Summa Teologica - III

Indice

Gesù Cristo

Già presente nel nostro discorso come l'Arte del Padre e sua Immagine perfetta, la seconda persona della Trinità, mediante la quale procediamo dal Padre e ritorniamo verso di lui, rappresenta un modello tanto inaccessibile nella sua perfezione increata quanto il Padre stesso.

Con la sua incarnazione però il Verbo è voluto diventare uno di noi, e in Gesù, il Cristo, possediamo contemporaneamente il cammino e il modello che cercavamo, e ancor di più la patria a cui aspiriamo.

San Tommaso propone qui un insegnamento chiaro e denso e offre già delle indicazioni molto forti nei luoghi nevralgici della Somma: « Nella sua umanità, Cristo è per noi la via che conduce verso Dio ».233

Solida ma breve, questa affermazione è sviluppata più ampiamente all'inizio della Terza Parte: « Poiché il nostro Salvatore, il Signore Gesù Cristo, "salvando il suo popolo dai peccati" ( Mt 1,21 )… ci ha presentato in se stesso la via della verità per la quale possiamo giungere, mediante la risurrezione, alla beatitudine della vita immortale, è necessario, per portare a termine la nostra impresa teologica, che dopo aver trattato del fine ultimo della vita umana, delle virtù e dei vizi, consideriamo ora in se stesso il Salvatore di tutti e i benefici di cui ha gratificato il genere umano ».

Piccola meraviglia di composizione, questo testo ricorda a grandi linee il cammino percorso e annuncia quello che resta da fare con le stesse parole di Gesù che troviamo nel quarto Vangelo ( Gv 14,6 ): « Io sono la via, la verità, la vita ».

Ancora una volta, il maestro domenicano si mostra attento all'ascolto della Sacra Scrittura che inserisce nel suo testo senza soluzione di continuità, combinando in una sola frase l'aspetto « negativo » dell'opera di Cristo, la liberazione dal peccato, col suo aspetto « positivo », il ritorno verso il Padre, la via che Cristo incarna nella sua persona: « Nessuno va al Padre se non mediante me ».

Si comprende meglio ora come egli possa parlare di compimento dell'impresa teologica: tutta la Somma tende verso Cristo.

Tuttavia, questa singolare collocazione di Cristo alla fine dell'opera ha costituito per i teologi un punto interrogativo e continua ad essere tale fintantoché non se ne vedono le ragioni profonde.

E necessario dunque dissipare il malinteso già incontrato e tentare di capire perché egli ha scelto di parlarne soltanto nella Terza Parte.

Allo stesso tempo di ordine teologico e pedagogico, queste ragioni si percepiscono meglio esaminando il modo in cui si articolano morale e cristologia nella visione d'insieme.

Potremo allora passare al seguito del nostro proposito, dato che è chiaro che se la considerazione di Cristo è necessaria affinché il proposito teologico sia portato a termine, a maggior ragione la vita cristiana, che vuole ispirarsene, ne risulterà illuminata in maniera definitiva.

Fra Tommaso ne parla in bei testi che non lasciano alcun dubbio sul posto da lui occupato nella vita cristiana e nella sua propria vita.

La via che conduce verso Dio

Nel momento in cui Tommaso cercava di sintetizzare a suo modo il sapere teologico, vi erano già nelle Sentenze di Pietro Lombardo due grandi insiemi di questioni morali.234

Il primo si trova nel Secondo Libro ( distinzioni 24-44 ): dopo la creazione e il peccato del primo uomo, il Lombardo aveva raggruppato in esso diverse consìderazioni sulla grazia e il libero arbitrio, il peccato originale e la sua trasmissione, il bene e il male negli atti umani, ecc.

Il resto della materia veniva discusso nel Terzo Libro ( distinzioni 23-40 ), dopo la cristologia; è in esso che si tratta delle virtù teologali e morali, dei doni dello Spirito Santo, degli stati di vita, dei comandamenti.

Coloro che hanno familiarità con la Somma riconosceranno facilmente in questi due insiemi i due grandi poli intorno ai quali è stata riunita la materia della Prima Secundae e della Secunda Secundae.

Essa vi è considerevolmente arricchita e riorganizzata secondo un piano che non deve più molto al Lombardo, anche se è in costui che se ne trova un primo abbozzo.

Due opzioni erano dunque possibili.

La prima sarebbe consistita nel riunire l'intera teologia morale al seguito della cristologia ( secondo polo delle Sentenze ).

Tommaso avrebbe potuto così organizzare tutta la sua morale in funzione di Cristo.

Tale scelta avrebbe avuto il vantaggio di mettere in primo piano la figura di Cristo nell'organizzazione della sua teologia morale così come accade nella vita cristiana.

Secondo le sue stesse parole, nella sua qualità di Figlio di Dio, Cristo è in effetti « il Modello assoluto che tutte le creature a loro modo imitano, perché costituisce la vera e perfetta immagine del Padre ».235

Questa opzione avrebbe avuto viceversa lo svantaggio di non integrarsi bene nella visione d'insieme della sacra doctrina.

Il suo teocentrismo assoluto deriva dal fatto che solo Dio è un principio tanto esplicativo da poter essere collocato a chiave di volta dell'intero sapere teologico.

Se è vero che la sintesi teologica mira a ritrovare l'ordine e la coerenza del piano divino, senza cercare di imporgli una logica che non gli apparterrebbe, allora occorre necessariamente che la Trinità occupi il primo posto nella spiegazione così come lo occupa nella realtà.

É vero per l'opera della creazione; Io è altrettanto per quella della ri-creazione: il teologo non può dimenticare il ruolo mediatore dell'umanità di Cristo, ma è invitato a risalire tramite essa fino all'unica fonte principale della grazia e della salvezza, Dio stesso.

Tommaso ha quindi optato per una seconda risoluzione, che consiste nel sistemare la teologia morale dopo aver parlato della creazione e del governo divino ( primo polo del Lombardo ).

Invece di imperniarla sul Cristo, egli la collegava alla Trinità mediante la dottrina biblica dell'uomo come immagine di Dio.

Poiché è proprio di quest'uomo che vuole descrivere il ritorno verso il suo Creatore dopo averne descritto l'uscita.

Egli non rinuncia tuttavia ai vantaggi della prima alternativa perché può integrarla senza difficoltà.

Parlare dell'uomo come immagine di Dio significa infatti essere spinti ad evocare l'Esemplare a partire dal quale è fatto e al quale deve somigliare, ed è questo quanto esprime il Prologo della Seconda Parte: « Dopo aver parlato dell'Esemplare, cioè di Dio … resta da parlare della sua immagine, cioè dell'uomo … ».

Questo fine ultimo però non può che essere raggiunto da Cristo, perché l'immagine non trova la sua somiglianza se non « per conformità di grazia »,236 e questa grazia non la si può ottenere se non tramite la sua mediazione poiché egli è « come la fonte della grazia ».237

Cristo sarà dunque strutturalmente presente ovunque sarà la grazia, e lo stesso vale per lo Spirito Santo: « Uniti dallo Spirito Santo … noi accediamo al Padre mediante Cristo perché Cristo opera tramite lo Spirito Santo …

Ed è per questo che tutto ciò che è compiuto dallo Spirito Santo è compiuto anche da Cristo ».238

Se pertanto è proprio vero che la persona di Cristo non gioca da sola il ruolo centrale nella costruzione della Somma né nell'organizzazione della morale tomasiana, non è per una ragione di disprezzo, ma proprio come conseguenza di una opzione in primo luogo trinitaria.

Non si renderebbe giustizia a Tommaso se non si sottolineasse a che punto tale scelta è conforme al dato biblico.

Non soltanto ciò gli viene dettato dal racconto della Genesi, ma gli viene imposto sia dal Discorso della Montagna: « Siate perfetti, come il Padre vostro celeste è perfetto » ( Mt 5,48 ), sia da san Paolo: « Fatevi dunque imitatori di Dio, quali figli carissimi » ( Ef 5,1 ).

La fecondità di questa scelta si manifesterà ben presto, ma ci è necessario anzitutto comprendere le ragioni impiegate nel piano della Somma.

Oltre alla grande opzione teologale ispirata alla Sacra Scrittura che abbiamo appena evocata, resta ancora da citare una ragione pedagogica non meno importante.

L'autore non poteva dare fin dall'inizio della sua morale il proprio riferimento all'esemplarità cristica, dato che doveva innanzitutto mettere in evidenza le strutture essenziali dell'agire umano.

Queste strutture sono troppo universali per potersi applicare all'umanità stessa di Cristo, poiché essa resta immutata nella sua intima costituzione, nonostante la sua assunzione da parte del Verbo.

E sufficiente leggere un po' attentamente quanto afferma la Tertia Pars sugli atti umani di Cristo ( libertà, merito, passione, virtù ) per essere rimandati costantemente a ciò che è detto nella Prima Secundae.

Indubbiamente, questa umanità di Cristo, assolutamente unica, richiede delle precisazioni valide soltanto per essa, ma molte cose dette precedentemente si ritrovano in colui che ha assunto la nostra condizione in tutto « eccetto il peccato ».

