
Il disordine, infatti, è segno dell'assenza d'autorità, mentre l'ordine indica chiaramente che esiste un capo.
Non diversamente, vedendo in un corpo l'accordo dei membri fra loro: l'occhio che non è in guerra contro l'udito, la mano che non disputa con il piede, ma ciascun organo che assolve pacificamente le proprie funzioni; noi ne concludiamo esservi nel corpo un'anima che coordina le membra, lo vogliamo o no.
Allo stesso modo, l'ordine e l'armonia dell'universo fanno necessariamente concepire un Dio che presiede a tutte le cose, e un Dio unico, non molteplice.
Infatti, la disposizione stessa di quest'ordine e l'armoniosa concordia dell'universo mostrano l'esistenza del Logos che le comanda e le dirige; e non di molti Logos, ma di uno soltanto.
Infatti, se fossero in molti a presiedere alla creazione, un così bell'ordine non potrebbe conservarsi nell'universo; al contrario, tutto sarebbe in disordine, a causa di questa pluralità di capi, dal momento che ciascuno di essi tenderebbe ad accentrare tutte le cose sotto la sua autorità, lottando contro gli altri.
Come dicevamo che il politeismo sarebbe ateismo, egualmente è inevitabile che la molteplicità dei capi divenga anarchia.
Cercando ciascuno di abbattere l'autorità dell'altro, non sussisterebbe più alcun capo e sarebbe l'anarchia universale.
Là dove non c'è un unico capo regna il disordine assoluto.
Viceversa, l'ordine e la concordia presenti in una comunità cospicua ed eterogenea, rivelano l'esistenza di un unico capo.
Se qualcuno ascolta di lontano il suono d'una lira provvista di più corde diverse e ammira l'armonia della loro musica, sentendo che la corda grave non è la sola a produrre il suono, né si odono soltanto l'acuta o la media, ma tutte risuonano assieme secondo il medesimo accordo; egli comprenderà che non è la lira a muoversi da sola e che non vi sono molti musicisti a toccarla, bensì uno soltanto, sebbene invisibile, dotato di un'arte che adatta il suono di ciascuna corda all'armonia dell'insieme.
Similmente, dal momento che l'ordine del cosmo è perfettamente armonioso e gli esseri superiori non disputano con quelli inferiori, ma tutti insieme realizzano un ordine unico, si deve conseguentemente pensare che non vi sia che un solo capo e re di tutta la creazione, e non molti, a illuminare della sua luce e a muovere tutte le cose.
Non bisogna neppure immaginare parecchi autori e creatori del mondo, ma, secondo una giusta e verace pietà, conviene credere che il demiurgo di questa creazione sia uno solo; e questo la creazione stessa lo mostra chiaramente.
Una prova certa che il creatore dell'universo è unico risiede nel fatto che il mondo non è molteplice, ma uno solo.
Infatti, se vi fossero più dèi, bisognerebbe che i mondi fossero molteplici e diversi.
Non conveniva che vi fossero più dèi a organizzare il mondo né che questo mondo fosse l'opera di più dèi; infatti ne sarebbero conseguite delle assurdità.
Anzitutto, se questo mondo unico fosse stato creato da molti, ciò indicherebbe manifestamente la debolezza dei suoi autori: quest'opera unica, infatti, sarebbe stata compiuta da molti, ciò che attesterebbe l'incapacità di ciascuno di essi a portare a termine l'opera da solo.
Se uno solo fosse sufficiente, infatti, non vi sarebbe bisogno di parecchi altri onde supplire alle loro reciproche insufficienze.
Ora, affermare che in Dio esista una qualche insufficienza, non è soltanto un'empietà, ma è più grave di qualsiasi altro crimine.
In effetti, presso gli uomini, un artista non viene considerato perfetto, ma mediocre, se non è in grado di terminare da solo la propria opera, avendo bisogno dell'aiuto di parecchi altri.
Se ciascuno fosse capace di compiere da solo l'intera opera e tutti vi lavorassero insieme soltanto per partecipare all'opera comune, ciò sarebbe ridicolo in quanto significherebbe che gli dèi lavorano per conseguire gloria e per non essere sospettati d'impotenza; il che non può accadere, dal momento che è assurdo parlare di vanagloria nei confronti degli dèi.
E poi, se ciascuno di essi fosse davvero capace di creare da solo l'universo, a che servirebbe il lavoro di molti, visto che uno soltanto basterebbe a tutto?
D'altronde, sarebbe empio e assurdo ritenere che, mentre l'opera è stata una sola, gli operai siano stati molti e svariati: la ragione naturale, infatti, prova che l'uno e il perfetto sono superiori al molteplice.
Si deve sapere, altresì, che se il mondo fosse stato creato da molti, sarebbe dotato di movimenti diversi l'uno dall'altro; infatti, rivolgendosi verso ognuno dei suoi autori, compirebbe movimenti in direzioni diverse.
In una tale diversità, d'altronde, com'è stato già rilevato, si ritroverebbe il disordine e la confusione generale.
Infatti, una nave pilotata da molti non navigherà nella giusta direzione, qualora non vi sia un solo nocchiero a manovrare il timone; una lira toccata da molti non renderà un suono armonioso, se non c'è un unico artista a suonarla.
Non diversamente, perciò, essendo la creazione una, e il cosmo uno, e l'ordine che vi regna uno, si deve supporre non esservi che un solo Signore, che ne sia il re e il demiurgo.
É per la medesima ragione che il demiurgo stesso non ha creato che un mondo unico: perché l'insieme di tanti mondi, cioè, non facesse pensare ad altrettanti demiurghi; al contrario, l'unità dell'opera farà credere all'unicità dell'artefice.
Ciò nondimeno, il fatto che esista un solo demiurgo non significa necessariamente che debba darsi un unico cosmo; Dio, infatti, avrebbe potuto creare altri mondi.
Avendone creato uno soltanto, però, si deve credere che il suo creatore è unico.
Atanasio, Contro i pagani, 38-39
É lui, il Verbo santo del Padre, onnipotente e assolutamente perfetto, che si estende su tutte le cose e ovunque infonde la sua potenza, che illumina tutte le cose, visibili e invisibili, contenendole e riunendole in lui.
Egli non ne lascia alcuna al di fuori della sua potenza, ma vivifica e guarda tutte le cose, ciascuna isolatamente e tutto l'universo insieme.
Egli mescola i princìpi di tutta la sostanza sensibile, il caldo e il freddo, l'umido e il secco, per farne un solo essere; egli impedisce loro di contrastarsi reciprocamente, facendone un accordo armonioso.
Grazie a lui e alla sua presenza, il fuoco non lotta contro il freddo né l'umido contro il secco; al contrario, elementi di per se stessi opposti, si riuniscono come amici e fratelli, donano la vita agli esseri visibili e sono per tutti i corpi i princìpi dell'esistenza.
L'obbedienza a questo Dio Verbo dona la vita agli esseri terrestri e riunisce quelli che sono nei cieli.
Per lui il mare tutt'intero e il grande oceano contengono i loro movimenti nei limiti che sono stati ad essi assegnati e la terra intera, come si è detto, si ricopre d'una chioma verdeggiante di diverse piante di tutte le specie.
E per non attardarmi a nominare ciascuno degli esseri visibili, non c'è nulla di ciò che esiste e nasce che non nasca e non sussista in lui e per lui, come ha affermato il Teologo: In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio.
Tutto è stato fatto per lui e senza di lui niente è stato fatto ( Gv 1,1-3 ).
Come un musico che accorda la sua lira e avvicina abilmente i suoni gravi alle note acute e i medi alle altre, per eseguire una sola melodia, allo stesso modo la saggezza di Dio, tenendo l'universo come una lira, avvicina gli esseri che sono nell'aria a quelli che sono sulla terra e quelli che sono nei cieli a quelli che sono nell'acqua; adattando l'insieme alle parti e tutto guidando attraverso il suo comando e la sua volontà, egli produce nella bellezza e nell'armonia un mondo unico e un solo ordine del mondo; lui stesso resta immobile presso il Padre, muovendo tutte le cose per mezzo dell'ordine che viene da lui, secondo ciò che piace al Padre suo.
Ciò che è ammirevole della sua divinità è che, con un solo e medesimo comandamento, egli guida tutte le cose nello stesso tempo e non per intervalli, ma tutte insieme, quelle che vanno secondo un movimento rettilineo e quelle che si muovono in tondo, quelle in alto, quelle in mezzo, quelle in basso, le cose umide, le fredde, le calde, le visibili e le invisibili, egli le mette in ordine, ciascuna secondo la sua natura.
Nello stesso tempo e con il medesimo comandamento che da lui proviene, ciò che è diritto, si muove rettilineamente; ciò che è rotondo, si muove in circolo; ciò che costituisce una via di mezzo fra i primi due, si muove anch'esso secondo la propria natura; il caldo riscalda e il secco dissecca; tutti gli esseri, secondo la loro natura, da lui ricevono vita e sussistenza, mentr'egli realizza così un'armonia mirabile e veramente divina.
Per far comprendere con un esempio una realtà così grandiosa, rappresentiamo tutto ciò che abbiamo appena descritto con l'immagine d'un grande coro.
Esso è composto da differenti esecutori, uomini, bambini, donne e vecchi e giovani.
Al segnale d'un solo direttore, ciascuno di essi canta secondo la sua natura e le sue capacità: l'uomo con una voce d'uomo, il bambino da bambino, il vecchio da vecchio, il giovane da giovane; e tutti eseguono la medesima armonia.