É chiaro che esse valgono anche per Cristo, ma Tommaso non avrebbe potuto parlare di lui in primo luogo senza essere spinto in seguito a fare numerose ripetizioni.

D'ordine più tecnico che la precedente, questa scelta non era meno dettata dalla materia.

Questo non significa però che le strutture della morale generale ( Prima Secundae ) si sviluppano al di fuori di ogni riferimento a Cristo e alla sua grazia.

Nonostante tutti i suoi riferimenti ai saggi dell'Antichità, il trattato delle virtù abbonda di annotazioni propriamente cristiane.

Esso è seguito da un'esposizione sui doni dello Spirito Santo e da un commento del Discorso della Montagna che sarebbero sufficienti a mostrare come Cristo esercita già il suo fascino ancor prima che si parli esplicitamente di lui.239

Lo stesso vale per il trattato della legge antica, di cui l'autore sottolinea con vigore il ruolo prefiguratore del mistero di Cristo,240 e per quello della legge nuova, di cui l'essenziale è la grazia dello Spirito Santo che si ottiene mediante la fede in Cristo.241

L'insieme è coronato dallo studio della grazia propriamente detta, che riprende e completa tutto ciò che è stato detto fino ad allora circa gli atti umani e le virtù242

Tutto questo ci invita a non comprendere male il proposito di Tommaso: la collocazione di Cristo nella Terza Parte della Somma non significa un'incomprensibile messa tra parentesi dello specifico cristiano, ma proprio una deliberata volontà di valorizzare il suo ruolo nel movimento di ritorno della creatura verso Dio e nel compimento della storia della salvezza.

La nuova presenza realizzata con la grazia e le missioni divine, ritrovate in così numerosi testi che abbiamo letto, arricchiva l'idea di una semplice presenza di Dio nel mondo, in un modo che la creatura da sola non avrebbe potuto sperare.

Ponendo Cristo al vertice di questo universo, Tommaso introduce in questa dottrina tutto il dinamismo di un reditus evangelicamente rettificato.

Esso non si realizza soltanto tramite il Verbo, ma proprio mediante il Verbo incarnato che continua ad inviarci il suo Spirito.

Mediatore unico attraverso il quale ci giunge la grazia ricevuta dalla Trinità, è anche la guida suprema che dirige il nostro ritorno verso Dio: « Era conveniente infatti che volendo portare molti figli alla gloria, Colui per il quale e del quale sono tutte le cose rendesse perfetto mediante la sofferenza il capo che li avrebbe guidati verso la loro salvezza » ( Eh 2,10 ).

Una nuova vita

Le spiegazioni precedenti forse hanno assunto l'andatura di un'arida parentesi tecnica, ma dovrebbero avere il vantaggio di aiutare a comprendere ciò che è in causa.

Noi ora possiamo rileggere alcuni di quei testi in cui Tommaso parla di Cristo.

Se egli è soprattutto celebre, e a giusto titolo, come colui che meglio ha parlato dei problemi metafisici posti dall'unione ipostatica, questo non è tuttavia che un aspetto del suo insegnamento.

In conformità allo scopo di questa iniziazione, ci piacerebbe far scoprire un altro aspetto del suo approccio al mistero.

Senza voler rifare tutto il suo percorso, sarà più che illuminante riprendere qui al suo seguito la questione che i teologi si ponevano già da molto tempo: Cur Deus homo?

Perché Dio si è fatto uomo?

Si è già citata la parte più conosciuta della risposta del Maestro Tommaso243 ma è necessario che noi recepiamo tutto ciò che egli ha detto a riguardo.

Visto poi che si rifiuta di parlare di una necessità pura e semplice dell'incarnazione - in quanto non possiamo mettere dei limiti all'onnipotenza di Dio e costui poteva salvarci in tutt'altro modo244 -, egli cerca piuttosto le ragioni di convenienza che possono aiutare a percepire qualcosa dell'incomprensibile amore che ha spinto Dio a un tale estremo.245

Al seguito di sant'Agostino, di sant'Anselmo e di tanti altri, orientati in questa direzione dalla Sacra Scrittura, Tommaso fa appello naturalmente alla guarigione della ferita causata dal peccato ( remedium peccati ), alla restaurazione ( reparatio ) dell'umanità nell'amicizia con Dio, alla soddisfazione per il peccato, che apparivano quindi come i motivi più evidenti.246

E così che il tema della soddisfazione, presente nelle Sentenze e perfettamente formulato nel Compendium theologiae, persiste ancora nella Somma di teologia: « L'incarnazione libera l'uomo dalla schiavitù del peccato.

Come afferma sant'Agostino, "è stato necessario che il demonio fosse vinto dalla giustizia dell'uomo Gesù Cristo".

E questo è accaduto con la soddisfazione di Cristo per noi.

L'uomo, semplicemente uomo, non poteva soddisfare per tutto il genere umano; Dio, lui; non doveva; era quindi necessario che Gesù fosse contemporaneamente Dio e uomo ( Homo autem purus satisfacere non poterat, Deus autem satisfacere non debebat ).

[ Il bilanciamento delle formule sarebbe sufficiente a rivelare la loro provenienza d'origine, dato che Anselmo non è stato qui che un intermediario.

Lungi dal dissimularla, Tommaso la mostra, e, dopo aver citato Agostino, continua con Leone ]

"La potenza si è rivestita di debolezza, la maestà di umiltà; poiché era necessario per la nostra guarigione che un solo e medesimo mediatore tra Dio e gli uomini ( 1 Tm 2,5 ) potesse da una parte morire e dall'altra risorgere.

Vero Dio egli apportava il rimedio; vero uomo ci offriva l'esempio ».247

Nonostante la sua pertinenza e la sua persistenza, questo tema della riparazione dell'equilibrio perduto con il peccato costituisce sempre il pericolo di favorire una vista antropocentrica delle cose, come se il peccato imponesse a Dio una finalità da lui non prevista.

In cerca di una nuova via, Tommaso sembra averla trovata nella Somma contro i Gentili, dove senza ripudiare l'eredità tradizionale, si libera un po' dalla gogna troppo stretta delle autorità, per essere più personale.248

Propone allora un argomento che, almeno sotto questa forma, sembra molto inedito in questo contesto; conveniva che Dio si facesse uomo per dare all'uomo la possibilità di vedere Dio: « Se si considera con attenzione e con devozione il mistero dell'incarnazione, vi si scopre un tale abisso di sapienza che la conoscenza umana ne viene sommersa.

L'Apostolo lo ha ben detto ( 1 Cor 1,25 ): La stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini.

Ecco perché a colui che considera le cose con devozione, le ragioni di questo mistero appaiono sempre più ammirabili ».249

Queste poche parole introducono un lungo capitolo di cui non riterremo che alcuni elementi, ma non si può restare insensibili alla passione contenuta che le ispira.

Nonostante la sobrietà del teologo, non si può non ricordare che si tratta dello stesso uomo la cui biografia si sofferma sul suo amore per Cristo Gesù.250

Si tratta della stessa emozione che soggiace allo stretto rigore del seguente ragionamento: « Prima di tutto, l'incarnazione offre all'uomo in cammino verso la beatitudine ( ad beatitudinem tendenti ) l'aiuto più efficace.

Come si è già detto ( cf SCG III 48ss. ), la perfetta beatitudine dell'uomo consiste nell'immediata visione di Dio.

Ebbene, a causa dell'immensa distanza delle nature, a qualcuno potrebbe sembrare impossibile che l'uomo possa raggiungere un tale stato, in cui l'intelletto umano è unito alla stessa essenza divina in modo immediato, come l'intelletto all'intelligibile.

Paralizzato dalla disperazione, l'uomo allora si potrebbe bloccare nella sua ricerca della beatitudine251

Ma il fatto che Dio abbia voluto unirsi in persona alla natura umana, dimostra con evidenza agli uomini che è possibile essere immediatamente uniti a Dio con l'intelligenza, vedendolo senza intermediari.

Perciò era convenientissimo che Dio assumesse la natura umana al fine di ravvivare la speranza dell'uomo nella beatitudine.

Infatti dopo l'incarnazione di Cristo gli uomini hanno cominciato ad aspirare più ardentemente alla beatitudine celeste, secondo quanto afferma egli stesso ( Gv 10,10 ): « Io sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza ».252

Il seguito immediato di questo testo prende in considerazione un altro argomento tratto dalla dignità dell'uomo che riceve dall'incarnazione una clamorosa manifestazione; vi ritorneremo più avanti.

Ma per leggere correttamente le righe che precedono, conviene non ipertrofizzare la loro apparenza « intellettualistica ».

Il seguito del testo ce lo ricorderà: la beatitudine non è una cosa astratta che riguarderebbe soltanto la ragione.

Essa concerne tutto l'uomo con le sue potenze d'amare: « Poiché l'uomo trova la sua perfetta beatitudine nella fruizione ( fruitio ) di Dio, era necessario che la sua affettività venisse predisposta al desiderio di codesta divina fruizione, desiderio naturale della beatitudine di cui constatiamo l'esistenza nell'uomo.