O ancora, valga come esempio la nostra anima che, nello stesso tempo, muove tutti i nostri sensi secondo la virtù di ciascuno e, in presenza d'uno stesso oggetto, li muove tutti assieme: l'occhio per vedere, l'orecchio per ascoltare, la mano per toccare, l'odorato per sentire, il gusto per gustare e, sovente, anche gli altri membri del corpo, come i piedi ch'essa fa muovere per camminare.
O infine, per illustrare con un terzo esempio quanto abbiamo affermato, la realtà descritta rassomiglia alla vita di una città assai grande, amministrata personalmente dal capo o dal re che l'ha fondata.
Quando costui è presente e impartisce egli stesso le direttive, tenendo d'occhio ogni cosa, tutti obbediscono: gli uni se ne vanno ai campi, gli altri si affrettano per andare ad attingere l'acqua agli acquedotti; un altro se ne va a far la spesa, uno si mette in cammino verso il senato, un altro verso l'assemblea; il giudice va a giudicare, l'arconte a emanare leggi; l'artigiano si accinge al suo lavoro manuale, il marinaio va verso il mare, il carpentiere si dedica al suo mestiere, il medico va a curare i suoi malati, l'architetto si dirige verso le sue costruzioni.
Uno se ne va ai campi, un altro ne torna adesso; alcuni circolano all'interno della città, altri ne escono per poi ritornarvi.
Tutto ciò avviene e si svolge alla presenza d'un solo capo e sotto il suo governo.
Per mediocre che possa essere il paragone citato, si deve prenderlo in senso più largo e rendersi conto che le cose vanno allo stesso modo in tutta la creazione.
Dietro l'unico impulso e comandamento del Dio Verbo, tutte le cose sono messe in ordine, ciascuna opera ciò che le è proprio e, nello stesso tempo, realizzano tutte assieme un medesimo ordine.
Così, grazie alla potenza e alla volontà del Verbo divino, del Verbo del Padre, che comanda e dirige tutto, il cielo gira, gli astri si muovono, il sole brilla, la luna compie le sue evoluzioni, l'aria è illuminata dal sole, l'etere è riscaldato e i venti soffiano.
Le montagne si drizzano verso l'alto, il mare si gonfia e nutre gli esseri viventi che porta, la terra resta immobile e reca frutti, l'uomo nasce, vive e, quando sopravviene la sua ora, muore.
Tutti gli esseri, in una parola, sono dotati di vita e di movimento.
Il fuoco riscalda, l'acqua raffredda, le sorgenti zampillano, i fiumi scorrono, i tempi e le stagioni si susseguono, le piogge cadono, le nuvole si riempiono, si forma la grandine, la neve e il ghiaccio si irrigidiscono, gli uccelli volano, i serpenti strisciano, gli animali acquatici nuotano; si naviga sul mare, si semina la terra che porterà frutti a suo tempo; le piante crescono, alcune affatto giovani, altre in punto di morire; quando diventano adulte, cominciano ad appassire e infine muoiono; alcune spariscono, altre nascono e riappaiono di nuovo.
Tutte queste cose, e molte altre ancora ( tante ve ne sono che non possiamo descriverle tutte ), è il Verbo di Dio, autore di questi miracoli e di queste meraviglie, fonte di luce e di vita, a metterle in movimento e a ordinarle con la sua volontà, realizzando un unico cosmo.
Egli non lascia estranee alla sua opera le potenze invisibili: anche queste, essendo il loro Creatore, egli abbraccia con tutto l'universo, conservandole e donando loro la vita grazie alla sua volontà e alla sua provvidenza.
Come la sua provvidenza fa crescere i corpi, dà movimento all'anima razionale, provvedendola di movimento e di vita ( e tutto ciò non ha bisogno di grandi dimostrazioni, dal momento che vediamo noi stessi questi fenomeni ), non diversamente è ancora una volta lui, il Verbo di Dio, che con un solo e semplice movimento della sua potenza, dà impulso al mondo visibile e alle forze invisibili, conservandole e distribuendo loro il potere che è proprio a ciascuna di esse in maniera che gli esseri divini operino più divinamente e la realtà visibile si realizzi nel modo che noi stessi constatiamo.
É lui che, in tutte le cose, essendo il capo e il re e la sintesi di tutti gli esseri, tutto opera per la gloria e la conoscenza del Padre, ammaestrandoci attraverso le sue opere e dicendoci: La grandezza e la bellezza delle creature fanno conoscere per analogia il loro Creatore ( Sap 13,5 ).
Atanasio, Contro i pagani, 42-44
Ma forse la prova maggiore che Dio trascura tutto in questo mondo e riserva tutto al giudizio futuro è, secondo te, il fatto che i buoni soffrono sempre tutti i mali e i cattivi li commettono.
Non sembra un'asserzione del tutto contraria alla fede, tanto più che si ammette il futuro giudizio di Dio.
Anche noi affermiamo che il genere umano sarà allora giudicato da Cristo, nella convinzione tuttavia che anche ora Dio regge e dispensa tutto come gli pare conveniente; e asseriamo che egli giudicherà nel giudizio futuro, insegnando tuttavia che anche in questo mondo pur sempre egli giudica.
Se Dio infatti sempre governa, sempre giudica, perché lo stesso governare è giudicare.
Come vuoi che proviamo questa nostra asserzione?
Con la ragione, con gli esempi o con le testimonianze?
Se vuoi che lo proviamo con la ragione: chi è tanto privo di intelligenza umana e tanto lontano dalla verità stessa di cui parliamo, da non vedere e ammettere che la splendida realtà del mondo e l'ineffabile magnificenza degli esseri superni e immortali viene retta da colui da cui è stata creata, e così chi ha fatto gli elementi, lo stesso anche li governa?
Egli che tutto ha strutturato con potenza e maestà, tutto dirige con provvidenza e intelligenza; tanto più che anche nell'ambito delle realtà umane nulla sussiste senza guida intelligente, e che come il corpo riceve la vita dell'anima, così queste realtà possono continuare a sussistere per la guida previdente che le governa; e perciò in questo mondo non solo gli imperi e le province, la vita civile e quella politica, ma anche gli uffici minori e le case private, i greggi e perfino i piccoli animali domestici vengono retti dal consiglio e dalla disposizione umana, quasi fosse una mano che regge il timone.
E tutto ciò, senza dubbio, non avviene senza la volontà e la decisione del sommo Iddio: cioè perché, secondo il suo esempio, la stirpe umana governi le cose particolari e quasi le membra, mentre egli governa il complesso di tutto il corpo delle realtà terrene.
Ma tu obietti che tutto ciò altro non è che la disposizione e l'ordine impresso da Dio nel creato al principio; disposto poi e strutturato l'universo, egli depose e allontanò da sé ogni cura delle realtà terrestri; forse per sfuggire la fatica se ne tiene lontano, per evitare ogni molestia e preoccupazione, oppure perché occupato in altri affari ha abbandonato a se stessa una parte della realtà, quasi egli fosse incapace di governarla tutta!
Secondo la tua idea, dunque, Dio non si prende nessuna cura dei mortali.
Ma che senso ha allora per noi il culto di Dio?
Per quale motivo adoriamo Cristo e speriamo di rendercelo propizio?
Se Dio non si dà cura del genere umano in questo mondo, perché innalziamo ogni giorno le mani al cielo, perché con frequenti preghiere invochiamo la misericordia di Dio, perché ci affolliamo nelle chiese e supplichiamo dinanzi agli altari?
Non vi è nessuna ragione di pregare, se si toglie la speranza di ottenere.
Vedi dunque quanto è stolto e vano asserire tali idee: chi le accoglie non salva proprio nulla del culto divino.
Ma tu forse ricorri all'argomento che noi prestiamo culto a Dio per paura del giudizio e che ogni nostra osservanza dei doveri religiosi tende a farci ottenere misericordia nel giorno del giudizio futuro.
Ma allora che vuole l'apostolo Paolo quando ci comanda e ci impone di offrire ogni giorno al nostro Dio, nella Chiesa, orazioni, suppliche, preghiere e ringraziamenti ( 1 Tm 3,1 )?
Tutto ciò, a che scopo? Quale, se non quello da lui stesso proposto: Perché ci sia concesso di trascorrere una vita quieta e tranquilla, in tutta castità?
Per le realtà presenti, come si vede chiaramente, egli ci comanda di pregare, di supplicare Dio: e non ce lo comanderebbe, se non avesse per certo che possiamo essere esauditi.
Come può dunque credere qualcuno che le orecchie di Dio siano aperte per le preghiere intese a ottenere i beni della vita futura, e siano chiuse e sorde a quelle intese ai beni presenti?
E come possiamo noi, pregando nella Chiesa, supplicare Iddio per la nostra salute quaggiù, se riteniamo che egli non ci ascolti affatto?
Nessun voto dobbiamo perciò fare per la nostra salvezza e incolumità.
Anzi, perché la modestia della richiesta ottenga il favore a chi supplica, dovremmo forse dire così: « Signore, non chiediamo la prosperità di questa vita, né ti supplichiamo per i beni presenti; sappiamo infatti che le tue orecchie sono chiuse a questa preghiera e che tu non ascolti simili richieste; noi ti preghiamo solo per ciò che ci avverrà dopo la morte ».