Ora, è l'amore per una cosa che sveglia il desiderio di goderne.

Occorreva quindi che l'uomo, in cammino verso la beatitudine perfetta, fosse sollecitato ad amare Dio.

Ma niente ci spinge ad amare maggiormente qualcuno, quanto lo sperimentare il suo amore per noi.

Ebbene, gli uomini non potevano aspettarsi una prova più efficace dell'amore di Dio per essi che il vedere Dio unirsi personalmente all'uomo, poiché è proprio dell'amore unire per quanto è possibile l'amante all'amato.

Era quindi un'esigenza per l'uomo in cammino verso la beatitudine che Dio si incarnasse ».253

Non è affatto necessario insistere perché si riconoscano molti temi che hanno nutrito la nostra meditazione fin qui.

Ritroveremo ben presto quest'uomo affamato di beatitudine, perché è di lui che parla fra Tommaso da un capo all'altro della sua considerazione morale.

Ma il tema dell'amore che ha appena ricordato con una citazione implicita dello pseudo-Dionigi, sembra aver richiamato alla sua mente "ma è lungi dall'essere fortuito" il modo in cui Aristotele parla dell'amicizia: « Siccome l'amicizia consiste in una certa uguaglianza, non è possibile che esseri troppo disuguali si uniscano in amicizia.

Affinché dunque l'amicizia tra Dio e l'uomo fosse più intima, era conveniente per l'uomo che Dio si facesse uomo, perché l'uomo è amico dell'uomo per natura.

Cosicché conoscendo Dio sotto una forma visibile, noi fossimo rapiti da lui all'amore dell'Invisibile ».254

Ben evidente, il riferimento ad Aristotele non deve offuscare l'esplicita citazione del Prefazio della Natività che termina questo passaggio e in cui Tommaso ha probabilmente trovato la sua ispirazione: Dumvuisibiliter Deum cognoscimus, in inuisibilium amorem rapiamur.

Posta sotto il segno della filantropia divina e della sua manifestazione tramite la venuta del Verbo nella carne, la celebrazione liturgica di Natale era proprio adatta per aiutare Tommaso ad approfondire la sua meditazione sulle convenienze dell'incarnazione.255

Quando lo ritroviamo nel Contra Gentiles, questo tema gli era familiare già da molto tempo poiché lo si incontra già nelle Sentenze: « Affinché vi fosse un modo facile per risalire a Dio, era conveniente che l'uomo potesse mettersi alla sua ricerca ( consurgeret ), sia con la sua intelligenza sia con la sua volontà, a partire da ciò che gli è noto.

E considerato che è connaturale all'uomo, nel presente stato di miseria, trarre la sua conoscenza dalle realtà visibili e attenervisi, era conveniente ( congruenter ) che Dio si rendesse visibile assumendo la natura umana.

Cosicché, a partire dalle realtà visibili noi fossimo condotti all'amore e alla conoscenza delle realtà invisibili ».256

Senza il riferimento liturgico, il tema riappare un'ultima volta nella Somma di teologia.

Esso ha indubbiamente un po' meno rilievo, poiché la preoccupazione di sintesi che anima quest'opera ha spinto Tommaso a raggruppare due imponenti serie di ragioni di convenienza, complementari, in cui sembra aver avuto a cuore di non omettere niente di quanto si poteva dire a tale proposito.

Con un accento leggermente diverso, il tema resta tuttavia ben presente, a patto che il lettore gli ridia tutte le sue risonanze a partire da ciò che conosce delle altre opere: « La quinta ragione si riferisce alla nostra piena partecipazione alla divinità, che costituisce la beatitudine dell'uomo e il fine stesso della vita umana.

E questo ci viene conferito attraverso l'umanità di Cristo.

Infatti, dice Agostino: "Dio si è fatto uomo, perché l'uomo diventasse Dio" ( Factus est Deus homo, ut homo fieret Deus ) ».257

Se il nostro autore non manifesta qui niente di originale, in quanto la parte finale di questo testo è un bene comune della patristica, risalta bene invece la menzione della beatitudine, che è un tema molto più personale in questo contesto.

In confronto a una motivazione troppo strettamente antropocentrica dell'incarnazione a causa del peccato dell'uomo, la differenza risiede evidentemente nel desiderio di vedere Dio che costituisce il vuoto lasciato in lui dal suo Creatore.

L'amore di Dio per l'uomo non si limita a ristabilire solo in giustizia l'equilibrio distrutto dal peccato, esso desidera ancora di più la riuscita del suo piano di salvezza.

Per questo l'incarnazione è considerata come una manuductio,258 un prendere per mano l'uomo per condurlo sul cammino di Dio.

E proprio questa la « via nuova e vivente » di cui parla la lettera agli Ebrei ( Eb 10,20 ): «( L'Apostolo ) mostra come abbiamo fiducia di avvicinarci, perché Cristo con il suo sangue ha inaugurato ( initiauit ), cioè cominciato ( inchoauit ), per noi una via nuova ….

Questa è quindi la via che conduce al cielo.

Essa è nuova, perché prima di Cristo, nessuno l'aveva trovata.

"Nessuno sale al cielo, se non colui che discende dal cielo" ( Gv 3,13 ).

Perciò colui che vuole salire deve attaccarsi a lui come un membro alla sua testa …

E vivente, cioè dura sempre, dato che in essa si manifesta la fecondità ( uirtus ) della deità che vive sempre.

Quale sia questa via, l'Apostolo lo precisa quando continua: « attraverso il velo, cioè la sua carne".

Come il gran sacerdote entrava nel Santo dei santi oltre il velo, così se noi vogliamo entrare nel santuario della gloria, dobbiamo passare per la carne di Cristo, che fu il velo della sua divinità.

« Tu sei veramente un Dio nascosto! » ( Is 45,15 ).

Non è sufficiente credere in Dio se non si crede nell'incarnazione.259

Senza averla mai veramente abbandonata, visto che affiora in numerosi testi sopra riportati, la tematica esplicita del cammino rivela ancora una volta la sua importanza.

Come il desiderio della beatitudine, essa attraversa da parte a parte l'opera di Tommaso.

Meglio ancora, ritroviamo in questo contesto il movimento circolare di cui abbiamo già visto la fecondità.

Questo testo è già stato citato in parte, ma non bisogna temere la ripetizione, poiché mette in luce il carattere centrale dell'intuizione: « ( Con l'incarnazione ) l'uomo riceve un esempio eccellente di questa felice unione mediante la quale l'intelletto creato sarà unito con la sua intelligenza all'intelletto increato.

Dal momento in cui Dio si è unito all'uomo assumendo la sua natura, non è più ormai incredibile che l'intelletto creato possa essere unito a Dio vedendo la sua essenza.

E così che termina in qualche modo l'insieme dell'opera di Dio, allorquando l'uomo, creato per ultimo, ritorna al suo principio con una specie di cerchio, ricongiungendosi al principio stesso delle cose tramite l'opera dell'incarnazione ».260

Questa piccola scelta di testi potrebbe essere considerevolmente arricchita.

Così come è, dovrebbe essere sufficiente a dissipare i timori suscitati dal fatto che la trattazione del mistero di Cristo si trovi alla fine del piano della Somma.

Il teocentrismo di fra Tommaso non respinge Cristo ai margini.

Egli si trova esattamente nel posto in cui deve stare: nel pieno centro della nostra storia, nel punto di congiunzione tra Dio e l'uomo.

Non come un centro statico, ma come cammino che sale verso la patria celeste, come « capo della nostra fede e suo perfezionatore » ( Eb 12,2 ), che ci trascina al suo seguito con la forza irresistibile che anima la sua propria umanità verso il Padre.261

Imitare Dio imitando Cristo

La sera dell'ultima cena, « sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava », Gesù dà un ultimo segno di ciò che attende dai suoi, con la lavanda dei piedi ( Gv 13,3 ).

Tommaso non ha più bisogno di insistere nel suo commento sulla perfetta « circolarità » che esprime questo versetto; si impegna piuttosto a mettere in rilievo ciò che deriva dall'atteggiamento di Cristo: «( Questa scena mostra varie cose ), la quarta riguarda la santità di Cristo, perché tornava a Dio.

Infatti la santità dell'uomo consiste nel tornare a Dio.

Per questo, egli ( Gesù ) dirà ben presto: poiché va egli stesso verso Dio, gli tocca condurre anche gli altri a Dio.

E questo lo compie specialmente con l'umiltà e con la carità.

Per questo volle dare loro un esempio di umiltà e carità ».262

Non si potrebbe trovare migliore transizione per il nostro scopo.

Quando Tommaso parla dell'esempio di Cristo, non pensa alla statica riproduzione di un modello fisso ma, come nel caso dell'immagine in via di somiglianza, lo concepisce come un cammino: imitare Cristo significa camminare alla sua sequela.

Ormai, troveremo questi due atteggiamenti costantemente legati tra di essi e anche con un terzo: seguire Cristo significa apprendere a seguire il Padre.

Tutto questo è disseminato e strettamente amalgamato in numerosissimi testi, e noi non abbiamo altra difficoltà qui se non quella della scelta e della disposizione ordinata.263

Cosa che non è peraltro senza significato poiché mostra l'onnipresenza di queste idee nell'opera del Maestro d'Aquino.

I testi tratti dai commenti del Nuovo Testamento sono naturalmente più numerosi e più espliciti, ma non vi faremo riferimento se non per prolungare quanto apprendiamo dalle opere di sintesi.

Infatti, è molto importante vedere come il richiamo all'esempio di Cristo non dipenda soltanto dall'esortazione morale.

Esso è profondamente inserito nella struttura stessa della teologia di fra Tommaso e costui ha due modi ben precisi per evidenziarne i fondamenti.

Dopo tutto ciò che abbiamo detto non si sarà sorpresi se è ancora a proposito delle convenienze dell'incarnazione che troviamo il primo modo di fondare l'esemplarità cristica.

Così nella Somma contro i Gentili, dopo aver precisato che la venuta del Verbo nella carne corrisponde alla necessità di aprirci un accesso alla beatitudine, Tommaso aggiunge, in attinenza diretta col nostro proposito, ancora quanto segue: « La beatitudine è il premio della virtù.

Quindi è necessario che coloro che tendono alla beatitudine si esercitino nella virtù, alla quale siamo provocati e dalle parole e dagli esempi.

Ora, gli esempi e le parole di una persona ci inducono tanto più efficacemente alla pratica della virtù, quanto più si ha un'opinione solidamente fondata della sua bontà.

Ma di nessun uomo, semplicemente uomo, è possibile farsi un'opinione infallibile della sua virtù, poiché anche gli uomini più santi mancano in qualche cosa.

Affinché l'uomo fosse stabile nella virtù, era quindi necessario che ricevesse da un Dio fatto uomo l'insegnamento e gli esempi della virtù.

Ecco perché lo stesso Signore afferma in san Giovanni ( Gv 13,15 ): Vi ho dato l'esempio, affinché come ho fatto io, facciate anche voi »264

In maniera più breve ma altrettanto chiara, ritroviamo lo stesso percorso nella Somma di teologia.

In questa però si riscontra anche un accento un po' nuovo, dato che l'autore vi combina l'imitazione del Padre con quella di Gesù Cristo: « [ Come già sappiamo, si possono citare varie ragioni dell'incarnazione ] dal punto di vista del nostro progresso nel bene …

La quarta consiste nel fatto che essa ci offre un modello per la pratica della virtù.

Per questo, come dice sant'Agostino. « Occorreva imitare non l'uomo che pp. 175.203; l'autore si sorprende giustamente che si sia potuto lasciar credere che san Tommaso non conosceva il tema dell'imitazione di Cristo "potevamo vedere, ma era necessario imitare Dio che non potevamo vedere".

Quindi è per offrire all'uomo un esempio che si potesse vedere e imitare, che Dio si è fatto uomo ».265

Questi due testi rappresentano quindi una spiegazione del primo modo in cui Tommaso fonda il valore esemplare dell'umanità di Cristo.

Tuttavia, il secondo testo ci orienta già verso un altro modo di stabilirla, certamente più profondo, perché ci rinvia direttamente alla dottrina della Trinità e dei suoi rapporti con il mondo.

Per evitare di comprenderlo a metà e per ben inserirlo nel modo di procedere d'insieme, occorre riunirlo a un passaggio-chiave della Prima Secundae, in cui si vede meglio che, se Tommaso non perde di vista il Padre come ultimo modello di perfezione, egli si mostra anche attento ad indicare i mezzi per giungervi, ancor prima di parlare più esplicitamente del ruolo svolto da Cristo.

Questo passaggio è molto caratteristico, perché in esso l'autore allega l'autorità della Sacra Scrittura a quella dei suoi autori di riferimento: Agostino e anche Aristotele.

Vale la pena osservare ciò in quanto è caratteristico sia di un metodo che vuole beneficiare della sapienza degli Antichi sia di una volontà di combinare inseparabilmente la ricerca dell'uomo alla premura di Dio nei suoi confronti: « Come afferma sant'Agostino, "è necessario che l'anima segua un modello affinché la virtù possa formarsi in essa; questo modello è Dio; se lo seguiamo, vivremo bene".

Quindi è evidente che il modello della virtù umana preesiste in Dio, come in lui preesistono anche le ragioni di tutte le cose ( … ).

Compete all'uomo avvicinarsi a Dio per quanto è possibile, come dice anche il Filosofo e come ci è raccomandato nella Sacra Scrittura in vari modi: Siate perfetti come il vostro Padre celeste è perfetto ( Mt 5,48 )».266

Il riferimento ultimo al Padre è messo innanzi con forza; è indubbio che resta in primo piano.267

Ma occorre osservare anche quanto questo articolo è posto sotto il segno del divenire.

Contrariamente alla mediocrità, spesso associata all'idea del giusto mezzo, con la quale volentieri si caratterizza la virtù, Tommaso distingue tra virtù umane e virtù divine « così come si distingue tra il movimento e il suo termine »: « Da un lato alcune sono le virtù di coloro che sono in cammino e tendono verso la somiglianza divina: sono queste le virtù che chiamiamo "purificanti" ( … ).

D'altro canto vi sono le virtù di coloro che hanno già raggiunto la somiglianza divina: le chiamiamo virtù dell'anima già purificata.

Esse sono tali che la prudenza non vede altro che il divino; che la temperanza non sa più niente della cupidigia terrena; che la forza ignora le passioni, che la giustizia fa costantemente lega con l'intelligenza divina tramite il suo impegno nell'imitarla.

Diciamo che queste virtù sono quelle dei beati o di coloro che in questa vita sono molto avanzati nella perfezione ».

Nella sua ripetitiva insistenza, questo testo rivela un non so che di scottante che va ben oltre la sua precisione tecnica.

Se ci rinvia contemporaneamente ai temi sviluppati a proposito della creazione, dell'immagine di Dio e del progresso, che dominano la riflessione tomistica, esso è anche sollevato dall'ardente desiderio del Bene che è al di là di ogni bene.

Ma per noi il suo immediato interesse risiede nel rinvio all'Esemplare divino di tutte le cose, che abbiamo trovato nella prima parte del testo.

Se Tommaso vede in Cristo l'esemplare di tutte le virtù, è perché costui è il Verbo incarnato che, nella sua eternità, già presiede alla creazione di tutte le cose.

Un altro passaggio capitale, la cui analogia di struttura con questo testo è sorprendente, precisa ciò con maggiore chiarezza: « Il primo principio dell'intera processione delle cose è il Figlio di Dio: "Per mezzo di lui tutto è stato creato" ( Gv 1,3 ).

Per questo egli è anche il Modello originale ( primordiale exemplar ) che tutte le creature imitano, come la vera e perfetta immagine del Padre.

Da qui l'espressione della lettera ai Colossesi ( Col 1,15 ): "Egli è immagine del Dio invisibile, il Primogenito di tutta la creazione, poiché in lui sono state create tutte le cose".

In un modo speciale è anche il modello ( exemplar ) di tutte le gratari …

Noi siamo suoi figli, perché egli è nostro Padre mediante la creazione. .., prediletti perché ci ha scelti per partecipare alla sua propria vita » ( letteralmente: « per partecipare di lui» , ad participationem sui ipsius ).

Grazie spirituali di cui risplendono le creature spirituali secondo quanto è detto al Figlio nel salmo ( Sal 110,3 ): "Dal seno dell'aurora oggi io ti ho generato nello splendore dei santi".

Poiché è stato generato prima di ogni creatura con grazia risplendente, egli possiede in lui in modo esemplare ( exemplariter ) gli splendori di tutti i santi.

Tuttavia tale modello divino era molto lontano da noi …

Perciò è voluto diventare uomo per offrire agli uomini un modello umano ».268

Il commentatore continua con alcuni esempi di applicazioni concrete che per il momento possiamo lasciare da parte.

É più importante notare come, a partire da un tale testo, si apra una duplice pista alla meditazione e alla contemplazione.

La prima, che considera le cose dal punto di vista di Dio, si inserisce sotto ogni aspetto nell'immediato prolungamento di tanti testi già letti: è quella dell'esemplarismo ontologico.

In termini più scritturistici, diciamo che in essa è messo l'accento sulla creatura nuova plasmata da Dio a immagine dell'Immagine.

Essa impiega l'insegnamento così frequente in san Paolo secondo cui siamo interiormente modellati, « ri-formati » a immagine del Figlio prediletto mediante la grazia di cui è il mediatore: « Quelli che da sempre ha conosciuto li ha anche predestinati ad essere conformi all'immagine del Figlio suo, perché egli sia il primogenito tra molti fratelli » ( Rm 8,29 ).

Molto presente e di una grande fecondità nell'opera tomasiana, questo tema relativamente complesso sarà trattato nel capitolo seguente.