É possibile che una tale preghiera non sia priva di utilità, ma è certo priva di ragionevolezza.
Se infatti Dio non si dà nessuna cura per ciò che riguarda questo mondo e chiude le orecchie alle preghiere di chi lo supplica, senza dubbio egli, che non ci ascolta per i beni presenti, non ci ascolterà neppure per quelli futuri: a meno che noi non crediamo che Cristo offra e rifiuti ascolto secondo la qualità delle preghiere: che chiuda cioè le orecchie quando lo preghiamo per il presente, e le apra quando lo preghiamo per il futuro.
Ma basta parlare di questi argomenti.
Sono tanto stolti, infatti, e frivoli, da temere che il discorso, inteso alla gloria di Dio, non si tramuti in ingiuria contro Dio: tanto grande, tanto sacra e tremenda è la divina maestà, che non solo dobbiamo aborrire ciò che essi dicono contro la religione, ma dobbiamo anche proporre con grande timore e correttezza ciò che noi asseriamo in favore della religione.
Così, è stolta ed empia l'opinione che la divina pietà disprezzi le realtà umane e non se ne prenda cura.
Essa non le disprezza. Se non le disprezza, poi, le governa.
Ma se le governa, anche le giudica: non si può infatti governare se colui che regge non è anche giudice.
Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 1,4-5
Considera la dilettevole e proficua successione delle stagioni.
Il Creatore, infatti, non ha diviso in sole due parti il cerchio dell'anno, né elargì unicamente l'estate e l'inverno, come, d'altronde, neppure passiamo da un estremo all'altro senza che vi sia una via di mezzo; la primavera e l'autunno, infatti, avendo una temperatura media, sono appunto intermedi fra il freddo e il caldo.
L'estate quindi, estremamente secca e calda, non viene subito dopo l'inverno, estremamente umido e freddo; ma la stagione primaverile, partecipando del freddo dell'inverno e del caldo della primavera, costituisce un'ottima via di mezzo fra questi due eccessi e, come afferrata dalle mani di due esseri opposti, conduce in accordo e amicizia, per mezzo del freddo invernale e del calore estivo, i due rivali.
Il passaggio dall'inverno all'estate, perciò, avviene senza alcuna molestia.
Mentre, infatti, abbandoniamo pian piano il freddo dell'uno per avvicinarci al caldo dell'altra, non siamo costretti a subire alcun danno dal repentino ed eccessivo mutamento.
Similmente passiamo anche dall'estate all'inverno, mentre nel mezzo si interpone l'autunno.
Questo, infatti, non consente che ci avviciniamo immediatamente da un estremo all'altro, ma, temperando gli eccessi del freddo e del calore e rappresentando, per ciò stesso, un'altra via di mezzo, ci conduce gradatamente verso l'altro estremo.
Il sommo Creatore ha usato una premura così grande nei nostri confronti che, attraverso il susseguirsi delle stagioni, non soltanto ci libera dalla molestia, ma anche ci rallegra con qualcosa di piacevole.
Ma forse si leverà qualche ingrato che, volendo contestare anche ciò che è ben fatto e sapientemente diretto, dirà: « Perché mai avvengono questi mutamenti? Quale utilità deriva a noi da questa successione di stagioni? … ».
Quando comincia l'inverno, seminiamo; questa stagione, che ci ha appunto insegnato l'arte della seminagione, nutre i semi facendo piovere dalle nubi; sollevando rapidamente l'acqua del mare e mutando quella salata in dolce, la divide in gocce e, come filtrando con un setaccio gli scarichi delle nubi, la riversa sulla terra in quantità più o meno rilevanti.
La stagione invernale è stata creata per nutrire te, nonostante la tua somma ingratitudine; per fornire a te, critico ingiusto, il vitto necessario.
Quando poi comincia la primavera, alcuni agricoltori si accingono a potare le viti, altri ne piantano di nuove: i tralci, dal canto loro, rilassati dal calore dell'atmosfera, fanno spuntare le gemme.
Quando poi fiorisce l'estate e i raggi solari incendiano l'aria con un calore ancor più veemente, il frumento chiama il contadino alla messe, le uve si anneriscono, gli ulivi si gonfiano di grossi frutti e maturano le specie dei pomi.
L'autunno, che segue immediatamente, porta questi, per il bene dei contadini, a perfetta maturazione; costoro, d'altronde, non appena hanno raccolto tutti i frutti, si accingono nuovamente a seminare.
Smetti perciò di essere ingrato; smetti di criticare la provvidenza per i suoi doni; cessa, ti dico di ritorcere tanti beni contro l'elargitore di tali doni.
Anzi, in tutte le cose che sono state dette finora, impara a riconoscere la provvidenza di Dio che ti regge e governa e allestisce per te generosamente la moltitudine di tutti i beni.
Teodoreto di Ciro, La provvidenza divina, 1
Il problema se i lineamenti dei corpi vengano formati a uno a uno da Dio creatore, non ti agiterà più se, per quanto può la mente umana, riuscirai a comprendere la potenza della divina opera creatrice.
Come possiamo infatti negare che anche ora Dio operi in tutto ciò che viene creato, dato che il Signore dice: Il Padre mio fino ad ora opera ( Gv 5,17 )?
Perciò il riposo dal settimo giorno lo si deve intendere nel senso che Dio cessò di creare le diverse specie della natura, non cessando tuttavia di governare quelle già create.
Dato dunque che tutta la natura viene governata dal Creatore e tutte le cose nascono in ordine, a luogo e tempo debito, Dio opera fino ad ora.
Infatti se Dio ora non formasse queste cose, come si leggerebbe nella Scrittura: Prima di formarti nell'utero, ti ho conosciuto ( Ger 1,5 )?
E come si dovrebbe intendere il passo: E se il fieno del campo, che oggi è, e domani viene gettato nel forno, Dio riveste così … ( Mt 6,30 )?
Crederemo forse che il fieno viene da Dio vestito, e i corpi non vengono da Dio formati?
E dicendo « veste », parla evidentemente non di una preordinazione passata, ma di una operazione presente.
A ciò allude anche il passo paolino sulle semenze, già ricordato: Tu non semini il corpo che sarà, ma un grano nudo, come, puoi pensare, di frumento o di qualsiasi altra pianta; ma Dio gli dà il corpo, come vuole ( 1 Cor 15,37-38 ).
Non dice « gli ha dato », né « gli ha predisposto », ma dice « gli dà », perché tu comprenda che il Creatore applica l'efficacia della sua sapienza alla creazione delle cose che nascono ogni giorno a loro tempo; e di quella Sapienza sta scritto: Si estende da un confine all'altro con forza e dispone - non dice « dispose » - ma dispone tutto con soavità ( Sap 8,1 ).
É una grande cosa sapere, anche solo un pochino, come tutte le realtà mutevoli e temporali vengano create non già mediante azioni mutevoli e temporali del Creatore, ma dalla sua eterna e stabile potenza.
Agostino, Le Lettere, III, 205,17 ( a Consenzio )
Dio è stato ed è.
É stato senza inizio nella sua magnificenza, ed è eternamente instancabile nella sollecitudine per le sue creature.
Verità egli è stato, e lo è.
É stato pienamente immutabile, ed è il sostentatore del creato.
Sapienza priva di errore e ricca di utilità egli è stato, e nella sua infinità è la luce delle creature.
Regola di una saggezza irraggiungibile è stato egli, e lo è, nella sua sollecitudine inesprimibile per le sue creature.
Lo è stato con ammonimenti vivifici, saggi, utilissimi per aderire con salda fede alla sua essenza, e lo è con la grazia, eternamente salvifica, che egli continuamente dispensa agli uomini, perché a lui si appressino e con lui si uniscano in amore vivo.
Forza onnipotente egli è stato, ed è, nella sua natura, perciò egli rafforza i deboli nella lotta spirituale.
Grazia misericordiosa e amante è stato, ed è, nel suo ardore per il bene, perciò egli è sollecito dei giusti e li protegge, mentre conduce i peccatori a penitenza.
Luce e magnifica santità egli è stato, ed è; perciò contrassegna, onora e rinnova le creature con grazie molteplici e col battesimo illuminante.
Sollecitudine misericordiosa egli è stato, e lo è, con la sua indicibile bontà nella sua cura per le creature visibili e invisibili, affinché giungano al porto del bene, ottengano le promesse e attuino la loro vocazione al cielo, che è traboccante di viva beatitudine nella vita.
Grazia di misericordia egli è stato, e lo è, nella sua indescrivibile bontà e nei suoi ricchissimi doni, perciò egli mostra e dà all'amore umano i suoi frutti, chiamando alla grazia dell'adozione.
Longanime e comprensivo egli è stato, e lo è, con la sua mitezza e la sua volontà misericordiosa, dato che non si mostra troppo oculato verso il male e non tutto punisce quaggiù, affinché i peccatori abbandonino i loro peccati e tornino a vivere.
La bontà della Trinità santissima egli è stato nella sua sollecitudine per le sue creature, e lo è in pienezza assoluta, che mai non diminuisce, che mai può essere misurata o limitata, né da ciò che è visibile, né da ciò che è invisibile, di fronte alla preghiera e alla supplica conforme a un contegno saggio.
Mesrop armeno, Quinto discorso
Dio procura sempre di rimediare gli errori con un nuovo riordinamento.