La pista dell'esemplarismo morale è più immediatamente evidente, ma in realtà è seconda in rapporto alla precedente.

Anch'essa prosegue lo slancio abbozzato in numerosi luoghi già citati: l'incarnazione del Verbo permette di offrire all'uomo-immagine un modello accessibile che gli insegna a conformarsi all'inaccessibile modello originale che tuttavia ha presieduto alla sua creazione.

L'accento qui è messo sul Cristo, incarnazione vivente delle virtù evangeliche, e sullo sforzo dell'uomo che collabora con Dio mediante la grazia ricevuta.

Piuttosto omiletico, questo tema è abbondantemente presente nei commenti scritturistici, ma è lungi dall'essere assente nelle altre opere.

Vi ho dato l'esempio …

Il fatto che Cristo rappresenti il modello assoluto della vita cristiana è evidentemente sufficiente a spiegare l'insistenza di Tommaso su questo punto.

Noi, tuttavia, comprenderemo meglio le sue ragioni se rileggiamo la sua meditazione sulla lavanda dei piedi.

Come un vero maestro spirituale, Tommaso non teme di insistere sull'aspetto pratico: « ( Cristo Gesù ) ha dunque detto: Ho fatto questo per darvi l'esempio, perciò dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri: era appunto questa la mia intenzione nel compierlo.

Infatti, nell'agire degli uomini gli esempi sono più efficaci delle parole ( plus movent exempla quam Verba ).

L'uomo agisce e sceglie secondo ciò che gli sembra buono; quindi per il fatto stesso che sceglie questo o quello mostra ciò che gli sembra buono, molto di più che se dicesse che bisogna sceglierlo.

Ne consegue che se si dice qualcosa mentre se ne fa un'altra, ciò che si fa persuade gli altri molto di più di ciò che si dice.

Perciò è necessario aggiungere l'esempio alla parola.

Ma l'esempio di un uomo, di un semplice uomo, non era sufficiente per spingere all'imitazione l'intero genere umano, sia perché la ragione umana è incapace di concepire tutto [ della vita o del bene ], sia perché essa si sbaglia nella considerazione delle cose stesse.

Perciò ci è stato dato l'esempio del Figlio di Dio che non può sbagliarsi ed è più che sufficiente in tutti i campi.

Se sant'Agostino afferma che "l'orgoglio non può essere guarito se non dall'umiltà divina", lo stesso vale per l'avarizia e gli altri vizi.

Ben riflettendo, era molto "conveniente" che il Figlio di Dio ci fosse dato come esempio di tutte le virtù.

Egli infatti è l'Arte del Padre e dunque, come è stato l'esemplare archetipo della creazione, così è l'esemplare archetipo della santità ( 1 Pt 2,21 ): "Cristo ha sofferto per noi lasciando a voi l'esempio perché seguiate le sue orme".269»

Plus movent exempla quam verba. Il tono è dato.

Questa formula della Lectura super Ioannem, Tommaso la conosce da molto tempo, dato che la si può già leggere tra i motivi dell'incarnazione raggruppati nella Contra Gentiles,270 e l'ha ripresa testualmente nella Somma di teologia con un significativo richiamo all'esperienza comune.271

Indubbiamente si tratta qui di una acquisizione comune della sapienza umana, ma sarebbe forse avventurarsi troppo il pensare all'eredità domenicana del nostro Dottore, dato che si dice di san Domenico che predicava tanto con l'esempio che con la parola ( verbo et exemplo ).272

L'esemplarità di Cristo e del suo agire per l'intera vita cristiana si ritrova in numerose opere, in modo particolare negli opuscoli scritti in difesa della vita religiosa.

Di questo però ne tratteremo in un altro contesto, quando parleremo della sequela di Cristo nella vita religiosa.

Si potranno così spigolare nella Seconda Parte della Somma un insieme di testi che mostrano bene come Tommaso non la perde mai di vista.

Ma poiché questo lavoro è stato già fatto,273 e bene, sarà più fecondo seguire lo svolgimento della Terza Parte per reperirvi alcune delle menzioni ripetute sulle virtù illustrate da Cristo e proposte all'imitazione dei suoi.

Così, nel prolungamento delle ragioni dell'incarnazione, Tommaso spiega che era conveniente che Cristo assumesse un corpo passibile, « per darci un esempio di pazienza, sopportando con coraggio le sofferenze e i limiti umani ».274

Al contrario, egli non volle assumere il peccato, poiché in questo non avrebbe potuto dare né esempio di umanità - visto che il peccato non appartiene alla definizione della natura umana -, né esempio di virtù, dato che il peccato le è contrario.275

In compenso, se ha voluto pregare, lo ha fatto proprio per esortarci alla preghiera fiduciosa e continua;276 se ha accettato di sottomettersi alla circoncisione e agli altri precetti della legge, lo ha fatto per darci un esempio vivente di umiltà e di obbedienza;277 come pure, il suo battesimo ci incita con l'esempio a ricevere a nostra volta il battesimo.278

Ogni evento della vita di Gesù ( digiuno, tentazioni, vita tra la folla ) dà luogo a simili osservazioni; cosicché Tommaso può riassumere: « Per il modo in cui ha vissuto ( conversatio ), il Signore ha dato a tutti l'esempio della perfezione in tutto ciò che di per sé appartiene alla salvezza ».279

Meglio ancora, egli usa questa formula sorprendente: « L'agire di Cristo fu nostro insegnamento ( Christi actio fuit nostra instructio ) ».280

Sotto una forma leggermente diversa secondo i contesti, questo assioma, che Tommaso riceve da Cassiodoro tramite Pietro Lombardo, ricorre diciassette volte nella sua opera.281

Anche se si preoccupa di sottolineare che non accade esattamente la stessa cosa nel caso di Cristo e nel nostro, e che è necessario leggere questa asserzione alla luce della vera fede per ben comprenderla, egli non ne contesta mai la verità fondamentale, e tale frequenza è molto significativa della sua volontà di considerare seriamente l'agire concreto di Cristo tanto quanto il suo insegnamento.

Questo valore esemplare dell'agire di Cristo culmina, è evidente, negli ultimi giorni della sua vita terrena.

Alla domanda se c'era un mezzo più appropriato della passione per liberare il genere umano, Tommaso risponde secondo il suo uso con tutta una serie di convenienze.

In primo luogo, e questa priorità è significativa, la passione mostra all'uomo « quanto Dio l'ami, sollecitandolo a riamarlo: e in ciò consiste la perfezione della salvezza ».

Ma, in secondo luogo, Cristo ci ha dato con la sua passione « un esempio di obbedienza, di umiltà, di costanza, di giustizia e di altre virtù in essa manifestate, che pure sono indispensabili per la salvezza dell'uomo.

Perciò san Pietro scriveva ( 1 Pt 2,21 ): Cristo ha sofferto per noi, lasciandoci un esempio, perché seguissimo le sue orme ».282

Queste brevi annotazioni della Somma sono indubbiamente sufficienti ad assicurarci che l'esemplarismo cristico è incessantemente presente nella riflessione di Maestro Tommaso, tuttavia non lasciano trasparire abbastanza l'emozione che può animarlo quando ne parla nei suoi corsi o nella sua predicazione.

Sarà piacevole quindi leggere l'una o l'altra di queste pagine; al commento della lavanda dei piedi che sottolineava l'umiltà di Cristo, aggiungeremo il seguente passaggio che parla dell'amore che ispirava la sua obbedienza: « L'osservanza dei comandamenti è un effetto della divina carità.

Non solo di quella mediante cui noi amiamo, ma anche di quella con la quale ( Gesù ) ci ha amato.

Per il fatto stesso che ci ama, egli ci incita e ci aiuta ad osservare i suoi comandamenti, il che non può avvenire se non per grazia.

In questo consiste il suo amore: non siamo noi che abbiamo amato Dio, è lui che ci ha amati per primo ( 1 Gv 4,10 ).

A ciò egli aggiunge l'esempio dicendo: Come io stesso ho osservato i comandamenti del Padre mio.

Infatti, come l'amore con cui il Padre lo ama è il modello dell'amore con cui ci ama, così ha voluto che la sua obbedienza fosse il modello della nostra.

Cristo mostra così che egli dimora nell'amore del Padre perché osserva i suoi comandamenti in tutte le cose.

Infatti è giunto fino alla morte ( Fil 2,8 ): Egli si è fatto obbediente fino alla morte, e alla morte di croce; si è astenuto dal peccato ( 1 Pt 2,22 ): Non ha commesso peccato, e non si è trovato inganno sulla sua bocca.

Occorre comprendere questo di Cristo secondo la sua umanità ( Gv 8,29 ): Non mi lascia mai solo, poiché faccio sempre ciò che gli piace.

Per questo può dire: Io resto nel suo amore perché non vi è niente in me ( sempre secondo la sua umanità ) che sia contrario al suo amore ».283

Lo si capisce facilmente che testi come il precedente sono molto significativi per illustrare una teologia che vuole essere ispiratrice della vita cristiana.