Egli ha certamente predisposto per il meglio e nella maniera più stabile tutte le cose al tempo della creazione del mondo; nondimeno egli ha avuto bisogno di applicare un trattamento terapeutico alle vittime del peccato e al mondo intero, sporcato in qualche maniera da esso.
Certamente Dio non ha mai omesso né mai tralascerà di compiere in ogni momento ciò che conviene ch'egli faccia, in questo mondo variabile e cangiante.
Come il contadino nelle diverse stagioni dell'anno compie i differenti lavori dei campi che la terra e i suoi prodotti richiedono, non diversamente Dio amministra l'insieme dei secoli come se essi non costituissero, per così dire, che qualche anno.
Egli opera in ciascuno di essi ciò che sarebbe giusto realizzare per il loro insieme e che soltanto Dio, possedendo la verità, è in grado di individuare e di compiere opportunamente.
Origene, Contro Celso, 4,69
Darai la salvezza agli uomini e agli animali, Signore, e così si moltiplica la tua misericordia, Dio ( Sal 36,7-8 ).
Queste sono le parole del salmo ispirato: comprendete come di tale luce ci parla l'antico sermone degli uomini santi di Dio: « Darai la salvezza agli uomini e agli animali, Signore; e così si moltiplica la tua misericordia, Dio ».
Poiché sei Dio e la tua misericordia è molteplice, tale tua misericordia si estende non solo agli uomini che hai creato a immagine tua, ma anche agli animali, che facesti soggetti agli uomini.
Colui che salva l'uomo, salva anche l'animale.
Non arrossire se senti dire tali cose del Signore Dio tuo: siine certo, anzi, abbi fiducia, e guardati dal pensare in altro modo.
Chi dà la salute a te, la dà anche al tuo cavallo, alla tua pecora e, per arrivare agli animali più piccoli, anche alla tua gallina.
Dal Signore è la salvezza ( Sal 3,9 ), e Dio salva tutte queste cose.
Ciò ti stupisce, avanzi dubbi: io invece mi stupisco dei tuoi dubbi.
Non dovrebbe degnarsi di salvare colui che si è degnato di creare?
Dal Signore viene la salvezza per gli angeli, gli uomini, gli animali: dal Signore viene la salvezza.
Come nessuno deriva da se stesso, così nessuno ha salvezza da se medesimo.
É quindi con profonda verità e con grande esattezza che il salmo dice: « Darai la salvezza agli uomini e agli animali, Signore; e così si moltiplica la tua misericordia, Dio ».
Tu, infatti, sei Dio: tu creasti, ora dai la salute: tu desti l'essere, ora dai di che essere sani.
Se dunque così si è moltiplicata la misericordia di Dio, tanto che da lui hanno la salvezza gli uomini come gli animali, forse gli uomini non hanno qualcosa di particolare che loro dà Dio creatore, e che non dà agli animali?
Nessuna differenza vi è tra l'animale fatto a immagine di Dio e l'animale soggetto a colui che è immagine di Dio?
Certo che vi è! Al di là di questa salute che abbiamo in comune con gli animali c'è qualcosa che Dio dà a noi e che non dà agli animali.
Cos'è? Lo dice lo stesso salmo: I figli degli uomini spereranno protezione sotto le tue ali ( Sal 36,8 ).
Pur avendo già, in comune con gli animali, la salute con gli animali, « gli uomini spereranno protezione sotto le tue ali ».
Quella salute l'hanno nella realtà, questa nella speranza.
Quella che è nel presente, è comune agli uomini come agli animali, ma un'altra salvezza è quella in cui sperano gli uomini: e coloro che in essa sperano la ricevono, mentre non la ricevono coloro che non vi sperano.
« I figli degli uomini » dice infatti il salmo « spereranno protezione sotto le tue ali ».
Coloro che persevereranno nella speranza, otterranno da te protezione, non saranno dal diavolo respinti lontano dalla speranza: « spereranno sotto le tue ali ».
Ma in cosa spereranno, se non in ciò che non hanno gli animali?
Si inebrieranno nell'abbondanza della tua casa e tu darai loro da bere al fiume delle tue delizie ( Sal 36,9 )
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 34,3-4
Dio ha creato le nature ragionevoli, non solo quelle che sarebbero rimaste nella virtù e nella giustizia, ma anche quelle che avrebbero peccato; e le ha create non perché peccassero, ma perché fossero l'ornamento dell'universo, sia che peccassero, sia che non volessero peccare.
Se infatti alla realtà universale mancassero gli spiriti - spiriti che raggiungono il fastigio stesso del creato, tanto che l'universo verrebbe meno se essi volessero peccare - certo al creato mancherebbe qualcosa di veramente grande: mancherebbe ciò, la cui privazione turberebbe la stabilità e la connessione universale.
Stiamo parlando delle creature celesti e delle potestà supercelesti, ottime sante e sublimi, a cui solo Dio comanda e cui tutto l'universo è soggetto.
Senza il loro ministero, giusto e perfetto, l'universo stesso non potrebbe sussistere.
Allo stesso modo se mancassero quegli spiriti che pur peccando nulla tolgono all'ordine universale, tuttavia molto al creato mancherebbe: si tratta delle anime razionali, inferiori certo per i loro compiti agli spiriti celesti, ma pari a loro nella natura: in molte cose sono a quelli inferiori, tuttavia costituiscono un gradino ragguardevole nell'ordine universale voluto dal sommo Iddio.
Alla natura angelica sono attribuiti uffici sublimi, tanto che non solo se non esistesse, ma anche se peccasse, l'ordine universale ne soffrirebbe.
Alla natura umana sono stati assegnati uffici minori: solo se non esistesse, non invece per il suo peccato, mancherebbe qualcosa all'universo.
Alla prima è stata data la potenza di abbracciare tutto nel proprio ministero, che perciò non può mancare all'ordine universale - essa poi non permane nella sua buona volontà per aver ricevuto questo ufficio, ma lo ha ricevuto perché colui che glielo ha dato aveva previsto che sarebbe rimasta fedele -.
Inoltre abbraccia tutto nel suo ministero, ma non per la sua maestà, bensì unendosi alla maestà di colui dal quale, per mezzo del quale e nel quale tutto è stato fatto e obbedendo con somma devozione ai suoi comandi.
Anche all'altra natura sarebbe stato concesso, se non avesse peccato, il grande ufficio di tutto abbracciare nel suo ministero: non però come ufficio suo proprio, tuttavia, ma in unione all'altra natura superiore: e ciò perché era previsto che avrebbe peccato.
Agostino, Il libero arbitrio, 3,32-33
Il Creatore ha ordinato anche l'impegno di curare le sue creature, sia le visibili che le invisibili.
Al di sopra di tutte quelle visibili egli ha posto l'uomo, padrone e dominatore delle realtà terrene, artista e costruttore, con la sua intelligenza.
Dio ha creato dal nulla tutte le cose e su di esse ha posto e innalzato l'uomo quale re, perché così egli, il Creatore, fosse riconosciuto e per sempre glorificato, perché l'uomo, cioè, conoscesse la sua gloria, avendolo egli innalzato dalla bassezza a un onore che supera quello di tutte le altre creature.
Con il suo ingegno costruttore, che ha ricevuto dal Creatore, l'uomo sa usare di tutti gli esseri, animati e inanimati, e così tutto ciò che egli, con pieno dominio, adopera per le sue necessità o per le sue costruzioni, per ornamento o anche per sfoggio, rivela in tutto l'opera della sua saggezza.
Ma nel possesso di questo suo dominio regale, egli deve sempre glorificare il suo benefattore; infatti, gli uomini sono giunti allo stesso onore degli spiriti incorporei e immortali: Dio li ha resi saggiatori e panegiristi della sua creazione, che per sempre lo devono lodare con l'osservanza della legge, affinché, per mezzo della loro libera volontà, sempre e con fermezza credano nella verità e pongano sempre la dovuta distinzione fra il Creatore e le creature, fra il sostentatore e gli esseri sostentati, tra l'elargitore di vita e tutti i viventi, perché egli sazia i bisogni di tutto il creato.
Ed è ben conveniente pregarlo in ogni tempo, ottenere con suppliche la custodia delle essenze spirituali e corporee, rendersi collaboratori della sua benefica volontà e restar puri dal peccato, davanti alla benefica bontà di Dio.
Secondo questo modello, dobbiamo passare dalla corruzione al bene, dal disprezzo alla gloria, dalla schiavitù alla libertà dei figli di Dio, crescendo nella vera fede nel Padre, nel Figlio e nello Spirito Santo, per diventare eredi del regno celeste e dell'eterna beatitudine.
É lui infatti il Creatore di tutto, che degli spiriti ha fatto suoi servi, e delle schiere celesti, fiamme di fuoco.
E l'uomo, formato dalla terra, egli lo sostiene in vita, elargendogliene i mezzi.
Coloro poi che hanno ricevuto l'annuncio degli angeli, vengono dagli angeli educati alla vita spirituale, secondo la provvidenza di Dio, che al bisogno ha elargito la legge.
Mesrop armeno, Secondo discorso
Una virtù che non sia sperimentata né provata non è più una virtù.
Valga come esempio Giuseppe: si sopprima la malizia dei suoi fratelli, la loro gelosia, tutto il piano fratricida da essi predisposto ai danni del loro fratello fino a venderlo.
Una volta soppresso tutto ciò, si vedrà anche quanti doni di Dio verranno a mancare.
Si dovranno togliere nello stesso tempo, infatti, tutte le azioni compiute da Giuseppe in Egitto per la salvezza universale.