Senza insistervi ulteriormente, concluderemo questa evocazione citando un passaggio tratto dalla predicazione sui Credo in cui troviamo questa bellissima meditazione sul senso della croce: « Come afferma il beato Agostino, la passione di Cristo è sufficiente per istruirci in maniera completa sul nostro modo di vivere.

Chiunque vuole condurre una vita perfetta non ha nient'altro da fare che disprezzare ciò che Cristo ha disprezzato sulla croce e desiderare ciò che ha desiderato.

Non esiste infatti un solo esempio di virtù che la croce non ci dia.

Cerchi un esempio di carità?

"Non vi è più grande amore che dare la propria vita per coloro che si ama".

E Cristo lo ha fatto sulla croce …

Cerchi un esempio di pazienza?

Il più perfetto si trova sulla croce …

Un esempio di umiltà?

Guarda il Crocifisso.

Un esempio di obbedienza?

Segui colui che si è fatto obbediente al Padre fino alla morte …

Un esempio di disprezzo delle cose terrene?

Cammina dietro colui che è il Signore dei Signori e il Re dei Re, in cui si trovano tutti i tesori della sapienza e che tuttavia, sulla croce, appare nudo, oggetto di derisione, schernito, colpito, incoronato di spine, abbeverato di fiele e di aceto, messo a morte ».284

Bisogna ammettere che questi accenti appassionati non traspaiono molto nelle opere erudite.

É un peccato che le altre opere siano così poco conosciute dato che in esse si scopre un altro aspetto del genio di fra Tommaso.

Ciononostante, essi non sono passati inosservati a tutti i lettori, e qualcuno come Louis Chardon ha tratto beneficio da questi passaggi in cui traspare l'amore alla croce del frate domenicano.285

Ne dovremo riparlare un po' più avanti quando tratteremo dei percorsi verso Dio che egli propone ai suoi discepoli.

Tommaso però non si ferma qui nella sua considerazione del mistero di Cristo.

Dopo la passione e la croce, vengono evidentemente la risurrezione, l'ascensione e l'esaltazione di Cristo alla destra del Padre.

L'approccio sarà diverso e lo vedremo ben presto, ma occorre sapere che Tommaso non lascia niente da parte della Pasqua di Cristo.

In questo è fedele al programma che si è fissato nel suo studio: tenere conto di tutto ciò che Cristo ha fatto e sofferto per noi ( acta et passa Christi in carne ).286

La patria e la via

Poiché questo capitolo è posto principalmente sotto il segno della via, ameremmo concluderlo con una lettura delle spiegazioni sul Vangelo di Giovanni che considera Cristo come la porta, poi come via mediante la quale occorre che passiamo per raggiungere il Padre.

Parafrasi e ampie citazioni permetteranno di farci un'idea più completa dello stile di Tommaso commentatore della Sacra Scrittura.

Datata alla fine della sua vita287 la Lectura super Ioannem offre uno degli esempi più completi dell'esegesi teologica così come Tommaso la praticava.288

A proposito della porta che introduce nell'ovile ( Gv 10 ), Tommaso, in un primo tempo, ricorda con una certa compiacenza l'esegesi di san Giovanni Crisostomo secondo il quale tale porta sono le Sacre Scritture.

Tramite queste infatti, noi accediamo innanzitutto alla conoscenza di Dio; inoltre, come la porta protegge coloro che sono all'interno, così le Sacre Scritture conservano i fedeli in vita; infine, come la porta non permette al lupo di entrare, così le Sacre Scritture mettono i fedeli al sicuro e al riparo dai danni che recherebbero loro gli eretici.

Non si entra quindi per la giusta porta se si pretende di istruire i fedeli in maniera diversa dalla Sacra Scrittura.289

Tommaso non lo dice qui, ma la sua preoccupazione di teologo glielo fa ripetere altrove: quando si parla di Dio, non ci si allontani facilmente dalle parole della Sacra Scrittura.290

Contro questa esegesi del Crisostomo vi è tuttavia l'esplicita affermazione di Gesù: « Io sono la porta delle pecore ».

Il Crisostomo certamente non l'ignorava, e Tommaso sulla sua scia osserva che Cristo afferma pure di essere non solo la porta, ma il portinaio e anche il pastore.

Se dunque parla di lui in modo così diverso, niente impedisce che la parola « porta » possa avere anch'essa due diverse applicazioni: dopo Cristo, non potrebbe essere applicata più giustamente se non alla Sacra Scrittura.291

Eppure, Tommaso conosce ancora un'altra esegesi: « Secondo sant'Agostino,292 tuttavia, la parola porta si applica innanzitutto a Cristo, poiché secondo l'Apocalisse ( Ap 4,1: Una porta era aperta nel cielo ), è tramite lui che si entra.

Chiunque quindi vuole entrare nell'ovile deve entrare per la porta, Cristo, e non tramite un altro accesso.

Perciò è necessario osservare che sono sia le pecore sia il pastore che entrano nell'ovile: le pecore per essere al riparo, il pastore per proteggerle.

Se dunque tu vuoi entrarvi come una pecora per essere protetto, o come un pastore per proteggere le pecore, occorre che tu acceda tramite Cristo porta e non per un'altra via.

( Dopo un lungo passaggio in cui Tommaso elenca le caratteristiche dei cattivi pastori, egli conclude: Infatti bisogna sapere che, così come è impossibile essere protetti come pecore se non si entra per la porta, così pure non è possibile proteggere come pastori se non si entra per questa stessa porta: Cristo ( … ).

I pastori cattivi non passano per questa porta, ma per quella dell'ambizione, del potere secolare e della simonia; sono dei ladri e dei briganti ( … ).

E siccome Cristo, la porta, si è fatto piccolo con la sua umiltà, non potranno entrare per essa se non coloro che imiteranno l'umiltà di Cristo.

Coloro che non entrano per essa, ma per un'altra via, sono dei superbi che non imitano colui che essendo Dio si è fatto uomo e non riconoscono la sua umiltà ».293

Il carattere indispensabile di Cristo emerge tanto chiaramente da questo testo che non vi è bisogno di sottolinearlo ulteriormente.

Ciò che occorre tuttavia osservare per inciso è forse il tono impiegato qui dall'autore: l'esortazione morale si congiunge alla presentazione dogmatica ed esegetica senza soluzione di continuità.

Come per i testi già citati, non si tratta di predicazione, ma vi siamo molto vicino.

Questo è infatti quanto ci si aspettava dal Maestro che commentava la Bibbia: doveva mettere in evidenza anche il senso spirituale della Sacra Scrittura.294

Si comprende così quanto sia spiacevole l'ignoranza ancora così diffusa di questa parte dell'opera di Tommaso.

Se si vuole avere qualche opportunità di scoprirlo come maestro di vita cristiana, occorre imparare a frequentarlo anche in questi testi.

Ciò sarà meglio percepito leggendo il seguito: « Se Cristo è la porta, ne deriva che per entrare nell'ovile egli passa per se stesso.

Certamente, ma è la caratteristica di Cristo.

Nessuno infatti può passare per la porta che conduce alla beatitudine se non mediante la verità, perché la beatitudine non è nient'altro che la gioia della verità ( gaudium de veritate ).

Ora, Cristo, nella sua divinità, s'identifica alla verità; perciò nella sua umanità, entra per se stesso, cioè tramite la verità che egli è in qualità di Dio.

Noi, invece, non siamo la verità, siamo soltanto dei figli della luce mediante la nostra partecipazione alla luce vera e increata.

Per questo è necessario che passiamo tramite la verità che è Cristo ».295

Dello stesso stile, ma ancora più ampia, la spiegazione della dichiarazione di Gesù: « Io sono la Via, la Verità e la Vita. Nessuno va al Padre se non per mezzo di me » ( Gv 14,6 ), offre a fra Tommaso l'occasione di una pagina molto sorprendente: « Cristo aveva già insegnato ai suoi molte cose circa il Padre e il Figlio, ma essi ignoravano che è al Padre che Cristo andava e che il Figlio era la via mediante la quale sarebbe andato.

Infatti è difficile andare al Padre.

Niente di sorprendente se lo ignoravano!

Poiché, se Cristo nella sua umanità era a loro ben noto, nella sua divinità lo conoscevano molto imperfettamente ( … ).

Io sono la Via, la Verità, la Vita, risponde Gesù.

Simultaneamente, egli svela loro la strada e il termine della strada ( … ).

La strada, l'abbiamo visto, è Cristo.

Ciò è comprensibile dato che è tramite lui che accediamo al Padre ( Ef 2,18 ) …

Ma tale via non è lontana dal suo termine, lo tocca; perciò Cristo aggiunge: la Verità e la Vita; egli è contemporaneamente l'una e l'altro: la via secondo la sua umanità, il termine secondo la sua divinità ( … ).

Il termine di questa strada, è il fine dell'intero desiderio umano.

Infatti l'uomo desidera due cose al di sopra di tutto; una che gli è propria: conoscere la verità, l'altra che condivide con tutto ciò che esiste: restare nell'essere.

Ora, Cristo è la via per giungere alla verità poiché è la Verità …; è anche la via per giungere alla vita perché è egli stesso la Vita ( … ).

Così dunque Cristo si è definito lui stesso come la via e il termine; egli è il termine perché è di per se stesso tutto ciò che può essere oggetto di desiderio: la Verità e la Vita.

Se allora cerchi la tua via, passa per Cristo: egli è il Cammino.

Isaia ( Is 30,21 ) profetizzava: "É il cammino, seguitelo".

Come dice sant'Agostino: "Passa dall'uomo per giungere a Dio".

"É meglio zoppicare sulla strada che camminare speditamente fuori strada".

Anche se non avanza velocemente, colui che zoppica sul retto cammino si avvicina alla meta; colui che invece cammina al di fuori della strada più corre e più se ne allontana.

Se cerchi dove andare, legati a Cristo: egli è la Verità che tutti noi desideriamo raggiungere ( … ).

Se cerchi dove riposarti, aderisci a Cristo, perché egli è la Vita …

Aderisci dunque a Cristo se vuoi essere sicuro; non potrai infatti deviare perché egli è la Via.

Coloro che aderiscono a lui non camminano nel deserto, ma su una strada ben tracciata …

Inoltre, non potrai essere ingannato perché lui è la Verità e insegna tutta la verità …

Né potrai essere perturbato perché lui è la Vita e dà la vita …

Sant'Agostino dice che, quando il Signore afferma: Io sono la Via, la Verità e la Vita, è come se dicesse: Per dove vuoi passare? Io sono la Via.

Dove vuoi andare? Io sono la Verità.

Dove vuoi dimorare? Io sono la Vita ».296

Per il frequentatore abituale di san Tommaso, il lirismo di questa pagina ha qualcosa di sorprendente e subito si sospetta una forte ispirazione agostiniana, e anche la presenza di citazioni esplicite non identificate nelle edizioni correnti.

Fatta la verifica, l'influenza agostiniana è reale, ma vi sono poche citazioni letterali.297

In modo particolare, se la costante opposizione tra la via e il termine, su cui Agostino si è soffermato varie volte, costituisce certamente un debito di Tommaso nei suoi confronti, in lui non si trova il ritornello: « Aderisci a Cristo», come neppure si trova letteralmente - sebbene l'idea sia presente - l'opposizione cara al dottore di Ippona tra la Patria e la Via.298

Si tratta quindi piuttosto di reminiscenze che ritornano spontaneamente alla mente di fra Tommaso, di cui è così penetrato che trasformano il suo stile abituale.

Colui che non conosciamo se non tramite il modo sobrio e discreto delle grandi opere filosofiche o teologiche, si lascia sorprendere nell'atto d'insegnare.

Infatti il commento di san Giovanni ci è pervenuto dagli appunti ( reportationes ) di Reginaldo da Piperno e sembra proprio che qui si colga lo stile orale di Tommaso.

L'insistente ripetizione dell'esortazione Adhaere Christo potrebbe dunque rivelarci qualcosa del suo animo di frate predicatore e questa non sarebbe l'acquisizione meno preziosa che potremmo ricavare dalla nostra ricerca.