Il sogno del faraone non sarebbe stato interpretato, se, per la gelosia dei suoi fratelli, Giuseppe non fosse stato venduto e non fosse venuto in Egitto; nessuno avrebbe compreso quanto Dio aveva rivelato al re, non si sarebbe ammassato grano in Egitto né rimediato alla carestia con una saggia previdenza.
L'Egitto sarebbe morto; ma anche i paesi limitrofi sarebbero morti di fame, e con essi Israele; la sua discendenza non sarebbe entrata in Egitto in cerca di pane e i figli d'Israele non ne sarebbero usciti grazie ai miracoli del Signore.
Niente più piaghe d'Egitto, non più prodigi di Dio compiuti per mezzo di Mosè e di Aronne.
Non si sarebbe affatto passato il Mar Rosso a piede asciutto.
La vita mortale non avrebbe conosciuto l'alimento della manna.
I torrenti d'acqua non sarebbero zampillati dalla pietra che seguiva il popolo.
La Legge non sarebbe stata data da Dio agli uomini.
Tutto il contenuto dell'Esodo, del Levitico, dei Numeri stessi e del Deuteronomio non sarebbe venuto a conoscenza degli uomini.
Nessuno sarebbe entrato nell'eredità paterna e nella Terra Promessa.
Prendendo come esempio il passo che abbiamo in mano, si sopprima la malizia di questo cattivo re Balac e il suo desiderio di maledire Israele, si sopprima il fatto ch'egli faceva invitare Balaam ad annientare il popolo; si dovranno altresì sopprimere, nello stesso tempo, i doni di Dio in favore d'Israele e i benefici della sua provvidenza; non più quelle profezie che, attraverso la bocca di Balaam, s'indirizzano alla fede per i figli d'Israele e i pagani.
Si vogliono anche testimonianze del Nuovo Testamento a sostegno di ciò?
Se si sopprime la malizia di Giuda, se si elimina il suo tradimento, si dovrà togliere di mezzo, nello stesso tempo, la croce del Cristo e la sua passione; e se non c'è più croce, i principati e le potenze non sono più spogliati e vinti dal legno della croce ( Col 2,15 ).
Se la morte del Cristo non avesse avuto luogo, neppure la sua risurrezione vi sarebbe stata; egli non si sarebbe destato come un primogenito fra i morti ( Col 1,18 ).
Senza questo primogenito fra i morti, d'altronde, non avremmo la speranza della risurrezione.
Parimenti, supponiamo che il diavolo stesso fosse stato privato, in qualche maniera, della possibilità di peccare e che, dopo il peccato, la volontà di fare il male gli fosse stata tolta; per il fatto stesso che noi avremmo così perduto l'occasione di lottare contro i suoi assalti, non vi sarebbe più da aspettare la corona della vittoria per colui che ha lottato secondo le regole ( 2 Tm 2,5 ).
Se noi non avessimo avversari, non vi sarebbe combattimento né ricompensa destinata ai vincitori, e il regno dei cieli non verrebbe loro offerto; questo leggero fardello della nostra presente tribolazione non produrrebbe ad usura il suo peso di gloria nell'avvenire ( 2 Cor 4,17 ); nessuno fra noi spererebbe, per la sua pazienza nelle tribolazioni sopportate, la gloria immensa della vita futura.
Concludiamo che Dio non si serve solamente del bene per fare opere buone, ma anche del male.
Cosa ammirevole: Dio si serve dei vasi cattivi per compiere le opere buone!
Nella grande dimora di questo mondo, non vi sono solo vasi d'oro e d'argento, ve ne sono anche di legno e d'argilla: gli uni vasi d'onore, gli altri vasi d'obbrobrio ( 2 Tm 2,20 ), ma ugualmente necessari gli uni e gli altri.
In realtà, poiché i vasi di cui parliamo sono ragionevoli e dotati di libero arbitrio, non è per caso, non è per combinazione che si diviene vasi d'onore o vasi d'obbrobrio.
Colui che s'è mostrato degno d'elezione, diviene un vaso d'elezione, un vaso d'onore ( At 9,15 ); al contrario, colui che visse con pensieri indegni e cattivi, prende la forma d'un vaso spregevole sotto l'effetto di cause che non provengono dal suo Creatore, ma da lui medesimo.
Non è il Creatore ad aver fatto di questi uomini ciò che essi sono divenuti, ma egli dispensa le loro intelligenze dopo la scelta della loro volontà, per una legge giusta e ineffabile della sua provvidenza.
Prendiamo un paragone. Nelle grandi città, gli uomini che conducono una vita oscura e cattiva, sono condannati ai lavori più umili e più penosi; nondimeno lavori di questo genere sono necessari alla città.
Per esempio, essi lavorano come fuochisti alle terme per permetterti di godere dei benefici e dei piaceri offerti da questi stabilimenti.
O ancora, essi puliscono le fogne, si dedicano ad altri lavori del genere perché tu conduca in questa città una vita gradevole.
E, che essi lavorino per una scelta volontaria o subiscano un castigo meritato, il loro lavoro non giova meno a coloro per il bene dei quali si compiono le opere buone e utili.
Parimenti, per quanto concerne il nostro discorso: Dio non ha creato la malizia, ma quando essa fu prodotta da una scelta volontaria di coloro i quali hanno sconfinato dalla retta via, egli non ha voluto sopprimerla perché prevedeva che da questa malizia, inutile ai cattivi, egli avrebbe tratto profitto in favore delle loro vittime.
Origene, Omelie sul libro dei Numeri, 14,2
Tra gli esseri inferiori e mortali, l'anima - da dopo il peccato - regge il suo corpo non come vuole, a proprio arbitrio, ma come le permettono le leggi dell'universo.
Tuttavia essa non è inferiore ai corpi celesti, ai quali sono sottomessi i corpi terreni.
Gli stracci con cui è rivestito lo schiavo ribelle sono ben peggiori della veste che porta lo schiavo meritevole e ben voluto dal suo padrone: tuttavia ogni schiavo vale più di ogni veste preziosa, perché è uomo.
La natura angelica è unita a Dio e, reggendo i corpi celesti con potere superiore, orna e governa anche i corpi celesti, come comanda colui il cui pensiero essa conosce in modo ineffabile.
La natura umana, invece, appesantita da membra mortali, a stento può governare dall'interno lo stesso corpo che la preme, e lo orna quanto può: agisce poi sui corpi, che le giacciono intorno, dall'esterno, con un'azione molto più debole, come le è dato.
Ne consegue che non sarebbe mancato un degnissimo ornamento alle infime creature corporee, anche se la natura umana non avesse voluto peccare.
Chi infatti può reggere il tutto, regge anche la parte: chi poi può il meno, non può con ciò stesso il più.
Il medico esperto sa curare efficacemente anche la scabbia, ma colui che ha curato una volta uno scabbioso, non può con ciò stesso curare la natura umana in tutte le sue malattie.
E se si ammette, come motivo certo e manifesto, che di necessità debba esistere una creatura che mai abbia peccato e mai peccherà, bisogna anche ammettere con certezza che essa rinuncia al peccato per sua libera volontà, che si astiene dal male non obbligata, ma spontaneamente.
Tuttavia, anche se peccasse ( per quanto non abbia peccato, e non peccherà, come Dio conosce nella sua prescienza ), tuttavia, ripeto, anche se peccasse, la potenza ineffabile della divina potestà basterebbe a reggere l'universo in modo che, rendendo a ciascuno ciò che merita e gli spetta, non permetterebbe nulla di indecoroso e turpe in tutto il suo regno.
Infatti, se tutta la natura angelica peccasse e venisse meno ai suoi comandi, anche senza creare nessun'altra potestà a ciò ordinata, con la sua sola maestà, Dio potrebbe reggere tutto in modo mirabile e sommamente decoroso; né perciò sarebbe invidioso della creatura spirituale, egli che governa con tanto larga bontà il creato corporeo - sommamente inferiore agli stessi spiriti peccanti -.
E ciò è tanto vero che nessuno, guardando il cielo, la terra e tutte le cose visibili formate, ordinate, strutturate nei loro generi, potrebbe mai pensare che il loro Creatore sia qualcun altro fuorché Iddio, e non ammettere che egli deve essere per ciò sommamente lodato.
E quantunque la potenza angelica con la sua eccellenza e la sua buona volontà agisca tanto essenzialmente nell'ordine dell'universo - fatto questo che è la manifestazione somma dell'ordine nel creato - ciò non di meno se tutti gli angeli peccassero, nessuna difficoltà creerebbero al Creatore degli angeli nel governo del suo regno.
Non gli mancherebbe la bontà - quasi come se fosse esaurita - né l'onnipotenza, quasi come se fosse oppressa da difficoltà, per crearne altri, da collocare nelle sedi da quelli abbandonate col peccato; né le creature spirituali, per quanto numerose, se andassero dannate per le loro colpe, potrebbero turbare l'ordine a cui sono soggetti, per giustizia e decoro, tutti i dannati.
Ovunque si rivolge la nostra considerazione, dunque, si vede che Dio, creatore ottimo e giustissimo reggitore di tutte le nature, è degno di lode ineffabile.
La contemplazione di questa bellezza del creato è tuttavia accessibile solo a chi viene sorretto dalla grazia divina.