J.- P. TORREL, S. Tommaso, Roma 1998, pp 119 – 145

Indice

233 I, q. 2, Pro. l
234 Cf. L. B. GILLON, L'imitation da Christ et la morale de saint Thomas, « Angelicum » 36 (1959) 263-286; questo studio è stato ripreso in italiano: ID., Cristo e la teologia morale, Roma 1961, e in inglese: Cbrist and Moral Theology, Staten Island 1967.
235 In ad I Cor. 11, 1 n. 583: « Primordiale exemplar quod omnes creaturae imitantur tanquam ueram et perfectam imaginem Patris »; si leggerà un pò più avanti per intero questo passaggio.
236 Cf. I, q. 97, a. 4 e il nostro capitolo « Immagine e beatitudine ».
237 In ad Ephesios 2,18, lect.5, n. 121.
238 In Ioannem 1, 16, lect. 10, n. 201: « quasi auctori gratiae ».
239 Cf. I-II, qq. 68-70
240 Cf. I-II, qq. 98-105
241 Cf. I-II, qq. 106-108
242 Cf. I-II, qq. 109-114
243 Cf. sopra, cap. III: « Dio e il mondo », p. 87.
244 III, q. 1,a.2.
245 Cf. sopra, cap. III, p. 88, n. 51.
246 Cf. ANSELME DE CANTORBÉRY, Pourquoi Dieu s'est fait homme, ed. R. ROQJES, SC 91, Paris 1963; per un confronto si può vedere J. BRACKEN, Thomas Aquinas and Anselm's Satisfaction Theory, « Angelicum » 62 ( 1985 ) 501-530, che oppone tuttavia i due autori in maniera troppo sistematica.
247 III, q. 1, a. 2; cf. Sent. III, d. 1, q. 1, a. 2; Compendium theol. I, 200 ( Leon., t. 42, p. 158 ); tra le recenti pubblicazioni su questo tema, si vedrà R. CESSARIO, The Godly Image. Christ and Salvation in Catholic Thought from St Anselm to Aquinas, Petersham ( Mass. ) 1990, e lo studio di A. PATFOORT, Le vrai visage de la satisfaction du Christ selon St. Thomas. Une étude de la Somme théologiqae, in Ordo sapientiae et amoris, pp. 247-265; tuttavia si può esitare nell'accordare alla soddisfazione una posizione così centrale come quella che questi autori le accordano.
248 Questo cambiamento di prospettiva è stato ben percepito da M. CORBIN, La Parole devenue chair, ma ci sembra che lo tratti in modo troppo esclusivo; le altre prospettive non sono tuttavia rifiutate.
249 SCG IV 54, n. 3922; cf. De rationibusfidei 7, Leon., t. 40, p. B 66.
250 Cf. Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo, pp. 3 17-324.
251 É forse farne una lettura troppo psicologizzante il vedere in questa frase un'eco del celebre passaggio in cui Tommaso compatisce l'« angoscia di queste grandi menti » ( quantam angustiam patiebantur … eorum praeclara ingenia; Alessandro d'Afrodisia, Averroè, Aristotele ) che, non conoscendo l'immortalità dell'anima, non sapevano dove collocare la beatitudine dell'uomo? Cf. SCG 11148 n. 2261
252 SCG IV 54, n. 3923
253 SCG IV 54, n. 3926
254 SCG IV 54, n. 3927; cf. ARISTOTELE, Etica a Nicomaco VIII 1,3 ( 1155 a ) e 5,5 ( 1157 b ).
255 Y. CONGAR ha pubblicato tempo fa un bello studio ( soprattutto patristico ) su questo tema: « Dum visibiliter Deum cognoscimus »… Méditation théologique, « La Maison-Dieu », n. 59 ( 1959 ) 132-161, ripreso in ID., Les voies dii Dieu vivant. Théologie et vie spirituelle, Paris 1962, pp. 79-107.
256 Sent. III, d. 1, q. 1, a. 2; questo tema di una progressiva assuefazione alle realtà divine a partire da ciò che l'essere umano può sperimentare è familiare a Tommaso, lo si ritrova nel De rationibusfidei dove un capitolo è dedicato ai motivi dell'incarnazione ( c. 5, n. 976, Leon., t. 40, p. B 62 ): « Siccome l'uomo ha un'intelligenza e un'affettività immerse nella materia, non poteva facilmente elevarsi alle realtà superiori.
É facile all'essere umano conoscere e amare un altro essere umano, ma non è dato a tutti di contemplare la sublimità divina e portarsi verso di essa con lo slancio di un amore purificato; vi giungono, con l'aiuto di Dio, con grande sforzo e impegno, solo coloro che si distolgono dalle cose corporee per elevarsi a quelle spirituali.
Perciò, è per aprire a tutti una via di facile accesso verso Dio che Dio volle diventare uomo, affinché anche i piccoli potessero contemplare e amare qualcuno che fosse, per così dire, simile a loro; così, mediante ciò che potevano capire, essi progredivano a poco a poco verso ciò che è perfetto ».
257 III, q. 1, a. 2; si tratta qui di un apocrifo di sant'Agostino ( ci. Sermone 128: PL 39, 1997 ).
Le quattro ragioni precedenti di questa serie di convenienze, che riguardano il « nostro progresso nel bene », considerano successivamente il profitto che ne deriva per la nostra fede, la nostra speranza, la nostra carità e la nostra pratica della virtù la beatitudine appare quindi come il termine di un cammino percorso secondo tutte le virtù della vita cristiana.
258 Il-II, q. 82, a. 3 ad 2: l'umanità di Cristo costituisce una pedagogia molto adatta per condurre alla sua divinità.
259 In ad Hebraeos 10, 20, lect. 2, n. 502.
260 Compendium theologiae 1201.
261 Rinviamo qui al commento di Gv 6,44: « Nessuno viene a me se il Padre mio non lo attira », in cui Tommaso spiega che « coloro che seguono Cristo .., sono attirati dal Padre », senza violenza, poiché si tratta della realizzazione del loro desiderio: In Ioannem 6,44, nn. 933ss.; si può consultare la bella ricerca di R. LAFONTAINE, La personne da Père dans la pensée de saint Thomas, in ID. e AL., L'Ecriture dme de la théologie ( « Institut d'études théologiques 9 » ), Bruxelles 1990, pp. 81-108.
262 Ioannem 13,3, lect. 1, n. 1743.
263 Si troverà l'insieme dei testi classificati secondo le opere nello studio di A. VALSECCHI, L'imitazione di Cristo in san Tommaso d'Aquino, in Miscellanea Carlo Figini, G. COLOMBO - A. RIMOLDI - A. VALSECCHI (edd.), Venegono Inferiore 1964 .
264 SCV IV 54, n. 3928.
265 III, q. 1, a. 2, con citazione del Sermone 371, 2: PL 39, 1024; il tema ritorna più implicitamente nel Compendium theologiae I, 201: Leon., 42, 158.
266 I-II, q. 61, a. 5; con citazione di SANT'AGOSTINO, De moribus ecclesiae, c. 6, nn. 9-10.
267 Cf. In ad Ephesios V, 1, lect. 1, n. 267: « La natura umana non trova la sua perfezione se non nell‟unione con Dio… E necessario quindi imitarlo per quanto è possibile, poiché compete al figlio imitare suo padre ( ad filium pertinet patrem imitari ) … Noi siamo suoi figli, perché egli è nostro padre mediante la creazione…,prediletti perché ci ha scelti per partecipare alla sua propria vita ( letteralmente: "per partecipare di lui", ad partecipationem sui ipsius ).
268 In ad I Cor. 11,1 n. 583; la stessa argomentazione si ritrova nel De rationibus fidei5, n. 973 ( Leon., t. 40, p. B 61 ): essendo state create tutte le cose per mezzo del Verbo, era conveniente che esse fossero anche restaurate da lui; vedere anche qui sotto il commento di Gv 3,15.
269 In Ioannem 13, 15, lect. 3, n. 1781.
270 SCG IV 55, nn. 3950-3951: « Non è inconveniente affermare che Cristo ha voluto soffrire la morte di croce per darci un esempio di umiltà. [ Si tratta senz'altro di una virtù che non conviene a Dio, ma nella sua umanità il Verbo poteva assumerla ].
Sebbene gli uomini avrebbero potuto essere formati all'umiltà dall'insegnamento divino…, i fatti provocano all‟azione più delle parole ( ad agendum magis prouocant facta quam uerba ), e questo tanto più efficacemente in quanto la reputazione di virtù di colui che agisce risulta così meglio affermata. Così, pur trovando presso gli altri uomini numerosi esempi di umiltà, era convenientissimo essere sollecitati dall'esempio dell'Uomo-Dio, di cui si sa che non ha potuto sbagliarsi e la cui umiltà è tanto più mirabile, quanto la sua maestà era più sublime»; cf. le note di P. Marc (ed. Marietti della SCG) su questo passaggio, che indicano gli antecedenti classici e patristici.
271 I-II, q. 34, a. 1: « Nel campo delle azioni e delle passioni umane, in cui l'esperienza della maggior parte conta molto, magis mouent exempla quam uerba».
272 Cf. M.-H. VICAIRE, Histoire de saint Dominique, t. I, Paris 1982, p. 279 [ tradotto in italiano ].
273 Cf. A. VALSECCHI, L'imitazione di Cristo, pp. 194-198; lo stesso autore ha ricollocato l'insegnamento di Tommaso nel più ampio contesto della tradizione scritturistica e patristica in un illuminante articolo: Gesù Cristo nostra legge, « La Scuola Cattolica » 88 ( 1960 ) 81-110; 161-190, in cui mostra anche che molte di queste idee, appartenenti al patrimonio comune del pensiero cristiano, si ritrovano pure in altri autori e particolarmente in san Bonaventura.
274 III, q. 14, a. 1: « propter exemplum patientiae quod nobis exhibet passiones et defectus humanos fortiter tolerando ».
275 III, q. 15, a. 1.
276 III, q. 21, a. 3.
277 III, q. 37, a. 4.
278 III, q. 39, a. 2 ad 1; cf., a. 1 et, a. 3 ad 3: Christus proponebatur hominibus in exemplum omnium.
279 III, q. 40, a. 2 ad 1.
280 III, q. 40, a. 1 ad 3.
281 Si vedrà a tal proposito lo studio preciso e suggestivo di R. SCHENK, « Omnis Christi actio nostra est instructio ».
The Deeds and Sayings of Jesus as Revelation in the View of Thomas Aquinas, in La doctrine de la révélation divine, ST 37, 1990, pp. 103-131.
L'uso della formula è più frequente nelle Sentenze che nella Somma ( unica occorrenza quella citata qui sopra ), ma si ritrova in vari altri luoghi ( cf. Schenk, p. 111, n. 51 ). Nel sermone Puerlesus ( Busa, t. 6, p. 33a ) si trova una formula equivalente: Cuncta quae Dominus fecit uel in carne passus est, documenta et exempla sunt salutaria.
282 III, q. 46, a. 3; altre citazioni analoghe: III. q. 46, a. 4; q. 50, a. 1; q. 51, a. 1, ecc.
283 In Ioannem 15, 10, lect. 2, nn. 2002-2003
284 In Symbolum 4, nn. 919-924; questo passaggio potrebbe essere stato ispirato molto lontanamente da sant‟Agostino, Enarratio in Ps. 61, 22: PL 36, 745-746, ma la formulazione sembra essere propria di Tommaso. Si può vedere anche Enarratio in Ps. 48, ser. 1, 11: PL 35, 551, ma se l'ispirazione agostiniana del commento di Tommaso su Giovanni è evidente, non abbiamo però saputo trovare dei paralleli per questo slancio tomasiano; cf. III, q. 46, a. 3 ad 2, cit. sopra, n. 50.
285 Cf. L. CHARDON, La croix de Jésus, Introduzione, pp. XCVI-CV; cf. anche D. BOUTHLLIER, Le Christ en son mystère dans les collationes da super Isaiam de saint Thomas d'Aquin, in Ordo sapientiae et amoris, pp. 37-64.
286 Cf. III, Prol.; q. 27 Prol.; q. 48, a. 6: « omnes actiones et passiones Christi instrumentaliter operantur in uirtute diuinitatis ad salutem humanam ».
287 Probabilmente 1270-1272, cf. Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo, pp. 224-228.
288 Rinviamo alla « Prefazione » di M.-D. PHILIPPE in Saint Thomas d'Aquin, Commentaire sur l'Évangile de saint Jean, Versailles-Buxy, t. I, 1981, pp. 7-49.
289 In Ioannem 10, 1, lect. 1, n. 1366
290 Cf. Contra errores graecorum I, Leon., t. 40, p. A 72.
291 Ibid.,n. 1367.
292 Cf. Omelie sul Vangelo di San Giovanni, 45, 6 e 15: NBA 24/1, pp. 899 e 913-915; BA 73 B, Paris 1989, pp. 55 e 83-85.
293 Ibid.,n. 1368.
294 Cf. Tommaso d'Aquino. L'uomo e il teologo, pp. 73-78.
295 Ibid., n. 1369; cf. J.C. SMITH, Christ as « Pastor », « Ostium » et « Agnus » in St. Thomas Aquinas, « Angelicum » 56 (1979) 93-118.
296 64 In Ioannem 14, 6, lect. 2-3, nn. 1865-1870; cf. P. DE C0INmr, « Attache-toi au Christ! ».
L'imitation da Christ dans la vie spirituelle selon S. Thomas d'Aquin, « Sources » 12 (1989) 64-74.
297 Il passaggio più vicino è il Sermone 141,4,4: PL 38, 777-778, da cui sono tratte due citazioni letterali: « Ambula per hominem, et peruenis ad Deum »; « Melius est enim in uia claudicare, quam praeter uiam fortiter ambulare ».
Si può vedere anche Tractatus in Iam Ioannis X, 1, SC 75, pp. 408-4 10; Enarratio in Ps. 66, 3, 5: PL 36, 807; ecc.; cf. lo studio di M.-F. BERROUARD, Saint Augustin et le mystère da Christ Chemin, Vérité et Vie. La méditation théologique da Tractatus 69 in Iohannis Euangelium sur Io. 14 6, in Collectanea Augustiniana. Mélanges T.J. Van Bave1, Louvain 1991, t. TI, pp. 43 1-449.
298 Si riconosce il bel titolo del libro di G. MADEC, La patrie et la voie.
Le Christ dans la vie et la pensée de saint Augustin ( « Jésus et Jésus-Christ 36 », Paris 1989; cf. Agostino, Sermo 92, 3, 3: « Ipse est patria quo imus, ipse uia qua imus » ( PL 38, 573 ); Sermo 123, 3, 3: « Deus Christus patria est quo imus: homo Christus uia est qua imus » ( PL 38, 685 ).