Agostino, Il libero arbitrio, 3,34-36
E il Signore, che conosceva il futuro, disse per mezzo del profeta Isaia ai giudei increduli: Egli ha accecato i loro occhi, indurito il loro cuore, perché così essi coi loro occhi non vedano e con il loro cuore non comprendano, e non si convertano, tanto che io possa salvarli.
Dio ha predetto questo comportamento dei giudei ( Is 6,10 ), non lo ha operato; infatti Dio non costringe nessuno a peccare, ma conosce in precedenza i futuri peccati degli uomini.
Il profeta ha predetto i peccati dei giudei, perché Dio conosceva in precedenza il loro avverarsi.
Ma se mi si chiede perché i giudei non hanno potuto credere, io rispondo subito: perché non lo hanno voluto; e Dio ha preconosciuto la loro cattiva volontà, e per bocca dei profeti l'ha preannunciata, dato che a lui il futuro non è nascosto.
Ma - tu obietti - il profeta cita un'altra causa della loro incredulità, non parla della loro cattiva volontà.
Quale? Perché, dice, « Dio ha dato loro uno spirito di stordimento, occhi per non vedere, orecchie per non udire e accecò i loro occhi e indurì il loro cuore ».
Ti rispondo che è ancora la loro cattiva volontà che ha meritato tutto questo.
Dio acceca, Dio indurisce i cuori, quando abbandona gli uomini, quando cessa di aiutarli: egli può compiere ciò per un suo personale motivo, occulto ma non ingiusto.
Questo è un principio che la pietà dei credenti deve conservare indiscusso e inviolato, come afferma l'Apostolo, quando affronta la medesima difficilissima questione: Che diremo noi, dunque?
Vi è forse - egli dice - ingiustizia in Dio? Non sia mai! ( Rm 9,14 ).
Se dunque non può esservi ingiustizia in Dio, quando egli dona la sua grazia agisce per misericordia; e quando non la dona, agisce con giustizia, perché quando agisce lo fa non avventatamente, ma per un qualche giusto motivo.
Se siamo certi che le azioni dei santi sono giuste, quanto più giuste sono quelle di Dio, autore di ogni santità e di ogni giustizia?
Esse sono giuste, ma occulte.
Quando dunque si viene a discutere di simili questioni, e ci chiediamo perché uno è trattato in un modo e un altro in modo diverso, perché Dio acceca uno abbandonandolo e illumina un altro con la grazia, non possiamo certo arrogarci il diritto di sindacare le decisioni di un così grande giudice, ma possiamo soltanto esclamare, tremanti, con l'Apostolo: O abisso della ricchezza e della sapienza e della scienza di Dio!
Quanto imperscrutabili sono i suoi giudizi, e impenetrabili le sue vie! ( Rm 11,33 ).
É questo che fa dire al salmista: Il tuo giudizio è un abisso profondo ( Sal 26,7 ).
Non obbligatemi, fratelli, con la vostra attesa e la vostra sete di capire, a penetrare in questa profondità, a sondare questo abisso, a tentar di scrutare l'imperscrutabile.
Riconosco i modesti limiti del mio spirito, e mi sembra anche di conoscere i vostri.
Queste verità sono al di là dei miei mezzi, vanno oltre le mie forze: e credo che superino anche le vostre.
Ascoltiamo insieme l'avvertimento della Scrittura che dice: Cose troppo difficili per te non ricercherai, non ti occuperai di ciò che è più forte di te ( Sir 3,22 ) …
Ora noi siamo sulla via della fede: su di essa manteniamoci con il massimo della perseveranza; essa stessa ci condurrà alla dimora segreta del re, dove sono nascosti i tesori della sapienza e della scienza ( Col 2,3 ).
Non era certo perché voleva vietare ai discepoli, da lui scelti e glorificati, la conoscenza di questi misteri, che il Signore Gesù Cristo diceva loro: Ho ancora molte cose da dirvi, ma adesso non siete in grado di portarle ( Gv 16,12 ).
Si deve camminare, si deve andare avanti, si deve crescere, affinché i nostri cuori divengano capaci di contenere queste verità che ora non possiamo comprendere.
E se l'ultimo giorno ci sorprenderà mentre siamo impegnati in questo continuo procedere, nel cielo comprenderemo ciò che qui non abbiamo potuto.
Agostino, Commento al Vangelo di san Giovanni, 53,4-8
Si interrogano gli ingrati e gli insensati: « Non dovrebbe esser proprio della bontà di Dio concedere per tutti uguaglianza di onori? »
Dimmi, o ingrato, quali sono le cose che tu affermi non esser proprie della bontà di Dio, e che cosa intendi per « uguaglianza di onori »?
Uno è storpio da fanciullo, un altro diventa pazzo ed è invasato da un demonio; un altro, che giunge al limite della vecchiaia, ha trascorso tutta la vita nella povertà; un altro in gravissime malattie: sono queste le opere della provvidenza?
Uno è sordo, un altro muto; uno è povero; un altro, infame e scellerato e pieno d'innumerevoli vizi, guadagna denaro e mantiene meretrici e fannulloni, possiede una casa bellissima e conduce una vita senza mai lavorare.
E raccolgono molti esempi del genere, tessendo un lungo discorso contro la provvidenza di Dio.
Che dunque? Non vi è nessuna provvidenza?
Che cosa rispondiamo loro? Se fossimo greci e ci dicessero che il mondo è retto da qualcuno, anche noi diremmo loro le stesse cose: Perché non c'è nessuna provvidenza?
Perché mai, allora, voi avete il culto degli dèi e adorate demoni ed eroi?
Infatti, se esiste una provvidenza, essa si prende cura di tutto.
Se vi fossero alcuni, cristiani o anche greci, che si scoraggiassero e vacillassero, che cosa diremmo loro?
Tante cose, dimmi, ti prego, sarebbero dunque sorte buone per caso?
La luce del giorno, l'ordine predisposto nelle cose, il movimento circolare degli astri, l'eguale corso dei giorni e delle notti, l'ordine della natura tanto nelle piante quanto negli animali e negli uomini?
Chi è mai, domando, colui che governa tutte queste cose?
Se nessuno le dirige ed esse dipendono tutte da se stesse, chi ha mai fatto questa volta così grande e bella, il cielo appunto, collocato tutt'intorno alla terra e anche sopra le acque?
Chi dà alle stagioni dei frutti? Chi ha posto tanta vita nei semi e nelle piante?
Ciò che avviene per caso, infatti, è assolutamente disordinato; ciò che presenta ordine e armonia, invece, è stato prodotto con ingegno.
Infatti, ti chiedo, quelle cose che da noi avvengono per caso, non sono piene di grande confusione, tumulto e turbamento?
E non parlo soltanto di quanto avviene per caso, ma anche di ciò che è fatto da qualcuno, ma senza criterio.
Ad esempio, vi siano legna e pietre, e vi sia anche la calce; ora, un uomo inesperto nell'arte di costruire, servendosi di questi, si accinga a edificare e a compiere qualcosa: costui non manderà forse in rovina e non distruggerà ogni cosa?
E ancora, si dia una nave senza nocchiero, provvista di tutto quanto una nave debba possedere, tranne il nocchiero: potrebbe forse navigare?
E la terra stessa, che è tanto estesa, posta com'è al di sopra delle acque, potrebbe rimanere tanto tempo immobile, se non vi fosse qualcuno in grado di sorreggerla?
E tutto ciò è forse ragionevole? Non è ridicolo pensare queste cose? …
Se volessimo esporre esaurientemente, in tutto e per tutto, fin nei dettagli, tutte quelle cose della provvidenza, non ci basterebbero tutti i secoli.
Domanderò, infatti, a chi abbia chiesto ciò: queste cose avvengono grazie alla provvidenza o senza la provvidenza?
Se rispondesse: « Non sono della provvidenza », gli domanderei ancora: Come dunque sono state fatte?
Ma non potrebbe rispondere in alcun modo.
A maggior ragione, perciò, non devi investigare con curiosità intorno alle cose umane.
Perché? Poiché l'uomo è l'essere più illustre e onorevole di tutti, e tutte le cose sono state create per lui, non lui per esse.
Se dunque non conosci la sapienza e il governo della provvidenza riguardo all'uomo, in che modo potresti mai scoprire quali siano le sue ragioni?
Dimmi un po', perché mai essa ha creato l'uomo così piccolo e così distante dall'altezza del cielo al punto che dubiti di quelle cose che si mostrano dall'alto?
Perché le regioni australi e boreali sono inabitabili?
Dimmi, perché la notte è stata fatta più lunga d'inverno e più corta in estate?
Perché tanto freddo? Perché il caldo? Perché la mortalità del corpo?
E altre innumerevoli cose voglio sapere da te; se tu vorrai, non smetterò d'interrogarti perché tu possa replicarmi in tutto.
Pertanto, la caratteristica più confacente alla provvidenza è questa: che le sue ragioni rimangano per noi ineffabili.
Qualcuno, infatti, non avendo compreso il nostro pensiero, avrebbe potuto ritenere che l'uomo sia la causa di tutte le cose.
« Tuttavia, direbbe qualcuno, quell'uomo è povero: e la povertà è un male ».
Ma che cos'è il male? Che cos'è la cecità, o uomo?
Vi è un solo male: peccare; e solo di questo dobbiamo preoccuparci.
Invece, tralasciando di scrutare le cause dei veri mali, ricerchiamo con curiosità altre cose.
Perché nessuno di noi cerca mai di scoprire il motivo profondo per il quale ha peccato?
É in mio potere di peccare, oppure no?
Ma che bisogno c'è di usare un grande giro di parole?
Cercherò tutto in me stesso: forse che sono riuscito qualche volta a vincere la passione?
Ho vinto qualche volta l'ira per pudore o per timore umano?
In tal modo, accertato questo, scoprirò che è in mio potere peccare.
Nessuno si preoccupa di comprendere e di approfondire queste cose; al contrario, sconsideratamente, come si legge in Giobbe, l'uomo nuota disordinatamente nelle parole ( Gb 11,12 ).
Giovanni Crisostomo, Omelie sulla lettera agli Efesini, 19,3-4
Dio è lodato per la sua giustizia; a tutte le cose, infatti, giusto com'è, egli conferisce la giusta misura e la bellezza e la conveniente disposizione, determinando per ciascuna tutte le regole e gli ordinamenti secondo il criterio realmente più giusto ed essendo per tutti l'autore delle loro proprie azioni.
La giustizia divina, infatti, ordina e determina tutte le cose, preservandole da qualsivoglia mescolanza o confusione e attribuendo loro quanto conviene a ciascuna di esse, conformemente alla sua dignità.
Se noi affermiamo queste cose giustamente, coloro i quali dileggiano la giustizia divina, manifestamente condannano, senza rendersene conto, la propria ingiustizia; costoro, infatti, sostengono che nelle cose mortali è intrinseca l'immortalità, nelle cose imperfette la perfezione, in quelle che si muovono da sole una causa esterna che ne provocherebbe il movimento, in quelle mutevoli il rimanere sempre identiche a se stesse, nelle cose limitate la possibilità di divenire perfette, nelle cose temporanee l'eternità; essi ritengono, altresì, che le cose che si muovono per natura siano immutabili, che i piaceri temporanei durino in eterno e, in generale, attribuiscono a certe cose quelle caratteristiche inerenti ad altre.
Si deve invece sapere che la giustizia divina è realmente e autenticamente tale, in quanto distribuisce a tutte le cose ciò che è loro proprio, secondo il valore di ciascuna di esse, potenziandole e custodendole ognuna nel suo proprio ordine.
Direbbe tuttavia qualcuno: « Non è giusto consentire che gli uomini buoni vengano perseguitati, senza ricevere alcun aiuto, da quelli più cattivi ».
A costui si deve rispondere che se davvero coloro che lui chiama « buoni » amano le cose terrene, ardentemente desiderate da tutti gli estimatori delle realtà materiali, già soltanto per questo motivo essi si allontanano dall'amore di Dio.
Né comprendo come possano definirsi « buoni » coloro che disprezzano le cose veramente amabili e divine, anteponendo a queste, che empiamente oltraggiano, le cose che si dovrebbero fuggire ed esecrare.
Se invece costoro amassero ciò che veramente vale, allora ne godrebbero realmente, poiché diverrebbero pienamente appagati del loro desiderio.
Forse che, infatti, non si avvicinano maggiormente alle virtù angeliche quando, attraverso lo studio delle cose divine, per quanto possono, si allontanano dalla passione di quelle materiali e si rivolgono alle cose buone, esercitandosi virilmente nei rischi che queste comportano?
Si può davvero affermare, perciò, che è realmente conforme alla giustizia divina che la virile forza degli uomini probi non permetta mai di essere indebolita e corrotta dall'abbondanza dei beni materiali; anzi, se qualcuno sarà tentato di cadere in questo modo, la giustizia di Dio non lo lascerà senza aiuto, ma lo reintegrerà nella sua condizione bella e incorrotta, ricompensandolo dei suoi meriti.
Questa divina giustizia è celebrata anche come salvezza di tutti, poiché conserva e custodisce di ciascuna cosa la sua genuina essenza e costituisce la vera causa dell'operare proprio di tutte le cose.
Se qualcuno loda la salvezza poiché essa difende opportunamente tutte le cose dal loro deterioramento, approveremo questo panegirista della salvezza universale.
Pseudo-Dionigi Areopagita, I nomi divini, 8,7-9
Nei suoi libri sacri ci dice la parola di Dio: In ogni luogo gli occhi del Signore contemplano i buoni e i cattivi ( Pr 15,3 ).
Ecco: Dio è presente; ecco: Dio guarda; ecco: in ogni luogo vigila con cura e preveggenza.
E dice la Scrittura che egli in ogni luogo considera i buoni e i cattivi, per provare così che nulla egli trascura, egli, a cui tutte le cose sono svelate.
Perché tu comprenda meglio, ascolta che cosa attesta lo stesso Spirito Santo in un altro passo delle Scritture: Gli occhi del Signore sono sopra coloro che lo temono, per strappare dalla morte la loro anima e nutrirli nella fame ( Sal 33,18-19 ).
Ed ecco perché è detto che Dio guarda i giusti: per conservarli e proteggerli.
Lo sguardo propizio della divinità, infatti, è il dono della conservazione per la stirpe umana.
E altrove dice lo stesso Spirito divino: Gli occhi del Signore sono sopra i giusti, e le sue orecchie sono aperte alle loro preghiere ( Sal 34,16 ).
Vedi con quale benignità - come dice la Scrittura - Dio tratti con i suoi!
Sta scritto che gli occhi di Dio sono sopra i giusti, per mostrare l'affetto di colui che guarda; sta scritto poi che le orecchie sono pronte alle preghiere, per mostrare la magnanimità di chi sempre esaudisce.
Anzi, dicendo che le divine orecchie sono sempre aperte alle preghiere dei giusti, non si asserisce solo che Dio solamente ascolta, ma che in un certo modo quasi obbedisce.
Come sono aperte infatti le divine orecchie alle preghiere dei giusti?
Non in altro modo se non per sempre ascoltare, per sempre esaudire, per rispondere alle richieste e accontentare subito le preghiere.
Per udire le preghiere dei santi sono sempre pronte le orecchie del nostro Signore, sono sempre attente: come saremmo beati tutti se, leggendo che con tanta prontezza Dio ascolta le nostre preghiere, con altrettanta prontezza noi lo volessimo ascoltare!
Ma forse obietterai che non giova al nostro argomento che Dio - come si legge - osserva i giusti: non si tratta infatti dello sguardo generale della divinità, perché i giusti sono favoriti da una particolare benignità.
Ma già il testo sacro citato ricorda che gli occhi di Dio contemplano i buoni, ma anche i cattivi.
Se però vuoi che ciò ti venga particolarmente provato, guarda quel che segue nel testo in parola: subito si legge: Il volto del Signore invece è rivolto su coloro che commettono il male, per disperdere dalla terra la loro memoria ( Sal 34,17 ).
Senza dubbio, noterai che è impossibile obiettare che Dio non guardi anche gli ingiusti e comprenderai chiaramente che Dio rivolge uno sguardo in generale su di tutti, sguardo che si diversifica per la diversità dei meriti.
I buoni vengono guardati per essere conservati; i cattivi per essere dispersi.
E con questi ultimi anche tu avrai parte, perché neghi che Dio riguardi gli uomini; e sappi che non solo Dio ti guarda attentamente, ma anche che un giorno senz'altro andrai perduto.
Infatti, se « il volto di Dio è sopra di coloro che fanno il male per disperdere dalla terra la loro memoria », necessariamente tu, che non vuoi guardare il volto di Dio nella fede, conoscerai nella perdizione l'ira di colui che ti guarda.
Ma ciò basti sulla presenza di Dio e sul fatto che egli tutto osserva.
Salviano di Marsiglia, Il divino governo del mondo, 2,1
L'occhio si fissa sulla giustizia di Dio, e incontra la sua bontà.
L'intelletto contempla la sua misericordia, e gli si fa avanti la sua verga severa.
Consolante risuona il grido del perdono, spaventoso il grido della vendetta.
Perciò l'intelligenza vaga qua e là, stupita e smarrita, tra la bontà di Dio e la sua giustizia.
Chi osserva, resta confuso tra le prove e i rimproveri.
Vede che i cattivi sono potenti, e i buoni sono colpiti.
La purificazione voluta da Dio prova i fedeli, la sua verga punisce i delitti.
La giustizia e la bontà sono strettamente legate, ma non mescolate; sono unite, ma non confuse.
Solo per la sua insufficienza l'intelletto non può rendersi conto, perché non può comprendere.
Vede la morte dei vecchi, e vede anche la dipartita dei fanciulli.
Da una parte vede la giustizia, dall'altra il contrario: infatti un giusto soffre, l'altro è risparmiato.
Vede un buono nelle angustie, l'altro nella pace.
Ciò sembra contraddittorio.
Se poi considera gli iniqui: uno viene colto sul fatto al primo assassinio, l'altro uccide una quantità di uomini e se ne va libero.
Come tra le onde le deboli imbarcazioni vanno sotto, così gli spiriti deboli soffrono nella tempesta tra il bene e la giustizia.
Qui non domina la chiarezza, perciò la meschinità dell'animo li mette in imbarazzo.
Se però non si capisce tutto, si capisce quanto conviene.
Basta per noi sapere che il giudice di tutti non può agire ingiustamente.
Basta per noi sapere che non possiamo muovergli nessuna obiezione: sarebbe certo temerarietà se il vaso volesse ammaestrare il vasaio.
Con che diritto l'uomo potrebbe biasimare colui che dona ogni capacità critica?
Come potrebbe l'uomo giudicare senza colui che ne ha fatto un essere ragionevole?
Come potrebbe giudicare la sapienza di colui, che tutto sa?
Efrem Siro, La fede, 1,20-21
Sappiamo che ogni creatura di Dio è da questi governata.
É stato lui, infatti, a creare il cielo e la terra, gli animali, i rettili, le belve che vediamo, ma di cui ignoriamo il numero.
Quale degli uomini, d'altronde, potrebbe conoscerlo, se non Dio soltanto, presente com'è in tutti, anche nei feti degli animali?
Non conosce forse il Signore ciò che si trova sotto la terra e sopra i cieli?
Lasciando però da parte queste cose, ricerchiamo piuttosto, da buoni mercanti, di possedere l'eredità celeste e quanto concerne l'anima nostra.
Impariamo a conquistare i beni che rimarranno con noi.
Se l'uomo, infatti, si mettesse a investigare il pensiero divino e a dire: « Ho trovato e compreso qualcosa », si scoprirebbe che la mente umana trascende quella divina.
Ma ciò è assolutamente falso: al contrario, quanto più tu volessi penetrare ciò attraverso la conoscenza, tanto più in basso discenderesti, senza comprendere alcunché.
Infatti, le tue stesse considerazioni su quanto avviene in te medesimo giorno per giorno ( e sul modo nel quale avvenga ) non approdano ad altro risultato chiaro e intelligibile, che questo: che bisogna accettare in uno spirito di riconoscenza e di fede.
Da quando sei nato fino ad ora, hai forse potuto conoscere l'anima tua?
Provati ad esaminare i pensieri che scaturiscono in te dalla mattina alla sera.
Riferiscimi i pensieri di tre giorni; ma non puoi.
Se non sei stato dunque capace di discernere i pensieri della tua anima, come potresti scrutare quelli della mente divina?
Mangia tutto il pane che trovi, ma lascia perdere il resto della terra; passa presso la riva del fiume, e bevi tutta l'acqua di cui hai bisogno; ma torna presto e non ti attardare a ricercare donde provenga e come faccia a scorrere.
Compi diligentemente ogni cosa affinché il tuo piede o il tuo occhio malato guariscano, in modo che tu possa così contemplare la luce del sole, senza indagare curiosamente su quanta luce esso contenga o in quale costellazione sorga.
Prendi ciò che ti serve.
Perché sali sul monte a ricercare quanti onagri o quante fiere vi pascolino?
Anche il fanciullo, avvicinandosi al seno della madre, viene allattato e nutrito.
Tuttavia, egli non può sapere donde il latte gli provenga.
Infatti, mentre lo succhia e svuota, così facendo, ogni parte delle mammelle, successivamente esse si riempiono di nuovo; ma il modo come ciò avvenga non lo sanno né il bambino né sua madre, sebbene il latte provenga in realtà da tutte le membra di costei.
Se dunque ricerchi il Signore nell'abisso, lì troverai le sue tracce.
Se lo ricerchi nella fossa, lo troverai in mezzo a due leoni, mentre protegge il giusto Daniele ( Dn 6,17 ).
Se lo cerchi nel fuoco, lo vedrai recar aiuto ai suoi servi ( Dn 3,28 ).
Se lo cerchi sul monte, lo troverai in compagnia di Elia e di Mosè ( Mt 17,3 ).
É in ogni dove, infatti: sotto terra, sopra i cieli, tra noi e dappertutto.
Pseudo-Macario, Omelie spirituali, 12,10-12
L'arte del nocchiero non si sperimenta a cielo sereno, ma nella burrasca e nella tempesta.
Se il cielo è limpido, anche l'ultimo mozzo può dirigere la nave; ma se la burrasca imperversa, allora si richiede l'arte del primo maestro.
Perciò quando i discepoli videro che la bravura dei rematori era vana, che il mare infuriava contro di loro, che i flutti bramavano di sommergerli, che trombe di vento si erano levate contro di loro, allora ricorsero, pieni di angoscia, alla guida del mondo, al nocchiero della terra, al maestro degli elementi, e lo supplicarono di calmare le onde, di toglierli dal pericolo, di donar loro la salvezza di cui ormai dubitavano.
E quando con un semplice comando egli dominò il mare, placò i venti, ruppe il gorgo e ristabilì la calma, solo allora tutti quelli che con lui navigavano lo riconobbero, lo credettero e lo acclamarono Signore di tutto.
Pietro Crisologo, Sermoni sul Vangelo di Matteo, 19
Manifesta al Signore il tuo affanno, e spera in lui, ed egli farà ( Sal 55,23 ).
Di che cosa ti preoccuperai? Per che cosa ti affannerai?
Chi ti ha fatto si prenda cura di te.
Chi ebbe cura di te prima che tu esistessi, non si curerà di te quando ormai sei ciò che egli ha voluto tu fossi?
Perché ormai sei fedele, già cammini sulla via della giustizia.
Non avrà dunque cura di te colui che fa sorgere il suo sole sui buoni e sui cattivi, e fa piovere sui giusti e sugli ingiusti?
Trascurerà, abbandonerà, lascerà solo te che sei già giusto e vivi nella fede?
Al contrario egli ti benefica, ti aiuta, ti dà qui ciò che ti è necessario, ti difende dalle avversità.
Facendo doni ti consola affinché tu perseveri, togliendoteli ti corregge affinché tu non perisca; il Signore ha cura di te, stai tranquillo.
Ti sostiene colui che ti ha fatto, non cadere dalla mano del tuo Creatore; se cadrai dalla mano del tuo artefice ti spezzerai.
La buona volontà ti aiuta a rimanere nelle mani di colui che ti ha creato.
Dì: « Il mio Dio lo vuole, egli mi reggerà, egli mi sosterrà ».
Abbandonati a lui, non credere che ci sia il vuoto quasi che tu dovessi precipitare; non t'immaginare una cosa di questo genere.
Egli ha detto: « Io riempio il cielo e la terra ».
Mai egli ti mancherà; non mancargli tu, non mancare tu a te stesso.
Agostino, Esposizioni sui Salmi, 40,18 ( 27 )
Che linguaggio potrà esporre degnamente i doni che Dio ci ha fatto?
Tale è la loro abbondanza che il numero ce ne sfugge; essi sono così grandi e di tale natura che uno solo ci costringe a offrire tutta la nostra gratitudine a colui che ce li ha elargiti …
Ma c'è un dono che non si può tralasciare neppure volendolo e che, se siamo dotati di intelligenza e di mente sana, è assolutamente impossibile passare sotto silenzio, anche se ci troviamo più che mai incapaci di parlarne degnamente: Dio ha fatto l'uomo a sua immagine e somiglianza, e lo ha reso degno di fargli conoscere se stesso.
Con il dono dell'intelligenza lo ha posto al di sopra di tutti gli esseri viventi, gli ha offerto di godere gli incomparabili poteri del paradiso, e lo ha costituito padrone di tutto ciò che si trova sulla terra.
Quando poi l'uomo fu ingannato dal serpente, quando cadde nel peccato e, con il peccato, nella morte con tutto ciò che essa comporta, Dio non lo abbandonò.
Al contrario, gli diede anzitutto il soccorso della Legge, gli pose accanto degli angeli che lo difendessero e si prendessero cura di lui, inviò dei profeti per rimproverargli le sue malvagità e insegnargli la virtù.
Spezzò con le minacce la sua inclinazione al male e con le promesse destò il suo desiderio del bene; e spesso mostrò in figura, con esempi salutari che servissero di ammonimento per gli altri, a che cosa terminano bene e male.
E sebbene gli uomini, dinanzi a tutti questi doni e ad altri simili, si ostinassero nella disobbedienza, Dio non si allontanò da loro.
Pur avendo offeso il nostro benefattore con l'indifferenza per i doni ricevuti, non siamo stati abbandonati dalla bontà del Signore, né separati dal suo amore per noi; anzi siamo stati richiamati dalla morte e resi nuovamente alla vita dallo stesso Signore nostro Gesù Cristo.
E il modo con cui siamo stati salvati è degno di un'ammirazione ancora più grande.
Lui, di condizione divina, non volle conservare gelosamente per sé l'uguaglianza con Dio, ma annientò se stesso prendendo condizione di schiavo ( Fil 2,6-7 ).
Ha preso su di sé le nostre debolezze, ha portato le nostre sofferenze, è stato trafitto per noi, perché noi fossimo guariti grazie alle sue ferite ( Is 53,4-5 ).
Ci ha riscattati dalla maledizione facendosi maledizione per noi ( Gal 3,13 ); ha sofferto la morte più infamante, per condurci alla vita della gloria.
E non gli è bastato ridare la vita a quelli che si trovavano nella morte, ma ha anche offerto loro la sua dignità divina; ci ha preparato un riposo eterno, una beatitudine immensa che supera ogni immaginazione umana.
Che cosa dunque renderemo al Signore per tutto quello che ci ha donato? ( Sal 116,12 ).
Egli, poi, è così buono che non domanda nulla in compenso dei suoi benefici, ma si accontenta di essere amato.
Vi dirò quel che provo: quando tutte queste cose mi ritornano alla mente, sono preso da un brivido e da un'ansietà terribile nel timore che, per la mia negligenza e il mio affaccendarmi in cose vane, io mi escluda dall'amore di Dio e diventi per Cristo motivo di vergogna.
Basilio il Grande, Regole lunghe, 2,2-4
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